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L UIGI V EROLINO
Introduzione
alle reti elettriche
Prof. Ing. Luigi Verolino
INTRODUZIONE ALLE RETI ELETTRICHE
Copyright © 2013, EdiSES S.r.l. – Napoli
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Le cifre sulla destra indicano il numero e l’anno dell’ultima ristampa effettuata.
A norma di legge, le pagine di questo volume non possono essere fotocopiate o ciclostilate o comunque riprodotte con alcun
mezzo meccanico. La Casa Editrice sarebbe
particolarmente spiacente di dover promuovere, a sua tutela, azioni legali verso coloro
che arbitrariamente non si adeguano a tale
norma.
L’Editore
a cura di:
Prof. Ing. Luigi Verolino
Università Federico II di Napoli
Dipartimento di Ingegneria Elettrica Napoli
Fotocomposizione : EdiSES S.r.l. – Napoli
Fotoincisione: Print Sprint - Napoli
Stampato presso la
Litografia di Enzo Celebrano - Napoli
per conto della
EdiSES – Napoli
http://www.edises.it
ISBN 978-88-7959-778-4
e-mail: [email protected]
I N T R O D U Z I O N E
L’ambiente quotidiano è pienissimo di cose che vengono comunemente chiamate elettriche oppure elettroniche. Basta guardarsi intorno: la lampada che illumina il tavolo, lo scaldabagno, il frigorifero, il ferro da stiro, il ventilatore sono tutti oggetti etichettati come elettrici; la radio, il televisore, il telefono,
l’elaboratore elettronico vengono classificati, invece, come elettronici. Senza soffermarsi troppo sulla
distinzione fra i due termini, elettrico ed elettronico, distinzione che sarà sempre più chiara man mano che lo studio di questo testo progredirà, uscendo di casa, le cose non cambiano molto: tram, treni,
filobus, funivie, sono elettrici; le stesse automobili, che, purtroppo, elettriche ancora non sono del tutto, contengono fari, candele, motorino di avviamento e tutti quei dispositivi elettronici che fanno accendere spie e luci sul cruscotto. Non vi è proprio alcun dubbio: si vive in un mondo veramente ... elettrizzante.
Di notte, molte città diventano veri e propri spettacoli di luci sfavillanti: le insegne luminose utilizzano
lampade al neon ed altri gas che si illuminano al passaggio della corrente elettrica. Per una grande
città, l’elettricità è come il sangue che scorre nelle vene e nelle arterie: se per qualche incidente viene
a mancare l’energia elettrica, tutto si paralizza e salta. I semafori si spengono, la metropolitana si ferma, gli ascensori si bloccano, le case restano senza illuminazione, le fabbriche sono costrette a fermare il ciclo produttivo. Ecco perché molti edifici importanti, come gli ospedali, tengono sempre dei generatori di elettricità autonomi che, in caso di black-out, entrano in funzione: cosa mai accadrebbe, se
si interrompesse l’energia elettrica durante un delicato intervento chirurgico!
Molti animali inviano segnali elettrici per trasmettere dei messaggi. Alcuni pesci possono generare anche elettricità ad elevato potenziale: l’anguilla elettrica può produrre scariche a 500 volt, sufficienti ad
immobilizzare un uomo. Di norma, questo pesce usa questa energia per catturare le sue prede ma,
seppure ad intensità molto più basse, per orientarsi e comunicare con altri animali. Le torpedini producono tensioni di 200 volt con potenze di 2000 watt. È probabile che la funzione dell’organo elettrico sia stata primariamente di natura difensiva ed offensiva, con lo stordimento e la cattura delle prede, che si è poi evoluta come strumento in grado di fornire utili informazioni sull’ambiente circostante nei pesci con abitudini notturne o viventi in acque torbide. La capacità che hanno certi pesci di
orientarsi attraverso variazioni del campo elettrico rappresenterebbe quindi una forma di convergenza evolutiva, sviluppatasi in specie sistematicamente lontane fra di loro che hanno però adottato la
stessa soluzione per sopravvivere sui fondali melmosi, dove possono cacciare anche di notte. Il Gimnoto ha una struttura allungata, senza pinna dorsale né ventrali, e la maggior parte di essi è dotata di organi elettrici capaci di creare nell’acqua dei veri e propri campi elettrici atti a favorire l’individuazione di eventuali nemici, prede od ostacoli, così da costituire un’efficace arma di difesa od offesa. La distribuzione geografica della cinquantina di specie che costituiscono il gruppo va complessivamente
dal Guatemala al Rio de la Plata. Degli elettroforidi è unico rappresentante l’elettroforo elettrico (Electrophorus Electricus) dell’America meridionale, che assume ossigeno dall’aria, portandosi in superficie
a respirare una volta ogni quarto d’ora. L’ossigeno atmosferico viene respirato tramite un tessuto vascolare presente nella bocca.
IV
Introduzione alle reti elettriche
Gimnoto, anche conosciuto come anguilla elettrica.
Molti animali luminescenti scaricano all’esterno le loro sostanze generatrici di luce. I molluschi producono un muco luminoso che lasciano strisciando sul terreno; alcuni vermi terrestri espellono una
sostanza vischiosa luminosa, e alcuni calamari, quando sono disturbati, emettono una nuvola di fluido. Altri, come lucciole, protozoi, gamberi e pesci, generano la luce per mezzo di reazioni che avvengono all’interno delle loro cellule. Il meccanismo di emanazione della luce è complicato e non ancora ben spiegato; l’acqua sembra indispensabile, in quanto gli organismi fosforescenti o i loro prodotti
perdono la luminosità quando sono troppo all’asciutto e la riacquistano con l’aggiunta di acqua. La
maggior parte degli animali, poi, ha bisogno di ossigeno per produrre luce, anche se talvolta è sufficiente una minima quantità. L’emissione di luce è causata da due diverse sostanze: la luciferina, termoresistente, e la luciferasi, proteica e termolabile. La luce, che si manifesta quando questi due corpi
vengono mescolati in presenza di acqua e ossigeno, sarebbe l’espressione di un azione ossidoriduttiva.
La luce prodotta dagli organismi è caratterizzata da uno spettro continuo, ma notevolmente più corto, ai due estremi, di quello solare. L’emissione di luce assume la colorazione giallo-verde, tuttavia in
molti casi, specialmente nei cefalopodi e nei teleostei, provvisti di organi luminosi assai complessi, nell’effetto cromatico interviene l’azione di apparati riflettori, di lenti o di schermi di cromatofori, che
modificano il colore iniziale, per fenomeni di interferenza o di assorbimento, in modo tale che un animale può emettere diversi colori differenti.
Meduse luminesecenti.
Anche la vita dell’uomo è determinata da fenomeni elettrici. Senza dover incorrere in eccessi, si può
dire che le esperienze cerebrali e nervose, la respirazione, il ritmo cardiaco sono controllati da organi
che sono praticamente dei dispositivi elettrici.
L’elettricità illumina, riscalda, raffredda, muove gli oggetti, fa funzionare i calcolatori elettronici, consente di ricevere suoni ed immagini. È una forma di energia utilizzata in mille modi diversi e buona
Introduzione
V
per tantissimi usi: è, infatti, possibile produrla, trasformarla e trasportarla piuttosto facilmente, facendole svolgere tanti compiti utilissimi all’uomo. Insomma, l’elettricità è dovunque, dentro e fuori di
noi.
Viene spontaneo, allora, domandarsi cosa abbiano in comune tutte queste cose e come funzionino.
Purtroppo, non è facile dare risposte soddisfacenti a queste domande e ci vorrà molto impegno sia da
parte di chi studia che da parte di chi scrive ed il desiderio reale di voler capire.
Per tentare di dare una prima, seppur parziale risposta, si cominci ad osservare i più semplici oggetti
elettrici, tentando di scoprire se hanno qualcosa che li accomuni. Cosa hanno in comune la lampada
che è sul tavolo ed uno scaldabagno? Ben poco, si dirà. A ben guardare, però, qualcosa di simile ce
l’hanno. Hanno un involucro, sia pure di forma diversa, da cui esce un filo. A guardare meglio, si vede poi che questo filo, solitamente chiamato cavo, è a sua volta fatto di più fili più sottili, tenuti insieme da una sostanza plastica. Ma non basta: tanto il cavo della lampada quanto quello dello scaldabagno terminano con una spina da cui fuoriescono tre spinotti metallici; nelle vecchie case, a dire il vero, le spine hanno soltanto due spinotti e sono più pericolose. Un’altra cosa che hanno in comune
lampada e scaldabagno è che queste spine vanno inserite in certe speciali cassette, dotate di tre fori,
ed incassate nei muri, dette prese: molti le chiamano prese di corrente, ma sarebbe più corretto dire
che sono prese di tensione, come si avrà modo di approfondire più avanti. Infine, un’ultima cosa in
comune fra lampada e scaldabagno è che entrambi hanno un pulsante, un tasto, o qualcosa di simile,
che chiamiamo comunemente interruttore, che serve ad accendere e spegnere l’oggetto.
A questo punto, si potrebbe concludere che gli oggetti elettrici sono tutti dotati di un cavo, che questo
cavo termina con una spina, che questa spina va inserita in una presa. Se a ciò si aggiunge che ciascun
oggetto è dotato di un interruttore che provvede all’accensione ed allo spegnimento, il quadro sembra completo. Sarebbe già un bel passo avanti poter dire che tutti gli oggetti elettrici sono fatti così.
Purtroppo, non è vero.
È, infatti, difficile spiegare il funzionamento di un telefonino portatile o di una radiolina, che funzionano nei posti più strani, lontano da qualsiasi presa. In questi casi, niente fili, niente spine, niente prese, eppure funzionano.
Già queste semplici osservazioni bastano a far capire che le cose sono in realtà abbastanza complicate
e che non è possibile pretendere di affrontarle tutte insieme. Bisogna andare per gradi, distinguendo
diversi tipi di oggetti, che vanno esaminati uno alla volta. Perciò si comincerà da quelli più semplici,
come la lampada o lo scaldabagno, per passare poi, con gradualità, a quelli più complicati. In questo
libro, senza utilizzare il complicato apparato delle equazioni del campo elettromagnetico, si tenterà di
dare alcune spiegazioni, almeno quelle più semplici. Altri volumi spiegheranno dispositivi e funzionamenti più complessi, ma facendo uso di un apparato fisico-matematico più sviluppato.
Scopo del testo
Questo testo è pensato per un corso introduttivo sui circuiti elettrici per il nuovo ordinamento degli
studi universitari e rappresenta il primo libro di Elettrotecnica. Ha, di conseguenza, lo scopo di portare l’allievo, che si suppone abbia già conoscenze universitarie di Matematica e Fisica, a comprendere
come diversi oggetti del vivere quotidiano possano essere schematizzati secondo un modello elettrico,
convinti che, come diceva il grande matematico ungherese, poi naturalizzato americano, John von
Neumann, uno dei padri della moderna Informatica
“le scienze non tentano di spiegare, e difficilmente anche tentano di interpretare, ma si occupano principalmente di
costruire modelli”.
VI
Introduzione alle reti elettriche
Un modello è una costruzione matematica che, con l’aggiunta di certe interpretazioni fisiche, descrive alcuni fenomeni osservati nella realtà. Il resistore, il condensatore, l’induttore, il trasformatore, di
cui si parlerà diffusamente nel seguito, sono dispositivi elettrici con i quali si ha, forse, una certa familiarità; tuttavia, comprendere quando un dispositivo possa, ad esempio, essere considerato un resistore, non è cosa banale. In particolare, verrà posto l’accento su tutti quegli aspetti che danno conto del
funzionamento di sistemi apparentemente molto diversi tra di loro: dal tradizionale circuito elettrico,
ai dispositivi integrati che sono alla base della moderna Elettronica, dai componenti microscopici che
hanno consentito l’incredibile sviluppo degli odierni elaboratori elettronici, agli impianti di grandi dimensioni che consentono la distribuzione dell’energia elettrica in modo capillare.
Ma questo libro vuole insegnare anche ad utilizzare le diverse tecniche per mezzo delle quali è possibile risolvere un circuito. Con questa espressione si intende dire calcolare la tensione e la corrente relative a ciascun bipolo del circuito e, per raggiungere questo obiettivo, è necessario:
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sapere come è fatta la rete;
conoscere le leggi da applicare;
avere informazioni sulla ‘natura’ dei bipoli che costituiscono la rete;
sapere come e quante volte applicare le leggi;
trovare metodi rapidi ed efficienti per sviluppare i calcoli.
Ancora qualche parola sull’importanza del saper risolvere un qualsiasi circuito. Quando si pensa ad
un oggetto, costruito o da costruire, elettrico o non elettrico, quel che davvero ci interessa è che esso
funzioni bene: questo vuol dire che risponda bene agli scopi per i quali è stato costruito, oppure si intende costruirlo. Ora, per riuscirci, occorre innanzitutto che si abbia ben chiaro in mente come funziona, se è già costruito, oppure come si vuole che funzioni, se si deve ancora realizzarlo. Si pensi, per
esempio, ad una bicicletta: è chiaro che, per funzionare, ci vogliono i pedali che fanno muovere la catena, la quale, a sua volta, trasmette il moto alle ruote, che fanno muovere l’intera bicicletta (incluso
il guidatore che, seduto sul sellino, spinge i pedali). Dal punto di vista qualitativo, potremmo contentarci di quanto appena detto per comprendere il funzionamento della bici; se vogliamo, però, progettare una bici nuova, oppure anche semplicemente capirne il funzionamento da un punto di vista non
soltanto qualitativo, ma anche quantitativo, avremo bisogno di acquisire molte altre informazioni, tra
le quali con che forza bisogna spingere sui pedali per avanzare ad una certa velocità, come cambia
questa forza quando si va in salita, oppure in discesa, e così via. Si deve, insomma, saper ‘risolvere’ il
problema del moto della bici, vale a dire calcolare tutte le grandezze di interesse, quali forze, velocità,
peso, resistenza offerta dall’aria.
Per un qualsiasi circuito elettrico, si è in una situazione, per certi versi, analoga, ma, generalmente,
più complicata. Analoga, perché per capire quantitativamente come funziona, si ha bisogno innanzitutto di sapere ‘risolvere’ il circuito, e cioè di saperne calcolare tutte le grandezze di un qualche interesse, vale a dire tensioni, correnti, potenze, energie; più complicata, perché gli elettroni che si muovono nei fili, le correnti e le tensioni, non riusciamo materialmente a vederli, come vediamo le ruote
oppure i pedali della bicicletta. Ne deriva che il saper ‘risolvere’ un dato circuito, già costruito oppure da progettare, non basterà per capire bene come funziona, o dovrebbe funzionare, secondo le nostre intenzioni. Quel che è certo, però, è che, se non si è capaci di risolvere correttamente il circuito,
non si è nemmeno nelle condizioni di farlo funzionare come si vuole, né di progettarlo o ripararlo.
In questo testo, quel che ci proponiamo di fare è molto ambizioso: vogliamo insegnarvi a risolvere
qualsiasi circuito, fornendo tutti gli elementi per poterlo fare, partendo dalle leggi da applicare. Dopo
aver introdotto gli elementi di base, che chiameremo bipoli, impareremo a ‘risolvere’ gli insiemi di
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VII
più bipoli comunque collegati tra loro, detti reti elettriche, esaminandone tutti i metodi di analisi. Dopo aver introdotto le variabili che ne descrivono il funzionamento, si esamineranno i fondamenti della teoria dei circuiti elettrici, dato che alcuni concetti e schemi caratteristici del modello circuitale trovano larga applicazione anche in campi in cui sembrerebbe difficile adattarli, come nella teoria dei cosiddetti circuiti a microonde, oppure in sistemi, come le antenne, in cui la propagazione delle onde è
un fattore dominante.
Questo approccio ha certamente il pregio di possedere una certa sistematicità ed organicità, ma può
allentare la connessione con i fenomeni fisici che quel modello descrive. È, pertanto, di grande importanza didattica non rinunciare, neppure in un corso introduttivo di Elettrotecnica, a fornire quegli
elementi di connessione con il vasto campo di fenomeni che vengono detti elettromagnetici, così compiutamente descritti dal modello introdotto, nella seconda metà dell’ottocento, dallo scienziato scozzese James Clerk Maxwell (Edimburgo, 13 giugno 1831 - Cambridge, 5 novembre 1879) e racchiuso
nel suo celeberrimo sistema di equazioni. Per questo motivo, laddove è sembrato più opportuno, sono
state approfondite le connessioni tra teoria elettromagnetica e modello circuitale con brevi richiami
di nozioni elementari di elettromagnetismo.
Struttura del volume
Si passa ora ad esaminare sinteticamente come è organizzato il volume, in modo che almeno le istruzioni per l’uso siano le più chiare possibili. Questo testo è diviso in dieci capitoli, ciascuno dei quali
rappresenta un’unità didattica e corrisponde mediamente a circa cinque ore di lezione frontale, ed affronta sostanzialmente tre grossi argomenti:
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studio delle reti in regime stazionario, comunemente detto corrente continua;
analisi delle reti in regime dinamico, comunemente detto transitorio;
esame delle reti in regime sinusoidale, comunemente detto corrente alternata.
Più precisamente, si parte dal concetto di bipolo e dalle leggi circuitali, per arrivare allo studio dei metodi di soluzione delle reti in regime stazionario, laddove sussistono soltanto difficoltà algebriche. Si riprende poi passando dall’analisi delle reti in regime dinamico, laddove si presentano le equazioni differenziali, per concludere il volume con lo studio delle reti elettriche in regime sinusoidale, comunemente detto corrente alternata, e delle reti trifasi, il cui studio si fonda sulla conoscenza dei numeri
complessi. Partendo dall’assunto che sapere vuol dire saper fare, ogni parte del testo è corredata di diversi esempi completamente svolti e di altri di cui si fornisce la sola soluzione. Lo studente, prima di iniziare un nuovo capitolo, farebbe bene a leggere con attenzione gli obiettivi formativi, sintetizzati nelle
righe iniziali, allo scopo di trarre il massimo vantaggio dallo studio.
Sintesi storica
Da sempre l’uomo ha tentato di capire i fenomeni elettrici nei quali si imbatteva nella vita di tutti i
giorni. Sin dalla scoperta delle prime manifestazioni della carica elettrica, molti uomini di Scienza
hanno tentato di scoprire le leggi che regolano i fenomeni elettrici: elencarli tutti sarebbe impossibile, oltre che inutile. È opportuno, tuttavia, fornire una breve, forse lacunosa, sintesi storica che riporti
i principali eventi, gli uomini e le scoperte che hanno lasciato un segno nello sviluppo e nella comprensione dei fenomeni elettrici e magnetici. Molti dei personaggi riportati, probabilmente, sono già
noti e taluni daranno nome alle unità di misura delle principali grandezze elettriche.
VIII
Introduzione alle reti elettriche
Gli albori
Gli uomini primitivi avevano certamente sperimentato le proprietà della magnetite, un minerale magnetizzato, in grado di sollevare pezzi di ferro. Nella antica Grecia, all’inizio del sesto secolo avanti Cristo, Talete di Mileto (640 a.C. - 548 a.C.), il primo filosofo della storia occidentale, scoprì che l’ambra,
che in greco si chiama èlektron, se strofinata con un panno di lana, acquista la caratteristica di attrarre
corpi non troppo pesanti quali, ad esempio, piccoli pezzi di paglia. Solo tre secoli dopo, negli scritti di
Teofrasto (Ereso, isola di Lesbo, 371 a.C. - Atene, 288 a.C.), vengono menzionati altri materiali aventi
la stessa proprietà.
Moneta da una lira di San Marino con l’immagine di Talete.
Nell’antica Roma, nelle Naturales quaestiones, Lucio Anneo Seneca (Córdoba, 5 a.C. - Roma, 65 d.C.)
tentò per primo di distinguere i diversi effetti del fulmine, indicandone tre tipi con caratteristiche differenti: il fulmine che incendia, quello che distrugge e quello che non distrugge. Bisogna, nondimeno, arrivare alla metà del settimo secolo dopo Cristo per trovare le prime verifiche sperimentali relative al fatto che due corpi dello stesso materiale carichi elettricamente si respingono, mentre materiali
differenti, come il vetro e l’ambra, anch’essi elettricamente carichi, si attraggono. La deduzione logica
fu che esistevano due differenti tipi di elettrizzazione.
I primi esperimenti scientifici
Anche se alcuni fenomeni elettrici e magnetici erano noti fin dall’antichità, si può certamente dire
che fu il fisico inglese William Gilbert (Colchester, 24 maggio 1544 - Londra, 30 novembre 1603), conosciuto anche come William di Colchester, ad iniziare i primi studi scientifici di magnetismo, grazie
ad una pensione della Regina Elisabetta. Il De Magnete è il testo nel quale espose, intorno al 1600, i risultati delle sue ricerche sul magnetismo e sulla natura dei magneti. Gilbert, il primo ad introdurre il
termine elettricità, scoprì che l’ambra, il vetro, lo zolfo ed alcune resine, strofinate con un tessuto, sono in grado di attrarre degli oggetti leggeri, mentre una calamita attrae soltanto il ferro. Altro interessante personaggio di questo periodo fu Giovanni Battista Della Porta (Vico Equense, 1 novembre
1535 - Napoli, 4 febbraio 1615). Fu famosissimo ai suoi tempi come filosofo, alchimista e commediografo. Scrisse quattordici commedie in prosa, una tragicommedia, una tragedia ed un dramma liturgico, che divennero fonte di numerose opere successive; oggi è appena ricordato nella storia della Fisica e della Chimica per alcune invenzioni e scoperte. Della Porta era un personaggio versatile che fece
interessantissime osservazioni, nei quattro libri Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium, poi
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IX
compendiati in un sol volume nel 1584, sul magnetismo e le calamite. Una curiosità di quest’opera,
che fu largamente diffusa e tradotta dal latino nelle principali lingue europee: l’autore dichiara nella
prefazione di averla scritta all’età di soli quindici anni.
Verso la metà del 1600, vennero eseguiti in Europa ed in America i primi esperimenti allo scopo di capire il tipo di energia e le sue caratteristiche. I primi esperimenti e macchinari elettrostatici vennero
messi a punto dal fisico e matematico tedesco Otto von Guericke (Magdeburgo, 20 novembre 1602 Amburgo, 11 maggio 1686), che costruì la ‘sfera elettrostatica’ a strofinio. Essa era costituita da una
semplice sfera di zolfo (magnitudine ut caput infantis), che veniva fatta girare intorno ad un’asta di ferro passante per il suo centro ed elettrizzata dal semplice strofinio di una palma satis sicca. Mediante tale macchina, Guericke osservò il crepitio e la luminescenza che accompagnano l’elettrizzazione del
globo, cominciando a parlare di fuoco elettrico. Inoltre mostrò come lo stato elettrico di un corpo si potesse trasmettere anche a distanza mediante particolari corpi deferenti:
questo globo di solfo, eccitato prima con la frizione, può esercitare la sua virtù anche attraverso un filo di lino lungo un’ulna o anche più e all’estremità attrarre ancora qualcosa.
D’altra parte, l’olandese Pieter van Musschenbroek (Leida, 14 marzo 1692 - ivi, 19 settembre 1761), professore all’università di Leida, proprio nello stesso periodo, ebbe il merito di concepire e costruire la famosa ‘bottiglia di Leida’, il primo apparecchio in grado di accumulare energia elettrica, oggi si direbbe
il primo condensatore, così da permettere l’esecuzione di vari esperimenti e ricerche scientifiche. Il
1745 fu un anno fondamentale per la storia dell’elettricità. Vari ricercatori, nel tentativo di elettrizzare,
in maniera non convenzionale, l’acqua, si imbatterono in un fenomeno straordinario, quanto inaspettato. Così racconta van Musschenbroek che aveva realizzato l’esperimento nel suo laboratorio di Leida:
Avevo sospeso a due fili di seta blu una canna di ferro AB la quale riceveva per comunicazione elettricità da un globo di vetro ruotante velocemente sul proprio asse mentre era strofinato applicandovi le mani; all’altra estremità B
pendeva liberamente un filo d’ottone la cui cima era immersa in un vaso rotondo di vetro D, parzialmente pieno
d’acqua, che io tenevo nella mia mano destra. Mentre con l’altra mano E tentavo di trarre scintille dalla canna di
ferro elettrizzata. All’improvviso la mia mano destra F fu colpita con tanta violenza che il mio corpo fu scosso come
da un fulmine.
Inoltre, il fenomeno si verificava solo se la bottiglia era tenuta in mano o sopra un buon conduttore,
mentre se essa era posta sopra un isolante, la virtù elettrica acquistata era appena percettibile. E questo fatto apparve subito inspiegabile sulla base delle conoscenze fino ad allora acquisite. Era stato realizzato un primo ‘condensatore di elettricità’, comunemente chiamato bottiglia o caraffa di Leida. Il vetro della bottiglia costituiva il dielettrico e le due armature erano formate dalla mano F e dall’acqua.
Nell’esperienza di Leida il circuito si chiudeva sul corpo tramite il filo, la canna di ferro e l’altra mano.
L’alta differenza di potenziale realizzata dalla macchina elettrostatica faceva sì che una parte non affatto trascurabile di carica elettrica penetrasse nel dielettrico stesso. In un certo senso, il condensatore che
si realizza con la bottiglia di Leida è costituito dal solo dielettrico, non perfetto, caricato su entrambe
le facce. Le armature non sono altro che strati conduttori che permettono una distribuzione della carica su tutte e due le superfici del dielettrico. Ben presto i fisici si accorsero che l’acqua aveva solo la
funzione di conduttore, e che l’efficacia della scarica dipendeva dalla superficie di vetro bagnata. L’acqua e la mano furono così sostituiti da leggeri fogli metallici aderenti alle pareti. Anche la forma del
vetro era inessenziale: in molti esperimenti alla bottiglia si sostituiva una lastra di vetro ricoperta con
due sottili fogli metallici, in generale di stagnola. Tuttavia la forma a bottiglia, per la sua praticità e trasportabilità, fu utilizzata fino alla metà dell’Ottocento.
X
Introduzione alle reti elettriche
Con la bottiglia di Leida i segni elettrici prodotti dalla scarica del primo conduttore venivano fortemente amplificati e tale strumento divenne di uso comune in tutti i laboratori e i salotti aristocratici,
anche se il suo funzionamento rimaneva in gran parte oscuro. La scarica elettrica cominciò ad essere
trasmessa attraverso lunghi fili di ferro ed il fisico francese Jean Antoine Nollet (Pimprez, 19 dicembre
1700 - Parigi, 24 aprile 1770), conosciuto come l’abate Nollet, al collegio di Navarra, fece provare la
scossa a più di seicento persone che si tenevano per mano; la prima persona della catena toccava la
boccia e l’ultima il primo conduttore.
La vera distinzione tra i differenti tipi di cariche va attribuita allo scienziato ed uomo politico nordamericano Benjamin Franklin (Boston, 17 gennaio 1706 - Filadelfia, 17 aprile 1790), colui che strappò il
fulmine al cielo e lo scettro ai tiranni, che chiamò ‘positive’ le cariche che si manifestano nel vetro e ‘negative’ quelle che si manifestano nell’ambra. Franklin viene ricordato ancora oggi per l’invenzione del
parafulmine e per i suoi studi sulle scariche atmosferiche, riassunti nei suoi Experiments and Observations on Electricity, pubblicati nel 1754, in cui dimostrò che il fulmine ha una natura elettrica.
Banconota americana da cento dollari con l’immagine di Franklin.
Ma nel 1759 nuovi esperimenti, dovuti a Robert Symmer (Galloway, Scozia, 1707 - Londra, 19 giugno
1763) riportarono alla ribalta la vecchia teoria dei due fluidi elettrici. La scoperta di Symmer non avvenne in laboratorio, ma nell’intimità della casa. Egli era solito portare d’inverno due paia di calze di
seta, un paio nero sopra ad un altro paio bianco. La sera, togliendosi entrambe le paia di calze, ed
avendole separate una dall’altra, notò che esse si erano elettrizzate per strofinio, ma mostravano uno
strano comportamento.
Entrambe le calze [bianche e nere] quando sono tenute a distanza l’una dall’altra appaiono gonfie a tal punto che
formano l’intera figura della gamba [...]. Quando le due bianche o le due nere sono tenute insieme alle estremità, si
respingono tra loro e formano un angolo di 30 o 35 gradi. Quando una calza nera ed una bianca vengono avvicinate esse si attraggono. ... Alla distanza di tre piedi si piegano di solito una verso l’altra; alla distanza di due piedi e
mezzo si afferrano; a distanze minori si avvinghiano con forza sorprendente. Nell’avvicinarsi, il loro rigonfiamento
si abbassa gradualmente, mentre l’attrazione verso corpi esterni diminuisce; quando si incontrano, si appiattiscono e
si stringono insieme. A questo punto le palline dell’elettroscopio non sono più sensibili. Ma la cosa che appare più
straordinaria è che quando le calze vengono di nuovo separate e portate a distanza sufficiente [esse si rigonfiano] e la
loro elettricità non sembra essersi minimamente indebolita dalla scarica che hanno avuto nell’incontrarsi.
La simmetria dell’esperimento faceva facilmente pensare all’esistenza di due distinti fluidi elettrici,
che si attirano vicendevolmente e si respingono tra loro, entrambi simultaneamente presenti in ogni
corpo, seppure in quantità diverse. La teoria a due fluidi sarà portata avanti dalla scuola francese, che
con le sue esperienze con la bilancia di torsione sarà in grado nel 1785 di ricavare la legge di attrazione e repulsione tra corpi elettrizzati.
Introduzione
XI
Ma l’aspetto che creava maggior difficoltà in questa esperienza era l’apparire di una nuova elettrizzazione dopo che il fluido elettrico era ritornato allo stato naturale nei due corpi in seguito al loro contatto. Più imbarazzante ancora era l’esperienza realizzata nel 1765 dal medico torinese Giovanni Francesco Cigna (Mondovì, 2 luglio 1734 - Torino, 16 luglio 1790).
Medianti fili di seta sospendevo una lamina di piombo piana e leggera affinché fosse isolata. Allora presentavo alla superficie piana del piombo un nastro [di seta] carico di elettricità vetrosa [...]. Se nel frattempo avvicinavo un
dito al piombo, tra questo e il dito balzava fuori una scintilla e da quell’istante il nastro si avvolgeva al piombo e,
aderendogli saldamente, lo sosteneva facilmente in tutto il suo peso [...]. Né il piombo né il nastro ad esso attaccato
davano più alcun segno elettrico. Se si staccava il nastro dal piombo, una nuova scintilla si sprigionava tra il
piombo e il dito presentatogli e il nastro si mostrava elettricio come prima.
Nel 1767 Giovanni Battista Beccaria (Mondovì, 3 ottobre 1716 - Torino, 27 maggio 1781), monaco, fisico e matematico italiano, elaborò una teoria per spiegare il tipo di fenomeni osservati da Symmer.
Secondo Beccaria, che seguiva la teoria pneumatica di Franklin, le calze di diverso colore hanno elettricità contrarie, rispettivamente positiva quella bianca e negativa quella nera, che si neutralizzano se
portate a contatto, esattamente come farebbero un pieno e un vuoto d’aria. Questa neutralizzazione
spiega il fatto che le calze aderenti non mostrano segni elettrici. A questo punto Beccaria ipotizava
che, separate nuovamente, le calze rivendicassero le elettricità prima possedute, cioè ritornassero rispettivamente positiva quella bianca e negativa quella nera. Questo strano processo di rivendicazione
non fu mai specificato da Beccaria, che lo elevò semplicemente al rango di un nuovo principio elettrico, a cui diede il nome di elettricità vindice, nel significato appunto di elettricità che i corpi rivendicano
a sé uguale a quella posseduta prima della scomparsa dei segni elettrici.
L’isolante dopo essersi unito coll’isolante [o con il conduttore] e dopo annullate le elettricità loro contrarie, in quanto che eguali, nell’atto che si disgiunge dall’altro corpo isolante ripiglia l’elettricità, cui aveva avanti di congiungersi.
Beccaria applicò il principio dell’elettricità vindice ad un altro importante: se un quadro di Franklin
carico viene scaricato creando un circuito esterno tra il lato positivo A e il lato negativo B, tutti i segni
elettrici cessano. Se ora si solleva, tenendola isolata, l’armatura giacente sulla superficie A del vetro, su
quest’ultima si osserva un’elettricità positiva, mentre l’armatura viene trovata negativa. Secondo Beccaria, ciò è avvenuto perché la superficie A del vetro ha rivendicato l’elettricità positiva inizialmente
posseduta, rubandola all’armatura, sulla quale si ritrova infatti un’elettricità negativa. Ed è a questo
punto che si inserisce con prepotenza nel dibattito scientifico Volta, di cui si dirà più avanti, non ancora ventenne, che entra in corrispondenza con Nollet e Beccaria. In particolare, con quest’ultimo, inizia un’accesa polemica, in quanto rifiuta l’ipotesi di una elettricità vindice, ritenendo invece che l’elettricità che si manifesta nel conduttore e nell’isolante dopo il loro distacco sia già presente in essi, in
quanto il contatto dei due corpi non distrugge la carica in esso raccolta, ma annulla solamente i segni
elettrici esteriori.
Le prime leggi
La legge, secondo cui la forza esercitata tra cariche elettriche è proporzionale all’inverso del quadrato
della loro distanza, fu determinata sperimentalmente intorno al 1766 dal chimico inglese Joseph Priestley (Yorkshire, 13 marzo 1733 - Pennsylvania, 6 febbraio 1804), il quale aveva cominciato a studiare i
fenomeni elettrici in seguito ad un incontro con Franklin avvenuto a Londra. Egli dimostrò pure che
una carica elettrica si distribuisce uniformemente sulla superficie di una sfera metallica cava e che, in
XII
Introduzione alle reti elettriche
condizioni di equilibrio, il campo elettrico all’interno di un conduttore è sempre nullo. Una ventina
di anni dopo, il medico e naturalista bolognese Luigi Galvani (Bologna, 9 settembre 1737 - ivi, 4 dicembre 1798) casualmente verificò nel suo laboratorio un fenomeno nuovo: i muscoli di una rana,
convenientemente preparata, i cui nervi lombari venivano toccati con la punta di una lancetta, si contraevano in concomitanza dello scoccare di una scintilla da una macchina elettrostatica. Questi primi
esperimenti di elettrologia con le rane convinsero Galvani dell’esistenza di un’elettricità animale, rivelatasi in seguito un errore.
Vecchia banconota italiana da diecimila lire con l’immagine di volta.
Nel 1792, il conte Alessandro Volta (Cannago, 18 febbraio 1745 - Como, 5 marzo 1827), che dà il suo
nome all’unità di misura del potenziale elettrico, il volt, appunto, iniziò con Galvani una accesissima
controversia, che si protrasse a lungo, sempre su un piano di estrema correttezza formale, testimoniando così l’uguale statura scientifica dei due avversari, sulla natura dell’elettricità ‘intrinseca all’economia animale’. Volta negò la validità degli esperimenti condotti da Galvani e dalla sua scuola, riuscendo a costruire un dispositivo, cui diede nome di apparato elettromotore, poi denominato pila. La
pila di Volta era costituita da una serie di dischi di zinco e rame, messi l’uno sull’altro, intervallati da
dischi di feltro imbevuti di sostanza acida: era nato così il primo generatore statico di energia elettrica. Volta fu professore di Filosofia Naturale a Pavia dal 1788 fino al 1804 ed inventò, oltre alla pila, l’elettroforo, un dispositivo in grado di generare cariche elettrostatiche. È merito tuttavia del francese
Charles Augustin de Coulomb (Angoulême, 14 giugno 1736 - Parigi, 23 agosto 1806) aver stabilito con
rigore scientifico, per mezzo di una serie di esperimenti, condotti tra il 1785 ed il 1791, che portarono
tra le altre cose alla costruzione della ‘bilancia di torsione’, la legge che porta il suo nome, assieme a
molti altri risultati importanti, che pubblicò in sette memorie della Accademia delle Scienze francese.
Il suo nome è associato alla unità di carica elettrica nel Sistema Internazionale (SI) di misura. Coulomb misurò, con una precisione non elevatissima, l’esponente 2 che compare nella distanza tra le cariche: oggi l’errore è ridotto a meno di una parte su un miliardo.
Nel 1820, Hans Christian Oersted, (Rudkoebing, 14 agosto 1777 - Copenaghen, 9 marzo 1851), danese, scoprì che una corrente può produrre effetti magnetici, riuscendo a variare l’orientamento di un
ago magnetico posto nelle sue vicinanze: una unità di misura dell’intensità del campo magnetico porta il suo nome (in un sistema di unità diverso dal SI). Solo un grande sperimentatore come l’inglese
Michael Faraday (Newington, 22 settembre 1791 - Hampton Court, 25 agosto 1867), proseguendo gli
studi e le ricerche iniziate da Oersted, poteva scoprire il fenomeno della induzione elettromagnetica
(1831).
Introduzione
XIII
Banconota inglese da venti pounds con l’immagina di Faraday.
I suoi dispositivi elettromagnetici segnano l’inizio dell’era dell’energia elettrica: il suo nome è associato all’unità di misura della capacità. Tra l’altro gettò le basi per gli studi sull’elettrolisi, mostrò che la
‘gabbia’, che oggi porta il suo nome, è un efficace parafulmine. Comunque, l’uomo che quantificò la
relazione che lega la corrente elettrica ed il campo magnetico fu André Marie Ampère (Polémieux, 20
gennaio 1775 - Marsiglia, 10 giugno 1836), versatile matematico, fisico e chimico francese. Il suo lavoro venne pubblicato in un monumentale trattato nel 1827, e l’unità della corrente elettrica porta il
suo nome.
Le applicazioni industriali
Georg Simon Ohm (Erlangen, 16 marzo 1787 - Monaco di Baviera, 6 luglio 1854), tedesco, investigò la
relazione tra corrente e tensione e, dopo una lunga campagna di esperimenti, introdusse il concetto
di resistenza, la cui unità porta il suo nome. L’unità di misura della potenza, invece, porta il nome dello scozzese James Watt (Greenock, 19 gennaio 1736 - Heathfield, 19 agosto 1819), che portò notevoli
contributi allo studio delle macchine a vapore. In un articolo pubblicato nel 1841, James Prescott Joule (Salford, 24 dicembre 1818 - Sale, 11 ottobre 1889), un fisico inglese, autodidatta soprattutto in elettrologia, rivendicò la scoperta della relazione, ancora oggi conosciuta come ‘Legge di Joule’, tra la
corrente ed il calore da essa prodotto: l’unità di misura dell’energia si chiama joule proprio in suo
onore.
Attorno al 1831, l’americano Joseph Henry (Albany, New York, 17 dicembre 1797 - Washington, 3
maggio 1878) scoprì il fenomeno dell’autoinduzione, ed il suo nome è stato associato all’unità di misura dell’induttanza. Perfezionò gli elettromagneti, costruì i primi relè, fu anche l’inventore della
struttura essenziale del telegrafo, che venne più tardi perfezionato, nel 1835, da Samuel Finley Breese
Morse (Charlestown, 27 aprile 1791 - Poughkeepsie, 2 aprile 1872).
Nel 1802 nasceva Sir Charles Wheatstone (Gloucester, 6 febbraio 1802 - Parigi, 19 ottobre 1875), che
ideò lo stereoscopio ed inventò un tipo di telegrafo che fu il primo ad essere impiegato praticamente.
Introdusse anche un ponte per la misurazione delle resistenze, oggi conosciuto in tutto il mondo come ‘Ponte di Wheatstone’. Ad Hannover, nel 1803, nasceva Henrich Daniel Ruhmkorff (Hannover,
15 gennaio 1803 - Parigi, 20 dicembre 1877), che costruì il rocchetto ad induzione che da lui prese nome ‘rocchetto di Ruhmkorff’ e che gli valse il premio Volta di 50 mila franchi. Si tratta di un trasformatore, ormai di valore soltanto storico, che permette di ottenere elevate differenze di potenziale. Un
tedesco, Wilhelm Eduard Weber (Wittenberg, 24 ottobre 1804 - Gottinga, 23 giugno 1891), sviluppò
sensibili magnetometri e lavorò sul comportamento elettrodinamico della materia: il weber misura il
flusso magnetico. Ernst Werner von Siemens (Lenthe, 13 dicembre 1816 - Hannover, 6 dicembre
1892), ingegnere ed industriale tedesco, dopo un passato giovanile in carriera militare, lasciò l’esercito e fondò insieme ai fratelli la società industriale Siemens Halske, dando l’avvio all’industria elettro-
XIV
Introduzione alle reti elettriche
tecnica tedesca ed apportando un notevole contributo all’invenzione e lo sviluppo delle macchine
elettriche, come pure al perfezionamento della scienza elettrica. L’unità di misura della conduttanza
è a lui dedicata.
La moderna teoria dell’elettromagnetismo è interamente fondata sulle famose equazioni che lo scozzese James Clerk Maxwell scrisse. Allievo di Faraday, a soli venticinque anni fu nominato professore ad
Aberdeen; in seguito fu al King’s College, a Londra, fino al 1865. Le sue ricerche contribuirono in
massimo grado ad una sistemazione rigorosa della teoria cinetica dei gas; studiando la distribuzione
delle velocità molecolari secondo la legge degli errori di Gauss, riuscì a dimostrare, nel 1860, che a
temperatura costante l’energia cinetica molecolare media non dipende dalla natura delle molecole.
Nel 1862 introdusse il concetto di corrente di spostamento, che si manifesta nei dielettrici sottoposti a
campo elettrico variabile. Tuttavia, le sue ricerche più importanti vertono sulla teoria elettromagnetica della luce (1865), che dedusse dalla dimostrazione dell’uguaglianza della velocità di propagazione
della luce e di quella di propagazione di un’onda elettromagnetica, predicendo la possibilità di creare onde elettromagnetiche viaggianti nello spazio alla velocità della luce.
Il secolo diciannovesimo è stato sicuramente il più denso di scoperte ed invenzioni nel campo dell’elettricità e magnetismo ed il matematico, astronomo e fisico tedesco Carl Friedrich Gauss (Braunschweig, 30 aprile 1777 - Gottinga, 23 febbraio 1855), con la sua strabiliante mente matematica, ne è
certamente il migliore emblema. Frequentò l’università di Gottinga. Nel 1801 pubblicò una delle sue
opere principali, le Disquisitiones Aritmeticae e nel 1802 determinò l’orbita di Cerere. Diede la prima sistemazione rigorosa alla teoria dei numeri complessi. Studiò le congruenze e si dedicò anche all’algebra. Ottenne risultati di grande importanza nella teoria degli errori e nel calcolo delle probabilità. In
geometria studiò la curvatura e le proprietà relative a questa e compì ricerche sulle trasformazioni
conformi. Il diciannovenne Gauss dimostrò che un poligono regolare di 17 lati può essere costruito alla maniera degli antichi Greci, cioè adoperando solo riga e compasso. Questo fu il primo ed unico passo in avanti nella costruzione dei poligoni regolari dal tempo dei Greci, e Gauss fu così orgoglioso della sua scoperta che pretese che sulla sua tomba venisse inciso un poligono regolare di 17 lati. Sebbene
la sua richiesta non sia mai stata soddisfatta, un tale poligono è scolpito su un lato del monumento
eretto in sua memoria a Brunswick, in Germania, sua città natale. Il gauss è una unità di misura dell’intensità del campo magnetico.
Vecchia banconota tedesca da dieci marchi con l’immagine di Gauss.
Intanto, a Liegi, il fisico belga Zénobe Theophile Gramme (Liegi, 4 aprile 1826 - Seine, 20 gennaio
1901) conduceva importanti studi ed invenzioni di elettrostatica ed elettromagnetismo: nel campo
dell’elettromagnetismo perfezionò, nel 1871, la dinamo e costruì il primo alternatore per usi industriali. Nel 1857 Antonio Meucci (Firenze, 13 aprile 1808 - New York, 18 ottobre 1889) riuscì a costruire un primo rudimentale apparecchio telefonico, che venne subito presentato alla New York District Telegraph Company e brevettato il 28 dicembre 1871 al Patent Office di Washington. Ma la povertà non per-
Introduzione
XV
mise a Meucci di poter sfruttare la sua invenzione ed il brevetto decadde. Il 14 febbraio 1876 lo scozzese Alexander Graham Bell (Edimburgo, 3 marzo 1847 - Baddeck, 2 agosto 1922) e nello stesso giorno
Elisha Gray (Barnesville, 2 agosto 1835 - Newtonville, 21 gennaio 1901) di Chicago presentarono la domanda di brevetto per due sistemi di telefono: la precedenza di sole due ore nella domanda di Bell
contribuì a conferirgli universalmente la fama di inventore del telefono. L’invenzione del telefono
rappresenta sicuramente una delle più grandi conquiste fatte dall’uomo di quei tempi: il poter comunicare istantaneamente con altre persone distanti, a viva voce, aprì nuovi orizzonti nello sviluppo dell’umanità.
Con il perfezionamento degli studi e delle ricerche sull’elettromagnetismo si spalancarono nuove porte per la produzione e l’utilizzo come energia motrice dell’energia elettrica per mezzo di dinamo ed
alternatori. I primi tentativi che si rilevarono in seguito pietre miliari per l’invenzione del campo magnetico rotante furono eseguite dall’italiano Antonio Pacinotti (Pisa, 17 giugno 1841 - ivi, 25 marzo
1912), professore all’università di Pisa e senatore del Regno, che con il suo ‘anello’ riuscì a costruire la
prima macchina in grado di trasformare l’energia meccanica in energia elettrica continua.
Nel 1847 nasceva un fisico italiano, che divenne poi di fama mondiale: Galileo Ferraris (Livorno Vercellese, 30 ottobre 1847 - Torino, 7 febbraio 1897). I suoi studi si concentrarono sul campo magnetico
rotante e sulla teoria del motore asincrono, culminando con la costruzione dei primi modelli di questo motore. Grande disputa di quegli anni era il sistema e le modalità per il trasporto dell’energia elettrica: c’era chi preferiva la modalità in corrente continua, chi invece era fautore della corrente alternata. Il francese Lucien Gaulard (Parigi, 16 luglio 1850 - ivi, 26 novembre 1888), grazie all’invenzione del
trasformatore, risolse il problema del trasporto a grandi distanze dell’energia elettrica, permettendo
di elevare la tensione di esercizio. Un’altra grande sfida di questi tempi era utilizzare l’energia elettrica come fonte di luce e sistema innovativo di illuminazione. Qui alcuni grandi personaggi si contesero
l’invenzione della lampadina elettrica: i primi esperimenti furono eseguiti da Sir Joseph Wilson Swan
(Sunderland, 31 ottobre 1828 - Warlingham, 27 maggio 1914) in Inghilterra, nel 1845. Risale al 1878
l’accensione della prima lampadina di Swan.
Nel 1847 nascevano due personaggi molto interessanti: a Milan, nello stato americano dell’Ohio, veniva alla luce Thomas Alva Edison (Ohio, 1847 - New Jersey, 1931), mentre in provincia di Torino, nasceva Alessandro Cruto (Piossasco, 24 maggio 1847 - Torino, 15 dicembre 1908). Entrambi contribuirono
all’invenzione ed al perfezionamento della lampada ad incandescenza, un’invenzione che ha resistito,
pressoché immutata, per oltre 120 anni. Nel 1881, dopo prove comparative con la lampada Swan, risultate favorevoli a Cruto, questi fece sorgere ad Alpignano la prima fabbrica italiana di lampade ad incandescenza.
L’unità di misura della frequenza è associata al nome del grande Heinrich Rudolf Hertz (Amburgo, 22
febbraio 1857 - Bonn, 1 gennaio 1894), scienziato e sperimentatore tedesco, che mise in luce la natura delle onde elettromagnetiche, pubblicando i suoi lavori nel 1888. Hertz dimostrò sperimentalmente la propagazione delle onde elettromagnetiche, idea poi applicata da Marconi per l’invenzione della radio.
Molto interessanti furono pure gli studi di Nikola Tesla (Smiljan, 10 luglio 1856 - New York, 7 gennaio
1943) sulle correnti alternate ad altissima frequenza, oggi note come ‘correnti di Tesla’. Di origine jugoslava, emigrò negli Stati Uniti nel 1884, dove realizzò, pur senza comprendere appieno il significato, il primo motore elettrico ad induzione in corrente alternata, cosa che diede un formidabile impulso all’utilizzo ed all’affermazione dell’energia elettrica come ‘motore’ sempre più importante nell’industria. Il suo nome è legato all’unità del campo di induzione magnetica.
XVI
Introduzione alle reti elettriche
Banconota serba da cento dinari con l’immagine di Tesla.
Guglielmo Marconi (Bologna, 25 aprile 1874 - Roma, 20 luglio 1937), sicuramente il genio italiano più
celebre al mondo, premio Nobel per la Fisica assieme a Karl Ferdinand Braun (Fulda, 6 giugno 1850 New York, 20 aprile 1918) nel 1909, con gli studi e gli esperimenti sulle onde elettromagnetiche e la
trasmissione dei segnali nell’etere, che portarono all’invenzione della radio, aprì nuovi orizzonti per
l’umanità intera.
Vecchia banconota italiana da duemila lire con Marconi.
Elettroni a lavoro
Intanto, in Inghilterra, lavorava Sir John Ambrose Fleming (Lancaster, 29 novembre 1849 - Sidmouth,
18 aprile 1945), noto per i suoi studi sull’elettromagnetismo e ricordato da tutti gli studenti per l’enunciazione delle regole delle tre dita, anche dette prima e seconda regola di Fleming. Tra le altre cose, nel 1904, Fleming inventò il diodo, un valvola termoionica a due elettrodi, la cui invenzione fu il
primo passo importante verso la moderna Elettronica, ed un manipolatore ad induttanza variabile.
Gli importanti progressi dell’Elettronica dovettero, comunque, aspettare lo sviluppo di un’apparecchiatura in grado di potenziare (amplificare) le deboli onde elettromagnetiche ed i segnali radio. Lee
De Forest (Council Bluffs, 26 agosto 1873 - Hollywood, 30 giugno 1961), inventore statunitense ed autore di più di 300 brevetti, costruì l’audion, brevettato nel 1907, un triodo a vuoto, capace di amplificare segnali elettrici molto deboli, rendendo possibili le trasmissioni telefoniche intercontinentali. Il primo prototipo di televisione apparve nel 1927, mentre la prima trasmissione radio a modulazione di
frequenza (FM) venne effettuata dall’ingegnere elettrotecnico Edwing Howard Armstrong (New York,
18 dicembre 1890 - ivi, 31 gennaio 1954) nel 1933.
Durante la seconda guerra mondiale, poi, vennero sviluppati diversi tipi di tubi a microonde che resero possibile la realizzazione dei moderni radar e di altri sistemi di telecomunicazioni. Nel 1939 venne
inventato il magnetron e, nello stesso anno, fu sviluppato il klystron, mentre il tubo ad onde viaggianti venne messo a punto nel 1943.
Introduzione
XVII
Compare il computer
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1946 venne progettato il primo calcolatore elettronico digitale, l’Electronic Numerical Integrator And Computer (ENIAC). L’idea di creare un programma per l’immagazzinamento delle informazioni, sviluppato dal matematico americano John von
Neumann (Budapest, 28 dicembre 1903 - Washington, 8 febbraio 1957) nel 1940, contribuì a dare slancio all’affermazione degli elaboratori elettronici. Poco dopo, nel 1948, William Bradford Shockley
(Londra, 13 febbraio 1910 - Stanford, 12 agosto 1989), John Bardeen (Madison, 23 maggio 1908 - Boston, MA, 30 gennaio 1991) e Walter Houser Brattain (Amoy, Cina, 10 febbraio 1902 - Seattle, 13 ottobre 1987) realizzarono il primo transistore. Nel 1958 venne inventato il laser, mentre nel 1959 Jack St.
Clair Kilby (Jefferson City, 8 novembre 1923 - Dallas, 20 giugno 2005) e Robert Norton Noyce (Burlington, Iowa, 12 dicembre 1927 - Austin, Texas, 3 giugno 1990) misero a punto il primo circuito integrato,
che aprì la strada all’integrazione su larga scala e, quindi, ad elaboratori elettronici sempre più compatti. I circuiti integrati incorporano molti transistori ed altri componenti in un unico pezzo di materiale
semiconduttore, detto chip. La tecnologia dei circuiti integrati continua a svilupparsi ed a progredire
permettendo di concentrare in chip sempre più piccoli dei circuiti sempre più complessi. L’introduzione del microprocessore, agli inizi degli anni settanta, creò un’altra rivoluzione nell’elettronica: concentrare in un unico piccolo chip di silicio l’intera parte che controllava il processo di un computer, tanto
che alla fine degli anni settanta quasi tutte le funzioni di un computer sono affidate ad un singolo chip.
In tempi più recenti, è opportuno ricordare che il primo cavo in fibra ottica venne installato negli Stati
Uniti, precisamente a Chicago, nel 1980. Infine, nel 1987, nei laboratori della IBM di Zurigo, è stato
messo a punto il primo superconduttore ad elevata temperatura critica (95 K).
Il resto è cronaca e, poiché è probabilmente noto, non vale la pena di essere riportato. In ogni caso,
dalla scoperta, attribuita a Talete, della capacità dell’ambra strofinata di attrarre corpi leggeri all’accelerazione di particelle elementari nei giganteschi moderni sincrotroni, l’uomo ha compiuto, nell’arco
relativamente breve di due millenni, giganteschi passi avanti nella conoscenza e soprattutto nell’utilizzazione dell’elettricità. Basta pensare a come sembrerebbe antiquato un mondo privo di lampadine
elettriche, di automobili, di elettrodomestici, di radio, di televisione, di apparecchiature elettroniche
per l’elaborazione delle informazioni. Lo studio dell’elettricità ha dato un contributo importantissimo
non solo al dominio tecnico della Natura da parte dell’uomo, ma anche alla conoscenza del mondo fisico: l’elettricità si è rivelata, infatti, una componente essenziale ed universale della materia, onnipresente, in forme diverse, in qualsiasi corpo. Ciò non significa, tuttavia, che il problema della natura dell’elettricità possa ritenersi risolto. Le enormi e complesse apparecchiature industriali e scientifiche,
che utilizzano l’energia elettrica ad altissimo potenziale, se da un lato sono riuscite ad imbrigliare l’elettricità, dall’altro hanno fornito moltissime conoscenze sul suo comportamento nelle condizioni più
svariate, ma non hanno ancora detto ‘che cosa è’; in tempi recenti, però, soprattutto i grandi acceleratori hanno dato un impulso enorme alla ricerca sulle particelle ed è lecito sperare che possano presto
contribuire a gettare qualche luce anche sul problema della natura dell’elettricità.
XVIII
Introduzione alle reti elettriche
Coulomb
Galvani
Volta
Ampère
Gauss
Ohm
Faraday
Neumann
Kelvin
Kirchhoff
Maxwell
Lorentz
Hertz
1700
1750
1800
1850
1900
1950
I principali personaggi dell’elettromagnetismo.
Sistema di unità adottato
Nel 1960 fu adottato negli Stati Uniti il Sistema Internazionale (SI) di unità, per poter disporre di un
sistema coerente per il lavoro scientifico e tecnico. Esso è sostanzialmente basato sul sistema metro chilogrammo - secondo (MKS), già in uso.
Dal dicembre 1977 il Sistema Internazionale è stato raccomandato ai paesi membri dell’Unione Europea, e, dal primo gennaio 1979, è l’unico sistema di unità di misura legale in Italia. Il Sistema Internazionale è costituito da sette unità fondamentali, metro, chilogrammo, secondo, ampere, kelvin, candela e mole, e due supplementari, radiante e steradiante. Queste unità sono riportate nella tabella precedente, assieme al nome, al simbolo ed alla definizione delle rispettive grandezze.
Introduzione
Grandezza
Nome
Simbolo
XIX
Definizione
FONDAMENTALI
Lunghezza
metro
m
Massa
chilogrammo
kg
Tempo
secondo
s
Lunghezza del percorso compiuto dalla luce
nel vuoto in un intervallo di tempo pari a
1/299792458 di secondo (1983).
Massa del prototipo internazionale conservato al Pavillon de Breteuil (Sèvres) di Parigi
(1889).
Intervallo di tempo contenente 9192631770
periodi della radiazione corrispondente alla
transizione fra due livelli iperfini dello stato
fondamentale dell’atomo di cesio 133
(1967).
Intensità di
corrente
elettrica
ampere
A
Intensità di corrente che, mantenuta costante in due conduttori rettilinei, paralleli, di
lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile e posti alla distanza di 1 metro l’uno dall’altro nel vuoto, produrrebbe tra i
due conduttori la forza di 0.2 μN su ogni metro di lunghezza (1946).
Temperatura
Termodinamica
kelvin
K
Frazione 1/273.16 della temperatura del
punto triplo dell’acqua, misurata con un termometro a ciclo di Carnot (1967).
cd
Intensità luminosa di una superficie con area
del corpo nero alla temperatura di solidificazione del platino, emessa nella direzione
perpendicolare alla superficie stessa, alla
pressione di 1 atm (1979).
mol
Quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli
atomi in 0.012 kg di carbonio 12. Le entità
elementari devono essere specificate e possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni, altre particelle ovvero gruppi definiti di tali
particelle (1971).
Intensità
luminosa
Quantità
di sostanza
candela
mole
SUPPLEMENTARI
Angolo
piano
radiante
rad
Angolo piano che su una circonferenza intercetta un arco di lunghezza uguale a quella
del raggio.
Angolo
solido
steradiante
sr
Angolo solido che su una sfera intercetta una
calotta di area uguale a quella del quadrato il
cui lato ha lunghezza uguale al raggio.
XX
Introduzione alle reti elettriche
In Italia la divulgazione ed il controllo dell’applicazione del Sistema Internazionale sono affidati all’UNI, l’Ente Nazionale per l’Unificazione. Il metro e la scala termodinamica delle temperature vengono
realizzati mediante i campioni dell’Istituto di Metrologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche
(CNR) di Torino, intitolato all’ingegnere, matematico e politico italiano Gustavo Colonnetti (Torino,
8 novembre 1886 - ivi, 20 marzo 1968); il campione del secondo, dell’ampere e della candela sono
conservati nell’Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris di Torino; il chilogrammo campione
si trova presso il Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato, a Roma.
Lavorare con i circuiti elettrici significa trattare con grandezze elettriche che devono essere misurate.
La tabella che segue riassume le grandezze elettriche più importanti e le rispettive unità di misura con
i simboli SI.
Grandezza
Simbolo
Unità
Simbolo SI
Capacità
C
farad
F
Carica
Q
coulomb
C
Conduttanza
G
siemens
S
Corrente
I
ampere
A
Energia
U
joule
J
Frequenza
f
hertz
Hz
Impedenza
Z
ohm
Ω
Induttanza
L
henry
H
Potenza
P
watt
W
Reattanza
X
ohm
Ω
Resistenza
R
ohm
Ω
Tempo
t
secondo
s
Tensione
V
volt
V
Spesso, dovendo esprimere le proprietà fisiche quali il raggio della terra o l’intervallo di tempo tra
due eventi nucleari in unità SI (fondamentali o derivate), è necessario manipolare numeri molto
grandi o molto piccoli. La XIV Conferenza Generale di Pesi e Misure, facendo riferimento a precedenti lavori, raccomandò per comodità l’uso dei prefissi riportati nella tabella che segue.
In questo modo è possibile scrivere il raggio della terra come 6370 km oppure come 6.37 Mm ed un
breve intervallo di tempo, di quelli incontrati in fisica nucleare, come 2.46 ns. I prefissi usati per fattori maggiori di uno derivano dal greco, mentre quelli per numeri minori di uno derivano dal latino.
Introduzione
Fattore
Prefisso
Simbolo
Fattore
Prefisso
Simbolo
–1
10
deca
da
10
deci
d
102
etto
h
10–2
centi
c
k
10
–3
milli
m
–6
10
3
10
6
chilo
mega
M
10
micro
μ
109
giga
G
10–9
nano
n
1012
tera
T
10–12
pico
p
peta
P
10
–15
esa
E
10–18
10
15
1018
femto
f
atto
a
XXI
Prerequisiti
Un corso introduttivo sull’analisi dei circuiti richiede la conoscenza degli elementi dei corsi di Analisi
Matematica e Fisica, oltre all’immancabile volontà di capire e l’intelligenza di studiare. Le conoscenze
di base sui sistemi di equazioni lineari, sui numeri complessi e sulle equazioni differenziali sono richiamate nel testo laddove sono utili.
In questo testo verrà adoperato il Sistema Internazionale di misura (SI) e, per rendere più
semplice la notazione usata, una tensione di 23.4 volt verrà semplicemente indicata come
23.4, senza riportare esplicitamente l’unità di misura. Qualora si tratti di multipli o sottomultipli, il valore della grandezza verrà riportato assieme all’unità di misura. In tal modo,
si indicherà con 3.25 kΩ una valore di resistenza pari a 3250.
N O T A
P E R
G L I
S T U D E N T I
Alla fine di ogni capitolo viene proposta una raccolta di esercizi, relativi agli argomenti trattati. Alcuni sono semplici ed introduttivi, altri, forse la maggior parte, richiedono un certo impegno da parte
dello studente, essendo rivolti a chi abbia già affrontato lo studio degli elementi teorici di base. Questi
esercizi consentono, dunque, di effettuare una puntuale verifica di quanto appreso durante lo studio
teorico, consentendo all’allievo di ‘allenarsi’ nella risoluzione delle reti elettriche. Alla fine del volume, in un’appendice, si può trovare qualche utile integrale, una raccolta di formule trigonometriche
di uso frequente ed un piccolo dizionario di termini anglosassoni, generalmente adoperati nel linguaggio tecnico e scientifico.
Di tutti gli esercizi proposti viene data la soluzione, talvolta il procedimento per risolverli, perché siamo convinti che sia compito del docente guidare l’allievo nella soluzione. Per questo motivo, si ritiene
che alcuni esercizi, quelli più difficili, possano essere adoperati per organizzare dei lavori di gruppo, a
scuola oppure a casa, o possano essere proposti dal docente stesso per illustrare passaggi teorici particolarmente complicati, che vale la pena approfondire con un ‘buon esempio’.
Nella pratica professionale i tecnici sono spesso chiamati a risolvere problemi che non sono già stati
compiutamente risolti, sia che si cerchi di migliorare le prestazioni di un sistema già esistente, sia che
si cerchi di costruirne uno nuovo. Da studenti, invece, si risolvono problemi che hanno già una risposta, magari confrontando il procedimento adottato con la soluzione proposta.
Non esiste alcuna ricetta che vi possa insegnare a mettere a punto una efficace strategia vincente per
arrivare alla corretta soluzione di un problema. Pensiamo sia utile riportare qui alcuni consigli generali, utili per elaborare le formule ed i calcoli e per organizzare le idee prima di iniziare.
•
Cercate fiduciosamente la risposta al vostro problema nelle cose che avete appreso; durante
le lezioni, vi è stato certamente proposto uno schema coerente e completo della materia, il
solo che può aiutarvi a trovare la strada per risolvere il problema.
•
Identificate bene quali siano i dati assegnati e quali quelli da trovare. Domandarsi cosa chieda il problema vuol dire avere esaminato con cura il testo, cercando in esso eventuali informazioni nascoste.
•
Ricercate il metodo di soluzione più adeguato. Si deve spesso scegliere tra diverse vie per risolvere un certo problema: un metodo può richiedere meno equazioni da risolvere rispetto
ad un altro, oppure può richiedere soltanto calcoli algebrici.
•
Pianificate il metodo da usare e le corrette equazioni da scrivere. Portate avanti i calcoli a livello letterale quanto più è possibile: un’equazione scritta con simboli è facilmente controllabile per mezzo di una verifica dimensionale dei diversi termini.
•
Quando svolgete un passaggio non fatelo meccanicamente, ma soffermatevi a riflettere sul
ruolo che questo passaggio assume nello sviluppo logico del ragionamento che state conducendo.
XXIV
•
Introduzione alle reti elettriche
Domandatevi se la soluzione trovata ha senso, se è fisicamente realistica e se l’ordine di grandezza sia ragionevole. La cosa migliore sarebbe risolvere nuovamente il problema con un
metodo alternativo; ma, si sa, il tempo è tiranno! Controllare il risultato ottenuto aiuta a sviluppare un certo senso critico verso i vari metodi di soluzione, nonché l’intuizione.
Prima di concludere, un’ultima raccomandazione legata più specificamente agli esercizi di Elettrotecnica che di qui a poco inizierete a svolgere: fate sempre un accurato disegno del circuito, aggiungendo ad esso tutte le informazioni ed i riferimenti che vi sembrano opportuni. Qualche volta, può aiutare anche un nuovo disegno del circuito, che operi opportune semplificazioni.
Auguri e buon lavoro!
I N D I C E
G E N E R A L E
1
I circuiti e le grandezze
fondamentali
CAPITOLO
1.1
1
3.4
Condensatori
3.5
Induttori
106
94
3.6
Altri fenomeni di conduzione
115
3.7
Esercizi di riepilogo
121
4
Circuiti in regime stazionario
135
4.1
Considerazioni preliminari
135
Matrici e sistemi lineari
140
Carica elettrica e legge
di Coulomb
1
Tensione e differenza
di potenziale
3
1.3
Corrente elettrica
5
1.4
Bipoli e circuiti di bipoli
1.5
Misura della corrente e della
differenza di potenziale
14
4.2
Potenza ed energia elettrica
18
4.3
Circuiti elementari
170
Sovrapposizione degli effetti
174
1.2
1.6
10
CAPITOLO
1.7
Bipoli attivi e passivi
23
4.4
1.8
L’oscilloscopio
23
4.5
Approccio sistematico
177
1.9
La pila di Volta
30
4.6
1.10
Elettricità animale: il dibattito
Galvani - Volta
Metodi semplificati per la
soluzione delle reti
182
31
4.7
Formula di Millman
191
4.8
Trasformazione
triangolo - stella
194
4.9
Teoremi del generatore
equivalente
199
4.10
Trasformazioni di sorgenti
206
4.11
Massimo trasferimento
di potenza
209
4.12
Misure in regime stazionario
210
4.13
Le proprietà di non
amplificazione
225
Simmetria nelle reti
elettriche
227
Esercizi di riepilogo
235
5
Doppi bipoli
243
1.11
Esercizi di riepilogo
40
2
Le leggi di Kirchhoff
43
2.1
Definizioni preliminari
44
2.2
Leggi di Kirchhoff
45
2.3
Circuiti a parametri
concentrati
48
2.4
Equazioni indipendenti
51
2.5
Matrice di incidenza
51
2.6
Conservazione delle potenze
elettriche
54
2.7
Il giusto grafo
57
2.8
Esercizi di riepilogo
60
CAPITOLO
4.14
4.15
CAPITOLO
3
I bipoli e le loro
caratteristiche
3.1
3.2
3.3
5.1
Definizione e grandezze
fondamentali
243
63
5.2
Caratteristiche dei doppi bipoli
247
Caratteristica di un bipolo
63
5.3
Classificazione dei doppi bipoli
249
Resistori
68
5.4
Generatori indipendenti
90
Doppi bipoli controllati
in corrente
251
CAPITOLO
XXVI
5.5
Introduzione alle reti elettriche
7.6
Transistori in circuiti con generatori
controllati
365
255
7.7
Circuiti sottoposti a forzamento
sinusoidale
367
258
7.8
Transitori con elementi
non lineari
370
7.9
Generatori di tensioni
impulsive
371
Sorgente radioattiva
375
Esercizi di riepilogo
378
8
Circuiti in regime sinusoidale
405
Funzioni sinusoidali
405
Doppi bipoli controllati
in tensione
253
5.6
Rappresentazioni ibride
5.7
Caratteristiche di
trasmissione
Generatori dipendenti
262
5.8
5.9
Transistore bipolare
a giunzione
277
5.10
Reciprocità nelle reti elettriche
280
7.10
5.11
Teorema di Cohn
281
7.11
5.12
Esercizi di riepilogo
283
CAPITOLO
6
Pile ed accumulatori
293
Conduzione ionica
295
CAPITOLO
6.1
8.1
8.2
Numeri complessi
412
8.3
Fasori
422
8.4
Caratteristiche dei bipoli
in regime sinusoidale
427
8.5
Risoluzione di una rete
in regime sinusoidale
430
6.2
Elettrolisi
296
6.3
Leggi di Faraday
299
6.4
Definizione del Coulomb
301
6.5
Generatori elettrochimici
302
6.6
Pile a combustibile
313
8.6
Impedenza complessa
434
6.7
Celle fotovoltaiche
316
8.7
Circuito RLC
440
6.8
Collegamento delle pile
317
8.8
6.9
Interruttore elettrolitico
di Wehnelt
Strumenti in corrente
alternata
445
320
Effetto memoria negli
accumulatori
Potenze in regime
sinusoidale
446
321
6.11
Gruppi di continuità
323
Esempi di reti di bipoli e doppi
bipoli in regime sinusoidale
454
6.12
La pila Weston
323
8.11
Risonanza nei circuiti elettrici
469
6.13
Riciclaggio e rigenerazione
326
8.12
Rifasamento
482
6.14
Esercizi di riepilogo
327
8.13
Massimo trasferimento
di potenza attiva
485
8.14
Funzione di trasferimento
in circuiti con eccitazione
sinusoidale
489
8.15
Impianti di distribuzione
490
8.16
Il giusto collegamento
491
Trasformatore ideale
495
6.10
7
Circuiti in evoluzione
dinamica
8.9
8.10
CAPITOLO
7.1
7.2
331
Richiami sulle equazioni
differenziali
335
8.17
Evoluzione libera
342
8.18
Giratore
502
8.20
Misure in regime sinusoidale
507
8.21
Oscilloscopio digitale
523
8.22
Esercizi di riepilogo
528
7.3
Evoluzione forzata
346
7.4
Risposta al gradino del
circuito RLC
354
Altri esempi
358
7.5
Indice generale
9
Sistemi trifasi
549
9.1
Considerazioni introduttive
549
9.2
Collegamenti fra generatori ed
utilizzatori
10
Circuiti booleani
609
10.1
10.2
Sistemi di numerazione
Algebra di Boole
611
621
559
10.3
Esame dei diversi tipi di
configurazione
Funzionamento di insieme di un
calcolatore elettronico
629
560
10.4
Un primo vantaggio dei
sistemi trifasi
Componenti elementari di un
calcolatore elettronico
632
571
10.5
Esercizi di riepilogo
637
CAPITOLO
9.3
9.4
XXVII
CAPITOLO
9.5
Potenze nei sistemi trifasi
575
9.6
Rifasamento dei sistemi trifasi
584
9.7
Altri vantaggi dei sistemi trifasi
586
9.8
Altri metodi per la misura
delle potenze trifasi
588
9.9
Schemi unifilari
589
9.10
Codice colore CEI
590
9.11
Esercizi di riepilogo
591
Appendici
639
Una piccola tavola di integrali
639
Qualche utile reazione trigonometrica
640
Piccolo dizionario tecnico
641
C A P I T O L O
1
I circuiti e le grandezze
fondamentali
Q
uesto capitolo è dedicato all’introduzione del concetto di bipolo e di rete di bipoli:
per raggiungere questo obiettivo, tuttavia, è necessario richiamare le definizioni di
carica, tensione e corrente elettrica. Dopo aver stabilito le convenzioni di segno
che consentono di scrivere correttamente l’energia e la potenza assorbita o generata da un qualunque bipolo, il capitolo termina con la fondamentale distinzione tra bipoli
passivi ed attivi.
1.1
Carica elettrica e legge di Coulomb
È noto che i corpi materiali possono presentare proprietà particolari che danno luogo alle
cosiddette interazioni elettriche e magnetiche. Elemento chiave di questo tipo di interazioni è la carica elettrica, una proprietà individuata da una grandezza scalare, generalmente indicata con la lettera q , che prende il nome, appunto, di carica elettrica. Per inciso, questa
proprietà è quantizzabile, nel senso che esiste una carica minima, il quark, e tutte le altre sono multiple di questa.
Il dizionario definisce la carica elettrica come ‘la quantità di elettricità presente in un corpo
o su un corpo’ e questa definizione presuppone che si sappia che cosa si debba intendere
per elettricità. Senza avventurarsi in difficili discorsi per definire cosa la carica sia, anche
perché forse nessuno sa ancora veramente cosa sia l’elettricità, vale la pena sottolineare solo che le diverse cariche elettriche interagiscono tra di loro, esercitando forze le une sulle altre. In particolare, esistono due diverse ‘qualità’ di cariche, per cui cariche dello stesso tipo
si respingono e cariche di tipo opposto si attraggono: ciò porta ad assegnare alla carica un
segno, negativo o positivo, per distinguere le due possibili alternative. L’elettrone, uno dei
componenti dell’atomo, ha carica negativa, mentre nel nucleo dell’atomo sono presenti i
protoni, dotati di una carica positiva. La carica elettrica si misura in coulomb (C) e la carica
dell’elettrone è, in valore assoluto, pari a
carica dell’elettrone in valore assoluto = 1.60210 · 10–19 C .
L’interazione elettrica tra i corpi materiali può essere ricondotta ad una legge elementare
che prende il nome di legge di Coulomb. Questa legge immagina una situazione ideale in
cui i corpi materiali portatori delle cariche si possano ridurre a punti geometrici. Si introduce in tal modo il concetto di carica puntiforme: un corpuscolo che occupa un volume idealmente nullo intorno ad un punto, ma con massa non nulla, e che è portatore di una carica
elettrica, positiva o negativa. Si tratta di una idealizzazione, non del tutto priva di fondamen-
2
Capitolo 1 – I circuiti e le grandezze fondamentali
to fisico, se si pensa che i ‘volumi occupati’ dai naturali portatori elementari di cariche, protoni ed elettroni, sono generalmente molto piccoli rispetto alle dimensioni che caratterizzano il fenomeno particolare che si vuole studiare. Gli esperimenti dicono che, per esempio, la
carica di un protone si può immaginare concentrata in una sfera di circa 10–13 cm di raggio.
S
q1
q2
F21
S
F12
r
Cariche omonime
q1
S
S
F21
F12
q2
r
Cariche eteronime
Figura 1.1: la legge di Coulomb.
Orbene, la legge di Coulomb afferma che, se due cariche puntiformi, q1 e q2, fossero poste
(ferme) alla distanza r l’una dall’altra, su ciascuna delle cariche agirebbe una forza; in particolare, quella esercitata dalla carica 1 sulla carica 2 è espressa dalla formula
F12 =
1 q1q 2
r .
4πε 0 r 2 12
La forza F12 è diretta lungo la congiungente tra le due cariche, è proporzionale al prodotto
delle stesse, inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa e, come si
desume dalla presenza del versore r 12 , è diretta nel verso che va dalla posizione occupata
dalla carica q1 a quella occupata dalla carica q2, se entrambe le cariche hanno lo stesso segno.
Questa forza, come suggerisce la Figura 1.1, è attrattiva se le cariche q1 e q2 hanno segno opposto, repulsiva se esse invece hanno lo stesso segno. Una forza uguale ed opposta
F21 = – F12
viene esercitata dalla carica 2 sulla carica 1.
Se le cariche fossero libere di muoversi, tali forze produrrebbero movimento, secondo le
ben note leggi della dinamica newtoniana. Considerando solo cariche ferme, alla legge di
Coulomb bisogna aggiungere la proprietà, mostrata in Figura 1.2, che tali forze di interazione sono sovrapponibili, vale a dire che in presenza di più cariche puntiformi, la forza agente su ognuna di esse è la somma vettoriale delle forze che ogni altra carica produrrebbe sulla stessa carica, in assenza delle altre. Le cose si complicano un poco quando si considerano
cariche in movimento: la legge di Coulomb va modificata e sostituita con altre leggi che tengano in debito conto il fatto che, questa volta, le cariche si muovono. Si pensi che, solo qualche decennio fa, il grande scienziato e premio Nobel Richard Phillips Feynman (New York,
11 maggio 1918 - Los Angeles, 15 febbraio 1988) sistemò in maniera soddisfacente questa
legge. Non è possibile, tuttavia, in questa sede, approfondire oltre l’argomento.
1.2 Tensione e differenza di potenziale
3
q2
S
F1
q1
S
S
F1 + F2
S
F2
Figura 1.2: legge di Coulomb e sovrapposizione degli effetti.
1.2
Tensione e differenza di potenziale
Si supponga di avere, in una regione dello spazio, una distribuzione di cariche, ferme oppure in movimento. Non ci si occuperà delle caratteristiche di tale distribuzione, ma soltanto
dell’azione che tali cariche esercitano su altre cariche. Si immagini ancora di poter disporre
di una carica puntiforme e positiva, che goda delle proprietà di non disturbare la posizione
oppure il movimento delle altre cariche. In qualsiasi punto si venga a trovare la carica in
questione, che d’ora in poi verrà chiamata carica di prova, risentirà di una forza prodotta
dalle altre cariche, ferme oppure in moto, che d’ora in poi verranno chiamate cariche sor
genti. Per una carica di valore q, animata da una velocità v , la forza sarà data dalla ben nota
espressione di Lorentz
F = q E + q v × B.
Questa forza percepita dalla carica di prova, dunque, non dipende soltanto dalla posizione
in cui essa si trova, ma anche dalla velocità con cui essa passa per il punto in questione; tuttavia, come sarà più chiaro tra un momento, la componente magnetica non esercita lavoro
su essa.
Immaginando di portare la carica di prova q, da un punto A ad un punto B lungo una linea
Γ, la forza che agisce sulla carica compirà un lavoro che, per unità di carica, si può scrivere
come
F
TAΓB =
t · dl =
t · ( E + v × B ) dl =
t · E dl ,
q
AΓB
AΓB
AΓB
in cui i simboli adoperati sono esplicitati in Figura 1.3. Il termine
t ·v × B = 0
è nullo, dato che il versore tangente alla curva e la velocità sono, in ogni punto, paralleli. All’integrale TAΓB viene dato il nome di tensione lungo la linea Γ, valutata tra i punti A e B, e si
misura in volt (V). Si noti che per poter parlare di tensione tra due punti bisogna aver specificato la linea Γ che li congiunge ed il verso in cui ci si muove sulla linea (da A verso B oppure da B verso A); ciò giustifica anche il simbolo utilizzato.
4
Capitolo 1 – I circuiti e le grandezze fondamentali
B
t
a
S
F · t = F cos a
A
S
F
G
Figura 1.3: definizione della tensione lungo una generica linea.
Si supponga ora di spostare la carica di prova lungo un’altra linea, Γ0, tra gli stessi punti A e
B, come mostrato in Figura 1.4. Anche in questo caso verrà compiuto un lavoro TAΓ0B , che,
in generale, sarà diverso dal precedente.
In determinate situazioni accade, invece, che questo lavoro risulta indipendente dal percorso, dipendendo esclusivamente dai due punti estremi: la tensione viene, allora, detta differenza di potenziale (d.d.p.), poiché, essendo indipendente dal cammino che congiunge i
due punti, vuol dire che dipende soltanto dal punto iniziale e da quello finale e, pertanto, è
utile introdurre una funzione, detta potenziale elettrico ed indicata con la lettera e, tale che
TAΓB = e B (t )– e A (t ),
cioè la tensione si può scrivere come una differenza tra i potenziali (in generale, dipendenti dal tempo) del punto di arrivo e di quello di partenza. Una tale situazione si verifica nel
caso in cui le cariche sorgenti siano tutte ferme oppure si muovano non troppo velocemente, come avremo modo
di approfondire nel seguito. Si osservi che in questo caso il lavoro
compiuto dalla forza F quando la carica di prova descrive un percorso chiuso, per esempio,
l’unione di Γ e Γ0, quest’ultimo orientato nel verso opposto, è identicamente nullo.
B
G
G0
A
Figura 1.4: due possibili cammini di integrazione.
Si supponga, dunque, di essere in queste condizioni e di calcolare il lavoro necessario per
portare la carica di prova da un punto qualsiasi A fino ad un altro punto B, come illustrato
in Figura 1.5. Scelto a caso un altro un punto O, si può sempre scrivere
TAΓB = e B (t )– e A (t ) = e B (t )– eO (t )+ eO (t )– e A (t ) = TO Γ 2B + TAΓ1O ,
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