Modifiche alla disciplina della responsabilità civile dei magistrati o

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Processo penale e giustizia n. 4 | 2015
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ALESSIO SCARCELLA
Magistrato – Corte di Cassazione
Modifiche alla disciplina della responsabilità civile
dei magistrati o new deal nei rapporti
tra politica e magistratura?*
The new law no. 18/2015: modifications of the discipline
of civil liability of judges or new deal in the relationship
between politics and the judiciary?
La nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati è stata presentata all’opinione pubblica come necessaria (e
necessitata) dalle condanne riportate dal nostro Paese in sede UE, in particolare per dare seguito alla sentenza del
24 novembre 2011 con la quale la C. giust. UE ha condannato l’Italia per violazione degli obblighi di adeguamento
dell’ordinamento interno al principio generale di responsabilità degli Stati membri dell’Unione europea, in caso di
violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado. Le statuizioni del
giudice dell’Unione erano univoche nel chiarire che: a) viola il diritto dell’Unione una norma, come quella contenuta
nella l. n. 117/1988, che limita la responsabilità per attività degli organi giurisdizionali ai soli casi di dolo e colpa
grave; b) la responsabilità civile per violazione del diritto dell’Unione da parte dei giudici è responsabilità che fa capo solo allo Stato, unitariamente inteso, e non ai singoli magistrati; c) la disciplina dell’eventuale rivalsa dello Stato
nei confronti del giudice che concretamente ha violato il diritto dell’Unione è competenza degli Stati membri, in
quanto al momento non sussiste alcuna base giuridica per interventi dell’Unione a tal fine. Si tratta(va) di principi
già precisati in precedenza per altri organi pubblici responsabili delle violazioni del diritto europeo, dunque ribaditi
senza esitazioni anche in riferimento all’attività giurisdizionale. Ne consegue che un’attuazione non strumentale
della sentenza 24 novembre 2011 (e dei principi precedentemente posti dalla Corte) avrebbe dovuto riguardare
solo l’estensione in modo espresso della responsabilità dello Stato alla violazione grave e manifesta del diritto
dell’Unione europea. L’attuale modifica sostanziale della disciplina della responsabilità civile dei giudici, con un
evidente ampliamento della loro responsabilità, non ha dunque alcuna legittimazione comunitaria e non era “per
l’Europa” assolutamente necessaria, ma costituisce frutto di un’esigenza avvertita dal legislatore italiano, ma che
avrebbe dovuto essere valutata rispetto alla Costituzione ed al ruolo che la stessa assegna all’Ordine giudiziario.
The new law on civil liability of judges was presented to the public as required (and necessitated) the sentences
passed by our country in the EU, in particular to follow the judgment of 24 November 2011 in which the ECJ ruled
against the ‘Italy for breach of the obligations of adapting internal to the general principle of liability of the Member
States the EU, in case of infringement of EU law by one of its national courts of last instance. The principles established by the ECJ were unambiguous to clarify that: a) violates EU law a provision, such as that in the law n.
117/1988, which limits the liability for the activities of the courts solely to cases of willful misconduct and gross
negligence; b) civil liability for infringement of EU law by the courts is the liability which is headed only to the
State, considered as a whole, and not to individual judges; c) the treatment of the possible redress by the State
against the judge who concretely has infringed EU law is responsibility of the Member States, as at the moment
there is no legal basis for EU action for that purpose. Those principles were already clarified previously to other
public authorities liable for that infringement of EU law, therefore reaffirmed unhesitatingly even in reference to
the activities the courts. Not follow that implementation of the non-instrumental judgment of 24 November 2011
(and the principles of previously stated by the Court) would have to concern only the extension by expressly of
the State liability to the sufficiently clear breach of EU law. The existing material changes the rules of the civil liability of judges, with an evident expansion of their liability, has thus no EU legitimization and it was not "for EU"
* Il testo della l. 27 febbraio 2015 n. 18 è pubblicata su www.processopenaleegiustizia.it nella sezione “novità legislative interne”
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | MODIFICHE ALLA DISCIPLINA DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI
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absolutely necessary, but it is the fruit of a need felt by the Italian legislator but that should have being assessed,
compared to the Italian Constitution, and to the role that it assigns to the judiciary Order.
PREMESSA
La riforma della responsabilità civile dei magistrati, introdotta con la legge n. 18 del 2015, rappresenta il
frutto di un difficile compromesso faticosamente raggiunto nelle aule parlamentari, costituendo il testo
finale la sintesi di ben cinque diverse proposte di legge presentate sostanzialmente da tutti gli schieramenti politici dell’attuale arco costituzionale 1. Le proposte hanno inteso farsi carico delle criticità che
sono derivate dall’applicazione della legge “Vassalli” in materia e, al tempo stesso, sono dirette a recepire le indicazioni provenienti dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C. giust. UE). Con l’intervento si è inteso, in particolare, dare seguito alla sentenza del 24 novembre 2011 2 con la quale la C.
giust. UE ha condannato l’Italia per violazione degli obblighi di adeguamento dell’ordinamento interno
al principio generale di responsabilità degli Stati membri dell’Unione europea, in caso di violazione del
diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado.
Tale decisione, insieme alla precedente del 2006 della stessa C. giust. UE 3 ha portato a due procedure di contenzioso con la Commissione europea. Nonostante le due decisioni della C. giust. UE confermassero la bontà dell’impostazione della disciplina italiana (sia in relazione all’esclusione della responsabilità diretta del magistrato che al fatto che la responsabilità da imputare allo Stato si concretizza solo
a seguito di una violazione “imputabile a un organo giudiziario di ultimo grado”) due profili dell’art. 2,
l. n. 117/1988 4 – secondo la Corte – contrastavano con il diritto dell’Unione Europea: il primo è che il
danno risarcibile provocato da un giudice non possa derivare anche da interpretazioni di norme di diritto o da valutazioni di fatti e prove; il secondo che, in casi diversi dall’interpretazione di norme di diritto o dalla valutazione di fatti e di prove, possano essere imposti, per la concretizzazione della responsabilità dei giudici, “requisiti più rigorosi di quelli derivanti dalla condizione di una manifesta violazione del diritto vigente”.
Nell’ordinamento nazionale, la responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e
degli enti pubblici, secondo le leggi penali, civili e amministrative, per gli atti compiuti in violazione di
diritti, è sancita dall’art. 28 Cost. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.
La Corte costituzionale, già con la sentenza n. 2/1968, aveva rilevato che “la singolarità della funzione giurisdizionale, la natura del provvedimenti giudiziali, la stessa posizione, super partes del magistrato possono suggerire, come hanno suggerito ante litteram, condizioni e limiti alla sua responsabilità;
ma non sono tali da legittimarne, per ipotesi, una negazione totale, che violerebbe apertamente quel
principio o peccherebbe di irragionevolezza sia di per sé (art. 28) sia nel confronto con l’imputabilità dei
"pubblici impiegati" (d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3, e art. 3 Cost.) 5.
La Corte, successivamente, con la sentenza n. 18/1989, nel valutare la legittimità costituzionale della
1
Le cinque proposte di legge – C. 2738, approvata dal Senato e le proposte C. 990 (Gozi ed altri), C. 1735 (Leva), C. 1850
(Brunetta) e C. 2140 (Cirielli) – modificano la l. n. 117/1988 (c.d. legge Vassalli) che disciplina l’azione per fare valere la responsabilità civile dello Stato per i danni causati dalla condotta illecita di un magistrato. La legge Vassalli venne approvata a seguito
dell’esito favorevole del referendum abrogativo della previgente normativa dell’8 novembre 1987. La Commissione Giustizia
della Camera aveva già avviato, in questa legislatura (il 14 novembre 2013), l’esame in sede referente della proposta di legge C.
1735 (Leva), cui è stata abbinata nel corso dell’iter la proposta C. 1850 (Brunetta). Dopo che nella seduta della Commissione del
18 dicembre 2013 era stato proposto un ciclo di audizioni, l’iter alla Camera si è interrotto. L’esame di alcuni disegni di legge in
materia di responsabilità civile dei magistrati – nel frattempo, avviato anche al Senato (il 3 dicembre 2013) – è proseguito presso
l’altro ramo del Parlamento e si è concluso con l’approvazione, il 20 novembre 2014, della citata proposta di legge C. 2738.
2
C. giust. UE, sentenza 24 novembre 2011, C-379/10, Commissione/Repubblica italiana.
3
C. giust. UE, Grande Sezione, sentenza 13 giugno 2006, causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo.
4
L. 13 aprile 1988, n. 117, recante “Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei
magistrati”, pubblicata nella Gazz. Uff. 15 aprile 1988, n. 88.
5
Sempre secondo la Corte, quanto alle altre violazioni di diritti soggettivi, cioè ai danni cagionati dal giudice per colpa grave o lieve o senza colpa, il diritto al risarcimento nei riguardi dello Stato non trova garanzia nel precetto costituzionale; ma niente impedisce alla giurisprudenza di trarlo eventualmente da norme o principi contenuti in leggi ordinarie (se esistono).
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legge Vassalli, ha riconosciuto che l’art. 28 Cost. è stato interpretato nel senso che la responsabilità dello
Stato può esser fatta valere anteriormente o contestualmente con quella dei funzionari e dei dipendenti,
non avendo carattere sussidiario 6.
La Corte ha poi sottolineato che la garanzia costituzionale della indipendenza dei magistrati è diretta “a tutelare, in primis, l’autonomia di valutazione dei fatti e delle prove e l’imparziale interpretazione
delle norme di diritto. Tale attività non può dar luogo a responsabilità del giudice (art. 2, n. 2, l. n. 117
cit.) ed il legislatore ha ampliato la sfera d’irresponsabilità, fino al punto in cui l’esercizio della giurisdizione, in difformità da doveri fondamentali, non si traduca in violazione inescusabile della legge o in
ignoranza inescusabile dei fatti di causa, la cui esistenza non è controversa”. Ancora, la Corte ha osservato che “la previsione del giudizio di ammissibilità della domanda (art. 5, l. cit.) garantisce adeguatamente il giudice dalla proposizione di azioni manifestamente infondate, che possano turbarne la serenità, impedendo, al tempo stesso, di creare con malizia i presupposti per l’astensione e la ricusazione”. La Corte, nella stessa sentenza, ha ricordato poi che “è principio consolidato in giurisprudenza che la responsabilità dello Stato sussiste solo nei limiti in cui si è in presenza di una responsabilità del giudice”.
Con la sentenza n. 385/1996, la Corte ha poi valutato la disciplina del giudizio della Corte dei conti
per danno erariale, concludendo che la sua estensione anche all’attività giurisdizionale è rimessa al legislatore ordinario e non è determinata direttamente dalla Costituzione 7.
LE NOVITÀ DELLA RIFORMA
Nella legislatura in corso, durante l’esame della legge europea 2013-bis, la Camera aveva approvato
(l’11 giugno 2014) un emendamento proposto dalla Lega Nord che prevedeva un’ipotesi di responsabilità diretta del magistrato 8. Dopo che al Senato, nel corso del successivo esame del disegno di legge
presso la Commissione politiche UE, la modifica era stata soppressa, anche l’Assemblea, nella seduta
del 17 settembre 2014, aveva respinto – con voto di fiducia – un analogo emendamento di altro esponente della Lega Nord, che reintroduceva la responsabilità civile diretta dei magistrati.
Si è quindi giunti al testo definitivamente approvato, che presenta numerose novità, ovviamente tutte peggiorative, per la Magistratura.
Gli elementi principali della riforma sono: a) il mantenimento dell’attuale principio della responsabilità indiretta del magistrato (l’azione risarcitoria rimane azionabile nei confronti dello Stato); b) la limitazione della clausola di salvaguardia che esclude la responsabilità del magistrato; c) la ridefinizione
delle fattispecie di colpa grave; d) l’eliminazione del filtro endoprocessuale di ammissibilità della domanda; e) una più stringente disciplina della rivalsa dello Stato verso il magistrato.
L’equivoco scopo della riforma emerge già nella lettura dell’art. 1 del testo che indica l’oggetto e le
finalità dell’intera legge: rendere effettiva la disciplina della responsabilità civile dello Stato “e dei magistrati”, 9 anche alla luce dell’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.
6
C. cost., sent. 8 giugno 1963, n. 88, in www.cortecostituzionale.it
7
La Corte ha rilevato che l’applicazione del giudizio della Corte dei conti è suscettibile di espansione in via interpretativa,
quando sussistano i presupposti soggettivi e oggettivi della responsabilità per danno erariale, ma ciò solo "in carenza di regolamentazione specifica da parte del legislatore che potrebbe anche prevedere la giurisdizione ed attribuirla ad un giudice diverso" (sentenza n. 641/1987). "La concreta attribuzione della giurisdizione, in relazione alle diverse fattispecie di responsabilità
amministrativa, è infatti rimessa alla discrezionalità del legislatore ordinario e non opera automaticamente in base all’art. 103
Cost., richiedendo l’interpositio legislatoris ... Ne deriva la conciliabilità in linea di principio dell’indipendenza della funzione
giudiziaria con la responsabilità nel suo esercizio, non solo con quella civile, oltre che penale, ma anche amministrativa, nelle
sue diverse forme”. Peraltro la Costituzione lascia aperto un campo all’esplicazione della discrezionalità del legislatore.
8
La disposizione stabiliva che «chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario” compiuto dal magistrato, “in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave» può agire per il
risarcimento contro lo Stato e contro il magistrato ritenuto colpevole.
9
La necessità di rendere effettiva la responsabilità civile “dei magistrati” è un’esigenza, costituzionalmente dubbia, avvertita dal legislatore italiano. Per l’attività giurisdizionale, la responsabilità "comunitaria" non è personale dei giudici, ma dello Stato; e, nei casi configurabili (solo quelli, si badi bene, di violazione in maniera manifesta del diritto europeo, casi espressamente
considerati come "eccezionali"), la Corte ritiene che la possibilità di configurare, a talune speciali condizioni, la responsabilità
dello Stato per decisioni giurisdizionali incompatibili con il diritto comunitario non possa comportare rischi particolari per
l’indipendenza degli organi giurisdizionali. Così è stato considerato per la posizione degli organi giurisdizionali di ultimo grado, di cui si trattava nella sentenza Koebler del 2003 (30 settembre 2003, causa C-224/01).
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Ma andiamo con ordine.
Il primo vulnus all’Ordine giudiziario è costituito dall’estensione della risarcibilità del danno non patrimoniale. L’articolo 2 interviene in più punti sull’art. 2, l. n. 117/1988, relativo alla responsabilità del
giudice per dolo o colpa grave. Anzitutto, al comma 1 dell’art. 2 viene estesa la risarcibilità del danno
non patrimoniale anche al di fuori dei casi delle ipotesi di privazione della libertà personale per un atto
compiuto dal magistrato. In base al comma 1 così modificato il danno, patrimoniale e non patrimoniale,
deve rappresentare – come attualmente previsto dalla legge – l’effetto di un comportamento, atto o
provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con "dolo" o "colpa grave" nell’esercizio
delle sue funzioni ovvero conseguente a “diniego di giustizia” 10.
Il secondo, altrettanto profondo, colpo inferto all’indipendenza ed autonomia della Magistratura sta
nella (ri)delimitazione dell’applicazione della c.d. clausola di salvaguardia, la quale prevede che “non
può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione
del fatto e delle prove”. Sono a tal fine fatti salvi i commi 3 e 3-bis del medesimo articolo 2. Pertanto,
pur confermando in via generale che il magistrato non è chiamato a rispondere per l’attività di interpretazione della legge e di valutazione del fatto e delle prove, il nuovo comma 2 esclude da tale ambito di
irresponsabilità i casi di dolo, di colpa grave (come individuati dal nuovo comma 3) e di violazione
manifesta della legge e del diritto della UE (come definita dal nuovo comma 3-bis). Nelle citate ipotesi,
quindi, anche l’attività interpretativa di diritto e valutativa del fatto e delle prove può dare luogo a responsabilità del magistrato.
Terza novità di grande rilievo consiste nella ridefinizione delle fattispecie di colpa grave individuate
dall’art. 2, comma 3, della legge Vassalli 11. Ai sensi del nuovo comma 3, i comportamenti dei magistrati che
costituiscono colpa grave sono tali ope legis, essendo stato soppresso il riferimento (di natura soggettiva) alla
"negligenza inescusabile", previsto per la grave violazione di legge, per l’affermazione di un fatto inesistente
e per la negazione di un fatto esistente. Costituisce, in particolare, nuova fattispecie di colpa grave il "travisamento del fatto o delle prove". La nuova fattispecie si aggiunge alla negazione di un atto esistente e
all’affermazione di un fatto inesistente 12. Il nuovo comma 3-bis dello stesso articolo 2 precisa i presupposti di
cui tenere conto per la determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge e del diritto
dell’Unione europea che, ai sensi del nuovo comma 3, costituiscono ipotesi di colpa grave del magistrato.
Si tratta di una casistica non esaustiva. La disposizione infatti precisa che si tiene conto "in particolare" dei seguenti elementi: a) del grado di chiarezza e precisione delle norme violate; b) dell’inescusabilità e gravità della inosservanza. Il riferimento alla inescusabilità, rimosso dal comma 3, è reintrodotto quindi tra gli elementi sintomatici della violazione manifesta della legge e del diritto UE. Inoltre,
per il caso della sola violazione manifesta del diritto dell’Unione europea, si dovrà tenere conto anche:
a) dell’inosservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea; b)
del contrasto interpretativo, cioè del contrasto dell’atto o del provvedimento emesso dal giudice con
l’interpretazione adottata dalla stessa C. giust. UE. Resta fermo, ai sensi del comma 3-bis, l’eventuale
giudizio di responsabilità del magistrato per danno erariale davanti alla Corte dei conti 13: la clausola
relativa alla responsabilità erariale riguarda, si noti, le sole fattispecie di violazione manifesta della legge e del diritto dell’Unione europea.
10
Rimane inalterata la definizione del diniego di giustizia di cui all’art. 3 della l. 117/1988.
11
Per il previgente comma 3 dell’art. 2, costituivano colpa grave: a) la grave violazione di legge determinata da negligenza
inescusabile; b) l’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontestabilmente esclusa
dagli atti del procedimento; c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontestabilmente dagli atti del procedimento; d) l’emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.
12
Il nuovo comma 3 stabilisce, infatti, che costituisce colpa grave del magistrato: a) la "violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’Unione europea" (tale formulazione sostituisce la "grave violazione di legge" e riprende le indicazioni della
sentenza della C. giust. UE Traghetti del mediterraneo); b) il travisamento del fatto o delle prove; c) l’affermazione di un fatto la
cui esistenza è incontestabilmente esclusa dagli atti del procedimento; d) la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontestabilmente dagli atti del procedimento; e) l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dei casi previsti
dalla legge oppure senza motivazione.
13
Ai sensi del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con modificazioni, dalla l. 20 dicembre 1996, n. 639. Va notato, peraltro,
che la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità hanno escluso che – a fronte della disciplina prevista dalla l.
117/1988 con l’azione di rivalsa, davanti al giudice ordinario, dello Stato nei confronti del magistrato autore di danno erariale –
sia proponibile una concorrente azione davanti alla Corte dei conti.
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Quarto e più preoccupante vulnus all’indipendenza ed autonomia della Magistratura è costituito,
non tanto e non solo dall’aumento da due a tre anni dei termini previsti dai commi 2 e 4 dell’art. 4 della
l. n. 117/1988 per la proposizione della domanda di risarcimento contro lo Stato, da esercitare nei confronti del Presidente del Consiglio (comma 1), ma, soprattutto, dall’abrogazione dell’art. 5 della stessa l.
117/1988 relativo al filtro di ammissibilità della domanda di risarcimento davanti al tribunale del distretto di corte d’appello 14. Discutibile la giustificazione fornita per “abbattere” tale filtro: dai dati consegnati dal Ministero della giustizia alla Commissione giustizia del Senato (coincidenti con quelli della
relazione tecnica allegata al d.d.l. del Governo S. 1626) emergeva che dall’entrata in vigore della legge
117 del 1988 ad oggi – su oltre 400 ricorsi per risarcimento proposti – solamente 7 si sono conclusi con
un provvedimento che ha riconosciuto il risarcimento per dolo o colpa grave da parte di magistrati.
Quinto intervento sull’esistente, altrettanto peggiorativo, è costituito dalle modifiche introdotte
all’azione di rivalsa dello Stato verso il magistrato, spettante al Presidente del Consiglio dei ministri, introducendo le seguenti novità: a) l’azione deve essere esercitata entro 2 anni (prima un anno) dal risarcimento avvenuto sulla base del titolo giudiziale o stragiudiziale nei riguardi dello Stato; b) la rivalsa
verso il magistrato è resa obbligatoria (si tratta dell’esplicito rafforzamento di un obbligo, tuttavia, già
esistente); c) per coordinamento con l’abrogazione dell’art. 5 è eliminato il riferimento alla domanda di
ammissibilità dell’azione; d) sono stati ancorati i presupposti della rivalsa al diniego di giustizia, alla
violazione manifesta della legge e del diritto della UE o al travisamento del fatto o delle prove, di cui
all’art. 2, commi 2, 3 e 3-bis, stabilendosi, tuttavia, che l’elemento soggettivo della condotta dannosa del
magistrato debba essere esclusivamente il dolo o la negligenza inescusabile. La formulazione del nuovo
comma 1 dell’art. 7 della legge 117/1988 non ricomprende, dunque, tra i presupposti della rivalsa obbligatoria tutte le ipotesi di colpa grave del magistrato elencate nel nuovo articolo 2 della legge. La legge conferma poi il previgente comma 2 dell’art. 7, l. n. 117/1988, sull’inopponibilità della transazione al
magistrato nel giudizio di rivalsa e disciplinare 15. Inoltre, l’articolo 5 della legge interviene sull’art. 8
della legge 117/1988, ridefinendo i limiti quantitativi della rivalsa. Essa non può eccedere una somma
pari alla metà di un’annualità di stipendio (la normativa vigente prevedeva un terzo), al netto delle
trattenute fiscali, percepito dal magistrato al tempo in cui è proposta l’azione risarcitoria. Questo limite
non si applica al fatto commesso con dolo, nel qual caso ovviamente l’azione risarcitoria è totale.
L’esecuzione della rivalsa, invece, se effettuata mediante trattenuta sullo stipendio non può comportare
complessivamente il pagamento per rate mensili in misura superiore al terzo dello stipendio netto
(prima non poteva superare un quinto).
Last but non least, l’aggravio della responsabilità disciplinare e contabile.
L’articolo 6 della legge modifica infatti l’art. 9 della legge Vassalli, coordinando la disciplina dell’azione disciplinare a carico del magistrato (conseguente all’azione di risarcimento intrapresa) con la soppressione del filtro di ammissibilità della domanda disposto dall’art. 3, comma 2. È, in tal senso, espunto dal comma 1 dell’art. 9 della l. 117/1988 il riferimento al termine di due mesi dalla comunicazione
del tribunale distrettuale (che dichiara ammissibile la domanda di risarcimento) entro il quale il PG della cassazione deve proporre l’azione disciplinare 16.
14
L’art. 5, l. n. 117 prevedeva che vi fosse una delibazione preliminare di ammissibilità della domanda di risarcimento verso
lo Stato (controllo presupposti, rispetto termini e valutazione manifesta infondatezza) da parte del tribunale distrettuale. A tale
fine era previsto che il giudice istruttore, alla prima udienza, rimettesse le parti dinanzi al collegio che era tenuto a provvedere
entro 40 gg. dal provvedimento di rimessione del giudice istruttore. L’inammissibilità era dichiarata con decreto motivato, impugnabile davanti alla corte d’appello che pronunciava anch’essa in camera di consiglio con decreto motivato entro 40 gg. dalla
proposizione del reclamo. Contro il decreto di inammissibilità della corte d’appello era proponibile ricorso per cassazione. Se la
domanda veniva dichiarata ammissibile, il tribunale disponeva la prosecuzione del processo ed ordinava la trasmissione di copia degli atti ai titolari dell’azione disciplinare.
15
Viene poi modificato il successivo comma 3: a) è espunto il riferimento alla soppressa figura del conciliatore; b) viene confermata la sola responsabilità dolosa dei giudici popolari (delle corti d’assise); c) si prevede che gli estranei alla magistratura
membri di organi giudiziari collegiali (ad es.. gli esperti dei tribunali dei minorenni) rispondono, oltre che per dolo, per negligenza inescusabile per travisamento del fatto o delle prove (prima tale responsabilità era stabilita per dolo e colpa grave, e
quest’ultima solo se derivante dall’affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontestabilmente esclusa dagli atti del procedimento nonché dalla negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la
cui esistenza risulta incontestabilmente dagli atti del procedimento).
16
L’art. 13, l. n. 117/1988, prevede, in tale ipotesi, l’azione diretta nei confronti del magistrato e dello Stato, quale responsabile civile, in caso di reati commessi dal magistrato medesimo nell’esercizio delle proprie funzioni. All’azione di regresso dello
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L’articolo 7, infine, integra con un comma aggiuntivo 2-bis il contenuto dell’art. 13 della l. n.
117/1988 (Responsabilità civile per fatto costituente reato) prevedendo la responsabilità contabile per il
mancato esercizio dell’azione di regresso dello Stato verso il magistrato. Ai fini dell’accertamento di tale responsabilità, il comma 2-bis stabilisce, in capo al Presidente del consiglio e al Ministro della giustizia, oneri informativi annuali nei confronti della Corte dei conti in relazione alle condanne emesse
nell’anno precedente per risarcimento del danno derivante da reato ed alle conseguenti azioni di regresso verso il magistrato.
PROFILI CRITICI DELLA DISCIPLINA
La nuova disciplina della responsabilità civile dei magistrati ha già registrato, ad appena un mese dalla
sua entrata in vigore, alcune significative prese di posizione dottrinali fortemente critiche 17. Prima del
suo varo, peraltro, non erano mancate, per converso, forti reprimende all’assetto legislativo dettato con
la l. n. 117/1988 18. Tra le cause del malfunzionamento della legge Vassalli, in particolare, si individuava, anzitutto, il filtro del preventivo giudizio sull’ammissibilità dell’azione, volto a scongiurare il pericolo di liti temerarie, capaci unicamente di ledere il prestigio e l’autorevolezza dell’intera categoria, rivelatosi secondo la dottrina “una barriera invalicabile, che ha finito per ridurre drasticamente le ipotesi
di istruzione della causa nella successiva fase del processo”. 19 Altro “limite” al funzionamento della
previgente legge del 1988, era individuato nella c.d. clausola di salvaguardia che impediva di riconoscere a carico dei giudici forme di responsabilità per l’attività interpretativa delle norme di diritto e di
valutazione delle prove e dei fatti 20.
Sicuramente più rilevanti i profili di criticità della riforma evidenziati dai primi commentatori. Come già sostenuto in un primo scritto 21, la risposta più opportuna che si sarebbe dovuta dare a seguito
della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza 24 novembre 2011, causa C379/10), che aveva reputato incompatibile l’art. 2, l. n. 117 con il principio di responsabilità degli Stati
membri per violazione del diritto dell’Unione da parte di uno dei propri organi giurisdizionali di ultimo grado, era “quella di una legge sulla responsabilità dello Stato per violazione del diritto eurounitario, che regolasse anche i profili legati alla responsabilità dello Stato-legislatore”. Purtroppo, osserva tale autorevole voce dottrinale 22, nella sua discrezionalità il Parlamento ha fatto una diversa scelta di opportunità politica con la l. 27 febbraio 2015, n. 18, perdendo l’occasione di una legge organica
sulla materia della responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione europea.
Ma quali sono i più rilevanti profili di criticità della nuova disciplina ?
Stato che sia tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato si procede altresì secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti.
17
V., per un commento fortemente critico “a prima lettura” della nuova disciplina, La nuova disciplina della responsabilità civile
dei magistrati – L’analisi di una scelta sbagliata (Commento alla legge 27 febbraio 2015, n. 18, fra profili di illegittimità costituzionale, contesto europeo, e azione disciplinare), in A. Aceto-S. Amore-M. Fiore-G. Marra-P. Mastroberardino (a cura di), Autonomia
& Indipendenza – Linea Giustizia, 2015. Per un interessante approfondimento, v. E. Scoditti, Quale responsabilità civile del magistrato
dopo la legge n. 18 del 2015, in giustizia civile.com, editoriale del 16 marzo 2015. Pur se fortemente critica con la previgente disciplina, di “scelta inopportuna e deleteria”, riferendosi alla nuova l. n. 18/2015, parla anche I. Ferranti, Prime riflessioni sulla riforma
della legge 13 aprile 1988, n. 117, in giustizia civile.com, editoriale del 9 aprile 2015.
18
Di “fallimento del sistema introdotto dalla legge dell’88" parla infatti C. Cosentino, La responsabilità civile del magistrato tra
inefficienze interne, moniti della Corte di Giustizia e modelli alternativi, in Danno e Resp., 2010, 3, p. 230.
19
Così C. Cosentino, op. cit., la quale aggiunge inoltre che “anche nelle limitate occasioni in cui l’azione sia riuscita a superare le forche caudine della preventiva ammissibilità, il giudizio di merito si è raramente concluso con un provvedimento di condanna di tipo risarcitorio”.
20
Sempre C. Cosentino, op. cit., osserva ancora che “le ragioni di una scarsa applicazione della legge sono da ricercarsi nella
sua stessa formulazione che ha determinato un sistema eccessivamente garantistico a favore dei propri destinatari. Tuttavia, anche una stringente applicazione da parte della giurisprudenza ha contribuito ad assegnare alla disciplina sulla responsabilità
civile un ruolo marginale e di estrema ratio, tradendo, probabilmente, lo spirito della riforma”.
21
E. Scoditti, Violazione del diritto dell’Unione europea imputabile all’organo giurisdizionale di ultimo grado: una proposta al legislatore, in Foro it., 2012, IV, p. 22.
22
E. Scoditti, Quale responsabilità civile del magistrato dopo la legge n. 18 del 2015, op. cit.
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I principali sono stati colti in uno dei primi commenti “a caldo” della disciplina normativa 23. Anzitutto, l’eliminazione completa del filtro di ammissibilità della domanda (con l’abrogazione dell’art. 5
della legge Vassalli), per cui tutte le azioni di risarcimento intentate in prima battuta contro lo Stato, anche quelle manifestamente inammissibili (ad esempio perché promosse fuori dai termini indicati dalla
legge) daranno vita ad un processo che non potrà essere definito in una sola udienza. Ne consegue, secondo gli Autori, che l’instaurazione e la pendenza di una ordinaria causa civile legittimerà il ricorrente
a chiedere nel procedimento in cui vi sarebbe stato l’atto giudiziario o la condotta lesiva in suo danno,
la ricusazione del magistrato contro cui egli ha agito in giudizio per il risarcimento. Al contempo, il
magistrato interessato potrebbe chiedere a sua volta di astenersi, ricorrendo in tutta evidenza gravi ragioni di convenienza. Queste circostanze si verificheranno certamente tutte le volte in cui il magistrato
decidesse di costituirsi da subito in giudizio (quindi già nella fase del processo intentato contro lo Stato), dato che in quei casi egli diventerà formalmente parte in causa; in ogni caso la dichiarazione di ricusazione del giudice, comporterà l’instaurazione del sub procedimento ad essa conseguente, con l’inevitabile rallentamento dell’attività processuale 24.
Altro profilo di criticità viene individuato dagli Autori nel novellato art. 2, comma 3, che individua i
casi di colpa grave, accanto alle ipotesi già preesistenti dell’affermazione di un fatto la cui esistenza è
incontrastabilmente esclusa dagli atti del processo o della negazione di un fatto la cui esistenza risulta
incontrastabilmente dagli atti del processo, introduce la nuova ipotesi del “travisamento del fatto o delle
prove”, di cui è oscura l’effettiva portata se si accede alla tesi, quella che appare più lineare dal punto di
vista interpretativo, che tale ultima ipotesi è distinta ed autonoma rispetto a quelle già presenti. Il legislatore ha poi sostituito all’ipotesi della colpa grave connessa alla «... grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile», quella della “violazione manifesta della legge nonché del diritto
dell’Unione europea”, in cui, vi è un richiamo espresso, definito dai commentatori “superfluo”, alla
normativa europea, che ben poteva rientrare nel concetto generale della violazione della legge.
Si evidenzia, in particolare, che nei presupposti dell’azione nei confronti dello Stato, con riguardo alle condotte che costituiscono colpa grave 25 è stato eliminato il riferimento alla negligenza inescusabile
del magistrato, invece previsto espressamente dal testo precedente dell’art. 2, comma 3, che quindi limitava l’ipotesi di responsabilità ai casi più macroscopici, quelli appunto in cui la negligenza inescusabile connotava la colpa grave del magistrato 26. La negligenza inescusabile o il dolo rimangono tuttavia
23
V. La nuova disciplina della responsabilità civile dei magistrati – L’analisi di una scelta sbagliata, op. cit.
24
Va evidenziato, secondo gli Autori, che il rischio di azioni strumentali volte a far sostituire nel giudizio in corso il magistrato
che se ne sta occupando, con il meccanismo della ricusazione/astensione di cui sopra, non è per nulla scongiurato dai limiti temporali contenuti nell’art. 4, commi 2, 3 e 4. Infatti, si osserva, il principio generale stabilito dal comma 2, in cui è previsto che l’azione
contro lo Stato può essere esercita solo quando “... siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti
avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento, ovvero se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si è verificato il fatto
che ha cagionato il danno”, trova una possibile deroga nel successivo comma 4, in cui è previsto espressamente che: “L’azione può
essere esercitata decorsi tre anni dalla data del fatto che ha cagionato il danno, se in tale termine non si è concluso il grado del procedimento nell’ambito del quale il fatto stesso si è verificato”. Ad esempio se il presunto danno deriva da un provvedimento cautelare o reale, che di regola può essere modificato o revocato in ogni stato e grado del processo, ciò nonostante si potrà agire contro il
magistrato che lo ha emesso, se alla scadenza dei tre anni dall’emissione del provvedimento cautelare (oppure del rigetto della richiesta di revoca dello stesso) non si è però concluso il grado del procedimento nell’ambito del quale il fatto stesso si è verificato.
Tale ipotesi non appare per nulla improbabile, osservano i commentatori, tenuto conto dei tempi necessari a celebrare processi
complessi con tanti parti o tanti imputati. In questi casi la mancanza del filtro di ammissibilità rende più concreto il rischio di interferenze con lo svolgimento dell’attività giudiziaria, senza tener conto del pregiudizio per la serenità del magistrato che sa di essere
stato citato in giudizio nel corso di un procedimento ancora in corso.
25
Le nuove ipotesi tipizzate di colpa grave sono indubbiamente, secondo E. Scoditti (op. ult. cit.) uno degli aspetti della modifica legislativa che richiedono il maggior sforzo interpretativo. L’inclusione nella disciplina della responsabilità civile dei magistrati della violazione del diritto euro-unitario ha sottoposto quest’ultima fattispecie, strutturalmente caratterizzantesi come
illecito dello Stato, allo stesso trattamento dell’illecito giudiziario. La contraddizione viene risolta mediante la subordinazione
dell’azione di rivalsa alla presenza di dolo o negligenza inescusabile, che consente di ricondurre ad illecito giudiziario l’illecito
dello Stato. Allo stesso tempo, tuttavia, aggiunge l’A., si è avuto un effetto di propagazione delle caratteristiche dell’illecito euro-unitario. L’art. 2, comma 3-bis, richiama, ai fini della valutazione di violazione manifesta della legge, nonché del diritto
dell’Unione europea, i parametri forniti dalla giurisprudenza euro-unitaria, e cioè il grado di chiarezza e precisione delle norme
violate e l’inescusabilità e gravità dell’inosservanza (per la violazione manifesta del diritto dell’Unione si deve tener conto anche
della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale e del contrasto con la giurisprudenza euro-unitaria).
26
La conseguenza di quella che viene definita da Scoditti (op. ult. cit.) come una “operazione ortopedica” è stata la scissione
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presupposti, in astratto necessari, per esercitare l’azione di rivalsa da parte dello Stato, ma tale circostanza potrà evidentemente essere accertata solo entrando nel merito della domanda di rivalsa, quindi
svolgendo un processo nel quale il magistrato sarà certamente convenuto da parte dello Stato e avrà
l’onere di difendersi 27.
Con riguardo poi all’ipotesi di emissione di un provvedimento cautelare emesso fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione, la nuova legge estende l’ambito di applicazione anche ai
provvedimenti cautelari reali in aggiunta a quelli personali 28.
L’ampliamento della portata applicativa della nuova disciplina si riscontra anche con riguardo alla
limitazione della clausola di salvaguardia. La nuova disciplina esclude che detta clausola si applichi ai
casi di dolo o di colpa grave indicati dai commi 3 e 3 bis dell’art. 2, ossia a quasi tutti i casi di colpa grave, compreso quello del travisamento del fatto o delle prove. Si tratta di una previsione che, secondo gli
Autori, in moltissimi casi, di fatto aprirà le porte ad un sindacato di merito sull’attività giudiziaria, senza che ne venga neppure esclusa l’attività di interpretazione delle norme e la valutazione delle prove,
che costituiscono il nucleo centrale del libero convincimento del giudice ed in generale dell’attività giudiziaria.
Infine, sempre secondo gli Autori, altro profilo di criticità riguarda l’innalzamento della soglia economica di rivalsa del danno fino alla metà stipendio del magistrato che, a differenza di quanto previsto
per ogni altro dipendente dello Stato, lede “in modo plateale” un altro principio fondamentale della
nostra Costituzione: quello di uguaglianza di fronte alla legge sancito dall’art. 3. Ciò in quanto, a fronte
dell’identica responsabilità dello Stato per i danni cagionati dai propri dipendenti, differenzia in modo
peggiorativo la soglia economica di rivalsa nei confronti della sola magistratura, senza che a conforto di
ciò possa essere addotta una ragionevole giustificazione (stante l’irrilevanza economica di questo innalzamento per le casse dello Stato) “se non quella del fine politico di rendere evidente la forza della Politica nei confronti della Magistratura”.
IN PARTICOLARE, LE NUOVE IPOTESI TIPIZZATE DI COLPA GRAVE
Come correttamente evidenziato da uno dei primi commentatori della riforma 29 al riconoscimento della
rivalsa solo in presenza del dolo o della negligenza inescusabile si è accompagnata una limitazione delle ipotesi di colpa grave suscettibili di rivalsa. Il magistrato risponde quindi in sede di rivalsa, ai sensi
dell’art. 7, a parte il caso di diniego di giustizia, soltanto nei casi di violazione manifesta della legge,
nonché del diritto dell’Unione europea, e di travisamento del fatto e delle prove (l’art. 7, comma 1, richiama anche l’art. 2, comma 2, ma si tratta dell’esenzione da responsabilità per l’attività di interpretazione di norme di diritto e per quella di valutazione del fatto e delle prove, c.d. clausola di salvaguardia). Le nuove ipotesi tipizzate di colpa grave sono indubbiamente uno degli aspetti della modifica legislativa che richiedono il maggior sforzo interpretativo. L’inclusione nella disciplina della responsabidi colpa grave e negligenza inescusabile e l’allargamento delle fattispecie di responsabilità per violazione (prima grave, ora manifesta) di legge, nonché per affermazione, o negazione, del fatto contrastata dagli atti del procedimento, non più limitate dalla
negligenza inescusabile. Quest’ultima condiziona solo l’azione di rivalsa, mentre lo Stato risponde sulla base delle ipotesi tipizzate di colpa grave senza alcun riferimento alla negligenza inescusabile. Anche la scissione di colpa grave e negligenza inescusabile è coerente alla giurisprudenza nazionale secondo la quale la negligenza inescusabile implica la necessità della configurazione di un quid pluris rispetto alla colpa grave delineata dall’art. 2236 c.c., nel senso che si esige che la colpa stessa si presenti
come "non spiegabile", e cioè priva di agganci con le particolarità della vicenda, che potrebbero rendere comprensibile, anche se
non giustificato, l’errore del magistrato (fra le tante, Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2007, n. 15227, in CED Cass., n. 59830; Cass. civ.,
sez. I, 6 novembre 1999, n. 12357, in Giust. civ., 2000, p. 2054 con nota di F. Morozzo della Rocca, In tema di inapplicabilità dell’art.
2236 cod. civ. alla responsabilità dei magistrati). È così affermata per tale A. la diversità della responsabilità civile del magistrato, in
sede di rivalsa, rispetto alle forme di responsabilità professionale.
27
È facile prevedere, quindi, per gli Autori, che la Presidenza del Consiglio eserciterà sempre l’azione di rivalsa, salvo poi
verificare nel processo se la colpa grave del magistrato era connotata anche da negligenza inescusabile (es. applicazione di una
norma non più in vigore da molto tempo).
28
Nei presupposti dell’azione di rivalsa tale ipotesi di colpa grave non è espressamente richiamata, per cui – secondo gli Autori – rimane il dubbio se si deve escludere per lo Stato la possibilità di agire in rivalsa in questi casi, oppure se essa rientra
nell’ipotesi più generale della violazione manifesta del diritto.
29
E. Scoditti, Quale responsabilità civile del magistrato dopo la legge n. 18 del 2015, cit., cui si devono anche le riflessioni del presente paragrafo.
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lità civile dei magistrati della violazione del diritto euro-unitario ha sottoposto quest’ultima fattispecie,
strutturalmente caratterizzantesi come illecito dello Stato, allo stesso trattamento dell’illecito giudiziario. La contraddizione – come bene evidenzia la voce dottrinale – viene risolta mediante la subordinazione dell’azione di rivalsa alla presenza di dolo o negligenza inescusabile, che consente di ricondurre
ad illecito giudiziario l’illecito dello Stato. Allo stesso tempo, tuttavia, si è avuto un effetto di propagazione delle caratteristiche dell’illecito euro-unitario. L’art. 2, comma 3-bis, richiama, ai fini della valutazione di violazione manifesta della legge, nonché del diritto dell’Unione europea, i parametri forniti
dalla giurisprudenza euro-unitaria, e cioè il grado di chiarezza e precisione delle norme violate e
l’inescusabilità e gravità dell’inosservanza (per la violazione manifesta del diritto dell’Unione si deve
tener conto anche della mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale e del contrasto con la
giurisprudenza euro-unitaria).
Ciò che è certo, però, come condivisibilmente sostenuto da tale Autore, è che i criteri euro-unitari,
concepiti in relazione all’illecito dello Stato, non possono non risentire, una volta spostati sul piano della responsabilità civile per violazione manifesta del diritto interno, delle caratteristiche dell’illecito giudiziario, e cioè essenzialmente l’inconfigurabilità della responsabilità per l’attività di interpretazione di
norme di diritto, sancita dal secondo comma dell’art. 2. Si tratta, come è stato giustamente sottolineato
da tale dottrina, di salvaguardare quel bilanciamento fra il principio costituzionale di indipendenza
della magistratura (artt. 101, 104 e 108 Cost.) e quello di responsabilità (art. 28), che il vecchio art. 2 assicurava, soprattutto ora che è venuto meno il filtro caratterizzato dalla disciplina dell’ammissibilità della
domanda (art. 5). Finora “grave violazione di legge” era sempre stato inteso in relazione a “negligenza
inescusabile”, e dunque come violazione non spiegabile, senza agganci con le particolarità della vicenda atti a rendere comprensibile (anche se non giustificato) l’errore del giudice 30. Una volta che si sia
espunto il limite della negligenza inescusabile, resta cioè da chiarire come possa la “violazione manifesta della legge” essere tenuta separata dal campo dell’interpretazione. I criteri euro-unitari danno contenuto alla nozione di colpa grave, permettono di valutare se la violazione sia “manifesta”, ma non definiscono il concetto di violazione del diritto nazionale. Orbene, l’Autore, con un’acuta osservazione,
sostiene che “violazione manifesta della legge” riguarda la disposizione, non la norma, e corrisponde
all’inosservanza del significato linguistico della disposizione. Non è attività interpretativa in senso proprio, ma percezione della portata semantica della disposizione. Si potrebbe parlare, si osserva, di travisamento linguistico. Per valutare se l’elusione dell’enunciato linguistico sia manifesta, risponda cioè a
colpa grave, deve valutarsi il grado di chiarezza e precisione della disposizione e l’inescusabilità e gravità dell’inosservanza. Mentre il senso linguistico della disposizione è il riferimento della violazione
manifesta della legge, per quanto riguarda la violazione manifesta del diritto dell’Unione europea bisogna rifarsi ai modi in cui la giurisprudenza euro-unitaria ha configurato l’illecito dello Stato, e dunque
a un parametro che eccede la mera portata linguistica della disposizione, e ascende ad un piano più
schiettamente normativo, e quindi interpretativo. L’art. 2 della disciplina della responsabilità civile dei
magistrati deve infatti essere interpretato in modo conforme alla sentenza della Corte di giustizia che
ha sancito l’inadempienza dell’Italia agli obblighi euro-unitari. Lucidamente, l’autorevole voce dottrinale sottolinea che potrebbe dirsi che, mentre “violazione manifesta della legge” va interpretato in modo conforme alla Costituzione, “violazione manifesta del diritto dell’Unione europea” va interpretato in
modo conforme al dictum sovranazionale.
IN PARTICOLARE, IL TRAVISAMENTO DEL FATTO E DELLE PROVE
La distinzione fra “valutazione” e “travisamento” delle prove è più agevole. Il nuovo codice di procedura penale, a differenza del passato 31, vieta la deducibilità davanti alla Corte di Cassazione del vizio
30
Cass. Civ., sez. III, 18 marzo 2008, n. 7272, in CED Cass., n. 602216; Cass. Civ., sez. III, 26 maggio 2011, n. 11593, in CED
Cass., n. 617306.
31
Com’è noto, infatti, in base al combinato disposto degli artt. 474, comma 1, n. 4 e 475 comma 3, c.p.p. 1930, si riteneva che
il vizio del travisamento del fatto, per essere deducibile in Cassazione, doveva consistere in una deviazione assoluta, percepibile
ictu oculi, tra le emergenze del processo e la ricostruzione del fatto operata dal giudice, nel senso che il fatto, preso in considerazione e ritenuto, non dovesse trovare un corrispondente riferimento negli atti del processo e dovesse apparire come una ricostruzione diversa da quella effettiva, oppure carente di elementi decisivi per la definizione giuridica del fatto stesso, laddove,
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di travisamento del fatto giacché è preclusa la possibilità per il giudice di legittimità di sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. Mentre è consentito, (art. 606 lett. e) c.p.p.), dedurre il "travisamento della prova", che ricorre nei casi in cui
si sostiene che il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su
un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. In quest’ultimo caso, infatti, non si
tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di
verificare se questi elementi esistano 32.
La giurisprudenza sull’art. 606, lett. e), c.p.p. ha ben chiarito che il travisamento della prova non tocca il livello della valutazione, ma si arresta alla fase antecedente dell’errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio 33. È errore sul significante, che si traduce nell’utilizzo di un risultato di prova
inesistente (o incontestabilmente diverso da quella reale), e non sul significato della prova. In coerenza
a quanto rilevato a proposito della violazione manifesta di legge, la dottrina 34 efficacemente afferma
che si può affermare che, manifestandosi anche le prove in enunciati linguistici, il travisamento concerna il misconoscimento dei dati linguistici, e dunque il livello percettivo che precede la valutazione.
Quest’ultima interviene in una fase successiva, quando, delimitato il campo semantico, si aprono le diverse opzioni valutative. Quando poi il misconoscimento dei dati linguistici è determinato da negligenza inescusabile (a parte il caso del dolo) si aprono le porte per l’azione di rivalsa.
Assai più complesso, per l’Autore, è il profilo del travisamento del fatto. Il punto critico risiede nella
dissociazione della nozione di travisamento del fatto da quella di affermazione, o negazione, del fatto
contrastata dagli atti del procedimento, con cui tradizionalmente veniva identificata, e nella necessità
quindi di identificare per il travisamento uno spazio fra la valutazione del fatto e l’affermazione, o negazione, del fatto contrastata dagli atti. Il riferimento nell’art. 7 in materia di rivalsa al solo travisamento del fatto (e delle prove), e non anche all’affermazione, o negazione, del fatto contrastata dagli atti del
procedimento, tradisce la difficoltà di rinvenire una differenza fra le due ipotesi. Che le nozioni convergano trova conferma nell’art. 2, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, sugli illeciti disciplinari nell’esercizio
delle funzioni giudiziarie, che contiene il riferimento solo al “travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile”.
In sede responsabilità civile, prosegue l’Autore, si è distinto fra travisamento e affermazione, o negazione, contrastata dagli atti del procedimento, e si è spezzato il collegamento con la negligenza inescusabile, ma in tal modo la ricaduta nell’attività di valutazione del fatto è inevitabile (peraltro il “sistema” della l. n. 18/2015, che contempla il requisito soggettivo della negligenza inescusabile solo in
sede di azione di rivalsa, cadrebbe in contraddizione se consentisse di vincolare in sede di responsabilità civile alla negligenza inescusabile solo l’ipotesi del travisamento del fatto e non anche le altre ipotesi
di responsabilità). L’area della percezione risulta così tutta occupata dall’affermazione, o negazione, del
fatto contrastata dagli atti, e non resta che la zona (successiva alla percezione) della valutazione.
Non può dubitarsi – ed in questo si conviene del tutto con le considerazioni espresse dall’autorevole
voce dottrinale – che lo sdoppiamento che l’art. 2, comma 3, ha stabilito fra travisamento del fatto e affermazione, o negazione, del fatto contrastata dagli atti del procedimento, incrina in modo serio il bilanciamento fra il principio costituzionale di indipendenza della magistratura e quello di responsabilità
perché invade il campo della valutazione del fatto, istituzionalmente affidato al libero convincimento
quando il preteso travisamento era fondato sulla valutazione che il giudice di merito aveva fatto delle prove, esso si risolveva in
un difetto di motivazione (v., tra le tante: Cass., sez. I, 18 febbraio 1977, Mercuri, in CED Cass., n. 135365).
32
V. tra le tante: Cass., sez. IV, 6 febbraio 2007, n. 4675, in Cass. pen., 2009, p. 2837, con nota di E. Di Salvo, Esposizione a sostanze nocive, leggi scientifiche e rapporto causale nella pronuncia della Cassazione sul caso "Porto Marghera”.
33
A conclusioni analoghe è pervenuta la giurisprudenza civilistica. Il codice di procedura civile conosce l’errore di fatto, che
legittima la revocazione della sentenza “quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente
esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita” sempre che il fatto “non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare” (art. 395, n. 4, c.p.c.). È indubbio, però, che, anche alla giurisprudenza civilistica, è estraneo al vizio di “travisamento del fatto” il momento valutativo della prova, che appartiene al sovrano apprezzamento dei giudici del merito, e che non può essere sindacato quando esso sia adeguatamente motivato e scevro da vizi logici e da
errori di diritto (tra le tante: Cass. civ., sez. I, 7 maggio 1963, n. 1129, in CED Cass., n. 261648), così come non integra “travisamento del fatto” l’errore di giudizio (Cass. civ., sez. VI-III, ord. 20 febbraio 2014, n. 4118, in CED Cass., n. 630326) o di valutazione e interpretazione degli atti processuali (Cass. civ., sez. un., ord. 28 maggio 2013, n. 13181, in CED Cass., n. 626608).
34
E. Scoditti, Quale responsabilità civile del magistrato dopo la legge n. 18 del 2015, op. cit., cui si devono anche le riflessioni del
presente paragrafo.
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del giudice. Se la norma avesse parlato solo di travisamento del fatto, e non anche della prova, si sarebbe potuto, in chiave di interpretazione adeguatrice, intendere il fatto così come si presenta nel processo,
e cioè nei limiti della prova, e intendere travisamento del fatto come misconoscimento del dato linguistico mediante cui la prova si manifesta. La presenza anche del travisamento della prova impedisce una
simile interpretazione. Ed allora illuminante è la riflessione conclusiva dell’Autore che, con la consueta
lucidità espositiva, conclude affermando che “quando il senso linguistico della disposizione non consente altre vie, e tale ci sembra il caso del travisamento del fatto, vuol dire che è l’ora del sindacato di
legittimità costituzionale”.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Sinora la responsabilità civile dei giudici era stata disciplinata dalla l. n. 117/1988, oggetto di ogni e più
feroce contestazione per la sua scarsa incisività di tutela degli interessati e per asimmetria negativa con
gli obbiettivi del referendum abrogativo del 1987 sugli artt. 55, 56 e 74 c.p.c.
In verità, dal punto di vista giuridico-costituzionale, la l. n. 117/88 era stata considerata pienamente
legittima dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 18/1989 (nel solco maestro aperto dalla sentenza
n. 2/1968); pure la recentissima sentenza n. 117/2012 non porta nulla di nuovo al riguardo, anche se
l’ordinanza di rimessione ne aveva dato alla Corte costituzionale l’occasione 35.
La sentenza n. 18/1989, oltre a ribadire il principio che l’indipendenza dei magistrati è volta a garantire l’imparzialità del giudice, precisò che la garanzia di indipendenza dei giudici mira anche a tutelare
l’autonomia di interpretazione delle norme di diritto e l’autonomia di valutazione dei fatti e delle prove. Correttamente, dunque, concluse la Corte, il legislatore del 1988 ha escluso a tale riguardo ogni responsabilità.
Le affermazioni della sentenza n. 18/1989 – nonostante le modifiche apportate dalla l. n. 18/2015,
rimangono tuttora attuali, cogliendo i caratteri essenziali dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, a presidio non tanto dell’ordine giudiziario, quanto della tutela dei diritti fondamentali delle
persone.
Certo si poneva il problema di coordinare le conclusioni della Consulta con gli arresti del Giudice
comunitario. È evidente la differenza delle conclusioni della Corte di giustizia rispetto a quelle raggiunte dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n. 18/1989. Sorgeva dunque un serio problema di
possibili “controlimiti” al primato del diritto europeo per la tutela di principi fondamentali dell’ordinamento nazionale 36.
Ma il legislatore del 2015 non pare essersi occupato di tale questione, che avrebbe richiesto ben altra
attenzione. Ha, invece, preferito la via della riforma della responsabilità civile “dei giudici”, così esorbitando da quanto era richiesto dallo stesso giudice euro-unitario che, anzi, con riferimento all’attività
giurisdizionale, aveva tenuto a precisare non solo che la responsabilità "comunitaria" non è personale
dei giudici, ma dello Stato, ma anche, e soprattutto, che nei casi configurabili (solo quelli, si badi bene,
di violazione in maniera manifesta del diritto europeo, casi espressamente considerati come "eccezionali"), la possibilità di configurare, a talune speciali condizioni, la responsabilità dello Stato per decisioni
giurisdizionali incompatibili con il diritto comunitario non possa comportare rischi particolari per
l’indipendenza degli organi giurisdizionali 37.
35
Il caso riguardava la competenza funzionale della Corte di appello per i procedimenti di riparazione per violazione del
termine ragionevole del processo, estesa dalla giurisprudenza della Cassazione anche ai ritardi irragionevoli dei giudici amministrativi e contabili. Il giudice rimettente aveva richiamato anche la possibile violazione dell’art. 24 Cost., in quanto il principio
di imparzialità e terzietà del giudice sarebbe garantito dall’appartenenza dei giudici controllori e controllati ad ordini giurisdizionali diversi. Ma la Corte costituzionale ha risolto il problema in altro modo, affermando che la disciplina contestata rappresenta una mera razionalizzazione del riparto, con un giudizio semplificato in cui non emerge alcuna compressione della tutela
giurisdizionale costituzionalmente garantita.
36
Appena un paio di anni or sono, del resto, un’autorevole voce dottrinale aveva evidenziato che “si è di fronte ad un vero
contrasto di posizioni su temi cruciali; così che per una volta si pone davvero il problema dei "controlimiti", tante volte invocati
a sproposito” (M.P. Chiti, La responsabilità civile dei giudici quale "cavallo di troia" per modificare il riparto della giurisdizione?, in
Giornale dir. amm., 2012, 10, p. 1008).
37
Così è stato considerato per la posizione degli organi giurisdizionali di ultimo grado, di cui si trattava nella sentenza Koebler del 2003 (30 settembre 2003, causa C-224/01).
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Processo penale e giustizia n. 4 | 2015
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A parte questi rilievi critici, le statuizioni giurisprudenziali e le motivazioni addotte nelle recenti
sentenze del giudice dell’Unione sono univoche nel chiarire che: a) viola il diritto dell’Unione una norma, come quella contenuta nella l. n. 117/1988, che limita la responsabilità per attività degli organi giurisdizionali ai soli casi di dolo e colpa grave; b) la responsabilità civile per violazione del diritto
dell’Unione da parte dei giudici è responsabilità che fa capo solo allo Stato, unitariamente inteso, e non
ai singoli magistrati; c) la disciplina dell’eventuale rivalsa dello Stato nei confronti del giudice che concretamente ha violato il diritto dell’Unione è competenza degli Stati membri, in quanto al momento non
sussiste alcuna base giuridica per interventi dell’Unione a tal fine.
Ed allora, può convenirsi con le lucide osservazioni di chi 38 correttamente osservava, in periodo non
sospetto, che “un’attuazione non strumentale della sentenza 24 novembre 2011 (e dei principi precedentemente posti dalla Corte) avrebbe dovuto riguardare solo l’estensione in modo espresso della responsabilità dello Stato alla violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione europea”, laddove era
da rifuggire la proposta per una modifica sostanziale della disciplina della responsabilità civile dei giudici (in talune formulazioni, addirittura, con una loro diretta responsabilità), in quanto del tutto priva
di legittimazione comunitaria, rimanendo pura questione interna, che avrebbe richiesto una seria valutazione di compatibilità costituzionale.
Purtroppo, però, dobbiamo registrare che ciò non è avvenuto, con il risultato che la l. n. 18/2015 infligge un vero e proprio vulnus all’autonomia e all’indipendenza della magistratura, purtroppo vista
come “un privilegio di casta” e non – come invece avrebbe dovuto esserlo –imprescindibile garanzia
posta a presidio non tanto e non solo dell’Ordine giudiziario, quanto, piuttosto e soprattutto, della tutela dei diritti fondamentali delle persone.
38
M.P. Chiti, La responsabilità civile dei giudici quale "cavallo di troia" per modificare il riparto della giurisdizione?, cit.
DIBATTITI TRA NORME E PRASSI | MODIFICHE ALLA DISCIPLINA DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI
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