Il dolore - Centro Medicina Osteopatica

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C e n t ro di Medicina Osteopatica
IL DOLORE
CORSO AVANZATO DI MASSAGGIO ANTISTRESS
Firenze, 12/12/2009
C . M . O . C e n t r o d i M e d i c i n a o s t e o p a t i c a , Vi a l e E u r o p a 1 3 9 , F i r e n z e , Te l . : 0 5 5 / 6 5 3 2 8 2 4
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Definizione
Il dolore è da intendersi come un campanello d’allarme per il turbamento dell’omeostasi dell’integrità biologica comprendendo, con questa definizione, sia il dolore fisico che psichico. L’omeostasi è un equilibrio dinamico, ovvero uno
stato nel quale le condizioni cambiano di volta in volta senza tuttavia cambiare l’integrità del sistema. Va ricordato che
l’omeostasi è un concetto cellulare che può essere però esteso a tutte le strutture dell’organismo. Le sue alterazioni comportano uno squilibrio energetico letto dall’organismo come una situazione non idonea alla vita, che fa subentrare un
allarme.
La visione antropocentrica – l’uomo al centro dell’universo – si basava sui seguenti principi:
•
dolore fisico inteso come caratteristica propria di tutti gli esseri viventi, comprese le piante, (nocicezione).
•
dolore psichico (sofferenza) come fatto esclusivo dell’uomo. Nell’animale è visto come una reazione ancestrale,
di tipo difensivo.
In realtà ogni dolore originato dal corpo è evidentemente sempre un fenomeno che supera la diretta area dell’organo e si
esplica come fatto psichico. Questi due tipi di dolore non sono differenziabili perché ogni algia supera sempre la sfera
fisica e si esplica sempre nella sfera psichica (che individualizza e rende soggettivo lo stimolo nocicettivo); anche gli
animali soffrono perché il dolore, pur essendo un fatto esperienziale (che crea una serie di reazioni atte ad eliminarlo), dà
luogo anche ad una serie di comportamenti (ad esempio sindromi da abbandono dei cani o dei gatti) che testimoniano
una sofferenza psichica. Esistono tuttavia dei livelli di dolore psichico non collegabili a lesioni organiche (lutti, abbandoni, ecc.).
La differenza con gli animali è data dal fatto che l’uomo ha creato sul sintomo “dolore” un impianto culturale nel tentativo di spiegarne razionalmente il significato, in parte per aiutarsi a superarlo ed in parte per riuscire a spiegare la presenza di qualcosa di sovrannaturale. Una prova di questo sta nel fatto, ad esempio, che l’animale reagisce molto bene alle
cure omeopatiche: una volta individuato il sintomo (è puro senza elaborazioni), il rimedio adeguato risponde perfettamente. Per l’uomo questo non vale, poiché il simbolo viene elaborato e rivestito di significati che riducono l’efficacia della cura: il sintomo non si presenta più puro e semplice ma viene mascherato e investito in modo tale che la sua interpretazione è veramente difficile. Inoltre l’animale vive il dolore in modo pedagogico, esperienziale: sente dolore compiendo
una determinata azione ed impara a non compierla più. L’uomo non fa lo stesso: impara cosa gli procura dolore ma dal
dolore non impara nulla, in quanto spesso il dolore se l’è creato da solo e gli serve per sopravvivere.
Excursus storico sul dolore
Il dolore è uno squilibrio fra eros (gioia di vivere, crescita) e thanatos (forza distruttiva, morte) (concetto freudiano).
Filosofi esistenzialisti II -III sec. a.c.: vivere è dolore. Frase nel Quolet (testo antico): “Quale utilità trae l’uomo da tutta
la sua fatica e dallo sforzo patito sotto il sole? I suoi giorni non sono che dolore, la sua occupazione non è che affanno,
non c’è niente di meglio per l’uomo che mangiare e bere, procurare gioia al suo cuore col proprio lavoro”. Tu vivi e provi
dolore. La risposta a Dio è edonistica.
Buddha: sofferenza come ordine reale (nascita, vita e morte sono sofferenza). Il dolore, qui, non è più inteso come squilibrio ma come ordine.
Assiro-babilonesi: la sofferenza è intesa come colpa. Per la prima volta si soffre per una colpa (non più perché si vive).
Il testo babilonese che segue esprime una lamentazione alla dea Isha: "Guardami mia signora, accogli le mie suppliche,
pronunzia il mio perdono e placa il tuo spirito. Il perdono del mio corpo afflitto che è pieno di confusione e di scompiglio, il perdono del mio cuore malato che è pieno di lacrime e di gemiti, il perdono delle mie viscere inferme che sono
piene di disordine e d’imbarazzo (aveva semplicemente mal di pancia). Sono colpita come se non avessi avuto timore del
mio Dio o della mia Dea, mi vengono addosso dolore, malattie di testa, morte e sfacelo, tribolazioni, disgrazia ed ira senza fine”.
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Sono i primi ad introdurre il concetto di sofferenza legato alla colpa ed esso è presente in tutti i rituali assiro-babilonesi,
sia sotto forma di dolore fisico che psichico.
Religioni politeistiche: (Greca, Romana…) è difficile risalire al Dio al quale si è fatto uno sgarbo, ed è necessario un sacerdote per interpretare il dolore (ogni Dio aveva determinati dolori e bisognava fagli delle offerte).
Cattolicesimo: soffri perché nasci già nel peccato originale; ogni dolore è la conseguenza di un comportamento peccaminoso e il dolore arriva come punizione. Esiste però, qui, la redenzione grazie alla quale ci si libera dal dolore. Con il Cattolicesimo s’introduce il concetto di colpa indiscriminata, cioè il peccato originale che tutti hanno e che solo attraverso la
redenzione (Battesimo, ecc.) può essere superato. Si crea, quindi, un circuito peccato, colpa, confessione, redenzione.
Stoici - cinici: il dolore fa parte della vita, l’unico antidoto è l’indifferenza (non abbiamo la percezione del cambio di
omeostasi del nostro corpo). La consapevolezza del dolore fondata sulla sua accettazione permette l’imperturbabilità
fisica e morale (il dolore c’è ma non viene vissuto).
Masochismo: provocazione del dolore (flagellazione, sofferenze fisiche, cilicio) per arrivare al piacere (basta vedere come
vengono descritti beati i martiri cristiani). Nel masochismo si assiste alla miscela tra eros e thanatos per cui ciò che è dolore viene vissuto come piacere.
Cristianesimo: Cristo è il nostro modello di sofferenza (a sofferto più di tutti perché ha sofferto per noi anche se era senza colpa). L’archetipo della sofferenza è Cristo ed è il modello cui tutti ci riferiamo prima o poi. Rappresenta colui che ha
sofferto per gli altri, affinché l’uomo potesse salvarsi: non esiste, pertanto, modello di sofferenza più elevato.
N.B. E’ evidente che ogni popolo ha dato la sua configurazione culturale al dolore; nelle popolazioni celtiche, ad esempio, l’ittero era visto come punizione per avere urinato contro l’arcobaleno.
Freud vede il dolore come squilibrio tra la vita e la morte, cioè tra eros e thanatos. Eros: come istinto di vita che porta
verso l’amore. Significa costruire cose sempre più grandi, legare. Thanatos: istinto di morte. Significa dissolvere le connessioni, distruggere. Con Freud s’introduce il concetto di coppia di opposti (Yin-Yang, Gesù-Satana, purushaparvati).La coppia di forze è fondamentale per mantenere la giusta tensione capace di creare un campo vitale in cui si
afferma la genesi delle forme viventi del mondo. Il dolore, quindi, è uno squilibrio tra le coppie di forze che creano la
vita. Per la prima volta con Freud si evidenzia questo concetto in modo “scientifico”.
Freud: “La meta dell’eros è quella d’instaurare unità sempre più grandi e così conservate. Essa consiste nel legame. La
meta di Thanatos è di dissolvere le connessioni e distruggere così le cose”.
Teorici di Princeton (anni 50, erano dei bio-filosofi).
Per loro la vita è sofferenza ma inseriscono il concetto di dolore nel rimaneggiamento (modificazione della for-
ma). Questa definizione comprende anche la definizione del dolore psichico (la psicanalisi porta alla coscienza di ciò che
la persona ha dentro e quindi porta ad un nuovo stato ed ad un nuovo livello energetico). In senso organico il rimaneggiamento può essere semplificato da questo piccolo schema: cellule tessuti→organi sistemi individuo. Ogni rimaneggiamento della struttura di partenza provoca dolore.
Dolore = percezione interna delle strutture formali in corso di rimaneggiamento e percezione della turbolenza.
Piacere = tendenza attrattiva di una forma verso la forma affine per amplificare la struttura di partenza.
Lo stato creativo, dunque, è uno stato di grazia energetica dovuto alla consapevolezza dell’accrescimento (ad esempio
gravidanza); tuttavia c’è il passaggio successivo che è un ritorno continuo al rimaneggiamento (parto, doglie ecc.).C’è,
quindi, un’alternanza continua tra lo stato di accrescimento e quello di rimaneggiamento, in un continuo ciclo omeostasico dove il rimaneggiamento corrisponde alla fase di dolore e l’accrescimento alla fase di piacere. Ecco allora che s’introduce il concetto di dolore come mezzo per portare la consapevolezza dell’accrescimento (anche se poi è accettabile
che un individuo scelga di non accorgersi di niente facendo ad esempio l’epidurale).
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La religione Cattolica, a differenza delle altre religioni (induismo, ecc.), ha dei concetti chiari e semplici e la sua grandezza, nonché la sua forza vincente in passato, è stata quella di dare la possibilità all’uomo di redimersi in vita e non solo
dopo morto. Oggigiorno, invece, il Cattolicesimo ha perso molto rispetto alle altre religioni, perché ha attenuato la componente spirituale che è rimasta profondamente radicata nelle altre. In quest’epoca di bisogno e di attenzione alla spiritualità, proliferano i predicatori e le religioni più attente a questo aspetto.
La conclusione è che il dolore, comunque, è turbamento dell’omeostasi.
Storia dei tentativi dell’uomo di lenire il dolore
Latini: creano una differenziazione del dolore.
•
Dolor (fisico).E’ una parola che ha un suono dolce.
•
Dolorem accipere
•
Labores
•
Aegritudo animis (psichico).
Greci: hanno un solo termine per tutti i dolori: algòs (che è una parola pungente).
Babilonesi: prime testimonianze del fatto che il dolore può avere un’origine lontana dalla zona di manifestazione (denti
come causa del dolore alla schiena e alle gambe). 2000 anni prima di Cristo si legge: “ Il dolore ha afferrato il mio corpo,
liberami o dio dal dolore.” Risposta: “Il mal di schiena, il mal di corpo ed il male alle gambe, provengono dai denti. Tu
guarirai se ti estrarranno i denti”. Si legge anche che per un effetto antalgico veniva usata la neve per fare crioterapia e la
compressione del glomo carotideo.
Egizi: usavano papavero, oppio, canapa indiana. Hanno introdotto il rimedio farmacologico.
Greci: Platone (dolore come discrasia fra umori endogeni); Aristotele (dolore come esasperazione del tatto); Erasistrato
(ogni arto ed organo hanno un’arteria, una vena, un nervo, ed il dolore è trasportato dal nervo). Il primo grande medico
fu però Ippocrate, che individua il dolore come una discrasia fra umori endogeni (disarmonia degli organi), cioè un concetto simile a quello esposto prima sulla turbativa dell’omeostasi. Anche Ippocrate somministrava farmaci per lenire il
dolore, alcuni dei quali ancora sconosciuti.
Romani: utilizzo di erbe come Giusquiamo, Mandragola (potente sedativo ed ipnotico), oppio (utilizzato fino ai primi
del ‘900); riprendono la farmacopea greca e la riportano nella propria. Il vino mandragolato era usato per l’insonnia e i
dolori. Imparano i rimedi delle popolazioni conquistate.
Galeno (123-200 A. C.) : sostiene che la malattia è dovuta a una causa locale, ma produce disturbi della funzione specifici; usa l’oppio e scrive “sine opium medicina claudicat”.L’oppio, quindi, viene adoperato come precursore degli analgesici e per la prima volta s’introduzione il concetto che se non si conosce l’origine del dolore si cerca almeno di sedarlo.
Acquisisce conoscenze sul dolore attraverso esperimenti di sezione del midollo spinale.
Cicerone: usa scariche elettriche per i dolori gottosi utilizza le torpedini (pesci) per lenire i dolori attraverso le scariche
elettriche prodotte da essi.
Arabi: esistono 15 forme di dolore per ciascuno dei quali esiste un rimedio specifico (dolore che passa con il caldo, con il
freddo, ecc.); si assiste alla modalizzazione del dolore che rappresenta una delle basi dell’omeopatia.
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IX sec. Ipnoticum auditorium (ricetta di una spongia soporifera): fino agli arabi i farmaci per la risoluzione del dolore
sono usati singolarmente. Dal Medioevo in poi, i monaci (che erano depositari della medicina), cominciano ad elaborare
rimedi complessi. La farmacopea diviene una miscellanea di elementi per lo più tossici ed il bravo farmacista è colui che
azzecca il dosaggio.
Scuola Salernitana (Schola Medicha del XII sec.): si usa il cataplasma analgesico e la spongia soporifera (spugna imbevuta di una sostanza che veniva somministrata al paziente).
Paracelso (1500): scopre l’utilizzo per distillazione dell’etere dall’alcool, (cioè una molecola semplice e di facile dosaggio
che provoca un’anestesia immediata e profonda).
Sydenham (1600): sviluppa un composto: il laudano, che altro non è che uno stupefacente estratto dal papavero (è un
derivato dell’oppio).
Cartesio (1600): introduce il concetto delle vie del dolore (esempio del campanello a distanza che suona tirando la corda).
Intuisce, pur non avendo le conoscenze di base necessarie, come il dolore viene percepito (recettori, vie sensitive che
vanno dal piede al talamo, ecc.).
Pacini, Golgi, Ruffini, ecc.: hanno introdotto il concetto dei recettori del dolore. Fino al Settecento, i cambiamenti sono
stati lenti e la medicina è avanzata a piccoli passi, con questi personaggi inizia la nuova fisiologia moderna che poi ha
subito modificazioni rapidissime.
Ad oggi si conoscono molte cose sulla neurofisiologia del dolore (recettori,fibre nervose,gate control), ma non conosciamo bene la componente emotiva. Ognuno di noi percepisce il dolore in modo diverso ed infatti sia uomini che animali
hanno la capacità di attenuare o amplificare il dolore. È ovvio, quindi, che esiste la possibilità di controllare il dolore. La
consapevolezza di sé consente di superare alcuni scogli: basti pensare a chi cammina sui carboni ardenti (tecniche di Roi
– Martina). Queste tecniche dimostrano che esistono dei meccanismi di controllo sulla percezione del dolore, ma anche
sulle alterazioni fisiche che derivano da un evento (non ci si ustiona e non vengono le vesciche). Le conoscenze attuali ci
consentono di praticare dell’analgesia attraverso mezzi farmacologici (morfina, fans, ecc.) e fisici (ad esempio la tens), ma
la domanda che ci si deve porre è perché se il dolore è un segnale di allarme positivo abbiamo anche dei meccanismi per
controllarlo? Perché nella progettazione dell’uomo sono state inserite sostanze come le endorfine endogene che permettono di non percepire questi segnali positivi? Non si ha ancora una risposta esauriente.
La terapia del dolore erogata da centri specializzati (alcolizzazione dei gangli spinali, crioterapia dei gangli, somministrazione di analgesici con pompe ad infusione lenta, ecc.) prevede interventi a valle del problema, e, ancora una volta, si
agisce sulla manifestazione e non sulla causa. E’, tuttavia, una terapia che si utilizza nei casi in cui non esista soluzione
alcuna al dolore (ad esempio paziente neoplastico con dolori da crollo vertebrale).
Per chiarire i vari aspetti del dolore è stata proposta in una conferenza (1982) la scomposizione del dolore in tre componenti principali:
•
Nocicezione = sensazione.
•
Dolore = percezione (area somestesica primaria e consapevolezza del dolore).
•
Sofferenza = emozione.
Nella stessa conferenza è stato sviluppato un diagramma di flusso del dolore in cui lo stimolo algico sopra la soglia dà
luogo alla percezione del dolore che può seguire tre vie:
1.
Risposta comportamentale motoria (riflesso triplice flessorio, smorfia, imprecazione, fuga)
2.
Risposta comportamentale vegetativa (ipertensione, iperpnea, lacrimazione, sudorazione, sincope, tachicardia, ecc.).
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3.
Elaborazione del dolore indipendente e staccata dalla risposta comportamentale, cioè sofferenza (assenza di evidenza fisica del dolore come in caso di lutto, perdita dell’oggetto amato, ecc.).
Tutte queste risposte possono confluire sui neurotrasmettitori ad azione antalgica e dare una modulazione di questi stimoli. Gli stessi farmaci agiscono a livelli diversi: i fans annullano la percezione, mentre i barbiturici, gli ansiolitici, ecc.
agiscono sulla componente emozionale; intervengono, cioè ai livelli diversi del dolore.
Esiste una malattia, l’analgesia congenita, ad eziologia ignota, che è caratterizzata, come dice il nome, dalla assoluta
mancanza dello stimolo dolorifico che porta rapidamente alla morte a causa di traumi e delle lesioni che il soggetto si
produce inconsciamente. Un esempio di analgesia acquisita è invece la lebbra, caratterizzata dalla localizzazione di un
batterio a livello delle radici posteriori del midollo spinale, ed in special modo delle fibre che portano lo stimolo nocicettivo.
I 5 Tipi di dolore.
1.
Dolore nocicettivi.
2.
Dolore da rigenerazione.
3.
Dolore reattivo.
4.
Dolore neuropatico.
5.
Dolore da deafferentazione (arto fantasma, neurinoma, ecc.).
Dolore nocicettivo
I nocicettori sono distribuiti maggiormente a livello cutaneo, ma sono comunque presenti in tutti i connettivi e quindi
anche nelle articolazioni, nei muscoli, nelle giunzioni muscolo-tendinee, nello stroma e nelle capsule dei vari organi. E’ il
tipo di dolore più in relazione con il concetto comune di dolore: insorge in seguito alla stimolazione di strutture specializzate, situate nel connettivo e negli epiteli di rivestimento, che hanno capacità di reazione a determinati stimoli (nocicettori):
•
Stimoli meccanici,
•
Stimoli termici,
•
Stimoli chimici.
Agiscono se eccitati al di sopra della propria soglia, la quale, a sua volta, dipende dal tipo di stimolo (ad es. termica 43°).
La stimolazione dipende anche dal microambiente in cui essi sono inseriti. Lo stesso recettore cambia la trasmissione del
tipo di stimolo a seconda che questo sia sopra o sotto la sua soglia dolorifica (ad esempio il termocettore scarica stimoli
termici fino alla soglia dopo di che scarica come nocicettore). Il microambiente viene influenzato dalle sostanze che vi si
trovano e che possono agire sulla frequenza di scarica del recettore (ad es. salicilati che riducono la capacità di trasmissione e prostaglandine). Vi è una sorta di regolazione della sensibilità del recettore da parte delle sostanze che si trovano
nel microambiente.
Le sostanze endogene che influenzano il nocicettore sono:
1.
Ioni H+ (ambiente acido della matrice extracellulare).
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2.
Ammine vaso attive come bradichinina (agisce sui capillari provocando vaso costrizione alterando la per fusione del
tessuto e variando le condizioni del microambiente), serotonine, istamina (vasodilatatore, aumenta la percezione del
dolore), prostaglandine (vasocostrizione) ad azione sensibilizzante sui nocicettori.
Esse agiscono inducendo un aumento della eccitabilità nervosa mediante diversi meccanismi:
1.
Azione diretta sull’ambiente nervoso.
2.
Alterazioni del microcircolo.
3.
Modificazione del microambiente.
Esistono farmaci ad azione inibente sul nocicettore:
Esse agiscono sulla ciclo ossigenasi, che a sua volta inibisce la sintesi di prostaglandine; pertanto si riduce la sensibilità
del nocicettore.
Il paracetamolo, invece, non ha alcun effetto sulla ciclo ossigenasi per cui è ipotizzabile che esistano altri meccanismi. Il
meccanismo di azione dei FANS (Voltaren, Aspirina, Liobetacin etc…), non è assolutamente chiaro, si usano perché è
stata notata la loro azione antidolorifica, ma non si sa come ciò avvenga. In realtà non si conosce nemmeno il motivo per
il quale l’aspirina faccia male allo stomaco: inizialmente si credeva che fosse dovuto al fatto che aumentava l’acidità del
contenuto gastrico, ma la cosa non è proponibile se si considera che normalmente il ph dei succhi gastrici è di 2,5/3. In
realtà si è visto che agisce alterando il metabolismo delle prostaglandine, le quali hanno un’azione di incremento della
secrezione di acido cloridrico da parte dello stomaco: anche questa però è un’ipotesi tutta da dimostrare. Questo è anche
il motivo per il quale, in realtà, anche l’aspirina tamponata è una fregnaccia, una costruzione commerciale. Tra l’altro è
curioso notare come l’alca-selzer, notoriamente somministrato per il mal di stomaco, abbia la stessa identica composizione dell’aspirina o del Vivin-C, che è invece accusato di poter provocare il mal di stomaco.
Questo, per inciso, deve fare riflettere sul fatto che alcuni farmaci alternativi non sono accettati dalla medicina tradizionale che invece ne accetta altri di sintesi, di cui non si conosce il meccanismo.
Dolore da rigenerazione
Insorge in seguito alla ricostituzione di un nervo in seguito all’evento lesivo traumatico (taglio, amputazione o schiacciamento). Riguarda la branca afferente del dolore, cioè il tronco nervoso in via di rigenerazione. La ricostituzione è favorita dall’integrità delle strutture vicine (guaine, cellule, endonervio, perinervio ecc.). Il fronte di rigenerazione procede in
senso anterogrado anche se a volte è impedito da alcuni fattori (non molto noti) che formano il neuroma o neurinoma. Il
fronte di rigenerazione incontra una sorta di cappuccio di connettivo (in cui si incontrano anche terminazioni viscerali)
che impedisce la continuazione della rigenerazione stessa.
Il neurinoma è estremamente doloroso, perché è ricco di fibre delta e C che scaricano sensazioni dolorose anche in assenza di stimolazioni (scarica spontanea). Negli animali porta all’automutilazione dato che è un dolore persistente. Esso è
aumentato da alcune sostanze dette ammine simpatiche (adrenalina, noradrenalina e attivazione del simpatico) per cui è
forte l’influenza dell’ansia e dello stress.
Dolore reattivo
Dovuto a disfunzioni del sistema motore a causa di un blocco del sistema simpatico che crea un dolore neuromuscolare:
avviene sulla branca efferente simpatica. E’ detto anche dolore “sine materia”, che compare, cioè, anche in assenza di un
evidente danno nervoso e in assenza di eventi anamnestici che ne giustificano la presenza. Interviene in assenza di danno nervoso (traumi, lesioni, ecc.) ed è dovuto al fatto che i nocicettori (situati ai livelli muscolari, tendinei, ecc.) scaricano
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anche in assenza di stimolazione. E’ un dolore, quindi, determinato da un’alterazione dei meccanismi di controllo del
recettore stesso da parte del simpatico, con aumento della eccitabilità dei nocicettori. Le malattie ricondotte a questo dolore sono la malattia di Sudeck e l’osteoporosi, in cui l’insorgenza del dolore non è spiegabile in altro modo.
Nelle disfunzioni del sistema motore sono riconducibili a questo dolore:
•
Sistema muscolo tendineo da persistente tono muscolare (ad es. contrattura muscolare),
•
Cefalea muscolo-tensiva.
Nelle disfunzioni del sistema simpatico sono riconducibili a questo dolore:
•
Atrofia di Sudek,
Queste sindromi risentono in modo benefico della mesoterapia perché in quanto anestetico locale, agisce direttamente
sui recettori riducendo per un po’ di tempo la loro capacità di scarica. C’è un’azione sul dolore, ma si spezza anche il
circolo vizioso che lo mantiene. Si cerca, cioè, di creare un microambiente favorente la guarigione. Ancora non è chiaro a
che livello si crea questa interruzione del circolo vizioso.
Dolore neuropatico
Dovuto alla compressione del tronco nervoso, è relativo alle neuropatie da intrappolamento (ad esempio sindrome del
tunnel carpale). Il paradosso è che non è possibile che la compressione del nervo dia dolore, perché il nervo non è innervato. Non è quindi la compressione in sé che induce dolore, bensì qualcosa del microambiente. La compressione cronica
induce alterazione del trofismo del nervo che crea un’ischemia con liberazione di sostanze che provocano cambiamenti
della funzionalità della membrana. La causa del dolore, quindi, è l’alterazione del trofismo e del metabolismo nervoso.
Dolore da deafferentazione
Può essere causato da una patologia nervosa centrale (situazioni post ictus, pazienti che hanno lesioni della capsula lenticolare, ecc.),dall’arto fantasma (dopo degenerazione retrograda del tronco nervoso con morte del neurone) e dall’anestesia in pazienti con avulsione della radice spinale. I meccanismi d’azione di questo tipo di dolore, probabilmente, investono la memoria dello stesso attraverso alterazioni simpatiche che probabilmente agiscono a livello centrale. Forse c’è
una disinibizione nervosa, cioè un’alterazione del controllo inibitorio su determinati centri nervosi. Questo dolore risente
beneficamente dell’influenza di farmaci che agiscono a livello centrale (i Fans non hanno effetto alcuno). Dall’analisi di
queste algie, comunque, emerge l’importanza del microambiente nella genesi e nel controllo del dolore. Qualsiasi tecnica
diretta alla modificazione del microambiente, quindi, è di estrema importanza: tecniche che migliorano la vascolarizzazione, tecniche che modificano la tensione, ecc.
DOLORE ACUTO
Fastidio, sgradevole malessere, (campanello d’allarme) che se persiste comporta dolore, ansia (si ha amplificazione del
dolore) che porta a prostrazione e a paura della cronicizzazione.
DOLORE CRONICO
Difficilmente accettabile perché privo di significato, al di fuori di ogni logica. Comporta ansia (legata al fatto che non si
comprende) e successivamente depressione (per l’incapacità di porre rimedio). Quanto più il dolore cronicizza, tanto più
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il paziente si chiude in se stesso, e tanto più il suo dolore diventa insopportabile e intollerabile. Tutto ciò comporta un’introiezione del dolore che viene racchiuso all’interno del paziente, il quale a volte non riesce neanche a verbalizzarlo.
Sono pazienti molto difficili da trattare perché hanno un’energia vitale molto bassa. Non è possibile altro approccio se
non quello di lavorare sul terreno energetico.
La differenza principale tra dolore acuto e cronico sta nel concetto di emotività, nella componente psicologica del dolore.
Prendiamo l’esempio dell’insorgenza di un male acuto ad un dente: il primo pensiero di una persona è quello di qualcosa che non quadra. Va dal dentista e scopre che il dente è cariato, è un dolore acuto, ma passa e lo sopporta benissimo,
perché sa che finirà dopo l’intervento dello specialista. Il problema subentra qualora il dolore persista ed il dentista non
trovi niente: subentra l’ansia. Si cercherà un altro specialista tipo l’otorino e se anche lui non trova niente ed il dolore
persiste si innesca un meccanismo che va oltre il concetto del dolore. Anche se questo ultimo non è forte, inizia un meccanismo di amplificazione del dolore che è determinato fortemente dall’ansia, dalla non consapevolezza del dolore.
A parità di paziente normale tra dolore acuto ciò che differenzia è la componente ansiosa del dolore legata all’incapacità
di sapere cosa sta succedendo e quindi cominciare a fare delle congetture. Successivamente a questa si inserisce l’effetto
opposto: la depressione per non essere in grado di fare qualcosa per far passare il dolore. Il dolore cronico si gioca su
questi due campi: dolore che crea ansia, dolore che crea depressione.
DOLORE PSICOSOMATICO
E’ dato dallo squilibrio tra l’apparato mentale e il Sistema Nervoso Centrale.
Questi hanno due funzioni fondamentali:
•
Integrano e ordinano le attività mentali.
•
Proteggono il corpo dallo stress.
Intervengono in tutti quei casi in cui esiste un problema dell’omeostasi del corpo adottando dei meccanismi che possono
essere fisici nel caso di introduzione di serotonina etc… o adottando dei meccanismi psichici nel caso del mentale tali da
proteggere il corpo dalla turbativa che l’alterazione dell’omeostasi può creare.
E’ chiaro che tutte le volte che noi siamo sottoposti ad uno stress (inteso come strumento che può alterare l’omeostasi), il
nostro SNC e l’apparato mentale devono elaborare l’input che ci deriva da questo stress. Gli input che arrivano dall’esterno o dal nostro corpo stanno dicendo: “c’è qualcosa che non va, mi sto squilibrando”, perciò devono essere elaborati per fornire delle risposte immediate adeguate per superare la fase stressante.
L’organismo si oppone agli stress con meccanismi di difesa, che funzionano tanto meglio quanto più è alto il livello di
energia vitale. Se abbiamo una grossa energia vitale, possiamo superare qualsiasi malattia, anche l’influenza viene superata senza neanche accorgersene perché immediatamente il meccanismo di compenso è quello di esternare una serie di
questioni per cui alla fine non mi ammalo. Questi sono meccanismi di difesa che per la maggior parte dei casi sono sconosciuti, non percepiti, non arrivano alla coscienza: sono inconsci. Questi adattamenti possono essere:
1.
Compensati: portano un buon compenso allo stress.
2.
Compromessi: subentrano quando l’adattamento fallisce. Non portano alla soluzione del problema ma comportano
esclusivamente un a riduzione della sofferenza dovuta dal problema. I compromessi possono essere maladattativi e
causare una malattia psichica.
3.
Malattia psichica (detta reazione di conversione): si inserisce su questa altalena di compensi maladattativi. Questi
stress psichici continui e ripetitivi arrivano ad instaurarsi a livello fisico.
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Esempio della persona che nega il dolore: reagisce al dolore per la morte di qualcuno negando questa morte: è un meccanismo di compenso. Negando la morte non soffre. Questo compenso può essere buono fino a quando qualcuno non mi
sbatte in faccia il fatto che questa persona non c’è più davvero.
E’ un compenso che in qualche modo mi consente di mantenere una vita di relazione normale, nel lavoro etc…con una
buona energia vitale. Stato di compenso può essere anche la fobia. Esse possono servire per superare un problema, per
esempio lavandosi sempre le mani. Se questo può servire per superare la morte di qualcuno o il complesso di Edipo, per
esempio, va bene.
Il problema è che queste soluzioni di compenso possono andare avanti solo fino ad un certo punto, perché dalla vita arriveranno messaggi che tenderanno a scalzare questo meccanismo di compenso. Per mantenere questa impalcatura difensiva dovrà essere usata sempre più energia.
Quando non siamo più in grado di tenere questi mali adattamenti (ne troveremo sicuramente degli altri, più complessi e
profondi, per mantenere la maschera sociale), si sconfina nella malattia psichica.
Arriviamo alla malattia psicosomatica o reazione di conversione. Questi meccanismi producono uno stress fisico talmente profondo nel corpo da indurre una malattia fisica e si passa dallo stress fisico alla malattia fisica.
C’è una reazione, un passaggio dallo psichico al fisico, una reazione di conversione. Le reazioni di conversione sono frequenti negli stress cronici, negli stress ricorrenti. Esempi di reazione ce ne sono a bizzeffe. Un paio di esempi: l’alcolismo
è una compensazione mal adattativa nel senso che sono mezzi di compensazione che espongono il corpo al danno da
alcool, da droga, etc…Le attività sportive tipo No Limits sono spesso compensazioni maladattativi: tentativo di farsi male sfidando se stessi. Andare a 200 Km/h in automobile, la bulimia etc… sono dei mali adattamenti.
Le reazioni di compensazione, pertanto, possono essere fisiologiche entro certi limiti, oltre diventano patologici.
La reazione di conversione è un’espressione simbolica di idee attraverso attività o sensazioni somatiche cioè è l’espressione di un’idea attraverso una parte del corpo; è un dolore la malattia che insorge in una parte del corpo. In questo
campo esistono varie interpretazioni, da Riza Psicosomatica a Gioia, Annabella, Men’s Healt etc… Si dice che chi ha dei
problemi sessuali ha delle reazioni di conversione a livello lombare. La dismenorrea è dovuta ad una sensibilità ingabbiata, il mal di stomaco dalla depressione etc…Ognuno ha la sua reazione di conversione, ce ne sono migliaia ed ognuna
può essere presente in qualsiasi patologia.
La relazione di conversione principe prima era l’isteria, perché le persone erano meno acculturate conoscevano poco la
medicina, non guardavano Medicina 33 e quindi erano molto semplici. La cosa più semplice era cadere a terra con gli
occhi strabuzzati e svenire oppure urlare o fare cose banali. Adesso che abbiamo una percezione un po’ più consapevole
della malattia e della medicina ci inventiamo delle reazioni di molto moralizzate tipo dolore al menisco, alla spalla, la
stipsi, l’incontinenza etc…
Normalmente è caratteristico il fatto che queste reazioni di conversione non sono a carico di un organo in senso stretto
(all’esame obiettivo non si rileva nulla di organico a carico dell’organo), come nel compenso psicologico male adattativo,
ma a carico della sua funzione che ne è lesa (ad esempio sintomi motori, sensoriali, bruciori allo stomaco in assenza di
gastriti documentabili, il malassorbimento intestinale, i problemi genitali femminili come vaginiti etc.). Purtroppo se la
situazione continua nel tempo, anche in seguito all’uso di farmaci e terapie varie, a carico dell’organo si producono dei
danni organici veri, reali.
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Sistema di controllo del dolore
Uno dei più importanti sistemi di controllo del dolore conosciuti è a livello del tronco encefalico (sovraspinale), il quale
può essere stimolato elettricamente o tramite l’azione della morfina e determina anestesia attraverso vie discendenti. Un
altro sistema di controllo noto è la cosiddetta inibizione segmentarla (a livello spinale).
Stati di alterazione del dolore
Esistono in natura condizioni patologiche nelle quali il sistema del dolore è alterato, e non si realizza attraverso le normali vie che abbiamo illustrato.
Iperpatia
E’ una situazione in cui è necessaria la somministrazione spaziale o temporale di stimoli di natura non dolorosa per scatenare invece una sensazione di dolore. Il problema è che il dolore si manifesta, dopo un periodo di latenza, in modo
eccessivo, violento ed intenso, accompagnato da un quadro neurovegetativo imponente, e dura anche dopo la cessazione
dello stimolo. E’ una situazione aspecifica che accompagna diversi quadri patologici, ma è quasi sempre di natura benigna.
Iperalgesia
Aumentata sensibilità al dolore (riduzione della soglia del dolore): può essere spontanea, benigna (i. del cuoio capelluto,…) o causata da quadri patologici diversi.
Può essere distinta in primaria o secondaria. Nell’iperalgesia primaria (detta anche allodinia) degli stimoli normalmente
non dolorosi inducono dolore, abbassando la soglia dei nocicettori; è caratterizzata da dermografismo bianco. Nell’iperalgesia secondaria (detta anche iperalgesia vera), invece, solo gli stimoli dolorifici (nocicettivi) scatenano un dolore intenso, ed è caratterizzata da dermografismo rosso, perché probabilmente interviene in questo caso l’ortosimpatico.
Eritralgia
Aumento di temperatura, dolore di tipo urente e iperalgesia vera nell’area colpita e in quelle circostanti. Le cause possono essere diverse:
•
agenti esterni (agenti chimici, raggi solari, ultravioletti, congelamenti, ustioni);
•
secondaria a malattie (gotta, reazioni allergiche, malattie infettive, insufficienze venose iniziali per es. degli arti
inferiori: prurito che brucia quasi, rossore, ..)
•
idiopatica.
Algodistrofa
Caratterizzata da dolore urente, parestesie, disturbi vasomotori, alterazioni trofiche dell’epidermide, del muscolo e anche dell’osso. All’inizio si presenta solo con dolore, poi il quadro si aggrava con il tempo ed interessa anche i tessuti.
Può essere di causa traumatica (sindrome di Sudek, edema cronico post-traumatico ecc). Sono tutte problematiche che
coinvolgono la cute soprattutto nel Sudek(edematosa, sottile, poco elastica, oppure grinzosa, con alterazione dei peli,
colore, osso atrofico e osteoporotico). Classico è il Sudek da trauma, da immobilizzazione, che si verifica soprattutto a
carico degli arti inf.
Oppure conseguente ad eventi patologici che hanno in qualche modo a che fare con il sistema simpatico della zona interessata (sindrome spalla-mano, da intrappolamento dei nervi periferici come la sindrome del tunnel carpale, morbo di
Rainaud ecc): probabilmente, infatti, l’algodistrofia è un problema di natura simpatica che riguarda l’innervazione del
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territorio. Classicamente questa sindrome ha la tendenza ad aggravarsi nel tempo se non trattata con il disintrappolamento, mobilizzazione che aumenta la vascolarizzazione.
Aree mialgiche e Trigger-points
Le aree mialgiche sono aree che se stimolate anche in modo subliminale scatenano una sensazione dolorosa (è una allodinia). A volte questo dolore si irradia anche in altre zone: in questo caso l’area stimolata si chiama trigger-area (point),
mentre l’area sede dell’irradiazione viene nominata target-area.
La target-area può non avere continuità anatomica con la trigger-area (vero trigger-point), o può averla, ed in questo caso
si parla più di dolore irradiato che non di trigger-point.
Il dolore irradiato può seguire il dermatomero, ma non è detto che lo segua, mentre il dolore della trigger-area e della
target-area non lo seguono mai; in compenso la zona di irradiazione è sempre costante (a determinato trigger corrisponde determinato target).
Quale sia la relazione anatomo-fisiologica tra queste zone non si sa: probabilmente sono punti lungo i meridiani di agopuntura. Le trigger-area sono localizzate in corrispondenza delle giunzioni muscolo-tendinee.
Il blocco locale anestetico della trigger-area abolisce il dolore anche nella target-area.
Molto spesso basta una sola iniezione di anestetico nel trigger-point per riportare la situazione alla normalità, come se si
facesse un reset del simpatico il quale poi riprende a funzionare normalmente. Questo conferma il ruolo importante che
il simpatico gioca anche in questo tipo di dolore (è facile che il t.p. sia un meccanismo di tipo simpatico), con dei riflessi
somato-simpatici o simpatico-somatici: la stimolazione di un nocicettore, anche se subliminale determina un feedback
positivo per cui si produce un’alterazione della scarica a livello delle corna posteriori del midollo spinale, con una riduzione delle scariche inibenti e quindi una riduzione del controllo simpatico sul nocicettore: il nocicettore è in questo
modo più eccitabile e conseguentemente il ciclo si auto-mantiene.
Il fenomeno di trigger-area e target-area può in questo senso essere spiegato chiamando in causa una comunanza di innervazione simpatica, o di una comune derivazione embriologica. Se una data colonna del corno post. riceve afferenze
sia dalla cute che dalla appendice, si può capire come questo feedback positivo si instauri con tutti i neuroni che hanno
rapporti con le corna post.
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