Le nuove frontiere della biologia e della genetica del comportamento

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MARGINALIA
LE NUOVE FRONTIERE DELLA BIOLOGIA E
DELLA GENETICA DEL COMPORTAMENTO
GIOVANNI IANNUZZO
I progressi delle scienze di base e le
nuove acquisizioni che esse hanno
tesaurizzato si sono tradotti – e si
traducono continuamente – in un fattore
di tale potenza da cambiare la nostra
visione del mondo. Questo, nella storia
della scienza, è da sempre avvenuto,
anzi forse è proprio questo il motivo
profondo del divenire della conoscenza
scientifica. Il problema è che un tempo
ciò accadeva nel corso di lunghi periodi,
dopo decenni di duro lavoro (oggi lo
considereremmo
artigianale…)
di
uomini di scienza pazienti ed ispirati.
Oggi è diverso. La produzione di
conoscenza scientifica è una parte
fondamentale del vivere moderno. La
scienza non è più l’espressione delle
bizzarre curiosità di uomini geniali, ma
una istituzione fondamentale della
società moderna. Grazie al progressivo
raffinarsi di metodi e modelli di ricerca,
i cambiamenti che si producono sono
velocissimi, le acquisizioni si sommano
le une alle altre con una rapidità
impensabile non dico ai tempi di
Copernico, ma nemmeno ai tempi di
Darwin, di Einstein o Freud – cito solo
tre grandi “maestri del pensiero”
moderni. Oggi, giorno per giorno, ora
per ora, la conoscenza scientifica
aumenta, si perfeziona, influenza il
nostro vissuto quotidiano. Una delle
aree del sapere nelle quali tutto ciò ha
effetti quotidianamente rivoluzionari è il
comportamento umano. La storia della
psichiatria e più in generale delle
neuroscienze, è storia che nasce dalla
filosofia. Sono stati necessari secoli per
passare alla biologia e poi alla la
genetica. Quel timido abate Mendel che
nella pace dell’orto di un convento
coltivando piselli e osservando le
complesse variazioni delle sue culture,
ha prodotto una delle più importanti
rivoluzioni della scienza moderna. Le
leggi della genetica – e la loro verità –
hanno cambiato la nostra visione del
mondo.
Per millenni, la conoscenza scientifica
ha subito il predominio incontrastato, e
spesso arrogante, di religione, etica e
per certi versi anche di una parte della
filosofia.
Da decenni, ormai,
l’attenzione si è spostata, nella
valutazione della realtà, dallo spirituale
al fisico, ma un fisico che non è fine a
se stesso o negazione, per chi vuole,
dello spirituale. E’ semplicemente un
mutamento di prospettiva. Se io vedo le
cose da una certa angolazione mi
appariranno diverse da come mi
apparirebbero se io le vedessi da una
prospettiva diversa. La biologia ha così,
in base a questo semplicissimo “punto
di vista”, prodotto un cambiamento
fondamentale nello studio delle leggi
delle natura e che inizialmente ha
riguardato
solo
aspetti
“fisici”
dell’esistenza,
permanendo
la
convinzione che esistono reami
intangibili della conoscenza umana
soggettiva e della umana realtà. Restava
ferma insomma la convinzione che per
quanto potessero progredire le nostre
conoscenze
sulla
natura
fisica
dell’essere umano, e con tutto il rispetto
della sua parte animale, qualcosa
dovesse essere riservata ad altri
dominion. Così, per decenni, si è
pensato che in fondo i biologi potessero
dire tutto quello che volevano, ma che
non potevano valicare i confini di un
Rubicone intellettuale, religioso ed etico
che garantiva esclusivamente stabilità
sociale. Si tratta di un panorama
desolante, ammettiamolo, che ha negato
le principali affermazioni libertarie
dell’Illuminismo e che ha affidato alla
scienza un semplice ruolo ancillare
rispetto ad altri modi di acquisire
conoscenze. Ricerca quanto vuoi, ci si
dice, metti pure in discussione l’etica e
la morale comune, ma “noli me
tangere”; insomma, stammi a tre passi
almeno di distanza, non avvicinarti
troppo e lascia che, così come tu
gestisci il potere sulla materia, io
gestisca il potere sullo spirito. E’ stato
un fatto che, nella sua apparente
banalità, ha influenzato non solo i
rapporti fra scienza e religione, ma
anche le strutturazioni ideologiche della
psicologia; è stato come se fosse stato
sancito che esistesse da un lato il corpo,
dall’altro la mente ed in mezzo un’area
indefinibile, laddove le bande armate
dell’etica in integralista religiosa – poi
divenuta dopo secoli di pressioni e
persecuzioni, etica comune – potevano
devastare e distruggere, imporre dogmi
feroci e scorrerie spaventose, chiedendo
però a tutti di esserne persino felici
(strano a dirsi, ma anche oggi, almeno
in parte, è così). E’ duro dovere
ammettere che l’etica religiosa, in tutte
le sue forme, ma in particolare in quelle
più estremiste, crea solo perplessità e
dubbi, tendendo fondamentalmente a
gestire il potere etico. La scienza non è
– per definizione e per principio – antireligiosa. E’ solo scienza. E nel campo
del comportamento umano ha fatto
davvero passi da gigante. Sappiamo
oggi molte cose in più sul
comportamento umano di quanto ce ne
abbiano suggerito i testi sacri.
Sarebbe il caso, io credo, di rivalutare,
così,
la
nostra
“animalità”
e
contemporaneamente di potenziare la
nostra “umanità”. Di ciò dovrebbero
tenere conto non solo i ricercatori nel
campo delle scienze biologiche e i
“neuroscienziati”,
ma
anche
le
istituzioni che detengono, il dominio
dell’etica umana.
Si tratta di considerazioni che
riguardano molti aspetti del nostro
quotidiano: la vita affettiva, sessuale,
relazionale, il nostro concetto di
“famiglia”, il nostro concetto di abituale
e quotidiano comportamento, il
funzionamento stesso del nostro
cervello. Ci si pone spesso, a fronte di
queste evidenze, la storica diatriba fra
“natura” e “cultura” quasi che
l’ammissione della forza determinante
della biologia nel determinare il
comportamento
umano
sia
in
contraddizione con la formazione e
l’esistenza stessa di una “cultura” che –
come in fondo suggeriva lo stesso Freud
– dovrebbe correggere le “parti animali”
della nostra natura.
E’ una contraddizione che, in realtà non
esiste. Il fatto che noi abbiamo costruito
delle culture dipende anch’esso dalla
nostra encefalizzazione, e quindi da
fattori puramente biologici. Se poi
esistono altri fattori di natura non
“materiale” non è argomento che
riguardi direttamente la scienza.
Dobbiamo ammettere che oggi la
biologia
e
la
genetica
del
comportamento (argomento al quale la
rivista Science ha dedicato una special
section in un numero abbastanza
recente) è la nuova frontiera delle
scienze psichiatriche. Fuori dagli
psicologismi e dai sociologismi di
maniera, dalle interpretazioni soggettive
e dai sistemi di credenza religiosi
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bisogna solo constatare un dato di fatto:
la fine dell’antropocentrismo ed il
ritorno dell’homo sapiens sapiens a
quel contesto biologico al quale
appartiene. Una bella descrizione, così,
del
rapporto
tra
genetica
e
comportamento è stato suggerito
dall’editoriale di Story Landis (
direttore del National Institute of
Neurological Dosorders and Stroke del
National Institute of Health, U.S.A.) e
Thomas R. Insel (direttore del National
Institute of Mental Health, National
Institute of Health, U.S.A.) , proprio sul
numero di Science al quale facevo
riferimento prima ( 7 novembre 2008, p.
821):
“ One area of neurogenetics seeks the
molecular basis for complex behaviors that
range from mate choise in flies and social
status in fish, to fidelity in voles and
humans. Our intuition tells us that it should
be easier to identify the mechanism
underlying a simple reflex behavior (escape
from threat) than a complex one (mate
selection). But recent findings suggest that
apparently simple genetic mechanisms may
underlie
some
ostensibly
complex
behaviors. The field is just beginning to
identify mechanism for adaptive behaviors
that are both parsimonious and profound”.
La copertina del numero di Science che ha
dedicato una special section alla genetica del
comportamento
E’ una riflessione di grande interesse.
Certo, non è facile accettare l’idea che
aspetti complessi e sottili del
comportamento umano (dalle relazioni
sociali all’infedeltà) possano benissimo
essere spiegati dalla biologia e dalla
genetica. E comprendo abbastanza bene
chi reputa questa prassi spoetizzante e
riduzionista. In realtà però non credo
che le cose stiano in questo modo.
Poesia, arte, filosofia, religione, sistemi
di credenza e sentimenti umani non
vengono cancellati dalla ricerca
scientifica, non possono esserlo. Sono
altri modi di vedere il mondo e le cose
ed in quanto tali esisteranno sempre. La
ricerca scientifica sul comportamento
umano è qualcosa di molto diverso. E’ il
tentativo continuo, inarrestabile di
trovare - per usare una celebre
espressione di Huxley - il posto
dell’uomo nella natura, qualunque esso
sia. Non c’è poesia che tenga, non c’è
etica che resista, semplicemente perché
poesia, arte ed etica appartengono a
quel posto, a quella nicchia ecologica, a
quel prodigioso evento che è stato
l’evoluzione. Il problema consiste
soltanto nel rendersi conto che il
riappropriarsi del proprio posto nella
natura, il sentirsi parte di quel
continuum biologico al quale si
appartiene non significa negare
espressioni dell’arte o del sublime o
dell’anima o della morale individuale o
di gruppo. Significa soltanto cercare il
vero oltre ogni illusione, navigare in un
oceano di dubbi alla ricerca della
conoscenza, dare un vero senso alla
spiritualità umana. E’ l’impresa più
audace mai tentata dalla nostra specie.
Non so se farlo possa essere poetico,
gratificante, eticamente adeguato. So,
però, che non farlo sarebbe il più grande
peccato contro lo spirito.
© Giovanni Iannuzzo, marzo 2009
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