Dalla microstruttura alla macrostuttura

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IØRN KORZEN (Copenhagen)
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Dalla microstruttura alla macrostruttura
Per quanto riguarda la strutturazione testuale è ben noto che le lingue romanze si
caratterizzino per una maggiore complessità sintattica e per una maggiore tendenza all'ipotassi
rispetto per esempio alle lingue germaniche. Tale differenza tipologica è stata riscontrata
chiaramente anche dai miei studi comparativi italo-danesi, e nel mio intervento vorrei cercare
di delucidarne alcune delle ragioni, accennando a possibili risposte alla domanda
fondamentale: quali elementi microstrutturali sono (particolarmente) determinanti per la
strutturazione di un testo di un dato registro in una data lingua e – conseguentemente – per le
differenze interlinguistiche di strutturazione testuale, ovvero: qual è l'impatto della microstruttura sulla macrostruttura?
Sulla base di diversi modelli psicologico-cognitivi parto da una descrizione della
comunicazione linguistica come formata dalla sinergia di elementi appartenenti a livelli o a
"dimensioni" linguistico-cognitive diverse ma fortemente interrelate ed interattive, di carattere
rispettivamente morfo-semantico, pragma-testuale e contestuale, e descrivibili come scatole
cinesi:
4. sfondo socio-culturale generale, tradizione linguistica
3. contesto: situazione comunicativa,
pragmatica comunicativa
2. macrostruttura: sintassi, pragmatica testuale
1. microstruttura:
morfologia,
lessicalizzazione
(ispirato da Coirier/Gaonac’h/Passerault 1996, Lundquist 2000, Skytte 2000)
Nel mio intervento prescinderò dall'importanza della dimensione 3 (fra l'altro per le scelte
intralinguistiche di registro) e della dimensione 4 per concentrarmi invece sulle relazioni tra le
dimensioni 1 e 2, più precisamente sugli effetti del sistema microstrutturale su quello macro-
strutturale, e paragonerò l'italiano e il danese, due lingue che per le loro nette differenze
tipologiche in tutte e due le dimensioni mi sembrano adatte per illustrarne l'importanza.
Mi soffermerò particolarmente sulla rilevanza dei due fenomeni menzionati nella dimensione
1 della figura: morfologia e lessicalizzazione. Le differenze morfologiche più pertinenti al
mio argo mento appaio no nel sistema verbale: laddove l'italiano può vantare ben 48 forme
sintetiche diverse dello stesso verbo, il danese se ne deve accontentare di sole 8. La ricchezza
morfologica italiana comporta delle particolari possibilità di "esplicitezza pragma-testuale",
intesa come codificazione linguistica di relazioni e distinzioni testuali di carattere pragmatico.
Più precisamente: con delle forme verbali che o esistono solo in italiano (per esempio il
gerundio) oppure esistono in tutte e due le lingue ma occorrono molto più frequentemente in
italiano che in danese (per esempio i participi e il trapassato prossimo), si segnala lo status di
"satellite retorico" (nel senso di Mathiessen/Thompson 1988) di una proposizione, cioè il
ruolo pragmatico-testuale di sfondo rispetto alle proposizioni o sequenze testuali circostanti.
A causa della povertà morfologica del danese – la quale comporta per esempio anche la
neutralizzazione aspettuale – vi è in questa lingua (pure se dipendentemente dal registro) una
maggiore tendenza alla strutturazione retorica coordinata, cioè alla collocazione delle va rie
proposizioni a pari livello pragma-testuale.
In questo contesto va ricordata quindi anche l'acuta osservazione di Jakobson (1963) che le
varie lingue non si distinguono per quello che possono esprimere, ma per quello che devono
esprimere.
Per quanto riguarda il sistema di lessicalizzazione delle due lingue si può constatare una
maggiore specificazione semantica nel lessico nominale italiano che in quello danese: mentre
il danese tende a lessicalizzare il tratto FUNZIONE nei sostantivi, l'italiano lessicalizza piuttosto
il tratto CONFIGURAZIONE, cosa che comporta una lessicalizzazione più specifica e la
creazione del prototipo semantico a un livello iponimico in italiano rispetto al danese (cfr.
anche Korzen 2000). Per esprimere la differenza per esempio tra seggio – poltrona – sdraio o
tra scrivania – fasciatoio – mensa, il danese deve ricorrere a composizioni sintetiche con le
radici equivalenti rispettivamente a sedia ed a tavolo.
In cambio la lessicalizzazione verbale è più specifica in danese: a differenza dell'italiano il
danese lessicalizza sempre il tratto MODO e, molto più generalmente dell'italiano, il tratto
CONFIGURAZIONE, cioè la forma del soggetto (nei verbi intransitivi) o dell'oggetto (nei verbi
transitivi). Per esempio il danese ha più di 10 varianti diverse equivalenti ai verbi rompere,
spaccare, la cui scelta dipende dalla forma dell'oggetto rotto o spaccato e dal modo in cui
avviene la rottura (cfr. anche Herslund 2000).
Vi è quindi in danese una concentrazione informativa nel verbo, ossia nel lessema che
esprime la relazione tra gli argomenti, e in italiano nei sostantivi, ossia negli argomenti stessi;
il danese può essere caratterizzato come lingua "endocentrica", che riflette il mondo come
relazioni specificate tra entità astratte (cfr. Herslund/Baron, in stampa), mentre l'italiano può
essere definito come lingua "esocentrica", riflettendo il mondo come relazioni astratte tra
entità specificate.
In danese si osserva, corrispondentemente alla concretezza semantica verbale, una tendenza a
testualizzare ogni piccolo avvenimento come a se stante e di pari importanza pragmatica, e
corrispondentemente all'astrazione semantica nominale si vede una particolare tendenza alla
riduzione del valore pragmatico degli argomenti, cosa che si manifesta per esempio nella
spiccata tendenza all'incorporazione nominale nel predicato verbale. Invece in italiano,
corrispondentemente all'astrazione predicativa, si vede una particolare tendenza ad incorporare nella stessa frase più predicati (ossia più avvenimenti) diversi, di cui viene morfologicamente segnalata la distinzione gerarchica pragma-cognitiva, e corrispondentemente alla
concretezza nominale si ha un valore pragmatico molto più forte negli argomenti, il che si
riflette nella determinazione nominale molto più generalizzata e nella tendenza molto più
moderata all'incorporazione nominale in italiano che in danese.
Bibliografia
Coirier, Pierre, Daniel Gaonac'h & Jean-Michel Passerault (1996). Psycholinguistique textuelle. Approche cognitive
de la compréhension et de la production des textes. Paris, Armand Colin.
Herslund, Michael (2000). Tipologia grammaticale e tipologia lessicale. In Korzen, Iørn & Carla Marello (a cura
di). Argomenti per una linguistica della traduzione / Notes pour une linguistique de la traduction / On Linguistic
Aspects of Translation. Gli argomenti umani 4. Alessandria: Edizioni dell'Orso, 11-18.
Herslund, Michael & Irène Baron (in stampa). Les langues comme visions du monde. Approche typologique du
danois et du français. Proceedings from the International Scientific Conference « Language and Culture »,
Moscow, 14-17 September 2001.
Jakobson, Roman (1963). Essais de linguistique générale. Le fondations du langage. Paris: Minuit.
Korzen, Iørn (2000). Pragmatica testuale e sintassi nominale. Gerarchie pragmatiche, determinazione nominale e
relazio ni anaforiche. In Korzen, Iørn & Carla Marello (a cura di). Argomenti per una linguistica della traduzione /
Notes pour une linguistique de la traduction / On Linguistic Aspects of Translation. Gli argomenti umani 4. Alessandria: Edizioni dell'Orso, 81-109.
Lundquist, Lita (2000). Knowledge, Events and Anaphors in Texts for Specific Purposes. In Lundquist, Lita &
Robert J. Jarvella, eds. Language, Text and Knowledge. Mental Models in Expert Communication. Berlin, Mouton
de Gruyter.
Matthiessen, Christian & Sandra A. Thompson (1988). The structure of discourse and 'subordination', John Haiman
& Sandra A. Thomp son, eds. Clause Combining in Grammar and Discourse, Amsterdam/Philadelphia, John
Benjamins, 275-329.
Skytte, Gunver (2000). Sprogbrug i komparativt perspektiv. Skytte, Gunver & Iørn Korzen. Italiensk–dansk sprogbrug i komparativt perspektiv. Refe rence, konnexion og diskursmarkering, Copenaghen, Samfundslitteratur.
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