FRANCO MACCHI OLTRE IL CASO WELBY: DIRITTI NATURALI ED ETICA RELIGIOSA Sommario: 1. Le questioni etiche sensibili e il deficit di cultura per affrontarle - 2. La bioetica: una scienza del tutto nuova - 3. La Chiesa cattolica: conferma di soluzioni già date e preoccupazioni identitarie - 4. Laicità e laicismo. Radici teologiche di una confusione terminologica - 5. Le negative ricadute dell’Ecclesiologia cattolica sulla società civile - 6. Debolezza della pretesa della Chiesa cattolica di conoscere i fondamenti oggettivi dei diritti umani e dell’etica umana - 7. La libertà di coscienza e diversità delle concezioni etiche - 8. Grozio e Bonhoeffer: i fondamenti i una etica laica fondata su presupposti teologici cristiani -9. E’ possibile recuperare il ritardo culturale? 1. Le questioni etiche sensibili e il deficit di cultura per affrontarle. La malattia e la morte di Piergiorgio Welby hanno suscitato in Italia, e non solo, un forte coinvolgimento emotivo e sollevato vivaci dibattiti, non sempre sereni e razionalmente sorvegliati. Non ci si deve meravigliare, se si tiene conto del dramma del protagonista e delle questioni etiche, giuridiche e politiche che il caso impone all’attenzione di tutti. L’evento offre l’occasione per porre l’attenzione su uno degli aspetti apparentemente non collegati direttamente al tema dell’eutanasia, ma che costituiscono le condizioni che rendono ardua in Italia una soluzione condivisa non solo di questo problema, ma anche di tutti quelli connessi alla bioetica. Stefano Rodotà scriveva giustamente il 27 dicembre (2006) su Repubblica che, per affrontare adeguatamente i nodi sollevati dalla bioetica, “servirebbe una cultura adeguata, che non c’è”. Aggiungeva a questa affermazione delle considerazioni che sono di una incontestabile evidenza: in mancanza di strumenti aggiornati e capaci di illuminare nuove tematiche in prospettiva futura, non rimane che rifugiarsi nelle soluzioni già date, senza renderci conto che in realtà solo nominalmente i problemi etici che dobbiamo affrontare oggi sono esattamente quelli di ieri. In mancanza di una cultura aperta e coraggiosamente responsabile, non si fa che rafforzare le proprie identità ed ergersi a paladini e difensori dei valori su cui si fonda la nostra civiltà. Con questo intervento si intende approfondire le caratteristiche dogmatiche della Chiesa cattolica e i presupposti teologici, sui quali si fonda la sua etica e in base ai quali viene orientato e regolamentato il comportamento dei suoi membri. L’intento è 1 quello di aiutare a capire meglio la logica che determina anche nella vita civile e nel dibattito pubblico l’azione e la strategia di chi rappresenta anche nell’attività politica del nostro paese le istanze del mondo cattolico. Questo risultato sarà condotto anche in modo contrastivo, confrontando quella cattolica con altre etiche cristiane non cattoliche. Ciò aiuterà a capire meglio la specificità dell’etica cattolica. Avere una conoscenza migliore di una concezione antropologica, dovrebbe aiutare a rapportarsi in modo più consapevole, corretto e proficuo con essa. 2. La bioetica: una scienza del tutto nuova. In un articolo del 2002 Demetrio Neri, ordinario di bioetica all’Università di Messina e membro del Comitato Nazionale di Bioetica, così giudicava l’atteggiamento apparentemente forte dei difensori delle soluzioni tradizionali ai dilemmi in realtà nuovi posti dalla bioetica: “Può darsi, forse, che debba ritenersi fortunato chi, armato di incrollabili certezze, sa sempre qual è la soluzione giusta e quindi non ha bisogno di arricchirsi ascoltando le ragioni degli altri: gli è sufficiente una semplice opera di ingegneria morale. Forse fortunato, come dicevo: ma, a mio parere, a costui rimane irrimediabilmente opaca la complessità, l’eterogeneità e la ricchezza della vita morale concreta… Con questo metodo non sarebbe difficile sostenere che la bioetica è cominciata con Ippocrate e con Aristotele”1Nello stesso articolo Demetrio Neri ricordava che il problema si era imposto negli USA come assoluta novità con tutta evidenza già alla fine degli anni 60 del secolo scorso per impulso specialmente di istituzioni cattoliche, fra le quali la più importante è l’Joseph and Rose Kennedy Institute. “Nonc’è dubbio” scriveva D.Neri “ che il programma di ricerca impostato dal Kennedy Institute presentava alcuni elementi di novità, e forse anche di rottura, rispetto ai modi tradizionali di affrontare quelle tematiche e, come ricorda Warren Reich, il termine bioetica venne adottato appunto perché si prestava a rendere la novità di quel che stava nascendo, suggerendo cioè “una nuova ottica, un nuovo modo di mettere insieme varie discipline, finalizzato a creare un nuovo forum che tendeva a neutralizzare la connotazione ideologica che la gente associava al termine etica””.2 2 3. La Chiesa cattolica: conferma di soluzioni già date e preoccupazioni identitarie In Italia a distinguersi nella difesa ad oltranza di posizioni tradizionali e a soluzioni sostanzialmente già date è la Chiesa cattolica. Il mondo laico, d’altra parte, fatica ad elaborare soluzioni adeguate, in parte per opportunismo politico, in parte per arretratezza culturale, rispetto a quanto accade in altri paesi europei, come sottolineava Stefano Rodotà nell’articolo citato. Ciò è dovuto al fatto che anche la cultura laica, in Italia, è sempre stata sostanzialmente subalterna all’egemonia religiosa della Chiesa cattolica, la cui morale in particolare è stata per secoli l’unica veramente condivisa dalla quasi totalità della popolazione. Il fatto è che, come sosteneva l’antropologo Carlo Tullio Altan, l’Italia non ha avuto mai una vera e propria rivoluzione religiosa, etica e culturale3. Se affiora l’esigenza di affrontare pubblicamente un argomento di natura religiosa od etica chi non accetta le indicazioni della gerarchia cattolica sarà per definizione un laicista, anche se sarà un cattolico convinto, il quale si rende conto che in una convivenza civile occorre ricercare decisioni concordate e condivise. Purtroppo così pensano anche molti laici, timorosi di passare per nemici della Chiesa e quindi di essere tacciati di laicisti. 4. Laicità e laicismo. Radici teologiche di una confusione terminologica. La confusione che regna nell’attribuzione di queste due categorie concettuali, deriva sostanzialmente da un’ambiguità di fondo che caratterizza l’ecclesiologia cattolica. Certamente il Vaticano II ha evidenziato e messo in risalto il ruolo specifico dei laici, cioè dei fedeli cattolici che non sono inseriti nell’ordine dei chierici. Dal punto di vista strettamente teologico, tuttavia, non si va oltre ad un riconoscimento di natura funzionale e subordinato alla gerarchia ecclesiastica. Si possono leggere molte belle espressioni nei documenti conciliari, come questa: “ … Anche i laici, essendo partecipi dell’apostolato dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, nella missione di tutto il Popolo di Dio hanno il proprio compito nella Chiesa e nel mondo…” (Conc.Vat.II, Decreto sui Laici I,3), ma sul piano strettamente teologico e giuridico non si va oltre i pronunciamenti dogmatici dei Concili di Trento e del Vaticano I. Non a caso non esiste una definizione di “ laico” nei documenti del Vaticano II, ma solo delle 3 descrizioni: In linea di principio, infatti, nonostante l’impegno preso dai padri conciliari di adeguare le future norme giuridiche alle nuove prospettive pastorali, il codex Juris canonici emanato nel 1983 non va oltre questa definizione: “ Ex divina institutione, inter christifideles sunt Ecclesiae ministri sacri, qui in iure et clerici vocantur; ceteri autem et laici nuncupantur”( can.207 §1),cioè: “Per divina istituzione, vi sono nella Chiesa, tra i fedeli di Cristo, i ministri sacri che dal diritto sono anche chiamati chierici;tutti gli altri sono invece chiamati laici”. Come si vede, si tratta di una definizione via negationis. Da questa definizione in negativo di ciò che i laici sono, sarebbe meglio dire di ciò che non sono, discende tutta una serie di enormi conseguenze che riguardano i compiti del clero e quelli dei laici all’interno della Chiesa cattolica. Si potrebbero infatti fare numerosissime citazioni da importanti documenti conciliari e pontifici, dalle quali emerge che in fondo l’attività dei laici è sostanzialmente legata e limitata all’ambito del temporale e della società civile. Inoltre la loro è sempre vista poco più che un’azione di supplenza e, in ogni caso, sempre strettamente subordinata alle direttive della gerarchia ecclesiastica nelle sue varie articolazioni. Si legge nell’art.1 del Decreto del Vaticano II sui laici: “ Tale apostolato ( dei laici ) si è reso tanto più urgente in quanto l’autonomia di molti settori della vita umana, si è, come è giusto, assai accresciuta, ma talora ciò è avvenuto con un certo distacco dall’ordine etico e religioso e con grave pericolo della vita cristiana. Inoltre in molte regioni, in cui i sacerdoti sono assai pochi, oppure, come talvolta avviene, vengono privati della dovuta libertà di ministero, senza l’opera dei laici la Chiesa a stento potrebbe essere presente e operante…” Oltre a sviluppare una testimonianza di supplenza, afferma lo stesso documento all’art.4, i laici devono agire “…nella comunione con i fratelli in Cristo, soprattutto con i propri pastori, che hanno il compito di giudicare sulle loro genuinità e uso ordinato…”.Questo concetto è ripreso dall’art. 2442 del Catechismo della Chiesa cattolica nei seguenti termini: “ …L’azione sociale può implicare una pluralità di vie concrete, comunque , avrà sempre come fine il bene comune e sarà conforme al messaggio evangelico e, all’insegnamento della Chiesa”. Alla luce di questi testi, si potrebbe pensare che la divisione fra compiti dei chierici e quelli dei laici all’interno della Chiesa siano chiari, magari non condivisibili, ma definiti con nettezza. La realtà effettiva dimostra invece il contrario. Tutta l’impalcatura si regge, infatti, se diamo per scontato che esiste una sola istituzione che è titolare della verità, non solo religiosa, ma anche etica e sociale. Ciò che è all’esterno di 4 essa, come minimo, è imperfetto ed ha bisogno di ricevere la luce dalla Chiesa cattolica. L’impianto complessivo si regge, se si dà per scontato che anche all’interno della Chiesa cattolica chi è veramente depositario della verità è la gerarchia e, prima di tutto, il pontefice. Tutto va in crisi, però, appena si verifica una maggiore osmosi fra vita civile e vita ecclesiastica. Una volta riconosciuto almeno in parte che i laici hanno un ruolo specifico nella loro azione nell’ambito del profano, un po’ alla volta molte distinzioni vengono meno, i confini fra etica cattolica ed etica civile si fanno sempre più labili, fino a confondersi e in taluni casi a perdere ogni ragionevole separazione razionalmente comprensibile. E’ inevitabile che molti cattolici, soprattutto laici, non si riconoscano più nelle direttive della gerarchia, si trovino più a loro agio in altri modi di interpretare la realtà e quindi si trovino in rotta di collisione con la comunità religiosa di appartenenza. Secondo l’ecclesiologia cattolica, quando sono in gioco i principi fondamentali, non solo dogmatici, ma anche etici e socio-politici, i laici non godono più di autonomia e sono tenuti a seguire senza tentennamenti i giudizi, le definizioni e le direttive dell’autorità religiosa. L’art.2032 del catechismo della Dottrina Cattolica, per esempio, riprendendo un passo del documento del Vat.II Lumen gentium e il canone 747 del codex iuris canonici, recita: “ La Chiesa, “colonna e sostegno della verità”(Tm 3,5), “ha ricevuto dagli Apostoli il solenne comandamento di Cristo di annunziare la verità della salvezza”(LG,17. “E’ compito della Chiesa annunziare sempre e dovunque i principi morali anche circa l’ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigano i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime” Ecco perché quei cattolici, che sulle questioni etiche sensibili sono oggi su posizioni di apertura a nuove istanze e a soluzioni non gradite alla gerarchia cattolica, sono accusati di cedere alla mentalità laicista. Non solo non sono dei buoni cattolici, ma non sono neppure in sintonia con la sana laicità, che la Chiesa apprezza, ovviamente perché la sente in linea con le proprie posizioni teoriche e politiche. 5. Le negative ricadute dell’Ecclesiologia cattolica sulla società civile Basta allargare ora un po’ l’orizzonte alla società civile, per capire perché le categorie di buon laico e di cattivo laico ( laicista), di origine ecclesiologica, inquinino 5 anche il dibattito e la stessa azione di normale confronto nella società civile. Rileggiamo con attenzione la seconda parte art. 747 del codex iuris canonici “E’ compito della Chiesa annunziare sempre e dovunque i principi morali anche circa l’ordine sociale, e così pure pronunciare il giudizio su qualsiasi realtà umana, in quanto lo esigano i diritti fondamentali della persona umana o la salvezza delle anime”. Aggiungiamo il § 1 dell’articolo successivo,il 748, che recita: “Tutti gli uomini devono cercar la verità su ciò che riguarda Dio e la sua Chiesa e, conosciutala, hanno per legge divina, non solo l’obbligo, ma anche il diritto di seguirla ed osservarla”4. In questi due articoli la Chiesa cattolica non solo rivendica il diritto di indicare ai suoi membri le verità che devono credere, di impartire loro i codici di comportamento morale e le linee da tenere nella loro vita civile. Essa manifesta anche la convinzione di possedere la conoscenza dei principi etici universali e assoluti della natura umana e quindi di quelli che, dall’Illuminismo in poi, sono definiti i diritti universali dell’uomo. E’ questo un tasto su cui ritorna con insistenza e determinazione di continuo Benedetto XVI. Nei suoi interventi l’attuale pontefice afferma quasi ossessivamente che la Chiesa proclama dei diritti etici fondamentali e validi universalmente per tutti gli uomini e per la loro dignità. E poiché questi non sono che quelli iscritti nella natura dell’uomo, essi, nella forma proclamata dalla Chiesa, hanno una validità che la ragione umana non può fare a meno di riconoscere 5. La rivendicazione della Chiesa, e in modo particolare di Benedetto XVI, della conoscenza oggettiva e assoluta dei principi etici in quanto inscritti nella natura umana dal Creatore vale naturalmente per tutte le questioni relative all’etica sessuale, alla concezione della famiglia, a tutti i temi che riguardano la vita e la morte, dal controllo delle nascite, all’eutanasia, alle ricerche bioetiche di frontiera, come quelle sulle staminali. Come si vede, tutto questo corpus di principi, se si tiene conto del modo con cui teologicamente la Chiesa cattolica concepisce il suo rapporto con la realtà mondana e in particolare con la civiltà occidentale, ritenuta troppo secolarizzata, come risulta dall’esame dei testi sopra messo a fuoco, sono più di carattere difensivo, che di natura dialogica e collaborativa, tanto più che questi valori sono definiti di frequente non negoziabili. Chi non accetta le indicazioni della Chiesa sono relativisti, soggettivisti e pericolosi laicisti 6 6. Debolezza della pretesa della Chiesa cattolica di conoscere i fondamenti oggettivi dei diritti umani e dell’etica umana La Chiesa cattolica afferma che i principi dell’etica e i diritti umani sono oggettivi e fondati su un fondamento immutabile, altrimenti si cadrebbe nel relativismo e nel soggettivismo etico. Rivendica inoltre il diritto di interpretarli autenticamente e di indicarli a tutta l’umanità in quanto inscritti nella natura umana da Dio stesso e questo ambito di verità è affidato alla custodia del magistero cattolico. Il paragrafo 2036 del Catechismo della Chiesa cattolica, facendo riferimento diretto all’art.14 del decreto del Vat.II Dignitatis humanae, così si esprime: “ L’autorità del Magistero si estende anche ai precetti specifici della legge naturale, perché la loro osservanza, chiesta dal Creatore, è necessaria alla salvezza. Richiamando le prescrizioni della legge naturale, il Magistero della Chiesa esercita una parte essenziale della sua funzione profetica di annunziare agli uomini ciò che essi sono in verità e di ricordare loro ciò che devono essere davanti a Dio” Questa pretesa, che è diventata un leit-motiv di Benedetto XVI, potrebbe rivelarsi un boomerang per la Chiesa cattolica. Ecco schematicamente alcune osservazioni critiche. 1.Sul piano strettamente teorico si tratta di una vera contraddizione. Molti principi etici definiti dalla Chiesa possono e spesso hanno certamente dei contenuti razionalmente positivi e condivisibili. Che però la loro validità sia oggettiva e ipso facto razionale in quanto fondati su una fede, è una contraddizione in termini. 2. Sul piano storico è insostenibile. Limitiamoci a fare alcune considerazioni sul principio della sacralità della vita, di cui, secondo l’insegnamento della Chiesa cattolica, può disporre solo Dio. Come conciliare questo principio, che dovrebbe essere stato sempre conosciuto e difeso, con secoli di storia in cui la Chiesa cattolica ha sostenuto la legittimità della tortura e della pena di morte, con secoli in cui ha legittimato e inflitto queste pene per motivi religiosi e politici? Inoltre è assodato che in Europa i diritti universali dell’uomo, fra i quali il diritto ad un processo con garanzie giuridiche, senza il ricorso alla tortura e la condanna assoluta della pena di morte, siano stati elaborati, diffusi e sostenuti dagli illuministi, che fondavano le loro convinzioni solo sulla forza della ragione. Purtroppo, la legislazione dello stato pontificio fu fra le più refrattarie a recepire questi valori e ad 7 applicare questi principi6. Si dirà che occorre storicizzare. E’ un’osservazione metodologicamente giusta. Ma, se si invoca questo principio, si legittima proprio quel relativismo e quel soggettivismo, che vengono continuamente condannati senza appello. 3. Ammesso che il cristianesimo sia l’unica religione rivelata che possiede la conoscenza del fondamento oggettivo dei diritti umani e dei principi etici, non sfugge a nessuno la difficoltà di sostenere questa asserzione con l’esistenza nel corso dei due millenni dell’era cristiana di numerosi cristianesimi, di numerose concezioni teologiche ed ecclesiologiche, e, conseguentemente, di numerose concezioni etiche cristiane. 7. La libertà di coscienza e diversità delle concezioni etiche. L’Europa attuale affonda le sue radici certamente anche nella tradizione cristiana, ma non solo in quella cattolica. l’Europa moderna è nata segnata profondamente dalla Riforma, che nel sec. XVI lacerò e divise la cristianità occidentale proprio su questi temi: autorità nell’interpretazione della rivelazione cristiana, rapporti fra clero e laici, fra comunità cristiana e potere politico; etica dei consigli evangelici ed etica umana come ricerca razionale del bene; natura umana del potere politico, del diritto, dell’etica. Per un non credente, ma anche per un credente, sorge ineludibile una domanda: quale dogmatica cristiana garantisce la validità oggettiva del fondamento dei diritti umani e dei principi etici? Non si tratta solo di un’obbiezione teorica, pur forte, ma anche di una constatazione di natura culturale, sociale e politica: nei paesi europei nei quali la Chiesa cattolica non è stata egemone dal ‘500 ad oggi le questioni etiche sensibili sono affrontate con più libertà, con maggiore attenzione e con importanti regolamentazioni giuridiche. Uno dei motivi che hanno determinato questa situazione è dato da un diverso concetto di libertà di coscienza. La modernità è, infatti, certamente contraddistinta dall’acquisizione del riconoscimento che a base del diritto, della dignità e dell’etica dell’uomo c’è il riconoscimento della libertà della coscienza. Ma proprio a partire dal secolo XVI la concezione di questo principio si è sviluppata con modalità molto diverse nelle culture segnate dall’influenza dall’egemonia cattolica e in quelle in cui è stata prevalente l’influenza del protestantesimo o in cui si è affermato vigorosamente il razionalismo e l’illuminismo. Il punto di non ritorno è stato l’atto rivoluzionario con 8 cui Lutero nel 1521 rivendicò a Worms l’autonomia di giudizio di fronte a Carlo V e ai rappresentanti del papa, anche a costo della propria vita: “ A meno di non essere convinto con le Scritture e con chiari ragionamenti( poiché non accetto l’autorità dei papi e Concili che si sono contraddetti l’un l’altro) la mia coscienza è vincolata alla parola di Dio. Non posso e non voglio ritrattare nulla perché non è giusto né salutare andare contro coscienza. Dio mi aiuti. Amen”. Questo proclama negò la legittimità della Chiesa cattolica di subordinare il giudizio e quindi la condotta del cristiano alle sue indicazioni. La dichiarazione di Lutero affermava queste prerogative fondamentali della coscienza. La coscienza a) deve essere salda nelle sue convinzioni, ma anche consapevole che può errare e quindi disponibile a cambiare atteggiamento; b) non dovrà arrendersi ad una verità diversa da quella che crede sia vera, se chi gliela propone fonda la sua pretesa solo su un principio di autorità; c) l’unica autorità che riconosce è quella dei testi biblici, che però debbono essere presentati con argomentazioni logiche e razionali, oggi diremmo scientifiche. In caso contrario “non è giusto né salutare andare contro coscienza”. Questo principio ha poi dovuto percorrere una via accidentata, spesso contraddittoria, con fughe in avanti e preoccupanti ripiegamenti, ma alla lunga ha favorito lo sviluppo del riconoscimento della coscienza come istanza ultima dell’azione umana e quindi dell’etica. Naturalmente questo principio si è sempre più secolarizzato, fino a diventare un punto fermo della concezione razionale e illuministica dell’individuo e del diritto civile. 8. Grozio e Bonhoeffer: i fondamenti i una etica laica fondata su presupposti teologici cristiani. E’ fondamentale ricordare che già nel 1625 nel trattato De Jure belli ac pacis un riformato arminiano olandese, Ugo Grozio, teologo, giurista, politico, identificava ciò che è naturale con ciò che è razionale, “identità fondata sul presupposto che la ragione è la natura stessa dell’uomo… Si trattava di una vera e propria liberazione del concetto di ragione da ogni implicazione teologica”7. Fu proprio lui a coniare la famosa frase, 9 che molti attribuiscono erroneamente a Dietrich Bohnoefffer, che le norme della ragione sarebbero valide etsi Deus non daretur, anche se Dio non esistesse. Non è il caso di percorrere tutto il processo di elaborazione posteriore a Grozio. E’però importante e sufficiente soffermarci proprio sull’ altro teologo del secolo scorso appena ricordato, Dietrich Bonhoeffer, il quale finì la sua vita nel 1945 impiccato nel carcere di Floessemburg perché aveva partecipato al fallito attentato contro Hitler. Da teologo puro, mano a mano che si calava nella realtà politica del suo tempo e prendeva atto che occorreva prendersi delle responsabilità fino a giungere alla decisione di partecipare ad un complotto e all’uccisione di un uomo, si rendeva conto che i principi assoluti non valevano nulla. Nella sua Etica, rimasta incompiuta, Bonhoeffer sostiene che i principi assoluti non servono, l’agire responsabile consiste invece nell’azione morale attraverso cui l’uomo cerca di risolvere problemi terreni e contingenti. Di fronte a situazioni eccezionali e che si presentano con connotati di novità, occorre rispondere prendendo l’iniziativa, assumendo anche il rischio di sbagliare. Bonhoeffer negava che si potesse conoscere il fondamento dell’agire morale con argomenti di natura essenzialmente teologica. Se Dio è l’assolutamente Altro, non è concettualmente attingibile e quindi è impossibile fondare sulla fede e sulla conoscenza della rivelazione i fondamenti razionali dell’etica, che affondano le loro radici invece nella natura dell’uomo, nella sua dimensione dialogica e nella sua capacità di rispondere ( cioè di agire con responsabilità) alle richieste che gli sono rivolte dall’altro che gli sta di fronte, senza garanzie assolute che le sue scelte siano del tutto giuste ed adeguate. E’ in questo contesto che Bonhoeffer riutilizza il concetto di Grozio, dicendo che occorre agire da uomini, con piena responsabilità etsi Deus non daretur, come se Dio non esistesse. Scrive Bohnoeffer nel capitolo Storia e bene della sua Etica: “ Non ha un atteggiamento conforme alla realtà colui che vede il mondo come bene e come male in sé o come un principio composto di bene e di male, e si regola di conseguenza;l’ha invece colui che, vivendo e operando con una responsabilità limitata, permette che il mondo gli riveli la propria essenza in ogni nuova situazione…Non si tratta di applicare un qualsiasi altissimo principio, perciò è necessario osservare, soppesare, valutare e decidere, sempre entro i limiti della conoscenza umana”8. Non si scambi questa posizione con un atteggiamento grezzamente positivistico. L’atto morale infatti è per Bonhoeffer sempre una risposta all’altro e al mondo che ci interpellano. Pretendere di conoscere il fondamento ultima della realtà e del principio assoluto che la governa sarebbe legiferino 10 e dannoso, poiché la loro natura si perde nell’irraggiungibile origine divina delle cose e della storia. Poche pagine precedenti Bonhoeffer aveva precisato: “ L’uomo responsabile si rivolge al suo prossimo così come esso è, tenendo conto delle sue possibilità effettive. La sua condotta non è predeterminata una volta per tutte in via di principio, ma si concreta nella situazione data. Egli non dispone di un principio valido in assoluto di cui debba perseguire fanaticamente l’applicazione nonostante la resistenza della realtà, ma vede in ogni singola situazione che cosa è necessario, che cosa “ si impone” che egli comprenda e faccia”9. Come si vede Bonhoeffer teorizza la natura del tutto laica dell’agire umano e questa tesi non è frutto di un ragionamento ateistico. Essa ha un fondamento teologico e questo fondamento nella situazione concreta non porta il cristiano ad agire in condizioni eticamente diverse da quelle di qualsiasi altro uomo, indipendentemente dal fatto che sia un credente o no. Su queste basi è certamente possibile una ricerca e un’azione comuni di credenti e non credenti. Molto più difficile è collaborare in questa ricerca con il moralista cattolico, se vuole rimanere entro i limiti stabiliti dal magistero della sua Chiesa. Basta leggere quanto afferma il Catechismo della Chiesa cattolica al paragrafo 1785: “…Nella formazione della coscienza…Siamo sorretti dai doni dello Spirito Santo, aiutati dalla testimonianza o dai consigli altrui, e guidati dall’insegnamento certo della Chiesa “ e quanto aggiunge il paragrafo 1788: “ All’origine delle deviazioni del giudizio nella condotta morale possono esserci la non conoscenza di Cristo e del suo Vangelo, i cattivi esempi dati dagli altri, la schiavitù delle passioni, la pretesa ad una malintesa autonomia della coscienza, il rifiuto dell’autorità della Chiesa e del suo insegnamento, la mancanza di conversione e carità” 9. E’ possibile recuperare il ritardo culturale? Stefano Rodotà invitava a colmare il deficit culturale che rende difficile in Italia affrontare responsabilmente e serenamente i temi etici sensibili. Un primo passo consiste nel recuperare un clima di collaborazione, in cui tutte le realtà e le sensibilità, religiose e laiche, si mettano a confronto, instaurando un dialogo fondato sulla convinzione delle proprie idee, certamente, ma anche sulla consapevolezza che le 11 proprie non sono assolute e che si deve rispettare e tener conto di chi ha altre concezioni filosofiche ed etiche. In fondo occorre acquisire la coscienza della novità dei temi che si debbono affrontare e della nuova metodologia necessaria per rispondere a questa esigenza, di cui parlava Demetrio Negri nell’articolo citato sopra. Il dibattito si deve arricchire aprendo le finestre del nostro fortino, per allargare lo sguardo su quanto succede fuori dell’Italia. Non per curiosità o per semplice volontà di imitazione dei modelli altrui, ma per renderci conto, per esempio, di quanto la tradizione culturale e religiosa europea, sia più articolata e ricca di quella di casa nostra. Gli intellettuali e gli stessi uomini politici si devono pertanto scrollare di dosso quella ormai inveterata convinzione che solo la Chiesa cattolica rappresenti il cristianesimo, che solo la sua ecclesiologia e la sua etica siano quelle conformi ai valori evangelici. E’ necessario che acquistino una reale indipendenza di giudizio, una vera autonomia di elaborazione, aperti al contributo e alle ragioni di tutti i cittadini. E’ indispensabile che temi come questi siano affrontati pubblicamente, senza rete e senza calcoli di natura politica, che ingessano per strategie di partito e per calcoli elettoralistici la libera espressione del reale sentimento dei cittadini, che su questi temi hanno diverse posizioni in modo trasversale agli schieramenti politici stessi. Si tratta di auspici, forse troppo astratti e impotenti. Ma il divario culturale si può colmare specialmente con i mezzi e i metodi tipici della cultura stessa, che cresce con l’informazione, con la conoscenza, col dibattito e col confronto costruttivo. 1 Demetrio Neri, La novità culturale della bioetica, in Protestantesimo, n.1,2002, pp.45. Molto interessante e puntuale, tutto l’articolo mette in evidenza la novità della bioetica, che richiede anche un metodo nuovo, libero da ipoteche ideologiche e interdisciplinare, per poterlo affrontare adeguatamente 2 ivi…,pp.5-6 3 Carlo Tullio Altan in un’intervista concessa nel 1997 all’Enciclpedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, dopo aver illustrato i motivi storici per cui l’Italia si è trovata molto arretrata rispetto all’Europa del Centro-Nord dal punto di vista della vita civile, democratica ed istituzionale, afferma: “ Ma in un punto siamo particolarmente carenti: quello del nostro ethos, e cioè sul terreno dei valori morali e civili della convivenza e della corresponsabilità alle sorti comuni che dovrebbero unirci nella comunità nazionale. Il nostro maggior difetto, come coscienza nazionale democratica sta proprio qui e continua a pesare negativamente sulle sorti del Paese anche dopo la sua unificazione politica”. Dello stesso autore confronta anche: La nostra Italia Feltrinelli 1986, ora Egea 2000); Ivalori difficili,Feltrinelli 1986, Populismo e trasformismo,Feltrinelli1989; La coscienza civile degli italiani. Valori e disvalori nella storia nazionale. Gaspari, Udine 1997 4 Numerosi sono i paragrafi che confermano questa impostazione dogmatica del ruolo dei laici che operano nella società. E’ sufficiente riportare il paragrafo 912: “ I fedeli devono “distinguere accuratamente tra i diritti e i doveri, che loro incombono in quanto sono aggregati alla Chiesa, e quelli che loro competono in quanto membri della società umana. Cerchino di metterli in armonia, ricordandosi che in ogni cosa temporale devono essere guidati dalla coscienza cristiana, poiché nessuna attività umana, neanche in materia temporale, può essere sottratta al dominio di Dio” 12 5 Si legga , per esempio, il messaggio per la celebrazione della giornata per la pace del 1 dicembre 2007. Di seguito si riporta il paragrafo 12, nel quale si accusa di debolezza teorica coloro che fondano la necessità di un processo di acquisizione razionale dei diritti universali, cioè di chiunque creda di non possedere la verità completa e assoluta ance su questa questione. Questo atteggiamento è tacciato sbrigativamente come relativismo: “Una pace vera e stabile presuppone il rispetto dei diritti dell'uomo. Se però questi diritti si fondano su una concezione debole della persona, come non ne risulteranno anch'essi indeboliti? Si rende qui evidente la profonda insufficienza di una concezione relativistica della persona, quando si tratta di giustificarne e difenderne i diritti. L'aporia in tal caso è palese: i diritti vengono proposti come assoluti, ma il fondamento che per essi si adduce è solo relativo. C'è da meravigliarsi se, di fronte alle esigenze “scomode” poste dall'uno o dall'altro diritto, possa insorgere qualcuno a contestarlo o a deciderne l'accantonamento? Solo se radicati in oggettive istanze della natura donata all'uomo dal Creatore, i diritti a lui attribuiti possono essere affermati senza timore di smentita. Va da sé, peraltro, che i diritti dell'uomo implicano a suo carico dei doveri. Bene sentenziava, al riguardo, il mahatma Gandhi: « Il Gange dei diritti discende dall'Himalaia dei doveri ». È solo facendo chiarezza su questi presupposti di fondo che i diritti umani, oggi sottoposti a continui attacchi, possono essere adeguatamente difesi. Senza tale chiarezza, si finisce per utilizzare la stessa espressione, ‘diritti umani’ appunto, sottintendendo soggetti assai diversi fra loro: per alcuni, la persona umana contraddistinta da dignità permanente e da diritti validi sempre, dovunque e per chiunque; per altri, una persona dalla dignità cangiante e dai diritti sempre negoziabili: nei contenuti, nel tempo e nello spazio. Solo la Chiesa, dirà Benedetto XVI nell’ultimo paragrafo del documento, possiede la concezione di un umanesimo integrale. A questo proposito scrive il filosofo cattolico Giuseppe Goisis: “ Ci sono molti passi, nell’insegnamento della Chiesa, fino a Pio IX, che non solo mettono in guardia rispetto alla tematica dei diritti dell’uomo, ma esercitano anche delle critiche significative nei confronti di essa; non si tratta di tesi molto remote nel tempo, ed una certa diffidenza, in alcuni ambiti cattolici, è ancora presente…un terzo aspetto di tipo sociologico che rappresenta un forte freno fino a Pio IX: l’idea che i diritti dell’uomo fossero radice di anarchia sociale”.cfr. Giuseppe Goisis, Eiréne. Lo spirito europeo e le sorgenti della pace. Il Segno dei Gabrielli Editore, San Pietro in Cariano (VR),2000, pp.90-91 7 N.Abbagnano, Storia della filosofia, vol II, p.51 Utet, Torino 1969 8 Dietrich Bonhoeffer, Etica, Bompiani, Mi 1969,p.196 9 ivi…,p.192 6 13