Il concorso dell’istituto di credito nei fatti di bancarotta, tra libertà d’iniziativa economica e controllo del giudice penale, problemi ancora aperti e occasioni mancate (∗) 1 – L’inusuale fenomeno di un legislatore impegnato a rincorrere l’elaborazione dogmatica e giurisprudenziale – fenomeno direttamente proporzionale al proliferare di tecniche legislative sempre più frequentemente deficitarie – non è esperienza nuova nell’ordinamento italiano degli ultimi anni. In tal senso, il diritto penale del fallimento – da un Autore icasticamente definito, nei suoi rapporti con le singole procedure concorsuali, “autentica ‘croce e delizia’ (…) degli studiosi” ( 1) – può a tutti gli effetti considerarsi un banco di prova ed un punto d’osservazione privilegiato in ordine alle conseguenze sistematiche di siffatta “normazione correttiva”, vuoi in termini di efficacia dell’argine frapposto all’autonomia interpretativa di giudici e studiosi, vuoi in termini di auspicabilità pro futuro di ulteriori interventi normativi di simile entità. Assume carattere paradigmatico, in questo contesto, la recente introduzione dell’art. 217 bis ( 2) nel r.d. 267/1942 (di seguito, per comodità seppur impropriamente, “l.fall.”) (3) – ad opera dell’art. 48 comma 2 bis d.l. 78/2010, convertito in l. 122/2010 – che reca l’evidente intento di riequilibrare il sistema sanzionatorio penale, calibrandolo e coordinandolo, onde “agevolare il più possibile l’intervento sulle crisi d’impresa” (4), con le nuove disposizioni in materia di procedure concorsuali (5); e, al contempo, il proposito di sollevare l’interprete dall’indesiderabile e non agevole compito (6) di (∗) Testo della relazione tenuta dall’Avv. LUCA TROYER al Convegno “La procedura pre-fallimentare ed i reati fallimentari: problematiche vecchie e nuove”, organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, presso l’Aula Magna del Palazzo di Giustizia di Milano in data 23 gennaio 2012. Si ringrazia per la collaborazione nella stesura del presente lavoro l’Avv. ALEX INGRASSIA e il Dott. STEFANO CAVALLINI. (1) Testualmente, D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., in Le società, n. 2/2011, pag. 201. (2) Che per praticità di lettura si riporta qui di seguito. Art. 217 bis – esenzione dai reati di bancarotta: “le disposizioni di cui all’articolo 216, terzo comma, e 217 non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiuti in esecuzione di un concordato preventivo di cui all’articolo 160 o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182 bis ovvero del piano di cui all’articolo 67, terzo comma, lettera d)”. (3) Tra i primi commenti alla nuova disciplina si segnalano: MUCCIARELLI, L’esenzione dai reati di bancarotta, in Diritto penale e processo, n. 12/2010, pagg. 1474 e ss.; D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pagg. 201 e ss.; BRICCHETTI-PISTORELLI, Bancarotta, le operazioni escluse dall’incriminazione, in Guida al diritto, n. 37/2010, pagg. 94 e ss., nonché Al giudice la verifica dei presupposti di esenzione, ivi, pagg. 98 e ss.; LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis l.fall.: una riforma che tradisce le aspettative, ne il Fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 12/2010, pagg. 1366 e ss. Nella manualistica, BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari. Dottrina e giurisprudenza a confronto, Milano 2011, pagg. 156 e ss. (4) Così BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 159. (5) Come notano, tra gli altri, BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 158, infatti, i pagamenti e le operazioni di cui si occupa l’art. 217 bis erano già stati iscritti – in seguito agli interventi riformatori degli anni 2005-2007 – tra quelli non soggetti ad azione revocatoria. (6) V’è chi ha parlato, in dottrina, di “chimerismo giuridico”, per indicare il fenomeno del sovrapporsi, fondendosi tra loro, di previsioni normative irrimediabilmente distanti e potenzialmente in conflitto: in questo senso, D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 202. 1 delineare i riflessi che tali ultimi provvedimenti dispiegavano su disposizioni penali in precedenza rimaste invariate (7). Nel complesso, dunque, almeno nell’intentio legis, vigente la nuova disciplina l’area del sindacato del giudice penale dovrebbe ridursi: vedremo se questo obiettivo può dirsi compiutamente centrato, specie in riferimento alla disciplina del possibile concorso degli istituti di credito. Scopo delle annotazioni che seguono sta, infatti, anche nell’abbozzare una sommaria e giocoforza provvisoria analisi dei tratti essenziali dell’ultimo provvedimento riformatore, soprattutto in relazione alla vexata quaestio del concorso del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale ( 8), nell’ottica della più generale questione della “banca” quale concorrente eventuale nella bancarotta. Nel far ciò, sembra metodologicamente opportuno passare dapprima in rassegna gli approdi ermeneutici a cui, su quest’ultimo tema, erano pervenute dottrina e giurisprudenza ante art. 217 bis l.fall., salvo poi tentare una prima valutazione dell’impatto che su essi potrà ragionevolmente avere l’esenzione di nuovo conio. All’esito dell’indagine, sarà forse possibile azzardare anche una prognosi sulle potenzialità operative della novella, oltre che sui problemi che – come già si può intravvedere – presumibilmente essa lascerà sul tappeto ( 9). 2 – Conviene, come accennato, prendere le mosse da una ricognizione dello stato dell’arte, in merito al concorso degli istituti di credito nei fatti di cui agli artt. 216-217 e 223 comma 2 n. 2 ( 10), prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 217 bis l.fall. Stanti peraltro le note peculiarità del delitto di bancarotta preferenziale, in cui la configurabilità di condotte penalmente rilevanti a carico di membri di istituti bancari dipende strettamente dalla soluzione data alla più ampia questione del concorso del creditore nel suddetto reato, si procederà anzitutto ad una disamina delle più semplici ipotesi di concorso nelle altre fattispecie di cui agli artt. 216 e 217, salvo poi soffermarsi sulla compatibilità dell’art. 110 c.p. con il delitto di bancarotta ex art. 223 comma 2 n. 2 l.fall. Infine, verrà esaminato il problema in relazione alla bancarotta preferenziale. (7) Nel medesimo senso, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1474. Senza che tuttavia, per ciò solo, venissero neutralizzati alcuni effetti penali, seppur indiretti, come ha sottolineato D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 202, laddove – citando anche un passaggio di ALESSANDRI, Profili penalistici in tema di soluzioni concordate delle crisi d’impresa, in Riv. It. dir. proc. pen., 2006, pag. 115 – rammenta come “le norme penali, in ambito fallimentare, si pongono immediatamente quali strumenti di enforcement della disciplina civilistica di settore sicché (…) l’interprete si trova di fronte a un caso paradigmatico di diritto penale artificiale, tale per cui ogni modifica della disciplina extrapenale si riverbera fatalmente su quella penalistica, perché ne muta silenziosamente gli elementi costitutivi”. Per una disamina esaustiva del precedente quadro normativo, in punto di profili penali, si veda MUCCIARELLI, Stato di crisi, piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo e fattispecie penali, in Riv. trim. dir. pen. econ., n. 4/2009, pag. 825 e ss.; sia inoltre consentito rinviare a TROYER, Le responsabilità penali relative alle soluzioni concordate delle crisi d’impresa, in Riv. dott. comm., n. 1/2008, pagg. 111 e ss. (8) A parere di un Autore, peraltro, il legislatore avrebbe introdotto l’art. 217 bis, senza attentamente ponderarlo, “unicamente per “salvare” le banche”: LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis, cit., pag. 1375. (9) Primo fra tutti, purtroppo, rappresentato ancora una volta da una tecnica di redazione normativa caratterizzata, come lamentato in dottrina, “dallo sconfortante ripetersi del pressapochismo metodologico che ha contraddistinto molte delle più recenti riforme nel settore penale economico”: D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 201. (10) Condurrebbe troppo lontano, e dunque in questa sede si tralascia, la tematica, che pure ha talvolta impegnato la giurisprudenza, relativa al possibile concorso di enti bancari nella bancarotta impropria di cui all’art. 223 comma 2 n. 1 l.fall. 2 2.1 – Quanto al concorso dell’istituto di credito (rectius: del funzionario di banca) nei fatti di cui agli artt. 216 e 217 l.fall. diversi da quelli di cui al comma 3 del medesimo art. 216, vengono in rilievo le consuete regole contemplate dagli artt. 110 e ss. c.p. La giurisprudenza, ad esempio, ha avuto occasione di precisare che “a configurare la responsabilità dell’ “extraneus” per concorso nel reato proprio (nel caso in esame del funzionario di una banca nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commesso dagli amministratori) sono sufficienti: l’incidenza causale dell’azione dell’ “extraneus” e la sua consapevolezza del fatto illecito e della qualifica del soggetto attivo che ha posto in essere il fatto tipico” (11). Giova evidenziare che in materia di dolo dell’extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale vi è sostanzialmente una divisione nella giurisprudenza, anche di legittimità, che una recente sentenza della Suprema Corte ha tentato di superare. In particolare, una prima tesi più restrittiva si accontenta ai fini della sussistenza del dolo di verificare che l’extraneus abbia “consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori, anche quando l'agente, pur non perseguendo direttamente tale risultato, tuttavia lo preveda e, ciò nonostante, agisca, consentendo la sua realizzazione. Ne consegue che è sufficiente che l'agente, perseguendo un interesse proprio o di terzi estranei all'impresa, abbia la coscienza e volontà di porre in essere atti incompatibili con gli interessi della stessa, anche se non qualificati da una specifica volontà di cagionare danno ai creditori dell'imprenditore” (Cass. pen., Sez. II, 15.10.08, n. 43171). Una seconda esegesi decisamente più garantista richiede “al fine della configurabilità del concorso dell’extraneus nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è necessario che sussista la consapevolezza del percettore della somma – versata dall’imprenditore successivamente fallito – in ordine allo stato di decozione dell’impresa da cui il denaro proviene e, quindi, in ordine al rischio cui sono esposte le ragioni creditorie, con la conseguenza che il giudice deve dare rigorosa dimostrazione del sufficiente contenuto rappresentativo dell’elemento psicologico, focalizzato sul concreto rischio di insolvenza, anche se non qualificato da una specifica volontà di cagionare danno ai creditori dell’imprenditore” (Cass. pen. Sez. V, 27.10.06, n. 41333). La discrasia nelle due posizioni giurisprudenziali si rinviene, dunque, nella necessità solo per parte della giurisprudenza che nell’oggetto del dolo sia ricompresa la coscienza dello stato di decozione della controparte contrattuale, imprenditore o società che sia. Tra queste tesi ha ricercato una sintesi la sentenza n. 16388 del 23 marzo 2011 della Sezione V che, nel suo passaggio più significativo, sottolinea dapprima il conflitto più sopra evidenziato per offrire poi una lettura unitaria dei contrastanti orientamenti di merito. In particolare si legge: “il giudice di legittimità ha affermato che occorre la prova della consapevolezza che la propria azione sia foriera di danno ai creditori eppertanto debba essere accompagnata dalla conoscenza, da parte dell'agente, dello stato di decozione dell'impresa a cui viene sottratto il cespite attivo (cfr. Cass., Sez. 5^, 22 aprile 2004, Bertuccio, CED Cass. 228905). Successivamente, lo stesso giudice ha (11) Cass. Pen. sez. V, 26 giugno 1990, in Giust. Pen. 1991, II, 645. 3 osservato che non è necessaria la specifica conoscenza del dissesto della società (Cass. Sez. 5^, 13 gennaio 2009, Poggi Longostrevi, Ced Cass. 243162, decisione a cui fa esplicito riferimento il ricorrente). Questi approdi, al di là dell'apparenza, non sono in realtà configgenti. Più che soffermarsi sull'elemento soggettivo, il Collegio ritiene pregiudiziale la disamina della ricorrenza del dato obiettivo, sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale, cioè l'effettiva connotazione di fraudolenza dell'azione nel contesto dell'illecito fallimentare. Infatti, l'offesa provocata dal reato non può ridursi al mero impoverimento dell'asse patrimoniale dell'impresa, ma si restringe alla diminuzione della consistenza patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei creditori. Questi ultimi, quali persone offese, sono - invero - l'indispensabile referente per lo scrutinio in discorso. In sostanza, è integrativa del reato non già la sottrazione di ricchezza che costituisce l'offesa del reato, ma soltanto quella che reca danno alle pretese dei creditori. Non si tratta di una precisazione di poco momento: l'azione "distruttiva" che cade sugli utili prodotti dalla società, pur riducendo l'oggettiva consistenza del patrimonio dell'organismo, non è idonea ad integrare il reato, posto che il profitto generato dalla gestione, ove non reinvestito, appartiene ai soci e non ai creditori (cfr. Cass. pen., sez. 5^, 18 febbraio 2009, Ferrari, Ced Cass., rv.243612). Se questa conoscenza è ragionevolmente presunta in capo all'imprenditore individuale o all'amministratore dell'impresa collettiva, per cui non si profila necessaria espressa motivazione diversamente deve dirsi con riguardo sull'extraneus, quando non emerga la consapevolezza dell'effettivo stato dell'organismo che egli concorre a pregiudicare patrimonialmente (in tal senso Cass., Sez. 5^, 27 ottobre 2006, Tisi ed, altro, CED Cass. 235766)”. La Suprema Corte parrebbe così richiamare i giudici di merito ad una verifica sul piano dell’elemento oggettivo del reato, che ricade specularmente su quello soggettivo, della necessaria capacità della condotta contestata non tanto e non solo di diminuire il patrimonio societario quanto di diminuire la garanzia per i creditori. Venendo ai casi di bancarotta semplice, giova evidenziare, come ha osservato la dottrina (12), che l’addebito alla banca di aver partecipato all’aggravamento del dissesto ai sensi dell’art. 217 comma 1 n. 4 potrebbe rivelarsi contraddittorio ove – postulata la natura colposa di quest’ultimo delitto (13) – volesse ravvisarsi un concorso materiale (12) Di questo avviso, INSOLERA, La responsabilità penale della banca per concessione abusiva di credito alla impresa in crisi, in Giur. Comm., 2008, 5, pag. 853. (13) Il supposto carattere colposo del delitto in esame non è tuttavia affatto pacifico in dottrina: cfr. per tutti COCCO, I rapporti tra banca e impresa in crisi: problemi di responsabilità penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1989, pagg. 548 e ss. Vale la pena di segnalare che di recente la Cassazione si è pronunciata nel senso della sussistenza del delitto di bancarotta semplice ex art. 217 comma 1 n. 4 in un caso in cui lo “squilibrio [era] progressivamente aumentato proprio a causa della caparbia, pervicace, ma altrettanto imprudente prosecuzione dell’attività in mancanza di un'attenta valutazione delle reali prospettive dell'impresa e di interventi di ricapitalizzazione, irrilevanti essendo state le immissioni di fondi personali dei soci, che, in quanto avvenute sotto forma di finanziamento e non di aumento di capitale, avevano ulteriormente aggravato la posizione debitoria della società, divenuta per tale motivo irrecuperabile” (Cass. pen. sez. V, n. 32899/2011, in Banca dati Dejure). Tuttavia, premesso che – qualora tali finanziamenti fossero avvenuti nel solco di un piano di risanamento o di un accordo di ristrutturazione ex artt. 67 comma 3 lett. d) e 182 bis l.fall. – non si potrebbe dubitare che operi l’esenzione di cui all’art. 217 bis l.fall (si veda meglio infra par. 3.2.2), in sede di primo commento si è sottolineata l’opportunità di un 4 con la fattispecie, unicamente dolosa, di cui all’art. 223 comma 2 n. 2 l.fall. Altra parte della dottrina, peraltro, considera ipotizzabile la bancarotta semplice ex n. 3 art. 217 l.fall. in presenza di un’operazione di finanziamento volta unicamente a reperire denaro per ritardare il fallimento: operazioni che in situazioni normali sarebbero perfettamente lecite, dunque, accedendo a siffatta tesi, si connoterebbero di rilevanza penale quando realizzate in uno stato di crisi pressoché irreversibile (14). In tal caso, invero, anche il funzionario di banca sarebbe penalmente responsabile, quando sia consapevole della situazione di decozione in cui versa l’impresa beneficiaria (15). 2.2 – Certamente più ricorrente, nei repertori giurisprudenziali, è il tema del concorso atipico del dipendente dell’istituto di credito nel delitto di bancarotta impropria per effetto di operazioni dolose. Come noto, l’esegesi di “operazione dolosa” corrente in dottrina ed in giurisprudenza è estensivamente tratteggiata fino ricomprendere nella locuzione “qualsiasi atto o complesso di atti, implicanti una disposizione patrimoniale, compiuti dalle persone preposte all’amministrazione della società, con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla loro qualità, con l’intento di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, a danno della società o dei creditori, o anche con la sola intenzione di arrecare un danno alla società o ai creditori” ( 16). 2.2.1 – Ciò premesso, già diversi anni orsono autorevole dottrina riteneva ipotizzabile il concorso del banchiere “specificamente nel caso in cui “l’operazione dolosa” causatrice del dissesto sia costituita dall’assunzione di un debito” ( 17). In quest’ottica, nel concetto di operazione dolosa “possono ben essere ricondotte anche le operazioni di ricorso al credito a condizioni anormali, ad esempio ad un tasso superiore a quello di mercato o con garanzie eccessive, quando esse abbiano come effetto la causazione od un aggravamento del dissesto”, a condizione che “colui che eroga il credito (…) sia consapevole di contribuire a provocare o ad aggravare lo stato di dissesto” (18). 2.2.2 – L’elaborazione giurisprudenziale, di fronte ad una realtà economica sempre più proteiforme ed in perenne evoluzione, ha tuttavia superato tale impostazione, evidentemente reputata “minimalista”. Nel “caso Parmalat”, ad esempio, sono imputati alcuni appartenenti ad istituti di credito rei – in prospettiva accusatoria – di avere concorso nella bancarotta impropria ex approccio maggiormente sostanzialistico, posto che un debito, finché non diventi liquido ed esigibile, non drena liquidità e non è idoneo a ridurre il patrimonio sociale (dunque si potrebbero ritenere lecite le stesse operazioni in presenza di particolari clausole, che prevedano ad esempio la facoltà di poter convertire in conto capitale il finanziamento e gli interessi maturati, ovvero che incorporino appositi patti di subordinazione e postergazione): cfr. in proposito D’AFFRONTO-BASILIO, Contro il dissesto “irrilevanti” i fondi personali, ne Il sole 24 ore, 18 settembre 2011, pag. 24. (14) In questo senso, si veda ancora COCCO, I rapporti tra banca e impresa in crisi, cit., pagg. 529 e ss. (15) Ibidem, pag. 556. Si noti tuttavia che queste osservazioni vanno ora coordinate con l’esenzione di cui all’art. 217 bis l.fall., che “erode” anche una parte del tipo della bancarotta semplice. Vedi sul punto infra par. 3 ed in particolare 3.2.2. (16) In dottrina, tra i tanti: PEDRAZZI, Reati fallimentari, in Manuale di diritto penale dell’impresa, Parte generale e reati fallimentari, Bologna 2004, pag. 172. In senso sostanzialmente analogo la giurisprudenza; si veda, ad esempio, Cass. pen. sez. I 25 aprile 1990, in Cass. Pen. 1992, pag. 164. (17) Così STELLA, Insolvenza del debitore e responsabilità penale del banchiere, ne Il fallimento, n. 3/1985, pag. 306. (18) Ibidem. 5 art. 223 comma 2 n. 2 l.fall., “per avere orchestrato in concorso con il debitore operazioni finanziarie ai danni dei piccoli risparmiatori” (19). Di recente, poi, la Suprema Corte è stata chiamata a giudicare della penale responsabilità in punto di bancarotta per effetto di operazioni dolose – tra gli altri – del direttore di filiale e del direttore generale di una Cassa di Risparmio. Entrambi erano accusati di avere agevolato l’impresa in seguito fallita (compagnia assicurativa) – previo concerto con un amministratore della medesima e con un terzo soggetto – a reperire liquidità utile per la costituzione di un fondo, con il quale mendacemente rappresentare la provvisoria copertura di riserve tecniche in precedenza distratte, e, di conseguenza, tranquillizzare il relativo ente di controllo (Isvap); con il risultato di aver ritardato, a detrimento dei creditori, l’apertura della procedura concorsuale o il ripristino (tramite azione di responsabilità verso gli amministratori e recupero della liquidità da poco sottratta) dell’equilibrio finanziario della società. Definitivamente confermando la pronuncia di condanna, la Suprema Corte ( 20) – svolte rilevanti puntualizzazioni sia in merito all’elemento oggettivo sia a quello psicologico del reato (21) – statuisce che (19) Come puntualmente sintetizza MICHELETTI, Il ricorso abusivo al credito come reato necessariamente condizionato, in Riv. trim. dir. pen. ec., nn. 1-2/2007, pag. 43. (20) Cass. pen. sez. V, n. 17690/2010 (rel. SANDRELLI), in Riv. Dott. Comm., 2011, I, pagg. 195 e ss., per il diverso profilo della ammissibilità della figura del sindaco “di fatto”, con nota di CHIARAVIGLIO. (21) In tema di elemento oggettivo, il Supremo Collegio chiarisce come, se è pur vero che “la giurisprudenza di legittimità (in sintonia con la più autorevole dottrina) ha individuato la "dolosità" delle operazioni nella commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all'organo amministrativo o anche soltanto in atti intrinsecamente pericolosi per la salute economico-finanziaria della società”, tuttavia “la valutazione di abuso o di infedeltà non può assumersi in via generale ed astratta, poiché essa dipende dal rilievo dei peculiari doveri statutari, dalla tipologia dell'organismo societario e, soprattutto, dalla situazione economico/patrimoniale in cui la condotta si compie (variabile, quest'ultima, che risulta inscindibile nel vaglio di qualsiasi comportamento dedotto nel reato fallimentare)”. Ed infatti “il momento caratteristico della condotta dedotta dalla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, si recepisce nel richiamo alla nozione di "operazione" (…) la quale richiama necessariamente un "quid pluris" rispetto ad ogni singola azione (o singoli atti di una medesima azione), postulando una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente, non già direttamente dall'azione dannosa del soggetto attivo (distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione), bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale, quale è dato riscontrare in qualsiasi iniziativa societaria che implichi un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all'esito divisato; proprio l'autonomia concettuale della condotta dettata dall'art. 223, comma 2, n. 2 esclude che per lo stesso atto discendano due distinte sanzioni penali”. Soggiunge poi la V Sezione, quanto al versante soggettivo dell’illecito, con passaggio motivazionale che merita integrale riproposizione, che “il rapporto che lega l'"operazione dolosa" al fallimento non suppone la necessaria rappresentazione dell'esito concorsuale (né, tantomeno, la volontà di siffatto evento). Si tratta di un esito che scaturisce da condotta di volontaria "dolosità", ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare (…); la fattispecie descritta dalla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, si sostanzia, quindi, in una eccezionale ipotesi di fattispecie a sfondo preterintenzionale e per essa esaurisce l'onere probatorio dell'accusa la dimostrazione della consapevolezza e volontà della natura "dolosa" dell'azione, costitutiva dell'"operazione", a cui segue il dissesto, in una con l'astratta prevedibilità dell'evento scaturito per effetto dell'azione antidoverosa. Più esattamente: sorregge la penale responsabilità la rappresentazione del proprio operato non soltanto nei suoi lineamenti naturalistici, ma anche nel suo contrasto con i doveri propri del soggetto societario a fronte degli interessi dell'ente commerciale (…), mentre è estranea ad essa la rappresentazione e volontà dell'evento fallimentare (né, quindi, del pregiudizio ai creditori). Il fallimento è situazione che viene addebitata al soggetto attivo per effetto della sua azione, in un'ottica che non è dissimile (come affermato dalla dottrina) dalla preterintenzione, ma che necessariamente impone (…) una sicura dimostrazione del legame eziologico oggettivo tra l'operazione dolosa ed il fallimento (…)”. Infine, proprio in punto di nesso causale, rammenta la Cassazione che “nell'economia della fattispecie di cui alla L. Fall., art. 223, comma 2, n. 2, non interrompono il nesso eziologico tra l'operazione dolosa e l'evento fallimentare né la 6 “neppure coglie nel segno la difesa nel sottolineare che, a seguito delle manovre disposte (…), la provvista di titoli venne effettivamente ricostituita, a smentita della "dolosità" della condotta, scevra da immediati esiti dannosi per la società. Si trattava di operazione "dolosa" non già in ragione della (indubbia) temerarietà nella concessione del mutuo (…), ma poiché (…) il risultato, che quelle operazioni dovevano raggiungere, era quello di fornire un'apparenza fittizia "al solo fine di dare ad ISVAP una parvenza di integrità e copertura delle riserve tecniche" (…). Un espediente che giovava esclusivamente alla falsa rappresentazione della realtà all'esclusivo beneficio di una gestione societaria evidentemente pregiudizievole per i creditori o per i titolari di negozi assicurativi (…), essendo stata accortamente prefigurata anche nel suo esito compiuto (…). Al ricorrente non serve reclamare l'astratta liceità dell'operazione (…): è corretta la considerazione (…) per cui la fittizia ed apparente presentazione del fondo di riserva (…), come apparentemente ricostituito, celava - invece - la drammatica perdita di titoli (…) e così consentiva il protrarsi della conduzione nell'assenza di un requisito essenziale per la corretta gestione dell'organismo assicurativo (…) (a tutela delle istanze creditorie). In sostanza si trattava dell'occultamento all'organo di vigilanza del già presente dissesto [dell’impresa], non già il suo reale risanamento e permetteva la sopravvivenza di condizioni operative che mai sarebbero state consentite dall'Organo di Vigilanza”. Non manca peraltro chi, sulla scorta di una ulteriore suddivisione delle ipotesi di concorso della banca nella bancarotta impropria ex art. 223 comma 2 n. 2 l.fall., inquadrerebbe la vicenda da ultimo menzionata tra quelle in cui l’operazione dolosa veda un intervento ideativo/gestorio dell’ente creditizio (22). Oltre a fattispecie di questo tipo, secondo la dottrina in commento, vi sarebbero ancora i casi di banche che partecipino attivamente, pur con diverse modalità, all’organizzazione e al collocamento di obbligazioni, così da consentire a gruppi in palese deficit di liquidità di reperire ingenti risorse sul mercato: tema, questo, che nella presente sede non può essere adeguatamente approfondito, e che fa correre nuovamente il pensiero agli scandali finanziari che hanno occupato le cronache degli ultimi anni. 2.2.3 – Si conceda, infine, per dare un quadro il più ricco possibile degli approdi giurisprudenziali in materia di concorso dell’extraneus nella bancarotta per operazioni dolose (senza pretese di esaustività), un breve excursus sull’evoluzione giurisprudenziale in materia di elemento soggettivo richiesto per integrare il delitto in commento. Tradizionalmente la bancarotta per operazioni dolose è stata considerata un delitto preterintenzionale ( 23): all’agente si richiederebbe la percezione e la volontà di realizzare un’operazione dolosa non essendo necessario, invece, che il dolo copra l’evento di fattispecie, ovvero il fallimento della società. Il carattere preterintenzionale della fattispecie si ricaverebbe, sempre secondo l’esegesi tradizionale, a contrario, preesistenza alla condotta incriminata di una causa in sé efficiente verso il dissesto, valendo la disciplina del concorso causale dettata dall'art. 41 c.p., né l'aggravamento di un dissesto già in atto assumono rilievo penale nella dinamica del delitto in esame (…)”. (22) In tal senso, INSOLERA, La responsabilità penale della banca, cit., pag. 852. (23) L’insegnamento ha avuto un autorevolissimo sostenitore in Pedrazzi (si veda PEDRAZZI-SGUBBI, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, Zanichelli, 1995, pag. 322. In giurisprudenza da ultimo afferma trattarsi di delitto preterintenzionale Cass. pen., Sez. V, 18.2.2010, n. 17690. 7 dell’altra condotta tipizzata nell’art. 223, comma 2, n. 2 l.fall., cioè dal cagionamento del dissesto con dolo: se si richiedesse il dolo di cagionare il fallimento in chi compie operazioni dolose questa fattispecie costituirebbe una specificazione inutile del cagionamento con dolo, indicando come penalmente rilevanti condotte già incriminate dalla più ampia fattispecie. Diversamente, si può ipotizzare che nell’ottica del Legislatore vi fosse originariamente pari disvalore penale tra una fattispecie a condotta libera sorretta dal dolo di realizzare l’evento (cagionare con dolo) ed una a forma vincolata caratterizzata da preterintenzione rispetto all’evento causalmente connesso (cagionare con operazioni dolose il fallimento). Senonché, a mio modo di vedere, tale difficile equilibrio tra disvalore del reato e sanzione prevista dal Legislatore si inclina definitivamente con il D.lgs. 61/2002 che muta la fisionomia della bancarotta da reato societario. Come noto, a seguito della citata novella, la bancarotta da reato societario richiede per la sua integrazione il cagionamento del fallimento attraverso la realizzazione di un reato societario tra quelli tassativamente indicati dalla disposizione. Orbene, poiché il dissesto della società è pacificamente evento del reato, nell’oggetto del dolo rientra la rappresentazione e la volizione di cagionare il fallimento mediante la realizzazione del reato societario. Sul punto si potrebbe registrare un profilo di incostituzionalità ex art. 3 Cost. giacché si prevede la medesima cornice edittale per due fattispecie – la bancarotta da reato societario e quella per operazioni dolose intesa come delitto preterintenzionale – che presentano una significativa difformità di disvalore penale. Infatti, la bancarotta da reato societario ha rispetto a quella per operazioni dolose un maggior disvalore non solo d’intenzione – dolo vs preterintenzione – ma anche di condotta, giacché l’evento è cagionato da un’azione che è di per sé penalmente rilevante a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di operazioni dolose (iniziative di per sé non necessariamente illecite penalmente). In virtù di tale possibile profilo di incostituzionalità pare senz’altro necessario recuperare, quanto meno sul piano dell’intenzione, un maggiore disvalore penale, richiedendo, in definitiva, che l’agente (così come l’extraneus) si rappresenti e voglia, anche a titolo di dolo eventuale (24), che la sua condotta cagioni il dissesto della società. A tale approdo esegetico pare essere pervenuta anche la Suprema Corte in un suo recentissimo arresto la cui massima ufficiale è la seguente: “in tema di bancarotta impropria, nel caso di fallimento per effetto di operazioni dolose il dolo dell'"extraneus" consiste nella volontarietà dell'apporto alla condotta dell'autore proprio del reato nella rappresentazione dell'evento che ne consegue” (Cass. pen., Sez. V, 23.3.2011, n. 16388). 2.3 – Ben diverso, come noto, è il quesito circa l’ammissibilità di un concorso del creditore favorito nel delitto di bancarotta preferenziale prefallimentare ( 25) commesso dal fallito, sul quale peraltro è destinato ad incidere il nuovo art. 217 bis l.fall. Per (24) Tra coloro che sostengono che il cagionamento per operazioni dolose sia fattispecie sorretta dal dolo eventuale si vedano BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 231 e ss.. (25) È chiaro infatti che le annotazioni che seguono non possono essere estese alla fattispecie postfallimentare, laddove l’intervenuta dichiarazione di fallimento “inibisce le azioni esecutive individuali e rende inapplicabile la norma di cui all’art. 1186 c.c.”, sicché “la condotta del creditore assume (…) [un] significato di sicura rilevanza penale”: così PERINI–DAWAN, La bancarotta fraudolenta, Padova 2001, pagg. 298-299. Per le osservazioni sulla portata dell’art. 1186 c.c., si veda infra par. 2.3.2. 8 fornirvi risposta, occorre in primo luogo rammentare che la bancarotta preferenziale rientra nel novero dei reati plurisoggettivi impropri o complessi, ovvero è “naturalisticamente plurisoggettivo ma normativamente monosoggettivo” (26), sicché soltanto ad uno tra gli agenti è direttamente comminata la sanzione penale. In altre parole, il delitto viene solitamente realizzato dalla condotta di una pluralità di soggetti (il debitore che paga ed il creditore che riceve), non tutti dichiarati punibili, però, dal legislatore (27). Re melius perpensa, per poter più agevolmente vagliare l’ammissibilità di un concorso eventuale del soggetto non punito dall’art. 216 comma 3 l.fall., occorre introdurre un ulteriore elemento differenziante. In ossequio a quanto sostenuto da parte della dottrina, conviene anzitutto distinguere le ipotesi di realizzazione, da parte del creditore, della stessa seppur complementare condotta tipica del debitore fallito (apprensione del pagamento, ovvero cooperazione nella simulazione del titolo), dai casi in cui in capo all’accipiens sia ascrivibile una condotta diversa ed ulteriore, e, dunque, atipica. 2.3.1 – Secondo la dottrina di gran lunga maggioritaria ( 28), non è mai rimproverabile ai sensi dell’art. 216 comma 3 l.fall. il creditore che si limiti a ricevere un pagamento che gli spetta. In primis – si osserva – diversamente opinando verrebbe addebitata al creditore la realizzazione della condotta tipica, in aperto contrasto con il supremo principio di legalità, utilizzando surrettiziamente lo strumento del concorso ex art. 110 c.p. per una condotta che è invece conforme alla fattispecie delittuosa ( 29). Secondo altra dottrina, la non punibilità del creditore favorito non sarebbe altro che un logico corollario del principio di non contraddizione, immanente all’ordinamento giuridico: “è, cioè, contraddittorio e logicamente inammissibile affermare da un lato che il concorrente (26) Così BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 165. In argomento, nella dottrina più risalente: GRISPIGNI, Il reato plurisoggettivo, in Annali di diritto e procedura penale, 1942, pag. 377; SESSO, Saggio in tema di reato plurisoggettivo, Milano 1955; DELL’ANDRO, La fattispecie plurisoggettiva in diritto penale, Milano 1956; GALLO M., Lineamenti di un concorso di persone nel reato, Milano 1967. Più di recente, DI MARTINO, La pluralità soggettiva tipica. Una introduzione, in Ind. pen., 2001, pag. 101. (27) In termini analoghi, tra gli altri: MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, IV ediz., Padova 2009, pag. 545. (28) In questo senso autorevolmente già nel 1957 si esprimeva, annotando criticamente Cass. sez. III 24 novembre 1956, NUVOLONE, In tema di concorso nella bancarotta preferenziale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1957, pag. 254. Per l’orientamento che abbraccia questa tesi si vedano inoltre, nella dottrina successiva: SELLAROLI, Il concorso del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale, ne La giustizia penale, 1960, pag. 240 e ss.; CRESPI, Sul concorso del creditore nella bancarotta fraudolenta preferenziale, in Studi in memoria di Delitala, vol. I, Milano 1984, pagg. 273 e ss.; STELLA, Insolvenza del debitore e responsabilità penale del banchiere, cit., pagg. 305-306; COCCO, La bancarotta preferenziale, Napoli 1987, pagg. 267 e ss.; PEDRAZZI, Reati fallimentari, in Manuale di diritto penale dell’impresa, II ediz. agg., Bologna 2000, pagg. 156-157; PERINI–DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., pag. 294; VINCIGUERRA, Trasformazione del credito da chirografario in privilegiato e concorso in bancarotta preferenziale del funzionario di banca, in Giurisprudenza italiana, 2002, pagg. 1260 e ss.; DESTITO, La bancarotta preferenziale proprie prefallimentare, ne La disciplina penale dell’economia. Società, fallimento, finanza, a cura di SANTORIELLO, vol. I, Torino 2008, pag. 333; MANNA (a cura di), Corso di diritto penale dell’impresa, Padova 2010, pag. 376; BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 165. (29) Di questo parere MANTOVANI, Diritto penale, cit., pag. 545. Similmente, MARINUCCIDOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, III ediz., Milano 2009, pag. 407. 9 necessario che pone in essere la condotta tipica descritta nella fattispecie non è punibile, alla stregua della norma incriminatrice che tale comportamento espressamente prevede – considerandolo necessario per la realizzazione del reato e quindi dell’offesa tipica – e dall’altro sostenere che per il medesimo comportamento il concorrente necessario può [essere] punito a titolo di concorso eventuale. La validità della prima proposizione – che non può essere posta in dubbio perché derivata dalla stessa norma giuridica – esclude necessariamente la validità della seconda” (30). Sotto altro profilo, poi, si sottolinea come il creditore non sia neppure il destinatario della norma di cui all’art. 216 comma 3 l.fall., nella quale “la particolare qualifica dell’imprenditore debitore e il suo particolare rapporto con il bene giuridico tutelato contraddistinguono e rendono incomunicabile la violazione del precetto” (31). Simili conclusioni si ritrovano, del resto, in taluni arresti giurisprudenziali – anche risalenti – maggiormente sensibili alle istanze garantistiche espresse dalla dottrina. Già nel 1961, ad esempio, la Suprema Corte dichiara che “per il principio di stretta legalità del diritto penale e di tassatività della norma penale (art. 1 c.p.), quando la legge configura un’ipotesi di reato che presuppone l’attività di più soggetti e prevede espressamente la punibilità di uno solo di essi, senza nulla disporre per gli altri, si deve ritenere che sussista una fattispecie plurisoggettiva necessaria e, pertanto, l’attività di soggetti diversi dal soggetto dichiarato espressamente punibile non costituisce reato. Ora, la norma dell’art. 216, comma terzo, prevede in forma espressa la punibilità del solo debitore e pertanto, in linea di principio, non si può affermare quella del creditore. Il creditore che istighi il debitore a pagarlo, in danno degli altri creditori, concorre nel delitto di cui all’art. 216, comma terzo, mentre non si verifica detto concorso in casi di semplice accettazione” ( 32). Emergono tuttavia pronunce, anche coeve a quella appena citata, in cui traspare un atteggiamento maggiormente rigoristico. Così ad esempio in una sentenza del 1968 la stessa V Sezione asserisce – in termini per vero apparentemente contraddittori – che “agli effetti delle norme sul concorso nel reato di bancarotta c.d. preferenziale, pur dovendosi escludere che la conoscenza dello stato di insolvenza del debitore sia valida, da sola, per affermare la colpevolezza del creditore che riceva il pagamento (…), deve tuttavia ritenersi che a qualificare detto creditore come concorrente nel reato di bancarotta preferenziale, oltre ai casi di determinazione e di rafforzamento del proposito delittuoso del debitore, è sufficiente la di lui consapevolezza, nel momento in cui riceve il pagamento che questo è fatto allo scopo di favorirlo, a danno degli altri creditori” ( 33). 2.3.2 – La prassi, in ogni caso, rifugge da schemi concettuali rigidi. Non è dunque infrequente che il creditore non si arresti a ricevere passivamente il pagamento, ma lo richieda expressis verbis, magari ricorrendo a forme di pressione più (30) SERIANNI, Il concorso del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale: struttura e limiti. La ricettazione fallimentare del creditore (nota a Cass. pen. sez. V, 13 febbraio 1969), in Riv. it. Dir. e proc. pen., 1974, pag. 205. (31) In tal senso, COCCO, La bancarotta preferenziale, cit., pag. 266. (32) Cass. sez. V, 3 marzo 1961, in Riv. Pen., 1961, II, 913. Più recentemente, nella giurisprudenza di merito, Trib. Monza, 1 luglio 1992, in Foro it., 1993, II, c. 714. (33) Cass. sez. V, 8 aprile 1968, riportata da BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 168. 10 o meno intensa per ottenerlo. In questo ventaglio di situazioni germinano quasi sempre anche gli interrogativi in merito alla responsabilità concorsuale degli istituti di credito. In omaggio ad una classificazione ormai comune, si distinguono le ipotesi del creditore che esiga solamente la soddisfazione del proprio credito, magari (se non soprattutto) perché a conoscenza delle difficoltà economiche del debitore, da quelle in cui è lo stesso creditore a fornire alla controparte il movente per il trattamento preferenziale (ad esempio mediante minaccia di presentazione di istanza di fallimento in caso di persistente inadempimento dell’obbligazione) (34). 2.3.2.1 – Il dibattito interpretativo ha per vero interessato specialmente la prima specie di comportamenti. La dottrina assolutamente prevalente, in realtà, da tempo ha preso posizione nel senso della liceità della condotta del creditore che legittimamente e secondo la prassi commerciale ( 35) eserciti il diritto di chiedere l’adempimento al debitore (36), facoltà che gli è invero espressamente riservata dall’art. 1186 c.c. in caso di insolvenza di quest’ultimo (37). In altre parole, “poiché l’art. 216, 3° comma l.fall., non punisce il creditore che accetti la prestazione dovutagli, dato che l’ordinamento (…) attribuisce al creditore il potere di esigere, laddove il credito sia scaduto ed esigibile, la prestazione, anche quando il debitore si trovi in stato di insolvenza, o addirittura a cagione di tale stato (art. 1186 cod. civ.), ne consegue che il creditore il quale tale potere eserciti non può mai essere considerato responsabile del delitto di bancarotta” (38). E a non diversa conclusione dovrebbe pervenirsi, secondo alcuni, anche in presenza di un piano di rientro concordato con una o più banche creditrici. Si ritiene infatti, coerentemente, che “il pagamento di debiti liquidi ed esigibili, se inserito in un piano di rientro concordato con una o più aziende di credito, può proporsi come (34) L’esempio è tratto da PEDRAZZI-SGUBBI, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, Zanichelli, 1995, pag. 134. (35) Si fanno gli esempi della richiesta formale, della costituzione in mora o del decreto ingiuntivo: cfr. CERQUA, Il concorso del creditore favorito nel delitto di bancarotta preferenziale, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2003, pag. 575. Altri invece fanno più genericamente riferimento ad un parametro di “adeguatezza sociale”: così COCCO, La bancarotta preferenziale, cit., pag. 275. (36) Propendono per questa esegesi, tra gli altri: COCCO, La bancarotta preferenziale, cit., pagg. 272 e ss.; PERINI–DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., pag. 296; PEDRAZZI-SGUBBI, Reati commessi dal fallito, cit. pag. 133; CRESPI, Sul concorso del creditore nella bancarotta fraudolenta preferenziale, cit., pag. 275; FLORA, Mutui fondiari e concorso in bancarotta preferenziale, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1998, pag. 98; VINCIGUERRA, Trasformazione del credito, cit., pag. 1292; PEDRAZZI, Reati fallimentari, cit., pag. 157; CERQUA, Il concorso del creditore favorito nel delitto di bancarotta preferenziale, cit., pag. 574; BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pagg. 165-167. (37) In senso contrario all’applicabilità dell’art. 1186 c.c. si è espressa una parte decisamente minoritaria della dottrina. Per un verso, detta conclusione negativa sarebbe imposta dal principio di correlatività: se il creditore che chiede il pagamento da un soggetto insolvente fosse esente da pena in nome dell’art. 51 c.p., del pari bisognerebbe dichiarare non punibile il debitore che paga. In quest’ottica l’art. 216 comma 3 l.fall. costituirebbe un limite alla pretesa altrimenti legittima del creditore: cfr. SELLAROLI, Il concorso del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale, cit., pagg. 241-242. Secondo altri, contrariamente a quanto avviene in tema di scriminanti, nel caso di specie la norma penale avrebbe tratti specializzanti a quella civile, sicché la norma incriminatrice dovrebbe prevalere sull’art. 1186 c.c.: di quest’avviso, PAGLIARO, Il diritto penale fra norma e società. Scritti 1958 – 2008, Vol. II. Monografie di parte speciale, Milano 2009, pagg. 123-124. In questi termini, come si vedrà poco oltre, si è espressa anche una parte della giurisprudenza di legittimità. (38) Così ancora SERIANNI, Il concorso del creditore nel delitto di bancarotta preferenziale, cit., pagg. 206-207. 11 uno strumento di sopravvivenza dell’impresa, risultando, quindi, finalizzato al soddisfacimento degli altri creditori e non al loro pregiudizio” (39). La giurisprudenza, anche in punto di operatività dell’art. 1186 c.c., si è mostrata nel tempo altalenante. In base ad orientamento per vero eccessivamente rigoristico, si è sostenuto che “l’art. 1186 c.c. legittima il creditore ad esigere immediatamente la prestazione (…) se questi è divenuto insolvente (…), tuttavia l’art. 1186 c.c. non è applicabile quando lo stesso fatto – pagamento in stato di insolvenza – assuma un diverso, opposto rilievo con la dichiarazione di fallimento del debitore in virtù di norme speciali che, (…) come l’art. 216, comma terzo, attribuiscono loro un carattere delittuoso se qualificati dal fine di favorire, a danno dei creditori, taluni di essi. In tal caso anche il creditore favorito che abbia agito con lo stesso elemento soggettivo risponde, a titolo di concorso, del delitto di bancarotta preferenziale” ( 40). Su altro versante, specie nella giurisprudenza più recente, sembra potersi intravvedere un parziale ripensamento di simile posizione, laddove si richiede che la condotta del creditore, per acquisire rilevanza penale, debba manifestare un quid pluris, consistente nel “fornire un contributo determinante, dal punto di vista causale, alla violazione della par condicio” ( 41) e nel “partecipare dello scopo di favorire o addirittura nel sollecitare l’illecita preferenza” (42): detto altrimenti, risponde penalmente il creditore che istighi il debitore alla violazione del precetto. Come già altrove rilevato (43), tale ultimo orientamento – ove correttamente inteso – conduce in definitiva ai medesimi approdi esegetici cui perviene la dottrina maggioritaria; e tuttavia – ad avviso di chi scrive – anch’esso meriterebbe meditata rivisitazione. 2.3.2.2 – La dottrina e la giurisprudenza tradizionali, infatti, sono concordi nel ritenere penalmente rilevanti le condotte cosiddette di “istigazione” da parte del creditore. Non vi sarebbe motivo, si dice, di escludere il concorso ai sensi dell’art. 110 c.p. qualora il creditore “sia partecipe dello scopo di favorire o abbia addirittura sollecitato l’illecita preferenza” ( 44). Così opinando, tuttavia, il problema non pare risolto, bensì eluso. Come acutamente osservato da una parte della dottrina ( 45), non è sufficiente affermare che l’extraneus concorra nel reato quando istighi o dia un movente all’autore; occorre piuttosto (39) In tal senso MARINUCCI, Tendenze del diritto penale bancario e bancarotta preferenziale, in La responsabilità penale degli operatori bancari, a cura di ROMANO, Bologna,1980, pagg. 46-49, come riportato sia da PERINI-DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., pag. 298, sia da STELLA, Insolvenza del debitore e responsabilità penale del banchiere, cit., pag. 305. (40) Così Cass. pen. sez. V, 17 novembre 1983, in Cass. pen., 1985, pag. 483 (s.m.). (41) Cass. pen. sez. III, 22 ottobre 1965, n. 2883, riportata da BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 168. (42) Cass. pen. sez. V, 22 aprile 1981, in Cass. Pen., 1983, pag. 428 (s.m.). (43) Sia consentito far riferimento a TROYER-INGRASSIA, Il concorso del ceto bancario nei fatti di bancarotta del debitore: il difficile equilibrio tra libera scelta imprenditoriale della banca e sindacato del giudice penale sulle azioni di sostegno alle imprese in crisi, in Riv. dott. comm., 2010, pag. 427. (44) Così Cass. Pen. sez. V, n. 39417/2008, in un caso in cui il creditore si era soddisfatto dei propri crediti utilizzando somme versate dai debitori della società poi fallita su un conto corrente a lui stesso intestato. (45) Sul punto, PERINI–DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., pag. 297; BRICCHETTIPISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 170. 12 “comprendere in che cosa debba concretamente consistere la condotta istigativa del creditore favorito della quale, invece, non si danno indicazioni precise” (46). In tal senso, non appare neppure dirimente il criterio, talvolta seguito in giurisprudenza, della “particolare insistenza” del creditore ( 47). Un simile parametro non solo sembra poco funzionale a discernere le fisiologiche richieste dall’ “insistenza”, risultando all’atto pratico evanescente; ma neppure informa riguardo alla potenziale rilevanza penale della solerzia del creditore che a più riprese si limiti ad esercitare il diritto riconosciutogli dall’art. 1186 c.c., ovvero legittimamente pretenda il pagamento nelle forme e nei modi correnti nella prassi commerciale. I limiti intrinseci al criterio, peraltro, potrebbero corroborare esiti interpretativi addirittura paradossali ed indesiderabili, soprattutto nei casi in cui incomba sul creditore un obbligo di chiedere – anche “insistentemente” – l’adempimento. Si pensi all’ipotesi della società a rischio di insolvenza, che vanti tuttavia un credito ingente verso un partner commerciale in dissesto. In una situazione del genere, applicando il criterio qui criticato, ove l’amministratore della società risolutamente esiga da controparte il pagamento del credito, potrebbe essere incriminato – in caso di fallimento del debitore – quale concorrente in bancarotta preferenziale; a ben vedere, però, diversamente comportandosi il medesimo amministratore avrebbe esposto la sua stessa società al rischio di fallimento, e se stesso – quanto meno – a potenziali azioni di responsabilità. Non mi appare configurabile il reato neppure nel caso prospettato in dottrina in cui il creditore minacci di proporre un’istanza di fallimento, in quanto, in realtà, anche in tal caso si tratta di un preciso diritto che spetta al creditore ed anzi in siffatta situazione non si potrebbe nemmeno argomentare che si tratterebbe di una minaccia di un male ingiusto, in quanto versando in una situazione d’insolvenza, dovrebbe essere il debitore stesso a chiedere il fallimento in proprio. In conclusione, lo spazio per configurare il reato di bancarotta preferenziale nei confronti del creditore anche qualora questi, esiga il pagamento o insista per ottenerlo, mi pare assai esiguo - riservato a situazioni concrete del tutto eccezionali ( 48) - se non addirittura inesistente (49) (50). (46) Così ancora BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 170, i quali puntualizzano inoltre che “[per ravvisare l’istigazione] occorre (…) che il creditore abbia assunto un ruolo attivo in relazione alla condotta tenuta dal debitore fallito; in particolare occorre che il creditore abbia dato un contributo determinante alla realizzazione del fatto (un contributo causale alla violazione della par condicio creditorum) con la consapevolezza dello scopo perseguito dal debitore”. (47) Cui sembrano aderire anche BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 170. In giurisprudenza, Cass. pen. sez. V, 22 aprile 1981, cit., parla, in proposito, di “reiterate, pressanti sollecitazioni” da parte del creditore favorito. (48 ) PEDRAZZI, ad es., in PEDRAZZI – SGUBBI, Reati fallimentari , cit., p. 134 e 135 porta l’esempio del creditore che prometta un voto in sede di concordato in cambio di un pagamento parziale, oppure del creditore che si presti a un pagamento dissimulato, contribuendo a porre in essere una compravendita fittizia. (49) Naturalmente, la condotta del creditore potrà integrare di per sé una diversa ed autonoma fattispecie di reato: si veda ad esempio la complessa vicenda dell’acquisto da parte di Parmalat di Eurolat da Cirio in cui sono stati contestati al Presidente di un istituto di credito e agli amministratori della Cirio s.p.a i reati di concorso in bancarotta fraudolenta, nonché di estorsione per avere posto in essere, un’operazione fraudolenta di natura distrattiva, finalizzata ad accollare alla Parmalat – in conseguenza dell’acquisto della soc. Eurolat e Centrale del latte di Roma – un ingiustificato sovraprezzo al solo fine di soddisfare l’esposizione della società venditrice nei confronti dell’Istituto di credito e di consentire al C. di lucrare la somma di L. 64 miliardi per un patto di non concorrenza di fatto privo di contenuti, così dissipando o 13 2.3.3 – La dottrina è, infine, divisa quanto alla punibilità del creditore che si renda compartecipe della simulazione di un titolo di prelazione. Anche sotto questo aspetto, bisogna in primo luogo chiedersi se sia ammissibile un concorso del creditore che ponga semplicemente in essere la condotta tipica. In seconda battuta, occorre domandarsi a quali condizioni possa ritenersi sussistente un concorso atipico del creditore. In linea teorica, secondo alcuni (51) vanno tendenzialmente trasposti i già illustrati principi in tema di concorso nel reato plurisoggettivo improprio. Ove il creditore collabori nella simulazione, non sarà in ogni caso punito, posto che la norma sanziona la realizzazione della condotta tipica da parte del solo debitore: l’opposta soluzione – secondo questa tesi – si porrebbe in aperto contrasto con il principio di legalitàtassatività. In base a diversa impostazione, che all’opposto fa leva sulle peculiarità del dolo specifico che orienta il delitto (52), si sostiene invece che “qualunque concorso del creditore nella simulazione di titoli di prelazione importa la sua corresponsabilità non potendo egli che condividere il medesimo dolo specifico che anima l’imprenditore” (53). Quanto al secondo profilo (requisiti del concorso atipico del creditore), le soluzioni prospettate paiono scontare l’incertezza che segna il dibattito riguardante la nozione stessa di “simulazione” accolta dalla legge penale ( 54). Ed infatti, solo perimetrando il comunque distraendo beni della Parmalat il cui stato di insolvenza veniva dichiarato in data 27 dicembre 2003 Si veda in proposito Cass. Pen. sez. II, 15 ottobre 2008, n. 4371, in Banca dati Dejure. (50)In senso parzialmente difforme, con abbondanza di esemplificazioni pratiche, si legga CERQUA, Il concorso, cit., p. 575. (51) COCCO, La bancarotta preferenziale, cit., pag. 267; FLORA, Mutui fondiari e concorso in bancarotta preferenziale, cit., pag. 96. Più in generale, MANTOVANI, Diritto penale, cit., pag. 545; MARINUCCI-DOLCINI, Manuale, cit., pag. 407. (52) Sulle peculiarità del dolo specifico di fattispecie, “strettamente “accorpato” con il significato lesivo della condotta”, si veda, per tutti, DONINI, I pagamenti preferenziali nella bancarotta (art. 216, comma 3, l.fall.): frode ai creditori e colpa grave come limiti ‘esterni’ alla fattispecie. Il rischio non più consentito come elemento oggettivo ‘interno’, in Studium Iuris, 1999, pagg. 141 e ss. Per una disamina delle posizioni dottrinali in argomento, TAGLIARINI, Profili salienti della bancarotta preferenziale, in Ind. pen., 1992, pagg. 748-750. La giurisprudenza prevalente, come noto, ritiene che il dolo specifico di cui all’art. 216 comma 3 riguardi soltanto il fine di favorire uno o più creditori, e non anche il pregiudizio degli altri, che segue invece il paradigma del dolo eventuale. Tra le ultime pronunce: Cass. pen. sez. V, n. 31894/2009, ne il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2010, pag. 495; Cass. pen. sez. V, n. 31168/2009, ibidem, pag. 495. (53) Così BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pagg. 164 e 167. Similmente, PERINI-DAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., pag. 291. (54) Come noto, il dibattito ruota attorno all’autonomia o meno del concetto di simulazione adoperato dalla norma incriminatrice, rispetto al suo omologo civilistico. Secondo i fautori della prima tra le suddette opzioni, “l’ipotesi di legge presuppone l’esistenza di un negozio giuridico apparente (o finto), il quale, per effetto di altro accordo, non abbia alcun valore fra le parti, oppure nasconda un negozio diverso”: cfr., per tutti, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, VI ediz. (a cura di CONTI), Milano 1987, pag. 82. Su altro fronte, le tesi di chi assegna al concetto di simulazione adoperato nell’art. 216 comma 3 l.fall. un significato diverso ed autonomo dal corrispondente civilistico possono suddividersi in due sottoinsiemi. Da una parte, le posizioni – risalenti – di chi considera simulato un titolo di prelazione nella misura in cui sia concesso soltanto affinché il creditore se ne avvalga in sede fallimentare: così PUNZO, Il delitto di bancarotta, Torino 1953, pag. 180. Secondo differente impostazione, per discernere il lecito dall’illecito occorrerebbe valutare la funzione giuridico-economica della singola operazione, verificando se il risultato ad essa sotteso abbia una giustificazione economica che escluda la lesione del bene protetto, e dunque la renda penalmente irrilevante: in tal senso, STALLA, 14 concetto di simulazione è possibile verificare se la concreta condotta possa essere inclusa entro i confini di tipicità della fattispecie, con intuibili conseguenze in punto di (eventuale) concorso del creditore ai sensi dell’art. 110 c.p. Nell’alveo del confronto dottrinale e giurisprudenziale, si inserisce poi lo specifico caso – già più volte sottoposto all’attenzione delle Corti – della banca che abbia un credito ingente, ma privo di garanzie, nei confronti di un imprenditore in difficoltà, e che gli conceda un nuovo finanziamento, di importo pari al credito vantato, finalizzato al ripianamento totale o parziale di quest’ultimo, “blindandolo” con una garanzia reale. Si tratta, in sostanza, delle situazioni in cui la banca ottiene “a costo zero” una garanzia su un credito in precedenza chirografario, tutelandosi in prospettiva di un futuro fallimento del proprio debitore (55). Va in proposito segnalato che la giurisprudenza di legittimità, percorrendo sentieri interpretativi solo in apparenza simili, in due sentenze del 1999 ( 56) e del 2004 (57) ha ritenuto responsabile, ai sensi dell’art. 110 c.p., il funzionario di banca. Tuttavia, mentre nella decisione più risalente detta conclusione è imposta dalle stesse premesse teoriche da cui il collegio giudicante prende le mosse, ovvero da una nozione di simulazione da intendere nel “significato corrente” (58), nel secondo arresto – nonostante l’ossequio formale al suddetto precedente – essa sembra trovare fondamento nelle specifiche circostanze del caso rimesso al vaglio della Corte: e in particolare, secondo la dottrina (59), nel rilievo per cui l’operazione, complessivamente considerata, non mirava in alcun modo ad una prosecuzione dell’attività imprenditoriale, riducendosi al contrario a mero escamotage per favorire un creditore a danno della massa, in prospettiva di una prossima ed inevitabile procedura fallimentare. Un passo in avanti ulteriore, sebbene nuovamente contenente statuizioni di condanna, è stato compiuto in alcune recenti sentenze di merito (60), nel cui percorso motivazionale sembrerebbe scorgersi un’adesione alla tesi dottrinale secondo cui l’“apparenza” non va valutata tanto in riferimento al titolo di prelazione, bensì al negozio sottostante (61). Secondo questa Autotutela della banca e bancarotta preferenziale, ne il Fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 7/2005, pagg. 788-789. Per ulteriori aspetti, che in questa sede si tralasciano, ci sia concesso rinviare a TROYER-INGRASSIA, Il concorso del ceto bancario nei fatti di bancarotta del debitore, cit., pagg. 419-421. (55) Sull’argomento, in dottrina: FLORA, Mutui fondiari e concorso in bancarotta preferenziale, cit., pagg. 87 e ss.; STALLA, Autotutela della banca e bancarotta preferenziale, cit., pagg. 781 e ss.; TASSINARI, Tipicità oggettivo-soggettiva della bancarotta preferenziale, ne il Fallimento e le altre procedure concorsuali, n. 12/2002, pagg. 1347 e ss.; VINCIGUERRA, Trasformazione del credito, cit., pagg. 1260 e ss. Infine, ci sia permesso citare TROYER-INGRASSIA, Il concorso del ceto bancario nei fatti di bancarotta del debitore, cit., pagg. 417 e ss. (56) Precisamente Cass. pen. sez. V, n. 2126/1999, in Giur. It., 2002, pag. 1259. Nel medesimo senso, in precedenza, Cass. 9 gennaio 1980, in Riv. pen., 1980, pagg. 229 e ss. (57) Cass. pen. sez. V, n. 16688/2004, ne il Fallimento e le altre procedure concorsuali, n.7/2005, pag. 465 (s.m.). (58) Locuzione che, nondimeno, non può in alcun modo rappresentare un sicuro selettore dei fatti di rilevanza penale. (59) In tal senso STALLA, Autotutela della banca e bancarotta preferenziale, cit., pag. 789. (60) Corte d’appello di Brescia, sez. II pen., n. 789/2009, in Riv. dott. Comm., n. 2/2010 (estratto), pagg. 415-416, in parziale riforma di Trib. di Brescia, sez. I pen., n. 3933/2006, in Riv. dott. comm., n. 1/2008 (estratto), pagg. 109 e ss. (61) Tesi già prospettata in dottrina da COCCO, La bancarotta preferenziale, cit., pagg. 215 e ss., e poi ripresa da TAGLIARINI, Profili salienti della bancarotta preferenziale, cit., pag. 746, e da PERINIDAWAN, La bancarotta fraudolenta, cit., pag. 278. 15 chiave di lettura, le ragioni economiche sottese all’operazione di mutuo garantito da diritti reali possono senz’altro rappresentare un indicatore del carattere simulato o meno del negozio giuridico (62). Ad ogni buon conto, fintanto che il legislatore non si decida a porre finalmente mano, anche sotto il profilo in commento, all’art. 216 comma 3 l.fall., a parere di chi scrive resta quanto mai vivo il rischio, denunciato da tempo in dottrina ( 63), che un’attribuzione di responsabilità penale al creditore a titolo di concorso passi “sul corpo”, se non proprio “sul cadavere”, del principio di tassatività (64). 3 – Le conclusioni cui si è giunti nel paragrafo precedente meritano rivisitazione solo parziale a seguito dell’entrata in vigore della nuova esenzione dai reati di bancarotta. Non solo infatti, almeno prima facie, detta norma non si estende alle ipotesi di bancarotta impropria quali quelle previste dall’art. 223 comma 2 n. 2 l.fall., correlativamente non escludendo l’eventuale concorso dell’istituto di credito in tale delitto, ma neppure sembrerebbe eo ipso “esentare” tutti i fatti di bancarotta preferenziale o di bancarotta semplice. 3.1 – Esaminando la norma di nuovo conio più in dettaglio, un problema teorico, invero, si incontra già in sede di inquadramento sistematico ( 65) della esenzione – nozione sconosciuta nel linguaggio del penalista. In proposito, i primi commentatori concordano nel ricondurre l’istituto tra gli elementi che circoscrivono l’ambito di tipicità delle norme incriminatrici ( 66); più precisamente, con il termine “esenzione” il legislatore avrebbe inteso porre “limiti esegetici [a]lle fattispecie o, come anche potrebbe dirsi, (…) cause di delimitazione del tipo” (67). A differenza di quanto ritenuto prima dell’introduzione dell’art. 217 bis l.fall. (68), riprendendo quanto incisivamente compendiato dalla dottrina, “distinte ragioni suggeriscono ora come preferibile l’opzione ermeneutica per la quale si è in presenza di un limite esegetico della fattispecie incriminatrice, introdotto dal legislatore con una disposizione successiva a quella che contempla il reato” (69). In (62) Ancora una volta, ci sia consentito rinviare a TROYER-INGRASSIA, Il concorso del ceto bancario nei fatti di bancarotta del debitore, cit., pagg. 421-422, per una compiuta analisi della pronuncia di merito qui menzionata. Si noti, d’altro canto, che un significativo indice di apparenza del negozio giuridico potrebbe essere rappresentato dal fatto che il nuovo finanziamento venga impiegato dall’imprenditore in tutto o in larga misura per ripianare il precedente debito proprio verso l’istituto di credito erogante. (63) Sul punto, FLORA, Mutui fondiari e concorso in bancarotta preferenziale, cit., pag. 99. (64) Come si illustrerà appena oltre, infatti, il nuovo art. 217 bis rende a prima vista lecite operazioni del tipo descritto solo quando realizzate in esecuzione di un concordato preventivo, di un accordo omologato o di un piano ex art. 67 comma 3 lett. d) l.fall., ma lascia aperto il problema allorché le stesse si collochino al di fuori di queste ultime procedure. (65) Questione, all’evidenza, non meramente concettuale, ma con ricadute nient’affatto trascurabili sul piano pratico, come ricorda attenta dottrina: si veda, in proposito, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1475 (in particolare nota 3). (66) Si vedano, pertanto, gli Autori già citati nella nota sub 3. (67) Letteralmente, BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 159. (68) Quando gli Autori reputavano unanimemente i pagamenti e le operazioni effettuati nell’ambito delle procedure di soluzione della crisi di impresa dessero luogo a cause di giustificazione. Per tutti, MUCCIARELLI, Stato di crisi, cit., pag. 864, dove viene richiamato quanto sul punto già affermato in BRICCHETTI-MUCCIARELLI-SANDRELLI, sub artt. 216-241, in JORIO (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare, Bologna 2007, pag. 2741. (69) Così ancora MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1475. 16 altri termini, “l’art. 217 bis l.fall. stabilisce che determinati comportamenti (pagamenti e operazioni), qualora tipici rispetto ai delitti degli artt. 216, comma 3, e 217 l.fall., non rientrano nell’ambito di operatività di dette figure di reato se posti in essere in una condizione predefinita (in esecuzione di una delle procedure per la soluzione della crisi d’impresa). Sicché il complesso delle condotte che rientrano negli insiemi disegnati dalle incriminazioni viene ad essere ridotto (…). Attraverso l’inserzione di un elemento specializzante (appunto l’essere realizzati in esecuzione), il perimetro e il contenuto dei delitti di bancarotta preferenziale e bancarotta semplice vengono modificati in senso limitativo sul versante della tipicità” (70). Le osservazioni precedenti meritano senz’altro condivisione: non v’è dubbio, infatti, che l’art. 217 bis non si limiti ad escludere il rapporto di contraddizione tra un fatto in sé tipico e l’intero ordinamento giuridico, facoltizzando la realizzazione di quel fatto (71); né è possibile argomentare una sua incidenza sull’insieme delle condizioni che rendono il fatto tipico ed antigiuridico rimproverabile personalmente al suo autore (72); né, infine, sembrerebbe ispirato da ragioni di opportunità che escludano il ricorso allo strumento della pena per un fatto altrimenti tipico, antigiuridico e colpevole (73). Va da sé che – ricostruito in questi termini l’istituto – le conseguenze per l’eventuale concorrente nel reato si rivelano significative: in quanto delimitativa del tipo, l’esenzione in parola deve necessariamente estendersi a tutti i compartecipi, quindi rendere tra l’altro lecita la ricezione di pagamenti – nel contesto di una delle tre procedure menzionate dalla norma – da parte del creditore. Quello che prima facie appare come un punto fermo quasi scontato, tuttavia, potrebbe essere revocato in dubbio dopo più meditata riflessione. Come si tenterà di illustrare appena oltre, infatti, la fondatezza dell’assunto dipende – nel suo nucleo essenziale – dalla pervasività del controllo ex post del giudice penale sulla idoneità della singola procedura a raggiungere il proprio scopo, cioè il salvataggio dell’impresa in crisi. 3.2 – Preme fin da ora porre in luce, comunque, ciò che l’esenzione certamente non copre. 3.2.1 – Anzitutto, l’espresso collegamento funzionale tra l’effettuazione di “pagamenti” ( 74) o il compimento di “altre operazioni” (75) e le procedure elencate (70) Ibidem. (71) Così, ex multis, quanto alla definizione delle cause di giustificazione, MARINUCCI-DOLCINI, Manuale, cit., pagg. 221-223. Secondo LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 1372, l’esclusione dell’art. 217 bis dal novero delle cause di giustificazione è dovuto alla peculiare struttura di queste ultime, che “si caratterizzano per operare di fronte a situazioni che presentano una contestuale contrapposizione di due o più interessi in conflitto (…). Nel caso di specie, questa contrapposizione di interessi invece manca”. (72) Di nuovo, per tutti, MARINUCCI-DOLCINI, Manuale, cit., pagg. 269 e ss. (73) Ancora una volta, per la nozione di causa di non punibilità, MARINUCCI-DOLCINI, Manuale, cit., pagg. 351-352. (74) Secondo la dottrina, con il termine “pagamenti” il legislatore avrebbe inteso istituire un parallelismo con la fattispecie della bancarotta preferenziale, sicché rileva ogni modalità solutoria di un debito effettivo: cfr. in proposito, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1478, cui si rinvia per ulteriori e dettagliate osservazioni in merito. (75) Il concetto di operazioni tradisce, secondo alcuni, una “chiara matrice aziendalistica”, e dunque ha una valenza giuridicamente meno rigorosa: MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1478. Le altre operazioni, di conseguenza, vengono individuate dalla dottrina in parola come “qualunque atto, negozio 17 dall’art. 217 bis sembra escludere in radice che l’esenzione si applichi anche a fattispecie di bancarotta postfallimentare, poiché – semplicemente – è evidente che con il sopraggiunto fallimento si determinino la fine e l’insuccesso delle soluzioni concordate (e dunque eventuali successivi pagamenti non potrebbero più dirsi avvenuti “in esecuzione” (76) di tali procedure). Inoltre, la lettera stessa della norma è di ostacolo all’estensione interpretativa a fattispecie ulteriori e diverse da quelle espressamente menzionate, quali ad esempio la bancarotta impropria ai sensi dell’art. 223 comma 2 n. 2 l.fall: del resto, la natura eccezionale dell’esenzione ne impedisce l’interpretazione analogica, pur se in bonam partem (77). 3.2.2 – In secondo luogo, si è osservato che – nonostante l’apparentemente generico rinvio agli artt. 216 comma 3 e 217 l.fall. – non tutte le condotte tipizzate quali bancarotta preferenziale o bancarotta semplice paiono ipso facto ricadere entro l’ambito di operatività dell’esenzione. Quanto all’art. 216 comma 3 c.p., deve ritenersene estranea la simulazione di titoli di prelazione intesa in senso civilistico, posto che, come puntualmente sottolineato in dottrina, “una condotta di tal genere non può in alcun modo essere ricompresa fra le operazioni poste in essere in esecuzione di una delle procedure finalizzate alla soluzione della crisi d’impresa, proprio per la natura simulatoria della stessa (…) Comportamenti caratterizzati in tal senso ben difficilmente possono essere fatti rientrare in un piano o in accordo, che necessitano, proprio per la loro stessa natura, di essere una rappresentazione fedele non soltanto della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’impresa, ma anche dei vari passaggi attraverso i quali si sviluppa il piano per il superamento razionale della crisi” ( 78). Tuttavia, in caso di effettiva costituzione di titoli di prelazione, come negli esempi più sopra riportati, non v’è ragione di escludere la piena operatività dell’art. 217 bis: ove realizzata nell’ambito di una delle menzionate procedure, tale “operazione” sarà penalmente irrilevante (79) sia per il debitore sia per il creditore. giuridico o fatto in concreto funzionale alla realizzazione di un piano ex art. 67, comma 3, ovvero di un accordo ex art. 182 bis l.fall, ovvero ancora di un concordato preventivo”: ibidem. (76) Sulla portata della formula, non sembra unanime la dottrina che per prima si è cimentata con l’interpretazione dell’art. 217 bis l.fall. Secondo una prima lettura, il significato trascenderebbe la lettera della locuzione fino a comprendere anche pagamenti ed operazioni propedeutici alla procedura concordata e finalizzati alla soluzione della crisi d’impresa; lo imporrebbe una esegesi sistematica dell’esenzione, che pone l’accento sulla “polarizzazione” delle condotte “al perseguimento del risultato prefigurato dal legislatore”: MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1478. Apparentemente più restrittivo il significato attribuito all’espressione da altra parte della dottrina, a parere della quale “è necessario che essi [pagamenti ed operazioni] siano stati posti in essere proprio in esecuzione di quel piano [o dell’accordo omologato o del concordato preventivo] di cui parla la citata disposizione”: così BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 160; del medesimo avviso D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 213, secondo il quale l’opposta tesi finirebbe per sfociare in una interpretazione analogica vietata, anche per espressa voluntas legis, e per frustrare la scelta del legislatore di porre un “contrappeso” alla irrilevanza penale nei casi in cui non sia scaturito un progetto di risanamento sostenibile. (77) Del medesimo parere MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1481, dove si svolgono interessanti precisazioni anche in riferimento ai rapporti con il reato di cui all’art. 218 l.fall.. (78) Così MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1476. (79) Dello stesso avviso: BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 158; MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1477; D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 212. 18 Anche in ordine all’indifferenziato richiamo all’art. 217 l.fall., poi, sono necessarie alcune precisazioni. Come giustamente evidenziato, le figure di bancarotta semplice di cui ai nn. 1 e 5 dell’art. 217 l.fall. appaiono a tal punto eccentriche rispetto alla soluzione della crisi di impresa da non poter essere ricondotte entro i confini dell’esenzione (80), pena una forzatura della ratio stessa dell’art. 217 bis; d’altra parte, se è indubbio che quest’ultimo si riflette su condotte quali quelle dei nn. 3 e 4 dell’art. 217 l.fall., più incerta è la soluzione quanto al n. 2: la dottrina, sul punto, non è unanime, ma propende per l’inapplicabilità dell’art. 217 bis (81). 3.3 – A ben vedere, tuttavia, neppure i pagamenti eseguiti nel contesto delle procedure di salvataggio previste dall’art. 217 bis possono automaticamente assumere irrilevanza penale. Come accennato poc’anzi, infatti, l’assolutezza della conclusione è incrinata dalla questione di fondo – allo stato, anche per la scarsezza di giurisprudenza sul punto, irrisolta – relativa ai poteri di controllo del giudice penale in ordine alla idoneità della procedura a raggiungere lo scopo prefissato. Detto altrimenti, occorre chiedersi se sia sufficiente, per paralizzare le norme incriminatrici, la mera esistenza di un piano o di un accordo, ovvero se implicitamente si richieda al giudice penale di valutarne l’attitudine ex ante a superare lo stato di crisi. Nel silenzio della legge, entrambe le vie sembrerebbero in astratto percorribili ( 82). Giova, ai fini che ci occupano, suddividere il discorso in relazione a ciascuna procedura, sulla scia della dottrina che si è già occupata del problema: da questa analisi, d’altra parte, deve inevitabilmente passare il tema dell’eventuale concorso del creditore favorito, che ne è logico corollario. 3.3.1 – La natura prettamente privatistica ( 83) del piano disciplinato dall’art. 67 comma 3 lett. d) l.fall. (84) rende pressoché inevitabile – in caso di mancato raggiungimento del risultato sperato – il controllo a valle del giudice penale in termini (80) In tal senso, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1477; D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 212; BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 158. (81) Sostengono la tesi che esclude l’applicazione dell’art. 217 bis al n. 2 art. 217 l.fall.: MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1478; D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 212, a parere del quale “apparirebbe a dir poco paradossale ritenere che comportamenti erosivi della consistenza patrimoniale connotati dalla mera sorte o dalla manifesta avventatezza possano essere valutati come coerenti con un piano o con un accordo volti al superamento della crisi d’impresa”. Contra, invece: BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 158, e Bancarotta, le operazioni escluse dall’incriminazione, cit., pag. 96. (82) MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1482. (83) Il piano di cui si discorre, infatti, si perfeziona semplicemente a seguito di avvenuta attestazione di idoneità da parte di un professionista iscritto nel registro dei revisori contabili. Carente qualsiasi controllo giurisdizionale, l’atto va considerato a tutti gli effetti privato. In proposito, diffusamente, MUCCIARELLI, Stato di crisi, cit., pagg. 846 e ss. (84) È in questa sede appena il caso di accennare che il richiamo alla sola lettera d) del comma 3 dell’art. 67 l.fall. ha suscitato non pochi interrogativi e perplessità tra gli studiosi, vuoi in ordine alla ratio dell’esclusione delle altre ipotesi – del tutto omogenee – ivi previste, vuoi in ordine alla possibilità di estendere analogicamente ad esse l’applicazione dell’esenzione. Contro l’interpretazione letterale, che postula la persistente rilevanza penale dei comportamenti di cui all’art. 67 comma 3 l.fall. non contemplati dall’art. 217 bis, si è opposto che – così opinando – l’esenzione rischierebbe seriamente di essere dichiarata incostituzionale, per contrasto con il principio di ragionevolezza, sicché, pur trattandosi di norma eccezionale recante una lacuna intenzionale, si potrebbe ritenere che anche i pagamenti e le operazioni descritti dalle lettere a), b), c), f), g) dell’art. 67 comma 3 l.fall. rientrino nella disciplina dettata dall’art. 217 bis: in tal senso, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1476. 19 di ragionevolezza dell’atto (85): precipuo in tal senso il rilievo per cui – diversamente opinando – verrebbe rimessa all’autonomia privata la facoltà di neutralizzare l’efficacia di norme penali incriminatrici. Naturalmente, il giudice penale dovrà idealmente collocarsi in una prospettiva ex ante, non foss’altro perché – ove fosse valutato ex post – il piano dovrebbe per ciò solo ritenersi inidoneo, stante il fallimento dell’impresa (86). Il giudizio di prognosi postuma, che deve tener conto anche dei dati patrimoniali e finanziari su cui il piano si fonda (87), si proietta in tal modo sulla “coerenza metodologica rispetto alle condizioni (…) presenti all’epoca della redazione del piano medesimo” (88); e, laddove si concluda nel senso dell’inidoneità dell’atto rispetto al risanamento, sembra “difficile immaginare (…) che possa in ogni caso operare l’esenzione prevista dall’art. 217 bis l.fall.” (89). 3.3.2 – Problema non dissimile si ripresenta – mutatis mutandis – in caso di accordo omologato ai sensi dell’art. 182 bis l.fall. Sebbene infatti sia indispensabile, oltre alla relazione del professionista, anche un provvedimento di omologazione da parte del Tribunale, non è dato evincere quale sia in concreto l’oggetto del giudizio prodromico al decreto. La dottrina, benché divisa, abbraccia prevalentemente la tesi per cui al giudice dell’omologa spetti un potere di verifica nel merito dell’accordo, inteso come “esame valutativo della documentazione” ( 90). Ricostruito in questi termini il controllo del Tribunale, è chiaro che non residuerebbe margine alcuno per un successivo apprezzamento del giudice penale; al contrario, il potere del giudice penale tornerebbe a ri-espandersi qualora si optasse per la natura meramente formale del vaglio del Tribunale (91). In mancanza di giurisprudenza consolidata, sembra a chi scrive preferibile l’impostazione “pragmatica” adottata da altra dottrina, che riconnette il potere di rivalutazione del giudice penale all’attività compiuta in precedenza dal Tribunale: massimo in caso di controllo meramente formale, nullo in caso di controllo esteso al merito ed alla veridicità dei dati aziendali, inserendo tra questi due poli la situazione intermedia di un controllo sul merito ma non sulla correttezza dei dati (85) Unanime in tal senso la dottrina: MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1483; D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 207; BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 160. (86) Così MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1483; D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 207. Quest’ultimo Autore denuncia anzi la tendenza sempre più frequente a valutare col “proverbiale senno di poi” scelte che, nel momento in cui furono prese, potevano presentarsi intrinsecamente ragionevoli. (87) Così ancora MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1483. (88) MUCCIARELLI, Stato di crisi, cit., pag. 853 (89) In questi termini D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pagg. 207-208, che sottolinea come, peraltro, il dolo in capo all’imprenditore potrebbe essere escluso in presenza dell’attestazione di un professionista sulla bontà di un piano in cui lo stesso imprenditore confidava; su quest’ultimo punto cfr. anche LOTTINI, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 1374. (90) Si veda sul punto MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pagg. 1483-1484, ed autori ivi citati in nota 31. Si noti tuttavia che la Cassazione a Sezioni Unite, seppur in un obiter dictum, ha ribadito la valenza unicamente privatistica e negoziale dell’accordo: Cass. Sez. Un. 22468/2009, in Cass. pen., 2009, pagg. 4113 e ss. (91) A conforto di quest’ultima tesi, parte della dottrina rammenta il disposto dell’art. 2 comma 1 c.p.p., che attribuisce al giudice penale il potere-dovere di risolvere tutte le questioni dalle quali dipende la decisione, salvo che sia diversamente stabilito: cfr. BRICCHETTI-PISTORELLI, La bancarotta e gli altri reati fallimentari, cit., pag. 161. 20 economici (92). Ad ogni modo, secondo alcuni, lo spazio per eventuali argini all’applicazione dell’esenzione ex art. 217 bis sarebbe piuttosto ristretto (93). 3.3.3 – La domanda di ammissione al concordato preventivo, ai sensi dell’art. 161 comma 3 l.fall., deve essere scrutinata quanto alla sua fattibilità, il che implica un giudizio – quantomeno – sulla congruenza del piano, e, pertanto, maggiormente pregnante ( 94). Una parte della dottrina, muovendo da tali presupposti, confina il controllo del giudice penale ai casi di oggettiva falsità dei dati forniti al Tribunale (95); v’è peraltro chi, in base al tenore dell’art. 161 comma 3 l.fall. (“relazione di un professionista che attesti la veridicità dei dati aziendali”), argomenta nel senso di una incorporazione di tale valutazione entro il provvedimento di ammissione dello stesso Tribunale, correlativamente escludendo ogni spazio al sindacato del giudice penale (96). 3.4 – Resta comunque aperto il problema del concorso dell’extraneus allorché – in presenza di procedure inidonee – fornisca una partecipazione eziologicamente efficiente alla integrazione del fatto tipico. Mentre appare arduo disconoscere la sussistenza del contributo dell’estraneo sul fronte della tipicità, maggiormente complesso – come messo in luce dalla dottrina ( 97) – potrebbe tuttavia presentarsi il giudizio sull’elemento soggettivo: particolare delicatezza assume, sotto questo profilo, l’indispensabile indagine in ordine alla consapevolezza del concorrente sulla inidoneità ab origine del piano o dell’accordo. 4 – L’impressione che si ricava dalle annotazioni precedenti è, in ogni caso, sconfortante. Ricorrendo ad un’immagine forse suggestiva, si potrebbe ammettere che il legislatore ha utilizzato un “cannone” laddove invece sarebbe stata bastevole ed opportuna un’ “arma di precisione”. Fuor di metafora, il nuovo art. 217 bis non sembra raggiungere né lo scopo di tenere completamente al riparo gli imprenditori insolventi – e al contempo i loro eventuali compartecipi – dall’intera gamma di possibili incriminazioni per bancarotta semplice o preferenziale; né di soddisfare l’ambizione di imbrigliare o di incanalare l’interpretazione giurisprudenziale, risultato per vero tanto importante – come ammoniva un illustre studioso ( 98) – in un settore in cui “bisogna soprattutto evitare che ad un’economia d’impresa, basata sull’assunzione da parte dell’imprenditore del rischio economico sottostante ad una certa operazione, si sostituisca un’economia burocratizzata in cui le scelte debbano essere operate obtorto collo sulla base del minor rischio penale”. Si può anzi fin da ora pronosticare, senza timore di smentite, che paradossalmente toccherà ancora una volta alla prassi interpretativa, da un lato, rimeditare taluni approdi esegetici in tema di concorso del creditore nei fatti di bancarotta, e, dall’altro, dare una fisionomia concreta ed operativa (92) La tesi è di MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pagg. 1484-1485, nonché Stato di crisi, cit., pagg. 857-859. (93) D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 211. (94) MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1485. (95) In tal senso D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 210. (96) L’opinione è di MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1485. (97) In argomento, MUCCIARELLI, L’esenzione, cit., pag. 1486, anche per interessanti rilievi in merito ad una eventuale posizione di garanzia in capo al professionista. (98) STELLA, Insolvenza del debitore e responsabilità penale del banchiere, cit., pag. 306. 21 ad un istituto, l’esenzione di cui al nuovo art. 217 bis l.fall., che di tale supplenza ermeneutica mostra già un significativo bisogno (99). In attesa di futuri assestamenti giurisprudenziali, peraltro, il compito dell’interprete può ritenersi esaurito col segnalare i punti di maggiore criticità di questa ulteriore (provvisoria?) riforma; e d’altra parte, come direbbe il viandante di Nietzsche, “i miei pensieri (…) devono indicarmi dove mi trovo; ma non devono rivelarmi dove vado”( 100). (99) In dottrina c’è già chi invoca un ulteriore intervento di interpretazione autentica da parte del legislatore: cfr. in proposito D’ALESSANDRO, Il nuovo art. 217 bis l.fall., cit., pag. 213. (100) NIETZSCHE, La gaia scienza, a cura di GIAMETTA, Milano 2000, pag. 261, frammento 287 (intitolato “piacere della cecità”), che nel complesso così recita: “i miei pensieri” – disse il viandante alla sua ombra – “devono indicarmi dove mi trovo; ma non devono indicarmi dove vado. Amo l’incertezza circa il futuro e non voglio rovinarmi per l’impazienza di gustare in anticipo le cose promesse”. 22