G. Filoramo – C. Prandi, Le scienze delle religioni, Morcelliana, Brescia 2002 Per uno studio scientifico della religione. PREMESSA Oggi si assiste a una specializzazione della ricerca che pare smarrire il senso della globalità. Accade anche con lo studio delle religioni, con nuovi metodi di ricerca che rischiano la miopia specialistica, perdendo l’unità dell’oggetto d’indagine. Certo, un singolo studioso non può orientarsi in tutti i campi di indagine, ma oggi si sente l’esigenza di recuperare un senso di globalità. Così è stato pensato questo libro, come una bussola per orientarsi tra i diversi settori di ricerca. Lo statuto scientifico delle scienze delle religioni. Nel XIX secolo, sotto l’influsso della rivoluzione industriale, delle conquiste coloniali e dello sviluppo delle scienze umane, si avverte il bisogno di un confronto critico tra la tradizione cristiana e le diverse religioni ora accessibili tramite missionari e traduzioni degli scritti fondamentali. Nasce così, a metà Ottocento, lo studio comparato delle religioni. Per riunificare poi i diversi contributi di storia, antropologia culturale, sociologia, etc. nasce la scienza della religione, la quale risulta però prigioniera di due ipoteche: una apologetica (voler dimostrare la superiorità del cristianesimo sulle altre religioni) e l’altra scientista (mostrarne l’inessenzialità e predirne la scomparsa). Sullo sfondo sta il problema epistemologico dell’alternativa tra spiegare o comprendere la religione, tra scienze della natura (positiviste) e scienze dello spirito (post-positiviste). Per il metodo della spiegazione, la premessa è che la religione va distinta dall’oggetto di fede, è manifestazione antropologica che va assoggettata all’indagine storico-critica, “riducendola” agli elementi psico/socio/antropologici soggiacenti. Lo studioso è avalutativo, come uno scienziato neutrale. Il metodo della comprensione è invece una tecnica psicologica che mira a cogliere l’esperienza germinale che sta alla base delle produzioni spirituali e culturali dell’uomo. La premessa è l’autonomia assoluta della religione che “comincia da se stessa” (R. Otto). L’interprete dell’esperienza religiosa non può esser neutrale in quanto coinvolto in prima persona per cogliere il nucleo dell’esperienza religiosa archetipica, rivivendolo. Oggi si cercano di integrare le due prospettive, rinunciando alla chimera di un solo paradigma scientifico e valorizzando coinvolgimento e intuizione del ricercatore, sintetizzando scientificità della ricerca e soggettività del ricercatore. Scienza della religione o scienze delle religioni? Se dico “scienza della religione”, intendo un metodo scientifico e un oggetto di indagine; all’opposto, “scienze delle religioni” indica pluralità di metodo e di oggetto; nel mezzo, le due alternative della “scienza delle religioni” (un metodo per un oggetto molteplice) e delle “scienze della religione” (pluralità di metodi per un oggetto unitario). Il presente testo, riconoscendo pluralità metodologica e la diversità delle religioni nel loro divenire storico, preferisce scienze delle religioni (SR). Bisogna guardarsi dal rischio della sterile giustapposizione di metodi diversi; così pure dalla riduzione storica a mera “filologia”, perdendo l’ampio orizzonte di usi e costumi rivelato dalle “Annales” francesi, unendo storia e scienze umane. Parimenti, occorre integrare studio sincronico (differenze) e diacronico (permanenze e strutture). Oggetto delle SR: la religione e la sua autonomia relativa. Occorre definire l’oggetto di indagine delle SR. Durkheim lo definisce in via ipotetica all’inizio della ricerca, mentre Max Weber lo definisce al termine della ricerca. Comunque, occorre circoscrivere il campo di indagine. Bisogna guardarsi però dal rischio di presupporre ciò che ancor si ricerca, puntando su un concetto di religione che integri aspetti funzionali (a che cosa serve?) e aspetti individuanti (che cos’è?). Per far questo, bisogna notare che, accanto al variare delle religioni, permangono strutture e comportamenti che rivelano come la credenza religiosa possegga una propria logica, un volto permanente sotto l’evoluzione delle tradizioni, un volto definito da riti e simboli capaci di una autonomia relativa, in quanto regolati da leggi proprie (generate dall’interno, non da fattori esterni). È un problema di mediazione: non esiste una religione come mero prodotto della società e della storia, ma neppure esiste una religione allo stato puro, bensì un intreccio concreto e storicamente dato (appunto, con autonomia relativa: leggi proprie + incidenza del contesto storico-culturale esterno). Occorre poi una sorta di agnosticismo metodologico: non si può andare oltre quella simpatia terenziana per tutto ciò che è umano, senza porsi il problema della verità dell’oggetto della religione. Definendo il proprio campo in maniera empirica e segnandone i confini in modo induttivo, le SR si pongono oltre la teologia e la filosofia della religione, puntando sullo studio sul campo e diversi metodi di “osservazione partecipante”. Capitolo primo. LE SCUOLE FENOMENOLOGICHE La dicitura “fenomenologia della religione” (FR) risale all’olandese Chantepie (cattedra di Storia delle religioni ad Amsterdam dal 1878) che si proponeva di cogliere, oltre alle religioni nel loro divenire storico, anche gli aspetti permanenti della “religione” tramite il metodo comparativo (ordinare e classificare le diverse tradizioni) usato esemplarmente da Tylor o Frazer per trovare quei tipi ricorrenti di credenze e riti che spiegassero l’origine della religione. Presupposto: unità della natura umana e delle sue diverse espressioni religiose, per cui non c’è confine tra religioni cristiana e non. Sulla scia della “Fenomenologia dello Spirito” hegeliana, si tratta di cogliere le diverse analogie. Punto di arrivo di queste intuizioni sarà la FR di un altro olandese, Gerardus van der Leeuw. FR = analisi descrittiva e sistematica dei fenomeni religiosi su base comparata. È figlia della reazione al positivismo e all’evoluzionismo scientifico che si compie con la fenomenologia husserliana (“torniamo alle cose stesse”, con uno sforzo antimetafisico e realistico). La svolta fenomenologica si compie anche col passaggio dalla spiegazione alla comprensione di un “vissuto religioso” che può esser sperimentato e indicato, ma non definito. Il miglior esempio di tale FR è la “Fenomenologia della religione” (1933) di van der Leeuw, vero manifesto della FR “compredente”. Sulla scia di Husserl, si sospende il giudizio – (1) epoché - per cogliere gli elementi essenziali del fenomeno in questione, inteso come (2) “esperienza vissuta” che può esser compresa solo in chiave (3) ermeneutica, entrando in sintonia su un piano affettivo con l’oggetto, facendolo “passare” nella realtà psicologica del soggetto (fase del Verstehen - comprendere). Non ci si limita a classificare i fenomeni, ma se ne dà una descrizione psicologica, una introspezione sistematica. Così facendo, si mettono in evidenza le strutture “tipiche” dei fenomeni religiosi, subordinando il lavoro a (4) esigenze teologiche: usare categorie cristiane per interpretare il fenomeno religioso, mostrandone il compimento nella rivelazione cristiana. Per vdLeeuw, il fenomeno (ciò che si mostra) non è un oggetto semplice (positivismo), bensì il prodotto dell’incontro tra soggetto e oggetto, la cui essenza consiste nel “mostrarsi a qualcuno”. Il presupposto di tale FR è l’autonomia assoluta della religione, che conduce a un doppio fronte critico: un certo carattere a-storico e un forte soggettivismo (filocristiano). La tradizione fenomenologica tedesca si esprime nella Scuola di Marburgo (l’università di riferimento dei suoi membri), fondata da Rudolf Otto che nel suo “Il sacro” (1917) fornisce il modello di analisi fenomenologica in chiave ermeneutica dell’esperienza religiosa. Il rappresentante di spicco è F. Heiler (1892-1967) che afferma l’esigenza di un metodo induttivo rigoroso, alieno da apriori filosofici o teologici. La religione non si studia sui libri, ma occorre farne esperienza diretta: non si può trattare la religione senza religiosità. Diversi approcci per cogliere l’essenza della religione: (1) descrittivo e storico-filologico, (2) tipologico-comparativo su base psico/sociologica, (3) per cerchi concentrici: osservando ogni singola manifestazione dalla forma più primitiva a quella spiritualmente più alta. Questo terzo approccio individua tre cerchi principali: quello della manifestazione dell’oggetto sacro (spazio sacro, parola, uomini e comunità); un secondo cerchio comprendente le credenze su Dio, l’uomo e il mondo; infine un terzo cerchio che introduce all’esperienza vissuta della religione (riverenza, timore e paura, fede, desiderio di Dio). Al centro del terzo cerchio sta l’oggetto specifico della religione: il mysterium o numinosum, il tremendum e fascinosum. Così Heiler definisce l’essenza della religione come “la comunione dell’uomo con la realtà trascendente che fluisce dall’esperienza della grazia divina, si attua nell’adorazione e nel sacrificio e conduce alla beatitudine”. Anche G. Mensching (1901-1978) presuppone una FR basata sulla partecipazione interiore e la capacità di immedesimazione nell’oggetto studiato, poiché la religione è anzitutto esperienza vissuta dell’incontro col sacro. I limiti della FR comprendente emergono con l’olandese Bleeker (nato 1899), il quale non è coerente con le proprie pretese di avalutatività, disseminando la propria ricerca di giudizi di valore sulle diverse religioni, come forse non può evitare di fare una FR non vuole essere puramente descrittiva ma comprendente e partecipativa. La FR storica nasce dalla relazione tra FR e storia, come accade in R. Petazzoni, il quale, sulla base di una accurata formazione storica, cercherà di unire la ricerca della genesi con l’individuazione delle “permanenze” della religione, giungendo però a confondere i due momenti nei suoi lavori comparati. Per superare tale limite, lo svedese Widengren rifiuta la definizione a priori della religione come “incontro col sacro” propria della FR comprendente e punta sulla costruzione di “tipi” non ideali o filosofici bensì sorti da humus storico. Il modello di fondo è la fede nel Dio supremo, da cui scaturiscono panteismo, politeismo, monoteismo. Alla FR si riconduce pure lo storico delle religioni rumeno Mircea Eliade e il suo “Trattato di storia delle religioni”, un’opera di morfologia religiosa che dipende però dalla FR comprendente. Evita definizioni a priori della religione, ma rifiuta pure una FR puramente descrittiva: il fenomeno religioso “puro” non esiste, va colto nella sua dimensione storica, ma senza dimenticarne gli elementi irriducibili e originari, cioè il sacro inteso come “un elemento della struttura della coscienza e non uno stadio della storia di questa coscienza”. La FR verrà criticata da chi, in luogo di un approccio comprendente ed ermeneutico, preferirebbe un approccio descrittivo che prescinda da problemi di “senso” del fenomeno religioso. La discussione resta aperta. Capitolo secondo. LE SCUOLE STORICO-RELIGIOSE La storia delle religioni come disciplina autonoma è una conquista e una liberazione da ipoteche di tipo teologiche che nasce col deismo inglese del Seicento e in particolare con David Hume e la sua “Storia naturale della religione” (1757). Hume non nega che esista un “autore intelligente” dell’universo, bensì che questa esistenza razionalmente accessibile implichi una dimensione religiosa connaturata all’uomo, affermando piuttosto che la religione è un’emergenza storica, e dunque non esiste una religione naturale e universale, bensì sentimenti di speranza e paura che, nei selvaggi, hanno originato le prime tracce di “divinità”. Come molti sono i sentimenti, così pure gli dei (politeismo primitivo). Da Hume, passando per la riduzione illuministica della religione, fino a Kant (la religione nei limiti della sola ragione) si arriva alla nascita della Storia delle religioni a metà Ottocento come disciplina autonoma. Si raccolgono documenti, li si colloca nei contesti storici relativi, si ricercano leggi di sviluppo, con il metodo comparativo espresso dalla monumentale “Mitologia comparata” (1856) di M. Mueller che teorizza un approccio scientifico privo di giudizi di valore e a priori filosofici. Come reazione all’evoluzionismo scientifico, nasce la scuola storico-culturale di Vienna fondata da padre W. Schmidt (1862-1954) che, rifiutando parallelismi e generalizzazioni postulati a priori, ricerca le influenze reciproche tra le diverse culture, distinguendo le primarie (originarie) e le secondarie (derivate), individuando gli sviluppi dei diversi campi tecnici (raccolta, caccia, pesca…), facendo emergere le particolarità individuali delle singole culture e religioni. L’approccio comparato non è dunque giustapposizione di fatti religiosi, ma il loro reciproco coordinamento. Nella sua “Origine della idea di Dio”, Schmidt sostiene la teorizzazione del monoteismo puro e originario di ogni religione primitiva, da cui sarebbe poi derivato, per involuzione progressiva, il politeismo come corruzione culturale. R. Petazzoni (1883-1959) critica Schmidt per l’uso di categorie interpretative cristiane e per l’ermeneutica teologica. Nel 1924 gli viene data la prima cattedra italiana di Storia delle Religioni, a Roma. Petazzoni rivendica la laicità dello studio di storia delle religioni, con metodologia comparativistica. In luogo della creatività originaria di Schmidt – che postulava l’esistenza di un solo Dio originario -, Petazzoni parla della onniscienza divina, cioè della capacità di controllare/dirigere la realtà che, in quanto molteplice (cielo, terra, mare, caccia, pesca…) esige un politeismo corrispondente. Anche esaminando le religioni monoteistiche superiori – ebraismo, cristianesimo, islam – si riscontrava un Sitz im Leben originario politeistico da cui esse erano sorte. Analogo riscontro offrirebbe la Scrittura: “Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altri dei innanzi a me” (Es 20, 2-3). Quindi, vs la scuola di Vienna del p. Schmidt, originario non sarebbe il monoteismo ma il politeismo. Come abbiamo visto, Petazzoni coglie alcune indicazioni fenomenologiche, restando però fermamente storicista. Il successore di Petazzoni sulla cattedra di Storia delle religioni, A. Brelich (1913-1977), fa proprie le tesi dello storicismo assoluto, ricusando postulazioni di ordine metafisico, trascendente o teologico. Sviluppa il metodo comparativo, arricchendolo di approcci antropologici. Conferma la nascita del politeismo come evoluzione e separazione tra mondo divino e mondo naturale/storico, sostenendo che le divinità greche erano venerate ben prima dei poemi omerici, a partire dall’idea di un “padre degli dei” a capo di figure molteplici nate per sdoppiamento e diversificazione funzionale. Nega il presupposto di una religione innata, ribadendo l’esigenza per lo studioso – pur credente – di rifiutare ogni premessa di fede in materia di ricerca storica. L’essenza della religione è la credenza in esseri sovrumani, espressa in storie sacre narrate in festività determinate, cioè i miti, che raccontano la storia del mondo e le funzioni degli dei, ispirando azioni di culto (preghiere e sacrifici) cioè i riti. “Culto” deriva da colere, coltivare: gli uomini “fanno esistere” gli dei. Allievo di Petazzoni è pure E. De Martino (1908-1965) che si interessa delle tradizioni religiose del Mezzogiorno. Influenzato da Croce, ritiene le religioni una sorta di filosofia inferiore, per cui la storia delle religioni rischia di risolversi in storia della filosofia. Non svolge ricerche se non nel Sud Italia, usando la spiegazione e rifiutando la comprensione del fenomeno religioso. Nel “Mondo magico” (1948) indaga e storicizza etnologia e folklore meridionali. Indaga pure l’usanza del pianto funebre, rilevando in questa pratica cristiana sopravvivenze rituali pagane antiche. Studia pure il malocchio e la fattura, come pratiche di confine magico-religiose e residui “pre-cristiani”. Medesime intenzionalità per fattura e sacramento, scongiuro e preghiera, ma diverse espressioni. Studia il tarantismo: vittime le donne nella mietitura, si associa a “crisi di presenza” che rimandano a esperienze di trance e dionisiache, tra il naturale e il soprannaturale. Terzo allievo di Petazzoni è V. Lanternari che indaga fenomeni religiosi e culturali di frontiera, nelle zone del globo sottoposte a pressione coloniale. Evita ogni “irrazionalismo” affermando che la religione è un “insieme di atteggiamenti culturali determinati che l’individuo assume di fronte all’incontrollabile”. Critico nei confronti del marxismo classico, vede nei movimenti messianici espressioni di una religione che, in luogo di essere “oppio dei popoli”, potrebbe invece favorire riscatto socio-politico e rivoluzioni (“Movimenti religiosi di libertà e di salvezza dei popoli oppressi”, 1960). In particolare, tali movimenti nascono nelle colonie, lacerate dall’incontro/scontro di culture diverse. Venuta meno la potenza colonialista, rinasce un potere teocratico, al quale succedono, una volta assunta fisionomia conservatrice, ulteriori movimenti profetico-messianici. In sintesi: base storicistica criticamente aperta al marxismo; funzionalismo aperto ai valori della storicità. Capitolo terzo. LE SCUOLE SOCIOLOGICHE CLASSICHE La Sociologia della Religione (SR) studia il fatto religioso come “prodotto sociale” o frutto di ideazione collettiva, indagandone il ruolo all’interno dei meccanismi sociali. Scopo della SR è lo studio delle funzioni sociali della religione, individuando (1) i contenuti sociali impliciti in un sistema religioso, (2) il “reticolato” religioso come connettivo di una data struttura sociale, (3) le modalità sociologiche in cui si articolano le strutture religiose. La SR nasce con la sociologia stessa. La sociologia delle origini in Francia guarda alla società come “dover essere”. SaintSimon (1760-1825) auspica un Nuovo cristianesimo che, superando le diverse confessioni cristiane, torni al modello originario fondato sul “sentimento filantropico originario” che ne costituirebbe la vera base. Il nuovo cristianesimo sarebbe dunque filantropia: amarsi a vicenda, considerandosi fratelli. È un interesse strumentale per un cristianesimo deteoologicizzato in funzione di equilibrio sociale e riforma della società. Auguste Comte (1789-1857) sviluppa la legge dei tre stadi (teologico, metafisico, positivoscientifico) in cui include anche l’evoluzione della religione: feticismo, politeismo, monoteismo. La fisica sociale/positivismo sarà la nuova religione dell’umanità. La religione svolge una funzione di coesione sociale. La religione non è solo fatto intellettuale, bensì etico e affettivo. Le norme religiose offrono coesione alla comunità sociale. Ma la religione ha una funzione transeunte, poiché lascerà lo spazio alla Umanità e alla società positiva fondata su Amore, Ordine e Progresso. Emile Durkheim (1853-1917) pubblica “Le forme elementari di vita religiosa” (1912) in cui indaga la reciprocità tra religione e società, definendo la caratteristica comune alle diverse credenze religiose ovvero al distinzione tra sacro (interdetto/separato) e profano (di cui si può parlare). All’origine delle diverse forme religiose sta lo stesso stupore dinanzi al mistero, tuttavia la dinamica religiosa si rivela solo sociologicamente, poiché il religioso è anzitutto un fatto collettivo: “un sentimento proiettato fuori dalle coscienze e oggettivato”, dove la religiosità individuale viene gradualmente plasmata dai rapporti interpersonali e sociali e si codifica in riti riconosciuti. L’anima di ogni società sarebbe religiosa e, sulla scia di Comte, anche Durkheim pensa che le credenze religiose possiedano anzitutto forza morale e funzione di stabilità e coesione, ma dovranno dissolversi nel pensiero scientifico, la “forma più perfetta del pensiero religioso”. La religione è quindi ridotta a sublimazione della società; individua un universo simbolico persistente, che lascia spazio per una relativa autonomia del fenomeno religioso in virtù della distinzione tra sacro e profano. La religione è un fatto sociale ma non sopprime l’individualità. Marcel Mauss (1872-1950), nipote e discepolo di Durkheim, studia in ambito etnologico i sistemi magici e i sacrifici (“Saggio sul sacrificio”). Parla di ambiguità del sacro: sacro e impuro si oppongono ma con confini assai imprecisi (la donna impura ha anche poteri magici). Il sacrificio ha la funzione essenziale di sacralizzare il sacrificante: il fedele che ha fornito la vittima è “religiosamente trasformato”. Ci sono riti di entrata e di uscita (questi ultimi spostano il sacrificante dalla sacralità ricevuta e rinsaldano i suoi legami col resto della comunità, riportandolo tra “pari”). Funzione del sacrificio come “riscatto” del sacrificante: Dio accetta la vittima in luogo di colui che la offre. Nella “Teoria generale della magia” distingue la religione – che tende alla metafisica – e la magia – essenzialmente un arte di fare che opera come una “tecnica”. La preghiera è rito, azione e pensiero, e anche se silenziosa è sempre un fatto sociale poiché la comunità ne riconosce il valore. Tuttavia, sacrificio e preghiera non sono riducibili al sociale (autonomia relativa). Nell’area tedesca, la sociologia nasce nel dibattito tra scienze dello spirito e scienze naturali. Max Weber (1864-1920) indaga l’etica economica delle grandi religioni universali. Non accoglie l’equazione marxiana “religione = alienazione”, pur intendendo la religione non come fatto trascendente bensì prodotto storico. Studia anche la nozione di carisma: “una qualità straordinaria attribuita a una persona considerata come dotata di forze e proprietà soprannaturali”. Il carisma segna la personalità dei grandi fondatori delle religioni. Studia l’etica economica delle religioni: il rapporto tra induismo e stratificazione sociale (non ci si propone l’uscita dalle caste né la rivoluzione) e, soprattutto, “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” mettendo in rilievo il rapporto tra sviluppo dell’economia borghese ed etica calvinistico-puritana. Il lavoro professionale indefesso e vincente è segno della fede sincera e indizio di predestinazione alla salvezza. Questo legame non significa però che l’economia sia determinata esclusivamente da fattori religiosi. Si deve invece riconoscere che una diversa velocità di sviluppo economico delle diverse popolazioni ha anche risentito dell’influsso religioso. Superando, dunque, la tesi marxiana della semplice alienazione. Specificità funzionale della religione (nella società e nell’economia) e relativa autonomia del fatto religioso. Collega di Weber, ma con dichiarato impegno religioso, Ernst Troeltsch (1865-1923) fu storico, filosofo, sociologo, teologo. Studia il rapporto tra cristianesimo e società globale. Accoglie la visione marxiana del rapporto tra struttura e sovrastruttura, ma salva l’autonomia relativa del fattore religioso. Distingue la chiesa e la setta: alla prima appartieni per nascita, tende a convertire tutti ed è in costante compromesso con la società circostante per ragioni di sopravvivenza. La seconda nasce invece dal distacco polemico verso una chiesa, non scende a compromessi, seleziona gli adepti. In parallelo con Weber, che indaga l’influsso della religione sull’economia, Troeltsch esamina l’influenza della religione sull’evoluzione dello stato moderno e delle istituzioni. Non si può parlare del protestantesimo come creatore assoluto della società moderna, ma la prassi implicitamente pluralistica della pace di Vestfalia (1648, fine della Guerra dei Trent’anni) ispira i valori (laici) che sono alla base delle istituzioni moderne. Le sette, nate in seno al mondo protestante, per esigenze di relazione con le altre molteplici realtà settarie ispirarono quei sentimenti di tolleranza e pluralismo che l’età moderna ha poi trasfuso nello stato attraverso il contratto sociale. Capitolo quarto. LE SCUOLE SOCIOLOGICHE CONTEMPORANEE Le scuole sociologiche classiche, abbiamo visto, seguono tre filoni di ricerca: (1) l’orizzonte utopistico e riformista, (2) l’ottica funzionalista e sociale, (3) il rapporto tra credenze religiose e istituzioni economico-politiche. La svolta viene segnata dal francese Gabriel Le Bras (1891-1970), privilegiando l’ambito cristiano-occidentale e la storia moderna/contemporanea. Negli anni Trenta sviluppa una metodologia volta a misurare la pratica religiosa entro le dinamiche istituzionali. “La chiesa e il villaggio”: ricerca condotta sul campo, con preparazione storica, scoprendo – ad esempio – che le croci rurali in pietra tipiche della Normandia sono la riplasmazione di antichi culti celtici. Le Bras ha acuta sensibilità storica e non si ferma mai ai puri dati statistici, preferendo la dimensione diacronica a quella sincronica, pur presente. Unisce statistica e approccio storico. Continuatore della sua ricerca è Jean Seguy che indaga il significato sociologico di alcuni movimenti “tipo-setta” sorti dal basso a matrice pentecostale e carismatica. Individua il carisma come fondamento della leadership, collocando tali movimenti nel weberiano “disincanto del mondo”; in cui le istituzioni hanno perso sacralità. Esplora la protesta anti-istituzionale dei movimenti e gruppi religiosi, approfondendo la distinzione tra chiesa e setta ma aggiungendo una analisi storica della formazione delle sette: se nel primo medioevo sono più confraternite abbastanza ortodosse, la rottura si ha colla Riforma, in cui il proliferare delle sette è visto come il tentativo della società religiosa di ripensare se stessa. Esigenze di riforma e rinnovamento – anche collettivo – che, d’altra parte, erano già emerse con gli ordini monastici del medioevo che avevano espresso tali tendenze innovatrici e di richiamo alla purezza originaria con obbedienza e silenzio (una utopia obbediente, non rivoluzionaria). Lo studioso individua i caratteri del monachesimo: rottura psicologica, isolamento geografico, scelta ascetica di un gruppo di virtuosi. A volte si può anche protestare contro la Chiesa (i domenicani rivendicano il diritto alla predicazione) oppure contro la società (razionalista). Esaminati nella loro valenza sociologica, i fatti religiosi conservano però una specificità irriducibile. Thomas Luckmann pubblica “La religione invisibile” (1963), facendo “macrosociologia” dell’esperienza religiosa per scoprire le ragioni della decadenza della religione “di chiesa” e dell’emergenza di una religione interiore, invisibile, che meglio soddisferebbe le esigenze spirituali in una società secolarizzata. Lo sviluppo industriale favorisce l’indebolimento della religione orientata ecclesiasticamente, ma non viene meno la dimensione religiosa in sé. La religione non è un’esigenze psicologica, né un vissuto indefinibile (FR), bensì un dato ontologico radicato nel trascendimento che la personalità compie della propria base biologica attraverso i processi di socializzazione. Tale trascendimento produce sistemi simbolici che qualificano l’uomo come animale culturale. Le società moderne vedono la crisi del confine sacro-profano e la chiesa perde carattere normativo. Brian Wilson indaga i movimenti messianici del terzo mondo alla luce del rapporto tra secolarizzazione e nuovi movimenti religiosi. Essi sono geograficamente estesi, valorizzano un aspetto del cristianesimo pur presentandolo come unico ed esclusivo. Fanno presa sugli strati sociali più poveri ed emarginati, ma anche sui ceti medi emergenti. Sono radicali (rottura con la chiesa madre o istituzionale) e conservatrici (riaffermare i valori originari). Le sette sono un fenomeno che mette in crisi l’equivalenza “secolarizzazione = mancanza di religiosità”. Se anche il progresso scientifico porta al “disincanto” del mondo, tuttavia questo conosce battute di arresto, addirittura dei “ritorni”. La secolarizzazione sarebbe una tendenza dominante, ma al tempo stesso causa della (ri)nascita (per reazione) di movimenti religiosi. Indaga anche i movimenti religiosi di liberazione anticolonialista a carattere profeticomessianico, rilevandone le caratteristiche taumaturgico-rivoluzionarie. La sociologia americana risente delle forte influenza funzionalista che viene criticata da J. Milton Yinger il quale studia il rapporto tra religione e mutamento sociale: le religioni sovente hanno la funzione di rassicurare e confortare in tempo di crisi, ma favoriscono altresì cambiamenti sociali e risoluzione di problemi. Si parla di “influenza indipendente” delle religioni sul mutamento sociale, rivedendo criticamente l’approccio weberiano (che presumeva una influenza più stringente tra religione ed economia). Sempre negli USA, aldilà del funzionalismo Peter Berger indaga la connessione tra pluralismo religioso e secolarizzazione: la secolarizzazione nasce dalla messa in crisi del monopolio religioso della chiesa istituzionale, crisi in cui trovano terreno fertile per svilupparsi diverse sette e movimenti che, reagendo alla mancanza di un controllo forte e istituzionalizzato, proliferano sul mercato ponendosi come modelli di valore religioso alternativo e in concorrenza tra loro. Berger esamina in particolare le forme profetico-escatologiche che rilanciano la teodicea come risposta a una situazione di sofferenza. Teorizza l’ateismo metodologico: lo studioso deve essere laico, cioè imparziale. In Italia la SR nasce negli anni Cinquanta. Nel 1957 esce il primo numero di Sociologia Religiosa, rivista curata da Sabino Acquaviva con “rigorosa analisi dei dati di fatto, in parte notevole di carattere statistico”. Il suo “L’eclissi del sacro nella civiltà industriale” (1961) è un classico della ricerca sociologica italiana (con prefazione di Le Bras). Coglie la parabola evolutiva delle credenze religiose in rapporto ai popoli primitivi, al Medioevo e all’età moderna e contemporanea, in parallelo allo sviluppo dell’economia da agricola a industriale e urbana. Questo sviluppo sarebbe la causa determinante della eclissi del sacro (secolarizzazione). Tuttavia, pur decaduto in quanto a manifestazione sociale, il sacro rimane come archetipo nella mente individuale. Critiche ad Acquaviva: si muove da un’ottica etnocentrica (società industriale dell’Ottocento) e con tono apologetico funzionale agli interessi della Chiesa Cattolica. Silvano Burgalassi scrive “Il comportamento religioso degli Italiani”, “Italiani in chiesa”, “Le cristianità nascoste” studiando – senza giudizi di valore – il rapporto tra religione e le diverse variabili sociali. Gustavo Guizzardi elabora una sociologia politica della religione in cui la religione è un prodotto verso il quale esiste un consenso in parte imposto, in parte autonomo, in ogni caso elaborato dalla istituzione ecclesiastica. Gli studi più recenti della sociologia italiana riguardano i nuovi movimenti religiosi, pentecostali e carismatici in particolare, indagando la dialettica tra queste realtà e la chiesa istituzionale. Franco Ferrarotti (“Una fede senza dogmi”) ritiene la religione di chiesa destinata all’eclissi, mentre sopravvive il sacro con funzione utopica/assiologica. Capitolo settimo. LE SCUOLE ANTROPOLOGICHE L’osservazione dei fatti religiosi in prospettiva antropologica poggia su una premessa: le credenze religiose appartengono all’esperienza umana globale (come diceva anche la SR). Mentre la SR è più attenta al fenomeno religioso come fatto sociale, l’antropologia si sofferma sulla reciprocità significato della religione/religione come significato. Gli uomini che praticano una religione le riconoscono significati ultimi o salvifici, e l’indagine di questi deve prescindere dal problema della verità dell’oggetto della religione. Iniziatore è Edward Tylor (1832-1917) che elabora la teoria dell’animismo. Sia nel sogno che nella morte l’anima si stacca dalla persona (meglio: dal corpo; NdR) – temporaneamente o definitivamente – per accedere ad altri mondi o esperienze. Di qui l’idea che il mondo sia popolato di spiriti che, in seguito, vengono distinti in buoni e cattivi. Un vero e proprio pantheon politeistico che culminerà nella riunificazione di una sola entità divina (monoteismo come forma religiosa più alta). Evidenti reminiscenze dell’evoluzionismo comtiano. La metodologia dell’antropologia in generale viene fissata dal polacco Bronislaw Malinowski (1884-1942) che “scopre” il mondo della magia e delle religioni dopo la lettura de “Il ramo d’oro” di J. Frazer. Liberatosi da ogni presupposto evoluzionistico, studia l’inter-funzionalità dei meccanismi delle diverse culture, intese come dimensioni che interagiscono attraverso funzioni multiple e cumulabili per risolvere i problemi umani. Accantonata ogni ipotesi trascendentalista, in ottica funzionalista indaga il ruolo della religione nella cultura umana, soffermandosi sul rito (di passaggio dall’adolescenza all’età adulta) e sul mito. I riti di passaggio assicurano continuità della tradizione e coesione tribale. Il ruolo coesivo della religione concorre a legittimare le istituzioni e i ruoli sociali, anche attraverso il mito che codifica come socialmente valida una certa rilettura della storia e dei rapporti della comunità. È una storia carica di valori e di verità, espressione della identità condivisa in una società. Se il livello del mito è globale, quello della magia è parziale, legato ai problemi della vita quotidiana. Non si pone il problema del dilemma spiegazione/comprensione, restando in ottica meramente funzionalista e perdendo però una certa attenzione alla storicità dei fattori considerati. Edward Evans-Pritchard è iniziatore della antropologia sociale: non si indaga la cultura umana in quanto tale, bensì la società come contenitore di cultura. Studia dunque “il comportamento sociale nelle sue forme istituzionalizzate quali la famiglia, i sistemi di parentela, l’organizzazione politica, le procedure giuridiche, i culti religiosi e simili (…) riferendosi sia alle società contemporanee sia a quelle storiche”. Se l’antropologia culturale è più attenta a tecniche, linguaggi e simboli, l’antropologia sociale segue l’articolarsi delle istituzioni. Esiste un circuito tra rito e società: il primo ha senso se è un fatto sociale, mentre la seconda trova nel rito identità e consacrazione dei ruoli. Lo Strutturalismo diviene un punto fermo per l’antropologia contemporanea grazie a Claude Levi-Strauss che paragona il pensiero umano al gioco della roulette: è un colpo di fortuna, non necessario, per cui la civiltà umana poteva compiersi assai prima delle migliaia di anni che sono trascorsi, o assai dopo. Si assume l’origine inconscia di gran parte dei comportamenti collettivi, affermando che l’attività sommersa dello spirito consiste nell’imporre forme a un contenuto. Lo studioso deve togliere il velo che copre la struttura inconscia soggiacente a ogni istituzione per individuare il principio interpretativo valido anche per altre istituzioni, usanze e miti. Si tratta di un insieme finito di relazioni che possono combinarsi in innumerevoli modi. Il rischio dell’approccio strutturalista è di pretendere di essere un ordinatore culturale totale. Le scuole simboliche intendono le religioni come sistemi di simboli che agiscono per instaurare atteggiamenti e motivazioni forti e durevoli mediante l’elaborazione di concetti relativi a un ordine generale dell’esistenza. La religione è legata al problema del significato. Il simbolo religioso ha una dinamica propria ma al tempo stesso interagisce col piano dellla storia (autonomia relativa). Appendice. LE RELIGIONI: PROBLEMI DI DEFINIZIONE E DI CLASSIFICAZIONE Le esplorazioni e le scoperte geografiche moderne rendono consapevoli che il cristianesimo è una delle diverse religioni e neppure la più antica. Ci si oppone presto a una definizione funzionale e liquidatoria della religione - come accade nell’Illuminismo – ricercando l’etimologia del termine. Religio per i latini indica “coscienza”, “esattezza” cioè uno stile di comportamento rigido e preciso, legato a esatte esecuzioni rituali. Cicerone afferma che religio deriva da relegere: ripetere scrupolosamente gesti rituali; Lattanzio dice invece che derivi da religare: essere strettamente legati a Dio, per purificare il termine dalle scorie del ritualismo pagano. Sant’Agostino nel “De Civitate Dei” passa a religere: ri-scegliamo quel Dio che avevamo perduto per negligenza. San Tommaso fa sintesi di Lattanzio (legare) e Agostino (scegliere di nuovo). Si origina una tensione tra visione essenzialistica (sostantiva – che cos’è?) e visione funzionale (che cosa fa?) della religione. Lucrezio precorre il secondo filone ricordando Ifigenia sacrificata dal padre Agamennone per un voto di sacrificio per propiziarsi gli dei. Per Lucrezio la religione nasce dalla paura, ha la funzione di indurre gli uomini a compiere persino nefandezze, ma è destinata a estinguersi quando si affermerà la razionalità. Voltaire, nel pieno dell’Illuminismo, dà una definizione sostantiva (adorare Dio) e funzionale (garantire giustizia, tolleranza e umanità) della religione nel suo “Dizionario filosofico”. I maestri del sospetto riprenderanno Lucrezio, profetizzando l’estinzione della religione. Nell’Ottocento e Novecento la religione è indagata da antropologia e sociologia, che ne studiano rispettivamente la funzione nelle società etnologiche e in quelle segnate dalla rivoluzione industriale e dal conseguente “disincanto”. Durkheim definisce la religione come “un sistema solidale di credenze e pratiche relative a cose sacre, cioè separate e interdette, le quali uniscono in un’unica comunità morale, chiamata chiesa, tutti quelli che vi aderiscono” (definizione sostantiva). Marcel Mauss approfondisce la definizione del maestro, distinguendo la religione in senso stretto e in senso lato (magia e superstizioni popolari). Max Weber ricava una definizione alla fine della sua ricerca, definizione funzionale abbastanza generica: la religione deve assicurare che “tutto vada bene”. Troeltsch punta su una definizione sostantiva, che contenga il principio normativo e la necessità della sua graduale realizzazione: “elevazione al Divino realizzantesi in una specifica forma di vita vissuta”. Negli Usa ci sono tre correnti: (1) la teoria dell’illusione, per cui la religione sarebbe “la speranza nelle coscienze umane”; (2) la teoria simbolista, per cui i simboli religiosi assolvono la funzione di garantire coesione sociale; (3) la teoria cognitiva per cui la religione permette al pensiero di interpretare il mondo e all’azione di controllarlo. Milton Yinger afferma una religione con la funzione di contenere l’angoscia umana, dando conto del male e della sofferenza. Per Robert Bellah, sociologo a Berkeley, la religione ha la funzione di definire l’identità collettiva e di difenderla. Per René Girard, antropologo francese, la religione è anzitutto sacrificio con la funzione di riassorbire i conflitti, dar sfogo alla violenza e impedire l’autodistruzione della società. Petazzoni riconduce la religione al “religare” inteso come legare l’uomo a Dio in condizione di dipendenza assoluta necessaria per conseguire la salvezza. Risulta insufficiente ogni definizione che pretenda di essere o solo essenzialista/sostantiva o solo funzionalista. Nel tentativo di classificare le religioni, senza ridursi alla schematica distinzione tra politeismo e monoteismo, si potrebbe ricorrere alla distinzione tra religioni etniche e illetterate, sapendo che tutte quelle illetterate sono etniche ma non viceversa (alcune religioni etniche hanno un Libro sacro come base). Alle religioni etniche si oppongono quelle universali (chiamate a travalicare per loro stessa natura missionaria i confini del luogo d’origine). Usando degli insiemi, si dovrebbe dire che: - Le religioni etniche comprendono quelle illetterate e altre letterate - Le religioni etniche si oppongono a quelle universali - Le religioni etniche e quelle del Libro si intersecano (nello spazio comune delle religioni etniche letterate) - Le religioni del Libro comprendono religioni con fondatore storico (in cui ricadono quelle universali) e religioni con fondatore mitico.