2013 2014 STAGIONE Celestina laggiù vicino alle concerie in riva al fiume di Michel Garneau da Fernando de Rojas regia Luca Ronconi La Celestina che presenta un gentiluomo a una giovane Pablo Picasso, Suite 347. 1968 (5 agosto. III, Mougins) © Succession Picasso by SIAE 2013 Fondazione Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa Stagione 2013/14 67a dalla fondazione Soci Fondatori Comune di Milano Regione Lombardia Provincia di Milano Socio Sostenitore Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Milano Consiglio Generale Giuliano Pisapia Sindaco di Milano Roberto Maroni Presidente Regione Lombardia Guido Podestà Presidente Provincia di Milano Carlo Sangalli Presidente Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Milano Consiglio d’Amministrazione Claudio Risé Presidente Consiglieri Stefano Baia Curioni Emma Paola Bassani Federica Olivares Antonio Pastore Andrea Ragosta Dario Vermi Collegio dei Revisori dei Conti Marco Arisi Rota Presidente Revisori dei conti Marzia Provenzano Ugo Zanello Direttore Sergio Escobar Direttore Artistico Luca Ronconi Non è una forzatura credere che il vero protagonista di questa (ri)scrittura di Celestina di Garneau sia più un luogo che non un personaggio: laggiù vicino alle concerie in riva al fiume. Nel testo, spesso questa formula sostituisce lo stesso nome della protagonista. Sopravvive a lei, assassinata appena poco oltre la metà della commedia, che prosegue poi nella sua ineluttabilità. Celestina “non è” senza quel luogo: in fondo e all’origine di quel piano inclinato lungo il quale scorrono le parole e le vicende, in un fiume torbido, di gorghi; un fiume in cui a dominare non è mai il volere del singolo, ma la necessità, mai l’appagamento, ma il desiderio che, come ricorda Ronconi, muore “tra le mani”, appena queste lo appagano. Spesso vicino ai fiumi, scrive Garneau, “si tramano azioni tenebrose con cose o persone che vanno gettate in acqua, la notte”. Celestina vive accanto alle concerie, luogo di morte maleodorante e “riciclata”, riutilizzata, alla fine persino indossata. Di questo “piano inclinato” Celestina non è neppure, malgrado le apparenze, la forza motrice corruttrice, ma solo la rappresentazione. Inclinata è anche l’interpretazione dello spazio scenico voluta da Luca Ronconi. La stessa di Panico: tuttavia là tutto scorreva a frammenti sulla sua superficie, qui il testo si sviluppa sopra e sotto il palcoscenico, il “rappresentabile del teatro”. Luca Ronconi parla di “due inferni”; la scena li visualizza, nel suo moto perpetuo di botole, cardini, voragini, lasciando i corpi che si attraggono degli “innamorati” a consumarsi in passioni senza sbocco su scale e torri, mentre sotto i loro piedi l’altro inferno divora i servi e le “ragazze” di Celestina. Nel suo flusso di intrighi la mezzana Celestina non è priva di nostalgia per un passato lontano di giovinezza e bellezza che pur si è consumato nello squallore del mestiere: “se hai solo il corpo e non il mestiere ti prepari una povera vecchiaia” rimprovera Celestina a Elicia. Ogni vero piacere è negato ai protagonisti: il desiderio è solo atto di possesso che porta con sé la consunzione, che lascia infelice e vuoto Calisto (“perché non sono felice?” chiede al pubblico dopo l’appagamento, termine che coniuga sentimento e denaro). La coazione a ripetere non colma il vuoto. Persino quello per il denaro è motivo sproporzionato perché i servi uccidano Celestina. Su tutto domina la necessità, è ancora Ronconi a ricordarcelo, di quel piano inclinato che costringe “laggiù, alle concerie”, sconce come sconcia è la vecchiaia che morde la vita. Sergio Escobar Direttore Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa 3 Stagione 2013/14 Prima rappresentazione Teatro Strehler 30 gennaio 2014 Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Celestina laggiù vicino alle concerie in riva al fiume Collaboratori responsabili all’allestimento direzione tecnica Marco Rossi assistenti alla direzione tecnica Paolo Di Benedetto, Marco Gilberti direzione di scena Giuseppe Milani audio/video Rosario Calì capo macchinista Giuseppe Rossi capi elettricisti Claudio De Pace, Gianluigi Ronchi costruzioni Alberto Parisi scenografia Mauro Colliva capo sarta Roberta Mangano sicurezza Michele Carminati impianti elettrici Giuseppe Cirillo, Davide Cognata, Pasquale Longobardi, Pino Mastropaolo, Corrado Rovida, Roberto Testi scene realizzate dal Laboratorio di Scenografia “Bruno Colombo e Leonardo Ricchelli” del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa costumi realizzati dalla Sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa reparto costruzioni, carpenteria metallica, macchinisti Giorgio Armanni, Luigi Baggini, Matteo Benini, Agostino Biallo, Marco Premoli, Davide Pujatti, Alessio Rongione, Mario Scrocca costruzioni Armando Pitzoi, Alfredo Rivetta, Angelo Superbi reparto scenografia Nicolina Matilde Barravecchia, Mattia Bordoni, Barbara Gentilin, Emanuela Moroni, Simone Totaro reparto sartoria Chiara Angioletti, Maria Potenza, Monica Codazzi, Maria Kurenkova, Antonella Fabozzi, Marisa Cosenza, Alice Agrimonti direttore di scena Angelo Ferro primo attrezzista Mario Gaiaschi attrezzisti Sebastiano Fortunato, Lucia Morandi primo macchinista Matteo Benini macchinisti Luigi Baggini, Paolo Beolchi, Tania Corradini, Eliana Ertugral, Ovidiu Constantin Girjoi, Luana Marchesini, Marco Premoli, Roberto Morello, Davide Pujatti, Alessio Rongione 4 primo elettricista Eugenio Squeri elettricisti Matteo Testa, Gianluca Zerga primo fonico Luca Mazzucco fonico Mattia Trabucchi microfonista Marco Pasquale sarta Alice Agrimonti trucco e parrucche Romana Piolanti, Nicole Tomaini amministratrice di compagnia Gaia Scaglione di Michel Garneau da La Celestina di Fernando de Rojas traduzione Davide Verga regia Luca Ronconi scene Marco Rossi costumi Gianluca Sbicca luci A.J. Weissbard suono Hubert Westkemper melodie Peppe Servillo e Flavio D’Ancona trucco e acconciature Aldo Signoretti personaggi e interpreti (in ordine di apparizione) Pleberio Calisto Melibea Sempronio Celestina Elicia Parmeno Lucrezia Alisa Areusa Tristano Sosia Centurione Critone Giovanni Crippa Paolo Pierobon Lucrezia Guidone Fausto Russo Alesi Maria Paiato Licia Lanera Fabrizio Falco Lucia Marinsalta Bruna Rossi Lucia Lavia Gabriele Falsetta Riccardo Bini Pierluigi Corallo Angelo De Maco regista assistente Giorgio Sangati assistente scenografa Giulia Breno assistente alle luci Pamela Cantatore assistente alla regia volontaria Lorenza Fantoni foto di scena Luigi Laselva produzione Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa 5 500 ANNI E NON SENTIRLI: RONCONI E IL TRAVASO DELLA “CELESTINA” Una conversazione di Carlo Antonelli* con Luca Ronconi Tuo padre è di Roma? C’è qualcosa nella tua memoria che ti riporta a quella città e quindi a quel Pasticciaccio Brutto di Gadda, giusto? Perché stavi (ri)leggendo quel libro di Gadda, I viaggi la morte, del 1958? In quel passaggio dove Gadda individua in Celestina il germe del romanzo moderno, la fine della tradizione precedente, insomma. Hai dichiarato che è da lì che ti è venuto in mente di metterla in scena. Eh, ma l’avevo già letto prima, non è che fosse una novità. Io mi ricordo di cose all’improvviso, come mi capita spesso. Per esempio, una volta ero in auto con una mia collaboratrice e parlavamo di una macchina da comprare… Per te? Per lei. Lei diceva che si poteva comprare una macchina di seconda mano, che uno che faceva i trasporti teatrali voleva vendere, un macchinone, tipo un gippone… Certo, dicevamo, si potrebbe comprarla lo stesso, ma un po’ troppo impegnativa… e io di colpo dico: “Sai, a me l’anno prossimo piacerebbe fare il Pasticciaccio”, e non c’avevo mai pensato prima. Ero direttore del Teatro di Roma. Mi ricordo benissimo che stavamo percorrendo la via Prenestina e probabilmente sarà stata un’associazione tra la strada che si vedeva e la memoria del romanzo, che avevo già letto e mi piaceva… ecco. Mi capita spessissimo di farmi venire in mente le cose in questo modo. M’è successo tante volte, le cose che conosco e che lì per lì… M’è successo con Gli ultimi giorni dell’umanità a Torino, ad esempio. 7 500 ANNI E NON SENTIRLI: RONCONI E IL TRAVASO DELLA “CELESTINA” CARLO ANTONELLI In questa e nelle pagine seguenti alcuni stralci dal testo scritto nel 1958 da Carmelo Samonà (19261990), professore di letteratura spagnola all’Università di Roma “La Sapienza”, per l’edizione italiana de La Celestina di de Rojas (RCS Grandi Opere, 1958; BUR 2013). E questa volta come ti è venuto in mente? Anche questo è un testo che conosco da tanto tempo. L’ho letto in verde età, credo neanche interamente… Quello che mi attira, in genere, è di andare a cercare delle cose dove posso trovare qualcosa che mi sorprenda, ecco. Francamente se fai il Giulio Cesare di Shakespeare o il Don Giovanni di Molière questa sorpresa proprio non ti viene, non perché non ci sia, ma perché credo sia così per chiunque fa il mio mestiere: non si tratta di entrare in diretto rapporto con l’opera, ma è entrare in rapporto con tutte quante le edizioni di quell’opera che hai visto. Ne avrò viste due o tre versioni: una con Sarah Ferrati, quella con Núria Espert, sette anni fa, diretta da Lepage in lingua catalana. Questo fatto di vedere una commedia spagnola tradotta in catalano mi è piaciuto molto per diversi motivi. Innanzitutto perché si tratta di un travaso non casuale, c’è dietro una presa di posizione forte. Non è come se noi traducessimo una commedia di Eduardo in italiano o una tragedia di Alfieri in napoletano, no? C’è proprio una cosa legata a conflitti profondi. Più che mai contemporanei… Infatti ho parlato di travaso… son stato molto curioso e sono andato a prendere il testo originale che è canadese, che subito mi ha piuttosto conquistato non tanto per la sua bellezza - è molto bello, indubbiamente ma per questo gioco di rimbalzi da una lingua all’altra. Allora, il testo nasce castigliano, lo conosco catalano, lo vado a leggere in francese, io parlo bene francese, ma quello non è francese puro, è un francese spigoloso, bruttino, che viene di nuovo riversato in italiano. Siccome di solito nei testi che scelgo mi piace sempre pensare alle passeggiate che fanno, questa è una gran bella passeggiata, capito? Allora questo continuo passaggio di mano in mano, di lingua in lingua, è un viaggio che mi piace. Chi ha fatto l’ultimo travaso, dal francese all’italiano? Davide Verga, molto molto bene… è un giovane ricercatore universitario di Milano, anche oboista… Devo dire a onor del vero, senza nulla togliere ai meriti di Verga, la traduzione non è difficile, perché essendo già una lingua spuria… però è stato veramente bravo, perché trattandosi di versi, lui è riuscito a giocare sulle stesse allitterazioni, capito? Il testo è pieno di allitterazioni nascoste, criptiche. 8 Nell’epoca della stilizzazione squisita di modelli per una società ideale, La Celestina è un improvviso cambiamento di rotta, una sfida al divieto di cogliere in flagrante la società dell’intrigo e del basso profitto per svelarne i meccanismi. E significa, perciò, come opera letteraria, il rifiuto di ogni mediazione favolistica o artificio di allegoria, di ogni localizzazione immaginaria di spazio e di tempo. Ci troviamo finalmente di fronte a uno stile che si cimenta in modo minuzioso e caparbio con oggetti dell’esperienza quotidiana; a uno scenario che non viola i confini temporali di una plausibile attualità e non elude quelli spaziali di una città, di un quartiere riconoscibili; a personaggi che hanno volti, abiti, mestieri concreti, che parlano una lingua familiare, e che, se azzardano battute di intonazione retorica o aulica, lo fanno per lo più a ragion veduta, per un calcolo interno del racconto. Carmelo Samonà Questo carattere musicale io in prova l’ho sentito. Sì, e quindi agli attori che ne hanno voglia, e che non si vergognano, dà la possibilità di giocare molto. Non si vergognano di che? Di sbilanciarsi. Quindi la prima ragione per mettere in scena questa Celestina era il viaggio del testo… Sì, questo sistema di travasi. Non basta però… ti andava di sguazzare un po’ vicino alle concerie, perché - scrive Garneau - “si sa che le concerie puzzano tremendamente e che vi si poteva vivere quasi con niente; in riva al fiume, perché in riva ai fiumi delle città del mondo si tramano sempre azioni tenebrose con cose o persone che vanno gettate in acqua la notte”… Quello che mi era rimasto dalla Celestina di de Rojas, e che credo sia interessante, è come l’esperienza erotica viene trattata nel romanzo. In qualche modo ti dà l’impressione che sia pian pianino completamente cancellata… Il tema erotico mi sembrava interessante, perché non si tratta di amore. Tema (erotico) dal quale hai sempre cercato di tenerti un po’ lontano… Sì, non ho frequentato spesso l’erotismo in maniera esplicita. Qui, per esempio, devo dire, molto più nel testo di Garneau che in quello di de Rojas, viene molto fuori che quello che chiamano amore è una cosa diversissima per tutti quanti. Non c’è nessuna intesa su cosa vuol dire amarsi. Innanzitutto è solamente desiderio… Ci sono delle battute che mi hanno molto catturato. Per esempio il tipo di malattia in cui cade Calisto all’inizio e a che cosa è riferibile: lui vede Melibea nuda nel suo giardino e la cosa bella è che lui crede di vedere Dio! E che quindi l’origine di quella malattia è avere l’impressione di aver visto Dio, di poter far sì che Dio sia visibile, tangibile e che sia assimilabile e penetrabile sessualmente, ecco, se vai alla lettera… Non è bello? Una divinità penetrabile, poi un angelo penetrabile, capito? Poi, alla fine dice che vuole stuprare una pollastra… Se tu vedi, la parabola degli epiteti amorosi di Calisto è questa: dio, angelo, pollastra. Capisci, è piacevole trovare una commedia in cui puoi giocare su queste cose. C’è anche la parte economica, che è notevolissima… Sì però, vedi anche là 9 CARLO ANTONELLI Non bisogna dimenticare che La Celestina, così complessa e quasi difforme nelle sue dimensioni apparenti, in realtà, come favola, è molto più semplice di qualsiasi romanzo cortese o libro di avventure. La sua vicenda ruota praticamente attorno a tre temi: l’appagamento dell’amore, la sete di denaro, la morte. Si può dire che è il racconto della corsa parallela dei primi due temi verso il trionfo del terzo; il resto è tutto groviglio, lenta rete di agguati, strategia di pensieri. E l’equilibrio che ne deriva è insieme elementare e complesso, regolato da meccanismi che è facile individuare al di là della semplice struttura del dialogo. Ve n’è uno essenziale: quello che potremmo definire degli spostamenti, delle ambascerie. A guardar bene, l’opera è tutta costruita su un preciso schema itinerante; in essa, il dinamismo dei personaggi, seguendo la linea tortuosa dei grandi temi – l’amore, il denaro, la morte – acquista un’importanza che trascende quella dei normali movimenti di scena: assume il valore di una scacchiera dalle mosse obbligate, su cui si dispone e si articola un gioco tragicamente perfetto. Carmelo Samonà 500 ANNI E NON SENTIRLI: RONCONI E IL TRAVASO DELLA “CELESTINA” bisogna fare un’ipotesi sui due servi. Sono eredità plautina, d’accordo… Ma qui la vera eredità plautina è la parte di quel centurione… Io me lo immagino come una specie di alieno di un mondo che non c’è più… veramente è come se oggi in mezzo a noi, a Milano o a Londra, fosse catapultato Casanova, capito? O Fanfulla da Lodi… totalmente fuori tempo… Anche il classico soldato che non sapeva che era finita la guerra in Vietnam… E questo mi piace tanto, perché mi sembra – poi io non sono un critico letterario – che porti con un secolo di anticipo una specie di Don Chisciotte, che vuole ricostruire, come dire, la classicità… Gli altri due personaggi invece sono molto più inquietanti, perché, a ben leggere, il servo più anziano è in realtà un servo che domina il padrone anche fisicamente. Ci sono chiaramente le allusioni a Sodoma, questo non vuol dire che si sodomizzino, ma che sappiano la cosa che cos’è e non sia praticata è dubbio. Quindi il personaggio del servo Sempronio è uno dei più ricchi, perché lì giocano non soltanto l’imbroglio e l’avidità, che ci sono, ma sono la copertura di qualcosa di più profondo. Ovvero? Io credo sia il sentire che l’amore del padrone per Melibea è un punto di fuga del padrone, che lo toglie al proprio dominio. Mi ricorda quel film bellissimo di Losey, Il servo. Questo testo ti suggerisce un’infinità di rapporti di questo tipo, dove il denaro entra. Però, rispetto a noi – per i quali oggi il denaro è finanza… molto spesso, no? – qui non è ancora così. Per noi il denaro come finanza deve circolare. Qui ti dà molto l’impressione che in un mondo che ha perso le sue centralità di fondo, il denaro allora sia come una specie di antidoto, capito? Perché, tutto sommato, che se ne fa Celestina? Noi saremmo portati a investirlo… Lei, come i contadini di una volta, lo mette sotto il materasso. Quindi è interessante lo scarto che c’è fra il nostro concetto di denaro e quello precedente, tra quello che circola e quello che stagna. Anche Sempronio è un personaggio molto bello, perché ti sembra che anche la truffa che ordisce ai danni del padrone sia più una vendetta per un tradimento che non avidità, capito? La commedia di de Rojas è moralista, questa di Garneau non lo è affatto. Ma cosa ti interessava di tutto questo godere a vuoto? 10 Non è solo un caso di geniale o capricciosa immaginazione il fatto che i personaggi di quest’opera siano tutti in movimento da un punto all’altro, che stiano sempre per partire o per far ritorno, per visitare o per trasferirsi, per bussare a una porta o per violarla. Questo intenso traffico di messaggeri e amanti è come la rappresentazione scenica della “ruota della fortuna” medievale, in cui la simbolica rassegna dei casi e dei personaggi ha ceduto il posto a una concentrazione di eventi in una città e in un tempo oggettivi; o, se si vuole, di un labirinto o di un inferno svuotati dei tradizionali segni allegorici, divenuti reali e urbani, e però, come quelli delle allegorie, intensamente, affannosamente, perlustrati da cima a fondo. Carmelo Samonà Senza desiderio… fornicano tutti in continuazione… Ti divertiva, innanzitutto? A me pare che a proposito di desiderio la gente se la racconti. E cosa si racconta? Si racconta che desidera, gli sembra di… Io adesso sto parlando della Celestina di de Rojas, non della mia filosofia, sto parlando di quello che ho letto di questo testo. E perché ti interessava metterlo in scena ora, oggi? Per tuo piacere, diciamo, per rimanere in tema? Il piacere di continuare a pensare? Cosa, il lavoro? Sì… non smetti mai… No, non è un piacere. È una cosa che devi fare? No, non è un obbligo… direi che è una curiosità. Sono curioso di “grattare” il testo… Devo anche dire che è quello che mi ha salvato. Perché tutte quelle porte nella scenografia? Sono sbagliate? No, no. E allora basta. Ne parlano tanto nella commedia… continuamente, in tutti i sensi, realistici e metaforici. Cosa ti piace, anche niente, di questa vecchia baldracca? Tu hai visto il costume? È una specie di grembiule… ma sì, perché lei non deve essere troppo prostituta, se no non la riceverebbero nelle case per bene. È un po’ un sepolcro imbiancato… però le abbiamo messo un bel paio di guanti di paillettes che funzionano bene. Era molto contenta, Maria (Paiato, ndr), perché adora Michael Jackson! C’è una frase dentro il testo che mi ha colpito per la sua cattiveria: “i poveri sono quelli che desiderano molto”. Sì, è bella, la dice il servetto più saggio che poi diventa mascalzone anche lui. Torniamo al centro della commedia: desiderio e piacere. Sì, però il piacere quasi non c’è… Guarda, dopo il 11 CARLO ANTONELLI Si può dire che La Celestina è la prima opera moderna in cui prende corpo quel tòpos della riflessione interiore sulle azioni umane, che poi culminerà, in forme diverse, nell’opera di Cervantes e di Shakespeare. I pensieri dei protagonisti formano attorno agli eventi (che sono sempre inevitabili) uno spesso strato di attesa, un sedimento di razionalità apparente, un rovello, in definitiva, di confessata debolezza. I personaggi si cimentano, si studiano fra loro, si guardano alle spalle, e ne traggono spunto per enunciare, ciascuno a suo modo, una morale generale, un principio di vita. In questo sono tutti uguali: è come se ciascuno avesse in sé il ruolo di un intero coro di tragedia; o meglio: come se, ultimi depositari di un’antica dottrina del vivere, di una cinica saggezza, avessero fretta di esternarla nell’imminenza della fine. Carmelo Samonà famoso, desideratissimo incontro amoroso, Melibea si concede, e dice a Calisto: “Non sono più vergine”. E lui: “Sono le tre, devo andare a casa. Rimettete la scala”. La prima cosa che lui dice è: “Non sono felice”. Questo è fantastico, e seguono dei versi molto belli. “La solitudine e l’oscurità mi sono graditi per mia natura”. La cosa bella è che subito si chiede “Sono felice? No”. Sono monologhi, quindi vengono fatti direttamente al pubblico, e quindi chiede al pubblico: “Perché non sono felice?”. Celestina dice: “La natura fugge la tristezza, la natura va verso il piacere e il piacere delle cose sensuali tra amici fiorisce meglio. Cosa c’è di meglio che rievocare le cose dell’amore e raccontarsele? Ho fatto così, lei mi ha fatto cosà…”. Celestina va dritta su questo punto. Sì, però, vedi, questo lei lo dice a Parmeno che è vergine, capito? È quello che Celestina fa per unirlo ad una specie di piccola associazione a delinquere, e sono argomenti strumentali… Ossia, lei si racconta, e devo dire che è una delle cose belle della parte, che è simultaneamente verace e ingannatrice. Lei, quando parla della sua vecchiaia a Melibea, da una parte è una vecchia che descrive la propria vecchiaia, ma dall’altra parte lo dice a lei per porsi come specchio a una giovane: approfitta perché diventerai come me. Non solo, dice: “i ricchi vedono la felicità andarsene per altre fogne”. Gliela tira pure. Lì si riferisce al fatto che lei succhia nella cannuccia, visto che è stato fatto un buco nella botte di Calisto, c’è un gioco di parole. Melibea dice: “i ricchi non si preoccupano della vecchiaia”. È una prima autodifesa, non credibile. E Celestina dal canto suo dice: “i ricchi vedono la loro felicità e la loro ricchezza andarsene per altre fogne”, che sono io… Eh eh! Lei si dà anche della fogna, è molto carina questa cosa. Nel personaggio di Celestina c’è qualcosa che ti sta simpatico. Non mi fa particolarmente simpatia, no. Cos’è contemporaneo in questa commedia? Alla lettera, contemporaneo è tutto quello che accade, che è attuale, ma, insieme a questo, tutto ciò che non è crepato nel frattempo. Contemporaneo non è una * Direttore GQ, Condé Nast SpA, simultaneità tra due cose. Il tempo è un prima e un dopo appiccicati. © tutti i diritti riservati 12 RAPPRESENTARE LA “CELESTINA” di Carlo Emilio Gadda Riproduciamo il saggio di Carlo Emilio Gadda (tratto da I viaggi la morte, Milano, Garzanti 1958-2001) al quale Luca Ronconi fa riferimento nella conversazione delle pagine precedenti Nata, si opina, fra il 1484 e il 1492, la Tragicomedia de Calisto y Melibea fu messa a stampa in Burgos nel 1499 (sedici atti), indi a Siviglia nel 1501; e ancora a Siviglia nel 1502 (ventun atti). L’aggiunta o meglio interpolazione sivigliana di quattro atti interi e due pezzi si inserisce nell’ex 14° atto, che venne pertanto a sdoppiarsi nel capo del nuovo 14° e nella coda del nuovo 19°. Il testo ampliato non palesa discontinuità gravi o di maniera o di tono, tali cioè da rompere l’unità morale e stilistica e la sostanziale coerenza drammatica del lavoro. Il titolo abbreviato (Celestina) gli provenne dalla traduzione italiana del 1506. Coeva della guerra di Granata (1482-1492) e, in senso lato, della prima spedizione colombiana (1492-1493) la Celestina è opera mutuatrice di idee, di temi, di immagini, di modi dall’antico mondo e costume al nuovo e perenne. Risente di influenze spagnole prossime e comporta le possibilità di una rappresentazione mobile, scenicamente elastica, quale potevano darle certe bojigangas o farándulas o compañias degli anni di Isabella e Ferdinando, sulla piazza di un pueblo valenciano o in un improvvisato teatrino manchego. Il personaggio principale deriva un po’ dalla Trota-conventos di Juan Ruiz arciprete di Hita (vivo nel 1415?) libero traduttore dell’Ovidio erotico, interprete della Bibbia nella linea quasi grottesca di una prammatica erotica, divoto alla tradizione dei testi ghiotti, infaticato lavorante del mester de clerecia. Il lavoro tutto porge, forse, al lirismo di Lope de Vega il tipo o almeno l’abbozzo del gracioso (attor giovine): e a Tirso de Molina avalla invece quella franchezza viva 15 CARLO EMILIO GADDA RAPPRESENTARE LA “CELESTINA”? della pittura e della battuta, quella trascrizione obiettiva e impersonale d’una perenne crisi del costume: onde si apparenta anche per noi all’Ariosto minore e in certa misura al Folengo; e prelude a certe posizioni più raffinate di La Fontaine e, più schematiche, del racconto di Voltaire. Ma l’autore uno-bino della Celestina ha ben dimestico Plauto (Sosia è il nome del servo nell’Amphitruo) e frequenta letteralmente il genio latino-spagnolo di certi argentei: per quel modo cosiddetto cinico, invero stupendamente disancorato, del ritrarre; per la tensione icastica a momenti epigrammatica (Marziale): per certo aspetto moraleggiante alquanto cupo, e pure vivido, caldamente colorato, spagnolettesco: che si libra a mezz’aria e a metà cammino fra Seneca e il Petrarca intimista del Secretum e delle Familiari: il Petrarca appassionato lettore delle Confessioni agostiniane. Nel testo rivive il tono di certa parenèsi discettante del De remediis utriusque fortunae, da cui non infrequenti nel testo o imitazioni o traduzioni o parafrasi. Se la italianizzata Celestina venne a mano allo autore della Mandragola, e a quelli della Cortigiana e del Candelaio, una traduzione inglese (già esistente verso il 1530) dové cader sott’occhio anche al Marlowe e allo Shakespeare. Direi che il lungo monologo di Calisto angosciato e quasi impazzito (atto XIV, scena 8a) include l’embrione tecnico di quello di Amleto. Anche nel motivo tipicamente amletico-clinico-sintomatologico dell’“esaurimento nervoso”. Se pure vi sono dominanti ragioni e preoccupazioni giuridiche (per la casata, per il punto di onore: e contro l’ingiustizia della giustizia) che lo Shakespeare trascende ma non dimentica (the law’s delay, the insolence of office: le more della legge, i soprusi della burocrazia). Da configurazioni più prossime a Plauto (servi birbi, ragazze, la mezzana) questa tragicomedia si differenzia per quel tanto di ascetico, di doloroso, di ferale, per quell’aspro senso dell’ethos e quel disperato senso della contingenza che la immettono piuttosto nel clima surrealisticamente orfico e denegatore dei Trionfi petrarcheschi: una tecnica trascorrente, fuggente; verso le lividure della morte e il buio del nulla. L’amore non è che una parentesi di follia nel precipitare delle cose. E poi le note fondamentali del costume spagnolo: 16 ragazza nobile (Melibea) sorvegliata e quasi reclusa; dedizione e soggezione (quasi araba) della donna all’amante riamato. Si accosta a Plauto, invece, per la vivezza talora salace e fescennina della battuta, per la tendenza a “tipicizzare” il personaggio. Ma il lenone plautino si evolve qui verso il “tipo” soprapotenziato della mediatrice immortale. Nuovi strati di colore, nuovi apporti etici arricchiscono la Celestina. Ecco: la felicità e l’orgoglio e il compiacimento con cui ella si butta al mestiere sono già le note del romanzo moderno: ella è persuasa di far del bene all’umanità: la sua expertise di recuperatrice è “necessaria” ai prigionieri tutti, uomini e donne, del fanciullo faretrato e bendato. In lei la chiaroveggenza infallibile e l’orgoglio della mammana. Si sente da più che un prete o che un medico. Nel suo discorrere, trapassa di continuo dall’entusiasmo della macchinazione e da una spregiudicata ripresa del “dato” di costume, a certa capziosità edificante, a certa dialettica untuosa e per dir così gesuitesca, onde accomoda la lente della furberia e del profitto alla morale dell’inevitabile. E poi Celestina ammannisce le decozioni e i filtri, serba le lingue di vipera e le code di pipistrello, ama e loda il vino, le corroboranti sorsate, e la taverna e l’arrosto e il perfetto disegno de’ corpi giovani, maschili e femminili: è maga, lavandaia, merciaia, venditrice di profumi e lozioni per capelli, con che ottiene ingresso a’ tuguri e a’ palazzi: beona senza parerlo, astuta sempre: tenitrice di una lavanderia suburbana (in realtà casina da convegni). Invoca il diavolo che le soccorra, e lo vitupera sottovoce quando non funziona a dovere, chiama a testimone Dio e “il signor San Michele Arcangelo”: e poi brontola e biascica giaculatorie eretiche e maledizioni oscene tra le gengive sdentate. Finisce accoltellata da Sempronio dopo un diverbio circa la spartizione de’ profitti. Il diverbio avvampa a un tratto, come fuoco indomabile. Questa prima risoluzione tragica è mirabilmente raggiunta e strettamente giustificata dall’azione e dai caratteri. Più manierate e medioevalesche ma pur sempre redditizie risultano invece e la seconda e la terza (morte dei due servi giustiziati, morte dei due amanti per accidente e suicidio). La chiave interpretativa della 17 CARLO EMILIO GADDA RAPPRESENTARE LA “CELESTINA”? prima è la realistica: la chiave della seconda e terza è la surrealistica. Rappresentare la Celestina sul teatro moderno comporta anzitutto sfrondare la lungaggine del testo e stringere in più raccolto gomitolo (in più sobrie architetture) quella matassa di andirivieni e di visite che infoltisce la trama di tutte l’erbacce dell’espediente (se pur valido): la Celestina è la commedia delle visite e delle controvisite, oltreché degli incontri e dei convegni d’amore. (Incontri fra servi e ragazze e bravi, convegni fra i due amanti). Poi bisogna ridurre la trascrizione a un italiano parlato, e ai modi espediti del teatro nostro. La traduzione di Corrado Alvaro (“La Celestina” di Fernando de Rojas, a cura di Corrado Alvaro, Bompiani Collezione universale) è fatica delle più nobili, delle più utili: ci consente una lettura delle più felici: fedele al testo, non è sufficientemente articolata da regger la scena. La trascrizione per la scena dovrebbe appoggiarsi a un ben definito tipo di parlata corrente (della piccola borghesia romana, o fiorentina sciolta, o della borghesia del nord). Eventuali inflessioni regionali o addirittura dialettali per alcuni personaggi. Vedrei divertendomi una Celestina molisana, o molisanoromanesca. La frase va spezzata, e articolata su moduli reali. L’aggruppamento della materia in cinque atti e una netta divisione in scene mi paiono indispensabili. Grave difficoltà da risolvere è quella della scena trasferita, della “scena che rincorre i personaggi”, accettabile alle farándulas e bojigangas del teatro cinquecentesco che recitavano magari sotto gli olmi “pidiendo limosnas en el sombrero”: non certo al teatro nostro di oggi, dov’è postulata la stabilità topica della scena e, forse, dell’intero atto. La nostra scena fatica troppo a rincorrere Celestina e Sempronio e le ragazze da un luogo all’altro: e a dar loro il fiato da monologare e da leticare strada facendo. Il suicidio di Melibea è narrato e refertato, non sceneggiato. Come ridurre nella unità scenica le concomitanze multiple dell’azione, e le dislocazioni divergenti? la torre, le scale, il padre in giardino, lei in camera, il volo dalla finestra? E poi, con mano casta e robusta, sfrondare la tragicommedia di troppa sentenziosità e parenèsi, di 18 certo proverbiante buon senso (un po’ all’italiana: e parecchio uggioso, a volte). Infine, le soluzioni pensabili mi paion due. O mantenere alla Celestina il suo carattere e la sua ambientazione iberica, preservandone anche il tono cavallerescospagnolesco-moralistico-ascetico, al che si richiederebbe una verve e una disciplina ricreativa di qualità filologico-romantica: per non cadere in un surrealismo deteriore, da melodramma scaduto. O estrarre la gemma del dramma (con le sue figure centrali) dal castone storico e avvalorarne una Celestina ammodernata o almeno ottocentesca, senza tuttavia perdere per istrada la speciosa materia magico-diavolesca, nonché la chirurgicoprofumieresca, tanto congeniali alla di lei persona. Entrambe le soluzioni dimandano impegno e fatica: perizia linguistica e cognizione di una prammatica e di un ambiente che non è facile scrutare a fondo, chi non li pratichi per cagioni di mestiere. 1945 19 LA VERITÀ SEGRETA DI CELESTINA di Umberto Galimberti* 1. La verità di Celestina. Forse scoprire la verità non è solo una faccenda di scienziati e filosofi. Forse basta ascoltare Celestina, una vecchia prostituta che, anticipando le scoperte che Schopenhauer e Freud faranno quattro secoli dopo, dice: «Non ci sono che due cose vere: la prima è che l’uomo è tenuto ad amare la donna e la donna l’uomo; la seconda è che colui che ama deve rimanere sconvolto dalla dolcezza che si lega al piacere supremo, perché la razza umana si perpetui come quella dei pesci, delle bestie da soma, dei rettili, degli uccelli e delle piante che sono maschi e femmine». Noi infatti siamo abitati da una doppia soggettività: una che conosciamo benissimo e che chiamiamo Io, che vive di progetti, di ideali, di mete da raggiungere, di amori, di sogni, e l’altra, a cui non badiamo affatto, e che proprio per questo Freud, dopo averla appresa da Schopenhauer, ha ritenuto che vivesse in noi in modo “inconscio”, è quella che ci prevede come semplici funzionari della specie. Questa seconda soggettività non conosce l’“amore” di cui l’Io si nutre, forse per marcare la sua differenza dall’animale, ma conosce solo il “sesso”, come potenza riproduttiva che torna a vantaggio dell’economia della specie e non dell’individuo, il quale vi si perde, ingannato dalla brevità, ma anche dall’intensità di quello che Celestina chiama il “piacere supremo”. Fernando de Rojas (1465-1541), l’autore di quest’opera teatrale, gioca, con quasi quattro secoli 21 UMBERTO GALIMBERTI LA VERITÀ SEGRETA DI CELESTINA d’anticipo rispetto a Schopenhauer e Freud, sull’ambivalenza di questo doppio registro che riproduce la doppia natura dell’umano, lacerato tra natura e cultura, ossia tra le esigenze della specie e gli inganni dell’Io, che rifiuta di vedersi ridotto alla condizione dell’animale. La cultura, infatti, e non la natura, ha cerato i sentimenti, le passioni, gli investimenti, le idealizzazioni, persino la letteratura, per mascherare e conferire nobiltà a quell’unione dei sessi che ha nel corpo la sua espressione, e nell’anima la sua fragile maschera. «Il corpo, il corpo – fa dire Fernando de Rojas a uno degli attori – il corpo di quella donna, il corpo». Per questo Nietzsche, quattro secoli dopo, può dire: «Mi suscita sempre una grande ilarità quella frase castigata che gli uomini sono soliti ripetere alle donne: “Non è il tuo corpo, ma la tua anima che amo”». 2. L’amore nell’uomo e nella donna. Ancora Nietzsche ci ricorda che «Le stesse passioni nell’uomo e nella donna hanno un tempo diverso: perciò uomo e donna non cessano di fraintendersi». In questi fraintendimenti si inserisce Celestina per trarre il suo profitto, con i suoi filtri per riconciliare gli amori infelici, con l’ago e col filo per ricostruire la verginità a chi l’ha perduta, con le promesse ingannevoli a cui si affidano gli innamorati persi d’amore, perché la sua esperienza le ha insegnato che «Tutto è desiderio, nient’altro che desiderio, che forza le più caste intenzioni». E su questo concorda anche Nietzsche là dove scrive: «Infine si ama il proprio desiderio, e non quel che si è desiderato». Il desiderio è “natura” che risponde all’interesse della specie, che però, per non apparire tale, deve rivestirsi di quella nobiltà che la “cultura” dispensa fino all’iperbole: «Quella donna è dio, quella dea viene dal cielo» dice Calisto nel suo delirio a proposito di Melibea di cui è follemente innamorato, o almeno crede. Ma in quello stato di inferiorità in cui viene a trovarsi l’uomo che si sente rifiutato, forse anche Calisto sospetta, come dice Nietzsche che «Il basso ventre è il motivo per cui non è tanto facile all’uomo credersi un dio». E perciò ricorre alle trame e agli orditi che Celestina conosce, così come tutte le donne che, dalla notte dei tempi, piegate sui tessuti, 22 ne disegnano la trama e l’ordito. Il loro iniziale rifiuto non è altro che una trama per accrescere il desiderio dell’altro e, come dice Nietzsche «Il loro abbellirsi, il loro sedurre, e alla fine il loro cedere non avverrebbe se non avessero l’istinto del ruolo secondario». Ancora la natura e gli interessi della specie mascherati dalle belle parole, dalle menzogne e dagli artifici che la cultura mette a disposizione, e che vogliono essere più eloquenti e seducenti del lavorio delle mani sotto le vesti, da cui Melibea, cerca di difendersi nel momento in cui è in procinto di concedersi compiutamente a Calisto: «Parla quanto vuoi, ma ti prego che le tue mani cessino di agire. Io sono tua, godine dall’esterno». E Calisto di rimando: «Perdona le mie mani impudiche che mai avrebbero pensato di poter toccare il tuo vestito e ora hanno la gioia di giungere al tuo bel corpo, questa carne fresca e delicata». E allora, come dar torto a Nietzsche là dove scrive: «Quell’istinto che in egual misura vige negli uomini più elevati e in quelli più comuni, l’istinto della conservazione della specie, erompe di tempo in tempo come ragione e passione dello spirito. Esso ha poi intorno a sé uno splendente corteggio di motivi e vuole far dimenticare a tutti i costi d’essere in fondo impulso, istinto, assurdità, assenza di fondamento». 3. La giovinezza e la vecchiaia. Chi è più ingannevole? Lo spirito che maschera l’istinto, o l’istinto che si abbellisce di motivi spirituali per non dare all’uomo l’impressione di essere come l’animale? In questo scarto tra istinto e spirito Celestina inserisce le sue trame che non sono ingannevoli, perché l’inganno è già stato compiuto dai due quando hanno scambiato per amore dell’altro quello che era amore per la soddisfazione del proprio desiderio. È la stessa Melibea a confessare che: «È la mia onestà che si sfalda, la mia timidezza che si scioglie, il mio pudore che cede. […] Tutto desiderio, nient’altro che desiderio, mio povero amore, forza le mie intenzioni». Scoperto l’inganno con cui la specie allucina l’individuo, Celestina sa che la natura, per la sua economia, ha bisogno di corpi giovani, e perciò dice ad Areusa, per dirlo a tutte le fanciulle: «Sai è un gran 23 UMBERTO GALIMBERTI LA VERITÀ SEGRETA DI CELESTINA peccato non condividere le tue grazie, non le hai mica per farle appassire. Nella freschezza della tua gioventù non essere avara di ciò che ti costa così poco, non nascondere la tua grazia come se fosse un tesoro, si distribuisce per natura». E a Melibea ricorda che «Verrà un giorno in cui anche tu non ti riconoscerai più nel tuo specchio». Alla giovinezza la specie fornisce potenza sessuale e aggressiva, la prima per la riproduzione, la seconda per la difesa della prole. Freud ha collocato queste due pulsioni nell’inconscio, perché l’uomo rifiuta di prender coscienza di non essere altro che un funzionario della specie. Poi nella vecchiaia le due pulsioni si attenuano, e il loro attenuarsi viene scambiato per saggezza raggiunta. I vecchi non sono necessariamente saggi, semplicemente si è attenuata in loro la follia della passione scambiata per amore. In questo equivoco cade anche Parmeno che, nella casa di Calisto dice: «Se amare è una follia, io sono folle e senza cervello». No, gli risponde Celestina: «È il giudizio che ti manca a causarti il turbamento, e l’essenza del giudizio è la saggezza, e la saggezza non viene senza l’esperienza, e non c’è esperienza se non da vecchi, e io la vecchiaia ti consiglio, perché voglio farti onore e augurarti una bella vita». Amore, dunque, non è follia. Follia, come dice Schopenhauer che Nietzsche definisce suo “educatore” e Freud suo “precursore”, è non riconoscere nell’amore l’inganno con cui la specie induce gli individui a concorrere alla sua conservazione. «Per fiorire una deve avere in sorte la bellezza – dice Areusa a proposito di Celestina – ma poi quando il tempo la corrode, serve la lucidità di essere viziosa». È il vizio a rendere lucidi, e Celestina, che da giovane prostituta ha conosciuto il vizio, ha la lucidità di chi sa che l’amore è un inganno, dove i giovani giocano un gioco che li gioca e che solo i vecchi, a passioni estinte, sanno riconoscere, svelando la tragicità della condizione umana. 4. La commedia dell’esistenza. Ma allora qual è il senso dell’esistenza? Nel trapassare dalla passione giovanile alla saggezza senile, perché si è scoperto il grande inganno? «Tutto 24 passa – è la formula rassegnata di Celestina – nulla rimane nello stesso stato. La legge del destino è il cambiamento. So che sono salita per scendere, che sono fiorita per appassire, ho gioito per rattristarmi, sono nata per vivere, sono cresciuta per invecchiare e invecchiata per morire. Lo sopporto senza crucciarmi troppo». Da questa visione rassegnata e tragica dell’esistenza ci salva Nietzsche e ne indica il momento: «Sarà quando la massima: “la specie è tutto, uno è sempre nessuno” si sarà incarnata nell’umanità, e a ognuno sarà in ogni tempo aperto l’accesso a quest’ultima liberazione e irresponsabilità. Forse il riso si sarà allora alleato alla saggezza, forse allora ci sarà senz’altro una “gaia scienza”. Per il momento le cose stanno ben diversamente, per il momento la commedia dell’esistenza non è ancora “divenuta cosciente” di se stessa. Per il momento continua ad esserci il tempo della tragedia, il tempo delle morali e delle religioni». Le morali e religioni, infatti, celebrano l’individuo e il suo primato rispetto alla specie, quando invece è quest’ultima a tenere saldamente nelle sue mani i dadi del gioco della vita di tutti. Questo Celestina lo sa e perciò dispensa a pagamento i suoi consigli che gli amanti fraintendono, divorati come sono dalla passione che chiamano “amore”. Ancora non sanno che quando dicono “Io ti amo” questo Io è solo lo pseudonimo di un’altra soggettività che non conoscono e non vogliono conoscere. Per questo delirano e si abbandonano alla loro tragica follia. *filosofo 25 Fernando de Rojas Michel Garneau Due autori per un capolavoro La versione scelta da Luca Ronconi è stata scritta da Michel Garneau, poeta, drammaturgo, musicista e attore, nato a Montréal, in Canada, nel 1939. Garneau si è rifatto all’originale, La tragicomedia de Calisto y Melibea, che lo spagnolo Fernando de Rojas pubblicò per la prima volta a Burgos nel 1499. Le notizie che abbiamo intorno alla figura di de Rojas sono scarsissime. Se ne conosce la data di morte, 1541, mentre qualche documento d’archivio parla di un cristiano di buona famiglia (con ascendenze ebraiche), padre di sette figli, nonché apprezzato giurista e ricco proprietario terriero. Nulla insomma farebbe pensare all’autore di un’opera carnale come La Celestina. Assai interessante è la biografia di Michel Garneau, che, a soli 14 anni, lascia la scuola dopo il suicidio del fratello (il poeta Sylvain Garneau) e prosegue gli studi da autodidatta, frequentando anche i corsi di teatro 26 all’École de Théâtre du Nouveau-Monde e, come libero uditore, al Conservatoire de Montréal. A 15 anni già lavora come annunciatore radiofonico diventando, negli anni Cinquanta e Sessanta, un celebre conduttore di trasmissioni sulle frequenze di Radio Canada. Fino al 1970, anno in cui è arrestato durante la “Crisi di Ottobre” (periodo di scontri e di lotta armata provocata dal Fronte di Liberazione del Québec), episodio che costituisce un evento fondamentale della sua vita e lo conduce a una presa di coscienza politica, scrive prevalentemente poesie, poi pubblicate nella raccolta Les Petits Chevals amoureux (1977). Nello stesso anno rifiuta, sempre per ragioni politiche, il Prix du Gouverneur Général du Canada, (riconoscimento che accetterà molti anni dopo, nel 1989) attribuito alla sua commedia per bambini Mademoiselle Rouge. Autore di circa cinquanta opere teatrali, la maggior parte delle quali sia rappresentate sia pubblicate, Garneau si è occupato anche di importanti traduzioni e adattamenti di opere di Shakespeare, García Lorca e di altri grandi autori classici. Tra queste, La Celestina di Fernando de Rojas, del 1991. A proposito della sua versione, il critico Alexandre Lazaridès ha scritto: Michel Garneau ha fatto più di un lavoro di adattamento. Ha tratto dal testo originale di de Rojas, sorta di romanzo-fiume dialogato in ventuno atti, un insieme coerente di una grande vitalità e di una sorprendente modernità; la progressione drammatica è chiara, le scene sono suddivise in modo da non lasciare alcun personaggio in ombra. Il linguaggio è bello, poetico, e non sfugge gli effetti retorici calcolati. Le frasi ticchettano come lame ben lucidate o esplodono come fuochi d’artificio, ma attenendosi sempre in maniera rigorosa alla situazione drammatica e alla concezione del regista. Michel Garneau utilizza nel suo teatro il francese del Québec, una lingua ricca e cruda, inframmezzandola con la poesia: “in questo modo – dice – maschero le poesie da opere teatrali, affinché la poesia possa parlare”. “Quando si traduce per la scena – afferma in un’intervista – bisogna tener conto di un concetto che non esiste negli altri generi letterari e che io chiamo la ‘rappresentabilità’. È necessario che il testo ‘parli’, che trasmetta energia”. (a cura di Katia Cusin) LA MIA “CELESTINA” di Michel Garneau Abbiamo chiesto all’autore di Celestina laggiù vicino alle concerie in riva al fiume di parlarci di sé, del suo lavoro sull’originale spagnolo di de Rojas e del perché abbia scelto un titolo così singolare per il suo adattamento. La risposta ci è giunta nella prosa ritmata che Garneau adotta per qualunque tipo di comunicazione. La bellezza della sua scrittura ci ha suggerito di proporla in lingua originale, accompagnata dalla traduzione di Davide Verga. Come lavora sui testi e come, nello specifico, ha lavorato sulla Celestina di de Rojas? j’ai commencé à traduire pour le plaisir et pour mon éducation des poèmes américains ou anglais dont j’avais besoin et que je voulais m’approprier pour les sentir à fond même (et c’était rare) et parfois surtout s’ils avaient déjà été traduits les traducteurs français étant peut-être les pires traducteurs au monde parce qu’ils ne doutent pas assez d’eux-mêmes et de leur savoir et que de deux mots ils choisissent toujours le plus «noble» ho cominciato a tradurre per piacere e per mia formazione delle poesie americane o inglesi di cui avvertivo il bisogno e che volevo fare mie per sentirle nel profondo anche (ed era raro) e talvolta soprattutto se erano già state tradotte essendo forse i traduttori francesi i peggiori traduttori al mondo poiché non dubitano abbastanza di se stessi e del loro sapere e poiché fra due parole scelgono sempre la più “nobile” puis happé par le théâtre j’ai fait entre autres The Zoo Story d’Edward Albee La Tempête et Macbeth et Coriolan et Le soir des rois] de Shakespeare La maison de Bernarda Alba de Lorca Le beau parleur du vaste monde (The Playboy of the Western World) de J. M. Synge La résurrection de Lady Lester de (OyamO) Charles F. Gordon et les poèmes de Leonard Cohen poi ghermito dal teatro tra gli altri ho fatto The Zoo Story di Edward Albee La Tempesta e Macbeth e Coriolano e La dodicesima notte] di Shakespeare La casa di Bernarda Alba di Lorca Il bel parlatore del vasto mondo (The Playboy of the Western World) di J. M. Synge La resurrezione di Lady Lester di (OyamO) Charles F. Gordon e le poesie di Leonard Cohen chaque fois je l’ai fait parce qu’on me l’a demandé et je l’ai fait pour que ces textes existent en notre territoire en notre pays en devenir et dans une langue proche ogni volta l’ho fatto perché me l’hanno chiesto e l’ho fatto affinché questi testi esistano nel nostro territorio nel nostro paese in divenire e in una lingua vicina 27 une traduction se doit d’être une renaissance parce qu’on doit trouver l’enthousiasme de la création] dans ce labeur et vouloir que le poème ou la pièce (mais je ne vois pas vraiment la différence il y a toujours quelque chose de dramatique dans un bon poème et de toujours poétique dans une bonne pièce) que le poème ou la pièce fonctionnent dans sa langue avec bonheur una traduzione ha il dovere di essere una rinascita] si deve avvertire l’entusiasmo della creazione in quel faticoso lavoro e volere che la poesia o la pièce (ma non ci vedo grande differenza c’è sempre qualcosa di drammatico in una buona poesia e qualcosa di sempre poetico in una buona pièce) che la poesia o la pièce funzionino felicemente nella propria lingua quand je traduis pour le théâtre je ne pense pas littérature je pense «jouabilité» c’est à dire que j’essaye de façonner un texte qui donnera le plus de plaisir possible aux actrices et aux acteurs parce que c’est bien simple quand les actrices et les acteurs sont heureux de ce qu’ils font sur la scène le public est touché quando traduco per il teatro non penso letteratura penso “recitabilità” ciò significa che cerco di modellare un testo che dia il maggior piacere possibile alle attrici e agli attori poiché è davvero tutto semplice quando le attrici e gli attori sono felici di ciò che fanno in scena il pubblico è commosso et puis j’aime les actrices et les acteurs c’est le premier public des auteurs et si on les écoute bien ils finissent toujours par nous aider à mieux écrire e poi io amo le attrici e gli attori è il primo pubblico degli autori e se li si ascolta bene essi finiscono sempre per aiutarci a scrivere meglio la «jouabilité» c’est bien sûr une mise en bouche heureuse et forte «la manducation de la parole» une aisance dans le niveau de langue choisi et une cohérence à travers le texte la “recitabilità” senza dubbio è una mise en bouche felice e forte “la manducazione della parola” una naturalezza nel livello di lingua scelto e una coerenza attraverso il testo je travaille donc à haute voix parfois à très haute voix ce qui inquiétait parfois ma fille quand elle était petite io lavoro dunque a voce alta talora a voce molto alta cosa che talora inquietava mia figlia quando era piccola je le fais parce que la musique de la langue m’importe plus que tout et que le plus beau spectacle est pour moi le spectacle du langage parce que l’italien et le français sont frère et sœur je souhaite que les rythmes et les mélodies que j’ai voulu pour ce texte s’entendent clairement lo faccio perché la musica della lingua m’importa più di tutto e perché lo spettacolo più bello è per me lo spettacolo del linguaggio poiché l’italiano e il francese sono fratello e sorella mi auguro che i ritmi e le melodie che ho voluto per questo testo si odano chiaramente en passant j’ai l’impression que l’italien c’est le frère en passant ho la sensazione che l’italiano sia il fratello 28 et le français la sœur (il y a de quoi s’amuser avec ça) e il francese la sorella (ce n’è da divertirsi) j’ai traduit La Célestine que je connaissais mal pour Jean Asselin et son théâtre Omnibus de Montréal et j’ai découvert un texte fascinant et si abondant qu’il fallait le débroussailler ho tradotto La Celestina che conoscevo poco per Jean Asselin e il suo teatro Omnibus di Montréal e ho scoperto un testo affascinante e così abbondante che sfrondarlo era necessario le texte est un dialogue en prose découpé en 21 actes] on l’a qualifié de roman en dialogues on l’a déclaré premier roman espagnol premier roman européen le théâtre était interdit en Espagne en 1502 le texte aurait été fait cependant pour être lu à haute voix il testo è un dialogo in prosa diviso in ventuno atti] l’hanno definito un romanzo in dialoghi l’hanno dichiarato primo romanzo spagnolo primo romanzo europeo il teatro era proibito in Spagna nel 1502 il testo tuttavia sarebbe stato fatto per essere letto ad alta voce j’ai essayé d’emporter le texte écrit vers la représentation en tentant d’aller à l’essentiel où les personnages se montrent avec toute la fragilité qu’impose l’angoisse d’être et d’être des sortes de marionnettes du destin ho cercato di portare il testo scritto verso la rappresentazione tentando di andare all’essenziale dove i personaggi si mostrano con tutta la fragilità che impone loro l’angoscia di essere] e di essere una sorta di marionette del destino quand j’ai vu l’immense faisceau d’émotions qui habitent et taraudent et meuvent ses personnages] j’ai senti que Fernando de Rojas a réussi à témoigner de la folle grandeur de toutes les vies quando ho visto l’immenso fascio d’emozioni che abitano e tormentano e muovono i suoi personaggi] ho sentito come Fernando de Rojas sia riuscito a testimoniare la folle grandezza di tutte le vite Perché ha scelto di adattare la Celestina di de Rojas? en nos temps où les termes de la morale sont langue morte et où le mot même fait seulement sourire c’est rafraîchissant de travailler sur un bon vieux texte qui part tout entier du point de vue de la morale et dit clairement qu’en ne s’occupant que de lui-même avec acharnement chaque individu finit par se tuer d’une façon ou d'une autre tout à fait tragicomiquement in questo nostro tempo in cui i termini della morale sono lingua morta e in cui la parola stessa fa solamente sorridere è rinfrescante lavorare su un buon vecchio testo che scaturisce per intero dal punto di vista della morale e dice chiaramente che se si occupa con accanimento solo di se stesso ogni individuo finisce per uccidersi in un modo o nell’altro davvero tragicomicamente 29 Perché questo titolo? Celestina d’abord j’aime bien les titres longs et qui font qu’on se pose des questions anzitutto è che mi piacciono i titoli lunghi che fanno sì che ci si ponga delle domande j’ai écrit une pièce qui s’appelle Émilie ne sera plus jamais cueillie par l’anémone ho scritto una pièce che s’intitola Emilia mai più sarà còlta dall’anemone pour qu’on veuille savoir qui elle est et pourquoi elle était cueillie et ne le sera plus perché venga voglia di sapere chi è e perché era stata còlta e non lo sarà più j’ai choisi celui-là parce que d’abord je ne voulais pas qu’elle soit La Célestine] mais bien Célestine pour la rapprocher de nous tout en la mettant au centre de tous ces personnages] qu’on rencontrera ho scelto questo titolo anzitutto perché non volevo che fosse La Celestina] bensì Celestina per avvicinarla a noi ponendola al centro di tutti quei personaggi che s’incontreranno au centre comme une sorte de soleil pauvre une vieille femme qui tente de survivre un vieux moteur fatigué al centro come una sorta di sole povero una vecchia donna che tenta di sopravvivere un vecchio motore stanco là-bas parce qu’elle est loin du beau monde que nous sommes prétendant être légitimes laggiù perché lei è lontana dal bel mondo che siamo noi di cui ci pretendiamo i legittimi abitanti elle vient vers nous sa clientèle (parfois mais rarement nous allons chez elle) mais une fois son travail fait elle retourne là où elle est loin lei viene verso di noi la sua clientela (talora ma di rado andiamo noi da lei) ma una volta fatto il lavoro ritorna là dov’è lontano près des tanneries parce qu’on sait que les tanneries puaient puissamment et qu’on pouvait donc y vivre presque pour rien vicino alle concerie perché si sa che le concerie puzzavano tremendamente e che vi si poteva quindi vivere quasi con niente au bord de la rivière parce qu’au bord des rivières des villes du monde se machinent toujours des actions sombres avec des choses ou des personnes qu’il faut jeter à l’eau la nuit in riva al fiume perché in riva ai fiumi delle città del mondo si tramano sempre azioni tenebrose con cose o persone che vanno gettate in acqua la notte 30 laggiù vicino alle concerie in riva al fiume di Michel Garneau da La Celestina di Fernando de Rojas regia Luca Ronconi foto di scena Luigi Laselva Il sistema di diffusione sonora per “Celestina” Lo spettacolo Celestina può contare su un sistema di diffusione sonora molto sofisticato. Si basa su una tecnica denominata Wavefield Synthesis (WFS), che significa letteralmente: la sintesi del campo sonoro, ed è la più avanzata tecnica di diffusione del suono in 3D. Nata dalle ricerche fatte dalla fine degli anni ’90 all’università di Delft proseguite poi in prestigiosi centri di ricerca come l’IRCAM di Parigi, la WFS è stata usata in Italia la prima volta nello spettacolo Il panico di Luca Ronconi al Piccolo Teatro di Milano nel 2013. Per comprendere in che cosa la WFS si distingue da altri sistemi di diffusione del suono, dobbiamo partire dalla tecnica più usata negli spettacoli dal vivo: la stereofonia. Si basa su presupposti psico-acustici, che prevedono l’ascoltatore di fronte a 2 diffusori (una cassa a sinistra e una a destra) nell’angolo centrale di un triangolo equilatero. Scostando lo spettatore dalla posizione centrale si compromettono facilmente le delicate differenze temporali dei 2 segnali audio, dandogli la sensazione di sentire unicamente la cassa più vicina (o quella sinistra o quella destra). Questo fenomeno è ben noto con il nome “Effetto Haas”. Considerando la larghezza della platea del Teatro Strehler, e quindi la notevole distanza di buona parte del pubblico dal centro sala, e il 52 fatto che nella stragrande maggioranza dei teatri la posizione centrale della platea, dalla quale si sentirebbe correttamente, corrisponde al corridoio, si può capire quanto la stereofonia sia una tecnica poco adatta a grandi platee. La WFS ha un approccio completamente diverso. Utilizza contemporaneamente tutti i diffusori audio (nel nostro caso 24 posti sotto la pedana inclinata e 16 appesi sopra il boccascena) per generare fisicamente per ogni attore quando parla un fronte sonoro, che si propaga verso il pubblico come se fosse generato dall’attore stesso. Di conseguenza tutti gli spettatori, immersi nel campo sonoro generato dalla WFS (nel quale potrebbero anche muoversi), localizzano gli attori nella giusta direzione e non come provenienti dalla cassa acustica più vicina. Un software dedicato crea inoltre la profondità del palcoscenico: allontanandosi dal proscenio le voci catturate con dei radiomicrofoni vengono ritardate, emulando il ritardo causato dalla distanza, le alte frequenze si attenuano e aumenta l’incidenza delle prime riflessioni e del riverbero, come avviene nella realtà. Ovviamente è fondamentale sapere in ogni momento dove si trovano gli attori sul palcoscenico. Un raffinato sistema di Tracking, una specie di GPS locale con 6 antenne, dà automaticamente e in tempo reale le posizioni degli attori e segue perfettamente i loro spostamenti. La Wavefield Synthesis mette finalmente a disposizione del sound designer, del regista o del compositore più esigente un sistema di diffusione sonoro, con la possibilità di posizionare e muovere in uno spazio tridimensionale (intorno e volendo anche sopra le teste del pubblico) voci, suoni e musiche. Si possono creare spazi sonori immersivi, cambiare la prospettiva sonora o modificare virtualmente l’acustica di uno spazio. Hubert Westkemper Luca Ronconi Nasce l’8 marzo 1933 a Susa (Tunisia). Si diploma all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma nel 1953 e lavora come attore con ruoli da protagonista in spettacoli diretti da registi come Luigi Squarzina, Orazio Costa e Michelangelo Antonioni. A partire dal 1963 compie le sue prime esperienze registiche all’interno della Compagnia Gravina/ Occhini/Pani/ Ronconi/Volonté per la quale cura l’allestimento de La buona moglie, abbinamento in un solo spettacolo di due testi goldoniani, La putta onorata e La buona moglie. Nel 1966 realizza I lunatici di Middleton e Rowley ed è salutato dalla critica come uno degli esponenti di punta dell’avanguardia teatrale italiana. Lo spettacolo che lo consacra alla fama internazionale è Orlando Furioso (1969) di Ariosto, nella riduzione elaborata da Sanguineti, un evento teatrale straordinario che vivrà una fortunatissima tournée italiana e conoscerà un successo su scala mondiale. Dal 1975 al 1977 è Direttore della Sezione Teatro alla Biennale di Venezia e tra il 1977 e il 1979 fonda e dirige il Laboratorio di progettazione teatrale di Prato. Gli anni Settanta vedono la messa in scena di spettacoli memorabili, tra cui XX da Wilcock (1971), Orestea di Eschilo (1972), Utopia da Aristofane (1976) e, per il Laboratorio di Prato, Baccanti di Euripide (1977) e La torre di von Hofmannsthal (1978). Negli anni Ottanta, fondamentali tappe del percorso di ricerca ronconiano, considerate anche come indiscutibili vertici della storia del teatro italiano del dopoguerra, sono Ignorabimus di Holz (1986), Dialoghi delle carmelitane di Bernanos (1988) e Tre sorelle di Cechov (1989). Dal 1989 al 1994 è direttore del Teatro Stabile di Torino per il quale, nel 1992, fonda e dirige la Scuola per attori. Risalgono al mandato torinese, tra gli altri, Strano interludio di O’Neill, L’uomo difficile di von Hofmannsthal e Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus (tutti e tre del 1990), quest’ultimo allestito nel vasto ambiente della salamacchine del Lingotto di Torino, evento assoluto di quella stagione teatrale. Nell’aprile del 1994 è nominato direttore del Teatro di Roma per il quale mette in scena spettacoli di grande impegno come Re Lear di Shakespeare e verso “Peer Gynt” da Ibsen (1995), Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda (1996) e I fratelli Karamazov da Dostoevskij (1998). Dal gennaio 1999 assume le deleghe per la direzione artistica del Piccolo Teatro di Milano e la direzione della Scuola per attori dello stabile milanese. Per dare avvio al proprio lavoro al Piccolo, allestisce La vita è sogno di Calderón de la Barca e Il sogno di Strindberg, nell’inverno del 2000. Nella stagione 2000-2001 dirige Lolita-sceneggiatura di Nabokov, I due gemelli veneziani di Goldoni e Candelaio di Bruno; nella stagione successiva Quel che sapeva Maisie di James e Infinities del matematico Barrow. Nell’estate 2002, nella cornice del Teatro Greco di Siracusa, allestisce la trilogia Prometeo incatenato di Eschilo, Baccanti di Euripide, Rane di Aristofane (rappresentati poi anche al Teatro Strehler a Milano). Lo stesso anno, con la messinscena a Ferrara di Amor nello specchio di Andreini, vede il debutto il Centro Teatrale Santacristina, unità di produzione e formazione che Ronconi fonda insieme a Roberta Carlotto e che tutt’ora dirige nella struttura appositamente creata nella valle eugubina. L’estate successiva è al Teatro Farnese di Parma con Peccato che fosse puttana di Ford (poi al Teatro Studio a Milano). Per Genova Capitale Europea della Cultura 2004 realizza La centaura di Andreini. Nel 2005 porta in scena Diario privato di Léautaud, con Giorgio Albertazzi e Anna Proclemer, cui segue Professor Bernhardi, prodotto dal Piccolo. Nel 2006 è invitato a dirigere, in omaggio al simbolo olimpico, cinque spettacoli in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino 2006: Troilo e Cressida di Shakespeare, Atti di guerra: una trilogia di Edward Bond, Biblioetica, Dizionario per l’uso di Corbellini, Donghi e Massarenti (codiretto con Claudio Longhi), Il silenzio dei comunisti di Foa, Mafai e Reichlin, Lo specchio del diavolo di Ruffolo. Per il terzo centenario goldoniano, mette in scena al Teatro Strehler, nel gennaio 2007, la commedia Il ventaglio. Sempre al Piccolo, Inventato di sana pianta ovvero gli affari del Barone Laborde di Hermann Broch. Per l’edizione del 2007 del Salone del Libro di Torino propone Fahrenheit 451 di Ray Bradbury; nel settembre 2007, a Ferrara, debutta Progetto “Odissea doppio ritorno”, dittico comprendente L’antro delle Ninfe, da Omero e Porfirio e Itaca di Botho Strauss (2007). A giugno 2008 inizia la collaborazione con il Festival dei Due Mondi di Spoleto presentando alcune “Lezioni” sulla drammaturgia di Ibsen. A settembre del 2008, in Umbria, inaugura il Teatro Cucinelli di Solomeo con Nel bosco degli spiriti, una fiaba dello scrittore nigeriano Amos Tutuola tradotta in testo teatrale da Cesare Mazzonis e musicata dal vivo da Ludovico Einaudi. Nel giugno 2009 prosegue l’appuntamento spoletino con uno studio sul Gabbiano di Cechov dal titolo Un altro gabbiano. Per lo stabile di Genova, ha messo in scena Nora alla prova da “Casa di bambola” tratto da Ibsen (2011). Le sue ultime regie al Piccolo Teatro sono i due Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate (2008) e Il mercante di Venezia (2009), la commedia Giusto la fine del mondo (2009) del contemporaneo francese Jean-Luc Lagarce, I beati anni del castigo di Fleur Jaeggy (2010), La compagnia degli uomini con cui ritorna al teatro di Edward Bond (2011), La modestia (2011) di Rafael Spregelburd, Santa Giovanna dei macelli (2012), sua prima esperienza con il teatro di Bertolt Brecht, Il panico ancora di Spregelburd (2013). Dal 2010 porta avanti un progetto triennale nato grazie alla collaborazione tra il Centro Teatrale Santacristina e 53 l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”: i cicli di laboratori estivi presso la sede della Scuola con gli allievi diplomandi del III anno di recitazione si concludono proprio nel luglio 2012 al Festival di Spoleto con la messa in scena di In cerca d’autore. Studio sui “Sei personaggi” di Luigi Pirandello inserito anche nella stagione 2012/13 del Piccolo. Sempre con il Centro Teatrale Santacristina e il Piccolo Teatro ha allestito Pornografia di Gombrowicz, in anteprima nel luglio 2013 al Festival dei 2Mondi di Spoleto e prossimamente al Piccolo. Come regista lirico, alla frequentazione dei “classici” dell’opera italiana (i verdiani Nabucco, 1977, e Trovatore, 1977; Norma di Bellini, 1978; Macbeth, 1980, Traviata, 1982 e Aida, 1985, ancora di Verdi, e Tosca di Puccini, 1997) ed europea (Carmen di Bizet, 1970; Das Rheingold di Wagner, 1979; Don Giovanni di Mozart, 1990 e 1999; Lohengrin, ancora di Wagner, 1999), Ronconi accompagna un interessante lavoro di studio sui territori meno battuti del teatro musicale, come la grande stagione del Barocco italiano (L’Orfeo di Rossi, 1985; L’Orfeo e Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi, entrambi del 1998; L’incoronazione di Poppea sempre di Monteverdi, 2000) o la produzione operistica contemporanea (Il caso Makropulos di Janácek, 1993; Il giro di vite di Britten, 1995; Teorema di Battistelli, 1996; Arianna a Nasso di Strauss, 2000). Incontro particolarmente felice è quello con la drammaturgia musicale rossiniana: Il barbiere di Siviglia (1975), Moïse et Pharaon ou le passage de la Mer Rouge (1983), Il viaggio a Reims (1984), Guglielmo Tell (1988), Ricciardo e Zoraide (1990), Armida (1993), Cenerentola (1998), La donna del lago (2001), King Lear di Reimann per il Regio di Torino (2001), Giulio Cesare di Händel (Madrid, 2002), una nuova versione di Moïse et Pharaon di Rossini (Teatro alla Scala – Arcimboldi, 2003), Alfonso ed Estrella di Schubert (Cagliari, 54 2004), L’Europa riconosciuta di Salieri (per la riapertura della Scala nel dicembre 2004), Il barbiere di Siviglia (Pesaro, 2005). Tra le regie liriche più recenti, Falstaff di Verdi nel 2006 al Maggio Musicale Fiorentino, la Turandot “nuda” nel 2007 per l’apertura di stagione del Teatro Regio di Torino e il Trittico pucciniano alla Scala di Milano (2008, riallestito all’Opéra di Parigi nell’ottobre 2010), la ripresa del Viaggio a Reims di Rossini alla Scala (2009). La sua regia de La clemenza di Tito di Mozart ha riaperto dopo il restauro lo storico Teatro San Carlo di Napoli (gennaio 2010). Nello stesso teatro, nel novembre 2011 ha messo in scena Semiramide di Rossini. Nel novembre 2013 ha allestito nuovamente Falstaff, questa volta al Petruzzelli di Bari. Luca Ronconi è anche curatore e allestitore di mostre. Nel febbraio 2004, a Palazzo Reale di Milano, si è inaugurata Anton Van Dyck-Riflessi italiani; nel settembre 2006 ha curato la suggestiva esposizione della mostra Cina. Nascita di un Impero presso le Scuderie del Quirinale a Roma. Nel 2008, prima per Roma, negli spazi del Museo Nazionale di Palazzo Venezia, poi per Berlino alla Gemäldegalerie, ha curato l’allestimento della mostra dedicata a Sebastiano Del Piombo. Nel settembre 2009 lavora all’allestimento della mostra Roma. La pittura di un Impero esposta negli spazi delle Scuderie del Quirinale. Infine ha curato l’allestimento dell’esposizione La bella Italia. Arte e identità delle città capitali, messa in scena negli spazi delle scuderie Juvarriane della Venaria Reale di Torino per i 150 anni dell’Unità d’Italia (2011). Tra i numerosi premi e riconoscimenti, il VI Premio Europa per il Teatro di Taormina Arte (aprile 1998); il Premio UBU come migliori spettacoli delle rispettive stagioni teatrali per “Progetto sogno” nel 2000, Lolita nel 2001, Infinities nel 2002, Professor Bernhardi nel 2005, “Progetto Domani” nel 2006, Il panico nel 2013, il Premio Nazionale della Critica per il “Progetto Lagarce” e il Premio ETI come migliore spettacolo per Sogno di una notte di mezza estate. Nel 2008 gli è stato conferito dall’Accademia Nazionale dei Lincei il Premio “Antonio Feltrinelli” per la Regia teatrale. Ha ricevuto lauree honoris causa dalle Università di Bologna (1999), Perugia (2003), Urbino (2006) e Venezia (2012). Nell’ambito della Biennale Teatro, ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera (agosto 2012). Como, 2004), I pretendenti di Jean-Luc Lagarce, regia Carmelo Rifici (Teatro Studio, 2009), Alice nel paese delle meraviglie da Lewis Carrol, regia di Emiliano Bronzino (Teatro Studio, gennaio 2010), 20 novembre, di Lars Norén, regia Fausto Russo Alesi (Piccolo Teatro Strehler, Scatola Magica, febbraio 2010), Giulio Cesare di Shakespeare, regia Camelo Rifici (Teatro Strehler, 2012), Natale in casa Cupiello, di E. De Filippo, regia Fausto Russo Alesi (Teatro Studio, 2012). Marco Rossi (Scene) Nato a Firenze, diplomato all’Accademia di Belle Arti della sua città alla scuola di Antonio Capuano; ha collaborato, come assistente, con lo scenografo Maurizio Balò. Ha realizzato le scenografie degli spettacoli di Luca Ronconi Amor nello specchio di G. B. Andreini (Ferrara, 2002), Peccato che fosse puttana di John Ford (Teatro Farnese di Parma, 2003, coprodotto dal Piccolo Teatro e messo in scena anche al Teatro Studio), Diario privato di Paul Léautaud (Teatro Argentina di Roma, 2005), I soldati di Jakob Lenz (Teatro Studio, 2005), Inventato di sana pianta, ovvero gli affari del barone Laborde di H. Broch (Teatro Grassi, 2007, premio UBU per la migliore scenografia), Itaca di Botho Strauss e L’antro delle ninfe a cura di M.Trevi (progetto “Odissea doppio ritorno”, Teatro Comunale di Ferrara, settembre 2007), Giusto la fine del mondo, di JeanLuc Lagarce, regia Luca Ronconi (Teatro Studio, 2009), La modestia di R. Spregelburd (Festival di Spoleto, Teatro Caio Melisso, giugno 2011, ripreso al Teatro Grassi), Il panico di R. Spregelburd, (Teatro Strehler, 2013), Pornografia di W. Gombrowicz (Festival di Spoleto, Teatro Torti, Bevagna, 2013, prossimamente al Piccolo). Per il Piccolo ha curato anche le scene di Vecchia Europa di Delio Tessa, regia di Giuseppina Carutti (Teatro Studio, 2002) e Guardia alla luna di Bontempelli, regia Marco Rampoldi (Teatro Sociale di Gianluca Sbicca (Costumi) Perugino di nascita, classe 1973, studia scenografia all’Accademia di Brera di Milano dove conosce Simone Valsecchi con il quale inizia una collaborazione su diversi progetti. Dopo varie esperienze nel campo della moda (Gianfranco Ferrè, Jean Paul Gaultier e altri), approdano al teatro come assistenti di Maria Carla Ricotti per Macbeth Clan, con Raoul Bova, regia Angelo Longoni, produzione del Piccolo per la stagione 1998/99. Sempre al Piccolo, sono assistenti di Jacques Reynaud per i costumi di Lolita di Nabokov (2001), regia Luca Ronconi, per il quale realizzano anche Phoenix di Marina Cvetaeva (2001). Diretto da Ronconi è il primo spettacolo che firmano: Candelaio di Giordano Bruno, allestito a Palermo nell’estate del 2001 e ripreso a Milano. È l’inizio di una lunga collaborazione con il regista, che li vedrà realizzare i costumi per la trilogia Prometeo incatenato di Eschilo, Baccanti di Euripide e Rane di Aristofane (al Teatro Greco di Siracusa e al Piccolo); Amor nello specchio di Andreini a Ferrara; Giulio Cesare di Händel, coproduzione Teatro Real di Madrid e Teatro Comunale di Bologna; Peccato che fosse puttana di John Ford, debutto al Farnese di Parma, poi anche al Piccolo; Professor Bernhardi di Schnitzler al Piccolo; Diario privato di Léautaud per il Teatro di Roma; due degli spettacoli del Progetto Domani di “Torino 2006 Olimpiadi della Cultura”, Troilo e Cressida di Shakespeare e Lo specchio del diavolo di Ruffolo; Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, per lo Stabile di Torino, in scena anche al Piccolo. Il primo spettacolo che Gianluca Sbicca firma da solo è Nel bosco degli spiriti di Tutuola per il Teatro Cucinelli di Solomeo; collabora con lo stilista Antonio Marras per la realizzazione dei costumi di Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare di nuovo al Piccolo e realizza i costumi di: La modestia di Spregelburd, che ha debuttato a Spoleto nell’estate 2011, Santa Giovanna dei macelli di Bertolt Brecht (Piccolo Teatro Grassi, 2012), Il panico (Piccolo Teatro Strehler, 2013). Tra gli altri registi con cui ha collaborato, Gabriele Lavia (I giorni del buio), Claudio Longhi (La Moscheta di Ruzante; Ite Missa Est di Luca Doninelli, Cos’è l’amore di Franco Branciaroli, Caligola e La peste di Camus, Omaggio a Koltès, Io parlo ai perduti di Roberto Barbolini, Arturo Ui di Bertolt Brecht vincitore del premio della critica come spettacolo dell’anno 2011, Prometeo incatenato di Eschilo, nuovo allestimento del 2012 a Siracusa con la partecipazione del Martha Graham Dance Company di New York, Il ratto d’Europa, 2013); Marco Rampoldi (La Calandria di Bibbiena, Due dozzine di rose scarlatte di Aldo De Benedetti); Peter Greenaway (Peopling The Palace, filmato progettato e diretto per animare la Reggia di Venaria a Torino); Piero Maccarinelli (Ritter Dene Voss di Thomas Bernhard e John Gabriel Borkman di Ibsen); Sergio Fantoni (La commedia di Candido di Stefano Massini); Massimo Popolizio (al debutto alla regia con Ploutos da Aristofane, riscritto da Ricci/Forte); Daniele Salvo (Gramsci a Turi di Antonio Tarantino, in cui è autore anche delle scene, così come per Summer di Edward Bond); Pietro Babina (La leggenda del grande inquisitore ispirato a Dostoevskji); Alvis Hermanis (Le signorine di Wilko di Jaroslaw Iwaszkiewicz). A.J. Weissbard (Disegno luci) Light designer americano, lavora in tutto il mondo per teatro, mostre, installazioni permanenti e architettoniche. Ha collaborato con Robert Wilson, Peter Stein, Luca Ronconi, Daniele Abbado e Bernard Sobel, Peter Greenaway, William Kentridge, David Cronenberg, Shirin Neshat, Marina Abramovic, Gae Aulenti, Fabio Novembre, Pierluigi Cerri, Giorgio Armani, Richard Gluckman, Matteo Thun e Martha Graham Dance Company. Tra i luoghi che hanno ospitato le sue creazioni si ricordano: per il teatro, Lincoln Center New York, Los Angeles Opera, Brooklyn Academy of Music, Teatro alla Scala di Milano, Paris Opéra Garnier, Bruxelles Opera La Monnaie, Teatro Real Madrid, Teatro di Epidauro, Schaubühne Berlin, Esplanade Singapore e Bunka Kaikan Tokyo; per le mostre e le installazioni multimediali, il Guggenheim di New York e Bilbao, Royal Academy of London, Petit Palais Paris, Vitra Design Museum, Triennale di Milano, il Quirinale a Roma, Kunstindustrimuseum Copenhagen, Shanghai Art Museum, Aichi World Expo 2005, Salone del Mobile Milano, Biennale di Venezia e il Museo del Louvre. È il primo a ricevere il premio IFSArts per il Lighting Design nel 2010. AJ Weissbard vive a Roma. Hubert Westkemper (Suono) Laureato alla “Hochschule der Künste” di Berlino come ingegnere del suono vive e lavora dai primi anni ottanta in Italia, dedicandosi prevalentemente al sound design di spettacoli teatrali. Ha collaborato con molti registi italiani e internazionali, tra i quali: Luca Ronconi (collaborazione cominciata nel 1986 con Ignorabimus), Robert Wilson (Come in under the shadow of this red rock di T.S.Eliot, Persephone e G.A. Story), 55 Jérôme Savary (Blimunda, opera di Azio Corghi su testo di José Saramago, Teatro alla Scala), Peter Stein (Tat’jana, opera di Azio Corghi), Mario Martone (Operette morali e il film Noi credevamo), compositori quali Luciano Berio (Cronaca del luogo, Festival di Salisburgo), Luca Francesconi (Gesualdo considered as a murderer, Amsterdam), Fabio Vacchi (ll letto della Storia, Maggio Musicale di Firenze, regia Barberio Corsetti). Ha dato il suo contributo ad importanti istituzioni tra cui Teatro alla Scala, Piccolo Teatro di Milano, Biennale di Venezia, Festival di Spoleto, Maggio Musicale Fiorentino, Festival di Salisburgo e Holland Festival. Un’attenzione particolare dedica da sempre all’aspetto spaziale del suono, sia nei concerti, sia nella messa in scena delle opere contemporanee e degli spettacoli teatrali. Da questa passione nasce, in collaborazione con il regista Andrea de Rosa, Elettra di Hugo von Hofmannsthal, spettacolo che utilizza - con gli spettatori in cuffia - la tecnica binaurale (olofonia), e con il quale nel 2005 vince il Premio dell’Associazione Nazionale dei Critici Teatrali e il Premio UBU. Da diversi anni si dedica inoltre ai possibili utilizzi della wavefield synthesis per spettacoli dal vivo, installazioni e musica. Socio fondatore di AGON, ha partecipato in qualità di ingegnere del suono a tutti i più importanti progetti dell’associazione. Ha collaborato con RAI-Radio 3 e la RadioTelevisone Svizzera Italiana (RTSI) per alcuni radiodrammi realizzati in parte in olofonia. Dal 2006 è docente presso l’Accademia di Brera – Dipartimento di Progettazione e Arti applicate (Progettazione di Spazi sonori) e tiene corsi presso la Civica Scuola Paolo Grassi di Milano. 56 Peppe Servillo (Melodie) Debutta nella musica con gli Avion Travel nel 1980. La sua storia coincide in gran parte con quella del suo gruppo che, in circa trent’anni di lavoro, ha pubblicato numerosi album conquistando importanti riconoscimenti. Nel 1998 con gli Avion Travel partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Dormi e sogna, vincendo il premio della critica e il premio della giuria di qualità come migliore musica e miglior arrangiamento. Nel 2000 il gruppo vince a Sanremo con il brano Sentimento oltre ad aggiudicarsi il premio della giuria di qualità per la musica e l’arrangiamento. Inizia nel 2003 una proficua collaborazione artistica con due musicisti argentini, Javier Girotto e Natalio Mangalavite che si concreta negli anni a seguire nella realizzazione di due album. Nel 2007 esce l’album degli Avion Travel Danson Metropoli – Canzoni di Paolo Conte vincitore di un disco d’oro. Nel 2010 vengono presentati al Festival di Venezia due film nei quali Peppe è presente in veste d’interprete: Into paradiso di Paola Randi e Passione di John Turturro. Lo stesso anno collabora come attore in teatro col fratello Toni allo spettacolo Sconcerto. Nel 2011, accompagnato dall’orchestra Roma Sinfonietta, è voce recitante dell’Histoire du soldat di Igor Stravinsky della quale cura anche l’adattamento in napoletano. Lo spettacolo viene rappresentato in numerose città italiane fra le quali Napoli al Teatro San Carlo. Nel mese di ottobre 2012 esce l’album Peppe Serviilo & Solis String Quartet “Spassiunatamente” omaggio alla cultura e alla canzone classica napoletana. Nel 2013 recita ancora accanto al fratello Toni (anche regista) ne Le voci di dentro di Eduardo De Filippo, per il quale vince l’Ubu come migliore attore non protagonista. Flavio D’Ancona (Melodie) Dopo numerosi anni di studi di musica classica inizia un’intensa collaborazione a partire dal 1970 con numerosi gruppi rock attivi nel panorama italiano in veste di compositore, pianista, chitarrista e cantante. Negli anni a seguire è molto attivo in qualità di compositore di numerose musiche per la televisione fino all’incontro agli inizi del 1990 con il gruppo degli Avion Travel con i quali collabora da oltre vent’anni in qualità di produttore e poi anche di musicista nelle fortunate tournée Danson Metropoli Canzoni di Paolo Conte e Nino Rota - L’amico magico. Cura la produzione esecutiva di tutti i dischi degli Avion Travel dal 2000 in poi oltre a quella dei primi due dischi dell’Orchestra di Piazza Vittorio e di numerosi altri artisti. Continua nel frattempo la propria attività in qualità di esecutore e compositore in campo cinematografico e radiofonico. Aldo Signoretti (Trucco e acconciature) Nasce a Roma, inizia a muoversi nel mondo dello spettacolo, negli anni ‘70, tra teatro e cinema collaborando con grandi maestri tra cui De Lullo, Zeffirelli e Visconti, lavorando agli ultimi film di quest’ultimo, nonché su quelli di Fellini e Monicelli e Cavani. Si trasferisce negli Stati Uniti negli anni ’80, dove passando per Broadway e collaborando ad alcuni musical, inizia a lavorare con eminenti registi internazionali partecipando a progetti come M. Butterfly di David Cronenberg, Dolores Claiborne e L’avvocato del diavolo, entrambi diretti da Taylor Hackford, Kansas City e Popeye di Altman; risale anche a questo periodo l’inizio della sua collaborazione con il regista Baz Luhrmann, con il quale lavora su progetti teatrali e cinematografici quali La Traviata, Romeo + Juliet e Moulin Rouge. In anni piu recenti dà inizio alla collaborazione con il regista Paolo Sorrentino per Il divo, This Must Be the Place e La grande Bellezza. Nell’ultimo anno ha lavorato con Mario Martone nel film Il giovane Favoloso e con il regista Brett Rathner per Hercules. Lo scorso anno ha realizzato per il Piccolo Teatro il make up di Il panico per la regia di Luca Ronconi. Nella sua lunga e ricca carriera gli sono stati attribuiti diversi riconoscimenti tra i più ambiti del panorama internazionale. Giovanni Crippa (Pleberio) Debutta sulle scene a vent’anni, in Equus di Peter Shaffer, diretto da Marco Sciaccaluga. Ha lavorato con i principali registi italiani, tra cui De Lullo (La dodicesima notte di Shakespeare e Le tre sorelle di Cechov), Albertazzi (Il Cid di Corneille), Squarzina, De Fusco, Siciliano, Crivelli, Cappuccio, Andrée Ruth Shammah (I promessi sposi alla prova di Testori), lo stesso Giovanni Testori (Filippo di Alfieri), Patroni Griffi (Zio Vanja di Cechov, la cosiddetta Trilogia del teatro nel teatro di Pirandello e Fior di pisello di Bourdet), Chérif, Maccarinelli (Elettra e Oreste di Euripide), Stein (Medea di Euripide e Demoni di Dostoevskij). Del 1993 è la sua prima regia, L’angel, dal poema di Loi. Dal 1995, prende parte alle principali produzioni del Teatro di Roma dirette da Luca Ronconi, interpretando Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda, Davila Roa di Baricco, I fratelli Karamazov di Dostoevskij, Questa sera si recita a soggetto di Pirandello, Alcesti di Samuele di Savinio. Per il Teatro di Genova ha recitato ne La centaura di Andreini e in Nora alla prova da “Casa di bambola”. Per il progetto ronconiano ideato per le Olimpiadi di Torino ha preso parte a Troilo e Cressida e Lo specchio del diavolo. Al Piccolo, sempre diretto da Ronconi, è stato tra gli interpreti di La vita è sogno, Lolita, I due gemelli veneziani (Premio UBU come miglior attore non protagonista), Candelaio, Prometeo incatenato, Baccanti, Rane, Peccato che fosse puttana, Professor Bernhardi, Il ventaglio, Inventato di sana pianta, Sogno di una notte di mezza estate, Il mercante di Venezia, La compagnia degli uomini. Ha recitato anche ne I pretendenti di Lagarce, ne Il gatto con gli stivali ovvero Una recita continuamente interrotta di Tieck/Tessitore, in Dettagli di Lars Norén, tutti e tre con la regia di Carmelo Rifici e ne La cimice di Majakovskij, regia Serena Sinigaglia. Con la sorella Maddalena, ha interpretato Passione, da Passio Laetitiae et felicitatis di Giovanni Testori per la regia di Daniela Nicosia. Sul grande schermo ha recitato in State buoni se potete di Luigi Magni; in televisione è stato protagonista maschile in Manon, regia di Sandro Bolchi e in Cheri, regia di Muzii. Paolo Pierobon (Calisto) Attore di teatro, cinema e televisione. Diplomato alla Civica Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi” di Milano, riceve nel 2004 il premio dell’Associazione Nazionale Critici Italiani come miglior attore emergente per gli spettacoli Finale di partita di Samuel Beckett (regia Lorenzo Loris) e Morte accidentale di un anarchico di Dario Fo (regia Ferdinando Bruni e Elio De Capitani). Nel 2008 interpreta il ruolo di Levin in Anna Karenina di Tolstoj, nella messinscena di Eimuntas Nekrosius, e vince il Premio Ubu come miglior attore non protagonista. Nel 2009, ancora con Elio De Capitani, è Ian in Blasted di Sarah Kane; Luca Ronconi lo dirige al Festival di Spoleto in un’inedita versione de Il gabbiano di Cechov (Un altro gabbiano) dove interpreta lo scrittore Trigorin, quindi, nella stagione 2010/2011, ne La compagnia degli uomini di Edward Bond, al Piccolo Teatro di Milano, in Nora alla prova da “Casa di bambola” da Ibsen al Teatro della Corte di Genova, ne La modestia di Rafael Spregelburd presentato al Festival dei Due Mondi di Spoleto e al Mittelfest di Cividale del Friuli; nella stagione 2011/12 gli affida il ruolo di Mauler in Santa Giovanna dei macelli di Brecht; l’anno seguente è Emilio Sebrjakovich ne Il panico, ancora di Spregelburd e Federico in Pornografia di Gombrowicz. Al cinema debutta nel 1998 in Pompeo, mediometraggio di Paolo Vari e Antonio Bocola. L’anno successivo è protagonista, con Sandra Ceccarelli, di Guarda il cielo (Stella, Sonia, Silvia) di Piergiorgio Gay. Nel 2005, in Come l’ombra di Marina Spada, è un professore di russo. Partecipa a diversi film del regista Federico Rizzo, tra cui Lievi crepe sul muro di cinta del 2003 dove interpreta (da protagonista) un poeta emarginato, e Fuga dal call center del 2008 in un cameo. Nello stesso anno è diretto da Marco Bellocchio in Vincere in cui è il fascista Bernardi. Marina Spada l’ha diretto anche ne Il mio domani. Nel 2013 è tra i protagonisti de La prima neve, di Andrea Segre ed è in questi giorni sugli schermi per la sua partecipazione a Il capitale umano di Virzì (nel ruolo dello zio Davide). In televisione, recentemente è stato diretto da Maurizio Zaccaro ne Lo smemorato di Collegno (Avvocato Farinacci) ed è tra i protagonisti di Squadra antimafia - Palermo oggi. Lucrezia Guidone (Melibea) Nata a Pescara ma di origini pugliesi, si diploma all'Accademia Nazionale D’Arte drammatica Silvio D’Amico. Dopo il diploma frequenta il Centro di Formazione teatrale Santacristina diretto da Luca Ronconi e Roberta Carlotto e il Lee Strasberg Theatre and Film Institute di New York. Sempre a New York studia con la regista Jordan Bayne. Lavora con L. Salveti ne L'impresario delle Canarie per la biennale di Venezia, con V. Binasco in Frammenti per il Festival di 57 Spoleto. Con Luca Ronconi interpreta la Figliastra in In cerca d’autore. Studio sui “Sei personaggi” di Pirandello, il travestito Ursula ne Il panico di Rafael Spregelburd. È autrice, insieme a Vera Dragone, del testo FOR(give)ME scelto per essere rappresentato all’Art Off Festival in Venezuela. È la vincitrice del premio UBU 2012 come miglior attrice under 30, del premio Virginia Reiter 2013 e del Premio Duse miglior attrice giovane 2013. Al cinema la vedremo in primavera nei panni di Emma nel nuovo film di Francesco Bruni dal titolo Noi quattro. Fausto Russo Alesi (Sempronio) Diplomato alla Civica Scuola d’Arte Drammatica “Paolo Grassi”; dal 1996 è uno dei soci di A.T.I.R. Nel 2002 ottiene il premio dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. Nella stagione 2000/2001 è Kostja nel Gabbiano di Cechov, diretto da Eimuntas Nekrosius; per questa interpretazione e quella di Natura morta in un fosso di Fausto Paravidino, regia Serena Sinigaglia, riceve il “Premio Ubu” 2002 come miglior attore giovane. Nel gennaio 2003 è vincitore del 21st International Fadjr Theatre Festival a Teheran (Iran), attribuito dall’I.T.I-Unesco. Nel 2004 interpreta Il Grigio di Giorgio Gaber, regia di Serena Sinigaglia, ricevendo il “Premio Olimpici del Teatro” (premio ETI 2004), il premio Annibale Ruccello (2004), il premio Vittorio Gassman, la Maschera d’oro e il Persefone d’oro (2005). È interprete e regista dello spettacolo Edeyen di Letizia Russo. Ha lavorato anche con Gigi Dall’Aglio, Ferdinando Bruni, Armando Punzo e Gabriele Vacis, con Peter Stein (I demoni di Dostoevskij) e di nuovo con Serena Sinigaglia (L’Aggancio di Nadine Gordimer). Diretto da Luca Ronconi ha recitato in Il silenzio dei comunisti, Fahrenheit 451, Nel bosco degli spiriti, Sogno di una notte di 58 mezza estate, Il mercante di Venezia (nel ruolo di Shylock), La modestia di Rafael Spregelburd, Santa Giovanna dei macelli di Brecht (premio Ubu miglior attore non protagonista). Per il ruolo di Kirillov ne I demoni e di Bottom in Sogno di una notte di mezza estate, ha vinto il Premio Ubu 2009 come miglior attore non protagonista. Ancora al Piccolo è stato unico interprete e regista di 20 novembre di Lars Norén, nella stagione 2010/11, ha recitato in Nathan il saggio di Lessing, diretto da Carmelo Rifici, quindi nel 2012 ha adattato, diretto e interpretato Natale in casa Cupiello di Eduardo. Tra le altri recenti interpretazioni, protagonista e regista di Cuore di cactus di Antonio Calabrò. Per il cinema è stato diretto da Silvio Soldini in Pane e tulipani, Agata e la tempesta e Il comandante e la cicogna. Ha recitato in Le rose del deserto di Mario Monicelli, In memoria di me di Saverio Costanzo (in concorso al Festival di Berlino), Vincere di Marco Bellocchio, in concorso al Festival di Cannes 2009, La doppia ora di Giuseppe Capotondi, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2009, La passione di Carlo Mazzacurati, in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2010. Nel 2012 ha recitato in Romanzo di una strage, regia Marco Tullio Giordana e in Venuto al mondo, regia Sergio Castellitto. Per Radio Rai ha letto il romanzo Padri e Figli di Turgenev. Nel 2013 è tra i protagonisti della fiction tv per Rai 1 Altri tempi, regia Marco Turco. Maria Paiato (Celestina) Di origine veneta, dopo il diploma di ragioniera frequenta l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” e si diploma nel 1984 con il saggio spettacolo Il risveglio di primavera di Franz Wedekind per la regia di Lorenzo Salveti. Ha interpretato Maria Zanella di Sergio Pierattini, regia Maurizio Panici, Premio della critica, Maschera d’Oro e Premio Ubu 2005; Cara professoressa di Ljudmila Razumovskaja, regia Valerio Binasco, le è valso il premio come Migliore Attrice agli Olimpici del teatro 2004. Tra le sue interpretazioni: Natura morta in un fosso di Fausto Paravidino, Le Troiane di Euripide e Ritter Dene Voss di Thomas Bernhard per la regia di Piero Maccarinelli; il monologo Non ho imparato nulla di Dolores Prato. In occasione delle Olimpiadi della cultura di Torino 2006 ha preso parte al “Progetto Domani” di Luca Ronconi interpretando il ruolo di Miriam Mafai ne Il silenzio dei comunisti di V. Foa, M. Mafai, A. Reichlin, Premio Ubu 2006 per la migliore attrice. Il monologo Un cuore semplice, scritto e diretto da Luca De Bei (tratto dall’omonimo racconto di Gustave Flaubert), le è valso il Premio Olimpici del teatro 2007. Nelle ultime stagioni, si ricordano le collaborazioni con Valerio Binasco ne L’intervista di Natalia Ginzburg e con Walter Malosti ne I quattro atti profani di Antonio Tarantino, grazie alle quali ottiene il Premio Duse (2009). Quindi veste i panni di Erodiade di Giovanni Testori per la regia di Pierpaolo Sepe, che la dirige anche nel monologo Anna Cappelli di Annibale Ruccello e in Medea di Seneca, e collabora con Cristina Pezzoli in Precarie età di Maurizio Donadoni; di nuovo Luca Ronconi la dirige ne La modestia di Rafael Spregelburd, (debutto nell’estate 2011 a Spoleto, poi al Piccolo), in Santa Giovanna dei macelli di Bertolt Brecht e ne Il panico, di nuovo di Spregelburd (entrambi al Piccolo). Al cinema è stata diretta, tra gli altri, da Francesca Archibugi (Lezioni di volo), Marco Martani (Cemento armato), Pietro Reggiani (L’estate di mio fratello), Francesca Comencini (Lo spazio bianco), Luca Guadagnino (Io sono l’amore) e Carlo Mazzacurati (La passione). Ha partecipato a diverse produzioni radiofoniche: Il teatro giornale di Roberto Cavosi e Sergio Pierattini; I dialoghi delle Carmelitane di G. Bernanos con la regia di Cristina Pezzoli; Taccuino italiano e Madre Teresa di Calcutta entrambi con la regia di Giuseppe Venetucci; La storia di Elsa Morante e Giro di vite di Henry James per il programma Ad alta voce a cura di Anna Antonelli. Licia Lanera (Elicia) Attrice e regista, nasce a Bari nel 1982, città in cui vive tutt’ora. Durante l’università si avvicina al teatro attraverso il CUT (Centro Universitario Teatrale). Prosegue la sua formazione, prevalentemente autodidatta, con stage e masterclass con Luca Ronconi, Eimuntas Nekrosius, Ermanna Montanari e Marco Martinelli, ricci/forte, Massimo Verdastro, Marco Sgrosso. Nel 2005, dopo essere stata scartata alle selezioni per entrare nelle accademie di teatro, decide di fondare, insieme a Riccardo Spagnulo la Compagnia Fibre Parallele con cui produce drammaturgie originali e ottiene numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero. È interprete e regista di Mangiami l'anima e poi sputala, 2007 (selezione Premio Scenario 2007, finalista al premio internazionale Vertigine 2010, premio Landieri 2011 a Licia Lanera come miglior attrice giovane); 2.(DUE), 2008 (vincitore del primo premio Fringe/ L’Altrofestival al 18° Festival Internazionale del Teatro di Lugano); Furie de Sanghe Emorragia cerebrale, 2009 (vincitore del bando Nuove Creatività-ETI; replicato anche in Macedonia, Francia e Belgio); Have I None di Edward Bond, 2011 (prodotto per TREND, rassegna dedicata alle nuove frontiere della drammaturgia britannica, segnalazione nella Terna Ubu a Licia Lanera come miglior attrice under 30); DURAMADRE, 2011; Lo Splendore dei Supplizi, 2013 (Vincitore del bando Teatri del Tempo Presente, segnalazione in due terne Ubu come migliore novità Italiana e miglior attore under 30 a Riccardo Spagnulo, menzione speciale al Premio Teresa Pomodoro). Vince il premio Hystrio-Castel dei Mondi 2011, conferito alle giovani compagnie teatrali che si distinguono su tutto il territorio nazionale. Fabrizio Falco (Parmeno) Si diploma al liceo artistico “Eustachio Catalano” di Palermo. Durante il periodo degli studi, partecipa a diversi spettacoli per la regia di Maurizio Spicuzza e frequenta la scuola “Teatès” diretta da Michele Perriera. Dal 2007 frequenta l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” dove si diploma nel 2010 con un doppio saggio, uno diretto da Valerio Binasco e un altro da Luca Ronconi. Nella stagioni 2010/11 e 2011/12 partecipa allo spettacolo Sogno d’una notte d’estate diretto da Carlo Cecchi. Sotto la direzione di Luca Ronconi, partecipa anche a In cerca d’autore, studio sui “Sei personaggi” di Luigi Pirandello e a Il panico di Rafael Spregelburd. Nel 2012 esordisce nel cinema con due film, entrambi in concorso alla 69° Mostra del Cinema di Venezia: È stato il figlio regia di Daniele Ciprì e Bella addormentata di Marco Bellocchio. Per le due interpretazioni si aggiudica il Premio Marcello Mastroianni, assegnato al miglior giovane attore emergente. Candidato ai Premi Ubu come miglior attore under30 nel 2012 e 2013. Lucia Marinsalta (Lucrezia) Allieva della Scuola di Teatro del Piccolo, fondata da Giorgio Strehler e diretta da Luca Ronconi, sta attualmente frequentando il terzo e ultimo corso e si diplomerà nel giugno 2014. Oltre a prendere parte agli spettacoli della Scuola, ha recitato, nel ruolo di Enrichetta, in Pornografia di Gombrowicz, sempre diretta da Luca Ronconi, presentato nel luglio 2013 in anteprima al Festival dei 2Mondi di Spoleto e in programmazione al Piccolo nel marzo 2014. Bruna Rossi (Alisa) Frequenta il Corso per Attori alla Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano tra l’86 e l’89. Scelta da Mario Martone, debutta nella Seconda Generazione, iniziando la propria collaborazione con Teatri Uniti. Il corso biennale di formazione e perfezionamento “Progetto Euripide”, diretto da Massimo Castri, segna l’inizio della collaborazione con il regista toscano: da Amoretto di Schnitzler e La vita è sogno di Calderón de la Barca fino ai recenti Quando si è qualcuno di Pirandello e Tre Sorelle di Cechov. Dall’incontro con la regista Cristina Pezzoli nascono, negli anni Novanta, numerosi spettacoli, tra i quali Come le foglie di Giacosa, per il quale vince il Premio Duse come miglior attrice emergente (1994). Collabora, tra gli altri, con Nanni Garella, Valerio Binasco, Marco Sciaccaluga, Bob Wilson, Gigi Dall’Aglio, Walter Le Moli, recitando testi di Koltès, Goldoni, Pirandello, Sartre, Weiss. Dall’iniziale periodo napoletano emerge successivamente un importante sodalizio artistico con Toni Servillo, che la dirige in Tartufo di Molière e ne Il lavoro rende liberi di Vitaliano Trevisan nel 2005. Nel contesto di una carriera sostanzialmente teatrale, ha partecipato a film e produzioni televisive di Citto Maselli, Gabriele Muccino, Roberto Andò, Gilberto Squizzato, Pasquale Pozzessere, Laura Muscardin e Mario Martone. Al Piccolo, ha recitato nelle produzioni I pretendenti di JeanLuc Lagarce, e Nathan il saggio di Lessing, entrambi per la regia di Carmelo Rifici, La cimice di Majakovskij, regia Serena Sinigaglia e, diretta da Luca Ronconi, in Giusto la fine del mondo, sempre di Lagarce, Il mercante di Venezia di Shakespeare, (per la cui interpretazione è finalista ai Premi Ubu 2010), Il panico di Rafael Spregelburd (2013). 59 Lucia Lavia (Areusa) Figlia d’arte (di Gabriele Lavia e Monica Guerritore), debutta a giovanissima a teatro, con la madre, in Teresa d’Avila. Nel 2011 gira la fiction Rossella per RAI Uno. Lo stesso anno è Desdemona nell’Otello di Nanni Garella e Angelica nel Malato immaginario di Molière, che debutta al Teatro Stabile di Roma. Nel dicembre 2011 partecipa allo spettacolo Tutto per bene, per la regia Gabriele Lavia. Nel 2012 prosegue la formazione presso il Centro di Ricerca Teatrale Santacristina diretto da Luca Ronconi. Gabriele Falsetta (Tristano) Genovese, nato nel 1982, nel 2005 entra alla Scuola di Teatro del Piccolo, diplomandosi nel 2008. Oltre agli spettacoli realizzati come allievo, tra cui i saggi di diploma Il gabbiano e Zio Vanja di Cechov, regia di Enrico D’Amato e Futur…azione a crepapelle regia di Emanuele De Checchi, prende parte a Opera seria di Ranieri de’ Calzabigi, Il ventaglio di Goldoni e Itaca di Botho Strauss tutti con la regia di Luca Ronconi, oltre a Bucoliche di Virgilio (Festival Letteratura di Mantova) e La Mandragola di Machiavelli entrambi con la regia di Gianfranco de Bosio. Ha recitato in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, regia di Luca Ronconi, è stato coprotagonista di Darwin... tra le nuvole, regia di Stefano de Luca, ha recitato ne Il gatto con gli stivali - Una recita continuamente interrotta di Tieck/Tessitore e in Giulio Cesare per la regia Carmelo Rifici e ne La cimice di Majakovskij, regia Serena Sinigaglia. Con Ronconi ha recitato anche nel ruolo di Konstantin in Un altro gabbiano da Cechov per il Festival dei 2Mondi di Spoleto, 2009. Nella stagione 2009/2010 è stato Lancillotto ne Il mercante di 60 Venezia di Shakespeare, regia Luca Ronconi. Ha recitato in 1984 di G. Orwell e ne Il Clown dal cuore infranto, entrambi con la regia di Simone Toni. Ha recitato in Alice, regia di Emiliano Bronzino (Piccolo Teatro di Milano). Lavorando stabilmente nella Compagnia Vocitinte, ha recitato in Medea’s Dream, Due Fratelli di Fausto Paravidino e ne L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello, tutti con la regia di Antonio Mingarelli. Nel 2012 è Bauer ne La Rosa Bianca, regia di Carmelo Rifici, prodotto dal Teatro Stabile di Bolzano. Nel maggio 2013 ha fondato, insieme al fratello Jacopo, la casa di produzione indipendente cinematografica Frömell Films. Riccardo Bini (Sosia) Nato a Firenze, si diploma all’Accademia di Belle Arti. Nel 1978 partecipa al Laboratorio di Progettazione Teatrale di Prato e allo spettacolo La torre di Hofmannsthal, regia di Ronconi. Tra il 1978 e il 1984 segue il primo anno dell’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” di Roma e della Bottega dell’Attore diretta da Vittorio Gassman, lavora con Ugo Chiti, Elio De Capitani, Giancarlo Cobelli, Mario Martone, Piero Maccarinelli. Dal 1985 collabora con Ronconi partecipando a molti suoi spettacoli, tra cui ricorda La serva amorosa di Goldoni, Ignorabimus di Arno Holz (1986), Strano interludio di O’Neill, L’uomo difficile di Hofmannsthal (1990), Gli ultimi giorni dell’umanità di Kraus (1991), Misura per misura di Shakespeare (1992), L’affare Makropulos di Capek (1993), verso “Peer Gynt” da Ibsen (1995), Ruy Blas di Hugo (1996), I fratelli Karamazov di Dostoevskij (1998), Alcesti di Samuele di Savinio (1999), quindi, al Piccolo La vita è sogno di Calderón de la Barca (2000), per il quale ha vinto il Premio Ubu come miglior attore non protagonista nel ruolo di Clarino, I due gemelli veneziani di Goldoni, Candelaio di Bruno (2001), Rane di Aristofane (2002), Peccato che fosse puttana di Ford (2003), La centaura di Andreini (2004), Professor Bernhardi di Schnitzler (2005), Troilo e Cressida di Shakespeare (allo Stabile di Torino 2006), Il ventaglio di Goldoni, Itaca di Botho Strauss (2007), Sogno di una notte di mezza estate (2008), Giusto la fine del mondo di JeanLuc Lagarce e Il mercante di Venezia di Shakespeare, entrambi del 2009, La compagnia degli uomini di Edward Bond (2011), Il panico di Rafael Spregelburd (2013), Pornografia di Witold Gombrowicz (2013). Pierluigi Corallo (Centurione) Diplomato alla Scuola del Piccolo Teatro, nel 1999 vince il premio Wanda Capodaglio per attori diplomandi. Ha lavorato in diversi spettacoli di Massimo Castri, tra i quali John Gabriel Borkman, Gl’Innamorati e Spettri dove ha interpretato il ruolo di Osvald. Ha lavorato al fianco di Giorgio Albertazzi in Falstaff per la regia di Gigi Proietti e con Ugo Gregoretti nel Duello di A. Shaffer. Ha interpretato David nel Saul di Alfieri per la regia di Lamberto Puggelli. Diretto da Pietro Carriglio, ha recitato ne Il povero Piero, Girotondo e Assassinio nella cattedrale al fianco di Giulio Brogi. Con Luca Ronconi ha interpretato Ulisse nel Progetto “Odissea doppio ritorno” e, nella stagione 2008/2009, Demetrio in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, Antoine in Giusto la fine del mondo di Lagarce. Nella stessa stagione, sempre al Piccolo, ha recitato anche ne I pretendenti ancora di Lagarce, diretto da Carmelo Rifici e ne La cimice di Majakovskij, con la regia di Serena Sinigaglia. Tra le ultime prove teatrali, Novantadue di Claudio Fava, regia di Marcello Cotugno, dove interpreta il ruolo di Paolo Borsellino, (2012), Sangue sul collo del gatto di R. W. Fassbinder e Il Fiore del dolore di Mario Luzi, entrambi per la regia di Umberto Cantone (2013). Al cinema, la lavorato con Michele Placido (Il grande sogno), Sergio Rubini (L’uomo nero e Colpo d’occhio); Marco Risi (Fort Apache), Ferzan Ozpetek (Un giorno perfetto) e Franco Battiato (Niente è come sembra). Sul piccolo schermo, ha lavorato nella miniserie Padre Pio, diretta da Carlo Carlei, nell’episodio Il gioco delle tre carte, della serie de Il commissario Montalbano, in Tutti pazzi per amore ed era tra i protagonisti di R.I.S. – Delitti imperfetti. Angelo De Maco (Critone) Veneziano, figlio d’arte, classe 1937, in gioventù recita con compagnie amatoriali. Arriva al teatro dopo la pensione, grazie ad una grande passione che lo porta a rimettersi in gioco attraverso corsi di recitazione e dizione. Nel 2001 partecipa a Lolita di Nabokov e Quel che sapeva Maisie di James con la regia di Luca Ronconi e a Gli angeli dello sterminio di Testori, regia di Franco Branciaroli. Nel 2003 partecipa alla fiction Mediaset Vivere. Nel 2006 lavora con Andrée Ruth Shammah per L’isola delle parole e Quale droga fa per me? di Kai Hensel. Torna al Piccolo Teatro nel 2008 in Fahrenheit 451 di Ray Bradbury regia di Luca Ronconi e nel 2009 ne I pretendenti di Jean-Luc Lagarce, con la regia di Carmelo Rifici. Nel 2010 al Teatro Ringhiera di Milano recita ne I fiori del mare del nord regia di Serena Sinigalia. L’anno successivo, alla Scuola di cinema di Milano è Correl nel filmcorto The Technician regia di Luca Carlini ed è co-protagonista nel film-corto What happens in Vegas, Stays in Vegas con la regia di Teresa Iaropoli. È di nuovo al Piccolo nel 2012 per Giulio Cesare di Shakespeare, regia Carmelo Rifici. Nella stagione 2012/13 partecipa al musical Titanic con la regia di Federico Bellone e nel maggio 2013 recita ne Il costruttore Solness di Ibsen, con la regia di Roberto Trifirò. Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa Fondato il 14 maggio 1947 da Giorgio Strehler, Paolo Grassi e Nina Vinchi, è il primo Stabile italiano, in ordine di tempo, nonché il più conosciuto, in Italia e all’estero. L’idea dei fondatori era dare vita a un’istituzione sostenuta dallo Stato e dagli enti locali (Comune e Provincia di Milano, Regione Lombardia) in quanto pubblico servizio necessario al benessere dei cittadini. “Teatro d’Arte per Tutti” era lo slogan che accompagnava il Piccolo alla sua nascita e anche oggi ne riassume pienamente le finalità: portare in scena spettacoli di qualità indirizzati al pubblico più ampio possibile. Dal 1991 il Piccolo Teatro di Milano è anche “Teatro d’Europa”. Il Piccolo gestisce tre sale: la sede storica (488 posti), ribattezzata Piccolo Teatro Grassi, di recente oggetto di un restauro conservativo che ha “scoperto” e restituito alla città lo splendido Chiostro Rinascimentale attiguo intitolato a Nina Vinchi; lo spazio sperimentale del Teatro Studio (368 posti), edificio dove è ospitata anche la Scuola di Teatro; la sede principale di 968 posti, inaugurata nel gennaio 1998, che porta il nome di Piccolo Teatro Strehler. In sessantasette anni di attività, il Piccolo ha prodotto oltre 300 spettacoli, 200 diretti da Strehler, di autori che vanno da Shakespeare (Re Lear e La tempesta) a Goldoni (Le baruffe chiozzotte, Il campiello e soprattutto Arlecchino servitore di due padroni), Brecht (L’opera da tre soldi, Vita di Galileo, L’anima buona di Sezuan), Cechov (Il giardino dei ciliegi). Dal 1998, con il passaggio del testimone a Sergio Escobar e a Luca Ronconi, il Piccolo ha accentuato la dimensione internazionale e interdisciplinare, candidandosi quale ideale polo culturale cittadino ed europeo. Sui suoi palcoscenici si alternano spettacoli di prosa e danza, rassegne e festival di cinema, tavole rotonde e incontri di approfondimento culturale. Nel suo itinerario di ricerca, Luca Ronconi ha proposto al Piccolo classici quali Calderón de la Barca (La vita è sogno), Eschilo (Prometeo incatenato), Euripide (Baccanti), Aristofane (Rane) Shakespeare (Sogno di una notte di mezza estate, Il mercante di Venezia), alternati ad autori meno frequentati in teatro (Schnitzler, Professor Bernhardi), o contemporanei (Jean-Luc Lagarce, Giusto la fine del mondo, Edward Bond, La compagnia degli uomini, Rafael Spregelburd, La modestia e Il panico), accanto alle versioni per la scena di celebri romanzi (per tutti Lolita di Nabokov). Autentico esperimento teatrale è stato lo spettacolo tratto dai cinque scenari sull’infinito (Infinities) del matematico inglese John D. Barrow, allestito in un magazzino di scenografie alla periferia di Milano. Per quanto riguarda la dimensione internazionale, il Piccolo ospita abitualmente artisti come Peter Brook, Patrice Chéreau, Eimuntas Nekrosius, Robert Lepage, Lev Dodin, Lluís Pasqual, Ingmar Bergman, Declan Donnellan, Simon Mc Burney, Robert Wilson. È stato in tournée in tutti i paesi del mondo, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Cina al Giappone, dall’Europa al Nord Africa, alla Nuova Zelanda. Dal 1986 il Piccolo gestisce la scuola di teatro, fondata da Giorgio Strehler e oggi diretta da Luca Ronconi, che ha diplomato 198 attori professionisti. Il Piccolo dal 1947 ad oggi Spettacoli allestiti Attori scritturati Recite a Milano Recite in Italia 3265 1.814 14.067 7.593 Edizioni Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa. Direttore editoriale Giovanni Soresi. A cura di Eleonora Vasta. Redazione Katia Cusin, Micol Ariane Bottazzi. Recite all’estero Totale recite 2.011 23.671 (elenco al 29 gennaio 2014) Progetto grafico Emilio Fioravanti, G&R Associati. Fotografie di scena Attilio Marasco Stampa Globalprint s.r.l., Osnago (Lc) gennaio 2014. 61 Sostieni il Piccolo perché diventi sempre più grande l’Albo d’Oro del Pıccolo Teatro PERSONE MECENATI Gilberto Calindri (onorario) Carla e Martina Carpi (onorario) Milli De Monticelli (onorario) Gustavo Ghidini Francesco Micheli Rosita Missoni Federica Olivares Dolores Redaelli (onorario) AZIENDE MECENATI AD HONOREM Anima Camera di Commercio - Milano Eni Fastweb Fondazione Berti Fondazione Cariplo Fondazione Corriere della Sera Fondazione Tronchetti Provera Intesa Sanpaolo Laura Biagiotti Sisal MECENATI Banca Popolare Commercio e Industria (Gruppo UBI Banca) Carpigiani Dom Pérignon General Conserve-ASDOMAR Pirelli & C SOSTENITORI Carlo Belgir Consolato generale di Svizzera a Milano Repubblica e Cantone Ticino Indicod-Ecr AMICI BCG - The Boston Consulting Group Centromarca Cooperativa FEMA Fondazione Bracco Fondazione IBM IBC SOSTENITORI Sarah e Sonia Balestra Piero Bassetti Cinzia Colombo Filippo Crivelli Marino Golinelli Vittorio Gregotti Giovanni Iudica Paolo Francesco Lazzati Luigi Marcante Massimo Menozzi Maria Angela Morini Rossini Alessandro Nespoli Nandi Ostali Carla Piasentin Canussio Carla Venosta Fossati Bellani AMICI Amici della Scala Rosellina Archinto Marconi Annamaria Cascetta Dario Ferrari Piergiorgio Gattinoni Mimma Guastoni Andrea Kerbaker Giacomo Leva Maria Grazia Mezzadri Cofano Rosella Milesi Saraval Fiorella Minervino Gian Battista Origoni della Croce Tinetta Piontelli Maurizio Porro Enrico Sacchi Gianbattista Stoppani Visita il sito www.iosostengoilpiccolo.it