II Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) Vangelo: Gv 2,1-12 Il gesto di Gesù che inaugurale la gioia della salvezza Ci sono momenti della nostra vita che consideriamo speciali, perché possono contenere e esprimere i sentimenti e i significati più profondi di ciò che siamo e facciamo. Forse per questo sentiamo il desiderio di fotografarli, o filmarli: sperimentiamo tutti che la vita passa come un soffio, e desideriamo in un certo senso raccogliere quei gesti, persone, parole e luoghi che ci dicono molto di più di quello che mostrano, perché parlano al cuore. Chi non custodisce qualche fotografia sgualcita e magari un po' stracciata, che rappacifica il cuore e ridona fiducia nella vita ogni volta che la guarda? Forse questa esperienza ci può mettere sulla strada per leggere e comprendere un po' di più le pagine del vangelo che la liturgia ogni domenica ci fa ascoltare. Esse sono come delle "fotografie" con le quali i primi cristiani hanno voluto trasmetterci alcuni momenti speciali della vita di Gesù. Forse, più che fotografie, sono come dei quadri. Perché, come il pittore sceglie con attenzione il soggetto e dipinge per ore con cura la scena e ognuno dei suoi particolari, così gli evangelisti hanno composto con cura e lungo molto tempo, con papiro e inchiostro, i loro racconti, affinché noi, dopo duemila anni, ascoltandoli potessimo sentire sentimenti e significati simili, come capita quando si fa parte della stessa famiglia e si ascoltano le storie di chi ci ha preceduto. Tra i "momenti speciali" della vita, vissuto e espresso in modalità diverse a secondo delle appartenenze culturali e religiose, c'è la festa delle nozze. Passaggio simbolico e centrale della vita, che raccoglie tutto il passato e racchiude tutto il futuro; passo importante, dove la gioia della vita illuminata dall'amore vince i timori e le incognite del futuro (la Bibbia lo dice poeticamente: l'amore è più forte della morte). Gesù, che è Dio venuto a vivere totalmente la nostra vita umana, apparteneva a una cultura e religione (quella giudaica) che valorizzava molto il matrimonio: era segno della benedizione divina sul mondo, cammino attraverso il quale il miracolo divino della creazione continua a perpetuarsi nel mondo. La festa del matrimonio, che durava più giorni, per permettere di gustare in pienezza il suo significato e la sua promessa, era anche esperienza di fede, perché ogni matrimonio attualizzava l'alleanza di Dio con l'umanità e rinnovava l'attesa del messia. L'evangelista (cioè l'artista) Giovanni ha scelto di rappresentare l'inaugurazione della sua missione pubblica proprio con una scena di nozze. E chi ha riformato l'anno liturgico dopo il Concilio ha scelto questa pagina del capitolo due di Giovanni per l'inizio del tempo ordinario dopo l'epifania e il Battesimo (la tradizione della Chiesa, infatti, esprime il mistero dell'epifania non solo con la visita dei magi, ma anche con il battesimo di Gesù e le nozze di Cana, perché in questi misteri Gesù si "manifesta" al mondo). Perché questa scelta? Basta solo un po' di sensibilità artistica e liturgica per intuire che non si tratta di un caso, non è un modo come un altro per incominciare la storia di Gesù e neppure il ciclo ordinario dell'anno. Se poi ci diamo il tempo di leggere con calma e interesse questa pagina di vangelo ci rendiamo conto che la scena non vuol soltanto descrivere un fatto di quel tempo, ma vuole comunicarci un significato che va molto più in là di quello che vediamo nel quadro. Chi erano gli sposi? Come si chiamavano? Qual è la loro storia? Nulla ci dice Giovanni di tutto ciò. La sua attenzione (e la nostra) è attirata dal fatto che, a un certo punto della festa, il vino finisce, e perciò la festa rischia di fracassare. Sappiamo quasi a memoria come finisce la storia: è così straordinario il gesto di Gesù che trasforma l'acqua in vino che è diventato proverbiale. Non è difficile comprendere che Gesù ha permesso che la festa di nozze non finisse malamente. Se le nozze racchiudono il prima e il dopo della vita e se il vino è simbolo della festa e della gioia, possiamo anche concludere che Gesù è venuto affinché non mancasse mai il vino delle nozze, non mancasse mai la gioia della vita, cioè la fiducia che la vita, pur con suoi limiti umani (fisici e psichici), è un dono gratuito, fatto per amore. Allargando lo sguardo al quadro più ampio del vangelo ci accorgiamo che Giovanni inserisce i primi episodi della vita di Gesù nell'arco temporale di una settimana. La festa delle nozze avviene nel sesto giorno, dopo che nei giorni precedenti aveva cominciato ad accogliere e chiamare accanto a sé alcuni discepoli. C'è un'altra storia nella Bibbia che comincia con i giorni di una settimana: è la creazione del mondo (Genesi 1). Il sesto giorno Dio ha creato l'uomo e la donna, benedicendoli nella loro unione e capacità di dare la vita. Non è troppo azzardato collegare queste due storie, visto che i primi cristiani avevano la chiara coscienza che Gesù aveva inaugurato il tempo ultimo (che dunque richiama e compie il primo). Con la venuta di Gesù è giunto il tempo delle nozze, si celebra definitivamente l'alleanza di amore tra Dio e l'umanità, di cui l'alleanza tra uomo e donna è dall'inizio delle creazione frutto e segno (nella prima lettura Isaia celebra la rinascita di Gerusalemme con i toni festosi delle nozze tra Dio e la città, tra il creatore e le sue creature). Tutto il "vangelo", la buona notizia proclamata da Gesù, è contenuto in questo gesto inaugurale. Per questo Giovanni dice che in quell'occasione Gesù diede inizio ai segni e rivelò la sua gloria (la gloria di Gesù, che è la gloria di Dio, è rendere possibile la pienezza gioiosa della vita dell'uomo). Forse qualcuno, durante l'ascolto attento, avrà notato una cosa un po' strana. All'osservazione di Maria (non hanno più vino) Gesù dapprima prende le distanze dalla madre e poi sembra voler negare il suo aiuto. Maria, come se avesse inteso altro, invita servi ad obbedire a quello che Gesù ordinerà. Sembra quasi che Gesù abbia compiuto questo segno straordinario controvoglia, un po' forzato dalla madre. Guardando bene il quadro e tutta l'opera di Giovanni, non è certo questo il messaggio del primo segno. Gesù lo compie con tutta la sua volontà e coscienza. Tuttavia a Giovanni interessa far risuonare in questa prima pagina la frase di Gesù: "non è ancora giunta la mia ora" (che probabilmente dobbiamo intendere come una domanda del figlio alla madre, e a tutti noi lettori). L'effetto è di farci comprendere che quanto è avvenuto a Cana è solo l'inizio di qualcosa che non è ancora completo. Fin dalla prima pagina percepiamo che il racconto è incamminato verso un compimento, è attratto da una "conclusione". Questa conclusione è rappresentata dalla morte e risurrezione di Gesù. L'alleanza di Dio con l'umanità si compie con il dono totale della sua vita. Durante l'ultimo saluto ai suoi discepoli, quelli che videro la sua gloria e credettero a Cana, il vino della festa e il sangue della morte sono una cosa sola. Alla croce Gesù chiama di nuovo Maria con il titolo di "donna", che nel suo dolore riceve un nuovo figlio nel discepolo che Gesù amava. La gioia della vita, minacciata di fracassare a causa della morte, sarà piena al momento del nuovo incontro con il Risorto. Perché l'amore è più forte della morte. La seconda lettura si stacca un po' da questo filo meditativo, ma ci aiuta a riflettere e pregare secondo l'intenzione delle Chiese cristiane, che celebrano a partire da questa domenica, la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. San Paolo, a partire dalla sua esperienza di fede e dalla sua preoccupazione per l'annuncio del vangelo a tutti, ci ricorda che il cammino della comunione e dell'unità parte dalla Trinità e si sviluppa grazie all'azione dello Spirito, che suscita molteplici e diversi doni, che hanno la medesima origine e il medesimo obiettivo, quello di far crescere la comunità.