Fattori fondamentali per gli insediamenti dei popoli e la costituzione degli Stati. Premessa La geografia umana ha tra le sue fondamentali attribuzioni lo studio degli insediamenti, cioè delle relazioni intercorrenti fra ambiente e stanziamento dell'uomo sulla superficie terrestre: da un lato, l'analisi delle motivazioni naturali che influenzano la scelta di determinate sedi stabili e, dall'altro, quella delle modificazioni che l'abitare umano apporta al territorio, concorrendo in larga misura alla trasformazione del paesaggio da naturale in culturale, ossia umanizzato. Enorme è la varietà di aspetti che le sedi umane – dalla capanna e dai casali isolati ai villaggi, ai borghi, alle città – assumono secondo le condizioni geografiche, storiche, economiche che hanno presieduto alla nascita degli insediamenti stessi, organismi da parte loro soggetti a continui mutamenti, sia evolutivi sia involutivi. Tenuto conto delle modalità fondamentali con cui un insediamento si manifesta (dimensione, funzione che assolve, rapporti con il territorio circostante, ecc.) si distinguono l'insediamento sparso, l'insediamento accentrato rurale e l'insediamento accentrato urbano. Se, almeno inizialmente, sono fattori naturali quali i corsi d'acqua o le falde freatiche (si parla, a questo proposito, persino di civiltà potamogene, come quella l'egizia e quelle mesopotamiche) oppure le vie naturali di comunicazione, i terreni fertili, le baie ben protette, ecc. a determinare in larga misura il sorgere degli insediamenti, questi apportano modificazioni anche fondamentali all'ambiente, comportando l'apertura di strade, canali e gallerie, la deforestazione di aree boschive per le coltivazioni, la creazione di nuovi bacini lacustri, il terrazzamento dei versanti collinari o montani e in genere ogni sorta d'interventi utili a meglio adattare il territorio alle proprie necessità economiche. La nascita e l'evoluzione degli insediamenti sono anche la risultanza di fattori etnico-culturali: per esempio l'insediamento sparso (che è presente, in genere, nelle aree ad agricoltura intensiva e tecnologicamente avanzata) è raro nelle epoche preistoriche e presso le popolazioni che sono ancora poco progredite, poiché per motivi di difesa e per esigenze di cooperazione economica è consueto il ricorso all'insediamento accentrato rurale; la città invece, quale forma più alta e complessa dell'insediamento umano, non è configurabile nelle società primitive, già nell'antichità raggiunse sviluppi straordinari presso i Babilonesi, i Romani, ecc. Motivazioni storico-politiche possono essere determinanti per il potenziamento o il regresso degli insediamenti: il venir meno delle grandi compagini statali (come la caduta dell'Impero romano) rappresenta in genere un momento di decadenza per i nuclei urbani, mentre il formarsi di nuovi Stati o precise scelte politiche possono portare alla fondazione “artificiale” di città, persino di città-capitali, come Canberra o Brasília. Il perdurare di un feudalesimo latifondista può motivare – come è accaduto in Puglia – la formazione di grossi centri rurali che delle città hanno la consistenza numerica, ma del villaggio la povertà delle funzioni. Anche i massicci spostamenti di popolazioni a seguito di eventi bellici possono largamente influire sulle sorti degli insediamenti. In linea di massima la geografia delle sedi umane attesta una minore dipendenza dalle leggi della natura (via via più deboli col passaggio dall'insediamento rurale, ancora fortemente condizionato dall'ambiente geomorfologico, a quello urbano, che ne è ampiamente o totalmente svincolato) e il sopravvento di quelle dell'economia. Così per esempio un programma di bonifica e di sviluppo agricolo, accompagnato dalla creazione delle opportune infrastrutture (acquedotti, canali d'irrigazione, ecc.), può portare all'incentivazione dell'insediamento rurale, sia sparso sia accentrato, mentre il potenziamento dell'industria e delle vie di comunicazione influisce direttamente sull'eccezionale sviluppo che le città hanno assunto in tempi recenti: si pensi alle megalopoli o alle conurbazioni di 10 e più milioni di abitanti. L'accelerato processo di espansione spaziale dei centri urbani per sua natura provoca interventi sempre più accentuati nell'ambiente naturale, che può presentare forme gravissime di degradazione e addirittura portare alla rottura degli equilibri ecologici. Gli insediamenti moderni Nelle moderne società industriali, con il contributo di varie discipline (economia, sociologia urbana, scienza dell'amministrazione) si è raggiunto un alto grado di applicazione del principio di specializzazione e di divisione dei ruoli che si stabiliscono, nell'ambito di una regione o di uno Stato, fra centri urbani di diversa dimensione e con differente base economica. Anche gli insediamenti, urbani e rurali, sono stati rimodellati negli ultimi due secoli da processi di crescita differenziata e di “divisione geografica del lavoro” e hanno portato alla nascita di sistemi all'interno dei quali ogni centro svolge specifici ruoli in connessione con le sue dimensioni e con le funzioni che lo caratterizzano in modo prevalente. Alla base del sistema degli insediamenti vi è il “tessuto rurale” formato da case isolate nella campagna, piccoli centri elementari (100-500 ab.), villaggi (1000-2000 ab.). A questo livello sono disponibili solo i servizi più banali (negozi alimentari) e la necessità di ricorrere quasi quotidianamente a centri di livello superiore crea una situazione di forte apertura a relazioni esterne in quelle che, nella società tradizionale, erano piccole comunità locali in larga misura autonome e chiuse su se stesse. Questa fascia inferiore dell'insediamento rurale ha visto ridursi, negli ultimi decenni del sec. XX, la sua tradizionale dipendenza dal lavoro agricolo, cui si sono affiancate attività turistiche, attività artigianali, possibilità di pendolarismo fra residenza in campagna e posto di lavoro in città. La fascia superiore dell'insediamento rurale è caratterizzata da forme elementari di addensamento demografico e di “centralità” nella disponibilità di servizi. I villaggi-centro (2000-3000 ab.), i borghi (3000-6000 ab.), le cittadine rurali (8000-12.000 ab.) offrono già alla campagna un primo supporto e inquadramento terziario: negozi non alimentari, scuola dell'obbligo, filiali bancarie, servizi sanitari (medico, farmacia), servizi professionali, ecc. Queste località centrali rurali, beneficiando della forte crescita dei servizi e in molte regioni anche della diffusione territoriale dell'industria, hanno svolto il ruolo importantissimo di punti di resistenza demografica allo spopolamento delle campagne. È su questi “punti forti” che dovrebbe basarsi la pianificazione rurale, superando l'ormai anacronistica polverizzazione municipale con una nuova maglia di comuni rurali di dimensione non inferiore a 15.000-20.000 abitanti. Case sparse, villaggi, località centrali rurali costituiscono la base della gerarchia degli insediamenti, il tessuto che copre il 90% dell'intero territorio italiano e in cui ancora si risiede, con variazioni da regione a regione, una quota rilevante della popolazione. Lo spazio rurale è la componente diffusa e meno organizzata (caratterizzata da livelli inferiori di densità e complessità) dell'assetto dell'intero territorio, e su di essa si esercita l'azione polarizzante dei centri urbani. Confini naturali L’insediamento dei popoli in particolari zone della terra e la costituzione dei diversi Stati è il risultato di molteplici fattori di tipo geografico, storico, economico e culturale nel senso più esteso del termine. Al modificarsi di questi fattori nel corso del tempo corrispondono in modo più o meno evidente situazioni particolari che in qualche caso non hanno lasciano segni evidenti dei motivi che hanno originato lo stesso insediamento Confini naturali possono essere definiti, ad esempio, dall’insularità, sia su piccola, sia su grande scala. Un esempio limite è dato dall’Australia, che rappresenta politicamente uno stato e, per qualcuno, un vero e proprio continente. Proprio l’insularità e le vaste dimensioni spiegano elementi di diversità nelle popolazioni aborigene, nelle specie animali, nelle dinamiche proprie degli spostamenti degli abitanti. Nel mondo esistono, eccezion fatta per L’Australia, 47 stati insulari. Esempio di isola di estensione relativamente più limitata può essere quello del Madagascar, ove non è raro cogliere elementi di singolarità fisica, biologica ed antropica rispetto ad altre regioni del globo. Ulteriori esempi sono offerti dall’Islanda, da Cuba, dalla Giamaica, da Malta, da Formosa , dallo Sri Lanka. L’insularità, d’altra parte, non è fattore necessariamente determinante a creare uno stato. A parte il caso del Regno Unito, ove solo parte dell’isola irlandese fa polticamente parte, appunto, del Regno Unito, è possibile considerare, specie, ma non solo, in Oceania, gruppi di sole vicine ( Nuova Zelanda, Figi, Salomone, Capo Verde, ecc.) che hanno dato luogo a entità politiche unitarie, vuoi per la vicinanza geografica, vuoi per fattori culturali dati, ad esempio, da comunità linguistiche o etniche, da vicende storiche. L’esempio stesso del nostro paese dimostra come fattori storici e culturali abbiano esteso il nostro territorio nazionale a isole collocate in posizione vicina ad altre che invece appartengono ad altri stati: vedi i casi della Sicilia, della Sardegna da una parte e della Corsica dall’altra . L'Indonesia è uno Stato del sud-est asiatico. Composto da circa 17 508 isole, è il più grande Statoarcipelago del mondo. Per converso entità geograficamente insulari presentano una divisione statale al loro interno. L’isola di Hispaniola, ad esempio, ospita gli stati di S.Domingo e di Haiti. La Papua Nuova Guinea divide il suo territorio con l’ Indonesia; analogo caso è ravvisabile per il Borneo, formalmente diviso tra Indonesia, Malesia e Brunei. (controllo), l’arcipelago delle Samoa è costituito da isole che fanno parte dell’omonimo stato ed altre che appartengono agli Stati Uniiti. Nel Mediterraneo l’isola di Cipro è formalmente divisa tra un entità nazionale di cultura e lingua greca e una zona controllata dalla Turchia. Ragioni storico-politiche hanno fatto della Groenlandia parte dello stato danese, le isole Svalbard di quello norvegese, ma anche sotto questo profilo molti altri esempi si potrebbero fornire. Ragioni storico-culturali come migrazioni e convenzioni politiche successive a eventi storici particolari, in taluni casi non sempre definitivamente accettate dall’una o dall’altra parte, hanno contribuito alla creazione del Giappone moderno. In questo caso le quattro isole principali che ne fanno parte presentano anche una posizione geografica e morfogeologica che confermano la loro unità politica, nonostante rivendicazioni territoriali interessino la zona. Si può considerare a proposito anche l’esempio delle Isole Falkland (Pacifico) rivendicate dall’Argentina, ma di fatto appartenenti al Regno Unito. Diverse territori, del resto, insulari o meno, costituiscono appendici di singoli stati, per ragioni politiche legate a singoli fatti storici. L’Alaska e le isole Haway sono a tutti gli effetti stati degli U.S.A, pur non condividendo sempre con gli altri confini in comune. Nel primo caso appare evidente il tracciato artificiale dei confini con il Canada, nel secondo il caso dell’insularità. Ragioni strategiche hanno spinto gli Stati uniti a considerare l’arcipelago, ideale base per le rotte aeree transpacifiche come territorio nazionale. Il Regno Unito comprende anche l’Irlanda del Nord o Ulster, cioè la parte settentrionale dell’Irlanda stessa, che è politicamente uno stato a sé. Le isole Azzorre e Madeira appartengono al Portogallo; le isole Canarie alla Spagna. Nell’oceano Indiano l’isola di Socotra è parte integrante dello Yemen, che avanza rivendicazioni anche su altre isole vicine. Un ulteriore esempio di isole legate a uno stato territorialmente non vicino da rapporti politici e amministrativi è dato da alcune isole del Pacifico come la Nuova Caledonia (Francia). In genere si tratta dei residui di domini coloniali. Altri casi di stati insulari possono essere quelli delle Comore, delle Bahamas e delle Maldive. Carattere particolare rivestono gli stati che a diverso titolo richiamano il concetto di insularità almeno in senso traslato. in Italia caratteri particolari hanno la Repubblica di S.Marino e lo stato di Città del Vaticano, compresi entro confini territoriali dello stato che li circonda. In questo come in altri casi consimili sono state ragioni storiche a determinare status e posizione dei medesimi. Per San Marino la costituzione in comunità autonoma risale secondo la tradizione alla prima metà del IV secolo d.C. Lo Stato della Chiesa, ad opera del papa Nicola IV, riconobbe la repubblica nel 1291. Nel 1320 aderì ad essa il castello di Chiesanuova. Nel 1351, dopo che il vescovo di San Leo e del Montefeltro lo ebbe affrancato dai vincoli feudali, San Marino divenne un libero comune. L'indipendenza del piccolo Stato è stata messa in pericolo più volte: in tutta la sua storia, San Marino ha subito tre brevi occupazioni militari. Nel 1503 Cesare Borgia occupò la Repubblica per dieci mesi sino alla morte del padre, papa Alessandro VI . Successivamente, nel 1739, il tentativo di annessione allo Stato della Chiesa ad opera del cardinale Alberoni, fallito grazie all'intervento delle potenze dell'epoca, alla disobbedienza civile e alle proteste davanti a papa Clemente XII. L'ultima occupazione del Paese avvenne nel 1944 ad opera delle truppe tedesche in ritirata e successivamente dagli Alleati, che lo occuparono per poche settimane. Per quanto riguarda il Vaticano, esso è quanto resta del Regno Pontificio all’indomani della presa di Roma nel 1870. Le origini del dominio temporale dei Papi possono essere considerate sotto due aspetti, uno di fatto e l'altro di diritto. Con la progressiva dissoluzione del potere bizantino in Italia centrale e la costituzione del Ducato Romano (ultimi decenni del VI secolo), la figura del Papa venne prima ad affiancarsi, poi a sostituirsi, a quella del dux di nomina imperiale. I Papi subentrarono all'esarca bizantino nei suoi poteri, ed in primis nell'esercizio della giustizia di appello, nella riscossione delle imposte, nella possibilità di imporre la fedeltà politica e l'aiuto militare ai vassalli loro sottoposti. Sotto il profilo giuridico le donazioni carolinge (Donazione di Sutri (728), la Promissio carisiaca (754) e la Constitutio romana (824)) furono altrettante basi fondanti nella genesi dello Stato Pontificio. Dopo una storia secolare di ulteriori espansioni territoriali nel territorio italiano, nel XIX secolo la Francia, l’ultima delle nazioni europee garante dello stato ponteficio non potè più svolgere, dopo la sconfitta subita dalla Prussia, la sua funzione di protezione del potere temporale del Papa. Vittorio Emanuele II ne approfittò per attaccare Roma. Il 20 settembre 1870 avvenne la presa di Roma da parte dei bersaglieri del re. Il Regno d'Italia realizzò l'annessione del Lazio: liberazione secondo l'ottica italiana, usurpazione secondo quella pontificia. Solo il 20 settembre 1900 il papa Leone XIII proclamò la dissoluzione ufficiale dello Stato Pontificio. Il primo accordo ufficiale tra la Chiesa e lo Stato italiano fu siglato nel 1929, quando con la firma dei Patti Lateranensi venne creato lo Stato della Città del Vaticano, che restituì una minima sovranità territoriale alla Santa Sede. Tale sovranità potrebbe dar luogo a considerare la Città del Vaticano come un vero e proprio stato successore (o fra gli stati successori, insieme al Regno d'Italia) dell'antico Stato Pontificio. Il tema divide tuttora gli storici e continua ad essere oggetto di dibattito. Attualmente il territorio dello Stato della Città del Vaticano è un'enclave del territorio della Repubblica Italiana, essendo inserito nel tessuto urbano della stessa città di Roma. Lo Stato della Città del Vaticano è il più piccolo Stato indipendente del mondo in termini sia di popolazione (836 abitanti) sia di estensione territoriale (0,44 km²). Nello Stato vige un regime di monarchia assoluta elettiva con a capo il Papa della Chiesa Cattolica: il Pontefice ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Durante la sede vacante, i suoi poteri sono assunti dal Collegio cardinalizio. Confini naturali e convenzionali I confini degli stati si possono distinguere in naturali e convenzionali (o artificiali); i primi consistono in ostacoli naturali (monti, fiumi, deserti, paludi, mari), con valore di separazione diverso a seconda dei diversi tempi (così mentre il Reno poteva costituire un ostacolo e quindi un buon confine al tempo dei Romani, non ha ora altra funzione che di limitare le zone d'interferenza di due stati e di costituire un ostacolo agli scambî); i secondi possono essere semplicemente indicati da meridiani e paralleli (come parte del confine tra l'Alasca e il Canada e tra il Canada e gli Stati Uniti), oppure seguire linee di riferimento (come è il caso di quello tra l'Eritrea meridionale e l'Etiopia, parallelo alla linea costiera); il caso più frequente, specie in Europa, è però quello di confini segnati materialmente sul terreno. In origine questo era fatto a scopo difensivo (Vallo d'Adriano, Muraglia Cinese), ma in seguito è prevalso il criterio di segnare il confine con pilastrini, palizzate o altro al semplice scopo di demarcazione delle zone d'influenza dei singoli stati. Di solito quello che si considera poi un buon confine dal punto di vista difensivo è invece un cattivo confine dal punto di vista economico. In molti casi, specie in epoca moderna, non sono stati elementi naturali quanto criteri convenzionali basati sulle coordinate geografiche a determinare l’andamento di confini regionali e nazionali. Il caso degli Stati Uniti può risultare esemplare quanto quelli di altri continenti. Anche l’Australia, in particolare, fa vedere chiaramente i motivi convenzionali della divisione dei territori che compongono lo Stato: Australia occidentale, Territorio del Nord, Australia meridionale, Queensland, Nuovo Galles del Sud. Tracce evidenti dei trattati che hanno caratterizzato il periodo del colonialismo e di convenzioni successive sono evidenti nella carta politica dell’Africa, dell’Asia sudorientale e dell’Oceania. In quella dell’Asia sudorientale è da notare l’influsso di motivi di ordine religioso (islam e induismo) che diede origine alla creazione del Pakistan e più tardi del Bangladesh ( a maggioranza islamica) e dell’India conseguente all’indipendenza di quest’ultima (1947) dall’impero coloniale inglese. Questo non (a maggioranza induista) che attriti tra diverse etnie e lotte religiose continuino a interessare aree particolari (Kashmir e Punjub). Non sempre i trattati che hanno definito i territori di singoli stati hanno tenuto conto delle etnie e dei popoli locali, fatto questo che ha dato luogo a conflittualità talora molto forti. Ecco, ad esempio, come il popolo curdo è stato di fatto diviso dai confini nazionali della Turchia, dell’Iran e dell’Iraq. II principali insediamenti kurdi Il caso dei paesi dell’ex Unione Sovietica è egualmente rappresentativo della frammentazione in stati caratterizzati da etnie diverse, che per molti decenni hanno dovuto subire le scelte politiche del governo russo, spesso determinate da pure ragioni economiche legate allo sfruttamento di risorse economiche. Dal 1989 il costituirsi di nuovi stati non ha mancato del resto di creare problemi di diverso genere, soprattutto a carico di minoranze un tempo protette dal governo di Mosca. Ecco, in ordine alfabetico, gli Stati post-sovietici: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Estonia, Georgia, Kazakistan, Kirghizistan, Lettonia, Lituania, Moldavia, Russia, Turkmenistan, Ucraina, Uzbekistan Tali stati sono generalmente suddivisi in cinque gruppi. Ognuna di queste regioni ha una serie di caratteristiche comuni, che non appartengono soltanto a fattori geografici e culturali, ma anche a quelli della storia della regione in relazione con la Russia. Stati baltici occupati dal 1940 sono Estonia, Lettonia e Lituania; in Asia Centrale: Kazakistan, Kirghizistan,Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Transcaucasia, Armenia, Azerbaigian, Georgia; in Europa Orientale: Bielorussia, Moldavia, Ucraina. Gli stati baltici sono stati governati dalla Confederazione Polacco-Lituana, dal Granducato di Lituania, dall'Ordine Teutonico, dalla Danimarca, dalla Polonia e dalla Svezia per lunghi periodi della loro storia prima di essere incorporati nella Russia imperiale nel XVIII secolo, per diventare poi nazioni indipendenti, come la Finlandia, nel 1918, dopo la prima guerra mondiale. L'occupazione straniera da parte dell'Unione Sovietica delle Repubbliche Baltiche, iniziata nel 1940, non fu mai riconosciuta dagli Usa e dalla maggior parte degli stati occidentali, (con l'eccezione delle vicine Finlandia e Svezia). Il governo estone agì in quel periodo, in esilio, da Oslo, fino al 1991. Stati post-sovietici in ordine alfabetico: 1. Armenia, 2. Azerbaigian, 3. Bielorussia, 4. Estonia, occupata, 5. Georgia, 6. Kazakistan, 7. Kirghizistan, 8. Lettonia, occupata, 9. Lituania, occupata, 10. Moldavia, 11. Russia, 12. Tagikistan, 13. Turkmenistan, 14. Ucraina, 15. Uzbekistan Inoltre, ci sono altri stati de facto indipendenti, ma non riconosciuti a livello internazionale: in Africa il Somaliland non è riconosciuto da alcuno stato; altri stati sono riconosciuti solo da altri paesi: il Nagorno Karabakh è riconosciuto solo da Abkhazia, Ossezia del Sud; Il Nagorno Karabakh (o Nagorno Karabah) è una repubblica autoproclamatasi indipendente situata nel Caucaso meridionale, confinante ad ovest con l’Armenia, a sud con l’Iran a nord e ad est con l’Azerbaigian. Gli attuali confini territoriali sono stati determinati al termine del conflitto scoppiato nel gennaio del 1992, dopo l’avvenuta proclamazione di indipendenza. Alcune porzioni del territorio (parte della regione di Šahowmyan e i bordi orientali delle regioni di Martowni e Martakert) sono sotto controllo azero pur essendo rivendicate dagli armeni come parte integrante del loro stato. La Transnistria è uno stato indipendente de facto non riconosciuto a livello internazionale, essendo considerato ufficialmente come parte della Repubblica di Moldavia: è governato da un'amministrazione autonoma che ha sede nella città di Tiraspol. La regione, precedentemente parte della Repubblica socialista sovietica moldava (una delle repubbliche dell'Unione Sovietica), ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza come Repubblica Moldava di Transnistria il 2 settembre 1990. Dal marzo al luglio 1992 la regione è stata interessata da una guerra che è terminata con un cessate il fuoco garantito da una commissione congiunta tripartita tra Russia, Moldavia e Transnistria, e la creazione di una zona demilitarizzata tra Moldavia e Transnistria comprendente 20 località al di qua e al di là del fiume Nistro.Importante è ricordare che gli stati dell'Europa orientale hanno intrecciato la propria storia con la Russia sin dall'inizio della loro esistenza, mentre gli stati dell'Asia centrale e del Transcaucaso non furono conquistati fino al XVIII o XIX secolo. Elementi fisici Elementi fisici legati al rilievo hanno determinato nel corso dei secoli confini nell’insediamento umano, senza precludere tuttavia la presenza di vie di comunicazione aperte attraverso viaggi di esplorazione, migrazioni, fenomeni storico-economici come il colonialismo Catene montuose Le catene montuose hanno spesso determinato confini nazionali, come nel caso del nostro paese, che ha nelle Alpi un naturale elemento di definizione a nord della penisola. In America del Sud il Cile, in particolare, vede correre i propri confini con Bolivia e Argentina lungo il crinale delle cordigliere. Lo stesso elemento non viene peraltro rispettato in altri paesi della regione: Columbia, Ecuador e Perù, ad esempio, si sviluppano su entrambi i versanti delle Ande. In Asia l’altopiano del Tibet (formalmente provincia autonoma della Cina) ha costituito, specie in prossimità dei più importanti massicci e catene, un confine naturale tra le regioni adiacenti, tanto da far parlare per le terre a sud, di un subcontinente indiano, comprensivo di diversi Stati. (si vedano ad esempio, i casi del Bhutan e del Nepal). Nel caso delle Alpi, come di altri sistemi montuosi, assumono particolare importanza le vie di comunicazione battute nel corso dei secoli da diverse popolazioni: esse vengono identificate da specifici caratteri fisici, sfruttati e in parte modificati a seconda della cultura delle popolazioni coinvolte in dinamiche migratorie più o meno continue, con caratteri vuoi di invasione, vuoi di semplice transito. Ricordiamo per brevità qualcuno di quelli che, progressivamente nel corso dei secoli e con l’evolversi dei sistemi di comunicazione, hanno reso più agevole il cammino verso la penisola italiana: Col della Maddalena o Col de Larche (1996 m.), Monginevro (1860 m.), Moncenisio (2083 m.) (Fréjus), Sempione (2.005 metri), San Bernardo (2.473 m.), San Gottardo (2.108 m), San Bernardino (2.065 m.), Brennero (1372 m.). Il traforo del Monte Bianco è un tunnel autostradale che collega Courmayeur-Mont-Blanc in Valle d'Aosta (Italia) a Chamonix-Mont-Blanc in Alta Savoia (Francia). È stato costruito congiuntamente tra Italia e Francia. I lavori di costruzione ebbero inizio nel 1957 e terminarono nel 1965, anno dell'apertura. È composto da una galleria unica a doppio senso di circolazione e costituisce una delle maggiori vie di trasporto transalpino. La sua lunghezza è di 11,6 km e la parte più lunga rimane in territorio francese: 7.640 m, con 3.960 m in Italia. L'altitudine è di 1.381 m sul versante italiano, ai piedi del ghiacciaio della Brenva, mentre raggiunge a metà galleria i 1.395 m, per scendere poi ai 1.271 m sul versante francese, ai piedi del ghiacciaio dei Bossons. Il traforo ferroviario del Frejus è un tunnel ferroviario che collega la Francia con l'Italia e fu aperto al traffico ferroviario nel 1871. Corre sotto il Monte Frejus fra le città di Modane in Francia e Bardonecchia in Italia. Parallelamente ad esso corre il Traforo stradale del Frejus, di realizzazione assai più recente (apertura al traffico: 1980). Costituisce uno dei principali collegamenti transalpini fra Francia e Italia. In modo analogo i Pirenei determinano un confine naturale tra Francia e Spagna; il transito verso la penisola iberica è stato garantito da alcuni passi anche laddove questo non fosse quello costiero atlantico (Hendaye-Irun) o mediterraneo (Cerbères-Port Bou) a risultare più idoneo ad agevole. Tra i più famosi ricordiamo il Passo di Roncisvalle (1.057 m s.l.m. - Puerto de Ibañeta in spagnolo, Col de Roncevaux in francese), situato in territorio spagnolo non lontano dal confine con la Francia. Secondo la tradizione Orlando vi morì durante la battaglia di Roncisvalle. Il passo è normalmente attraversato da secolidai pellegrini che percorrono il Camino Francés del cammino di Santiago di Compostela. Le difficoltà di transito di terreni alpini, specie durante la stagione invernale, ha fatto sì che popolazioni locali abbiano sviluppato con il tempo caratteri particolari . Se da una parte esse ebbero relazioni con le popolazioni di altri paesi, dall’altro mantennero e mantengono tuttora una propria cultura locale e una propria lingua (esemplari il caso del basco, tra Francia e Spagna, e del ladino per la Svizzera, l’Austria e l’Italia, o quelli di civiltà alpine, come quella degli Incas nel continente sudamericano). I monti Urali hanno rappresentato da sempre un significativo elemento di separazione geografica (bassopiano sarmatico e bassopiano siberiano) e culturale tra L’Europa e l’Asia; nondimeno non hanno impedito, anche per la loro altitudine media) la creazione di un medesimo stato, la Russia, i cui territori si sviluppano sia ad ovest, sia ad est della catena. Il Caucaso (che si svolge tra il Mar Nero e il Mar Caspio) è considerato da alcuni come il confine sud Orientale tra Europa e Asia. L’Asia centrale è caratterizzata da catene montuose o altopiani (Tibet, Hindokush, Karakorum, Himalaia, Altun Shan, Qilian Shan, Tian Shan, Altai) e zone desertiche (Gobi e Taklimakan) che hanno avuto un ruolo determinante nel corso dei secoli nella creazione di stati e imperi di difficile penetrazione. Il Passo Khyber (o anche Passo del Khaiber o Passo del Khaybar), con un’ altitudine: 1.070 m è il passo di montagna che collega il Pakistan con l'Afghanistan. Era parte integrante dell'antica via della seta, ed è uno dei più noti e antichi passi mai conosciuti al mondo. I valichi alpini di frontiera più utilizzati per le vie stradale e ferroviarie verso la Francia, la Svizzera e l’Austria. In passato fu un importante punto di passaggio tra l'Asia centrale e l'Asia meridionale nonché luogo di importanza strategico-militare. Dario I(550 a.C.– 486 a.C.), Alessandro Magno (356-323 a.C.), e Gengis Khan (1162–1227) usarono questo passo, come gli arabi e i turchi. I deserti La distribuzione delle principali aree desertiche nel mondo. Dopo le due zone polari. le zone desertiche del nostro pianeta sono quelle in cui si verificano i minori valori di densità di popolazione per le caratteristiche ambientali ostili all’insediamento, in primo luogo l’assenza di acque di superficie o comunque di facile accesso, quindi le temperature, con escursioni assai notevoli. In diversi casi tali situazioni non sono state le medesime nel corso della storia del pianeta, che ha subito variazioni climatiche talora eccezionali. Resti di antiche civiltà sono testimoni che in epoche remote territori desertici come ad esempio quelli del Sahara, sono stati abitati anche in modo sedentario e quindi in situazioni accettabili di vita. Una volta assunti con il passare dei secoli i caratteri paesaggistici e climatici che ci sono più familiari, il deserto ha storicamente rappresentato un elemento di divisione fisica. Il caso più emblematico è dato ancora una volta dal Sahara che per secoli ha rappresentato un ostacolo nelle comunicazioni tra l’Africa Settentrionale e il resto del continente, contribuendo assieme ad altri fattori a creare differenze linguistiche, razziali, economiche, superate solo in parte dal progresso umano. Il Sahara Il deserto del Sahara è il più vasto deserto della Terra, con una superficie di 9.000.000 km². Attraversato dal Tropico del Cancro (23° 27′ latitudine nord), si estende tra 16° di longitudine ovest e 35° longitudine est, sul territorio di almeno 11 stati: Mauritania, Sahara occidentale, Marocco, Algeria, Mali Tunisia, Libia, Ciad, Egitto e Sudan. Spesso I confini tra questi stati assumono forme geometriche che tradiscono il loro tracciato convenzionale, stabilito in epoca relativamente recente. Le rotte carovaniere transahariane hanno costituito un elemento solo parzialmente utile a stabilire contatti di una certa entità; già dall’antichità, ma significativamente solo in età più moderna le difficoltà naturali hanno spinto a creare rotte diverse, soprattutto marittime, poi, in tempi più recenti, a rendere relativamente più agevole la traversata delle zone desertiche. Il deserto è luogo di insediamento per più aspetti “provvisorio”: la presenza dell’acqua è il fattore predominante per determinare appunto il soddisfacimento degli aspetti primari della vita. Risorse più o meno continue e accessibili ed estese determinano i caratteri dell’insediamento e delle attività che si svolgono: alcuni centri relativamente più sviluppati debbono la loro sopravvivenza essenzialmente al fatto di essere da molto tempo centri di passaggio delle carovane, quindi di relativa comunicazione con l’esterno. Non a caso la popolazione più “caratteristica” delle regioni sahariane è quella nomade dei Tuareg, stanziata soprattutto nel Mali e nel Niger ma anche in Algeria, Libia, Burkina Faso e nel Ciad. I primi ad abitare il Sahara furono i Berberi, poi arrivarono gli Arabi ed dal Sud popolazioni nere. Questi popoli, in parte mescolate tra loro, vivono per lo più ai bordi del Sahara o risiedono nelle oasi. Da un punto di vista etnico, il Sahara rappresenta la zona di separazione tra la etnia bianca dell'area mediterranea e quella nera dell'Africa centrale, che tuttavia, con continue correnti migratorie, si sono spesso fuse fra loro. Popoli caratteristici del Sahara sono i Tebu, assai ridotti numericamente e stanziati nel Sahara centrale, dall'oasi di Cufra fino al Tibesti, e appunto i Tuareg, nomadi, dell'Algeria meridionale e del Fezzan libico. Nelle oasi settentrionali vivono Berberi e Arabo-Berberi sedentari e in quelle meridionali anche gruppi di Sudanesi. La densità della popolazione del Sahara è molto varia e mentre vastissime aree sono disabitate, nelle oasi si raggiungono i massimi valori. I Tuareg sono vissuti per secoli come dominatori del deserto, esercitando l'allevamento, il commercio transahariano e la razzia, il che portava a frequenti scontri tra tribù. Oggi allevano dromedari e vivono in villaggi provvisori formati da tende. Sottomessi (almeno nominalmente) dai Francesi intorno agli inizi del Novecento, i Tuareg hanno potuto mantenere a lungo i propri capi e le proprie tradizioni. Ma con la decolonizzazione hanno visto il loro paese frammentato in una serie di Stati, con la conseguente creazione di frontiere e di barriere che hanno reso estremamente difficile, quando non impossibile, il modo di vita tradizionale basato sul nomadismo. L'attrito con i governi al potere si è fatto sempre più forte e ed è sfociato, negli anni novanta, in aperti scontri tra tuareg e i governi di Mali e Niger. Soprattutto nel nord del Niger esistono ancora oggi gruppi di guerriglieri Tuareg che portano avanti la lotta armata per l'indipendenza e l'autodeterminazione politica e culturale del proprio popolo. Uno dei gruppi più famosi è il Movimento dei Nigerini per la Giustizia (Mouvement des Nigériens pour la justice, MNJ), che, oltre alla libertà della gente Tuareg, richiede la democratizzazione della politica del Niger, la fine della repressione sul popolo Tuareg e la sua entrata nella politica decisionale nigerina, la liberazione dei propri prigionieri politici, la fine dello sfruttamento intensivo e colonialista del proprio popolo e delle proprie terre, una più equa ripartizione dei proventi che il governo di Niamey trae dalle miniere di uranio svendute alle multinazionali occidentali. In realtà tre sono i grandi gruppi che popolano il Sahara: i Berberi, la popolazione piu’ antica; gli Arabi ed i Neri. Dal VI-VII secolo gli Arabi sono arrivati nella regione sahariana a grandi ondate, hanno aperto nuovi sbocchi per le carovaniere, scavato pozzi, introducendo una scienza dell’acqua proveniente dalle regioni mesopotamiche, creando oasi coltivate al meglio delle risorse, introducendo la loro religione e provocando lo spostamento verso sud e verso ovest delle genti berbere. Un po’ alla volta nella regione sahariana sono confluite, per razzie, per migrazione, per il declinare dei regni del Sud, Ghana, Mali e del Songhai, genti nere dalla Nubia e dall’Alto Nilo. Nei momenti di più forte tensione tra le diverse confessioni islamiche Sciiti e Sunniti, Mozabiti e Senussi hanno raggiunto il Sahara, facendo nascere e prosperare centri come Ghadames, Kufra e Marrakech, capitale degli Almoravidi. L’area di origine dei berberi, che comprende tra l’altro Tuareg e Kabili, si puo’ delineare, a grandi tratti, soprattutto in Algeria nella regione dell’Hoggar e della Kabilia, in Marocco nella regione di Marrakech. Qualche gruppo berbero si trova anche fra i Mauri della Mauritania, nel Niger, nel Mali e nel Sahara libico a sud di Bengasi e Tripoli. Il resto del Sahara e’ popolato, seppure con importanti eccezioni, prevalentemente da genti di ceppo arabo. L’oasi di Kufra e il Tibesti sono abitati da tribu’ di pelle scura originarie della Nubia. I Tibu, che popolano il Tibesti hanno molte affinita’ con i Tuareg, in particolare per le tradizioni nomadi, per la forte religiosita’ e per la notevole autorita’ delle loro donne. Nell’area dell’Hoggar ci sono circa 300.000 “Uomini Blu”, il che significa che i Tuareg sono circa tre volte di piu’ che in tutto il resto dello spazio sahariano. I nomadi Reguibat, di etnia araba, sono altrettanto numerosi e sono sparsi dall’Algeria al Marocco alla Mauritania. Nel 1986, l’Algeria, ha cercato di mettere ordine fra le tribu’ del deserto e ha iniziato a respingere alle frontiere tribu’ Tuareg restituendole al Niger o al Mali. Da quest’ultimo paese i Tuareg erano fuggiti, sin dal 1962 per sfuggire alla vendetta dell’etnia nera Bambara che, una volta raggiunto il potere, si stava vendicando dei Tuareg che avevano praticato la tratta degli schiavi. Vent’anni dopo il Mali ha accettato di riprendersi i Tuareg respinti dall’Algeria nonostante le enormi difficolta’ economiche del paese. Queste cause aggiunte alla progressiva desertificazione del Sahel e l’atavica paura delle popolazioni sedentarie rispetto a quelle nomadi possono spiegare gli episodi di profonda ostilita’ nei confronti di queste popolazioni che si sono verificate, anche recentemente, nel Niger e nel Mali. Come già accennato sopra, dal 1990 e’ in atto contro i governi di questi due paesi una vasta rivolta Tuareg che, nonostante le numerose intese formalmente accolte dai contendenti, non ha avuto una definitiva composizione. Nel Mali due anni di guerra civile hanno causato molti massacri e la popolazione Tuareg per sfuggire ad essi e’ scappata verso l’Algeria e la Mauritania. In un paese poverissimo come la Mauritania, i 20.000 profughi Tuareg rischiano di morire letteralmente di fame e la situazione non e’ certo migliore nel Niger. A partire dal momento in cui il territorio sahariano ha cominciato a diventare un deserto, la vita dell'uomo vi si è organizzata in maniera nomade. Nel corso degli ultimi duemila anni, la necessità geografica ed economica ha fornito la base alla vita dei nomadi. I tre grandi bisogni da soddisfare per vivere sono l'acqua, l'erba e il sale. Con questi elementi la famiglia nomade diviene autosufficiente, perché può vivere del latte e della carne degli animali che essa stessa alleva. La vita nomade sulle grandi distanze, fra le oasi sahariane, è stata resa possibile dall'addomesticamento del cammello (dromedario, se vogliamo usare il termine corretto): un animale che viaggia alla velocità di 6 km orari ma che può camminare per diversi giorni, con riposi regolari, e trasportare fino a 200 kg. Tradizionalmente il nomade sahariano ha sempre amato l'accampamento e la vita libera, disprezzando invece il lavoro dei contadini e la vita dei sedentari. In realtà, fino a qualche tempo fa, popolazioni nomadi e sedentarie, vivevano in simbiosi: conducevano vite completamente diverse, ma erano indispensabili gli uni per gli altri. E' chiaro che i nomadi guerrieri potevano farla da padroni sulle popolazioni sedentarie, sempre esposte al ricatto della distruzione delle case e dei campi. Oggi, i rapporti di forza sono però cambiati: gli agricoltori si arricchiscono e talvolta cercano anche di scuotere la supremazia politica espressa dai discendenti dei nomadi. I Mauri vivono nella parte più occidentale del Sahara, fra l'Oceano Atlantico e il deserto assoluto del Tanezrouft. Vantano un'antica origine araba, che affonda le sue origini negli antichi Almoravidi, che conquistarono dopo l'anno mille un vasto impero musulmano. In realtà, la grande maggioranza dei Mauri è costituita da tribù berbere, convertite all'islam solo tre secoli fa. I Mauri sono pastori e allevano bovini, cammelli e ovini. Solo due piccoli gruppi rimangono legati ad attività più arcaiche: gli Imraghèn, che sono pescatori, e i Nemadi, che praticano la caccia ai confini del deserto più assoluto. La società maura è tradizionalmente divisa in caste; a partire dagli Hassan (discendenti dei conquistatori arabi) fino ai gradini più bassi, dove si trovano gli Abìd, ossia i servi veri e propri, i fabbri e i poeti cantastorie. Questi ultimi gruppi sono considerati fuori dalla società". La donna occupa un ruolo importante nella loro società, come presso i Tuareg, ha il diritto di possedere i propri beni e di esprimere il proprio giudizio sulle questioni importanti I Tuareg (singolare: targhi) sono una popolazione berbera che forse discende dagli antichi abitatori del Sahara, i Garamanti. Di tradizione guerriera, hanno dominato per secoli le distese del deserto razziando le carovane e le popolazioni sedentarie circostanti. Il nome Tuareg è usato per distinguerli dalle popolazioni circostanti, ma essi si identificano con il nome di famiglia, o al massimo con quello della lingua parlata. E' ormai diventato un mito il loro alfabeto originale, il tifinarh, un tempo utilizzato solo dalle donne. E' nota anche l'esistenza di un "linguaggio muto" usato per messaggi segreti, tramite simboli tracciati col dito sul palmo della mano dell'interlocutore. La stratificazione sociale fra i Tuareg è tipica dei popoli pastori-guerrieri e fra di loro la nobiltà di sangue è ritenuta di suprema importanza. L'insegna del potere del capo supremo è costituita dal gran tamburo regale, il tobòl di oltre 80 cm di diametro. L'alimentazione si basa sul latte e suoi derivati, miglio e datteri acquistati o coltivati dai servi. Le bestie sono uccise solo in occasione di grandi feste. Il dromedario è l'animale più pregiato, ma i Tuareg allevano anche ovini e cavalli. Gli asini si riproducono presso di loro in libertà e non hanno valore commerciale. Contrariamente ad altre popolazioni berbere i Tuareg non portano tatuaggi. Uomini e donne si anneriscono gli occhi con polvere di solfuro d'antimonio. i ragazzi si radono i capelli e lasciano solo una cresta centrale per permettere ad Allah di trascinarli di peso in paradiso. Le donne lasciano crescere i capelli e li annodano in treccine. Talvolta uomini e donne si praticano due o tre cicatrici lineari sulla fronte e sulle tempie, che a contatto con l'indaco dei veli creano una specie di tatuaggio, nella convinzione che tali segni rendano forti e prestanti e scongiurano le emicranie. Nella società tuareg, un tempo matriarcale, la donna è più importante che in altre società musulmane e le è consentito chiedere il divorzio di sua iniziativa. La religione è un intreccio dell'islam con credenze magico ancestrali legate agli spiriti di natura. Il colonialismo e la modernizzazione hanno distrutto l'economia tradizionale basata sul commercio carovaniero. Oggi, alcune tribù continuano a guidare greggi in transumanza e si spingono fino al nord del Burkina Faso; altri hanno scoperto professioni piu 'moderne", come il camionista o la guida turistica. Il popolo dei Tebu è costituito dai Teda e dai Daza. Essi vivono in un ampio spazio tra la Libia, il Niger e il Ciad. I Teda e i Daza non sono berberi: le loro origini costituiscono per noi un mistero. il loro tipo fisico ricorda quello etiope, con influenze egiziane. La loro vita era tradizionalmente organizzata sul traffico "triangolare" delle carovane: nelle Ouadai essi commerciavano sale in cambio di miglio e nel Kaouar scambiavano il miglio con i datteri. Nelle popolazioni Tebu l'allevamento di base si integra nella loro vita con alcune attività di tipo agricolo. La ricchezza di un uomo o di una famiglia, tuttavia, non è legata alla proprietà del suolo ma alla grandezza delle sue mandrie, come presso alcuni popoli nomadi: mandrie di cammelli per i Teda e di bovini per i Daza. La società teda-daza è gerarchica: da una parte tribù di discendenza nobile, nomadi e seminomadi, allevatori di bestiame; dall'altra le tribù sedentarie subalterne, di agricoltori e artigiani. Nel massiccio del Tibesti le capanne rotonde, dalle pareti di pietra cementate con argilla, sono coperte da un tetto arrotondato, fatto di frasche su un'intelaiatura di legno. i villaggi del nord sono formati da 4-6 capanne; nel sud invece esistono anche raggruppamenti di abitazioni di dimensioni maggiori. I Tebu si sono convertiti all'islam fra il XVII e il XVIII secolo. Nella guerra civile, scatenatasi nel Ciad tra i diversi gruppi etnici, i Tebu si sono organizzati contro il potere del dittatore Tombalbaye, uomo del sud. Ancora oggi, purtroppo, sembra che la pace sociale e razziale, nel territorio del Ciad, sia ancora lontana e difficile da raggiungere. Il deserto del Gobi Un'altra zona geograficamente inospitale del nostro pianeta che presenta analogie ma anche differenze rispetto al Sahara è rappresentata dal deserto del Gobi che occupa parte della Cina settentrionale e della Mongolia meridionale. Confina a nord con i Monti Altai e con le praterie e le steppe della Mongolia, a sud-ovest con il Corridoio di Hexi e l'Altopiano del Tibet e a sud-est con la pianura cinese settentrionale. Il Gobi è formato in realtà da diverse regioni geografiche ed ecologiche distinte, basate su diverse varietà climatiche e topografiche. E’ il secondo maggiore deserto del mondo. L'escursione termica va dai 30-40 gradi di giorno ai -40 di notte; la vegetazione è formata da poche specie di arbusti spinosi e la fauna, invece, comprende poche specie di roditori e di serpenti. Da un punto di vista antropico il deserto del Gobi è famoso sia per essere stato parte del grande Impero mongolo sia per la presenza di città importanti situate lungo la Via della seta. La popolazione è costituita da circa 2,4 milioni di abitanti dispersi su un territorio molto vasto con una densità di sono 1,3 abitanti per chilometro quadrato. I mongoli che abitano il deserto dei Gobi sono tradizionalmente una popolazione di allevatori nomadi, come i Tuareg, ma oggi si dedicano anche all’estrazione del rame, del fosforo e dell’oro. I mongoli che si dedicano alla pastorizia si spostano con il variare delle stagioni e trasportano con sè sui loro cavalli o cammelli tutto ciò che possiedono: famiglia, bestiame ( pecore, capre, cavalli, cammelli, yak) e la tipica abitazione, la yurta o gher. Si tratta di una tenda rotonda, costituita di legno facilmente smontabile e trasportabile. Tradizionalmente i cibi sono divisi in due categorie: gli alimenti “grigi”, vale a dire carne ovina bollita, che si consuma principalmente nei mesi invernali e gli alimenti “bianchi” cioè derivati del latte: cacio, yoghurt, panna, consumati invece nelle stagioni più calde. Qualche volta sono presenti anche cibi composti di farina,come i Guriltai, grosse tagliatelle, mentre invece sono quasi assenti i vegetali ad esclusione del cavolo, cipolla, cetrioli e frutti di bosco. Le bevande tradizionali sono l’Airak, latte di giumenta fermentato, la vodka mongola, ed il té nero condito con latte e sale. Un ruolo fondamentale nell’economia mongola è rappresentato dall’allevamento del cavallo, si contano pià di tre milioni di capi. Il cavallo è anche un simbolo della ricchezza e del benessere di chi lo possiede, è infatti comune mostrare selle in legno lavorate e abbellite con argento come simbolo della propria classe sociale e del proprio censo. Il Kalahari Il deserto del Kalahari è una vasta distesa sabbiosa dell'Africa meridionale, che si estende per circa 520.000 2 km . È il quarto deserto al mondo per estensione. È parte di un immenso altopiano africano e si trova ad una altezza media di 900 metri. Copre il 70% del territorio del Botswana e parti dello Zimbabwe, della Namibia e del Sudafrica. Includendo, oltre al deserto vero e proprio, anche il bacino semiarido che lo comprende si ottiene un'area di oltre due milioni e mezzo di chilometri quadrati. Il Kalahari è un deserto di sabbia rossa in parte arido e in parte semiarido. Parti del Kalahari ricevono più di 250 mm di acqua piovana ogni anno, mentre la zona veramente arida si trova a sud-ovest, dove ogni anno piovono meno di 175 mm d'acqua, rendendo quest'area un deserto di tipo fossile. Le temperature estive variano dai 20 ai 40 °C. In inverno il clima è secco e freddo, con una temperatura minima che in media può essere sotto lo zero, e di notte sono frequenti le gelate. Le uniche riserve permanenti d'acqua di grandi dimensioni sono costituite dalle saline, tra cui le più grandi sono quelle di Makgadikgadi in Botswana e di Etosha in Namibia. Il Kalahari ospita l'antico popolo nomade dei San (detti anche Khwe, Basarwa o Boscimani); secondo prove archeologiche vivono in queste terre da almeno ventimila anni. I San vivono tra Sudafrica, Namibia e Botswana e sono imparentati con i Khoikhoi, con i quali forma il gruppo Khoisan. Non hanno un termine per indicare il proprio popolo nel suo insieme: il nome "San" fu loro attribuito dai Khoikhoi, nella cui lingua san significa "straniero", "diverso" (rispetto ai Khoi). In genere, i San preferiscono farsi chiamare "boscimani" (boesman in afrikaans, bushmen in inglese), sebbene questa denominazione appaia offensiva a molti occidentali (letteralmente significa "uomini della boscaglia"). I Boscimani sono dei cacciatori-raccoglitori che, per migliaia di anni, hanno trovato la loro sussistenza nel deserto grazie a un'approfondita conoscenza dell'ambiente e a un insieme ridotto di tecniche efficaci in tale ambiente. Cacciano soprattutto antilopi, facendo uso di frecce avvelenate; il veleno è ottenuto dalla linfa di una specie di euforbia endemica dell'Africa meridionale. Le basi della dieta dei boscimani sono comunque costituite da frutti, bacche e radici del deserto. La cultura tradizionale dei Boscimani è oggi quasi completamente scomparsa. Molti Boscimani sono stati obbligati a lasciare i loro territori d'origine per vivere nei villaggi situati in zone non adatte alla caccia ed alla raccolta. Nel moderno Sudafrica, i boscimani sono stati largamente assorbiti (fino alla quasi totale estinzione) nel gruppo dei coloured o griqua (i quali, a loro volta, hanno avuto origine a partire dall'unione dei boeri con donne khoisan). In Namibia i Boscimani svolgono soprattutto lavori umili al servizio della popolazione bianca. Nel Botswana subiscono la discriminazione e l'ostracismo della società tswana malgrado un programma di sedentarizzazione lanciato dal governo: vivono nei ranch in cui lavorano e sono marginalizzati. Dal 2002 i boscimani del Botswana richiedono un'azione legale al fine di impedire alle autorità di Gaborone di rimuoverli dalla Central Kalahari Game Reserve (Riserva di caccia del Kalahari centrale) oggi grande parco naturale, la terra dei loro antenati. I boscimani, infatti, sostengono che il governo del Botswana stia tentando di distruggere la loro cultura attraverso la sedentarizzazione forzata e la persecuzione della loro identità culturale. I fiumi I corsi d’acqua hanno costituito da sempre assi fondamentali di comunicazione e di insediamento. Di fatto, l’acqua fluviale costituisce da sempre una risorsa e dà luogo in diversi casi alla formazione di pianure alluvionali caratterizzate da terreni fertili adatti alle attività agricole. Per le civiltà antiche esemplari sono, fra tanti, i casi del Tigri e dell’Eufrate, quello del Nilo, (il cui corso collega oggi, nonostante la presenza di diverse cateratte, più stati africani), quello del sistema indo-gangetico, quello dei grandi fiumi cinesi. Nei primi due casi i fiumi stabiliscono una via di comunicazione tra stati i cui confini sono stati definiti da convenzioni politiche legate in molti casi al colonialismo, elemento suggerito anche dall’andamento “geometrico” di almeno parte dei confini determinato da coordinate geografiche (meridiani e paralleli). Dalle sorgenti al delta il Nilo attraversa sette paesi africani: Burundi, Ruanda, Tanzania, Uganda, Sudan del Sud, Sudan ed Egitto, ma il suo bacino idrografico include porzioni della Repubblica Democratica del Congo, Kenia, Etiopia ed Eritrea. I bacini idrografici di importanti fiumi costituiscono altrettante vie di insediamento e di comunicazione all’interno di singoli stati (v. bacino del Mississipi nel Nord America, quello del Volga nell’Europa Orientale, quello del Po in Italia) o fra stati confinanti (v. il Rio delle Amazzoni, il Congo, il Danubio). I bacini dei fiumi Nilo, Tigri ed Eufrate, Indo e Gange, Fiume Giallo e Fiume Azzurro sono stati culla di alcune delle civiltà antiche più importanti Il Volga. è il maggiore fiume europeo (5300 Km), interamente navigabile e artificialmente raccordato con i fiumi che sfociano nel Baltico e nel Mar Glaciale Artico (area idrografica questa che, ai margini dello scudo baltico, ospita i vasti laghi Onega e Ladoga). Prima della costruzione delle numerose dighe e la conseguente formazione dei bacini artificiali a monte delle stesse, la sua lunghezza era di 3.690 km.. Il fiume ha giocato un'importante ruolo nelle migrazioni delle popolazioni asiatiche verso l'Europa. A partire dal periodo altomedievale nel bacino del fiume fiorirono diversi stati: alla confluenza del Kama nel Volga nacque e si sviluppò, a partire dal VII secolo e fino al XIII, l'entità politica denominata Bulgaria del Volga; il basso corso del fiume era invece, nello stesso torno di tempo, controllato dal khanato di Khazaria. Le città di Atil, Saqsin e Saraj, site sulle sue rive, erano tra le più grandi del mondo medievale. Il Volga era inoltre un importante via commerciale che collegava la Scandinavia e il Khaganato di Rus con la Bulgaria del Volga, la Khazaria e la Persia. Con il successivo disgregamento del Khaganato di Rus', a partire 870, il Volga perse gradualmente la sua importanza come rotta commerciale alto-medievale a favore del Dniepr. Il Volga continua comunque ad essere una vitale rotta di trasporto tra la Russia e il Mar Caspio, che consente l'accesso ai giacimenti petroliferi di Apšeron. Il bacino del Volga. Diverse importanti città sono nate lungo il suo corso e la stessa Mosca viene toccata dal corso di un affluente. Il corso del Danubio. Attualmente il Danubio, dopo aver attraversato capitali di diversi stati (Vienna, Bratislava, Budapest e Belgrado), segna il confine tra Romania e Ucraina; per molti secoli ha rappresentato il confine tra l’Europa romanizzata e i territori orientali. Il bacino idrografico del Rio delle Amazzoni Il Rio delle Amazzoni scorre attraverso il Perú, la Colombia (per un breve tratto) e il Brasile e sfocia nell'oceano Atlantico. Durante il suo corso assume nomi diversi (Apurimac, Ene, Rio Tambo, Ucayali. Solimões). Considerando la sorgente più lontana dal mare, il Rio Apurimac, il Rio delle Amazzoni è il corso d'acqua più lungo del mondo, 6937 chilometri. È il più grande fiume del mondo per volume d'acqua, numero di affluenti e bacino idrografico (6.915.000 km2); basti pensare che in esso sfociano circa 10.000 fiumi, di cui ben 18 hanno una lunghezza superiore a 1.000 km, Almeno 100 dei suoi affluenti sono navigabili.. Il Rio delle Amazzoni è lungo quasi 10 volte il Po e circa 5 volte l'Italia. Il Rio delle Amazzoni è ancora oggi un'arteria di traffico principale nell'area amazzonica, in particolare per il trasporto delle merci. La maggior parte delle città sono collegati da voli di linea, che tuttavia non sono a buon mercato per molti abitanti della regione: ecco perché è diffuso il trasporto fluviale. Le strade sono perlopiù inagibili nella stagione delle piogge. Il Rio delle Amazzoni è navigabile con navi oceaniche dalla costa atlantica fino a Manaus. Persino gli affluenti Rio Tapajos e Rio Negro sono navigabili con navi da crociera. A Manaus e ora anche in altri luoghi queste grandi navi possono attraccare. Undici fiumi che confluiscono nel Rio delle Amazzoni sono nel novero dei venti fiumi più ricchi d'acqua del mondo. Tra le vie di comunicazione fluviali più significative dell’Africa, il Congo occupa assieme al Nilo un rilievo particolare, anche considerate le diversità ambientali delle regioni su cui scorre, tutte comprese nell’area equatoriale.. Le sorgenti del Congo si trovano sulle pendici meridionali del monte Musofi nel massiccio dei monti Mitumba al confine tra Repubblica Democratica del Congo e Zambia, e più precisamente nella regione del Katanga, circa 100 km a ovest del capoluogo della provincia, Lubumbashi. Nel primo tratto del suo corso il fiume è chiamata Lualaba, scorre dapprima verso nord nei pressi dei laghi Lac Upemba e Kisale. A circa 150 km a nord di questi riceve da destra le acque del fiume Luvua-Luapula-Chambeshi, entrando in seguito nell'ampia depressione congolese dove scorre verso nord fino alle cascate Boyoma nei pressi di Kisangani. Nella parte nord-est del paese nella zona di Kisangani il fiume Congo non è più navigabile e dei banchi di roccia poco profondi trasformano questo tratto di fiume in "rapide" chiamate Wagenya. Superate le cascate il Congo, che assume il nuovo nome, inizia a scorrere lentamente, allargandosi fino a toccare i 16 km di ampiezza. Il fiume curva gradualmente verso sud-ovest e, attraversata la città di Mbandaka, si unisce al fiume Ubangi. Da qui forma il confine naturale fra la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica del Congo e poco più a sud vi confluisce il fiume Kwa-Kasai, il secondo affluente in ordine di grandezza. In seguito si espande a formare una palude nota come Pool Malebo, dove si trovano le città capitale di Kinshasa e Brazzaville; da qui in poi il fiume si restringe e forma una serie di 32 cateratte in profondi canyon, collettivamente conosciute con il nome di cascate Livingstone, che superano un dislivello di 275 metri, attraversa quindi le città di Matadi e Boma, formando un grande estuario che si estende per circa 160 km, attraverso il quale sfocia infine nei pressi della piccola città di Muanda, sull'oceano Atlantico. La foce del Congo fu già avvistata nel 1482 dal portoghese Diogo Cão e nel 1816 una spedizione inglese risalì il fiume fino alla città di Isangila. L'esploratore Henry Morton Stanley fu il primo europeo a navigare il fiume per intero e scoprì che il Lualaba non era la sorgente del Nilo come in quel tempo alcuni credevano. Il Congo è navigabile quasi completamente e con le ferrovie che ora scavalcano le tre principali cascate, gran parte della merce dell'Africa centrale, tra cui rame, olio di palma, zucchero, caffè e cotone, viene trasportata su di esso. Il fiume è anche potenzialmente utilizzabile come sorgente di energia idroelettrica, e la diga Inga sotto la laguna di Malebo è la prima a sfruttare il fiume in questo senso. Nel febbraio 2005, la compagnia elettrica nazionale del Sudafrica, Eskom, annunciò la proposta di aumentare drasticamente la capacità della diga Inga. Il progetto porterebbe la diga ad una potenza massima di 40 GW ed una produzione di 260 TWh/anno, il doppio rispetto alla diga delle tre gole cinese. Il Mississipi ha contribuito notevolmente allo sviluppo agricolo delle aree rivierasche, ancor prima che nelle regioni da esso attraversate fosse creata la rete stradale e ferroviaria odierna. Già nel XVIII secolo molte chiatte cariche di cereali, di legname, di cotone e di altre derrate percorrevano questa grande arteria di navigazione, collegando i centri dell'interno con quelli della costa. Il periodo di più intensi traffici si è registrò con l'avvento della navigazione a vapore (1823) e per quasi tutta la seconda metà dell'Ottocento, durante gli anni più avventurosi della storia americana. Con l'ulteriore costruzione dei canali di allacciamento, la rete navigabile giunge a oltre 15.000 km. Particolarmente importanti sono i quattro canali che collegano il Mississippi ai Grandi Laghi, nel settore nord, e quelli che, nella regione deltizia, permettono alle navi oceaniche di risalire il fiume sino al grande porto di New Orleans, evitando l'ingorgo dei rami deltizi. La grande arteria si è altresì rivelata fonte preziosa per l'irrigazione, per le centrali idroelettriche e per l'apporto idrico ai centri situati sulle sue sponde. Il bacino idrografico del Mississipi Il Po è il fiume più lungo (652 km) interamente compreso nel territorio italiano, quello con il bacino più esteso (circa 71.000 km²) e anche quello con la massima portata alla foce. Attraversa quattro capoluoghi di provincia (Torino, Piacenza, Cremona e Ferrara) e segna per lunghi tratti il confine tra Lombardia ed Emilia-Romagna e tra quest’ultima e il Veneto; sfocia nel mare Adriatico in un vasto delta con 6 rami. In ragione della sua posizione geografica, della sua lunghezza, del suo bacino ma anche degli eventi storici, sociali ed economici che intorno ad esso hanno avuto luogo dall'antichità fino ai giorni nostri, il Po è riconosciuto come il più importante corso fluviale italiano. Le isole fluviali Un cenno particolare meritano le isole fluviali, che in qualche caso costituiscono un potenziale fattore di insediamento umano per le loro potenzialità in termini di difesa, comunicazione, approvvigionamento idrico. L’Ile de la Cité a Parigi Per via della sua posizione strategica per oltrepassare la Senna, l'Île de la Cité ha ospitato fin da tempi antichi insediamenti umani. Secondo taluni studiosi l'isola sarebbe stata la sede della piccola tribù celtica dei Parisii (da cui il nome della futura città), anche se le prime tracce archeologiche risalgono all'epoca della città romana, Lutetia. L'isola fu poi sede della corte merovingia e capitale del regno di Neustria, mentre nel VI secolo il re Childeberto I diede avvio ai lavori della cattedrale di Santo Stefano nell'area in cui in seguito sorgerà la cattedrale di Notre-Dame. Per tutto l'alto medioevo l'Île de la Cité fu così il centro politico e religioso di Parigi. 2 In un quarto di Km vivono oggi circa 1200 abitanti con una densità pari a 5191,11 ab./km. L'Île de la Cité è una delle due isole fluviali della Senna (l'altra è la contigua Île Saint-Louis): in un certo modo costituisce l'equivalente parigino dell'Isola Tiberina a Roma. Il Boulevard du Palais taglia l'isola a metà e funge anche da linea di confine tra il I arrondissement, al quale appartiene la parte occidentale, ed il IV arrondissement. L'Île de la Cité ospita la cattedrale di Notre-Dame, sede dell'arcivescovo di Parigi, e il complesso del Palais de la Cité (già residenza reale e oggi palazzo di giustizia) con la Sainte-Chapelle, la Conciergerie e la prefettura. L'isola è collegata tramite nove ponti a entrambe le rive della Senna nonché alla vicina Île Saint-Louis; il ponte più antico ancora esistente è, a dispetto del suo nome, il Pont Neuf, che è situato all'estremità occidentale dell'isola. Sull'Île de la Cité si trova la stazione Cité della metropolitana di Parigi. Più evidente ai fini degli insediamenti, anche grazie alle dimensioni più notevoli e alla sua densità abitativa è l'isola di Manhattan, una striscia di terra larga 3-4 km fra il fiume Hudson (che la separa ad ovest da varie cittadine del New Jersey) e l'East River (uno stretto braccio di mare che la separa ad est da Brooklyn e dal Queens); la distanza fra l'estremità sud (sulla baia di New York) e quella nord (l'Harlem River, che la separa dal Bronx) è di circa 20 km. A Monaco di Baviera troviamo la Praterinsel, ovvero Isola Prater; è una delle due isole con costruzioni ed abitate della città sul fiume Isar. L'isola ha una lunghezza di 524 metri e una larghezza massima di 95 metri, e conta una superficie di 3,6 ettari Può essere qui ricordata l’isola Tiberina sul Tevere; nata in modo alluvionale, è l'unica isola urbana del Tevere, nel centro di Roma. È collegata alle due rive del Tevere dal Ponte Cestio e dal Ponte Fabricio. Molte altre isole fluviali sono presenti in diverse regioni italiane; in alcune di esse sono stati evidenziati segni di insediamento anche preromani. Anche la confluenza di due o più corsi d'acqua (o anche di due lingue di ghiacciaio, può prestarsi a insediamenti umani. Per quanto riguarda l'Europa, tra le confluenze più spettacolari si può quella tra la Mosella ed il Reno, nell’attuale Coblenza. I primi insediamenti nell'area situata alla congiunzione dei due fiumi risalgono all'età della pietra (circa 9000 a.C.), nell'intera area urbana vi sono stati ritrovamenti di resti di insediamenti a partire dalla cultura di Rössen fino ai Celti. Nel 2005, nel corso di scavi effettuati presso la fortezza di Ehrenbreitstein è stata rinvenuta una palizzata datata intorno al 1000 a.C., è quindi presumibile che già all'epoca il monte Ehrenbreitstein fosse fortificato. Nel corso delle guerre galliche contro i germani le truppe romane guidate da Giulio Cesare raggiunsero il Reno intorno al 55 a.C., costruirono tra Coblenza e Andernach un primo passaggio sul Reno. Resti di insediamenti sono stati rinvenuti nel centro della città e attestano l'inizio della colonizzazione intorno al 20 a.C. Nell'anno 9 a.C. fu costruito un castello alla confluenza dei fiumi Reno e Mosella a protezione della strada fra Magonza-Colonia-Xanten chiamato Castellum apud Confluentes. Il castello entrò a far parte della Provincia romana della Germania Superior. Furono edificati diversi ponti sul Reno e sulla Mosella, di uno di questi, costruito nel 49 e lungo circa 350 m sono tuttora visibili 51 dei 650/700 pali di quercia con punta ricoperta di metallo che ne costituivano la base. Nel II secolo fu costruito un altro castello a protezione del limes germanico-retico ma fu distrutto dai Franchi nel 259. Un altro esempio si può osservare lungo il percorso del Danubio: la prima è tra il Danubio e l'Inn presso Passavia, in Germania. Degna di nota la confluenza tra il Danubio e la Drava a Osijek, in Croazia. La città fu insediamento militare romano (con il nome di Mursa) a partire dalla prima metà del I secolo sotto la dinastia giulioclaudia. Qui risiedette l'unità ausiliaria romana dell' Ala II Hispaniorum Aravacorum, sostituita sotto i Flavi con la cohors II Alpinorum equitata, che qui rimase fino a Traiano. Mursa divenne poi sotto Adriano colonia romana. Coblenza Antico insediamento da ricordare è quello dell’attuale Belgrado alla confluenza con la Sava. Nel 4800 a.C. circa, nell'area dell'attuale città si sviluppò la cultura Starčevo. Nel III secolo a.C. i Celti fondarono un villaggio nella zona che oggi è il centro storico di Belgrado, che fu, successivamente, conquistato dai Romani, che gli diedero il nome di Singidunum. Amburgo, primo porto tedesco e prima città europea non capitale per numero d’abitanti Amburgo si trova nel punto in cui i fiumi Alster e Bille sfociano nell'Elba, che 110 km più a nord-ovest sfocia a sua volta nel Mare del Nord. È attraversata da una fitta rete di canali chiamati Fleete; il centro città è circondato dai due laghi artificiali formati dall'Alster: il Lago Binnenalster (la parte di fiume che si trovava dentro le antiche mura della città), e il Lago Außenalster (Alster esterno). Il porto naturale si estende per tutta la larghezza dell'Elba principalmente sulla riva meridionale. Le due rive del fiume sono collegate tramite ponti a est e tramite due tunnel. Citata anticamente come Treva, Amburgo deve il suo nome al primo edificio permanente nella zona, un castello costruito a protezione di un battistero, a sua volta costruito nell'810 su ordine dell'imperatore Carlo Magno. La fortificazione sorgeva sul fondo roccioso di una palude fra l'Alster e l'Elba e fungeva da difesa contro le invasioni slave. Belgrado Amburgo I laghi Alcuni interessanti ritrovamenti archeologici in diversi regioni sono quelli dei villaggi costruiti ai bordi dei laghi. Tali insediamenti sono stati trovati in Europa e in altri continenti in prossimità di molti laghi, compresi quelli di Neuchâtel e Bienne nella Svizzera occidentale, quelli di Zugo e Zurigo nella Svizzera centrale e quello di Costanza nella parte orientale, oltre che in alcune nazioni vicine. In Svizzera i primi insediamenti lacustri risalgono al 4300 avanti Cristo. Alcuni sono tuttora nascosti sui fondali dei laghi, mentre altri sono stati scoperti in aperta campagna, dove le acque si erano ritirate, o perfino nei centri urbani. I vantaggi offerti dalle acque di un lago sono evidenti: approvvigionamento idrico, pesca, terreno agricolo, possibilità di difesa. Il livello dei laghi è d’altra parte, per sua natura, estremamente instabile nel tempo e gli insediamenti venivano frequentemente abbandonati all'innalzarsi delle acque. La tipologia insediativa lasciata intravedere dai resti trovati nell’arco alpino rinvia a insediamenti più moderni del Borneo e Giava. Ganvié, in Benin, è la città lacustre più grande dell'Africa, dista circa 25 Km da Cotonou. Gli abitanti vivono in abitazioni costruite su palafitte in mezzo al lago di Nokoué, un grande bacino di oltre 150 km quadrati di pochi metri di profondità. Sulle sue rive vivono circa 65.000 persone distribuite in circa quaranta piccoli villaggi. E' suggestivamente denominata 'la Venezia Africana'. La vita della comunità si svolge totalmente in acqua, che non manca certo, ma oltre ad essere salata (il lago è collegato al mare attraverso un canale) è decisamente poco pulita e la quasi totale assenza di installazioni igieniche rende le condizioni di vita della popolazione davvero precarie. Con il passare del tempo si sono evolute le tecniche costruttive e ancor oggi non sono pochi i centri che sorgono sulle rive dei laghi. Ai vantaggi più antichi si è aggiunto quello dell’afflusso turistico. Volendoci limitare solo a qualcuno dei laghi della Lombardia possiamo ricordare Luino, Laveno, Angera (Lago maggiore); Como, Bellagio, Menaggio, Gravedonia, Lecco, Colico, Bellano (lago di Como); Limone, Garganano, Bistignale,Toscolano, Gardone, Salò, Desenzano, Sirmione (Lago di Garda). Il lago di Garda fa parte di quell'ampia zona climatica che comprende la Pianura Padana e le prime valli alpine e che denota un clima temperato-continentale, ma che localmente manifesta condizioni notevolmente mitigate dalla massa d'acqua: questo clima può definirsi sub-mediterraneo. Anche questo elemento ne ha decretato l’aumento di insediamenti. Il luogo con le temperature più miti è Malcesine, mentre quello con temperature più rigide e un clima più continentale è Peschiera del Garda. La primavera e l'autunno sono le stagioni più piovose, mentre l'estate è di tipo mediterraneo, quindi asciutta ma interrotta da intensi temporali, specialmente nel mese di agosto. In inverno le temperature sono meno rigide rispetto alle zone circostanti e le precipitazioni sono piuttosto scarse, mentre le nebbie solo in poche occasione riescono a invadere il basso lago. Sulle rive non si presentano quasi mai condizioni di gelo dell'acqua, che si verificano solo eccezionalmente. Le trasformazioni climatiche avvvenute nei secoli hanno decretato in qualche caso la scomparsa di città lacustri in diverse regioni del pianeta. Alcuni laghi si sono trasformati nel tempo a causa dell’azione dell’uomo. Emblematico quello del lago Aral. Originariamente il lago era ampio all'incirca 68.000 km², ma dal 1960 il volume e la sua superficie sono diminuiti di circa il 75%. Nel 2007 il lago era ridotto al 10% della dimensione originaria Questo è stato dovuto principalmente al piano di coltura intensiva voluto dal regime sovietico nell'immediato dopoguerra. L'acqua dei due fiumi che tributavano nel lago è stata prelevata, tramite l'uso di canali e per gran parte della lunghezza dei fiumi stessi, per irrigare i neonati vasti campi di cotone delle aree circostanti. Sin dal 1950 si poterono osservare i primi vistosi abbassamenti del livello delle acque del lago. Già nel 1952 alcuni rami della grande foce a delta dell'Amu Darya non avevano più abbastanza acqua per poter sfociare nel lago. Nel corso di quattro decenni la linea della costa è arretrata in alcuni punti anche di 150 km lasciando al posto del lago un deserto di sabbia salata invece del previsto acquitrino. A causa infatti della sua posizione geografica L'impatto ambientale sulla fauna lacustre è stato devastante. Il vento che spira costantemente verso est/sud-est trasportando la sabbia, salata e tossica per i pesticidi, ha reso inabitabile gran parte dell'area e le malattie respiratorie e renali hanno un'incidenza altissima sulla popolazione locale. Le polveri sono arrivate fino su alcuni ghiacciai dell'Himalaya. Altro caso analogo è quello del lago Ciad , molto importante a livello ecologico, sociale ed economico: infatti assicura risorse idriche a più di 20 milioni di persone che vivono nei paesi che circondano il bacino. Per questo motivo la FAO e la Commissione del bacino del Lago Ciad, hanno stanziato dei finanziamenti per effettuare delle opere idrauliche volte ad aumentare la capacità del lago, il livello delle cui acque varia da stagione a stagione e a seconda dell’approvvigionemento. Ambienti palustri si sono prestati solo in particolari situazioni all’insediamento umano, che come nel caso di Roma ha avuto come elementi determinanti la presenza di rilevi collinari e una via di comunica zione come il Tevere. Ambienti lagunari che si trovano magari in prossimità della foce di corsi d’acqua possono prestarsi alla costituzione di centri più o meno estesi di insediamento. La laguna veneta è costellata da circa una cinquantina di isole. La sua costituzione attuale è fortemente determinata dalle opere umane., indirizzate da una parte a contrastare il suo insabbiamento, dovuto ai detriti dei fiumi Brenta, Sile e Piave, dall’altra a creare barriere artificiali per regolare l’afflusso delle acque. Maggiori insediamenti rispetto ai precedenti, come è noto, sono stati determinati dalle invasioni degli Unni nel V secolo d.C.. Ancora oggi la laguna fornisce un'ottima base per il porto di Venezia (commerciale ed industriale) e per quello di Chioggia (commerciale e peschereccio) e per l'Arsenale della Marina Militare e per diverse attività riguardanti la cantieristica navale (a Venezia, Marghera, Chioggia e Pellestrina), oltre che la cantieristica minore e da diporto. Conoscenze e abilità tecniche relativamente all’uso dell’acqua e alla sua canalizzazione sono state proprie delle civiltà così dette terramaricole (1650-1150 ca. a.C.) della pianura padana dove l’acqua di un fiume vicino (usato come via di comunicazione lungo rotte commerciali) e opportune modificazioni del suo corso fornivano un elemento di difesa ma anche di parcellizzazione delle terre coltivabili. Laguna di Venezia Porti marittimi naturali Fin dall'antichità e dai primi esperimenti nel campo della navigazione si pose il problema degli approdi e dei luoghi di ricovero per le imbarcazioni. Soprattutto laddove erano coinvolte imbarcazioni e merci di grande valore si rendeva necessario infatti individuare alcuni luoghi in cui gli scafi fossero meno in balia di elementi naturali e mareggiate. Da qui l'individuazione di approdi naturali attraverso i quali avvicinare le imbarcazioni, le merci e i passeggeri alla riva. Si sono già visti sopra casi esemplari di insediamenti lacustri e fluviali che rispondevano a queste esigenze. Nel corso del tempo poi, la specializzazione del trasporto su acqua e dell'arte di costruire le condizioni essenziali al ricovero delle imbarcazioni avrebbe dato luogo a quella ulteriore suddivisione nominale, oltre che essenziale, che schematicamente potrebbe essere sintetizzata in: porti naturali, artificiali, militari, mercantili, fluviali, marittimi e porticanale. Ciò che li differenzia non è solo la loro origine (naturale o non), ma anche la loro destinazione d'uso (trasporto turistico, passeggeri, mercantile e militare) ed infine la stessa collocazione geografica (il porto-canale ad esempio è posto nel punto di sbocco in mare di un canale). Anche tra i grandi porti italiani è possibile operare questa distinzione, derivata dalla destinazione d'uso e dal tipo di flotta accolta (Taranto è prevalentemente militare, Ancona è turistico e mercantile; Brindisi è turistico; Genova ha una grande vocazione mercantile, industriale e di trasporto passeggeri). Il porto di Ancona è il primo porto italiano per traffico internazionale di veicoli e passeggeri, con oltre 1,5 milioni di passeggeri e 200.000 TIR ogni anno, e uno dei primi dell'Adriatico per le merci; per ciò che riguarda la pesca, i mercati ittici di Ancona sono nel loro insieme al secondo posto nell'Adriatico e al sesto posto in ambito nazionale. I Dori, che nel 387 a.C. fondarono la città di Ancona, si fermarono in questo luogo per le possibilità che il porto naturale offriva. La costa infatti forma un gomito, da cui il nome Ancona (Ankon, in lingua greca gomito), che offre un riparo naturale dal mare. Ma già nel III secolo a.C. il golfo era usato dai Piceni per gli scambi commerciali con i Greci. Oggi il porto ha raggiunto primo posto in Italia per il numero di vetture imbarcate e per il numero di passeggeri (soprattutto per coloro che utilizzano i traghetti diretti nei paesi dell'Europa orientale); per le merci in contenitore è tra i primi sei dell'Adriatico, compresi quelli non italiani; per la pesca è tra i primi porti d'Italia. Maó è un comune spagnolo di 29.125 abitanti situato nella comunità autonoma delle Baleari, sull'isola di Minorca. È il comune più orientale della Spagna. Il suo porto naturale è uno dei più grandi d'Europa, ed è stato storicamente la porta di accesso di numerose civiltà vista la sua posizione strategica nel centro del Mediterraneo. Una fortezza naturale aperta al mare che è stata il rifugio più ambito del Mediterraneo per sfuggire ai venti di tramontana, alla furia del mare e soprattutto a le incursioni nemiche. I Fenici, 3.000 anni fa, la denominarono Maghen, termine che significa “conchiglia”. Anche i Cartaginesi furono protagonisti della storia della città, fino al punto che l'origine del suo nome potrebbe derivare dal generale Magone Barca (Magón), fratello di Annibale che si installò sull'isola intorno al 205 a.C. La città crebbe con il passaggio dei romani che la promossero municipio e, con la presenza musulmana, la capitale fu cambiata in favore di Ciutadella. Gli episodi di invasioni e dominazioni, arrivarono ad un punto drammatico nel 1535, un anno di disgrazia, quando il temuto pirata Barbarossa rase al suolo la città e catturò centinaia di abitanti facendoli schiavi ed esiliandoli nel Nordafrica. Nonostante i Vandali, la fame ed altre calamità, la città di Maó iniziò un lento recupero economico ed uno sviluppo urbanistico che la portò ad una crescita considerevole negli anni successivi, fino ad arrivare al suo massimo splendore nel secolo XVIII, quando inglesi, francesi e spagnoli si contesero il controllo della città. Fin dalla prima dominazione inglese nel 1722, la città di Maó diventò la capitale amministrativa dell'isola. L'attività portuale crebbe, ed il transito di flotte da tutto il mondo si intensificò facendo così fiorire un'importante borghesia. In quell'epoca si costruirono gli edifici più significativi e Maó cominciò ad acquisire una personalità che ancor oggi è visibile nelle sue strade. L’isola di Minorca e il porto di Maò Questo continuo ricambio di civiltà, ha contribuito a trasformare Mahón in una ricca combinazione di culture. Oggi è una città aperta e cosmopolita con un forte carattere ospitale ed un equilibrio perfetto fra tradizione e modernità. Il Pireo è un comune dell'Attica situato a poco più di 10 km a sud-est del centro di Atene, con la quale è unito senza soluzione di continuità per il tramite di una serie di sobborghi. Si tratta del comune più popoloso dell'Attica dopo Atene, con una popolazione di 175.697 abitanti su 10.9 km², mentre la sua prefettura ha 466.065 abitanti su un totale di 50 km².Insieme ad Atene e ai sobborghi attici fa parte dell'hinterland ateniese, che conta 4.013.368 abitanti. È il più grande porto della Grecia e il maggiore d'Europa per numero di passeggeri, nonché il terzo del mondo, con un traffico di oltre 20 milioni di passeggeri l anno. E’ inoltre uno dei più grandi porti commerciali d Europa nonché il maggiore dell'est del Mediterraneo per traffico di container. Porto naturale con diverse insenature e porticcioli secondari, la sua importanza nell'economia dell'Attica e della Grecia si può rintracciare fin dall'antica Grecia. In particolare dal V secolo a.C., quando divenne il porto dell'Atene classica, contribuendo così alla sua crescita economica e militare. Il leggendario porto venne fortificato e reso uno dei simboli della grande strategia militare dell'Atene classica, da Temistocle nel 493 a.C. La città è stata teatro di numerosi eventi storici come la tragica fine, per gli ateniesi del periodo classico, della Guerra del Peloponneso: nel V secolo a.C., a protezione della via che collegava il grande porto con Atene, vennero edificate le Lunghe Mura, mura colossali che collegavano il porto ( come anche quello di Falero) con la grande città. Esse assicuravano non solo la protezione dei due porti, ma anche un sicuro collegamento con il mare pure in caso di assedio. Erano l'elemento chiave della strategia di difesa di Atene. Furono distrutte dagli spartani proprio alla fine della epica Guerra del Peloponneso, evento che sancì la definitiva sconfitta degli ateniesi. Furono successivamente ricostruite dagli ateniesi, con l'aiuto dei Persiani, durante la guerra di Corinto. Sydney, nell'Australia sud-orientale, capitale dello stato del Nuovo Galles del Sud, è la città australiana più antica (fu fondata nel 1788) e più popolosa. Insieme a Melbourne, sua eterna rivale per il titolo di città più importante d'Australia, rappresenta il cuore finanziario, commerciale e culturale della nazione. La città di Sydney, comune che comprende il nucleo storico sviluppatosi attorno al Sydney Cove, copre una piccola area di soli 25 km² per 169.505 abitanti, mentre la Grande Sydney è un'area metropolitana molto più vasta, che ricopre l'intero bacino del Parramatta, estendendosi dalla baia di Port Jackson fino a quella di Botany e verso l'interno, con una popolazione di oltre 4,5 milioni di residenti. Sydney è una meta importante per il turismo locale e internazionale ed è stata più volte premiata come una delle città più belle e vivibili del mondo; è ammirata per la sua baia, la bellissima costa, il clima caldo e piacevole e la cultura cosmopolita. L’attuale porto si è sviluppato attorno a un porto naturale, Port Jackson. Secondo la definizione geografica adottata dal Nuovo Galles del Sud Port Jackson è l'insenatura che comprende le acque che tracciando una linea immaginaria uniscono North Head e South Head. Questa insenatura lega tra loro il North Harbour, il Middle Harbour e il Sydney Harbour. Il territorio circostante Port Jackson era occupato prima della sua scoperta e colonizzazione da varie tribù aborigene . La scoperta dell'area di Port Jackson viene attribuita a James Cook nel 1788. Cook diede il nome al porto dopo che Sir George Jackson, avvocato e giudice della flotta, notò che era un buon punto di ancoraggio. Il governatore Arthur Phillip stabilì qui la prima colonia d'Australia, posizionata all'interno di Port Jackson, nel 1788 dalla quale prese origine la città di Sydney. In un dispaccio della colonia mandato in Inghilterra notò che: «...abbiamo avuto la soddisfazione di trovare il più bel porto del mondo, in cui un migliaio di vascelli possono navigare in perfetta sicurezza...» Port Jackson ha una estensione di circa 19 km ed occupa un'area pari a 55 km², il suo volume d'acqua risulta essere pari a circa 562.000 megalitri, complessivamente il suo perimetro risulta pari a 317 chilometri. Le aree di Port Jackson e di Port Hacking sono connesse dalla Botany Bay. Insediamenti collinari e di altitudine Anticamente la collina è stata spesso scelta dall'uomo come luogo di insediamento per le sue favorevoli caratteristiche climatiche, per la maggior possibilità di difesa dagli attacchi nemici e per la fertilità del terreno che, in caso di pendenza eccessiva, veniva coltivato a terrazze. In diverse zone le colline sono state sede di insediamento perché i terreni pianeggianti circostanti erano interessati da ristagno idrico, con formazione di paludi e, molto spesso, caratterizzate dalla diffusione della malaria. Il caso di Roma è emblematico, anche se la presenza del fiume Tevere, via di comunicazione tra i paesi dell’interno e la costa, ha sicuramente influenzato in modo notevole i primi insediamenti e ne ha favorito l’ampliamento nei secoli. I castellieri Il castelliere (o castellare) è un piccolo insediamento, o villaggio, fortificato protostorico (età del bronzo e del ferro), sorto in genere in posizione elevata facilmente difendibile, in cui una situazione difensiva naturale veniva sfruttata e rafforzata dall'opera dell'uomo. Le fortificazioni sono in genere costituite da aggeri e palizzate di legno e sono per lo più, ma non sempre, a pianta circolare. Al villaggio fortificato sono a volte associate necropoli esterne, anticamente ad inumazione con il defunto racchiuso entro cassette costituite da lastre pietrose, impreziosite da vasi e martelli. Nell'età del ferro, invece, le necropoli sono ad incinerazione ed i reperti sono più vasti, comprendenti ossuari, anelloni, ossa di cervo, oggetti metallici. Spesso le loro ubicazioni ben difendibili sono state riutilizzate sia ai tempi degli antichi romani, sia durante il Medioevo. I castellieri caratterizzano la cultura dei castellieri, sviluppatasi in Istria e nelle zone limitrofe (Venezia Giulia e Friuli) tra il XV e il III secolo a.C. Altri castellieri piuttosto noti e studiati in Italia, si trovano in Umbria, in particolare negli altopiani dell'appennino umbro-marchigiano, come ad esempio quelli del monte Orve o del monte Cassicchio sugli altopiani di Colfiorito. Al di fuori dell'Italia, insediamenti a castelliere sono stati rinvenuti in Francia, nella Penisola balcanica, nell'Europa Settentrionale e Centrale. Erano dei borghi fortificati, generalmente situati su montagne e colline o, più raramente, in pianura (Friuli sudorientale), e costituiti da una o più cinte murarie concentriche, dalla forma rotonda, ellittica (Istria e Venezia Giulia), o quadrangolare (Friuli), all'interno delle quali si sviluppava l'abitato. Va rilevato che lo spessore delle mura poteva raggiungere anche i quattro o i cinque metri, mentre per quanto riguarda l'altezza questa era generalmente compresa fra i cinque e i sette metri. Erano dunque delle cinte piuttosto massicce il cui perimetro poteva misurare anche due o tre chilometri. La tecnica costruttiva era a sacco: venivano edificati due muri paralleli costituiti da grandi blocchi di pietra e riempiti, nello spazio interno, da piccole pietre, terra ed altri materiali residuali. Le case di abitazione, generalmente di modeste dimensioni e dalla forma circolare (spesso a trullo) avevano una base di pietra calcarea o arenaria e per il resto erano costruite con materiali deperibili, soprattutto legno. In Istria, Friuli, e Venezia Giulia sono rimaste alcune centinaia di castellieri fra cui quello di Leme, in Istria centro-occidentale, di Elleri, nei pressi di Muggia, di Monte Giove, in prossimità di Prosecco (Trieste), di Slivia, frazione del comune di Duino-Aurisina, e di S.Polo, (o della Gradiscata) non lontano da Monfalcone. Ma forse il castelliere più importante e popoloso era quello di Nesactium (Nesazio), nell'Istria meridionale, a pochi chilometri da Pola. Nesactium era circondata da una doppia cinta muraria e fu anche, per lungo tempo, capitale e massimo centro religioso della nazione degli Istri. Dopo la conquista romana, Nesactium, come molti altri castellieri istriani, giuliani e friulani venne trasformato in roccaforte militare. Ricostruzione di un castelliere carsico Il Castelliere di Rupinpiccolo (comune di Sgonico, in provincia di Trieste) è l’unico in Italia ad essere stato portato completamente alla luce, dopo anni di lavori iniziati nel 1970 e conclusisi nel 1974. La cinta muraria si estende per circa 240 m e racchiude una superficie abitativa di quasi 8000 mq che un tempo accoglieva al suo interno circa 200-300 persone. Costruito sul versante meridionale di una collina (la cui sommità è stata parzialmente distrutta da un’esplosione durante la prima guerra mondiale e il cui lato occidentale è stato asportato assieme a parte dell’abitato dalla creazione di una cava), il Castelliere di Rupinpiccolo presenta mura che vanno gradatamente da uno spessore di 2 metri (nel tratto iniziale) fino a raggiungere in altri punti i 4,5 metri Dopo la costruzione del Castelliere, una porta posta sul lato orientale del colle è stata chiusa per motivi a noi ignoti, così come un varco posto sulla cima è stato ostruito dalla costruzione di due gradini di sostegno che conducevano probabilmente alla scala di un bastione oggi scomparso. Per poter edificare le costruzioni all’interno del Castelliere gli uomini ridussero la pendenza collinare creando 4 terrazzamenti ottenuti con l’accumulo di ammassi di pietre sostenute da grossi blocchi. Le alte mura che circondavano l’abitato raggiungevano probabilmente i 5 metri di altezza e la loro costruzione con spigoli e pianta quadrangolare invalida la credenza che tutti i castellieri carsici avessero una cinta di forma circolare. I materiali rinvenuti all’interno dello scavo fanno risalire il Castelliere all’Età del Ferro (iniziata nella nostra zona nell’XI sec.), periodo in cui la cultura dei castelliere raggiunse il massimo splendore. Cortona Cortona è un comune italiano di 23.036 abitanti in provincia di Arezzo, principale centro culturale e turistico della Val di Chiana aretina. Al confine tra Toscana ed Umbria, Cortona si trova su una collina di circa 600 metri sul livello del mare, in vista del lago Trasimeno. Il territorio cortonese riflette il clima tipico delle zone sub-mediterranee appenniniche, presentando una piovosità minima nei mesi estivi e massima in quelli autunno-invernali. Le precipitazioni annue sono comprese fra i 500 e i 1500 mm. Le temperature nei mesi di luglio e agosto superano i 30 °C, mentre nel mese di gennaio possono arrivare al di sotto dello zero. Tra il VIII e il VII secolo a.C., Cortona divenne un'importante lucumonia etrusca. Molto probabilmente, Cortona divenne una città molto potente grazie alla sua posizione strategica, che permetteva un ampio controllo dei territori che facevano parte della lucumonia. Furono costruite proprio dagli Etruschi nel IV secolo a.C. le imponenti mura che circondano la città per circa tre chilometri, le tombe nobiliari "a melone" sparse nei dintorni della città e il monumentale altare funerario adornato da sfingi, esempio unico in Italia. A Cortona è stata ritrovata anche la Tabula Cortonensis, una lamina bronzea con una delle più lunghe iscrizioni in lingua etrusca. Nel 310 a.C. molte città etrusche furono sottomesse a Roma. Cortona strinse un'alleanza con Roma, che però non fu rispettata portò ad un violento scontro nei pressi del Trasimeno. Nel 450 d.C. i Goti occuparono Cortona, facendole perdere sempre più la sua fama. Le notizie dell'Alto Medioevo cortonese non sono molto chiare riguardo al ruolo della città durante la diffusione del cristianesimo. Infatti non è stato possibile stabilire se Cortona sia stata o meno sede vescovile. In seguito, è stata comunque sottoposta alla curia di Arezzo. Dal XIII secolo in poi la città fu un libero comune, governato da un podestà, che si alleò con Perugia per difendersi dagli Aretini durante le lotte tra guelfi e ghibellini. Lo scontro tra guelfi e ghibellini caratterizza la storia duecentesca di Cortona. Nel 1232, alleati con i Fiorentini, i Cortonesi occupano la città rivale. Nel 1258 Cortona venne però occupata e saccheggiata dall'esercito aretino, aiutato dagli stessi guelfi cortonesi. Tre anni dopo i ghibellini di Cortona ripresero la città, grazie all'alleanza stretta con Siena. Nel XIV secolo, il pontefice Giovanni XXII decise di conferire lo status di diocesi a Cortona, compresa l'impossibilità di convivenza della città con il vescovado aretino. Fino agli inizi del Quattrocento la città fu affidata ai Casali, cui si deve l'omonimo palazzo. Nel secolo XV Cortona entrò a far parte della Repubblica fiorentina e ne divenne una cittadina importante dal punto di vista militare in quanto punto cruciale della sua difesa, ma nel 1509, dopo un secolo di tranquillità, venne coinvolta nella guerra tra l'esercito spagnolo e Firenze, subendo l'assalto del principe Filiberto d'Orange; Cosimo I de' Medici decise la costruzione della fortezza del Girifalco nel 1549 e Cortona divenne anche sede di un capitanato. Nel secolo XVII, in sostituzione dell'estinta dinastia dei Medici subentrarono gli Asburgo-Lorena, Granduchi di Firenze, che opereranno imponenti bonifiche alla campagna cortonese col miglioramento delle infrastrutture civili. Nel 1727, in epoca leopoldina, nacque, per opera dei fratelli Venuti, l'Accademia Etrusca, quale centro di ricerca ante litteram della civiltà etrusca, che per la sua innovatività richiamava l'attenzione degli intellettuali di mezza Europa. Successivamente la città di Cortona conobbe nuovamente la violenza quando le truppe di Napoleone nell'anno 1799, tentarono di occuparla. Restituita al Granducato di Toscana, Cortona si ribellò anche a questo partecipando attivamente ai moti rinascimentali conclusisi col Plebiscito del 1860, in cui i cortonesi sanciscono la loro definitiva appartenenza all'Italia unita. Nel XX secolo, la città dal punto di vista economico ha vissuto un momento di ordinato sviluppo, con la meccanizzazione delle campagne e, parallelamente, grazie al migliorato status sociale e finanziario, ha goduto della valorizzazione dei suoi prodotti della terra , nonché della pregiata carne bovina di razza “chianina” Volterra Volterra, città toscana della provincia di Pisa, si trova a un’altitudine di 531 m s.l.m. e si estende su una superficie di 252,85 km². Ha una popolazione di ca. 11.000 abitanti Celebre per l'estrazione e la lavorazione dell'alabastro, la città conserva un notevole centro storico di origine etrusca (di questa epoca rimane la Porta all'Arco, la Porta Diana, gran parte della cinta muraria, costruita con ciclopici blocchi di pietra locale; l'Acropoli, dove sono presenti due templi, vari edifici ed alcune cisterne; e numerosissimi ipogei utilizzati per la sepoltura dei defunti), con rovine romane ed edifici medievali come la Cattedrale, la Fortezza Medicea ed il Palazzo dei Priori sull'omonima piazza, il centro nevralgico dell'abitato. In epoca etrusca era chiamata Velathri, in seguito adattato al latino Volaterrae. Volterra faceva parte della confederazione etrusca, detta dodecapoli etrusca o lucumonie. Data la collocazione interna e collinare, Volterra riceve saltuariamente precipitazioni nevose di una certa consistenza. Il colle su cui sorge Volterra era abitato già durante la prima età del ferro come confermano le grandi necropoli villanoviane delle Ripaie e della Guerruccia, situate sui versanti che guardano a ovest e a nord. Gli insediamenti presenti lungo le colline trovarono il loro punto di incontro nell'area della necropoli dove, intorno alla fine dell'VIII secolo a.C., iniziarono a svolgere mercati e realizzare aree di culto dando vita al processo di sinecismo che dette vita al primo nucleo urbano della città. I reperti archeologici riferibili ai secoli VII e VI a.C. sono abbastanza scarsi ma mostrano una persistenza della cultura villanoviana accanto a le prime testimonianze della cultura orientalizzante. A partire dalla seconda metà del VI secolo a.C. Volterra ingrandì le mura a difesa dell'acropoli fino a raggiungere una circonferenza di circa 1800 metri, in pratica il piano sottostante la vetta del colle; questo processo si completò ai primi del V secolo a.C. Le mura, ancora oggi per gran parte visibili, vennero costruite alla fine del IV secolo a.C. ed avevano un'estensione di 7300 metri; oltre all'accresciuto centro urbano proteggevano anche i pascoli necessari per far sopravvivere le greggi degli abitanti dei dintorni che si rifugiavano all'interno salvarsi dai saccheggi che speso i Galli e i Liguri effettuavano in queste zone. Dal IV secolo a.C. in avanti i reperti archeologici aumentano ed è possibile ripercorre la storia della città. La città raggiunse il suo massimo splendore quando le città etrusche meridionali (Veio, Tarquinia, Cerveteri, Vetulonia ecc..) iniziarono a decadere a causa della loro vicinanza con la nascente potenza di Roma. Volterra era collocata molto più lontano e soprattutto era situata su un colle difficilmente accessibile e protetto da mura possenti. In quel periodo la città ebbe un grande sviluppo della sua economia basata sullo sfruttamento delle miniere di rame e di argento poste nei dintorni; oltre ai minerali il territorio volterrano era ricco di pascoli, foreste e di attività agricole. Il vicino fiume Cecina e la sua valle furono la naturale via di comunicazione verso il mare e favorì anch'essa i commerci. La vita politica e sociale era dominata dalla aristocrazia locale, con a capo la famiglia dei Ceicna, che garantirono un notevole benessere e anche una certa indipendenza. La parziale indipendenza venne mantenuta anche quando Velathri fu costretta, ultima tra le Lucumonie etrusche, a riconoscere la supremazia di Roma e a entrare nella confederazione italica con il nome di Volaterrae; questo accade alla metà del III secolo a.C. La città mantenne dei buoni rapporti con Roma e nel corso della seconda guerra punica fornì al Scipione grano e navi. La fedeltà venne ricompensata e nel 90 a.C. i volterrani ottennero la cittadinanza romana. Pochi anni dopo la città venne coinvolta nella guerra civile tra Mario e Silla schierandosi con Mario e accogliendo, all'interno delle sue mura, i resti dell'esercito mariano; Silla diresse personalmente l'assedio alla città che resistette per due anni (82-80 a.C.);[5] dopo due anni d'assedio la popolazione era stremata e la città si arrese subendo un devastate saccheggio. Volterra e i suoi abitanti furono privati del diritto di cittadinanza e il suo territorio fu dichiarato ager publicus. Dopo l'abdicazione di Silla, Volterra, difesa da Cicerone, amico dei Caecinae (i Ceicna dell'epoca etrusca) la più potente famiglia volterrana, riuscì a ritornare in possesso di gran parte delle terre confiscate e a godere di un periodo di prosperità e di crescita urbanistica testimoniato dalla costruzione del teatro e da un quartiere residenziale posto nell'area di Vallebona. Ma furono gli ultimi bagliori. La città era isolata dal punto di vista viario, non era più necessaria come fortezza dopo l'assoggettamento dei Galli, il trasferimento nella capitale delle famiglie più ricche e la crisi economica che colpì i municipi italici nel I secolo d.C. portò la città a decadere in epoca imperiale. Negli anni della crisi e della decadenza dell'impero romano, Volterra non ha lasciato nessuna notizia di sé. Nel V secolo d.C. Volterra divenne sede di una diocesi il cui vastissimo territorio ricalcava quello della Lucumonia e del municipio romano; nello stesso secolo venne fondato il tempio di Santa Maria, il primo duomo della città. Nei secoli seguenti la città venne governata dai Longobardi e dai Franchi fino ad arrivare al IX - X secolo quando iniziò il potere temporale dei vescovi. Il potere vescovile fu favorito dagli imperatori che concessero loro il governo della città e i vescovi lo estesero alle vicine città di San Gimignano e Colle Val d'Elsa. Il potere vescovile toccò il suo culmine all'epoca di Galgano Pannocchieschi, vescovo e governatore di Volterra per conto di Federico Barbarossa. Il suo governo dispotico fu anche la causa dell'inizio della rivolta contro quel potere. Lo stesso Galgano venne massacrato dal popolo inferocito sulla soglia del duomo nel 1170. I capi della rivolta anti-vescovile furono i locali signori feudali e gli esponenti della nascente borghesia comunale. Nel 1208 venne iniziata la costruzione del Palazzo dei Priori, il simbolo e la sede del potere comunale. Il XIII secolo vide la costruzione di numerose case-torri, delle vere e proprie fortezze private per la difesa delle famiglie nobili, impegnate in frequenti e violente lotte di potere. Nello stesso secolo vennero costruite anche le mura medievali, tuttora esistenti. A cavallo tra il XIII e il XIV secolo anche a Volterra divamparono le lotte tra Guelfi e Ghibellini. Il comune di Volterra era circondato da potenti vicini come Firenze, Siena e Pisa in piena espansione territoriale, ma grazie a una saggia politica di buone relazioni seppe garantirsi l'indipendenza. Nel 1340 i Belforti diventarono signori di Volterra. Il primo vero signore fu Ottaviano Belforti politicamente fu molto vicino a Firenze. Ottaviano rimase signore fino alla morte, giunta nel 1348; i suoi anni di governo videro la costruzione della parte meridionale della Fortezza, soprattutto la torre del Duca d'Atene, localmente nota come "Femmina", da cui è possibile dominare la città. Il successore di Ottaviano fu il figlio Bocchino, che governò come un tiranno e si alienò la fiducia dei volterrani e soprattutto di Firenze. Perso l'appoggio di Firenze, Bocchino cerco di vendere la città ai pisani ma il popolo insorse e tento di linciarlo; Bocchino riuscì a scampare al linciaggio ma dopo un processo sommario venne decapitato sulle scale del palazzo dei Priori il 10 ottobre 1361. Dopo la sua morte i Belforti vennero cacciati dalla città e Volterra cadde sotto il controllo di Firenze. I fiorentini riconobbero l'indipendenza della città ma fu solo un atto formale. Nella realtà Firenze sceglieva il Capitano del popolo e i Gonfalonieri solo tra persone di sua fiducia e nel 1427 anche qui fu imposta la legge del Catasto fiorentino. Per Firenze Volterra era ormai un suo suddito. Ma i volterrani non si sentivano sudditi e contestarono il provvedimento ma alla Firenze ritornò padrona. La definitiva sottomissione di Volterra avvenne nel 1472. Due anni prima erano state scoperte delle miniere di allume il cui sfruttamento aveva riacceso le faide familiari tra i nobili volterrani. Lorenzo il Magnifico ne approfittò e si schierò dalla parte della famiglia Inghirami anche se in realtà era Firenze e lui stesso a volere il controllo delle miniere. Per riportare ordine in città venne inviato un esercito composto da 7000 uomini con a capo Federico da Montefeltro; i soldati misero a ferro e fuoco Volterra, la saccheggiarono orrendamente e inoltre buttarono giù quasi tutte le case-torri. Per controllare definitivamente la città venne ampliata la fortezza dove venne edificata anche la torre detta il Mastio, simbolo della potenza fiorentina. Volterra fu trascinata anche nelle vicende della repubblica di Firenze (1527-1530). La città si schierò dalla parte dei Medici, sostenuti dall'imperatore Carlo V e papa Clemente VII. Francesco Ferrucci, commissario della Repubblica, la occupò e vi si asserragliò con i suoi uomini nell'estate del 1530. La città venne assediata dalle milizie di Fabrizio Maramaldo e dalle truppe spagnole ma i volterrani dettero aiuto al Ferrucci. L'assedio fu lungo e più volte vennero tentati degli assalti poi gli imperiali tolsero l'assedio e il saccheggio sembrava scampato. Ma Francesco Ferrucci e i suoi uomini depredarono le case e le chiese di tutto l'oro e l'argento disponibile per farne moneta. Dopo il definitivo rientro dei Medici a Firenze, Volterra seguì le vicende del neonato Granducato di Toscana. Il Seicento e il Settecento furono secoli in cui la città subì una grossa flessione demografica causata dalla crisi economica che colpì la Toscana del tempo e accelerata dalle epidemie di peste del 1630 e del 1656 ma anche dalla disastrosa siccità del 1732. Una ripresa si ebbe dopo il passaggio del Granducato ai Lorena. Nel XVIII secolo la lavorazione dell'alabastro trovò nuovi sbocchi commerciali e l'economia cittadina ne beneficiò. Nel 1796 la città venne occupata dalle truppe francesi ma nel 1802 le truppe fedeli al Granduca condotte da Inghiramo e Curzio Inghirami cacciarono i francesi. Tuttavia dopo l'annessione del Granducato alla Francia, Volterra divenne una sottoprefettura napoleonica. Questo stato di fatto durò dal 1808 al 1814 e in questo periodo numerose opere d'arte vennero rubate dalla città Il ritorno al potere dei Lorena, nel 1814, coincise con un momento di ripresa economica e di crescita demografica. Negli anni seguenti si ebbe l'industrializzazione della produzione del sale e il grande sviluppo della manifattura legata alla lavorazione dell'alabastro. Nel 1843 Volterra contava 11.000 abitanti. Gli anni del secondo periodo lorenese videro l'ampliamento delle strade di accesso alla città. Il Risorgimento vide la costituzione, nel 1849, della Guardia civica, espressione delle aspirazioni liberali dei cittadini. Nel 1860 la quasi totalità della popolazione votò si all'annessione al Regno d'Italia. Il maggior evento della vita volterrana fino alla fine del XIX secolo fu la costruzione dell'Asilo per Dementi, che nel XX secolo divenne uno dei più grandi d'Italia e la fonte primaria per l'occupazione degli abitanti. Nel 1912 venne inaugurata la linea ferroviaria Saline-Volterra dotata del sistema a cremagliera e rimasta in attività fino al 1958. San Gimignano San Gimignano è un comune italiano di 7.770 abitanti situato in provincia di Siena, in Toscana. Il territorio comunale di San Gimignano si estende per 138 chilometri quadrati ed è posto su un'alta collina nella Val d'Elsa. Il dislivello altimetrico è compreso tra un minimo di 64 metri s.l.m. nella piana del fiume Elsa presso Certaldo ad un massimo di 631 metri nella zona del Cornocchio; il capoluogo è posto a 324 m s.l.m. San Gimignano sorse su un sito abitato sicuramente dagli etruschi, almeno dal III secolo a.C., come testimoniano i numerosi ritrovamenti archeologici (soprattutto tombe) nel territorio circostante. Il colle era stato scelto sicuramente per questioni strategiche, essendo dominante (324 m s.l.m.) sull'alta Val d'Elsa. Sulle pendici del Poggio del Comune (624 m s.l.m.) sono presenti i ruderi di Castelvecchio, un villaggio di epoca longobarda. La prima menzione del centro scritta risale al 929. Nel Medioevo la città si trovava su una delle direttrici della via Francigena, una delle arterie più battute nel Medioevo tra Roma e i paesi europei.Il borgo era anche un punto di intersezione con la strada fra Pisa e Siena. Secondo la tradizione il nome derivò dal santo vescovo di Modena, che avrebbe difeso il villaggio dall'occupazione di Attila. La prima cinta muraria risale al 998 e comprendeva il poggio di Montestaffoli, dove già esisteva una rocca sede di mercato di proprietà del vescovo di Volterra, e il poggio della Torre con il castello vescovile. Verso il 1150, nonostante l'apertura di un nuovo tracciato della Francigena, San Gimignano continuò ad essere un centro emergente, con una politica di espansione territoriale e una significativa crescita delle attività commerciale. Fu in questo periodo che si formarono due "borghi" al di fuori delle mura: quello di San Matteo, verso Pisa, e quello di San Giovanni, verso Siena, entrambi lungo una nuova "via maestra", che vennero inglobati nelle mura con il nuovo tracciato completato nel 1214. Nel 1199, nel pieno del suo splendore economico, il paese guadagnò la propria indipendenza comunale rispetto ai vescovi di Volterra. Non mancarono le lotte intestine tra guelfi e ghibellini (rispettivamente capeggiati dagli irriducibili Ardinghelli e Salvucci), ma al XIII secolo, sotto i ghibellini, risale il periodo di maggior splendore economico, che si basava sul commercio dei pregiati prodotti agricoli locali, tra i quali il più ricercato era lo zafferano, venduto in Italia (Pisa, Lucca, Genova) e all'estero (Francia e Paesi Bassi, fino anche alla Siria e all'Egitto). Inoltre, al pari di altri centri toscani, si diffuse la speculazione finanziaria e l'usura. La solida economia permise la creazione di un ceto aristocratico urbano, che espresse la propria supremazia politica e sociale nella costruzione delle torri: nel Trecento si arrivò a contare 72 torri (oggi ne rimangono forse 14). Gli ingenti capitali accumulati vennero investiti nel corso del Duecento in importanti opere pubbliche, che diedero alla cittadina l'articolazione degli spazi urbani visibile ancora oggi. Nel 1251 le mura inglobarono Montestaffoli, ma pochi anni dopo, nel 1255, la città venne presa dai guelfi di Firenze che ordinarono la distruzione delle mura. Riacquistata l'indipendenza nel 1261 e tornata la supremazia ghibellina dopo la battaglia di Montaperti, i sangimignanesi ricostruirono le mura comprendendo anche il poggio della Torre. Da allora la conformazione cittadina venne suddivisa in quattro contrade, ciascuna corrispondente ad una porta principale: quella di Piazza, di Castello, di San Matteo e di San Giovanni. Gli ordini religiosi, appoggiati dal comune, si insediarono in città a partire dalla metà del Duecento: i francescani fuori porta San Giovanni (1247), gli agostiniani alla porta San Matteo (1280), i domenicani a Montestaffoli (1335) e le benedettine di San Girolamo presso la porta San Jacopo (1337). Il Trecento fu un secolo di crisi che non risparmiò San Gimignano: travagliata dalle lotte interne, essa fu pesantemente colpita dalla peste nera e dalla carestia del 1348, che decimò la popolazione. Nel 1351 la città stremata si consegnò spontaneamente a Firenze, rinunciando alla propria autonomia ed a un ruolo politico nello scacchiere toscano. Risale a quell'anno la Rocca di Montestaffoli, mentre nel 1358 vennero rinforzate le mura. Nonostante il declino economico e politico, il XIV e XV secolo furono importanti dal punto di vista artistico, grazie alla presenza in città di numerosi maestri, senesi o più spesso fiorentini, chiamati soprattutto dagli ordini religiosi ad abbellire i propri possedimenti. Il declino e la marginalità della città nei secoli successivi furono le condizioni che permisero la straordinaria cristallizzazione del suo aspetto medievale. Alla fine del XIX secolo si cominciò a riscoprire la particolarità e la bellezza della cittadina, che venne sottoposta integralmente a vincolo monumentale nel 1929. Nel 1990 è stata dichiarata dall'UNESCO patrimonio culturale dell'Umanità. Orvieto Notizie attendibili riguardanti i primi insediamenti umani risalgono al VII secolo a.C., ma è da ritenersi che il luogo fosse già abitato sin dall'Età del bronzo e del ferro. Le testimonianze archeologiche di epoca etrusca, fornite da campagne di scavo e studi condotti negli ultimi anni, offrono un quadro abbastanza attendibile, anche se ancora incompleto, della città antica, identificata dopo molte incertezze e polemiche tra etruscologi, nella città di Velzna, una delle dodici città-stato etrusche. Denominata dai romani "Volsinii" sorgeva nei pressi di un famoso santuario etrusco, Fanum Voltumnae, meta ogni anno degli abitanti dell'Etruria che vi confluivano per celebrare riti religiosi, giochi e manifestazioni. La città ebbe, dall'VIII al VI secolo a.C., un notevole sviluppo economico, di cui beneficiavano principalmente ricche famiglie in un regime fortemente oligarchico, e un incremento demografico che, nella composizione della popolazione, mostra l'apertura ad una città multietnica; di tutto ciò si ha riscontro dai resti della città sulla rupe e principalmente dalle vicine necropoli. La città raggiunse il massimo splendore tra il VI e il IV secolo a.C., diventando un fiorente centro commerciale e artistico, con una supremazia militare garantita dalla sua posizione strategica che le dava l'aspetto di una fortezza naturale. Tra la fine del IV e l'inizio del III secolo a.C. l'equilibrio sociale che aveva permesso la crescita della città, si incrinò. I ceti subalterni conquistarono il governo della cosa pubblica, il dissidio tra le classi divenne violento, finché i nobili non chiesero aiuto ai Romani. Questi, nel 264 a.C., colsero l'occasione per inviare l'esercito a Volsinii e, invece di sottometterla, la distrussero e deportarono gli abitanti scampati all'eccidio sulle rive del vicino lago di Bolsena, dove sorse Volsinii Novi (Bolsena). Non si conosce il motivo di tale accanimento dei Romani nei confronti della città che, secondo le notizie letterarie, trasportarono a Roma oltre duemila statue razziate dai santuari orvietani, ed evocarono nell'Urbe il dio Vertumnus, la principale divinità degli Etruschi. La traslazione della città fisica della Orvieto antica da un sito all'altro si ripeterà in senso inverso provocata ancora da altre invasioni. Fu rifondata allora sulla rupe orvietana la cittadella altomedievale di Ourbibentos che, nell'arco di qualche secolo, diverrà una nuova città con il nome di Urbs Vetus (città vecchia). Dopo il crollo dell'Impero Romano d'Occidente, Orvieto divenne dominio dei Goti fino al 553 quando, dopo una cruenta battaglia e un assedio, fu conquistata dai Bizantini di Belisario. Successivamente, dopo l'istituzione del Ducato di Spoleto, divenne longobarda. Poco prima dell'anno Mille la città, posta sulla linea di confine dell'Italia bizantina, di cui costituiva un importante nodo strategico, tornò a rifiorire, espandendo il suo tessuto urbanistico con la costruzione di fortificazioni, palazzi, torri e chiese. Orvieto, sede residenziale delle corti pontificie in ripetute occasioni, è la Città del Corpus Domini: da qui, l'11 agosto 1264, papa Urbano IV istituì la solennità universale cristiana del Corpus et Sanguis Domini, celebrata in tutto il mondo cattolico. L'officio della messa fu redatto da San Tommaso d'Aquino, cattedratico nello Studium orvietano. Si costituì in Comune, ma anche se non faceva parte ufficialmente del patrimonio di San Pietro, si trovava sotto il suo controllo; per essere riconosciuto governo comunale ebbe bisogno di una dichiarazione di consenso da parte di papa Adriano IV nel 1157. Nel XII secolo Orvieto, forte di un agguerrito esercito, iniziò ad ampliare i propri confini che, dopo vittoriose battaglie contro Siena, Viterbo, Perugia e Todi, la videro dominare su un vasto territorio che andava dalla Val di Chiana fino alle terre di Orbetello e di Talamone sul mar Tirreno. In questa sua espansione, Orvieto si era fatto un potente alleato: Firenze (rivale di Siena) che ne aveva appoggiato l'ascesa. I secoli XIII e XIV furono il periodo di massimo splendore per Orvieto che, con una popolazione di circa trentamila abitanti (superiore perfino a quella di Roma), divenne una potenza militare indiscussa, e vide nascere nel suo territorio urbano splendidi palazzi e monumenti. Ma paradossalmente questa epoca vide anche il nascere di furibonde lotte interne nella città. Due famiglie patrizie, la guelfa Monaldeschi e la ghibellina Filippeschi, straziarono la città con cruenti battaglie che, insieme alle successive lotte religiose tra i Malcorini, filoimperiali, ed i Muffatti, papalini, indebolirono il potere comunale favorendo, nel 1354, la conquista da parte del cardinale Egidio Albornoz. In questo lasso di tempo altri avvenimenti, degni di nota, si erano registrati ad Orvieto:Papa Innocenzo III, dai pulpiti della chiesa di Sant'Andrea, aveva proclamato la IV crociata; nel 1281, nella stessa chiesa, alla presenza di Carlo I d'Angiò, veniva elevato al pontificato Papa Martino IV e, nel 1297, nella chiesa di San Francesco, avveniva la canonizzazione di Luigi IX di Francia, presente papa Bonifacio VIII. Dopo il cardinale Albornoz, Orvieto venne assoggettata a varie signorie: Rinaldo Orsini, Biordo Michelotti, Giovanni Tomacello e Braccio Fortebraccio per ritornare poi, nel 1450, definitivamente a far parte dello Stato della Chiesa, divenendone una delle province più importanti e costituendo l'alternativa a Roma per molti pontefici, vescovi e cardinali che vi venivano a soggiornare. I secoli XVII e XVIII furono periodi di tranquillità per la città. Sotto l'Impero Napoleonico assurse a cantone e più tardi, nel 1831, sotto la Chiesa, venne elevata a delegazione apostolica. Nel 1860, liberata dai Cacciatori del Tevere, fu annessa al Regno d'Italia.