ATTUALITA’ DELLA DICHIARAZIONE CONCILIARE SULLA EDUCAZIONE CRISTIANA A 50 ANNI DALLA PROMULGAZIONE Relazione tenuta dal Padre Giuseppe Turrin SDB, Assistente Ecclesiastico Naz. della Confederex, al Convegno di Padova 12.12.15 La ricorrenza del cinquantesimo anniversario dell’emanazione della Dichiarazione sull’educazione cristiana “Gravissimum Educationis”, avvenuta il 28 0ttobre 1965, ci suggerisce di rileggere il testo conciliare, raccogliendone il prezioso insegnamento, e traendone uno spunto per il contesto nel quale oggi ci troviamo a vivere e operare. L’occasione di “rivisitare” i documenti del Concilio Vaticano II°, anche se limitatamente a quello che è oggetto della nostra odierna attenzione, deve servire a rivivere quell’atmosfera che ha caratterizzato il tempo del Concilio che è stato definito “una nuova primavera” della Chiesa. Sappiamo che quello spirito fu come il “vento impetuoso” di una “nuova Pentecoste” che, come nella prima Pentecoste nel cenacolo, si diffuse e riempì tutta la Chiesa, che cominciò ad uscire per parlare al mondo intero, con un linguaggio e uno stile nuovi, e fare propri, facendosene carico, i problemi di una umanità dispersa e divisa. L’Educazione, problema che interroga tutti Ora, uno dei problemi che hanno sempre assillato e preoccupato la società in tutti i tempi, è stato quello che si riferisce all’educazione, che è la via attraverso la quale arrivare alla formazione integrale della persona umana. Quindi la Chiesa, dal momento in cui si accingeva a fare una riflessione sul suo rapportarsi con l’umanità, non poteva non prendere in considerazione questo aspetto dell’educazione, nella sua accezione specifica ma anche in quella più ampia, comprensiva quindi degli strumenti con cui si esplica e cioè dell’istruzione che si comunica tramite l’insegnamento, e perciò anche della scuola nelle sue varie forme e diversificazioni per la trasmissione del sapere. Lo svolgimento del Concilio rappresenta quindi un passaggio pastorale importante anche nel campo dell’educazione. Questo straordinario evento della Chiesa manifestò un intrinseco potenziale educativo racchiuso non solo nei documenti espressamente dedicati alle questioni educative, ma più ampiamente nel corpo globale del Concilio , nell’insieme del suo insegnamento e dello spirito che lo animò. La “Gravissimum Educationis”: documento aperto al mondo Frutto di questa riflessione è il documento chiamato “Gravissimum educationis”, una “dichiarazione” sull’urgenza di affrontare il problema della educazione. Il titolo stesso “gravissimum”, fa emergere il forte rilievo dell’argomento trattato e sottolinea, come si legge nel Proemio, “ l’estrema importanza dell’educazione nella vita dell’uomo, e la sua incidenza sempre più grande nel progresso sociale contemporaneo”. Per questo, recita sempre il proemio, “dappertutto sorgono iniziative atte a promuovere sempre più l’attività educativa; si definiscono e si pubblicano con documenti solenni i diritti fondamentali, in ordine all’educazione degli uomini, ed in particolare dei fanciulli; si moltiplicano e si sviluppano le scuole, si fondano istituti di educazione, si perfezionano i metodi educativi e didattici, e si fanno sforzi davvero grandiosi per educare e istruire tutti gli uomini”. Di fronte a tutto questo movimento e al sorgere di tante iniziative per lo sviluppo dell’educazione, il Concilio intende trattare con cura e sottoporre all’attenzione di tutti, il tema dell’educazione, che ha un’importanza capitale per il singolo, nonché forti ricadute sull’insieme della società e del suo sviluppo. Per cui in continuità con tutto il magistero della Chiesa su questa materia, il Concilio ha voluto affrontare questo argomento per arrivare a stillare un documento che prendesse in considerazione il tema dell’educazione, la sua importanza e la necessità in un contesto sociale e culturale, completamente cambiato. Origine di questo documento A questo proposito dobbiamo fare un breve cenno sulla genesi del documento che fu tra i più discussi e anche tormentati nella fase preparatoria, nella fase dialettica, fino alla sua approvazione che avvenne alla conclusione del Concilio stesso, e questo per la complessità e la vastità del tema, per la diversità e la molteplicità di interpretazioni e di realizzazioni del fenomeno educativo nelle varie regioni del mondo. Si trattava infatti, per i Padri conciliari, di offrire una sintesi sul delicato tema dell’educazione e, più in specifico, su quello dell’educazione cristiana, dando indicazioni su come intenderla alla luce del rapporto tra la Chiesa e il mondo, tracciato sulle nuove coordinate del Concilio stesso. Ecco perché nel documento vengono indicati solo “alcuni principi fondamentali intorno all’educazione cristiana soprattutto nelle scuole”, e viene demandato “ad una speciale Commissione post-conciliare di sviluppare e alle Conferenze episcopali di applicare, questi principi alle diverse situazioni locali”. Nel suo insieme il documento appare come una mirabile sintesi del pensiero della Chiesa sui problemi più urgenti e vitali che investono l’educazione in un saggio e misurato equilibrio di precisazioni dottrinali, di applicazioni realistiche e di aperture apostoliche. Ma per essere meglio compresa nella sua peculiarità va collegata con il magistero pontificio su questa materia, a partire già da Benedetto XV° e poi di Pio XII°, ma deve essere messa a confronto soprattutto con l’Enciclica ”Divini illius Magistri” del 1929, di Papa Pio XI°, sulla cristiana educazione della gioventù . Si tratta di due documenti fondamentali del Magistero della Chiesa, entrambi costituiscono il punto di partenza di ogni progetto educativo cristiano proposto al mondo. Tra di essi sussiste un rapporto di continuità, ma anche di sviluppo e di crescita. Infatti le risposte che essi offrono ai concreti problemi educativi posti dal loro tempo, sono da leggersi nella prospettiva storica e culturale che ne specifica la portata e il significato preciso. La DIM infatti ha come prospettiva fondamentale l’educazione cristiana dei giovani in un contesto storico in cui una delle grandi e tradizionali istituzioni preposte all’educazione, cioè lo Stato, aveva assunto in taluni paesi, Italia compresa, forme gravemente prevaricatrici in senso autoritario, assolutista e antireligioso, contro cui occorreva alzare la voce con coraggio e forza. Nella Dichiarazione conciliare invece si respira un’aria nuova, perché lo svolgimento del Concilio rappresenta un passaggio importante anche nel campo dell’educazione cristiana. La posizione non è più difensiva e di sospetto ma è impostata con uno stile dialogico con il quale la Chiesa porge il messaggio cristiano al mondo contemporaneo, alla sua cultura e alle sue istituzioni. La Gravissimum educationis assume dunque i principi fondamentali della DIM, applicandoli tuttavia al nuovo contesto socio-culturale che ha animato tutto il Concilio e che ha trovato la sua espressione più eloquente e significativa soprattutto nella costituzione pastorale “Gaudium et spes”. L’Educazione come “diritto” inalienabile In questo Documento che è oggetto del ns. studio, notiamo subito che l’attraversa; si apre infatti con una affermazione che dà il quadro di tutta la questione: “Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persone hanno il diritto inalienabile ad una educazione, che risponda allo loro vocazione propria e sia conforme al loro temperamento, alla differenza di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, e insieme aperta ad una fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra. La vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene dei vari gruppi di cui l’uomo è membro e in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere” (GE. n. 1). Ora, proprio nel primo numero, la Gravissimum educationis afferma, ed è uno dei punti più importanti del testo, il diritto ad essere educato, diritto del quale ogni uomo è portatore. Ogni essere umano di qualunque età, razza o estrazione porta in sé il diritto inalienabile a ricevere una giusta educazione. Inalienabile, cioè legato all’essere stesso della persona, quindi incancellabile: perché senza educazione, la vita fisica non basta per diventare uomini o donne. L’educazione, sottolinea con forza la Dichiarazione, deve facilitare la risposta di ognuno alla propria vocazione, secondo il temperamento e la cultura propri di ciascun individuo. Osserviamo quanta sapienza c’è in queste parole che testimoniano l’alta considerazione della libertà della persona da parte della Chiesa! Ognuno, dunque, quando nasce , è portatore del diritto ad essere educato in modo conforme alle sue caratteristiche personali e la sua specifica vocazione, alla quale quindi deve essere aiutato a rispondere, e prima a scoprirla. L’educazione, allora, sebbene faccia tesoro di valori che non inventa, ma riceve, non omologa gli individui in un unico modello; al contrario, orienta alla personalizzazione e favorisce il cammino proprio di ognuno E’ un compito davvero arduo, ma affascinante, che ogni educatore dovrebbe meditare, anche aiutato dalle parole di questo documento che ha 50 anni, ma che è ancora così ricco di insegnamenti. Proseguendo l’analisi del n 1° della Dichiarazione, troviamo un riferimento specifico ai primi destinatari dell’opera educativa, che sono “i fanciulli e agli adolescenti” , che devono “essere aiutati a sviluppare armonicamente le loro capacità fisiche, morali, intellettuali, ad acquistare gradualmente un più maturo senso di responsabilità nell’elevazione ordinata ed incessantemente attiva della propria vita e nella ricerca della vera libertà, superando con coraggio e perseveranza tutti gli ostacoli”. Viene affermato che “devono ricevere, man mano che cresce la loro età, una positiva e prudente educazione sessuale; essere avviati alla vita sociale e forniti dei mezzi adeguati per inserirsi nelle diverse sfere dell’umana convivenza; siano disponibili al dialogo e contribuiscano all’incremento del bene comune. Inoltre, “hanno il diritto di esser aiutati a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia alla conoscenza approfondita ed all’amore di Dio. Perciò chiede a quanti governano i popoli o presiedono all’educazione, di preoccuparsi e raccomanda perché mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto. Esorta poi i figli della Chiesa a lavorare generosamente in tutto il campo educativo, al fine specialmente di una più rapida estensione dei grandi benefici dell’educazione e dell’istruzione a tutti, in tutta quanta la terra”. Chiesa conscia del suo dovere in campo educativo Il tema è davvero fondamentale. Per questo la Chiesa, nella sua missione, si pone al servizio di questo diritto universale, realizzando strutture e attività, impegnando persone e risorse, per riconoscere, affermare e assicurare questo diritto fondamentale ( la storia della Chiesa lo sta a testimoniare ). Ne scaturisce una importante conseguenza: non si tratta di un’opera di supplenza, legata all’emergenza, ma di un compito costitutivo legato alla missione. Perciò “la santa Madre Chiesa, nell’adempimento del mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di edificare tutto in Cristo, ha il dovere di occuparsi dell’intera vita dell’uomo, anche in quella terrena, in quanto connessa con la vocazione soprannaturale; essa perciò ha un suo compito specifico in ordine al progresso e allo sviluppo della educazione.” (GE. Proemio). Primo dovere della Chiesa: l’Educazione “cristiana” E’ perciò chiaro e naturale che la Chiesa concentri innanzitutto le sue attenzioni sulla “educazione cristiana” perché questo è il suo compito primo e la propone come un diritto dei battezzati e, di conseguenza, un dovere irrinunciabile della comunità ecclesiale. E dice in modo preciso e concreto quale tipo di educazione possa qualificarsi come “cristiana”. Infatti questa non comporta solo il raggiungimento della maturità propria della persona umana, di cui si è parlato più sopra, ma tende a far sì che i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggior coscienza del dono della fede che hanno ricevuto; si preparino quindi a vivere la propria vita per raggiungere la statura della pienezza di Cristo e diano il proprio apporto all’aumento del corpo mistico che è Chiesa. Inoltre debbono addestrarsi a promuovere la elevazione in senso cristiano del mondo, in modo che i valori naturali, inquadrati nella considerazione completa dell’uomo redento da Cristo, giovino al bene di tutta la società”. E qui c’è una esortazione ai pastori di anime perché sentano “ il dovere gravissimo di provvedere a che tutti i fedeli ricevano questa educazione cristiana, specialmente i giovani, che sono la speranza della Chiesa”. Il “nuovo” Umanesimo che caratterizza l’opera educativa Qui mi permetto una breve parentesi per fare riferimento al recente Convegno di Firenze che ha avuto come Tema “in Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, che richiama quanto detto sopra circa “i valori naturali che trovano la loro completezza nella redenzione di Cristo”. Nella sua prolusione, ampia e ricca di stimoli e proposte, mons. Nosiglia, presidente del Comitato preparatorio del convegno stesso, diceva: “ La ricerca di nuove frontiere dell’umano (e chi opera nel campo dell’educazione sa di quanta ricerca oggi ci sia bisogno), illuminate dal Vangelo, aprono orizzonti di cambiamento vero e profondo della vita e della missione della Chiesa e permette di avviare un percorso educativo, personale e sociale che tende a una nuova generazione dell’umano in Gesù Cristo. Il nuovo umanesimo ha le sue radici nell’esperienza contagiosa di Gesù Cristo da vivere nella testimonianza in ogni ambito e ambiente di vita”. E il Papa nel suo discorso con cui ha tracciato le direttrici del convegno e quindi della chiesa che è in Italia, ha detto in merito a questo: “Possiamo parlare dii umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in lui i tratti del volto autentico dell’uomo. Solo se riconosciamo Gesù nella sua verità, sapremo guardare la verità della nostra condizione umana e quindi dare il nostro contributo alla piena umanizzazione della società”. E il card. Bagnasco, nella relazione finale, riproponendo queste indicazioni del Santo Padre, affermava: “La ricostruzione dell’umano che la Chiesa avverte come suo compito primario, è inscindibile dall’annuncio del Vangelo”. Vediamo quindi come ci sia un sviluppo coerente nell’insegnamento della Chiesa di oggi con quanto il Concilio aveva già indicato. I mezzi per assicurare questa educazione cristiana Una responsabilità così alta e un compito cos’ impegnativo sollecitano l’indicazione e la elaborazione di strumentazioni adeguate. Con molto realismo la Dichiarazione si pone la questione e ne suggerisce una prospettiva di soluzione. Al n. 4 si legge: “Nell’assolvere il suo compito educativo la Chiesa utilizza tutti i mezzi idonei, ma si preoccupa soprattutto di quelli che sono i suoi mezzi propri. Primo tra questi è l’istruzione catechetica”, e ne illustra, sottolineandole, tutte le caratteristiche, evidenziandone i contenuti per la formazione del buon cristiano. Nello stesso tempo, però, ”la Chiesa valorizza e tende a penetrare del suo spirito gli altri mezzi che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che sono particolarmente adatti al perfezionamento morale e alla formazione umana, quali gli strumenti di comunicazione sociale, le molteplici società a carattere culturale e sportivo, le associazioni giovanili”. La priorità data all’istruzione catechetica nell’azione educativa, può apparire limitata rispetto alla nostra attuale sensibilità; perciò il documento ricorda che l’obiettivo globale a cui tende il compito educativo è sì la formazione della persona in vista del suo inserimento nella società di cui l’uomo è membro, ma non può prescindere dal fatto che l’uomo ha un suo fine ultimo e che quindi l’istruzione catechetica può essere considerata come il “primo” tra i vari mezzi al servizio dell’educazione, vista come maturazione piena di ogni persona. I luoghi per l’educazione La prospettiva concreta e operativa che caratterizza il documento porta verso l’indicazione dei luoghi concreti al cui interno assolvere il compito educativo. Il documento ci affida con forza la consapevolezza della responsabilità di una gestione matura dei luoghi educativi tradizionali che sono: primo la famiglia, poi la scuola e quindi la Chiesa. Ed è qui che cominciamo a notare una significativa mutazione di accento nell’individuazione delle istituzioni a cui spetta il diritto – dovere educativo. Nella DIM l’accento era posto prima di tutto e soprattutto sulla Chiesa, per un diritto positivo e soprannaturale, seguiva la famiglia, per diritto naturale alla procreazione ed infine lo Stato, in ordine al bene comune. Nella GE, pur nella stessa prospettiva di diritti-doveri, l’ordine cambia: prima viene la Famiglia, per il diritto-dovere naturale, primario ed inalienabile; poi quale aiuto alla famiglia, “ci sono determinati diritti e doveri che spettano alla società civile, che deve disporre quanto è necessario al bene comune temporale”; “infine, ad un titolo tutto speciale, il diritto di educare spetta alla Chiesa”, sia, “come società umana capace di impartire l’educazione”, sia “soprattutto perché essa ha il compito di annunciare a tutti gli uomini la via della salvezza e offrire a tutti i popoli la sua opera per promuovere la perfezione integrale della persona umana” (n.3). La chiesa rispetta e valorizza la funzione educativa della scuola di Stato Ma la Chiesa del Concilio apre una prospettiva nuova sul problema della scuola. Prendendo atto della sua enorme espansione in tutti i paesi, come istituzione del potere civile per garantire a tutti i benefici dell’istruzione, riconosce che la scuola rientra “tra quei mezzi, tra quegli strumenti educativi, che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che è dunque una istituzione civile, di cui lo Stato deve farsi carico. Si tratta di un riconoscimento che evidenzia un progresso sulla via di un umanesimo che ha sempre le sue radici nel messaggio cristiano. Va qui sottolineato che questo atteggiamento nei confronti dell’istruzione pubblica non è casuale, ma si colloca nella linea delle scelte operate dal Concilio, che trovano la loro espressione più vistosa nella Gaudium et Spes (nn. 54 e 55), nella Dignitatis humanae e nella Nostra Aetate, e anche nel discorso che il Papa Beato Paolo VI° ha tenuto davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965, in cui si esprimeva con queste parole: “La Chiesa loda e incoraggia quelle autorità civili, locali, nazionali e internazionali che, consapevoli delle più urgenti necessità del nostro tempo, spendono tutte le forze affinchè tutti i popoli possano divenire partecipi di una più completa educazione e cultura umana”. La stessa descrizione, o meglio definizione di scuola che il testo della GE dà in nome della “sua missione”, cioè della sua intrinseca natura, è illuminante e significativa: “La scuola riveste un’importanza particolare in forza della sua missione, perché matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudizio, mette a contatto con il patrimonio acquistato dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra alunni di indole e condizione diversa. Essa inoltre costituisce come un centro, alla cui attività, ed al cui progresso devono insieme partecipare le famiglie, gli insegnanti, vari tipi di associazioni a finalità culturali, civile e religiose, la società civile e tutta la comunità umana” (n. 5). Qui troviamo presente una concezione “comunitaria” della scuola destinata ad anticipare le nuova sensibilità del nostro tempo, quando ancora neppure si pensava agli organi collegiali, alla partecipazione della società civile nell’organizzazione dell’attività scolastica. Di questo prendeva atto anche il Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, che nel messaggio inviato in occasione della commemorazione del 50° della GE organizzato il 28 ottobre scorso, proprio nel giorno anniversario della sua promulgazione, dalla “Rivista Lasalliana”, presso la Casa generalizia dei FF.lli delle Scuole Cristiane a cui ha partecipato anche mons. Galantino, Segretario generale della CEI che ha tenuto la relazione celebrativa, così si esprimeva: “Da laica ho apprezzato l’ampiezza di prospettiva, la concretezza ed il rispetto della specificità e dei luoghi ed ambiti educativi. Colpisce pensare che una definizione così ”universale” sia stata scritta 50 anni fa in un contesto così “particolare” e dimostra quanto sia importante il contributo che può venire in ambito educativo dall’esperienza che nasce dal cattolicesimo”. In questo orizzonte, non solo dunque i docenti cattolici possono esercitare la loro azione didattica anche nella scuola di tutti, apprestata dallo Stato, ma il loro servizio va considerato come una “meravigliosa e davvero importante vocazione” (n. 5). Ed è in questa concezione di scuola che si colloca l’IRC, perché la Chiesa è chiamata a “penetrare del suo spirito e ad elevare” questa istituzione civile che ha un compito così importante. La Chiesa inoltre ha un altro motivo per sostenere e valorizzare la scuola gestita dallo Stato, dovuto al fatto che è consapevole del dovere gravissimo di curare diligentemente l’educazione morale e religiosa di tutti i suoi figli per cui deve rendersi presente con un affetto speciale e con il suo aiuto ai moltissimi suoi figli, che vengono educati nelle scuole non cattoliche, perché sia assicurata alle famiglie la giusta libertà religiosa e l’educazione impartita corrisponda ai principi morali e religiosi propri di quelle stesse famiglie (n.7). LA SCUOLA CATTOLICA: diritto della Chiesa Questa mutata concezione nei confronti della scuola “pubblica” promossa per tutti dallo Stato, non esime però la Chiesa dal chiedere con estrema chiarezza che le sia riconosciuto la libertà di promuovere “scuole cattoliche”, in cui oltre a “le finalità culturali proprie della scuola, e alla formazione umana dei giovani”, sia possibile “coordinare l’insegnamento della cultura umana con il messaggio della salvezza; facendo cioè in modo che la cultura sia evangelizzata, cosicchè la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede” (n. 8). Compito della scuola “cattolica” deve essere quello di saper unire alla formazione culturale quella umana ed evangelica; deve avere “il volto di quel nuovo umanesimo” emerso dal Convegno ecclesiale di Firenze. (Papa all’Agesc, sabato 5/12). Dunque la presenza della Chiesa in campo scolastico si rivela in maniera particolare nella scuola cattolica che ha come suo elemento caratteristico quello di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità. Perciò la scuola cattolica conserva la sua somma importanza anche nelle circostanze presenti. Pertanto il Concilio ribadisce e ricorda che l’esercizio di un tale diritto moltissimo contribuisce anche alla tutela della libertà di coscienza dei genitori come pure del progresso sociale” (n. 8). Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva, debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza. Lo Stato deve tutelare questo diritto “tenendo presente il principio della sussidiarietà ed escludendo quindi ogni forma di monopolio scolastico, che contraddice ai diritti naturali della persona umana, allo sviluppo e alla diffusione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini e anche a quel pluralismo, quale oggi esiste in moltissime società”. (n. 6). Per questo i Genitori, che sono i primi e principali educatori dei loro figli debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola; e questo è un loro diritto primario irrinunciabile. La Scuola cattolica oggi: problemi e prospettive Rileggendo questo testo scritto 50 anni fa e confrontandolo con la realtà di oggi, scorgiamo il contrasto che esiste tra la maggioranza dei paesi europei e anche extra europei, in cui questi principi sono attuati in tutto o in parte, e la situazione italiana in cui invece, si stenta ancora a prenderne atto o addirittura, con motivazioni varie, sono negati. Ed è il punto dolente di questo problema che rimane ancora irrisolto. La Nota Pastorale della CEI “La scuola Cattolica, Risorsa educativa”, al punto 4: “per una cultura della parità e del pluralismo scolastico” tratta ampiamente questo argomento, sviluppando quanto è contenuto nel n. 6 del GE. A questo proposito riporto, sintetizzando, quanto ha detto il prof. don Francesco Macrì, presidente nazionale della Fidae fino a qualche settimana fa, in occasione del Convegno organizzato dalla Rivista Lasalliana, a cui ho fatto cenno più sopra: “La nuova Legge 107/2015 sulla cosiddetta “buona scuola”, contiene degli elementi positivi, salvo che essi abbiano poi una effettiva declinazione nei decreti attuativi. Ma c’è un limite sul quale non possiamo tacere. C’è qualche riferimento alla scuola paritaria non statale e qualche dispositivo a suo sostegno, ma tutto l’impianto della legge rispecchia una visione statalista. Il sistema integrato, unico e unitario costituito dalla scuola statale e paritaria (legge 62/ 2000), subisce un offuscamento, se non addirittura un arretramento. La presenza della scuola paritaria è marginale, di supplenza alla inadeguatezza dello Stato che è e rimane egemone. Mancano i necessari “presupposti” perché possa svilupparsi un reale sistema integrato nel quale venga eliminata ogni forma di “discriminazione”. In una parola, ancora una volta questa legge è un’altra occasione perduta per la ns. scuola, perché i suoi diritti e i suoi problemi vengono rinviati a data da definire. La stessa detrazione fiscale (comma 151) per le spese sostenute dalle famiglie per l’iscrizione e la frequenza, seppure lodevole su un piano di principio, risulta di scarsissima portata per il basso tetto di riferimento (400 €) che per la famiglia si traduce in un risparmio di 76 € appena. Non parliamo poi dei finanziamenti pubblici e delle agevolazioni, per l’acquisto delle tecnologie digitali, per le attività sportive, teatrali, ecc.. dai quali la ns. Scuola continua ad essere esclusa, e delle ventilate, e non improbabili, imposizioni fiscali (IMU,TARI…) in quanto paradossalmente la sua attività viene considerata commerciale… Questa situazione costringe ogni anno numerose ns scuole a chiudere i battenti… ne ha parlato anche il Papa nell’udienza all’Agesc, e diceva che questo può portare allo scoraggiamento, ma insisteva: “nonostante tutto, la differenza si fa con la qualità della vostra presenza e non con la quantità delle risorse che si è in grado di mettere in campo”. Coniugare scarsità di risorse e con la qualità dell’offerta, richiede una grande capacità di inventiva e un sostegno morale e materiale da parte di tante componenti…sensibili al problema. E’ una sfida tutt’altro che facile… Anche la GE al n. 9 esorta i Pastori della Chiesa e i fedeli tutti a non risparmiare sacrificio alcuno nell’aiutare le scuole cattoliche ad assolvere sempre il loro compito ed a venire incontro a coloro che non hanno mezzi economici o sono privi dell’aiuto e dell’affetto della famiglia o sono lontani dal dono della fede. E nello stesso numero viene detto che “la Chiesa ha sommamente a cuore anche quelle scuole cattoliche che sono frequentate da alunni non cattolici”. Qui è già delineato quell’idea di “inclusione” che è cara a Papa Francesco. Il ruolo dei docenti nella scuola cattolica Desidero evidenziare ancora un altro punto che la GE tratta, che è quello che riguarda i docenti. Al n. 5 viene detto che è “meravigliosa e importante la vocazione di quanti si assumono il compito di educare nelle scuole e che esige speciali doti di mente e di cuore, una preparazione molto accurata, una capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento”, e al n. 8 leggiamo: “Gli insegnanti ricordino che dipende essenzialmente da essi, se la scuola cattolica riesce a realizzare i suoi scopi e le sue iniziative. Essi dunque devono prepararsi scrupolosamente per essere forniti della scienza sia profana sia religiosa, ed essere esperti nell’arte pedagogica aggiornata con le scoperte del progresso contemporaneo, collaborare con le famiglie, ecc… e dice che l’insegnamento diventa un vero e autentico apostolato, necessario anche ai nostri tempi”. Nel Convegno di Roma presso i FF.lli delle scuole cristiane, si è insistito anche su un aspetto caratterizzante le scuole tenute da Religiosi e cioè la formazione dei docenti “Laici” sul carisma dei Fondatori, che è una ricchezza che va valorizzata e trasmessa. Si diventa docenti dunque per vocazione, che porta a stare accanto ai giovani con passione e coerenza, che deve fare degli insegnanti dei testimoni credibili, punti di riferimento di cui potere avere fiducia che si prolunga anche dopo il periodo scolastico (e la Dichiarazione raccomanda anche la fondazione delle Associazioni degli Ex-alunni delle ns. scuole). Nella parte conclusiva della Dichiarazione, il Concilio esprime gratitudine ai sacerdoti, religiosi/e e laici che si dedicano all’opera educativa e didattica e li esorta a perseverare con generosità nel compito intrapreso per promuovere il rinnovamento della Chiesa e mantenerne la benefica presenza nel mondo, specie in quello intellettuale. Che ci sia bisogno di sottolineare questa raccomandazione, penso che sia sotto gli occhi di tutti, perché il panorama che abbiamo davanti non presenta una prospettiva consolante di futuro, in quanto vediamo tanti soggetti che dovrebbero essere attenti all’educazione dei giovani e quindi alla scuola, per scelta di vita o di condivisione di valori, come congregazioni religiose, associazioni, movimenti, che preferiscono segnare nelle loro agende e quindi nei loro progetti, anche pastorali, altre scelte prioritarie. Papa Francesco in un suo discorso ad un gruppo di insegnanti dei Gesuiti nel 2013, diceva: “Amate la scuola”, perché è il luogo privilegiato per incontrare i giovani (domandiamoci: dove si possono incontrare tanti giovani, i ragazzi e con essi anche i loro genitori… come in una scuola … vediamo la difficoltà che si vivono nelle parrocchie per averli presenti anche per quanto riguarda la preparazione a ricevere i Sacramenti… o per le attività e proposte formative….). Trascurare o peggio smobilitare questo fronte è un errore strategico dalle conseguenze irreparabili. Tanto più grave oggi a fronte della crisi di credibilità e significatività delle altre istituzioni a cominciare dalla famiglia. Per molti giovani la scuola è rimasta l’unica ancora di salvezza a loro disposizione, dove poter incontrare persone di cui fidarsi, capaci di introdurli nella vita dei valori, a sostenerli ed accompagnarli nelle loro scelte decisive. Quindi incoraggiava a non “scoraggiarsi di fronte alle difficoltà che la sfida educativa oggi presenta”. Concetti analoghi li ha riproposti nei giorni scorsi incontrando i partecipanti al Congresso sull’Educazione cattolica e al Convegno dell’AGESC. La riflessione e l’impegno della Chiesa: i documenti esplicativi della GE Da qui si evince che questo tema continua ad essere di scottante attualità e infatti nel periodo post - conciliare, la Congregazione per l’Educazione Cattolica, sorta appunto per sviluppare e dare esecuzione ai principi fondamentali enunciati nella Dichiarazione circa l’educazione cristiana, più volte è intervenuta con propri documenti: ne ricordiamo alcuni: La scuola cattolica oggi in Italia (1977) – Il Laico cattolico testimone della fede nella scuola (1982) - Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione sessuale (1983) – Dimensione religiosa dell’educazione nella scuola cattolica (1987) – La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio (1997) – Le persone consacrate e la loro missione nella scuola (2002) – Educare al dialogo interculturale nella scuola cattolica (2013): si tratta di temi che si trovano enunciaiti nella GE e che sono stati sviluppati in questi documenti. La GE si inserisce dunque nel processo di una profonda evoluzione nella concezione della scuola in generale e di quella cattolica in particolare. Tale evoluzione continua anche ai giorni nostri, questo tempo caratterizzato da nuove sfide inedite, alle quali occorre dare sempre una risposta. Ricordiamo ancora la lettera di Papa Benedetto XVI alla Diocesi e alla Città di Roma sull’emergenza educativa, (2013), i discorsi su questo argomento alla CEI, al Capitolo Generale dei Salesiani, il Documento “Educare alla vita buona del Vangelo” della CEI (2010) per questo decennio, ecc… fino alla Nota Pastorale “La Scuola Cattolica, risorsa educativa della Chiesa locale per la Società”(2014). Se noi li analizziamo scopriremo come in questi interventi si coglie lo spirito del Concilio, aperto al dialogo con tutte le realtà che operano nel campo educativo… non si trova mai contrapposizione, per esempio con lo Stato, ma si offre disponibilità alla collaborazione, perché “l’interesse della Chiesa è rivolto al bene di tutto il paese e la cura pastorale è per sua natura rivolta a tutti indistintamente i giovani, nei quali essa ravvisa il proprio futuro legato a quello dell’Italia”. Per cui si chiede che la libertà di educazione venga riconosciuta non solo nei doveri da osservare ma anche nei diritti che spettano per giustizia alle famiglie, come garantito dalla Costituzione. Per finire… Allora - e concludo -, perchè questo ricordo del 50° del documento conciliare “Gravissimum Educationis” non si riduca ad una retorica ed intellettualistica celebrazione, è necessario che l’impegno per l’educazione, non rimanga un’utopia, ma diventi per ciascuno di noi un progetto ideale condiviso, una pratica quotidiana di vita, una ulteriore ragione per portare l’Italia nell’area del riconoscimento dei diritti umani fondamentali, com’è appunto quello della libertà della scelta educativa.