Ciclo di incontri
“Il Futuro
dell'apprendimento”
La Scimmia che
Impara e Insegna
Tecnologie per l'apprendimento
I sistemi educativi
Imparare nel futuro
Il Futuro dell'apprendimento
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Gran parte del vantaggio competitivo che hanno gli animali cosiddetti superiori nell’adattarsi all’ambiente circostante dipende da una
capacità che si è andata evolvendo nel tempo: la capacità di apprendere. Intendiamoci: qualunque specie esistente oggi esiste in quanto
è stata capace di apprendere come sfruttare le risorse essenziali alla
sua vita. Spesso questo apprendimento è stato il frutto casuale di
variazioni genetiche che hanno portato alcune varianti ad essere più
adatte all’ambiente circostante di altre e quindi hanno prevalso.
Vediamo questo tipo di capacità di apprendere tramite selezione genetica ogni giorno negli ospedali e nei laboratori di ricerca in cui vi è una
continua rincorsa da un lato a trovare antibiotici efficaci e dall’altro (da
parte dei batteri) a sopravvivere agli antibiotici cui vengono esposti. E
questa rincorsa non avrà fine perché i batteri “imparano” in modo
Figura 1 - Colonie di batteri
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estremamente efficace, anche se lo fanno tramite un processo evolutivo che nel loro mondo risponde bene alle variazioni ambientali perché i cicli di riproduzione si misurano in minuti.
Negli animali superiori, oltre ad una capacità innata di interagire in
modo appropriato con il mondo, è presente, in vari gradi, anche la
capacità di variare le reazioni agli stimoli ricevuti sulla base di un processo di apprendimento. Questa “variabilità” richiede una capacità di
elaborare il segnale ricevuto e di porlo in relazione con segnali precedenti e con il risultato che le azioni conseguenti a questi hanno ottenuto. Il meccanismo di comprensione dell’esistenza di un legame di
causa ed effetto è il primo elemento fondamentale per sviluppare una
flessibilità di reazione. Quanto più si è in grado di rapportare effetti a
cause (quanto più si ha memoria di ciò che è accaduto e dei legami tra
ciò che è accaduto) tanto maggiore sarà la variabilità possibile nelle
risposte.
La specie umana è tra tutte le specie oggi esistenti quella in grado
di offrire una maggiore variabilità di reazioni. A livello del singolo queFigura 2 - Causa, effetto, previsione, apprendimento
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sto non necessariamente costituisce un vantaggio (errare è umano...)
ma a livello complessivo si viene a generare una esperienza molto
variegata che può essere passata agli altri componenti della specie,
“insegnata”, aumentando quindi le capacità di reazione e migliorando
complessivamente la capacità di adattamento della razza umana
all’ambiente circostante. Questo processo complessivo, come vedremo anche a livello individuale, non è di pura crescita ma comporta
anche il “disimparare” molte cose. Oggi la maggior parte delle persone non saprebbe sopravvivere in una giungla, la comunità ha disimparato quanto servirebbe in quell’ambiente, ma visto che se si va nella
giungla lo si fa con un tour operator che assicura spesso “nouvelle
cousine” e letti soffici con zanzariere e aria condizionata il problema
non si pone.
Questo ciclo di incontri ha l’obiettivo di esplorare questi diversi elementi collegati all’apprendimento come singoli e come società, prima
esplorando il punto centrale dell’apprendimento, il nostro cervello,
quindi le tecnologie in divenire che potrebbero migliorare i processi di
apprendimento e le conoscenze sia a livello dell’individuo che della
comunità. Nel terzo incontro proveremo ad esplorare i sistemi di
apprendimento oggi in uso per poi affrontare nell’ultimo incontro il possibile futuro dell’apprendimento. In una società che diventa non solo
più complessa ma anche in continua sensibile mutazione l’apprendimento diventa un fattore necessario per tutta la durata della vita di un
individuo. L’ignorante non sarà più chi non ha imparato ma chi smette
di imparare.
Come si impara?
“Nessuno nasce imparato”. A parte per alcune reazioni innate,
come succhiare il capezzolo, effettivamente le cose che sappiamo e
tramite cui sviluppiamo ragionamenti più o meno inconsci dobbiamo
impararle man mano, spesso con fatica e applicazione costante.
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Fortunatamente abbiamo un organo che è fatto apposta per imparare: il nostro cervello! Vale quindi la pena partire proprio da lui per cercare di capire quali sono i meccanismi che rendono possibile l’apprendimento e anche quelli che permettono di sfruttare le cose che
abbiamo imparato.
Nel fare questo facciamo riferimento a scoperte recentissime, degli
ultimi dieci – venti anni, talmente recenti che molti di noi, avendo imparato sui libri di scuola di qualche tempo fa, hanno una idea non corretta di come stanno le cose. Inoltre, queste scoperte ci mettono nella
situazione che potrebbe aver vissuto chi, sulla spiaggia di Kitty Hawk
nel 1901, vide il primo volo dei fratelli Wright: certo era ovvio a quel
punto che diventava possibile volare ma chi avrebbe potuto prevedere che cento anni dopo una semplice eruzione, come ce ne sono tante
in giro, avrebbe potuto mettere in crisi l’economia di diverse nazioni e
scombussolare la vita di milioni di persone perché per sei giorni sarebbe stato impossibile volare in una piccola parte del mondo?
Difficile, anzi impossibile, dire come cambierà l’apprendimento a
seguito delle nuove conoscenze che si stanno formando in questi anni
su come funziona il cervello e come questo impara.
Figura 3 - fMRI, Risonanza
Magnetica funzionale
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Queste conoscenze sono rese possibili da esami come la fMRI,
Risonanza Magnetica funzionale, in grado di rilevare quali sono le parti
del cervello che si attivano a fronte di certi stimoli e prima che si attuino certe azioni. Questi esami stanno diventando sempre più accurati
consentendo di “vedere” reti di neuroni con sempre maggior precisione.
Il Cervello, questo sconosciuto
Anche prima della fMRI i medici erano riusciti a capire a grandi
linee che il cervello era formato da varie zone, ciascuna preposta alla
analisi di informazioni provenienti dai nostri sensi o alla attivazione di
certi muscoli. Questa conoscenza derivava da eventi traumatici o patologici che colpivano specifiche zone del cervello e a cui corrispondeva
uno specifico deficit (incapacità di muovere un arto, la perdita della
capacità di leggere o di parlare...).
Sulla base di queste osservazioni si era andata componendo una
mappa del cervello.
Figura 4 - Mappa funzionale
del cervello
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Le conoscenze successive, ottenute con la fMRI hanno permesso
di precisare gli effettivi contorni di queste zone, di scoprirne altre e
soprattutto hanno evidenziato come il cervello sia un sistema estremamente connesso, basti pensare che si stima che l’insieme delle
connessioni tra i 100 miliardi di neuroni presenti avvenga tramite una
rete di “fili” la cui lunghezza supera il milione e mezzo di chilometri, per
cui solo a livello macroscopico è possibile dire che una certa zona si
occupa, ad esempio, del linguaggio parlato. Inoltre, l’esame di molti
“cervelli” ha fatto capire che in alcuni casi queste zone non coincidono
tra diversi individui (anche se macroscopicamente si può dire che i
nostri cervelli sono uguali).
Macroscopicamente, quindi, possiamo identificare un lobo occipitale (due in effetti, visto che abbiamo due emisferi cerebrali) nella parte
posteriore della testa, che si fa carico della visione, i lobi temporali, che
troviamo in corrispondenza delle orecchie e che sono responsabili per
l’udito, la memoria e il linguaggio. Per la lettura è essenziale che funzioni la connessione tra l’area visiva e i lobi temporali. I lobi frontali
sono collocati dietro la nostra fronte e sono responsabili per attività di
soluzione di problemi, di creatività, di analisi e pianificazione. I lobi
frontali contengono anche la memoria di breve termine (vedremo successivamente cosa sia) e permettono di gestire in contemporanea due
pensieri. I lobi parietali si trovano nella parte alta e posteriore della
testa e sono deputati alla analisi del linguaggio e alla elaborazione del
significato delle sensazioni che il cervello riceve. All’estremità occipitale si trova il cervelletto, l’area deputata al coordinamento preciso dei
muscoli, un’area che contiene circa il 50% dei neuroni.
All’interno del cervello si identificano altre zone, strutture, quali l’ipotalamo, il talamo, l’ippocampo, i gangli basali, l’area striata e l’amigdala. Vedremo man mano il loro ruolo. Questa zona è spesso indicata
come sistema limbico ed è una specie di laboratorio chimico da cui
dipendono le nostre emozioni, il sonno, l’attrazione sessuale, i sistemi
di regolazione come temperatura, battito del cuore e respiro, il senso
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dell’olfatto. Come vedremo le emozioni non sono proprio residenti in
questa parte anche se da questa parte originano i meccanismi che
portano alla percezione delle emozioni.
Complessivamente il cervello è costituito per il 78% da acqua, per
il 10% da grassi e per l’8% da proteine. Ma se vogliamo capire come
funziona occorre guardare per prima cosa ai suoi componenti elementari, le cellule.
Il funzionamento del cervello:
la comunicazione tra le sue parti
Si conosce oggi abbastanza bene il funzionamento del neurone
(mentre non è ancora del tutto chiaro il funzionamento delle cellule
gliali). Ogni neurone ha un assone attraverso cui, quando entra in uno
stato di eccitazione, passa un segnale di tipo elettrico. Inoltre ha
migliaia di dendridi che raccolgono stimolazioni da assoni di altri neuroni e a seconda dei casi contribuiscono o bloccano l’eccitazione del
neurone. Ogni singolo neurone risulta quindi collegato a decine di
migliaia di altri neuroni. È dal complesso mix di segnali di eccitazione
e di blocco in arrivo che il neurone si porta in uno stato di eccitazione.
La comunicazione tra i neuroni avviene tramite i punti di contatto
che si formano tra l’assone di un neurone e i dendridi di altri neuroni.
La comunicazione tra neuroni è condizionata anche dalle cellule
gliali (il meccanismo non è ancora chiarissimo) e dalla presenza di
sostanze chimiche prodotte dal cervello, neurotrasmettitori come la
serotonina, la dopamina e l’acetilcolina e neuromodulatori costituiti da
ormoni come il cortisolo e l’adrenalina, e trasportate dal flusso sanguigno. Inoltre alla comunicazione contribuiscono anche molecole particolari (peptidi) che sono trasportate dal sistema immunitario.
In pratica quello che succede in una zona del cervello diventa
immediatamente noto anche in tutte le altre. Si comprende quindi l’importanza di sistemi che blocchino l’eccitazione dei neuroni a fronte di
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Figura 5 - Meccanismi di comunicazione all’interno del cervello
attività in una certa zona: se così non fosse un qualunque stimolo provocherebbe il coinvolgimento di tutto il cervello. È quanto accade in
alcune patologie come l’epilessia in cui l’eccitazione in certe aree si diffonde senza alcun controllo a molte altre.
La comunicazione, quindi, deve essere tale da consentire a ciascuna rete di neuroni di avere una sua specificità. Ed è questa specificità che abbiamo evidenziato fornendo una mappa funzionale macroscopica delle diverse parti del cervello.
Gli emisferi cerebrali
Il cervello è composto da due emisferi, che sono collegati dal corpo
calloso. Questo è composto da un insieme formato da circa 250 milioni di fibre nervose che portano le segnalazioni tra un emisfero cerebrale e l’altro.
A partire dal novecento alcuni neuropsichiatri per controllare episodi epilettici hanno proposto, ed eseguito, la separazione dei due emi-
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sferi andando a sezionare le fibre del corpo calloso. Questo interrompe la propagazione dell’eccitazione da un emisfero all’altro diminuendo quindi l’impatto di un attacco epilettico. Questa separazione comporta che un emisfero non sappia più cosa succede nell’altro ed ha
portato alla luce alcune differenze tra loro.
Se, ad esempio, ad una persona cui sia stato sezionato il corpo calloso viene mostrata una mela nel campo destro visivo (che viene
“visto” dall’emisfero sinistro) la persona identificherà correttamente la
mela, saprà cioè che è un frutto buono da mangiare e che ha un certo
gusto ma non sarà in grado di pronunciarne il nome in quanto l’area
del parlato è situata (generalmente) nell’emisfero destro. Per contro se
a quella stessa persona viene posta la mela nel campo visivo sinistro
(visto dall’emisfero destro), questa correttamente pronuncierà la parola “mela” ma non sarà in grado di spiegare cosa sia in quanto la parte
deputata alla comprensione si trova nell’emisfero sinistro (in genere)
che non è al corrente di quanto visto dall’emisfero destro essendosi
interrotte le comunicazioni tra l’uno e l’altro.
Figura 6 - I due emisferi cerebrali
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Queste osservazioni portarono ad una interpretazione dei due emisferi cerebrali che associava all’uno le capacità analitiche mentre all’altro quelle sintetiche, ad uno la logica all’altro la creatività. In realtà con
le scoperte più recenti queste distinzioni si sono dimostrate in parte
errate. È stato, invece, confermato che l’emisfero destro viene attivato
quando sono presenti emozioni negative mentre quello sinistro è attivato in presenza di emozioni positive. Persone che abbiano attivazioni più frequenti dell’emisfero sinistro tendono ad essere più felici di
quelle che hanno una dominanza dell’emisfero destro.
In pratica, ciascuno di noi utilizza entrambi gli emisferi per cui non
è praticabile un approccio all’apprendimento che punti maggiormente
sulla attivazione dell’uno rispetto all’altro.
Come impara il cervello
Il cervello, abbiamo visto, è fatto da neuroni collegati tra loro. La
risposta agli stimoli dipende da come questi sono recepiti a livello dei
neuroni e quali attivazioni di neuroni conseguono allo stimolo.
Abbiamo visto come un neurone quando viene stimolato oltre un certo
livello trasmetta un impulso elettrico lungo l’assone e come questo
impulso provochi il rilascio di molecole che a seconda dei casi hanno
una funzione di stimolo o di depressione del segnale sinaptico (tra l’assone e i dendridi). Quando una sinapsi viene sollecitata in modo ripetitivo si formano dei ponti tra la terminazione dell’assone e i dendridi
che sono nella zona. Questi ponti sono costituiti da proteine e quando
sono realizzati provocano un contatto forte tra assone e quei dendridi
creando una specie di comunicazione preferenziale.
La creazione di questi ponti e la conseguente connessione stabile
tra quel neurone e certi altri neuroni (cui afferiscono quei dendridi)
costituisce l’apprendimento a livello neuronale. In assenza di questi
“ponti” i dendridi si allontanerebbero dall’assone interrompendo la connessione tra i neuroni (ricordiamo che il cervello è un organo semi
liquido in cui molte sue parti hanno la consistenza dello yogurt).
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Figura 7 - I ponti proteici sulla sinapsi tra assone e dendridi
Quello che succede è che l’attivazione di quel neurone comporta in
modo quasi istantaneo l’attivazione di tutta la rete cui questo è collegato (si ricordi sempre che con attivazione si intende sia il portare in
stato di eccitazione – con conseguente emissione di segnale elettrico
lungo l’assone- sia portare in stato di inibizione – con conseguente
blocco di emissione di segnale elettrico). I nostri ricordi, ma anche la
capacità di andare in bicicletta, sono il risultato dello stabilirsi di milioni di queste connessioni. Ecco perché il ripetere aiuta a ricordare: ogni
ripetizione porta ad un rafforzamento delle connessioni fino al punto da
creare questi ponti proteici che in qualche modo saldano assone e
dendridi.
Il riassorbimento di questi ponti è molto lento e comunque avviene
a velocità diverse a seconda delle zone del cervello e dei tipi di neuroni coinvolti. In generale, l’affievolirsi di un legame non porta alla
scomparsa del ricordo anche perché questo è rappresentato da uno
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stato che lega milioni di neuroni e lo staccarsi di uno di questi non fa
scomparire il ricordo. Può renderlo meno nitido ma basta un po’ di
esercizio ed eccolo tornare vivo. Pensiamo a quando imparata una lingua non la si usa per parecchio tempo. Quando capiterà l’occasione di
parlarla all’inizio ci si sente un po’ in difficoltà ma bastano pochi giorni
e si recupera quello che sembrava andato perduto. Lo stesso vale per
la pratica di uno sport in cui il coordinamento muscolare sembra essersi appannato dopo un periodo di inattività ma riprendendo a praticarlo
in breve tempo si recupera.
A livello delle reti neuronali l’apprendimento si manifesta tramite:
- la modifica di connessioni esistenti. Queste possono risultare rafforzate, indebolite o possono collegare nuovi neuroni. Si noti come
l’importante è la rete di connessione, non la vicinanza più o meno
forte dei neuroni. Il dendride che collega il neurone situato a fianco
di quello che ha generato il segnale porta esattamente la stessa
informazione di quello che collega un neurone situato alla parte
opposta del cervello.
- la eliminazione di sinapsi. Le sinapsi vengono eliminate quando
non sono utilizzate per un certo tempo. Questo è quello che a livello macroscopico chiamiamo “esperienza”. Una recente ricerca, a
cui ha contribuito in modo significativo anche Salvatori Aglioti
dell’Università La Sapienza di Roma, ha evidenziato come il cervello degli atleti professionisti reagisca in modo diverso a stimoli
tipici dello sport praticato.
Se uno di noi deve provare a tirare al bersaglio, oppure a mandare
il pallone nel canestro, il nostro cervello lavora attivamente a livello
del lobo prefrontale negli istanti precedenti l’azione. Quello che succede è che vengono attivati una serie di processi di stima su cosa
occorra fare per raggiungere l’obiettivo (colpire il centro, fare canestro), processi tipici della zona prefrontale.
Nel caso dell’atleta, invece, l’attività del lobo prefrontale è molto
bassa: è come se le parti del cervello dell’atleta che devono coordina-
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Figura 8 - Apprendimento a livello cellulare
re i muscoli sapessero già cosa fare e non richiedono quindi l’intervento della parte che deve valutare le possibili azioni e decidere quale
scegliere. È quindi l’indecisione che caratterizza il non professionista e
questa non solo richiede tempo ma spesso porta anche a delle scelte
errate. L’apprendimento porta a rafforzare certe connessioni neuronali che ad un certo punto prevalgono in presenza di certi stimoli diminuendo il coinvolgimento di altre parti. In fondo, da sempre lo sapevamo: per chi sa fare una cosa quella cosa diventa facile e istintiva. E
attenzione: facile vuol dire minor consumo di energia, minor impegno
di vaste aree del cervello, maggiore velocità di esecuzione.
La eliminazione di sinapsi “costa” e si è visto che una scarsa nutrizione nel periodo fetale o l’esposizione ad alcune droghe può bloccare questo processo continuo di eliminazione con il risultato che il cervello ha più difficoltà ad imparare. A prima vista può sembrare curioso
che un difetto di apprendimento risulti dalla incapacità di rimuovere
piuttosto che da una incapacità di aggiungere. Eppure è proprio così.
Viene in mente Steve Jobs che sostiene che un prodotto è perfetto non
quando non si riesce ad aggiungere altro ma quando non si riesce a
togliere più nulla! Il che, peraltro, è uno degli insegnamenti della filosofia Zen.
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Figura 9 - Un giardino Zen: la perfezione minimalista
-
la crescita di nuove connessioni. Questo processo, chiamato sinapsigenesi è tipico di ogni processo di apprendimento.
riorganizzazione compensativa. Questo è un processo che avviene
a seguito di una perdita di funzionalità di una parte del cervello
(trauma o ictus) e porta alla riallocazione di funzionalità che si trovavano nella zona colpita in un’altra zona. Ad esempio una perdita
di funzionalità da parte di un emisfero tende ad essere compensata dalla presa in carico da parte dell’altro emisfero. La compensazione non è in genere sufficiente a riparare il danno per cui un certo
deficit spesso rimane.
Le reti di neuroni, e le sinapsi che le rendono possibili, sono quindi
un elemento fondamentale nelle cose che “sappiamo” e nel processo
di apprendimento. Tuttavia sono solo un aspetto di una realtà decisamente più complessa e globale. Se fosse effettivamente la sinapsi
(con le reti sottese) la sede del ricordo, attivandola dovremmo ricrea-
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re il ricordo. In realtà questo non è vero. Il ricordo ha bisogno della rete
ma ha anche bisogno di uno stato complessivo per emergere.
Vedremo come questo sia un aspetto fondamentale quando ci chiederemo come fare per “imparare” meglio.
Come “nasce” il cervello
Il cervello nel feto umano si sviluppa a partire dalla 5 settimana,
momento in cui dal tubo neurale alcune cellule iniziano a migrare
verso quella che sarà la testa formando un rigonfiamento che man
mano prende la forma del cervello. Il periodo in cui si ha la massima
produzione di cellule cerebrali è tra il quarto e il settimo mese. In questo periodo il feto arriva a produrre oltre 250.000 cellule nervose ogni
minuto, 15 milioni in un’ora. Dal settimo mese il cervello inizia a presentare una superfice corrugata che assume la ben nota forma di convoluzioni al nono mese.
Le convoluzioni aumentano notevolmente la superficie del cervello (la corteccia)
al punto che se stendessimo
tutta la corteccia cerebrale
otterremmo una superficie
equivalente alla pagina di un
quotidiano.
Figura 10 - La nascita
del cervello
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È difficile dire il numero esatto di neuroni e cellule gliali presenti alla
nascita. Le stime variano da 150 a 200 miliardi di neuroni (e un margine di errore di 50 miliardi non è proprio poco!) alla nascita, ma nel
corso dei primi venti anni si dimezzano, mentre per il numero di connessioni la stima è di un migliaio di miliardi. Un singolo millimetro cubo
di tessuto cerebrale contiene oltre un milione di neuroni.
Le cellule gliali (ve ne sono di cinque tipi, astrociti, oligodendrociti,
microglia, ependimociti, cellule di Schwann – che però si trovano principalmente nel sistema nervoso periferico) sono in una proporzione di
nove/dieci a uno rispetto ai neuroni, superando quindi i 1000 miliardi.
Fino a pochi anni fa si pensava che le cellule gliali servissero solo a
creare la struttura su cui si poggiavano i neuroni ma che non avessero un compito nel funzionamento del cervello. A seguito di una ricerca
pubblicata nel 2004 oggi sappiamo che non è così e che anche le cellule gliali contribuiscono al “pensiero”.
Figura 11 - Diverse “dimensioni” di cervello
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Tanto per fare un rapporto, una mosca ha circa 100.000 neuroni, un
topo 5 milioni e una scimmia 10 miliardi. La quantità è importante ma
non è tutto. Una balena ha un cervello cinque volte più grande del
nostro ma ha una capacità intellettiva decisamente inferiore alla nostra
(e anche a quella di un delfino).
Un’altra caratteristica importante del cervello del neonato è che
solo una parte è già strutturata in modo preciso per svolgere certe funzioni mentre esiste una gran quantità di spazio libero: è proprio quello
che serve per imparare! Fino a fine dello scorso secolo si riteneva che
il cervello non fosse in grado di produrre nuovi neuroni dopo la nascita. Una famosa ricerca1 del 1998 dimostrò invece che nuovi neuroni
vengono prodotti durante tutta la vita e questi
[1] Kempermann, Kuhne e Gage, 1998
nuovi neuroni si vanno ad integrare con quelli
preesistenti. Rimane, tuttavia, confermato che a partire dalla nascita
iniziamo a perdere connessioni (ma molte nuove se ne formano) e a
perdere neuroni, arrivando dopo i vent’anni a perderne quasi 500.000
al giorno! Questo non è comunque un problema visto che si potrebbe
proseguire per qualche centinaio di anni a perderne a quel ritmo prima
di esaurirli. Nella vecchiaia, tuttavia, il minor numero di neuroni si fa
sentire... Non è quindi male tener presente che certi tipi di comportamento, come l’uso di droghe e l’eccesso di alcool, contribuiscono alla
perdita di neuroni.
Durante tutta la nostra vita il cervello cambia in quanto cambiano le
connessioni tra i neuroni e quelle con le cellule gliali. Questo cambiamento è la conseguenza degli stimoli cui viene esposto il cervello ed
è, a livello fisico, la testimonianza dell’apprendimento. Ad esempio è
stato osservato che il cervelletto dei musicisti ha dimensioni di circa il
5% maggiori, a seguito delle maggiori stimolazioni e attività di controllo che questo effettua per guidare i precisi movimenti richiesti dal suonare uno strumento.
Il nostro cervello continua ad imparare dal momento in cui nasce a
quando muore. La vita del cervello è quindi un continuo apprendere, e
l’obiettivo è quello di semplificare le reazioni agli stimoli.
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Figura 12 - La distruzione di neuroni
Come impariamo ... noi
Aver scoperto come impara il cervello è stato certamente un passo
importante ma pur sapendo come il cervello apprende a livello sinaptico (costruzione dei ponti proteici) e pur avendo capito che l’analisi dei
segnali, la memorizzazione di ricordi o di procedure di risposta dipende dalla presenza di reti formati da milioni di neuroni, ci manca la comprensione di come questi fenomeni fisici si traducano nell’apprendimento di cui stiamo parlando: capire l’emozione che può darci la lettura di una poesia, collegare parti di questa poesia ad un periodo storico, passare da questo alla geografia fisica ed economica di quei
paesi...solfeggiare e poi suonare l’inno nazionale.
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Alcune cose richiedono tempo per essere imparate, pensiamo a
quando ci veniva chiesto di imparare i nomi delle province italiane! Per
contro, molte altre cose sono apprese immediatamente: tocchi la stufa
con la mano ti scotti...e non hai certo bisogno di riprovare a scottarti un
bel po’ di volte perché il tuo cervello si ricordi che non è proprio cosa
da fare. Come mai è più difficile imparare i nomi delle provincie piuttosto che il non toccare un oggetto che scotta? Attenzione: non è vero
che sia più semplice il secondo in quanto è intrinsecamente più semplice. Quello che passa per la testa quando ci avviciniamo alla stufa
(anche se non ci facciamo caso) è un insieme molto complesso di pensieri e di capacità: la vista ci porta l’immagine di diversi oggetti in posizioni precise, la stufa, le pentole...Da questa immagine attiviamo una
base di conoscenza che ci dice che se il fuoco è accesso la pentola
probabilmente brucia, ma che posso prenderla per un manico se questo è ricoperto con un isolante oppure con una presina; ci dice anche
che se non c’è un fuoco acceso questo avrebbe potuto essere stato
Figura 13 - È facile imparare? Dipende...
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spento da poco per cui è bene essere cauti nel toccare la pentola. E
così via. Tutto sommato è più semplice ricordare un po’ di nomi.
Perché questo non succede?
Il motivo è che il cervello non è stato progettato da un ingegnere ma
si è formato nel tempo e nel tempo si è rivelato più importante essere
in grado di non scottarsi che non di ricordare una sfilza di nomi.
Occorre tenere presente che il nostro cervello è frutto di un processo
evolutivo, per capire meglio come funziona e per usarlo... meglio!
Se avessimo la possibilità di guardare dentro al nostro cervello e
paragonarlo a quello di un musicista o quello di un acrobata, che differenze vedremmo? E, se ci sono (e ci sono...), come hanno fatto a
formarsi? Per poi arrivare alla domanda cruciale: ci sono molti modi in
cui è possibile imparare, sono diversi da persona a persona, esiste un
modo più efficace di un altro (più adatto ad una persona che ad un’altra)? La risposta a tutti questi quesiti è certamente sì. Ma come fare a
individuare quello migliore è un tema ancora del tutto aperto.
Andiamo con ordine, partendo da come il cervello di un neonato inizia ad imparare a... stare al mondo.
Il cervello da 0 a 2 anni
L’idea che se non si è sottoposti a stimoli corretti nei primi due anni
di vita si pregiudica lo sviluppo successivo non è sbagliata ma non è
neppure giusta. In effetti, a parte alcune funzionalità di analisi sensoriali (vista e udito), l’emotività e il coordinamento motorio, se un bimbetto non impara qualcosa nei primi due anni può poi recuperare negli
anni successivi. Tuttavia alcuni apprendimenti in questa fase sono funzionali ad altri nelle fasi successive per cui il non realizzarli pregiudica
poi l’apprendimento successivo.
L’apprendimento emotivo in questa fase è importantissimo e questo sostanzialmente richiede che il bimbetto sia esposto alla presenza
di emozioni. Anche se ovviamente è meglio se le emozioni cui viene
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Figura 14 - Glucosio e appredimento emozionale
esposto siano positive alcuni studi hanno dimostrato come sia meglio
avere una persona di riferimento che esponga emozioni negative (rabbia, sofferenza..) in questa fase piuttosto che non avere nessuna
esposizione a delle emozioni o non avere un punto di riferimento (troppi che stanno dietro al bimbo). Il cervello di un bimbo che sia esposto
a stress, che venga ignorato o subisca comportamenti violenti si trasforma aumentando i ricettori e i circuiti neuronali che forniscono attenzione ai pericoli. Il glucosio, di cui il cervello ha costante bisogno viene
indirizzato a sviluppare questi circuiti piuttosto che a vantaggio di quelli che sono usati dalle funzioni cognitive.
L’apprendimento motorio avviene tramite la esplorazione che il
bambino effettua nei primi due anni di vita e, in una ricerca americana,
si è evidenziato come spesso i neonati a tre mesi vengano affidati a
“nidi” che non sono adatti a sviluppare l’apprendimento motorio (solo
uno su sette, secondo questa ricerca2,
[2] Galinsky, Howes, Kontos e Shinn, 1994
sarebbe adatto).
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Figura 15 - Cullare serve per la lettura,
scrittura e far di conto!
Chiave per lo
sviluppo motorio
risulta essere la
sollecitazione del
sistema vestibolare contenuto
nell’orecchio
interno e che
controlla il senso
di movimento e
di
equilibrio.
Questo sistema
condiziona lo sviluppo di tutti gli
altri sistemi sensoriali. La difficoltà di leggere, scrivere e far di conto
può spesso essere fatta risalire ad una mancata stimolazione da parte
del sistema vestibolare. Questa avviene a seguito di attività cicliche,
come ad esempio il cullare. Quando un neonato piange e poi smette
dopo essere stato cullato per un po’ non è un rompiscatole ma fa semplicemente presente che “ha bisogno” di essere cullato. Le nostre
mamme lo sapevano, oggi gli scienziati ci hanno spiegato il perché.
Nel 1960 un bimbo di due anni in USA aveva passato in media circa
200 ore in un’auto. Cinquanta anni dopo, oggi, le statistiche ci dicono
che un bimbo di due anni ha passato già 500 ore nel seggiolino sull’auto. Inoltre è cresciuto enormemente il numero di ore che il bimbetto ha passato in un seggiolino di fronte ad un televisore “gli piace tanto
e sta bravo...”!
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Il Futuro dell'apprendimento
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La Scimmia che Impara e Insegna
Sono ormai diverse le ricerche che dimostrano come il cervello
abbia bisogno di un corpo che si muove e come stimolazioni motorie
nei primi 24 mesi di vita portino a migliori livelli di attenzione, migliore
capacità di ascolto, di lettura e scrittura.
Lo sviluppo auditivo è fondamentale: la corteccia cerebrale subisce
uno sviluppo a partire dal terzo trimestre di gestazione e si stabilizza
al compimento del primo anno di età. Il neonato a sei mesi è in grado
di distinguere praticamente tutti i suoni che compongono il suo
ambiente. Questo processo matura attraverso l’acquisizione della
capacità di distinguere il volume dei suoni, separare i suoni dal rumore di fondo e identificarli. Una difficoltà nello sviluppo di queste capacità porterà a problemi di concentrazione, alla difficoltà di identificare
suffissi e prefissi, a problemi di lettura e allo sviluppo del parlato. Lo
sviluppo del vocabolario non ha fine ma la maggior parte delle parole
viene acquisita tra i 19 e i 31 mesi. Più parole un bimbo sente e meglio
è: il parlare “straparlando” per esprimere affetto può andar bene fino ai
12 mesi, poi diventa dannoso e in genere sarebbe meglio che a partire dai sei mesi il neonato senta quanti gli
stanno attorno parlare
in modo normale.
Inoltre quanto più
il bimbo viene stimolato a parlare tanto
più imparerà.
Figura 16 - Straparlare...non aiuta!
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Il Futuro dell'apprendimento
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La Scimmia che Impara e Insegna
La vista si sviluppa principalmente nel primo anno di vita, con i
maggiori progressi a partire dal quarto mese. Il numero di sinapsi coinvolte nel processo visivo raggiunge il massimo al decimo mese e da
quel punto in poi il cervello inizia a disfarsi delle connessioni non utilizzate. Nel cervello sono state identificate una quindicina di aree coinvolte nel processo visivo. Queste aree contribuiscono in vario modo a
quello che è un sistema estremamente complesso. Si ricorda il caso di
una persona che perse la vista da bambino all’età di 3 anni e che poi,
grazie ad un intervento chirurgico riuscì a riacquistarla a 43 anni. In
quel tempo molte delle connessioni erano andate perdute e quella persona pur vedendo la moglie non riusciva a riconoscerla se questa non
parlava. La zona del riconoscimento era infatti connessa alla parte uditiva ma non a quella visiva.
La televisione non aiuta un corretto sviluppo della capacità visiva in
quanto offre un mondo bidimensionale e le immagini appaiono troppo
rapidamente non consentendo
all’occhio di riposare. Il linguaggio televisivo, inoltre, è ricco di
astrazioni, assolutamente incomprensibili ad un bimbetto.
Figura 17 - La televisione non è un
compagno ideale...!
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Il Futuro dell'apprendimento
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La Scimmia che Impara e Insegna
Da 2 anni all’inizio della scuola
Il cervello nei primi due anni sembra imparare velocemente, quasi
che avesse una capacità innata ad apprendere certe cose, come il linguaggio. Questa era la teoria prevalente fino a pochi anni fa. Oggi i
risultati di varie ricerche fanno propendere più per l’ipotesi che il cervello abbia dei meccanismi di apprendimento talmente efficaci da far
apparire come innate capacità che invece sono acquisite.
Uno degli elementi che derivano dalle più recenti ricerche è la forte
inter-relazione e distribuzione nelle diverse aree cerebrali delle diverse capacità che si manifestano. Da questo deriva anche che il cervello ha bisogno di essere sollecitato da una varietà di stimoli. La crescente fruizione della televisione da parte dei bambini in età prescolare sta evidenziando problemi allo sviluppo armonico del cervello.
In particolare gli studi suggeriscono che lo sviluppo sia facilitato tramite:
- lettura di storie da parte di una persona “presente” accanto al bambino
- avere tempo per esplorare e scoprire in modo autonomo (la tendenza di “tenere impegnato continuamente il bambino con attività
programmate è dannosa)
- insegnamento dell’alfabeto attraverso rime
- non utilizzo di giocattoli “a pila” almeno fino ai quattro anni favorendo giocattoli che devono essere fatti muovere dal bambino con
azioni manuali dirette
- attività che stimolino l’immaginazione
- impegnarli almeno una volta al giorno con domande discutendo le
risposte.
I bambini dovrebbero, già in questo periodo, essere a contatto con
la realtà di tutti i giorni e al “come funziona”. Questo sviluppa la capa-
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Il Futuro dell'apprendimento
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La Scimmia che Impara e Insegna
cità di porsi la domanda su come mai accadono certe cose e lo stimolo alla comprensione. Fargli vedere la lavatrice che fa il bucato e spiegargli come funziona, accendere il fuoco per fare la pasta e spiegargli
che ci sono dei tubi che portano il gas che provoca la fiamma, farli partecipare ad attività in cui si aggiustano le cose.
Altrettanto importante è cercare di fornire una visione che li metta
in grado di fare piuttosto che di “non fare”. Spesso, invece, i genitori
passano il tempo a dire cosa non devono fare (non toccare, non gridare...).
I comportamenti aggressivi tendono a svilupparsi e consolidarsi nei
primi quattro anni di vita. In questo periodo è particolarmente importante ridurre le esposizioni ad immagini violente, siano queste televisive o video giochi (questi ultimi sono particolarmente dannosi3).
Lo sviluppo emozionale corretto del cervello è
particolarmente importante e questo avviene in [3] Anderson e Bushman, 2001
gran parte nell’età prescolare.
Figura 18 - Mangiare dà
forma al cervello!
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La Scimmia che Impara e Insegna
Questo viene favorito dal:
coinvolgimento in giochi e attività sociali
fornire dei modelli stabili di rapporti cortesi
insegnamento a comportarsi bene con gli altri bambini
rendere i bambini a loro agio quando non ci sono i genitori
È stato inoltre dimostrato come l’alimentazione giochi un ruolo
importante in questa fase: vitamina A (si trova nelle normali patate) per
una migliore memoria, proteine, ferro per migliore efficienza dei processi cognitivi e, sembra strano, acqua. Tra 8 e 12 bicchieri al giorno.
Non bibite, ma acqua.
Il cervello nell’età scolastica
Nei primi anni di vita il cervello ha raggiunto la capacità di gestire il
sistema motorio e sensoriale, il linguaggio, di interiorizzare i rapporti
di causa ed effetto, di arrivare a comprendere il mondo e sviluppare la
“voglia” di comprenderlo. È ancora all’inizio ma questi elementi sono
fondamentali per proseguire nell’apprendimento. Se questi primi passi
non sono stati raggiunti sarà tutto più difficile.
Nei successivi cinque anni, il periodo delle elementari, il cervello
raggiungerà il 90% del suo peso finale e si avrà uno sviluppo vertiginoso dei dendridi con il numero di sinapsi che raggiunge il massimo.
In contemporanea vengono demolite miliardi di connessioni non utilizzate. Qualunque cosa un ragazzino NON faccia invia al cervello un
messaggio chiaro: queste connessioni non servono, distruggile!
In questo periodo sono state notate due accelerazioni nello sviluppo del cervello. La prima tra i 6 ei 7 anni, la seconda tra gli 11 e i 12
anni. Entrambe portano alla nascita delle capacità cognitive e di astrazione. Il ferro continua ad essere importante e alcune ricerche hanno
dimostrato come una carenza di ferro diminuisca i risultati in matema-
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Il Futuro dell'apprendimento
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La Scimmia che Impara e Insegna
Figura 19 - Il cervello diventa adulto
tica, così come bassi livelli di vitamina B12 riduca le capacità di
apprendimento, mentre una dieta troppo ricca di grassi può diminuire
le capacità di comprensione. Tutto questo, in Italia, si traduce dicendo
che una normale dieta mediterranea va benissimo. Non c’è bisogno di
supplementi vari se la dieta è bilanciata. Negli Stati Uniti, dove si sono
svolte queste ricerche4 una dieta corretta è decisamente un problema
visto che l’11% dei ragazzini mangia pata[4] Halterman, 2001; Louwman, 2000;
Greewood e Winocur, 2001;
tine fritte e il 24% mangia hot dog ogni
Ramakrishna, 1999
giorno.
L’età classica dell’apprendimento, quella scolare, è anche quella in
cui il cervello ha più bisogno che il “corpo” dorma. È nel periodo del
sonno che il cervello effettua la riconfigurazione delle connessioni e
questo è quello che “fissa” l’apprendimento convertendo le stimolazioni della giornata in “conoscenza”.
Nell’adolescenza avviene un vero e proprio rifacimento del cervello con funzioni che si spostano da un’area all’altra e la formazione di
connessioni tra aree che prima non si “parlavano”. Questa sembra
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La Scimmia che Impara e Insegna
essere la causa principale del comportamento a volte bizzarro dei
teen-agers.
I lobi parietali vanno incontro a significative ristrutturazioni con aree
che raddoppiano o triplicano di dimensioni. Il lobi frontali, responsabili
per il ragionamento e la riflessione maturano: la corteccia cerebrale in
questa zona si inspessisce (tra gli 11 e i 13 anni) e quindi si assottiglia
del 7-10% (tra i 13 e i 20 anni, a volte proseguendo fino ai 30 anni).
La moltiplicazione di sinapsi rende il cervello capace di imparare
molto di più a livello cognitivo (lobi frontali!) rispetto agli anni precedenti, e a quelli futuri, ma al tempo stesso lo rende meno efficiente.
L’assottigliamento della corteccia cerebrale se da un lato diminuisce la
capacità quantitativa di apprendimento rende i processi di pensiero più
efficienti.
Il cervello diventa adulto tra i 18 e i 30 anni, maturando prima nelle
ragazze. I ragazzi raggiungono il livello di matu[5] Sowell, Thomson, Holmes,
razione delle ragazze intorno ai 24 anni5.
Jerningan e Toga, 1999
Figura 20 - Aumenta la capacità di
apprendere, diminuisce l’efficienza poi si
ha l’inversione
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Il Futuro dell'apprendimento
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La Scimmia che Impara e Insegna
A livello biochimico il cervello dei teen ager è caratterizzato da livelli instabili di dopamina: questo porta ad una predisposizione alla
assunzione di nicotina e di alcool. L’assunzione di droghe e l’attività
sessuale aumenta i livelli di dopamina dando sensazione di benessere. Per questo motivo i teen ager che sperimentano livelli variabili di
dopamina (con bassi depressivi e alti di entusiasmo) sono facile preda
di quegli stimolanti che innalzano i livelli di dopamina.
Alcuni ricercatori sostengono che questo è il risultato dell’evoluzione in quanto è in questa età che (storicamente) avviene la riproduzione e questa tende a favorire il processo di selezione maschile.
Il livello di melatonina scende e questo spiega come mai gli adolescenti vogliano “tirar tardi” salvo poi dormire fino a tardi al mattino.
Figura 21 - Le oscillazioni dei livelli di dopamina
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La Scimmia che Impara e Insegna
Questo non si sposa con gli orari della scuola e in classe si hanno
ragazzi da un lato assonnati e dall’altro che non hanno avuto il tempo
necessario per “fissare” gli stimoli del giorno prima in “conoscenza”.
Vedremo nel terzo eBook come questo dovrebbe essere affrontato in
termini didattici.
Dallo stimolo alla conoscenza
È arrivato il momento di provare a dare una descrizione del processo che porta dagli stimoli alla conoscenza. Riprenderemo e approfondiremo poi nel terzo e quarto eBook alcuni aspetti del cervello che
qui sono stati appena accennati.
Il nostro cervello è costantemente “bombardato” da stimoli. Il fatto
che in generale non ne siamo consapevoli testimonia della sua capacità di filtrare gli stimoli in arrivo.
Questo filtro avviene con il concorso:
- della corteccia prefrontale (poco sviluppata nel bambino piccolo e
questo spiega come mai il suo livello di attenzione decada rapidamente) che blocca le distrazioni (critico il periodo dell’adolescenza
in cui quest’area, come abbiamo visto, è in forte trasformazione);
- del nucleo Pulvinare che permette la focalizzazione su di uno stimolo
- del Giro Cingolato che aumenta la velocità di pensiero relativamente ad uno stimolo
Ovviamente il cervello deve essere in grado di spostare l’attenzione su di un altro stimolo nel momento in cui questo sia necessario. A
questo provvede:
- il talamo che ordina le nuove informazioni in arrivo
- il sistema reticolare che valuta le informazioni in termini di importanza
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Il Futuro dell'apprendimento
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La Scimmia che Impara e Insegna
-
il collicolo superiore che sposta l’attenzione
i lobi parietali posteriori che staccano l’attenzione da quello su cui
era posta.
L’attenzione richiede che sia il sistema uditivo sia quello visivo
siano “bloccati” e in sintonia. Difficoltà uditive e visive portano a diminuire l’attenzione del ragazzo. Ovvie le contromisure da prendere:
avvicinare il ragazzo all’insegnante e alla lavagna utilizzando strumenti
(occhiali, aiuti sonori) ove vi siano dei deficit. Il glucosio ha un ruolo
importante nell’attenzione: un caramella ogni tanto aiuta indubbiamente.
L’attenzione può essere mantenuta per un periodo limitato che
varia al variare della maturazione del cervello: dai 5 minuti di un bimbo
in età prescolare ai 15 minuti (max!) di un ragazzo delle medie o delle
superiori fino ai 18 minuti per un adulto.
Figura 22 - Il processo alla base dell’attenzione
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Il Futuro dell'apprendimento
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La Scimmia che Impara e Insegna
Ma se questi numeri sono veri, e lo sono, come si spiega che possiamo seguire un film per due ore senza staccare gli occhi dallo schermo (diremo poi che il film ci ha “preso”). Quello che succede è che il
regista è stato in grado di spostare la nostra attenzione su cose diverse che complessivamente hanno creato l’intero film. Il cambio di
scene, di situazioni, di personaggi riazzera in pratica il contatore dell’attenzione facendolo ripartire. É la tecnica che utilizzano gli oratori.
Spostare l’attenzione del pubblico in modo tale da ripartire da capo, da
non “annoiare”. A questo contribuiscono l’alterazione del volume della
voce e la gestualità, lo spostamento da un punto ad un altro. È molto
più noioso ascoltare una persona che parla da un podio, stando fermo,
piuttosto che una che si muova.
La caduta di attenzione è un meccanismo del cervello per aumentare l’efficienza. Non appena uno stimolo diventa costante il cervello lo
porta in secondo piano: non c’è niente di nuovo, concentriamoci su
altre cose.
L’attenzione è indispensabile per catturare gli stimoli ma...non funziona per creare la comprensione! Questo fatto, scoperto di recente,
ha notevoli impatti sulle modalità di insegnamento: quante volte abbiamo sentito dire: non hai capito perché non hai fatto attenzione!
È ovvio che se sei distratto non senti e quindi NON potrai capire.
Quello che si è scoperto è che la comprensione non avviene però in
contemporanea con l’attenzione. Il nostro cervello ha bisogno di staccarsi dall’attenzione per metabolizzare le informazioni internamente
arrivando alla comprensione. Se dopo aver attirato l’attenzione non si
lascia tempo al cervello per metabolizzare quanto ha incamerato non
si arriva alla comprensione e quindi all’apprendimento.
Riprenderemo questo nel terzo e quarto eBook.
Quanto riusciamo a “metabolizzare”? Meno di quanto si pensi. È
stato dimostrato che in media il nostro cervello, e in particolare i lobi
frontali in cui si trova la memoria di breve termine, è in grado di catturare da tre a sette concetti. Superato questo numero quanto arriva in
più non viene trattenuto.
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La Scimmia che Impara e Insegna
L’apprendimento inizia circa 15 minuti dopo essere stati esposti allo
stimolo e le sinapsi proseguono nella costruzione dei legami proteici
per l’ora successiva ma la stabilizzazione del legame comporta circa
sei ore. Se in questo periodo le sinapsi vengono disturbate la memoria è persa.
Perché avvenga il consolidamento le sinapsi devono essere mantenute attive e a questo provvede l’ippocampo. Questo processo
avviene principalmente durante il sonno. Le ricerche più recenti hanno
dimostrato che la localizzazione di un ricordo è sostanzialmente nelle
sinapsi che sono state attivate dallo stimolo. Queste sono quelle che
convolgendo altre aree del cervello hanno portato (o meno) lo stimolo
a livello della nostra percezione (attivando reti nella corteccia cerebrale) e che sono poi state sufficientemente stimolate dall’ippocampo arrivando a creare legami stabili.
Figura 23 - La formazione dei ricordi
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Il Futuro dell'apprendimento
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Ricordare, dal punto di vista del cervello, significa ricreare quelle
condizioni che erano state create dallo stimolo esterno: è un po’ come
dire che il cervello simula la situazione passata “ingannando” la corteccia cerebrale facendole credere che lo stimolo sia presente in quel
momento. Quanto più vivo è il ricordo tanto maggiore è il successo di
questo “inganno”.
Teniamo presente come l’attivazione di una certa rete neuronale
non avviene mai in solitudine ma coivolge sempre molte altre aree.
È questo coinvolgimento che permette alla corteccia di mettere in relazione il presente con il passato e distinguere tra realtà presente e ricordo. Quando questo non avviene abbiamo le allucinazioni.
Dal punto di vista neuronale non vi è differenza tra ricordare una
poesia o ricordare come muovere le dita per suonare Chopen al pianoforte piuttosto che ri-provare l’emozione del primo bacio.
Le aree del cervello coinvolte sono diverse ma non tanto in termini
di zone quanto in termini di connessioni nervose.
Apprendimento ed Emozioni
Chiudiamo questo primo eBook con un tema che appassiona da
sempre poeti e filosofi e che ha creato nel tempo un solco tra i razionalisti e gli spiritualisti, tra corpo e anima.
Una cosa è l’apprendimento, il sapere che le Cinque Terre stanno
in Liguria, un’altra cosa è l’emozione che il ricordo di una passeggiata
sulla via dell’amore con il proprio Lui o la propria Lei può suscitare.
Giusto? Più no che sì.
L’apprendimento, e il ricordo che lo congela, si basa sulla creazione di strutture stabili (che però, attenzione, sono destinate a sfocarsi
nel tempo) tra neuroni, attraverso i ponti proteici tra le sinapsi.
Abbiamo visto come l’attivazione di queste reti sia influenzata sì dai
segnali che passano dagli assoni ai dendridi ma anche come l’efficacia di questi segnali dipenda dai neurotrasmettitori (serotonina, dopa-
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Figura 25 - Razionalità e Emotività
mina, acetilcolina) e neuromodulatori (ormoni come il cortisolo e l’adrenalina). Non solo. Sappiamo che la comunicazione tra neuroni
coinvolge anche la produzione di neurotrasmettitori e neuromodulatori in quantità variabile a seconda dell’area coinvolta.
Mentre i segnali tra un neurone e l’altro rimangono “chiusi” all’interno delle reti neuronali, e questo si traduce nella percezione che
abbiamo che il “pensiero” avvenga dentro la nostra testa, l’influsso dei
neurotrasmettitori e neurodulatori attraverso il circolo sanguigno si
estende ovunque, a volte alterando il ritmo cardiaco. Ecco spiegato
come mai la vista del nostro partner (specie nelle fasi iniziali, ricordiamo che il cervello tende ad attutire le risposte man mano che si abitua...) ci fa battere il cuore. L’emozione che proviamo a livello di tutto
il corpo e che sembra quindi indipendente dal cervello (corpo e anima)
è in realtà un effetto collaterale dei processi cerebrali.
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La separazione tra il razionale e il sentimentale non esiste: è il risultato di una percezione diversa provocata da una presenza più o meno
forte dei neurotrasmettitori e neuromodulatori conseguente alla attivazione di reti neuronali.
Corretta, quindi, l’espressione dei giovani che nel descrivere l’attrazione o meno verso una persona dicono “C’è chimica”, oppure “Non
c’è chimica”.
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