Riflessioni sulle Letture della Festività dei SS Pietro e Paolo (dom.)

Riflessioni (n.141) sulle Letture della Solennità dei Santi Pietro e Paolo Apostoli
29 giugno 2014 (domenica)
A tutti gli Amici in Gesù Nostro Signore e Salvatore
A te che leggi, ti benedica il Signore e ti custodisca nella pace e nella perenne visione del Suo Volto
Perdona Signore e anche voi amici tutti gli errori e le imprecisioni, che involontariamente avrò scritto: queste righe vogliono essere solo una preghiera a Te Padre Misericordioso, a Te Verbo Redentore, a Te Spirito Consolatore.
Le cose che conosco della Verità sono poche, ma voglio parlarne con umiltà e devozione massima per conoscerle meglio. Lo Spirito Santo mi aiuti.
Signore so che Tu non hai bisogno di quello che diciamo di Te, ma queste mie parole saranno utili e benefiche sicuramente a me e forse a qualcuno
che le legge se Tu le arricchirai del Tuo Spirito Santificatore che invoco.
Prima Lettura - Dagli Atti degli Apostoli - At 12, 1-11 - Ora so veramente che
il Signore mi ha strappato dalla mano di Erode.
In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa.
Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai
Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Azzimi. Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua.
Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a
Dio una preghiera per lui. In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire
davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava
dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere.
Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli
toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Alzati, in fretta!». E le catene gli caddero
dalle mani. L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e legati i sandali». E così fece.
L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non
si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione.
Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di
ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero
una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui.
Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il
suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei
Giudei si attendeva».
L’intervento di Dio è pronto è inarrestabile e nulla può il volere degli uomini che si contrappone al Suo.
I fatti narrati dalle Scritture sembrerebbero gli unici
in tal senso, ma non è così. Spesso infatti siamo portati
a ritenere che Dio è intervenuto solo poche volte e in
quei tempi remoti, poi, si è come dimenticato di noi, si
è affievolito il Suo interesse verso l’umanità per via delle tante delusioni ricevute da coloro sui quali aveva riposto tante aspettative. Nulla di più sbagliato: questa
che noi facciamo è una mera umanizzazione del Signore, del tutto inadeguata alla Sua Infinità e alla Sua Immutabilità. Infatti Egli è l’Immutabile e quindi non può
cambiare di umore come facciamo noi uomini. Ma poi,
dopo le grandi manifestazioni della Sua Potenza avvenute a corollario del fatto più grandioso, quello
dell’Incarnazione e della Redenzione dell’umanità, fatti
che da soli avrebbero dovuto essere sufficienti per
comprendere la Verità, ha seguitato a intervenire singolarmente, giornalmente ma sottovoce, dentro ciascuno di noi che nella nostra caparbietà e arroganza
preferiamo pensare che quel che capita sia effetto della buona o della cattiva sorte, sia conseguenza delle
nostre predisposizioni psicologiche, cosa che ci piace
tanto pensare perché giustificativa di ogni nostra debolezza.
No, non penso proprio sia così, almeno per quanto
alla mia esperienza di vita. Il Signore è intervenuto tante volte nel mio vissuto evitandomi la rovina totale, anche a costo di alcune sofferenze che ho dovuto affrontare, ma che a posteriori mi si sono rivelate vere Grazie. E pur nella mia pregressa e abituale distanza da Lui,
quando gli ho rivolto le mie suppliche, non ha mancato
mai di darmi, con discrezione, quasi in punta di piedi, il
Suo risolutivo Aiuto. Questo Egli ci chiede: che noi crediamo e colloquiamo con Lui anche e soprattutto
quando stiamo in prosperità e in pace con noi stessi e
con gli altri. Perché è proprio allora che ci sembra di
non aver bisogno di nulla e quindi neppure del Padre
Onnipresente che non vediamo più. Certo l’Immutabile
non può soffrire come umanamente intendiamo noi, a
causa delle nostre cattiverie, altrimenti ne verrebbe di-
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strutto… Egli è Sapienza e Carità infinite e immutabili,
non possono essere neppure scalfite da alcunché e da
nessuno.
Ma pur così diverso e al contempo così simile a noi
ha inviato il Figlio che da Vero Uomo s’è caricato di tutti i mali e ha sofferto tutte le sofferenze che mente
umana possa concepire ed attuare! La sofferenza umana del Verbo è sofferenza del Padre Medesimo: verità
questa incontrovertibile eppure inspiegabile alla nostra
logica!
Fede Santa soccorrimi quando la mia ragione s’impastoia in ragionamenti inestricabili difronte al Tuo Immenso Mistero!
Se dunque vogliamo divenire santi di Dio dobbiamo
intrattenere un dialogo quotidiano con Lui che è la Sorgente della nostra Vita. Mi permetto questo esempio:
la nostra vita è un corso d’acqua che dalle alture scorre
fino al mare ove trova la pace… se si inaridisce la sua
sorgente quel fiumiciattolo, cioè la sua vita, sparisce
nel nulla.
Nel linguaggio comune noi diciamo di non volere
dispiacere Dio: è una umanizzazione che noi conferiamo all’Autore di tutte le cose, in realtà il male lo facciamo a noi stessi e ai nostri simili perché contravveniamo alla Sua Volontà che è il Bene Assoluto; se debordiamo dalla via da Lui tracciata sconfiniamo nel Male, non siamo più nella Sua Volontà-Amore.
Torniamo all’evento narrato negli Atti degli Apostoli: lo stesso Pietro non riesce a comprendere che Dio gli
ha inviato il suo Messo nella realtà, non nel sogno, a liberarlo perché completasse l’opera di cui era stato assegnatario. Così anche noi dobbiamo imparare, come
detto sopra, che quanto ci accade non è frutto del caso, ma è parte del disegno che Dio ha stabilito su di
noi!
Splendido Signore, la Tua grandezza è
pari all’umiltà che poni nelle infinite Grazie
che giornalmente ci doni: insegnaci a imitarTi
quando il nostro orgoglio ci acceca.
La Tua Volontà è il mio bene, sempre!
Salmo Responsoriale - Salmo 33 - Il Signore mi ha liberato da ogni paura.
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.
L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.
Questo straordinario salmo ci fa riflettere su molte verità della fede.
“…Io mi glorio nel Signore…”
Credere in Dio e adorarLo come unica Fonte di Bene e di Verità è darGli gloria, ma lo è anche per noi che
Lo adoriamo. Chi ama il Signore è glorificato dallo Spirito Santo e da quanti credono, è glorificato dalla coscienza della propria anima; la Luce di Dio, come avvenne per Mosè, alla lettera, circonfonde di luce, in
senso spirituale, anche chi di noi Lo glorifica.
e da ogni mia paura mi ha liberato…”
Chi mai che abbia invocato il Signore non ha avuto
risposta?
Dio non è sordo ai richiami dei Suoi figli, solo che
dobbiamo chiedere ciò che è lecito, non cose vane e
pertanto offensive, relative al nostro piccolo mondo
materiale e mediocre. Dio si mostra e si fa capire da chi
tiene aperto, sempre, il dialogo con Lui. In definitiva
questo è ciò che ci chiede e che ci ha richiesto
dall’inizio dei tempi. Da qui scaturisce tutto: non occorrono leggi né regolamenti, né minacce, né polizia, tutto
“…Ho cercato il Signore: mi ha risposto…”
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diviene chiaro e semplice, univoco: non c’è pericolo di
perdersi nei meandri dell’incertezza e del dubbio!
“…Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce…”
La nostra povertà, la limitatezza, la relatività,
l’incertezza e la paura che da esse deriva può essere allontanata solo sapendo che non siamo in un infinito
ignoto e tenebroso di cui non troveremo mai i confini
né l’orientamento, ma siamo in un mondo voluto dal
Bene e dalla Sapienza, un mondo che proprio per que-
sta sua origine non ci deve angosciare: tutto convergerà in quel Disegno d’Amore che ci è stato promesso e
per il quale non dobbiamo temere nulla. Solo
l’allontanamento dalla Sua Luce potrà farci perdere!
O Signore, come ti riconosciamo quando ci
liberi dall’angoscia e dalla paura. Sii dunque
sempre accanto a noi quando Ti invochiamo
affinché la nostra vita conosca e viva la Tua
Pace splendente!
Seconda Lettura - Dalla II lettera di san Paolo apostolo a Timoteo - 2 Tm 4,68.17.18 - Ora mi resta soltanto la corona di giustizia.
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io
lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede.
Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi
consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso
con amore la sua manifestazione.
Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a
compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato
dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a
lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Quando si è ormai difronte al Vero, tutte le corde
del cuore vibrano. È un passo grave quello che ci attende, quel passaggio - oltre i sensi- che nessuno può
evitare.
Il distacco doloroso dagli affetti, e perché no, da
questa carne che, se è causa frequente di peccato, è
pur sempre parte determinante del nostro essere, provoca un’umanissima malinconia, come in Paolo, ma
l’aver vissuto avendo accanto il Signore gli consente di
dire
“Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la
corsa, ho conservato la fede.”
La buona battaglia è quella della Testimonianza del
Cristo contro quanti cercavano di stroncare la sua voce
inarrestabile e incontenibile perché sorretta dalla Fede,
più d’una dea bella e potente. Anche noi tutti dobbiamo combattere la nostra “buona battaglia” che è proporzionata alle nostre forze: Dio non chiede mai nulla
oltre le nostre possibilità…
Quella sentenza capitale per Paolo, da una parte
temuta e da un’altra cercata, è giunta: ora il suo sangue scorrerà “in offerta”: il male degli uomini sembra
trionfare, ucciderà il suo corpo ma la Parola del Signore, più d’una marea inarrestabile, è stata diffusa in ogni
parte del mondo e proprio lui, nato come persecutore,
sarà l’Apostolo per eccellenza, quello che contribuirà
più d’ogn’altro alla propagazione della conoscenza della Verità.
Dalla nostra carne ce ne vorremmo staccare, ma
con le sue ferree esigenze essa ci ricorda ogni giorno
che è qui, quale aspetto dualistico dell’uomo-carne-espirito.
Ma questo meraviglioso commiato del Vas Electionis, questo potente testamento spirituale ci rassicura
per la certezza che egli possiede sull’esito della propria
esistenza:
“… Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà
in salvo nei cieli, nel suo regno…”
Combattiamo fieramente ed eroicamente anche noi
la nostra battaglia, con generosità, con entusiasmo,
nella consapevolezza di essere sostenuti dalla Fede che
lo Spirito Santo ci ha donato. Paolo ha dovuto combattere contro avversari potenti, agguerriti e implacabili
che non volevano in nessun modo riconoscere l’errore
in cui erano incorsi riguardo a Gesù Cristo. Noi abbiamo
come maggior avversario la nostra ignavia, la nostra
accidia, l’egoismo, il desiderio incontenibile di ricchezza
e di potere.
S. Benedetto, all’inizio del VI sec. d. C. scrisse:
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«Correte mentre dura il giorno della vita,
perché non vi sorprenda la notte della morte… »
Spirito Santo circondami con la Tua corazza di santità in modo che io non indietreggi mai nella Buona Battaglia per la Tua Giustizia.
Canto al Vangelo Mt 16,18
Alleluia, alleluia.
Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa
e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.
Alleluia
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 16, 13-19 - Tu sei Pietro: a te darò le chiavi del
regno dei cieli.
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarea di Filippo, domandò ai
suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremia o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il
Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue
te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su
questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di
essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»..
Voglio premettere un inciso, ma senza polemiche, sul Mandato Divino alla Chiesa.
Se Cristo Gesù e il Padre parlano sempre per estensione a tutta l’umanità, allora la frase
“…«A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò
che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò
che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»…”
non lascia dubbi sul significato della delega data a
Pietro e per estensione ai Vescovi (e ai Presbiteri) dopo
di lui. Le polemiche o le eresie, le teologie dissidenti
come quella di Hans Küng e di altri mi appaiono insostenibili. Che il Signore si sia sempre servito di uomini
per affermare e far conoscere la Sua Volontà mi sembra una verità scontata.
Ma veniamo ora alla riflessione base che mi viene di
proporre : Gesù, dopo esserSi fatto riconoscere vuole
far sentire a tutti come è visto e considerato dagli altri
e appare evidente la confusione tra la gente del popolo: Lo identificano con qualcuno dei profeti, con Elia o
Giovanni resuscitati.
Nessuno Lo vuole riconoscere per il Cristo, il Salvatore. Farlo sarebbe azzardato o addirittura deludente…
un uomo come noi l’Unto del Signore? È dov’è
la sua spada invincibile, dove le schiere dei suoi
combattenti pronti a liberarci dai dominatori
stranieri?.
Per molti era una bestemmia.
Noi umani siamo limitati ma complicatissimi. Spesso
andiamo cercando chissà dove e come cose che abbiamo davanti agli occhi e non ci sembrano quelle giuste. Cerchiamo sempre il più difficile e il più intricato.
Ho sentito dire diverse volte in questi giorni che i Santi
non si riconoscono mai come tali: è per un atto di umiltà o per quella incontentabilità tipica del genere homo
sapiens?
Alla domanda di Gesù solo Pietro risponde nel modo giusto, evidentemente ispirato dallo Spirito Santo:
“«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»”
Poche parole, un solo concetto:
«Tu sei il Cristo»
e una conferma e specificazione,
“… il Figlio del Dio vivente»”
Risposta essenziale, esauriente, non occorre aggiungere altro.
É la Verità.
E che sia così ce lo dice ancora Lui, il Signore, confermando
“… né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il
Padre mio che è nei cieli…”
Una Verità così stravolgente, LA VERITÀ, non poteva
certo venire dalla semplicità del povero Pescatore, né
da chiunque altro, ma solo dalla Sapienza e dalla Misericordia Divina.
Eppure, verrebbe da dire, era così facile … per
chiunque fra noi!
Ma ancora oggi, dopo duemila anni, quanti credono
che Gesù di Nazareth sia Il Figlio di Dio e Dio Egli Stesso?
O Spirito Santo, Tu che hai suggerito
a Pietro la Verità, dona anche a noi la
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luce dell’anima perché possiamo discernere con gioia il Bene che così spesso non
distinguiamo dal male!
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CONSIDERAZIONI SUL SACRO NELL’ARTE
di Michelangelo Buonarroti (Caprese 1475 – Roma 1564)
Figura 1 - Crocefissione di San Pietro; 1545-50; Michelangelo Buonarroti; Cappella Paolina, Vaticano; affresco m 6,25 x 6,60
Questa è l’ultima pittura ad affresco di Michelangelo commissionata da papa Paolo III Farnese che però
morì prima del compimento dell’opera stessa.
La nuova cappella del Palazzo Apostolico -la Cappella Paolina- era stata iniziata un decennio prima e oltre al dipinto che ora esamineremo contiene anche, situata sulla parte fronteggiante la Conversione di Saul,
eseguita dallo stesso Michelangelo prima del Martirio
di Pietro. Nel 1541 il Buonarroti aveva terminato il gigantesco affresco del Giudizio Universale e la sua salute era piuttosto provata dalla fatica e da diverse malattie. Nel 1550 aveva ormai settantacinque anni, e quindi
ancora altri quattordici da vivere, ma non furono anni
di serenità, piuttosto di disillusioni anche per le grandi
critiche che erano state mosse da più parti contro la
pittura della Cappella Sistina e la minaccia di distruggere quell’opera ciclopica. Ma altro suo grande cruccio
era quello di non riuscire a portare a termine il sogno
della sua vita artistica: la Tomba di Giulio II. Inoltre diversi acciacchi lo tormentavano, come le ricorrenti coliche renali. Viveva in grande povertà pur essendo ricco
per i molti lavori che aveva eseguito per i potenti del
tempo.
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Se nel dipinto fronteggiante, La Conversione di Pao1
lo , è straordinariamente efficace il modo di descrivere
gli effetti degli interventi divini fra gli uomini, qui il Divino è del tutto assente. La sublimazione della sua anima, sempre più strettamente legata al Creatore non gli
permette di rappresentare, può solo contemplare nel
profondo della proprio spirito la Verità Suprema. Nulla
più lo interessa se non il legame profondo con Dio, quel
legame che esalta ma fa soffrire, per la condanna conseguente al peccato, di non vedere, di non sapere…
“Squarcia ’l vel tu, Signor, rompi quel muro”
(Rime, 87)
Sentire Dio dentro di sé e non raggiungerLo mai è la
condanna dolorosa in questa vita carnale per tutti noi,
ma per uno spirito superiore, un genio che ha saputo
esprimere l’ineffabile come lui, il tormento doveva essere veramente insopportabile. Non a caso l’ultima
opera della sua pur lunga esistenza è la Pietà Rondanini
in cui con il prodigioso non finito tenta, sopra le forze
che ormai l’abbandonano sempre più, di dire … e non
dire perché impossibilitato ad esprimersi compiutamente sul mistero escatologico e sul Sacrificio della
Croce.
E la sua amata e prodigiosa arte e quant’altro ogni
mortale desidera, difronte al Mistero della Croce ch’è
ormai il solo mondo che lo interessi, si palesa per essere solo vanità e fonte di errore
“Onde l’affettüosa fantasia
che l’arte mi fece idol e monarca,
conosco or ben com’era d’error carca,
e quel c’a mal suo grado ogn’uom desia.”
(Rime, 285)
Nulla è più appetibile di quel mondo in cui aveva
vissuto e coltivato le sue passioni con i successi mai riconosciuti a nessun’altro, successi cui teneva e di cui
andava fiero riconoscendo a se stesso capacità negate
ai più. E l’angoscia del peccato, l’insoddisfazione per
non aver saputo comprendere quello che solo ora afferra, solo adesso comincia a capire, lo mantiene in una
tensione continua, parossistica.
Allora ecco che pur difronte al martirio
dell’Apostolo, pietra di fondamento della Chiesa di Cristo, tutto diviene relativo. La pietà umana non è negata
ma forse Pietro che aveva un debito da saldare col Signore, dopo quella notte nel cortile del tempio di Gerusalemme… non grida, non si dimena né prega il Signore di allontanare quel calice amaro: ‘… è giusto che
io soffra per te Signore che hai dato la vita per me che
Ti ho rinnegato…’
È Michelangelo stesso che si riconosce e si proietta
nell’anziano Apostolo. Ma, senza dubbio, è nel volto di
San Paolo nella Conversione che si è ritratto.
Nessuna presenza divina, dunque, non un angelo,
non un Segno superiore. La quotidianità, l’indifferenza,
la curiosità, la paura dei passanti difronte a uno spettacolo terribile ma non così raro nella Roma Imperiale.
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Di essa è stato fatto un commento nelle Riflessioni del 21/04/’13
La natura, che in realtà non lo aveva mai interessato se non nella sua più alta espressione, la corporeità
umana, è più che mai arida, senza splendori, senza il
verdeggiare di prati o di chiome arboree né spettacolari aperture di cieli azzurri. Nessuna ricerca di volti attraenti, di corporature apollinee;. tutto è grigio, stagnante, in un’aria polverosa senza splendore, né luccichii di colore né di luce. Gli stessi militari non hanno
nulla delle meraviglie fisiche che aveva conferito a suo
tempo ai due dux delle Tombe Medicee.
Dunque lo studio appassionato della natura fisica
Figura 3 – Giuliano, Duca
di Nemours; Tombe Medicee, S. Lorenzo, FI 1526
Figura 3 – Lorenzo, Duca
di Urbino; Tombe Medicee, S. Lorenzo; FI- 1524
umana -fortemente eroicizzata- che era stato un punto di caratterizzazione della sua personalissima espressione artistica, ormai è superato dall’esigenza di oltrepassare la natura stessa per giungere all’essenza
dell’esistenza umana e al suo significato in rapporto alla Causa Prima.
Due brevi scale intagliate nel banco tufaceo del
supplizio fasciano, per così dire, il cocuzzolo, quasi un
piccolo Golgota e su di esse salgono a sinistra e scendono a destra gli astanti. Sei uomini sono impegnati ad
erigere la croce su una piccola fossa che un settimo
uomo è chino a svuotare della terra: nei loro volti non
v’è né odio né brutalità, stanno svolgendo un lavoro
assegnato, preoccupati solo della sua riuscita.
A sinistra un ufficiale a cavallo chiede informazioni
sull’identità del condannato, verifica che tutto si svolga
come la lex romana ha decretato. Una serie di gruppetti di persone assistono all’esecuzione della condanna;
in alto a sinistra vi è il gruppo degli amici, una donna è
oltre il rialzo roccioso, mentre altri due giovano l’hanno
superato e con il gesto della mano invita la donna a
imitarlo; più da presso, al centro, un altro nucleo dominato dalla figura posta avanti con tunica verde che
gesticola, disapprova. E dietro di lui un giovane porta
l’indice alle labbra, invitandolo al silenzio. Due vecchi
incappucciati e con lunghe barbe guardano e ascoltano, meditano in silenzio. Sui gradini di destra una figura
gigantesca e barbuta col cappuccio frigio, dall’aspetto
barbarico, le braccia incrociate, scende senza guardare.
Ma anche i militari non hanno nulla della fierezza e della nobiltà dei favolosi legionari; sembrano appunto soldataglia raccogliticcia senza neppure una divisa, a piedi
nudi, eppure siamo a Roma. E dire che nelle due figure
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dei Duchi de’ Medici (fig. 2 e fig. 3) aveva fornito un
saggio di come pensasse i condottieri romani.
L’esteriorità è il nulla, l’apparato formale è soltanto
vanità, la pompa nient’altro che vacuità. Difronte al Vero, di tutto questo nulla ha più valore.
A desta e in basso altri due gruppi di passanti forse
incuriositi o impauriti; le quattro donne si volgono a
guardare il condannato, inchiodato alla croce, che pare
abbia l’unica preoccupazione di volgersi verso noi con
sguardo accigliato, non sofferente né spaventato, solo
preoccupato… forse di mandare un rimprovero, un
monito a qualcuno che non si vede e verso il quale si
dirigono gli sguardi di due della quattro donne in basso
a destra. Vuole dire chissà quante cose, ma tutto è
scritto ormai nella storia degli uomini e nel Cielo.
Due gruppi di soldati, il gruppo dei crocifissori, i due
gruppi di amici o di simpatizzanti del Martire, due
gruppi di curiosi: sette gruppi, ma ciascuno con la propria unità prospettica. Sembra quasi che il dipinto non
abbia un’idea compositiva, che le figure siano state assiepate a caso. In realtà, a fatica, traspare una matrice
a “X” o a croce.
Michelangelo più di qualsiasi altro artista ha messo
tutto il proprio essere spirituale nelle immagini che ha
dipinto o scolpito e tutte le tematiche affrontate appaiono profonde ispirazioni divine. Ha
profuso tutto quanto
possedeva di alto e di
grande
e
tuttavia
l’ansia della salvezza
non gli concedeva più
soddisfazione né conforto nelle amate attività artistiche che da sole non gli
bastavano più a quietare
“…l’anima, volta a quell’amor divino
c’aperse, a prender noi, ’n croce le braccia”
(Rime, 285)
Giorgio
27 giu. 2014
Questi stessi scritti sono pubblicati insieme
ad altre riflessioni sul sito
www.giorgiopapale.it
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