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18/11/15 20:15
STAMPA
Archivio selezionato: Sentenze Cassazione civile
Autorità: Cassazione civile sez. III
Data: 15/10/2015
n. 20887
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME'
Giuseppe
- Presidente
Dott. AMENDOLA
Adelaide
- Consigliere Dott. AMBROSIO
Annamaria
- Consigliere Dott. DE STEFANO Franco
- Consigliere Dott. PELLECCHIA Antonella
- rel. Consigliere ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11686/2012 proposto da:
ISTITUTO MULTIDISCIPLINARE EUROPEO IME SRL (OMISSIS), in persona
del legale rappresentante p.t. Dott. MAURIZIO CONTE, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 43, presso dell'avvocato GIOVANNI
ROMANO, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del
ricorso;
- ricorrente contro
D.P.A., elettivamente domiciliato in R0MA, V. PACUVIO
34,
presso lo studio dell'avvocato ROMANELLI GUIDO,
che
lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati SIMONE ORENGO, ANDREA
LANCIANI giusta procura a margine del controricorso;
- controricorrente avverso la sentenza n. 809/2011 della CORTE D'APPELLO di ANCONA,
depositata il 11/10/2011 R.G.N. 1182/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
08/07/2015 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;
udito l'Avvocato GIOVANNI ROMANO;
udito l'Avvocato LORENZO ROMANELLI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La presente controversia ha ad oggetto la domanda risarcitoria avanzata da D.P.A. nei confronti dell'Istituto
Multidisciplinare Europeo con riferimento ad una campagna pubblicitaria promossa, appunto, da detta società,
apparsa nel giugno del 2000 su due quotidiani di importanza nazionale, con riferimento ai corsi per la
preparazione agli esami universitari, quello della CEPU, di cui D.P. era testimonial, e quello dell'IME. La
pubblicità raffigurava due personaggi su un campo di calcio, di cui uno identificabile in D.P.. Il testo di apertura
del messaggio pubblicitario recitava: A. 0 L. 8, L. è iscritto allo stesso anno di A. e nella stessa facoltà. A. non
ha dato nessun esame, L. nello stesso anno ne ha superati otto. L. è uno studente IME, A. no.
D.P. pertanto convenne in giudizio l'IME per aver utilizzato la sua immagine, il suo nome ed il suo pseudonimo
senza il suo preventivo consenso.
L'istituto si difese sostenendo la non indispensabilità del consenso trattandosi di pubblicità comparativa.
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Spiegava, a sua volta, domanda riconvenzionale con riferimento al danno prodotto da D. P. che, nella qualità di
testimonial della CEPU, aveva fatto credere di essere iscritto all'università, ingenerando confusione tra i
consumatori e sottraendo fette di mercato alla società concorrente.
Il Tribunale di Ancona con la sentenza numero 1297/2005 accolse la domanda di D.P. condannò la società a
corrispondere a titolo di risarcimento la somma di Euro 258.228,45. Rigettò la riconvenzionale.
2. La decisione è stata confermata dalla Corte d'Appello di Ancona, con sentenza n. 809 dell'11 ottobre 2011.
3. Avverso tale decisione, l'IME S.r.l. propone ricorso in Cassazione sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria.
3.1 Resiste con controricorso D.P..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la "motivazione illogica, insufficiente ed apodittica circa un fatto
controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in merito al mancato consenso prestato da
D.P. per lo sfruttamento della sua immagine, in una ipotesi di pubblicità comparativa".
Lamenta la società che la sentenza dei giudici del merito è illogica ed incongrua con riferimento all'utilizzazione
di immagini, o meglio al richiamo di immagini che fanno indiretto riferimento al testimonial di una società
concorrente, senza il preventivo consenso, nell'ipotesi di pubblicità comparativa ingannevole.
4.2. Con il secondo motivo, denuncia la "violazione o falsa applicazione dell'art. 2056 c.c., in relazione al
disposto di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla liquidazione equitativa del danno in base
al c.d. prezzo del consenso".
La ricorrente sostiene che la pubblicità ideata dalla società era di tipo comparativo e quindi l'utilizzo e
l'immagine di D.P. sarebbe avvenuta nel contesto lecito non ha prodotto alcun danno, nè patrimoniale o non
patrimoniale all'attore essendo del tutto illogica ed apodittica l'affermazione secondo cui lo stesso avrebbe
avuto diritto al prezzo corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per dare il consenso
alla pubblicità.
La società ricorrente propone anche la questione pregiudiziale e sensi dell'art. 267 TFUE (remissione della
questione alla Corte di Giustizia), se contrasta con la normativa dell'Unione (direttiva 97/55/CE, direttiva
2006/114) una legislazione, come quella italiana, (artt. 96 e 97 L. 633/41), che non consente la pubblicazione
di un'immagine che fa riferimento al testimonial di una società concorrente, senza il suo preventivo consenso,
in una ipotesi di pubblicità comparativa.
4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2598 c.c., n. 3, in
relazione al disposto di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".
Si duole la ricorrente che i giudici dell'appello abbiano ritenuto non provata la partecipazione di D.P. ad un atto
di concorrenza sleale nonostante fosse ben precisa la circostanza che il D.P. avesse accettato di fare il
testimonial per una società di preparazione agli esami universitari, dichiarando di affrontare l'università grazie
all'ausilio della CEPU, ben consapevole del fatto che non avesse il tempo materiale o la volontà di iscriversi ad
alcuna università. E quindi dimostrata una seria e concreta relazione tra il comportamento di D.P. e quello della
CEPU tale da inquadrare la sua condotta nell'ambito dell'art. 2598 c.c..
5. Innanzitutto occorre esaminare la questione pregiudiziale sollevata.
Essa è del tutto irrilevante perchè la Corte d'Appello ha affermato che la pubblicità non aveva i requisiti per
essere definita come comparativa. La Corte territoriale non ha affermato che nel caso di pubblicità comparativa
ci vuole il consenso del testimonial della società comparativa ma ha semplicemente escluso che si trattasse di
pubblicità comparativa prevista dalla D.Lgs. n. 67 del 2000.
5.1. Il primo motivo è inammissibile.
La Corte d'Appello, come già detto, ha ritenuto, al contrario di quanto afferma il ricorrente, che la pubblicità
promossa da Ime non integrasse i presupposti di una legittima pubblicità comparativa ai sensi della disciplina
legale. "La pubblicità comparativa, realizzata dall'IME tramite il messaggio pubblicitario per cui è causa è stata
giudicata tale da esorbitare in modo chiaro dalle caratteristiche che la direttiva CEE n. 97/55/CE, recepita
nell'ordinamento italiano con il D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 67, art. 4, attribuisce per la validità della pubblicità
comparativa, caratteristiche sulle quali le condizioni, indicate nelle lett. a) ad f) del predetto decreto... devono
contemporaneamente sussistere, al fine di comportare la liceità della pubblicità comparativa (pag 11- 12
sentenza).
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Tale ratio decidendi non è stata impugnata. E' principio consolidato che il ricorso per cassazione non introduce
un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata,
caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata
dall'ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti. Ne consegue che, qualora la decisione impugnata
si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e
giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso
una di tali "rationes decidendi", neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. S. U. n. 7931/2013).
Gli altri motivi sono assorbiti.
6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
PQM
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio
di legittimità in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 10.500,00 di cui 200 per esborsi,
oltre accessori di legge e spese generali.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il
8 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2015
Note
Utente: Chieti e Pescara Agenzia - www.iusexplorer.it - 18.11.2015
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