asc maestri: sensani asc maestri: sensani Sensani era nato a San Casciano Bagni in quel di Siena il 26 novembre del 1888. Rimasto orfano di entrambi i genitori fu destinato ad un collegio a Città della Pieve e poi a Perugia dove si diplomò geometra. Ma quella non poteva essere la sua vita. Stabilitosi a Firenze conobbe Nelly Morrison, sua compagna che lo seguirà tutta la vita, che lo introdusse in quella colonia anglo-americana amante dell’arte e stanziale in quella Firenze dei primi del ‘900 così rigurgitante di fermenti artistici. E se è vero che impariamo da tanti è dedicherà alla xilografia, campo in cui la sua innata vena di illustratore troverà la giusta collocazione. In questa veste parteciperà a diverse ed importanti esposizioni italiane e straniere, fino a che il 1913 lo vedrà iniziare l’attività di illustratore in modo continuativo. Lavoro che svolgerà per anni sia per grandi pubblicazioni che per giornali di moda. A questa attività affiancherà quella di disegnatore di gioielli, ventagli, paraventi, scialli e persino decoratore di tessuti. È indubbio che l’attività di illu- Pinocchio innamorato messo in scena al Teatro Carignano di Torino dalla compagnia di Dario Niccodemi. Anche di questa produzione purtroppo sappiamo poco (sicuramente colpa nostra) salvo che il nome di Sensani venne storpiato e che la critica pur parlando della “ricchezza delle stoffe, oltre al disegno di gran gusto, specialmente in quelle del Poeta Zanzara, tutto raso e broccato, e quello del Re Barbazzurra, di cui si conoscono i figurini, attenti a descrivere la qualità dei materiali e a rendere evidenti i richiami bakstia- Alfredo Varelli, Clara Calamai, Amedeo Nazzari e Piero Carnabuci nei costumi disegnati da Gino Carlo Sensani per La cena delle beffe (1941). creature non manichini I l commesso sulla porta della stanza dell’albergo “La Capitale”, una pensioncina vicino piazza del Popolo a Roma, prese il voluminoso pacco di fogli di cartone 30x50 che un signore elegante e ben educato gli passava. Immaginiamo il giovane commesso con il grembiale di tela “sale e pepe”, o color carta di pane come si usava fino alla fine degli anni ‘50, prendere il grosso pacco di cartoni e accorgersi che son pieni di acquerelli. Ammutolito volgere lo sguardo interrogativo a quell’anziano signore. Il signore, dal forte accento toscano, perfettamente pettinato con i capelli all’indietro, ha un dubbio. Solleva sulla fronte il grosso paio di occhiali per vedere meglio da vicino i disegni. Poi prende uno o due cartoni, osser- 64 di andrea viotti la lezione di sensani al cinema e al teatro italiano va di nuovo gli acquerelli freschi e dice: “No, no, vai pure: fai ricoprire anche questi”. Così il ragazzo si avvia verso la cartoleria. Centinaia di disegni del grande maestro Gino Carlo Sensani ancora una volta stavano per scomparire. E solo a causa del suo gusto di rifoderare con altra carta da disegno i rigidi cartoni su cui schizzava i suoi bozzetti. Dietro questo piccolo ricordo di Dario Cecchi, un allievo di Sensani che a sua volta diverrà maestro del cinema e del teatro, veniamo a scoprire quale “orrenda fine” abbiano fatto decine, se non centinaia, di “donzellette goyesche” o di condottieri “alla Ercole Roberti” finiti nascosti dietro altra carta da disegno immacolata, incollata sopra vecchi acquerelli per nuove opere e nuovi disegni. Così lo stesso artista mandava al macero le sue cose, o come diceva lui stesso “in cenere”, visto che considerava il cinema cenere. Ma se della sua bozzettistica tutto sommato ben poco è giunto fino a noi, della sua grande opera e del suo insegnamento lascerà una profonda traccia girando ben oltre cento film in poco meno di quindici anni, dal 1932 al 1947. Per non parlare poi di tutta la sua “scuola” o “bottega” dove si formarono allievi come il citato Dario Cecchi, Maria De Matteis, Piero Gherardi, Maria Baroni. Oppure di tutti quegli allievi formatisi presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma nel quale insegnò, chiamato da Blasetti, dal 1935 alla sua morte nel ’47. Cavaliere in rosso e Cavaliere in giallo per la fiaba grottesca Pinocchio Innamorato (1922) pur vero che il nostro DNA ci indica una strada. E così quello che diverrà un grande “artista-artigiano”, oltre che “teorico e operaio” del costume, non poteva che aver trovato il suo ambiente in quella cultura fiorentina vivace e spumeggiante. A Firenze Sensani studia pittura. Un viaggio nella Parigi di inizio ‘900, altro luogo pieno di fermenti artistici, confermerà a Sensani la sua scelta giovanile, anche se nel mondo della pittura non troverà la sua vera strada e dopo varie esperienze figurative si stratore così pieno di fantasia e con perfetta scelta degli spazi non poteva non attrarre chi cercava nuove strade in palcoscenico. Così nel novembre del 1914 Sensani fa il suo esordio da costumista nel Giardino delle tre melarance di Gozzi per il Teatro dei Piccoli di Vittorio Podrecca, andato in scena al teatro Odescalchi di Roma. Ma Sensani non sembra attratto da questa forma artistica e dobbiamo aspettare il 1922 perché si produca in un secondo spettacolo teatrale: Il ni” ignorava il costumista citando il solo Caramba, qui chiamato solo a realizzare i costumi di Sensani! E fortuna che la critica riconosceva “i figurini, attenti a descrivere la qualità dei materiali”. Il gusto per il costume e per la descrizione degli ambienti ove vivevano i suoi personaggi lo spinge sempre di più verso quella “figurinistica teatrale”, come amano dire i critici colti, dove si accorge che può dare il meglio di sé. Ma è ancora un gioco, qualcosa che considera un passa- 65 asc maestri: sensani sopra: costume realizzato da Gino Carlo Sensani per il personaggio di Ginevra (interpretato da Clara Calamai) ne La cena delle beffe (1941). a destra: Re di Bretagna (matita, acquarello e porporina su carta) per La rappresentazione di Santa Uliva (1933). nella pagina seguente Aminta (1939). in alto: scena unica (matita, acquarello e tempera su cartone). in basso da sinistra: Tirsi e Aminta, Amore e Satiro giovane (matite e acquerelli su cartone) tempo. Al costume affianca la scenografia, e rientrato a Firenze, dal 1924 al ‘33, rivolgendosi ora alla casa d’arte Ceratelli, più attenta alla sua arte e meno alla sua forma pubblicitaria, divenne l’artefice oltre che l’inventore dei Quadri viventi: con la collaborazione di pittori e scultori vestiva ed immetteva la nobiltà fiorentina in ambienti storici con relativo costume. Operazione questa che, a spese della nobiltà locale, volgeva questi spettacoli in attività benefiche. Nel frattempo Sensani continuava a vivere quella Firenze che anche tra le due guerre profuse il meglio della sua intellighenzia, divenendo amico di Gadda e di Montale, ed entrando in vari circoli letterari ed artistici che producevano non pochi riconoscimenti alle giovani leve. Il 1933 vide finalmente realizzarsi un vecchio sogno: il Maggio Musicale Fiorentino. Sensani viene chiamato a collaborare e disegna La rappresentazione di Santa Uliva. Il suo successo personale è senza discussione e questo gli fa decidere di dedicare definitivamente la sua vita a questa forma d’arte. A questa prima opera seguiranno innumerevoli rappresentazioni teatrali, molte delle quali lo vedranno anche quale scenografo, ma il cinema oramai è dietro la porta. 66 asc maestri: sensani Il suo primo film è del 1932 Pergolesi per la regia di Guido Brignone, ma meno di un anno dopo il successo de La Rappresentazione di Santa Uliva eccolo nel 1934 con ben tre film: Seconda B per la regia di Camerini; Teresa Confalonieri per la regia Guido Brignone e Il frutto acerbo per la regia di Carlo Ludovico Bragaglia. L’anno non è finito che eccolo ancora con altri tre film: Il cappello a tre punte per la regia di Mario Camerini, Lorenzino De’ Medici per la regia di Guido Brignone e Amo te sola per la regia di Mario Mattoli, mentre Blasetti lo chiama ad insegnare costume al neo nato Centro Sperimentale di Cinematografia. Nel teatro, soprattutto nel Maggio Musicale Fiorentino, Sensani troverà il suo dovuto riconoscimento ed apprezzamento da parte della critica e del pubblico. Ed è indubbio che alcuni spettacoli legati a registi eccelsi quali J. Copeau (Il mistero di Santa Uliva, 1933). R. Simoni (Aminta, 1939), Stefano Landi, Corrado Pavolini ed Enrico Fulchignoni (Adelchi, 1940) rimarranno scolpiti nella storia di quella forma teatrale e del teatro in genere. Ed è pur vero che nel panorama cinematografico degli anni ‘30 Sensani rappresenterà il rinnovamento e la riqualificazione del costume, sganciandolo da quel piccolo cinema di cultura “provinciale” che ancora si serviva del “vestiarista”, una sorta di trovarobe di costume, figura che purtroppo è riapparsa negli ultimi anni. Nel cinema brillarono la sua conoscenza delle epoche, il suo gusto pittorico, la coscienza della letteratura a cui si appoggiava più che alla documentazione fotografica: “Non è senza ragione (ebbe a dire in un’intervista che gli fece niente meno che Michelangelo Antonioni) che io corro subito, non appena letto il soggetto del quale ho da fare i costumi, alla letteratura intorno all’epoca del racconto. Sembrerà strano, forse, ma di quell’epoca io leggo anche i romanzi, perché qui più che altrove si tro­va lo spirito dei tempi, ed è a questo che mi ispiro.” Naturalmente non negava la pittura quale fonte di documentazione ed ispirazione. Sempre Cecchi ci ricorda una sua descrizione mentre disegnava probabilmente Le avventure di Salvator Rosa: “Napoli 600: influenza spagnola… luce scaciata e, di contro dei bianchi e dei rosa, personaggi neri, nerissimi”, divagando pare poi sull’ultima mostra di De Pisis o di Carrà. Ma della pittura, pur amandola, era in un certo senso diffidente: “Naturalmente anche la pittura serve allo scopo, ma è necessario andar cauti. Ispirarsi a criteri pittori­ci è pericoloso, si può favorire la staticità mentre il cinema è movimento; per cui, quando osservo i personaggi di un quadro, li faccio muovere idealmente cogliendo gli effetti che quel 67 asc maestri: sensani asc maestri: sensani movimento mi suscita. Voi capite che il nostro lavoro non è e non deve essere un lavoro d’archeologia. L’immaginazione c’entra per qualche cosa, e sbaglierebbe chi riproducesse costumi del passato in base a criteri fotografici. L’essenziale, a mio avviso, è non far sentire il costume, far sì che l’abito sia la buccia di quel personaggio in quell’ambiente”. È questo l’insegnamento principe di Sensani: il costume è un “contenitore psicologico” che, partendo dal personaggio, il costumista tesse intorno a questo una fitta rete di testimonianze letterarie e figurative che portano alla costruzione dello stesso “contenitore”. E siamo nel 1939. Ma che sia La corona di ferro, o Le avventure di Salvator Rosa anziché La cena delle beffe, o Il signor Max (film “moderno”), il processo del lavoro di Sensani è sempre lo stesso: dopo aver dipinto “dei bozzetti d’insieme in cui il costu­me è appena accennato, è un’idea vaga, ha un valore puramente psicologico e non ancora documentario. In altri termini – spiega – mi preme di raggiungere in quei bozzetti un clima, un mondo. In seguito passo ai particolari, cioè ai modelli, alle acconciature, ecc. I quali sono diversissimi da quelli accennati nel primo schizzo, ma realizzati, se la mia fantasia non è falsata, riportano all’idea dalla quale sono partito. S’intende che, per seguire una tal linea di lavoro, è neces­saria una minuziosa preparazione che pochi forse immaginano.” Non nega quindi il valore della documentazione ma ci invita a non divenirne schiavi per non trasformare gli attori “in manichini” come affermerà in un’altra intervista. In un’altra intervista alla rivista Cinema (n.3, 1936) Sensani spiegherà più approfonditamente il suo pensiero che comunque corre sullo stesso filo: “[…] credo che, nella collaborazione da cui nasce un film, in questa pagina, dall’alto: Astuzie Femminili (1939), Atto IV, finale (matita e acquerello su cartone); Adelchi (1940), studio per il campo dei Longobardi (matita, china e acquerello su cartone); La Cenerentola (1946), Atto I (matita e tempera acquerellata su cartone) 68 [...] l’ideatore dei costumi abbia una funzio­ne autonoma quanto quella del regista. Autonoma e parallela. Anche il bozzettista deve partire da uno studio esauriente del copione: an­ch’egli deve prevedere, nella fantasia, la traduzione visiva della sceneggiatu­ra. Quelli che saranno i risultati del truccaggio, gli effetti dell’illuminazione, i caratteri fisici e psicologici dei personaggi, gli devono essere presenti — prima ch’egli metta mano al proprio lavoro — con la stessa nitidezza e vivacità che avranno in teatro di posa, al momento in cui si girerà. Del resto, meglio che ogni regola generale, varrà qui un piccolo esempio. Quando si trattò di iniziare lo studio dei costumi per Il fu Mattia Pascal, il regista Che­nal non volle saperne di discussioni preventive. Mi consegnò il copione, invi­tandomi ad interpretarlo per conto mio, secondo il mio modo di sentire la tra­ma del film e l’epoca dell’azione. E qui vorrei citare — se non parrà ambizio­so — un vecchio precetto, nientemeno, di Turgenev. Il quale non si metteva a lavorare ad un racconto o a un romanzo, finché non si era scritta tutta la biografia di ciascun personaggio, anche per quelle parti che non entravano di­rettamente nel racconto. Prima di “vestire” un personaggio, io cerco di immaginare il suo aspetto fisi­c o, di ricostruire intera la sua personalità: giungo persino a disegnarmi, in ra­pidi acquerelli, gli ambienti in cui egli vive. Ora è successo che i bozzetti per Il fu Mattia Pascal coincidevano, proprio per l’aspetto fisico delle figure da me disegnate, con l’aspetto degli interpreti scelti dallo Chenal, che pure io non avevo mai veduti. In fondo, quando una sceneggiatura è precisa, non pos­sono esserci molti modi di interpretarla. Quanto alle direttive generali ed al gusto, cui cerco di attenermi, dirò che nei miei costumi e bozzetti mi studio di non risultare in questa pagina, dall’alto: L’elisir d’amore (1940), Atto I, scena prima (matita e acquerello su cartone); sudio per l’Atto II, scena prima (matita, acquerello e tempera su cartone); Il ritorno di Ulisse in patria (1942), Atto I, quadro terzo (matita, china e tempera su carta) 69 asc maestri: sensani in alto: Penelope, Damigelle, Melanto, Ericlea, Minerva (nove studi, matita e acquerello su cartone) per Il ritorno di Ulisse in patria (1942) esteriormente decorativo e di evitare ogni compiaciuto baroc­c hismo. Naturalmente, ci sono epoche “preziose” (ed anche a me è accaduto di doverne ricreare) e in questo caso il costume deve rispecchiarle anche nei particolari delle materie, degli ornamenti, della confezione. Ma in genere il costume deve esprimere una interpretazione psicologica della figura, e illustrativa dell’atmosfera: essere quindi rapido, succoso, facilmente afferrabile. Però se un dettaglio deve venire in primo piano o deve essere specialmente scoperto in un movimento o in un gesto, occorre che quel dettaglio sia curato in tutte le sue apparenze e significati. Insomma, ripeto che bisogna vivere il film: e viverlo nella sua dinamica, nel suo continuo modificarsi. E sentirsi ma­gari pazzo tra la pazzia di casa Pascal — se non mi si prende troppo in parola. Come nelle mani del regista, l’attore deve diventare materia anche in quelle del bozzettista che ha da trasformarlo in una creatura di fantasia. Creatura, e 70 non manichino. E questo mi pare lo specifico carattere d’arte del nostro la­voro.” da “Cinema” n.3, 1936, p. 25 L’insegnamento gli portava via molto tempo e non sempre gli era possibile essere sui vari set nei quali si richiedeva la sua opera. Così Sensani iniziò con grande generosità a dividere il lavoro con i suoi assistenti e molti film sono firmati a due mani. La guerra lo vede a Roma mentre i soldati tedeschi in ritirata da Firenze mineranno la sua casa, una torre sul Lungarno in via dei Bardi, dove Sensani aveva raccolto tutta la sua vita e dove sognava di tornare con la sua Nelly Morrison. Malato di cuore, morirà a Roma, dove oramai viveva e dove si era trasferita l’intellighenzia fiorentina, circondato di tutte le sue cose sopravvissute. Era il 14 dicembre del 1947, Sensani aveva 59 anni, e poche ore prima aveva consegnato i bozzetti per il film Cuore. Scomparirà all’alba del ne- orealismo al quale – forse – lui così attento al vestiario di tutte le classi avrebbe sicuramente partecipato con quell’arte che lo contraddistingueva. Di lui, del suo pensiero e della sua arte, non rimane molto se non nella memoria di chi ama questo mestiere. Di lui si sono dette stante stupidaggini in quell’epoca in cui il costume cambiava indirizzo per una forma di “consumismo estetico” di grandi chiacchiere ma di poco valore, così come si sono criticate certe scelte che fatalmente risentivano del loro tempo, come accade a chiunque di noi. Noi però lo vogliamo ricordare per una frase, a nostro avviso storica e che ci dà tutta la grandezza del personaggio-artista: “Sapete – conclude Sensani nell’intervista con Antonioni – l’abito come creazione a sé non mi interessa mol­t o” e Antonioni da quell’uomo di cultura che era approva sottolineando: “Sembrerà strano, per un costumista, ma così dev’essere.”