ATTUALITA’ DELLA DICHIARAZIONE CONCILIARE SULLA EDUCAZIONE CRISTIANA A
50 ANNI DALLA PROMULGAZIONE
Relazione tenuta dal Padre Giuseppe Turrin SDB, Assistente Ecclesiastico Naz. della Confederex, al
Convegno di Padova 12.12.15
La ricorrenza del cinquantesimo anniversario
dell’emanazione della Dichiarazione sull’educazione cristiana “Gravissimum
Educationis”, avvenuta il 28 0ttobre 1965, ci suggerisce di rileggere il testo
conciliare, raccogliendone il prezioso insegnamento, e traendone uno spunto
per il contesto nel quale oggi ci troviamo a vivere e operare.
L’occasione di “rivisitare” i documenti del Concilio Vaticano II°, anche se
limitatamente a quello che è oggetto della nostra odierna attenzione, deve
servire a rivivere quell’atmosfera che ha caratterizzato il tempo del Concilio
che è stato definito “una nuova primavera” della Chiesa. Sappiamo che quello
spirito fu come il “vento impetuoso” di una “nuova Pentecoste” che, come nella
prima Pentecoste nel cenacolo, si diffuse e riempì tutta la Chiesa, che cominciò
ad uscire per parlare al mondo intero, con un linguaggio e uno stile nuovi, e
fare propri, facendosene carico, i problemi di una umanità dispersa e divisa.
L’Educazione, problema che interroga tutti
Ora, uno dei problemi che hanno sempre assillato e preoccupato la società in
tutti i tempi, è stato quello che si riferisce all’educazione, che è la via
attraverso la quale arrivare alla formazione integrale della persona umana.
Quindi la Chiesa, dal momento in cui si accingeva a fare una riflessione sul suo
rapportarsi con l’umanità, non poteva non prendere in considerazione questo
aspetto dell’educazione, nella sua accezione specifica ma anche in quella più
ampia, comprensiva
quindi
degli strumenti con cui si esplica e cioè
dell’istruzione che si comunica tramite l’insegnamento, e perciò anche della
scuola nelle sue varie forme e diversificazioni per la trasmissione del sapere.
Lo svolgimento del Concilio rappresenta quindi un passaggio pastorale
importante anche nel campo dell’educazione. Questo straordinario evento della
Chiesa manifestò un intrinseco potenziale educativo racchiuso non solo nei
documenti espressamente dedicati alle questioni educative, ma più
ampiamente nel corpo globale del Concilio , nell’insieme del suo insegnamento
e dello spirito che lo animò.
La “Gravissimum Educationis”: documento aperto al mondo
Frutto di questa riflessione è il
documento chiamato
“Gravissimum
educationis”, una “dichiarazione” sull’urgenza di affrontare il problema della
educazione. Il titolo stesso “gravissimum”, fa emergere il forte rilievo
dell’argomento trattato e sottolinea, come si legge nel Proemio, “ l’estrema
importanza dell’educazione nella vita dell’uomo, e la sua incidenza sempre più
grande nel progresso sociale contemporaneo”. Per questo, recita sempre il
proemio, “dappertutto sorgono iniziative atte a promuovere sempre più
l’attività educativa; si definiscono e si pubblicano con documenti solenni i diritti
fondamentali, in ordine all’educazione degli uomini, ed in particolare dei
fanciulli; si moltiplicano e si sviluppano le scuole, si fondano istituti di
educazione, si perfezionano i metodi educativi e didattici, e si fanno sforzi
davvero grandiosi per educare e istruire tutti gli uomini”.
Di fronte a tutto
questo movimento e al sorgere di tante iniziative per lo sviluppo
dell’educazione, il Concilio intende trattare con cura e sottoporre all’attenzione
di tutti, il tema dell’educazione, che ha un’importanza capitale per il singolo,
nonché forti ricadute sull’insieme della società e del suo sviluppo. Per cui in
continuità con tutto il magistero della Chiesa su questa materia, il Concilio ha
voluto affrontare questo argomento per arrivare a stillare un documento che
prendesse in considerazione il tema dell’educazione, la sua importanza e la
necessità in un contesto sociale e culturale, completamente cambiato.
Origine di questo documento
A questo proposito dobbiamo fare un breve cenno sulla genesi del
documento che fu tra i più discussi e anche tormentati nella fase preparatoria,
nella fase dialettica, fino alla sua approvazione che avvenne alla conclusione
del Concilio stesso, e questo per la complessità e la vastità del tema, per la
diversità e la molteplicità di interpretazioni e di realizzazioni del fenomeno
educativo nelle varie regioni del mondo. Si trattava infatti, per i Padri conciliari,
di offrire una sintesi sul delicato tema dell’educazione e, più in specifico, su
quello dell’educazione cristiana, dando indicazioni su come intenderla alla luce
del rapporto tra la Chiesa e il mondo, tracciato sulle nuove coordinate del
Concilio stesso.
Ecco perché nel documento vengono indicati solo “alcuni principi
fondamentali intorno all’educazione cristiana soprattutto nelle scuole”, e viene
demandato “ad una speciale Commissione post-conciliare di sviluppare e alle
Conferenze episcopali di applicare, questi principi alle diverse situazioni locali”.
Nel suo insieme il documento appare come una mirabile sintesi del pensiero
della Chiesa sui problemi più urgenti e vitali che investono l’educazione in un
saggio e misurato equilibrio di precisazioni dottrinali, di applicazioni realistiche
e di aperture apostoliche. Ma per essere meglio compresa nella sua peculiarità
va collegata con il magistero pontificio su questa materia, a partire già da
Benedetto XV°
e poi di Pio XII°, ma deve essere messa a confronto
soprattutto con l’Enciclica ”Divini illius Magistri” del 1929, di Papa Pio XI°,
sulla cristiana educazione della
gioventù . Si tratta di due documenti
fondamentali del Magistero della Chiesa, entrambi costituiscono il punto di
partenza di ogni progetto educativo cristiano proposto al mondo. Tra di essi
sussiste un rapporto di continuità, ma anche di sviluppo e di crescita. Infatti le
risposte che essi offrono ai concreti problemi educativi posti dal loro tempo,
sono da leggersi nella prospettiva storica e culturale che ne specifica la portata
e il significato preciso.
La DIM infatti ha come prospettiva fondamentale l’educazione cristiana dei
giovani in un contesto storico in cui una delle grandi e tradizionali istituzioni
preposte all’educazione, cioè lo Stato, aveva assunto in taluni paesi, Italia
compresa, forme gravemente prevaricatrici in senso autoritario, assolutista e
antireligioso,
contro cui occorreva alzare la voce con coraggio e forza.
Nella Dichiarazione conciliare invece si respira un’aria nuova, perché lo
svolgimento del Concilio rappresenta un passaggio importante anche nel
campo dell’educazione cristiana. La posizione non è più difensiva e di sospetto
ma è impostata con uno stile dialogico con il quale la Chiesa porge il
messaggio cristiano al mondo contemporaneo, alla sua cultura e alle sue
istituzioni. La Gravissimum educationis assume dunque i principi fondamentali
della DIM, applicandoli tuttavia al nuovo contesto socio-culturale che ha
animato tutto il Concilio e che ha trovato la sua espressione più eloquente e
significativa soprattutto nella costituzione pastorale “Gaudium et spes”.
L’Educazione come “diritto” inalienabile
In questo Documento che è oggetto del ns. studio, notiamo subito che
l’attraversa; si apre infatti con una affermazione che dà il quadro di tutta la
questione:
“Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro
dignità di persone hanno il diritto inalienabile ad una educazione, che risponda
allo loro vocazione propria e sia conforme al loro temperamento, alla differenza
di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, e insieme aperta ad una
fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la
vera pace sulla terra. La vera educazione deve promuovere la formazione
della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene dei vari
gruppi di cui l’uomo è membro e in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da
svolgere” (GE. n. 1).
Ora, proprio nel primo numero, la Gravissimum educationis afferma, ed è
uno dei punti più importanti del testo, il diritto ad essere educato, diritto del
quale ogni uomo è portatore. Ogni essere umano di qualunque età, razza o
estrazione porta in sé il diritto inalienabile a ricevere una giusta educazione.
Inalienabile, cioè legato all’essere stesso della persona, quindi incancellabile:
perché senza educazione, la vita fisica non basta per diventare uomini o
donne. L’educazione, sottolinea con forza la Dichiarazione, deve facilitare la
risposta di ognuno alla propria vocazione, secondo il temperamento e la cultura
propri di ciascun individuo.
Osserviamo quanta sapienza c’è in queste parole che testimoniano l’alta
considerazione della libertà della persona da parte della Chiesa! Ognuno,
dunque, quando nasce , è portatore del diritto ad essere educato in modo
conforme alle sue caratteristiche personali e la sua specifica vocazione, alla
quale quindi deve essere aiutato a rispondere, e prima a scoprirla.
L’educazione, allora, sebbene faccia tesoro di valori che non inventa, ma
riceve, non omologa gli individui in un unico modello; al contrario, orienta alla
personalizzazione e favorisce il cammino proprio di ognuno E’ un compito
davvero arduo, ma affascinante, che ogni educatore dovrebbe meditare, anche
aiutato dalle parole di questo documento che ha 50 anni, ma che è ancora così
ricco di insegnamenti.
Proseguendo l’analisi del n 1° della Dichiarazione, troviamo un riferimento
specifico ai primi destinatari dell’opera educativa, che sono “i fanciulli e agli
adolescenti” , che devono “essere aiutati a sviluppare armonicamente le loro
capacità fisiche, morali, intellettuali, ad acquistare gradualmente un più maturo
senso di responsabilità nell’elevazione ordinata ed incessantemente attiva della
propria vita e nella ricerca della vera libertà, superando con coraggio e
perseveranza tutti gli ostacoli”. Viene affermato che “devono ricevere, man
mano che cresce la loro età, una positiva e prudente educazione sessuale;
essere avviati alla vita sociale e forniti dei mezzi adeguati per inserirsi nelle
diverse sfere dell’umana convivenza; siano disponibili al dialogo e
contribuiscano all’incremento del bene comune. Inoltre, “hanno il diritto di
esser aiutati a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione
personale i valori morali, sia alla conoscenza approfondita ed all’amore di Dio.
Perciò chiede a quanti governano i popoli o presiedono all’educazione, di
preoccuparsi e raccomanda perché mai la gioventù venga privata di questo
sacro diritto. Esorta poi i figli della Chiesa a lavorare generosamente in tutto il
campo educativo, al fine specialmente di una più rapida estensione dei grandi
benefici dell’educazione e dell’istruzione a tutti, in tutta quanta la terra”.
Chiesa conscia del suo dovere in campo educativo
Il tema è davvero fondamentale. Per questo la Chiesa, nella sua missione, si
pone al servizio di questo diritto universale, realizzando strutture e attività,
impegnando persone e risorse, per riconoscere, affermare e assicurare questo
diritto fondamentale ( la storia della Chiesa lo sta a testimoniare ).
Ne scaturisce una importante conseguenza: non si tratta di un’opera di
supplenza, legata all’emergenza, ma di un compito costitutivo legato alla
missione.
Perciò “la santa Madre Chiesa, nell’adempimento del mandato ricevuto dal
suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti
gli uomini e di edificare tutto in Cristo, ha il dovere di occuparsi dell’intera vita
dell’uomo, anche in quella terrena, in quanto connessa con la vocazione
soprannaturale; essa perciò ha un suo compito specifico in ordine al progresso
e allo sviluppo della educazione.” (GE. Proemio).
Primo dovere della Chiesa: l’Educazione “cristiana”
E’ perciò chiaro e naturale che la Chiesa concentri innanzitutto le sue
attenzioni sulla “educazione cristiana” perché questo è il suo compito primo e
la propone come un diritto dei battezzati e, di conseguenza, un dovere
irrinunciabile della comunità ecclesiale. E dice in modo preciso e concreto quale
tipo di educazione possa qualificarsi come “cristiana”. Infatti questa non
comporta solo il raggiungimento della maturità propria della persona umana,
di cui si è parlato più sopra, ma tende a far sì che i battezzati, iniziati
gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre
maggior coscienza del dono della fede che hanno ricevuto; si preparino quindi
a vivere la propria vita per raggiungere la statura della pienezza di Cristo e
diano il proprio apporto all’aumento del corpo mistico che è Chiesa. Inoltre
debbono addestrarsi a promuovere la elevazione in senso cristiano del mondo,
in modo che i valori naturali, inquadrati nella considerazione completa
dell’uomo redento da Cristo, giovino al bene di tutta la società”. E qui c’è una
esortazione ai pastori di anime perché sentano “ il dovere gravissimo di
provvedere a che tutti i fedeli ricevano questa educazione cristiana,
specialmente i giovani, che sono la speranza della Chiesa”.
Il “nuovo” Umanesimo che caratterizza l’opera educativa
Qui mi permetto una
breve parentesi per fare riferimento al recente
Convegno di Firenze che ha avuto come Tema “in Gesù Cristo il nuovo
umanesimo”, che richiama quanto detto sopra circa “i valori naturali che
trovano la loro completezza nella redenzione di Cristo”. Nella sua prolusione,
ampia e ricca di stimoli e proposte, mons. Nosiglia, presidente del Comitato
preparatorio del convegno stesso, diceva: “ La ricerca di nuove frontiere
dell’umano (e chi opera nel campo dell’educazione sa di quanta ricerca oggi ci
sia bisogno), illuminate dal Vangelo, aprono orizzonti di cambiamento vero e
profondo della vita e della missione della Chiesa e permette di avviare un
percorso educativo, personale e sociale che tende a una nuova generazione
dell’umano in Gesù Cristo. Il nuovo umanesimo ha le sue radici nell’esperienza
contagiosa di Gesù Cristo da vivere nella testimonianza in ogni ambito e
ambiente di vita”. E il Papa nel suo discorso con cui ha tracciato le direttrici
del convegno e quindi della chiesa che è in Italia, ha detto in merito a questo:
“Possiamo parlare dii umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù,
scoprendo in lui i tratti del volto autentico dell’uomo. Solo se riconosciamo
Gesù nella sua verità, sapremo guardare la verità della nostra condizione
umana e quindi dare il nostro contributo alla piena umanizzazione della
società”. E il card. Bagnasco, nella relazione finale, riproponendo queste
indicazioni del Santo Padre, affermava: “La ricostruzione dell’umano che la
Chiesa avverte come suo compito primario, è inscindibile dall’annuncio del
Vangelo”. Vediamo quindi come ci sia un sviluppo coerente nell’insegnamento
della Chiesa di oggi con quanto il Concilio aveva già indicato.
I mezzi per assicurare questa educazione cristiana
Una responsabilità così alta e un compito cos’ impegnativo sollecitano
l’indicazione e la elaborazione di strumentazioni adeguate. Con molto realismo
la Dichiarazione si pone la questione e ne suggerisce una prospettiva di
soluzione.
Al n. 4 si legge: “Nell’assolvere il suo compito educativo la Chiesa utilizza
tutti i mezzi idonei, ma si preoccupa soprattutto di quelli che sono i suoi mezzi
propri. Primo tra questi è l’istruzione catechetica”, e ne illustra,
sottolineandole, tutte le caratteristiche, evidenziandone i contenuti per la
formazione del buon cristiano.
Nello stesso tempo, però, ”la Chiesa
valorizza e tende a penetrare del suo spirito gli altri mezzi che appartengono al
patrimonio comune degli uomini e che sono particolarmente adatti al
perfezionamento morale e alla formazione umana, quali gli strumenti di
comunicazione sociale, le molteplici società a carattere culturale e sportivo, le
associazioni giovanili”.
La priorità data all’istruzione catechetica nell’azione educativa, può apparire
limitata rispetto alla nostra attuale sensibilità; perciò il documento ricorda che
l’obiettivo globale a cui tende il compito educativo è sì la formazione della
persona in vista del suo inserimento nella società di cui l’uomo è membro, ma
non può prescindere dal fatto che l’uomo ha un suo fine ultimo e che quindi
l’istruzione catechetica può essere considerata come il “primo” tra i vari mezzi
al servizio dell’educazione, vista come maturazione piena di ogni persona.
I luoghi per l’educazione
La prospettiva concreta e operativa che caratterizza il documento porta verso
l’indicazione dei luoghi concreti al cui interno assolvere il compito educativo.
Il documento ci affida con forza la consapevolezza della responsabilità di una
gestione matura dei luoghi educativi tradizionali che sono: primo la famiglia,
poi la scuola e quindi la Chiesa. Ed è qui che cominciamo a notare una
significativa mutazione di accento nell’individuazione delle istituzioni a cui
spetta il diritto – dovere educativo. Nella DIM l’accento era posto prima di tutto
e soprattutto sulla Chiesa, per un diritto positivo e soprannaturale, seguiva la
famiglia, per diritto naturale alla procreazione ed infine lo Stato, in ordine al
bene comune.
Nella GE, pur nella stessa prospettiva di diritti-doveri, l’ordine cambia: prima
viene la Famiglia, per il diritto-dovere naturale, primario ed inalienabile; poi
quale aiuto alla famiglia, “ci sono determinati diritti e doveri che spettano alla
società civile, che deve disporre quanto è necessario al bene comune
temporale”; “infine, ad un titolo tutto speciale, il diritto di educare spetta alla
Chiesa”, sia, “come società umana capace di impartire l’educazione”, sia
“soprattutto perché essa ha il compito di annunciare a tutti gli uomini la via
della salvezza e offrire a tutti i popoli la sua opera per promuovere la
perfezione integrale della persona umana” (n.3).
La chiesa rispetta e valorizza la funzione educativa della scuola di
Stato
Ma la Chiesa del Concilio apre una prospettiva nuova sul problema della
scuola. Prendendo atto della sua enorme espansione in tutti i paesi, come
istituzione del potere civile per garantire a tutti i benefici dell’istruzione,
riconosce che la scuola rientra “tra quei mezzi, tra quegli strumenti educativi,
che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che è dunque una
istituzione civile, di cui lo Stato deve farsi carico. Si tratta di un riconoscimento
che evidenzia un progresso sulla via di un umanesimo che ha sempre le sue
radici nel messaggio cristiano. Va qui sottolineato che questo atteggiamento
nei confronti dell’istruzione pubblica non è casuale, ma si colloca nella linea
delle scelte operate dal Concilio, che trovano la loro espressione più vistosa
nella Gaudium et Spes (nn. 54 e 55), nella Dignitatis humanae e nella Nostra
Aetate, e anche nel discorso che il Papa Beato Paolo VI° ha tenuto davanti
all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 4 ottobre 1965, in cui si esprimeva
con queste parole: “La Chiesa loda e incoraggia quelle autorità civili, locali,
nazionali e internazionali che, consapevoli delle più urgenti necessità del nostro
tempo, spendono tutte le forze affinchè tutti i popoli possano divenire partecipi
di una più completa educazione e cultura umana”.
La stessa descrizione, o meglio definizione di scuola che il testo della GE dà
in nome della “sua missione”, cioè della sua intrinseca natura, è illuminante e
significativa: “La scuola riveste un’importanza particolare in forza della sua
missione, perché matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudizio,
mette a contatto con il patrimonio acquistato dalle passate generazioni,
promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un
rapporto di amicizia tra alunni di indole e condizione diversa. Essa inoltre
costituisce come un centro, alla cui attività, ed al cui progresso devono insieme
partecipare le famiglie, gli insegnanti, vari tipi di associazioni a finalità
culturali, civile e religiose, la società civile e tutta la comunità umana” (n. 5).
Qui troviamo presente una concezione “comunitaria” della scuola destinata ad
anticipare le nuova sensibilità del nostro tempo, quando ancora neppure si
pensava agli organi collegiali, alla partecipazione della società civile
nell’organizzazione
dell’attività
scolastica.
Di questo prendeva atto anche il Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, che
nel messaggio inviato in occasione della commemorazione del 50° della GE
organizzato il 28 ottobre scorso, proprio nel giorno anniversario della sua
promulgazione, dalla “Rivista Lasalliana”, presso la Casa generalizia dei FF.lli
delle Scuole Cristiane a cui ha partecipato anche mons. Galantino, Segretario
generale della CEI che ha tenuto la relazione celebrativa, così si esprimeva:
“Da laica ho apprezzato l’ampiezza di prospettiva, la concretezza ed il rispetto
della specificità e dei luoghi ed ambiti educativi. Colpisce pensare che una
definizione così ”universale” sia stata scritta 50 anni fa in un contesto così
“particolare” e dimostra quanto sia importante il contributo che può venire in
ambito educativo dall’esperienza che nasce dal cattolicesimo”.
In questo orizzonte, non solo dunque i docenti cattolici possono esercitare la
loro azione didattica anche nella scuola di tutti, apprestata dallo Stato, ma il
loro servizio va considerato come una “meravigliosa e davvero importante
vocazione” (n. 5). Ed è in questa concezione di scuola che si colloca l’IRC,
perché la Chiesa è chiamata a “penetrare del suo spirito e ad elevare” questa
istituzione civile che ha un compito così importante. La Chiesa inoltre ha un
altro motivo per sostenere e valorizzare la scuola gestita dallo Stato, dovuto al
fatto che è consapevole del dovere gravissimo di curare diligentemente
l’educazione morale e religiosa di tutti i suoi figli per cui deve rendersi
presente con un affetto speciale e con il suo aiuto ai moltissimi suoi figli, che
vengono educati nelle scuole non cattoliche, perché sia assicurata alle famiglie
la giusta libertà religiosa e l’educazione impartita corrisponda ai principi morali
e religiosi propri di quelle stesse famiglie (n.7).
LA SCUOLA CATTOLICA: diritto della Chiesa
Questa mutata concezione nei confronti della scuola “pubblica” promossa per
tutti dallo Stato, non esime però la Chiesa dal chiedere con estrema chiarezza
che le sia riconosciuto la libertà di promuovere “scuole cattoliche”, in cui oltre a
“le finalità culturali proprie della scuola, e alla formazione umana dei giovani”,
sia possibile “coordinare l’insegnamento della cultura umana con il messaggio
della salvezza; facendo cioè in modo che la cultura sia evangelizzata, cosicchè
la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via
acquistano, sia illuminata dalla fede” (n. 8). Compito della scuola “cattolica”
deve essere quello di saper unire alla formazione culturale quella umana ed
evangelica; deve avere “il volto di quel nuovo umanesimo” emerso dal
Convegno ecclesiale di Firenze. (Papa all’Agesc, sabato 5/12).
Dunque la presenza della Chiesa in campo scolastico si rivela in maniera
particolare nella scuola cattolica che ha come suo elemento caratteristico
quello di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito
evangelico di libertà e carità. Perciò la scuola cattolica conserva la sua somma
importanza anche nelle circostanze presenti. Pertanto il Concilio ribadisce e
ricorda che l’esercizio di un tale diritto moltissimo contribuisce anche alla tutela
della libertà di coscienza dei genitori come pure del progresso sociale” (n. 8).
Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la difesa della libertà dei cittadini, nel
rispetto della giustizia distributiva, debbono preoccuparsi che le sovvenzioni
pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole
per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza. Lo Stato deve
tutelare questo diritto “tenendo presente il principio della sussidiarietà ed
escludendo quindi ogni forma di monopolio scolastico, che contraddice ai diritti
naturali della persona umana, allo sviluppo e alla diffusione della cultura, alla
pacifica convivenza dei cittadini e anche a quel pluralismo, quale oggi esiste in
moltissime società”. (n. 6). Per questo i Genitori, che sono i primi e principali
educatori dei loro figli debbono godere di una reale libertà nella scelta della
scuola; e questo è un loro diritto primario irrinunciabile.
La Scuola cattolica oggi: problemi e prospettive
Rileggendo questo testo scritto 50 anni fa e confrontandolo con la realtà di
oggi, scorgiamo il contrasto che esiste tra la maggioranza dei paesi europei e
anche extra europei, in cui questi principi sono attuati in tutto o in parte, e la
situazione italiana in cui invece, si stenta ancora a prenderne atto o addirittura,
con motivazioni varie, sono negati. Ed è il punto dolente di questo problema
che rimane ancora irrisolto. La Nota Pastorale della CEI “La scuola Cattolica,
Risorsa educativa”, al punto 4: “per una cultura della parità e del pluralismo
scolastico” tratta ampiamente questo argomento, sviluppando quanto è
contenuto nel n. 6 del GE.
A questo proposito riporto, sintetizzando, quanto ha detto il prof. don
Francesco Macrì, presidente nazionale della Fidae fino a qualche settimana fa,
in occasione del Convegno organizzato dalla Rivista Lasalliana, a cui ho fatto
cenno più sopra: “La nuova Legge 107/2015 sulla cosiddetta “buona scuola”,
contiene degli elementi positivi, salvo che essi abbiano poi una effettiva
declinazione nei decreti attuativi. Ma c’è un limite sul quale non possiamo
tacere. C’è qualche riferimento alla scuola paritaria non statale e qualche
dispositivo a suo sostegno, ma tutto l’impianto della legge rispecchia una
visione statalista. Il sistema integrato, unico e unitario costituito dalla scuola
statale e paritaria (legge 62/ 2000), subisce un offuscamento, se non
addirittura un arretramento. La presenza della scuola paritaria è marginale, di
supplenza alla inadeguatezza dello Stato che è e rimane egemone. Mancano i
necessari “presupposti” perché possa svilupparsi un reale sistema integrato nel
quale venga eliminata ogni forma di “discriminazione”. In una parola, ancora
una volta questa legge è un’altra occasione perduta per la ns. scuola, perché i
suoi diritti e i suoi problemi vengono rinviati a data da definire. La stessa
detrazione fiscale (comma 151) per le spese sostenute dalle famiglie per
l’iscrizione e la frequenza, seppure lodevole su un piano di principio, risulta di
scarsissima portata per il basso tetto di riferimento (400 €) che per la famiglia
si traduce in un risparmio di 76 € appena. Non parliamo poi dei finanziamenti
pubblici e delle agevolazioni, per l’acquisto delle tecnologie digitali, per le
attività sportive, teatrali, ecc.. dai quali la ns. Scuola continua ad essere
esclusa, e delle ventilate, e non improbabili, imposizioni fiscali (IMU,TARI…) in
quanto paradossalmente la sua attività viene considerata commerciale…
Questa situazione costringe ogni anno numerose ns scuole a chiudere i
battenti… ne ha parlato anche il Papa nell’udienza all’Agesc, e diceva che
questo può portare allo scoraggiamento, ma insisteva: “nonostante tutto, la
differenza si fa con la qualità della vostra presenza e non con la quantità delle
risorse che si è in grado di mettere in campo”. Coniugare scarsità di risorse e
con la qualità dell’offerta, richiede una grande capacità di inventiva e un
sostegno morale e materiale da parte di tante componenti…sensibili al
problema. E’ una sfida tutt’altro che facile…
Anche la
GE al n. 9 esorta i Pastori della Chiesa e i fedeli tutti a non risparmiare
sacrificio alcuno nell’aiutare le scuole cattoliche ad assolvere sempre il loro
compito ed a venire incontro a coloro che non hanno mezzi economici o sono
privi dell’aiuto e dell’affetto della famiglia o sono lontani dal dono della fede. E
nello stesso numero viene detto che “la Chiesa ha sommamente a cuore anche
quelle scuole cattoliche che sono frequentate da alunni non cattolici”. Qui è già
delineato quell’idea di “inclusione” che è cara a Papa Francesco.
Il ruolo dei docenti nella scuola cattolica
Desidero evidenziare ancora un altro punto che la GE tratta, che è quello che
riguarda i docenti. Al n. 5 viene detto che è “meravigliosa e importante la
vocazione di quanti si assumono il compito di educare nelle scuole e che esige
speciali doti di mente e di cuore, una preparazione molto accurata, una
capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento”, e al n. 8
leggiamo: “Gli insegnanti ricordino che dipende essenzialmente da essi, se la
scuola cattolica riesce a realizzare i suoi scopi e le sue iniziative. Essi dunque
devono prepararsi scrupolosamente per essere forniti della scienza sia profana
sia religiosa, ed essere esperti nell’arte pedagogica aggiornata con le scoperte
del progresso contemporaneo, collaborare con le famiglie, ecc… e dice che
l’insegnamento diventa un vero e autentico apostolato, necessario anche ai
nostri tempi”. Nel Convegno di Roma presso i FF.lli delle scuole cristiane, si è
insistito anche su un aspetto caratterizzante le scuole tenute da Religiosi e cioè
la formazione dei docenti “Laici” sul carisma dei Fondatori, che è una ricchezza
che va valorizzata e trasmessa. Si diventa docenti dunque per vocazione, che
porta a stare accanto ai giovani con passione e coerenza, che deve fare degli
insegnanti dei testimoni credibili, punti di riferimento di cui potere avere fiducia
che si prolunga anche dopo il periodo scolastico (e la Dichiarazione
raccomanda anche la fondazione delle Associazioni degli Ex-alunni delle ns.
scuole).
Nella parte conclusiva della Dichiarazione, il Concilio esprime gratitudine ai
sacerdoti, religiosi/e e laici che si dedicano all’opera educativa e didattica e li
esorta a perseverare con generosità nel compito intrapreso per promuovere il
rinnovamento della Chiesa e mantenerne la benefica presenza nel mondo,
specie in quello intellettuale.
Che ci sia bisogno di sottolineare questa
raccomandazione, penso che sia sotto gli occhi di tutti, perché il panorama
che abbiamo davanti non presenta una prospettiva consolante di futuro, in
quanto vediamo tanti soggetti che dovrebbero essere attenti all’educazione dei
giovani e quindi alla scuola, per scelta di vita o di condivisione di valori, come
congregazioni religiose, associazioni, movimenti, che preferiscono segnare
nelle loro agende e quindi nei loro progetti, anche pastorali, altre scelte
prioritarie.
Papa Francesco in un suo discorso ad un gruppo di insegnanti dei Gesuiti nel
2013, diceva: “Amate la scuola”, perché è il luogo privilegiato per incontrare i
giovani (domandiamoci: dove si possono incontrare tanti giovani, i ragazzi e
con essi anche i loro genitori… come in una scuola … vediamo la difficoltà che
si vivono nelle parrocchie per averli presenti anche per quanto riguarda la
preparazione a ricevere i Sacramenti… o per le
attività e proposte
formative….). Trascurare o peggio smobilitare questo fronte è un errore
strategico dalle conseguenze irreparabili. Tanto più grave oggi a fronte della
crisi di credibilità e significatività delle altre istituzioni a cominciare dalla
famiglia. Per molti giovani la scuola è rimasta l’unica ancora di salvezza a loro
disposizione, dove poter incontrare persone di cui fidarsi, capaci di introdurli
nella vita dei valori, a sostenerli ed accompagnarli nelle loro scelte decisive.
Quindi incoraggiava a non “scoraggiarsi di fronte alle difficoltà che la sfida
educativa oggi presenta”. Concetti analoghi li ha riproposti nei giorni scorsi
incontrando i partecipanti al Congresso sull’Educazione cattolica e al Convegno
dell’AGESC.
La riflessione e l’impegno della Chiesa: i documenti esplicativi della GE
Da qui si evince che questo tema continua ad essere di scottante attualità e
infatti nel periodo post - conciliare, la Congregazione per l’Educazione
Cattolica, sorta appunto per sviluppare e dare esecuzione
ai principi
fondamentali enunciati nella Dichiarazione circa l’educazione cristiana, più volte
è intervenuta con propri documenti: ne ricordiamo alcuni: La scuola cattolica
oggi in Italia (1977) – Il Laico cattolico testimone della fede nella scuola
(1982) - Orientamenti educativi sull’amore umano. Lineamenti di educazione
sessuale (1983) – Dimensione religiosa dell’educazione nella scuola cattolica
(1987) – La scuola cattolica alle soglie del terzo millennio (1997) – Le persone
consacrate e la loro missione nella scuola (2002) – Educare al dialogo
interculturale nella scuola cattolica (2013): si tratta di temi che si trovano
enunciaiti nella GE e che sono stati sviluppati in questi documenti. La GE si
inserisce dunque nel processo di una profonda evoluzione nella concezione
della scuola in generale e di quella cattolica in particolare. Tale evoluzione
continua anche ai giorni nostri, questo tempo caratterizzato da nuove sfide
inedite, alle quali occorre dare sempre una risposta. Ricordiamo ancora la
lettera di Papa Benedetto XVI alla Diocesi e alla Città di Roma sull’emergenza
educativa, (2013), i discorsi su questo argomento alla CEI, al Capitolo
Generale dei Salesiani, il Documento “Educare alla vita buona del Vangelo”
della CEI (2010) per questo decennio, ecc… fino alla Nota Pastorale “La Scuola
Cattolica, risorsa educativa della Chiesa locale per la Società”(2014).
Se noi li analizziamo scopriremo come in questi interventi si coglie lo spirito
del Concilio, aperto al dialogo con tutte le realtà che operano nel campo
educativo… non si trova mai contrapposizione, per esempio con lo Stato, ma si
offre disponibilità alla collaborazione, perché “l’interesse della Chiesa è rivolto
al bene di tutto il paese e la cura pastorale è per sua natura rivolta a tutti
indistintamente i giovani, nei quali essa ravvisa il proprio futuro legato a
quello dell’Italia”. Per cui si chiede che la libertà di educazione venga
riconosciuta non solo nei doveri da osservare ma anche nei diritti che spettano
per giustizia alle famiglie, come garantito dalla Costituzione.
Per finire…
Allora - e concludo -, perchè questo ricordo del 50° del documento conciliare
“Gravissimum Educationis” non si riduca ad una retorica ed intellettualistica
celebrazione, è necessario che l’impegno per
l’educazione, non rimanga
un’utopia, ma diventi per ciascuno di noi un progetto ideale condiviso, una
pratica quotidiana di vita, una ulteriore ragione per portare l’Italia nell’area del
riconoscimento dei diritti umani fondamentali, com’è appunto quello della
libertà della scelta educativa.