Celestina - Web server per gli utenti dell`Università degli Studi di

2013
2014
STAGIONE
Celestina
laggiù vicino alle concerie
in riva al fiume
di Michel Garneau
da Fernando de Rojas
regia Luca Ronconi
La Celestina che presenta un gentiluomo a una giovane
Pablo Picasso, Suite 347. 1968 (5 agosto. III, Mougins)
© Succession Picasso by SIAE 2013
Fondazione
Piccolo Teatro di Milano
Teatro d’Europa
Stagione 2013/14
67a dalla fondazione
Soci Fondatori
Comune di Milano
Regione Lombardia
Provincia di Milano
Socio Sostenitore
Camera di Commercio Industria
Artigianato Agricoltura di Milano
Consiglio Generale
Giuliano Pisapia
Sindaco di Milano
Roberto Maroni
Presidente Regione Lombardia
Guido Podestà
Presidente Provincia di Milano
Carlo Sangalli
Presidente Camera di Commercio
Industria Artigianato Agricoltura
di Milano
Consiglio d’Amministrazione
Claudio Risé
Presidente
Consiglieri
Stefano Baia Curioni
Emma Paola Bassani
Federica Olivares
Antonio Pastore
Andrea Ragosta
Dario Vermi
Collegio dei Revisori dei Conti
Marco Arisi Rota
Presidente
Revisori dei conti
Marzia Provenzano
Ugo Zanello
Direttore
Sergio Escobar
Direttore Artistico
Luca Ronconi
Non è una forzatura credere che il vero protagonista di
questa (ri)scrittura di Celestina di Garneau sia più un luogo
che non un personaggio: laggiù vicino alle concerie in riva al
fiume. Nel testo, spesso questa formula sostituisce lo
stesso nome della protagonista. Sopravvive a lei,
assassinata appena poco oltre la metà della commedia,
che prosegue poi nella sua ineluttabilità.
Celestina “non è” senza quel luogo: in fondo e all’origine di
quel piano inclinato lungo il quale scorrono le parole e le
vicende, in un fiume torbido, di gorghi; un fiume in cui a
dominare non è mai il volere del singolo, ma la necessità,
mai l’appagamento, ma il desiderio che, come ricorda
Ronconi, muore “tra le mani”, appena queste lo appagano.
Spesso vicino ai fiumi, scrive Garneau, “si tramano azioni
tenebrose con cose o persone che vanno gettate in acqua,
la notte”. Celestina vive accanto alle concerie, luogo di
morte maleodorante e “riciclata”, riutilizzata, alla fine persino
indossata. Di questo “piano inclinato” Celestina non è
neppure, malgrado le apparenze, la forza motrice
corruttrice, ma solo la rappresentazione. Inclinata è anche
l’interpretazione dello spazio scenico voluta da Luca
Ronconi. La stessa di Panico: tuttavia là tutto scorreva a
frammenti sulla sua superficie, qui il testo si sviluppa sopra
e sotto il palcoscenico, il “rappresentabile del teatro”. Luca
Ronconi parla di “due inferni”; la scena li visualizza, nel suo
moto perpetuo di botole, cardini, voragini, lasciando i corpi
che si attraggono degli “innamorati” a consumarsi in
passioni senza sbocco su scale e torri, mentre sotto i loro
piedi l’altro inferno divora i servi e le “ragazze” di Celestina.
Nel suo flusso di intrighi la mezzana Celestina non è priva di
nostalgia per un passato lontano di giovinezza e bellezza
che pur si è consumato nello squallore del mestiere:
“se hai solo il corpo e non il mestiere ti prepari una povera
vecchiaia” rimprovera Celestina a Elicia.
Ogni vero piacere è negato ai protagonisti: il desiderio è
solo atto di possesso che porta con sé la consunzione, che
lascia infelice e vuoto Calisto (“perché non sono felice?”
chiede al pubblico dopo l’appagamento, termine che
coniuga sentimento e denaro). La coazione a ripetere non
colma il vuoto. Persino quello per il denaro è motivo
sproporzionato perché i servi uccidano Celestina. Su tutto
domina la necessità, è ancora Ronconi a ricordarcelo, di
quel piano inclinato che costringe “laggiù, alle concerie”,
sconce come sconcia è la vecchiaia che morde la vita.
Sergio Escobar
Direttore Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
3
Stagione 2013/14
Prima rappresentazione
Teatro Strehler
30 gennaio 2014
Sotto l’Alto Patronato
del Presidente della Repubblica
Celestina
laggiù vicino alle concerie in riva al fiume
Collaboratori responsabili all’allestimento
direzione tecnica Marco Rossi
assistenti alla direzione tecnica
Paolo Di Benedetto, Marco Gilberti
direzione di scena Giuseppe Milani
audio/video Rosario Calì
capo macchinista Giuseppe Rossi
capi elettricisti Claudio De Pace,
Gianluigi Ronchi
costruzioni Alberto Parisi
scenografia Mauro Colliva
capo sarta Roberta Mangano
sicurezza Michele Carminati
impianti elettrici Giuseppe Cirillo, Davide
Cognata, Pasquale Longobardi, Pino
Mastropaolo, Corrado Rovida, Roberto Testi
scene realizzate dal Laboratorio
di Scenografia “Bruno Colombo
e Leonardo Ricchelli” del Piccolo Teatro
di Milano-Teatro d’Europa
costumi realizzati dalla Sartoria del Piccolo
Teatro di Milano – Teatro d’Europa
reparto costruzioni, carpenteria metallica,
macchinisti Giorgio Armanni, Luigi Baggini,
Matteo Benini, Agostino Biallo, Marco
Premoli, Davide Pujatti, Alessio Rongione,
Mario Scrocca
costruzioni Armando Pitzoi, Alfredo Rivetta,
Angelo Superbi
reparto scenografia Nicolina Matilde
Barravecchia, Mattia Bordoni, Barbara
Gentilin, Emanuela Moroni, Simone Totaro
reparto sartoria Chiara Angioletti, Maria
Potenza, Monica Codazzi, Maria
Kurenkova, Antonella Fabozzi, Marisa
Cosenza, Alice Agrimonti
direttore di scena Angelo Ferro
primo attrezzista Mario Gaiaschi
attrezzisti Sebastiano Fortunato,
Lucia Morandi
primo macchinista Matteo Benini
macchinisti Luigi Baggini, Paolo Beolchi,
Tania Corradini, Eliana Ertugral, Ovidiu
Constantin Girjoi, Luana Marchesini,
Marco Premoli, Roberto Morello, Davide
Pujatti, Alessio Rongione
4
primo elettricista Eugenio Squeri
elettricisti Matteo Testa, Gianluca Zerga
primo fonico Luca Mazzucco
fonico Mattia Trabucchi
microfonista Marco Pasquale
sarta Alice Agrimonti
trucco e parrucche Romana Piolanti,
Nicole Tomaini
amministratrice di compagnia
Gaia Scaglione
di Michel Garneau
da La Celestina di Fernando de Rojas
traduzione Davide Verga
regia Luca Ronconi
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci A.J. Weissbard
suono Hubert Westkemper
melodie Peppe Servillo e Flavio D’Ancona
trucco e acconciature Aldo Signoretti
personaggi e interpreti (in ordine di apparizione)
Pleberio
Calisto
Melibea
Sempronio
Celestina
Elicia
Parmeno
Lucrezia
Alisa
Areusa
Tristano
Sosia
Centurione
Critone
Giovanni Crippa
Paolo Pierobon
Lucrezia Guidone
Fausto Russo Alesi
Maria Paiato
Licia Lanera
Fabrizio Falco
Lucia Marinsalta
Bruna Rossi
Lucia Lavia
Gabriele Falsetta
Riccardo Bini
Pierluigi Corallo
Angelo De Maco
regista assistente Giorgio Sangati
assistente scenografa Giulia Breno
assistente alle luci Pamela Cantatore
assistente alla regia volontaria
Lorenza Fantoni
foto di scena Luigi Laselva
produzione Piccolo Teatro di Milano Teatro d’Europa
5
500 ANNI E NON SENTIRLI: RONCONI
E IL TRAVASO DELLA “CELESTINA”
Una conversazione di Carlo Antonelli*
con Luca Ronconi
Tuo padre è di Roma? C’è qualcosa nella tua memoria
che ti riporta a quella città e quindi a quel Pasticciaccio
Brutto di Gadda, giusto? Perché stavi (ri)leggendo quel
libro di Gadda, I viaggi la morte, del 1958? In quel
passaggio dove Gadda individua in Celestina il germe
del romanzo moderno, la fine della tradizione
precedente, insomma. Hai dichiarato che è da lì che ti è
venuto in mente di metterla in scena.
Eh, ma l’avevo già letto prima, non è che fosse una
novità. Io mi ricordo di cose all’improvviso, come mi
capita spesso. Per esempio, una volta ero in auto con
una mia collaboratrice e parlavamo di una macchina da
comprare…
Per te?
Per lei. Lei diceva che si poteva comprare una macchina
di seconda mano, che uno che faceva i trasporti teatrali
voleva vendere, un macchinone, tipo un gippone…
Certo, dicevamo, si potrebbe comprarla lo stesso, ma
un po’ troppo impegnativa… e io di colpo dico: “Sai,
a me l’anno prossimo piacerebbe fare il Pasticciaccio”,
e non c’avevo mai pensato prima.
Ero direttore del Teatro di Roma. Mi ricordo benissimo
che stavamo percorrendo la via Prenestina e
probabilmente sarà stata un’associazione tra la strada
che si vedeva e la memoria del romanzo, che avevo già
letto e mi piaceva… ecco. Mi capita spessissimo di
farmi venire in mente le cose in questo modo.
M’è successo tante volte, le cose che conosco e che lì
per lì… M’è successo con Gli ultimi giorni dell’umanità a
Torino, ad esempio.
7
500 ANNI E NON SENTIRLI: RONCONI E IL TRAVASO DELLA “CELESTINA”
CARLO ANTONELLI
In questa e nelle pagine
seguenti alcuni stralci dal
testo scritto nel 1958 da
Carmelo Samonà (19261990), professore di
letteratura spagnola
all’Università di Roma “La
Sapienza”, per l’edizione
italiana de La Celestina di
de Rojas (RCS Grandi
Opere, 1958; BUR 2013).
E questa volta come ti è venuto in mente?
Anche questo è un testo che conosco da tanto tempo.
L’ho letto in verde età, credo neanche interamente…
Quello che mi attira, in genere, è di andare a cercare
delle cose dove posso trovare qualcosa che mi
sorprenda, ecco. Francamente se fai il Giulio Cesare
di Shakespeare o il Don Giovanni di Molière questa
sorpresa proprio non ti viene, non perché non ci sia, ma
perché credo sia così per chiunque fa il mio mestiere:
non si tratta di entrare in diretto rapporto con l’opera, ma
è entrare in rapporto con tutte quante le edizioni di
quell’opera che hai visto. Ne avrò viste due o tre versioni:
una con Sarah Ferrati, quella con Núria Espert, sette
anni fa, diretta da Lepage in lingua catalana. Questo
fatto di vedere una commedia spagnola tradotta in
catalano mi è piaciuto molto per diversi motivi.
Innanzitutto perché si tratta di un travaso non casuale,
c’è dietro una presa di posizione forte. Non è come se
noi traducessimo una commedia di Eduardo in italiano o
una tragedia di Alfieri in napoletano, no? C’è proprio una
cosa legata a conflitti profondi.
Più che mai contemporanei…
Infatti ho parlato di travaso… son stato molto curioso e
sono andato a prendere il testo originale che è
canadese, che subito mi ha piuttosto conquistato non
tanto per la sua bellezza - è molto bello, indubbiamente ma per questo gioco di rimbalzi da una lingua all’altra.
Allora, il testo nasce castigliano, lo conosco catalano, lo
vado a leggere in francese, io parlo bene francese, ma
quello non è francese puro, è un francese spigoloso,
bruttino, che viene di nuovo riversato in italiano. Siccome
di solito nei testi che scelgo mi piace sempre pensare
alle passeggiate che fanno, questa è una gran bella
passeggiata, capito? Allora questo continuo passaggio
di mano in mano, di lingua in lingua, è un viaggio che mi
piace.
Chi ha fatto l’ultimo travaso, dal francese all’italiano?
Davide Verga, molto molto bene… è un giovane
ricercatore universitario di Milano, anche oboista… Devo
dire a onor del vero, senza nulla togliere ai meriti di
Verga, la traduzione non è difficile, perché essendo già
una lingua spuria… però è stato veramente bravo,
perché trattandosi di versi, lui è riuscito a giocare sulle
stesse allitterazioni, capito? Il testo è pieno di allitterazioni
nascoste, criptiche.
8
Nell’epoca della
stilizzazione squisita di
modelli per una società
ideale, La Celestina è un
improvviso cambiamento
di rotta, una sfida al
divieto di cogliere in
flagrante la società
dell’intrigo e del basso
profitto per svelarne i
meccanismi. E significa,
perciò, come opera
letteraria, il rifiuto di ogni
mediazione favolistica o
artificio di allegoria, di
ogni localizzazione
immaginaria di spazio e di
tempo. Ci troviamo
finalmente di fronte a uno
stile che si cimenta in
modo minuzioso e
caparbio con oggetti
dell’esperienza quotidiana;
a uno scenario che non
viola i confini temporali di
una plausibile attualità e
non elude quelli spaziali di
una città, di un quartiere
riconoscibili; a personaggi
che hanno volti, abiti,
mestieri concreti, che
parlano una lingua
familiare, e che, se
azzardano battute di
intonazione retorica o
aulica, lo fanno per lo più a
ragion veduta, per un
calcolo interno del
racconto.
Carmelo Samonà
Questo carattere musicale io in prova l’ho sentito.
Sì, e quindi agli attori che ne hanno voglia, e che non si
vergognano, dà la possibilità di giocare molto.
Non si vergognano di che?
Di sbilanciarsi.
Quindi la prima ragione per mettere in scena questa
Celestina era il viaggio del testo…
Sì, questo sistema di travasi.
Non basta però… ti andava di sguazzare un po’ vicino
alle concerie, perché - scrive Garneau - “si sa che le
concerie puzzano tremendamente e che vi si poteva
vivere quasi con niente; in riva al fiume, perché in riva ai
fiumi delle città del mondo si tramano sempre azioni
tenebrose con cose o persone che vanno gettate in
acqua la notte”…
Quello che mi era rimasto dalla Celestina di de Rojas, e
che credo sia interessante, è come l’esperienza erotica
viene trattata nel romanzo. In qualche modo ti dà
l’impressione che sia pian pianino completamente
cancellata… Il tema erotico mi sembrava interessante,
perché non si tratta di amore.
Tema (erotico) dal quale hai sempre cercato di tenerti un
po’ lontano…
Sì, non ho frequentato spesso l’erotismo in maniera
esplicita. Qui, per esempio, devo dire, molto più nel testo
di Garneau che in quello di de Rojas, viene molto fuori
che quello che chiamano amore è una cosa diversissima
per tutti quanti. Non c’è nessuna intesa su cosa vuol dire
amarsi. Innanzitutto è solamente desiderio… Ci sono
delle battute che mi hanno molto catturato. Per esempio
il tipo di malattia in cui cade Calisto all’inizio e a che cosa
è riferibile: lui vede Melibea nuda nel suo giardino e la
cosa bella è che lui crede di vedere Dio! E che quindi
l’origine di quella malattia è avere l’impressione di aver
visto Dio, di poter far sì che Dio sia visibile, tangibile e
che sia assimilabile e penetrabile sessualmente, ecco, se
vai alla lettera… Non è bello? Una divinità penetrabile,
poi un angelo penetrabile, capito? Poi, alla fine dice che
vuole stuprare una pollastra… Se tu vedi, la parabola
degli epiteti amorosi di Calisto è questa: dio, angelo,
pollastra. Capisci, è piacevole trovare una commedia in
cui puoi giocare su queste cose. C’è anche la parte
economica, che è notevolissima… Sì però, vedi anche là
9
CARLO ANTONELLI
Non bisogna dimenticare
che La Celestina, così
complessa e quasi
difforme nelle sue
dimensioni apparenti, in
realtà, come favola, è
molto più semplice di
qualsiasi romanzo cortese
o libro di avventure.
La sua vicenda ruota
praticamente attorno a tre
temi: l’appagamento
dell’amore, la sete di
denaro, la morte. Si può
dire che è il racconto della
corsa parallela dei primi
due temi verso il trionfo
del terzo; il resto è tutto
groviglio, lenta rete di
agguati, strategia di
pensieri. E l’equilibrio che
ne deriva è insieme
elementare e complesso,
regolato da meccanismi
che è facile individuare al
di là della semplice
struttura del dialogo.
Ve n’è uno essenziale:
quello che potremmo
definire degli spostamenti,
delle ambascerie.
A guardar bene, l’opera è
tutta costruita su un
preciso schema itinerante;
in essa, il dinamismo dei
personaggi, seguendo la
linea tortuosa dei grandi
temi – l’amore, il denaro,
la morte – acquista
un’importanza che
trascende quella dei
normali movimenti di
scena: assume il valore di
una scacchiera dalle
mosse obbligate, su cui si
dispone e si articola un
gioco tragicamente
perfetto.
Carmelo Samonà
500 ANNI E NON SENTIRLI: RONCONI E IL TRAVASO DELLA “CELESTINA”
bisogna fare un’ipotesi sui due servi. Sono eredità
plautina, d’accordo… Ma qui la vera eredità plautina è la
parte di quel centurione… Io me lo immagino come una
specie di alieno di un mondo che non c’è più…
veramente è come se oggi in mezzo a noi, a Milano o a
Londra, fosse catapultato Casanova, capito?
O Fanfulla da Lodi… totalmente fuori tempo…
Anche il classico soldato che non sapeva che era finita la
guerra in Vietnam…
E questo mi piace tanto, perché mi sembra – poi io non
sono un critico letterario – che porti con un secolo di
anticipo una specie di Don Chisciotte, che vuole
ricostruire, come dire, la classicità… Gli altri due
personaggi invece sono molto più inquietanti, perché, a
ben leggere, il servo più anziano è in realtà un servo che
domina il padrone anche fisicamente. Ci sono
chiaramente le allusioni a Sodoma, questo non vuol dire
che si sodomizzino, ma che sappiano la cosa che cos’è
e non sia praticata è dubbio. Quindi il personaggio del
servo Sempronio è uno dei più ricchi, perché lì giocano
non soltanto l’imbroglio e l’avidità, che ci sono, ma sono
la copertura di qualcosa di più profondo.
Ovvero?
Io credo sia il sentire che l’amore del padrone per
Melibea è un punto di fuga del padrone, che lo toglie al
proprio dominio. Mi ricorda quel film bellissimo di Losey,
Il servo. Questo testo ti suggerisce un’infinità di rapporti
di questo tipo, dove il denaro entra.
Però, rispetto a noi – per i quali oggi il denaro è finanza…
molto spesso, no? – qui non è ancora così. Per noi il
denaro come finanza deve circolare. Qui ti dà molto
l’impressione che in un mondo che ha perso le sue
centralità di fondo, il denaro allora sia come una specie
di antidoto, capito? Perché, tutto sommato, che se ne fa
Celestina? Noi saremmo portati a investirlo… Lei, come i
contadini di una volta, lo mette sotto il materasso. Quindi
è interessante lo scarto che c’è fra il nostro concetto di
denaro e quello precedente, tra quello che circola e
quello che stagna. Anche Sempronio è un personaggio
molto bello, perché ti sembra che anche la truffa che
ordisce ai danni del padrone sia più una vendetta per un
tradimento che non avidità, capito? La commedia di de
Rojas è moralista, questa di Garneau non lo è affatto.
Ma cosa ti interessava di tutto questo godere a vuoto?
10
Non è solo un caso di
geniale o capricciosa
immaginazione il fatto che
i personaggi di
quest’opera siano tutti in
movimento da un punto
all’altro, che stiano
sempre per partire o per
far ritorno, per visitare o
per trasferirsi, per bussare
a una porta o per violarla.
Questo intenso traffico di
messaggeri e amanti è
come la rappresentazione
scenica della “ruota della
fortuna” medievale, in cui
la simbolica rassegna dei
casi e dei personaggi ha
ceduto il posto a una
concentrazione di eventi
in una città e in un tempo
oggettivi; o, se si vuole, di
un labirinto o di un inferno
svuotati dei tradizionali
segni allegorici, divenuti
reali e urbani, e però,
come quelli delle allegorie,
intensamente,
affannosamente,
perlustrati da cima a
fondo.
Carmelo Samonà
Senza desiderio… fornicano tutti in continuazione…
Ti divertiva, innanzitutto?
A me pare che a proposito di desiderio la gente se la
racconti.
E cosa si racconta?
Si racconta che desidera, gli sembra di… Io adesso sto
parlando della Celestina di de Rojas, non della mia filosofia,
sto parlando di quello che ho letto di questo testo.
E perché ti interessava metterlo in scena ora, oggi? Per
tuo piacere, diciamo, per rimanere in tema? Il piacere di
continuare a pensare?
Cosa, il lavoro?
Sì… non smetti mai…
No, non è un piacere.
È una cosa che devi fare?
No, non è un obbligo… direi che è una curiosità. Sono
curioso di “grattare” il testo… Devo anche dire che è
quello che mi ha salvato.
Perché tutte quelle porte nella scenografia?
Sono sbagliate?
No, no.
E allora basta. Ne parlano tanto nella commedia…
continuamente, in tutti i sensi, realistici e metaforici.
Cosa ti piace, anche niente, di questa vecchia
baldracca?
Tu hai visto il costume? È una specie di grembiule… ma
sì, perché lei non deve essere troppo prostituta, se no
non la riceverebbero nelle case per bene. È un po’ un
sepolcro imbiancato… però le abbiamo messo un bel
paio di guanti di paillettes che funzionano bene. Era
molto contenta, Maria (Paiato, ndr), perché adora
Michael Jackson!
C’è una frase dentro il testo che mi ha colpito per la sua
cattiveria: “i poveri sono quelli che desiderano molto”.
Sì, è bella, la dice il servetto più saggio che poi diventa
mascalzone anche lui.
Torniamo al centro della commedia: desiderio e piacere.
Sì, però il piacere quasi non c’è… Guarda, dopo il
11
CARLO ANTONELLI
Si può dire che
La Celestina è la prima
opera moderna in cui
prende corpo quel tòpos
della riflessione interiore
sulle azioni umane, che
poi culminerà, in forme
diverse, nell’opera di
Cervantes e di
Shakespeare. I pensieri
dei protagonisti formano
attorno agli eventi (che
sono sempre inevitabili)
uno spesso strato di
attesa, un sedimento di
razionalità apparente, un
rovello, in definitiva, di
confessata debolezza.
I personaggi si cimentano,
si studiano fra loro, si
guardano alle spalle, e ne
traggono spunto per
enunciare, ciascuno a suo
modo, una morale
generale, un principio di
vita. In questo sono tutti
uguali: è come se
ciascuno avesse in sé il
ruolo di un intero coro di
tragedia; o meglio: come
se, ultimi depositari di
un’antica dottrina del
vivere, di una cinica
saggezza, avessero fretta
di esternarla
nell’imminenza della fine.
Carmelo Samonà
famoso, desideratissimo incontro amoroso, Melibea si
concede, e dice a Calisto: “Non sono più vergine”. E lui:
“Sono le tre, devo andare a casa. Rimettete la scala”. La
prima cosa che lui dice è: “Non sono felice”. Questo è
fantastico, e seguono dei versi molto belli. “La solitudine
e l’oscurità mi sono graditi per mia natura”. La cosa bella
è che subito si chiede “Sono felice? No”. Sono
monologhi, quindi vengono fatti direttamente al pubblico,
e quindi chiede al pubblico: “Perché non sono felice?”.
Celestina dice: “La natura fugge la tristezza, la natura va
verso il piacere e il piacere delle cose sensuali tra amici
fiorisce meglio. Cosa c’è di meglio che rievocare le cose
dell’amore e raccontarsele? Ho fatto così, lei mi ha fatto
cosà…”. Celestina va dritta su questo punto.
Sì, però, vedi, questo lei lo dice a Parmeno che è
vergine, capito? È quello che Celestina fa per unirlo ad
una specie di piccola associazione a delinquere, e sono
argomenti strumentali… Ossia, lei si racconta, e devo
dire che è una delle cose belle della parte, che è
simultaneamente verace e ingannatrice. Lei, quando
parla della sua vecchiaia a Melibea, da una parte è una
vecchia che descrive la propria vecchiaia, ma dall’altra
parte lo dice a lei per porsi come specchio a una
giovane: approfitta perché diventerai come me.
Non solo, dice: “i ricchi vedono la felicità andarsene per
altre fogne”. Gliela tira pure.
Lì si riferisce al fatto che lei succhia nella cannuccia, visto
che è stato fatto un buco nella botte di Calisto, c’è un
gioco di parole. Melibea dice: “i ricchi non si
preoccupano della vecchiaia”. È una prima autodifesa,
non credibile. E Celestina dal canto suo dice: “i ricchi
vedono la loro felicità e la loro ricchezza andarsene per
altre fogne”, che sono io… Eh eh! Lei si dà anche della
fogna, è molto carina questa cosa.
Nel personaggio di Celestina c’è qualcosa che ti sta
simpatico.
Non mi fa particolarmente simpatia, no.
Cos’è contemporaneo in questa commedia?
Alla lettera, contemporaneo è tutto quello che accade,
che è attuale, ma, insieme a questo, tutto ciò che non è
crepato nel frattempo. Contemporaneo non è una
* Direttore GQ, Condé Nast SpA, simultaneità tra due cose. Il tempo è un prima e un dopo
appiccicati.
© tutti i diritti riservati
12
RAPPRESENTARE LA “CELESTINA”
di Carlo Emilio Gadda
Riproduciamo il saggio
di Carlo Emilio Gadda (tratto
da I viaggi la morte, Milano,
Garzanti 1958-2001)
al quale Luca Ronconi
fa riferimento nella
conversazione
delle pagine precedenti
Nata, si opina, fra il 1484 e il 1492, la Tragicomedia de
Calisto y Melibea fu messa a stampa in Burgos nel
1499 (sedici atti), indi a Siviglia nel 1501; e ancora a
Siviglia nel 1502 (ventun atti). L’aggiunta o meglio
interpolazione sivigliana di quattro atti interi e due pezzi
si inserisce nell’ex 14° atto, che venne pertanto a
sdoppiarsi nel capo del nuovo 14° e nella coda del
nuovo 19°. Il testo ampliato non palesa discontinuità
gravi o di maniera o di tono, tali cioè da rompere l’unità
morale e stilistica e la sostanziale coerenza drammatica
del lavoro. Il titolo abbreviato (Celestina) gli provenne
dalla traduzione italiana del 1506.
Coeva della guerra di Granata (1482-1492) e, in senso
lato, della prima spedizione colombiana (1492-1493) la
Celestina è opera mutuatrice di idee, di temi, di
immagini, di modi dall’antico mondo e costume al
nuovo e perenne. Risente di influenze spagnole
prossime e comporta le possibilità di una
rappresentazione mobile, scenicamente elastica, quale
potevano darle certe bojigangas o farándulas o
compañias degli anni di Isabella e Ferdinando, sulla
piazza di un pueblo valenciano o in un improvvisato
teatrino manchego. Il personaggio principale deriva un
po’ dalla Trota-conventos di Juan Ruiz arciprete di Hita
(vivo nel 1415?) libero traduttore dell’Ovidio erotico,
interprete della Bibbia nella linea quasi grottesca di una
prammatica erotica, divoto alla tradizione dei testi
ghiotti, infaticato lavorante del mester de clerecia.
Il lavoro tutto porge, forse, al lirismo di Lope de Vega il
tipo o almeno l’abbozzo del gracioso (attor giovine): e a
Tirso de Molina avalla invece quella franchezza viva
15
CARLO EMILIO GADDA
RAPPRESENTARE LA “CELESTINA”?
della pittura e della battuta, quella trascrizione obiettiva
e impersonale d’una perenne crisi del costume: onde si
apparenta anche per noi all’Ariosto minore e in certa
misura al Folengo; e prelude a certe posizioni più
raffinate di La Fontaine e, più schematiche, del
racconto di Voltaire.
Ma l’autore uno-bino della Celestina ha ben dimestico
Plauto (Sosia è il nome del servo nell’Amphitruo) e
frequenta letteralmente il genio latino-spagnolo di certi
argentei: per quel modo cosiddetto cinico, invero
stupendamente disancorato, del ritrarre; per la tensione
icastica a momenti epigrammatica (Marziale): per certo
aspetto moraleggiante alquanto cupo, e pure vivido,
caldamente colorato, spagnolettesco: che si libra a
mezz’aria e a metà cammino fra Seneca e il Petrarca
intimista del Secretum e delle Familiari: il Petrarca
appassionato lettore delle Confessioni agostiniane.
Nel testo rivive il tono di certa parenèsi discettante del
De remediis utriusque fortunae, da cui non infrequenti
nel testo o imitazioni o traduzioni o parafrasi.
Se la italianizzata Celestina venne a mano allo autore
della Mandragola, e a quelli della Cortigiana e del
Candelaio, una traduzione inglese (già esistente verso il
1530) dové cader sott’occhio anche al Marlowe e allo
Shakespeare. Direi che il lungo monologo di Calisto
angosciato e quasi impazzito (atto XIV, scena 8a)
include l’embrione tecnico di quello di Amleto. Anche
nel motivo tipicamente amletico-clinico-sintomatologico
dell’“esaurimento nervoso”. Se pure vi sono dominanti
ragioni e preoccupazioni giuridiche (per la casata, per il
punto di onore: e contro l’ingiustizia della giustizia) che
lo Shakespeare trascende ma non dimentica (the law’s
delay, the insolence of office: le more della legge,
i soprusi della burocrazia).
Da configurazioni più prossime a Plauto (servi birbi,
ragazze, la mezzana) questa tragicomedia si differenzia
per quel tanto di ascetico, di doloroso, di ferale, per
quell’aspro senso dell’ethos e quel disperato senso
della contingenza che la immettono piuttosto nel clima
surrealisticamente orfico e denegatore dei Trionfi
petrarcheschi: una tecnica trascorrente, fuggente;
verso le lividure della morte e il buio del nulla. L’amore
non è che una parentesi di follia nel precipitare delle
cose.
E poi le note fondamentali del costume spagnolo:
16
ragazza nobile (Melibea) sorvegliata e quasi reclusa;
dedizione e soggezione (quasi araba) della donna
all’amante riamato.
Si accosta a Plauto, invece, per la vivezza talora
salace e fescennina della battuta, per la tendenza a
“tipicizzare” il personaggio. Ma il lenone plautino si
evolve qui verso il “tipo” soprapotenziato della
mediatrice immortale. Nuovi strati di colore, nuovi
apporti etici arricchiscono la Celestina. Ecco: la
felicità e l’orgoglio e il compiacimento con cui ella si
butta al mestiere sono già le note del romanzo
moderno: ella è persuasa di far del bene all’umanità:
la sua expertise di recuperatrice è “necessaria” ai
prigionieri tutti, uomini e donne, del fanciullo faretrato
e bendato. In lei la chiaroveggenza infallibile e
l’orgoglio della mammana. Si sente da più che un
prete o che un medico. Nel suo discorrere, trapassa
di continuo dall’entusiasmo della macchinazione e da
una spregiudicata ripresa del “dato” di costume, a
certa capziosità edificante, a certa dialettica untuosa
e per dir così gesuitesca, onde accomoda la lente
della furberia e del profitto alla morale dell’inevitabile.
E poi Celestina ammannisce le decozioni e i filtri,
serba le lingue di vipera e le code di pipistrello, ama e
loda il vino, le corroboranti sorsate, e la taverna e
l’arrosto e il perfetto disegno de’ corpi giovani,
maschili e femminili: è maga, lavandaia, merciaia,
venditrice di profumi e lozioni per capelli, con che
ottiene ingresso a’ tuguri e a’ palazzi: beona senza
parerlo, astuta sempre: tenitrice di una lavanderia
suburbana (in realtà casina da convegni). Invoca il
diavolo che le soccorra, e lo vitupera sottovoce
quando non funziona a dovere, chiama a testimone
Dio e “il signor San Michele Arcangelo”: e poi
brontola e biascica giaculatorie eretiche e maledizioni
oscene tra le gengive sdentate.
Finisce accoltellata da Sempronio dopo un diverbio
circa la spartizione de’ profitti. Il diverbio avvampa a
un tratto, come fuoco indomabile. Questa prima
risoluzione tragica è mirabilmente raggiunta e
strettamente giustificata dall’azione e dai caratteri.
Più manierate e medioevalesche ma pur sempre
redditizie risultano invece e la seconda e la terza
(morte dei due servi giustiziati, morte dei due amanti
per accidente e suicidio). La chiave interpretativa della
17
CARLO EMILIO GADDA
RAPPRESENTARE LA “CELESTINA”?
prima è la realistica: la chiave della seconda e terza è la
surrealistica.
Rappresentare la Celestina sul teatro moderno
comporta anzitutto sfrondare la lungaggine del testo e
stringere in più raccolto gomitolo (in più sobrie
architetture) quella matassa di andirivieni e di visite che
infoltisce la trama di tutte l’erbacce dell’espediente (se
pur valido): la Celestina è la commedia delle visite e
delle controvisite, oltreché degli incontri e dei convegni
d’amore. (Incontri fra servi e ragazze e bravi, convegni
fra i due amanti).
Poi bisogna ridurre la trascrizione a un italiano parlato,
e ai modi espediti del teatro nostro. La traduzione di
Corrado Alvaro (“La Celestina” di Fernando de Rojas, a
cura di Corrado Alvaro, Bompiani Collezione universale)
è fatica delle più nobili, delle più utili: ci consente una
lettura delle più felici: fedele al testo, non è
sufficientemente articolata da regger la scena.
La trascrizione per la scena dovrebbe appoggiarsi a un
ben definito tipo di parlata corrente (della piccola
borghesia romana, o fiorentina sciolta, o della
borghesia del nord). Eventuali inflessioni regionali o
addirittura dialettali per alcuni personaggi. Vedrei
divertendomi una Celestina molisana, o molisanoromanesca. La frase va spezzata, e articolata su
moduli reali.
L’aggruppamento della materia in cinque atti e una
netta divisione in scene mi paiono indispensabili.
Grave difficoltà da risolvere è quella della scena
trasferita, della “scena che rincorre i personaggi”,
accettabile alle farándulas e bojigangas del teatro
cinquecentesco che recitavano magari sotto gli olmi
“pidiendo limosnas en el sombrero”: non certo al teatro
nostro di oggi, dov’è postulata la stabilità topica della
scena e, forse, dell’intero atto.
La nostra scena fatica troppo a rincorrere Celestina e
Sempronio e le ragazze da un luogo all’altro: e a dar
loro il fiato da monologare e da leticare strada facendo.
Il suicidio di Melibea è narrato e refertato, non
sceneggiato. Come ridurre nella unità scenica le
concomitanze multiple dell’azione, e le dislocazioni
divergenti? la torre, le scale, il padre in giardino, lei in
camera, il volo dalla finestra?
E poi, con mano casta e robusta, sfrondare la
tragicommedia di troppa sentenziosità e parenèsi, di
18
certo proverbiante buon senso (un po’ all’italiana: e
parecchio uggioso, a volte).
Infine, le soluzioni pensabili mi paion due. O mantenere
alla Celestina il suo carattere e la sua ambientazione
iberica, preservandone anche il tono cavallerescospagnolesco-moralistico-ascetico, al che si
richiederebbe una verve e una disciplina ricreativa di
qualità filologico-romantica: per non cadere in un
surrealismo deteriore, da melodramma scaduto.
O estrarre la gemma del dramma (con le sue figure
centrali) dal castone storico e avvalorarne una
Celestina ammodernata o almeno ottocentesca, senza
tuttavia perdere per istrada la speciosa materia
magico-diavolesca, nonché la chirurgicoprofumieresca, tanto congeniali alla di lei persona.
Entrambe le soluzioni dimandano impegno e fatica:
perizia linguistica e cognizione di una prammatica e di
un ambiente che non è facile scrutare a fondo, chi non
li pratichi per cagioni di mestiere.
1945
19
LA VERITÀ SEGRETA DI CELESTINA
di Umberto Galimberti*
1. La verità di Celestina.
Forse scoprire la verità non è solo una faccenda di
scienziati e filosofi. Forse basta ascoltare Celestina,
una vecchia prostituta che, anticipando le scoperte
che Schopenhauer e Freud faranno quattro secoli
dopo, dice: «Non ci sono che due cose vere: la prima
è che l’uomo è tenuto ad amare la donna e la donna
l’uomo; la seconda è che colui che ama deve
rimanere sconvolto dalla dolcezza che si lega al
piacere supremo, perché la razza umana si perpetui
come quella dei pesci, delle bestie da soma, dei rettili,
degli uccelli e delle piante che sono maschi e
femmine».
Noi infatti siamo abitati da una doppia soggettività:
una che conosciamo benissimo e che chiamiamo Io,
che vive di progetti, di ideali, di mete da raggiungere,
di amori, di sogni, e l’altra, a cui non badiamo affatto,
e che proprio per questo Freud, dopo averla appresa
da Schopenhauer, ha ritenuto che vivesse in noi in
modo “inconscio”, è quella che ci prevede come
semplici funzionari della specie. Questa seconda
soggettività non conosce l’“amore” di cui l’Io si nutre,
forse per marcare la sua differenza dall’animale, ma
conosce solo il “sesso”, come potenza riproduttiva
che torna a vantaggio dell’economia della specie e
non dell’individuo, il quale vi si perde, ingannato dalla
brevità, ma anche dall’intensità di quello che Celestina
chiama il “piacere supremo”.
Fernando de Rojas (1465-1541), l’autore di
quest’opera teatrale, gioca, con quasi quattro secoli
21
UMBERTO GALIMBERTI
LA VERITÀ SEGRETA DI CELESTINA
d’anticipo rispetto a Schopenhauer e Freud,
sull’ambivalenza di questo doppio registro che
riproduce la doppia natura dell’umano, lacerato tra
natura e cultura, ossia tra le esigenze della specie e
gli inganni dell’Io, che rifiuta di vedersi ridotto alla
condizione dell’animale. La cultura, infatti, e non la
natura, ha cerato i sentimenti, le passioni, gli
investimenti, le idealizzazioni, persino la letteratura,
per mascherare e conferire nobiltà a quell’unione dei
sessi che ha nel corpo la sua espressione, e
nell’anima la sua fragile maschera. «Il corpo, il corpo –
fa dire Fernando de Rojas a uno degli attori – il corpo
di quella donna, il corpo». Per questo Nietzsche,
quattro secoli dopo, può dire: «Mi suscita sempre una
grande ilarità quella frase castigata che gli uomini
sono soliti ripetere alle donne: “Non è il tuo corpo, ma
la tua anima che amo”».
2. L’amore nell’uomo e nella donna.
Ancora Nietzsche ci ricorda che «Le stesse passioni
nell’uomo e nella donna hanno un tempo diverso:
perciò uomo e donna non cessano di fraintendersi».
In questi fraintendimenti si inserisce Celestina per
trarre il suo profitto, con i suoi filtri per riconciliare gli
amori infelici, con l’ago e col filo per ricostruire la
verginità a chi l’ha perduta, con le promesse
ingannevoli a cui si affidano gli innamorati persi
d’amore, perché la sua esperienza le ha insegnato
che «Tutto è desiderio, nient’altro che desiderio, che
forza le più caste intenzioni». E su questo concorda
anche Nietzsche là dove scrive: «Infine si ama il
proprio desiderio, e non quel che si è desiderato».
Il desiderio è “natura” che risponde all’interesse della
specie, che però, per non apparire tale, deve rivestirsi
di quella nobiltà che la “cultura” dispensa fino
all’iperbole: «Quella donna è dio, quella dea viene dal
cielo» dice Calisto nel suo delirio a proposito di
Melibea di cui è follemente innamorato, o almeno
crede. Ma in quello stato di inferiorità in cui viene a
trovarsi l’uomo che si sente rifiutato, forse anche
Calisto sospetta, come dice Nietzsche che «Il basso
ventre è il motivo per cui non è tanto facile all’uomo
credersi un dio». E perciò ricorre alle trame e agli orditi
che Celestina conosce, così come tutte le donne che,
dalla notte dei tempi, piegate sui tessuti,
22
ne disegnano la trama e l’ordito.
Il loro iniziale rifiuto non è altro che una trama per
accrescere il desiderio dell’altro e, come dice
Nietzsche «Il loro abbellirsi, il loro sedurre, e alla fine il
loro cedere non avverrebbe se non avessero l’istinto
del ruolo secondario». Ancora la natura e gli interessi
della specie mascherati dalle belle parole, dalle
menzogne e dagli artifici che la cultura mette a
disposizione, e che vogliono essere più eloquenti e
seducenti del lavorio delle mani sotto le vesti, da cui
Melibea, cerca di difendersi nel momento in cui è in
procinto di concedersi compiutamente a Calisto:
«Parla quanto vuoi, ma ti prego che le tue mani
cessino di agire. Io sono tua, godine dall’esterno».
E Calisto di rimando: «Perdona le mie mani impudiche
che mai avrebbero pensato di poter toccare il tuo
vestito e ora hanno la gioia di giungere al tuo bel
corpo, questa carne fresca e delicata». E allora, come
dar torto a Nietzsche là dove scrive: «Quell’istinto che
in egual misura vige negli uomini più elevati e in quelli
più comuni, l’istinto della conservazione della specie,
erompe di tempo in tempo come ragione e passione
dello spirito. Esso ha poi intorno a sé uno splendente
corteggio di motivi e vuole far dimenticare a tutti i
costi d’essere in fondo impulso, istinto, assurdità,
assenza di fondamento».
3. La giovinezza e la vecchiaia.
Chi è più ingannevole? Lo spirito che maschera
l’istinto, o l’istinto che si abbellisce di motivi spirituali
per non dare all’uomo l’impressione di essere come
l’animale? In questo scarto tra istinto e spirito
Celestina inserisce le sue trame che non sono
ingannevoli, perché l’inganno è già stato compiuto dai
due quando hanno scambiato per amore dell’altro
quello che era amore per la soddisfazione del proprio
desiderio. È la stessa Melibea a confessare che: «È la
mia onestà che si sfalda, la mia timidezza che si
scioglie, il mio pudore che cede. […] Tutto desiderio,
nient’altro che desiderio, mio povero amore, forza le
mie intenzioni».
Scoperto l’inganno con cui la specie allucina
l’individuo, Celestina sa che la natura, per la sua
economia, ha bisogno di corpi giovani, e perciò dice
ad Areusa, per dirlo a tutte le fanciulle: «Sai è un gran
23
UMBERTO GALIMBERTI
LA VERITÀ SEGRETA DI CELESTINA
peccato non condividere le tue grazie, non le hai mica
per farle appassire. Nella freschezza della tua
gioventù non essere avara di ciò che ti costa così
poco, non nascondere la tua grazia come se fosse un
tesoro, si distribuisce per natura». E a Melibea ricorda
che «Verrà un giorno in cui anche tu non ti
riconoscerai più nel tuo specchio».
Alla giovinezza la specie fornisce potenza sessuale e
aggressiva, la prima per la riproduzione, la seconda
per la difesa della prole. Freud ha collocato queste
due pulsioni nell’inconscio, perché l’uomo rifiuta di
prender coscienza di non essere altro che un
funzionario della specie. Poi nella vecchiaia le due
pulsioni si attenuano, e il loro attenuarsi viene
scambiato per saggezza raggiunta. I vecchi non sono
necessariamente saggi, semplicemente si è attenuata
in loro la follia della passione scambiata per amore.
In questo equivoco cade anche Parmeno che, nella
casa di Calisto dice: «Se amare è una follia, io sono
folle e senza cervello».
No, gli risponde Celestina: «È il giudizio che ti manca
a causarti il turbamento, e l’essenza del giudizio è la
saggezza, e la saggezza non viene senza
l’esperienza, e non c’è esperienza se non da vecchi,
e io la vecchiaia ti consiglio, perché voglio farti onore
e augurarti una bella vita». Amore, dunque, non è
follia. Follia, come dice Schopenhauer che Nietzsche
definisce suo “educatore” e Freud suo “precursore”,
è non riconoscere nell’amore l’inganno con cui la
specie induce gli individui a concorrere alla sua
conservazione.
«Per fiorire una deve avere in sorte la bellezza – dice
Areusa a proposito di Celestina – ma poi quando il
tempo la corrode, serve la lucidità di essere viziosa».
È il vizio a rendere lucidi, e Celestina, che da giovane
prostituta ha conosciuto il vizio, ha la lucidità di chi sa
che l’amore è un inganno, dove i giovani giocano un
gioco che li gioca e che solo i vecchi, a passioni
estinte, sanno riconoscere, svelando la tragicità della
condizione umana.
4. La commedia dell’esistenza.
Ma allora qual è il senso dell’esistenza? Nel
trapassare dalla passione giovanile alla saggezza
senile, perché si è scoperto il grande inganno? «Tutto
24
passa – è la formula rassegnata di Celestina – nulla
rimane nello stesso stato. La legge del destino è il
cambiamento. So che sono salita per scendere, che
sono fiorita per appassire, ho gioito per rattristarmi,
sono nata per vivere, sono cresciuta per invecchiare e
invecchiata per morire. Lo sopporto senza crucciarmi
troppo».
Da questa visione rassegnata e tragica dell’esistenza
ci salva Nietzsche e ne indica il momento: «Sarà
quando la massima: “la specie è tutto, uno è sempre
nessuno” si sarà incarnata nell’umanità, e a ognuno
sarà in ogni tempo aperto l’accesso a quest’ultima
liberazione e irresponsabilità. Forse il riso si sarà allora
alleato alla saggezza, forse allora ci sarà senz’altro
una “gaia scienza”. Per il momento le cose stanno
ben diversamente, per il momento la commedia
dell’esistenza non è ancora “divenuta cosciente” di se
stessa. Per il momento continua ad esserci il tempo
della tragedia, il tempo delle morali e delle religioni».
Le morali e religioni, infatti, celebrano l’individuo e il
suo primato rispetto alla specie, quando invece è
quest’ultima a tenere saldamente nelle sue mani i
dadi del gioco della vita di tutti. Questo Celestina lo sa
e perciò dispensa a pagamento i suoi consigli che gli
amanti fraintendono, divorati come sono dalla
passione che chiamano “amore”. Ancora non sanno
che quando dicono “Io ti amo” questo Io è solo lo
pseudonimo di un’altra soggettività che non
conoscono e non vogliono conoscere. Per questo
delirano e si abbandonano alla loro tragica follia.
*filosofo
25
Fernando de Rojas
Michel Garneau
Due autori per un capolavoro
La versione scelta da Luca
Ronconi è stata scritta da
Michel Garneau, poeta,
drammaturgo, musicista e
attore, nato a Montréal, in
Canada, nel 1939. Garneau
si è rifatto all’originale, La
tragicomedia de Calisto y
Melibea, che lo spagnolo
Fernando de Rojas pubblicò
per la prima volta a Burgos
nel 1499. Le notizie che
abbiamo intorno alla figura di
de Rojas sono scarsissime.
Se ne conosce la data di
morte, 1541, mentre qualche
documento d’archivio parla di
un cristiano di buona famiglia
(con ascendenze ebraiche),
padre di sette figli, nonché
apprezzato giurista e ricco
proprietario terriero. Nulla
insomma farebbe pensare
all’autore di un’opera carnale
come La Celestina.
Assai interessante è la
biografia di Michel Garneau,
che, a soli 14 anni, lascia la
scuola dopo il suicidio del
fratello (il poeta Sylvain
Garneau) e prosegue gli studi
da autodidatta, frequentando
anche i corsi di teatro
26
all’École de Théâtre du
Nouveau-Monde e, come
libero uditore, al
Conservatoire de Montréal.
A 15 anni già lavora come
annunciatore radiofonico
diventando, negli anni
Cinquanta e Sessanta, un
celebre conduttore di
trasmissioni sulle frequenze di
Radio Canada.
Fino al 1970, anno in cui è
arrestato durante la “Crisi di
Ottobre” (periodo di scontri e
di lotta armata provocata dal
Fronte di Liberazione del
Québec), episodio che
costituisce un evento
fondamentale della sua vita e
lo conduce a una presa di
coscienza politica, scrive
prevalentemente poesie, poi
pubblicate nella raccolta Les
Petits Chevals amoureux
(1977). Nello stesso anno
rifiuta, sempre per ragioni
politiche, il Prix du
Gouverneur Général du
Canada, (riconoscimento che
accetterà molti anni dopo, nel
1989) attribuito alla sua
commedia per bambini
Mademoiselle Rouge. Autore
di circa cinquanta opere
teatrali, la maggior parte delle
quali sia rappresentate sia
pubblicate, Garneau si è
occupato anche di importanti
traduzioni e adattamenti di
opere di Shakespeare,
García Lorca e di altri grandi
autori classici. Tra queste,
La Celestina di Fernando de
Rojas, del 1991. A proposito
della sua versione, il critico
Alexandre Lazaridès ha
scritto: Michel Garneau ha
fatto più di un lavoro di
adattamento. Ha tratto dal
testo originale di de Rojas,
sorta di romanzo-fiume
dialogato in ventuno atti, un
insieme coerente di una
grande vitalità e di una
sorprendente modernità; la
progressione drammatica è
chiara, le scene sono
suddivise in modo da non
lasciare alcun personaggio in
ombra. Il linguaggio è bello,
poetico, e non sfugge gli
effetti retorici calcolati.
Le frasi ticchettano come
lame ben lucidate o
esplodono come fuochi
d’artificio, ma attenendosi
sempre in maniera rigorosa
alla situazione drammatica e
alla concezione del regista.
Michel Garneau utilizza nel
suo teatro il francese del
Québec, una lingua ricca e
cruda, inframmezzandola con
la poesia: “in questo modo –
dice – maschero le poesie da
opere teatrali, affinché la
poesia possa parlare”.
“Quando si traduce per la
scena – afferma in
un’intervista – bisogna tener
conto di un concetto che non
esiste negli altri generi letterari
e che io chiamo la
‘rappresentabilità’.
È necessario che il testo
‘parli’, che trasmetta energia”.
(a cura di Katia Cusin)
LA MIA “CELESTINA”
di Michel Garneau
Abbiamo chiesto all’autore di Celestina laggiù vicino alle concerie in riva al fiume di
parlarci di sé, del suo lavoro sull’originale spagnolo di de Rojas e del perché abbia scelto
un titolo così singolare per il suo adattamento.
La risposta ci è giunta nella prosa ritmata che Garneau adotta per qualunque tipo di
comunicazione. La bellezza della sua scrittura ci ha suggerito di proporla in lingua
originale, accompagnata dalla traduzione di Davide Verga.
Come lavora sui testi e come, nello specifico, ha lavorato sulla Celestina di de Rojas?
j’ai commencé à traduire pour le plaisir
et pour mon éducation
des poèmes américains ou anglais
dont j’avais besoin
et que je voulais m’approprier
pour les sentir à fond
même (et c’était rare) et parfois surtout
s’ils avaient déjà été traduits
les traducteurs français étant peut-être
les pires traducteurs au monde
parce qu’ils ne doutent pas assez d’eux-mêmes
et de leur savoir
et que de deux mots ils choisissent toujours
le plus «noble»
ho cominciato a tradurre per piacere
e per mia formazione
delle poesie americane o inglesi
di cui avvertivo il bisogno
e che volevo fare mie
per sentirle nel profondo
anche (ed era raro) e talvolta soprattutto
se erano già state tradotte
essendo forse i traduttori francesi
i peggiori traduttori al mondo
poiché non dubitano abbastanza di se stessi
e del loro sapere
e poiché fra due parole scelgono sempre
la più “nobile”
puis happé par le théâtre
j’ai fait entre autres
The Zoo Story d’Edward Albee
La Tempête et Macbeth et Coriolan et Le soir
des rois]
de Shakespeare
La maison de Bernarda Alba
de Lorca
Le beau parleur du vaste monde
(The Playboy of the Western World)
de J. M. Synge
La résurrection de Lady Lester
de (OyamO) Charles F. Gordon
et les poèmes de Leonard Cohen
poi ghermito dal teatro
tra gli altri ho fatto
The Zoo Story di Edward Albee
La Tempesta e Macbeth e Coriolano e
La dodicesima notte]
di Shakespeare
La casa di Bernarda Alba
di Lorca
Il bel parlatore del vasto mondo
(The Playboy of the Western World)
di J. M. Synge
La resurrezione di Lady Lester
di (OyamO) Charles F. Gordon
e le poesie di Leonard Cohen
chaque fois je l’ai fait
parce qu’on me l’a demandé
et je l’ai fait pour que ces textes
existent en notre territoire
en notre pays en devenir
et dans une langue proche
ogni volta l’ho fatto
perché me l’hanno chiesto
e l’ho fatto affinché questi testi
esistano nel nostro territorio
nel nostro paese in divenire
e in una lingua vicina
27
une traduction se doit d’être une renaissance
parce qu’on doit trouver l’enthousiasme de la
création]
dans ce labeur
et vouloir que le poème ou la pièce
(mais je ne vois pas vraiment la différence
il y a toujours quelque chose de dramatique
dans un bon poème
et de toujours poétique dans une bonne pièce)
que le poème ou la pièce
fonctionnent dans sa langue avec bonheur
una traduzione ha il dovere di essere una
rinascita]
si deve avvertire l’entusiasmo della creazione
in quel faticoso lavoro
e volere che la poesia o la pièce
(ma non ci vedo grande differenza
c’è sempre qualcosa di drammatico
in una buona poesia
e qualcosa di sempre poetico in una buona pièce)
che la poesia o la pièce
funzionino felicemente nella propria lingua
quand je traduis pour le théâtre
je ne pense pas littérature
je pense «jouabilité»
c’est à dire que j’essaye de façonner un texte
qui donnera le plus de plaisir possible
aux actrices et aux acteurs
parce que c’est bien simple
quand les actrices et les acteurs
sont heureux de ce qu’ils font sur la scène
le public est touché
quando traduco per il teatro
non penso letteratura
penso “recitabilità”
ciò significa che cerco di modellare un testo
che dia il maggior piacere possibile
alle attrici e agli attori
poiché è davvero tutto semplice
quando le attrici e gli attori
sono felici di ciò che fanno in scena
il pubblico è commosso
et puis j’aime les actrices et les acteurs
c’est le premier public des auteurs
et si on les écoute bien
ils finissent toujours par nous aider
à mieux écrire
e poi io amo le attrici e gli attori
è il primo pubblico degli autori
e se li si ascolta bene
essi finiscono sempre per aiutarci
a scrivere meglio
la «jouabilité» c’est bien sûr
une mise en bouche heureuse et forte
«la manducation de la parole»
une aisance dans le niveau de langue choisi
et une cohérence à travers le texte
la “recitabilità” senza dubbio è
una mise en bouche felice e forte
“la manducazione della parola”
una naturalezza nel livello di lingua scelto
e una coerenza attraverso il testo
je travaille donc à haute voix
parfois à très haute voix
ce qui inquiétait parfois ma fille
quand elle était petite
io lavoro dunque a voce alta
talora a voce molto alta
cosa che talora inquietava mia figlia
quando era piccola
je le fais parce que la musique de la langue
m’importe plus que tout
et que le plus beau spectacle
est pour moi le spectacle du langage
parce que l’italien et le français
sont frère et sœur
je souhaite que les rythmes et les mélodies
que j’ai voulu pour ce texte
s’entendent clairement
lo faccio perché la musica della lingua
m’importa più di tutto
e perché lo spettacolo più bello
è per me lo spettacolo del linguaggio
poiché l’italiano e il francese
sono fratello e sorella
mi auguro che i ritmi e le melodie
che ho voluto per questo testo
si odano chiaramente
en passant j’ai l’impression
que l’italien c’est le frère
en passant ho la sensazione
che l’italiano sia il fratello
28
et le français la sœur
(il y a de quoi s’amuser avec ça)
e il francese la sorella
(ce n’è da divertirsi)
j’ai traduit La Célestine
que je connaissais mal
pour Jean Asselin
et son théâtre Omnibus de Montréal
et j’ai découvert un texte fascinant
et si abondant qu’il fallait le débroussailler
ho tradotto La Celestina
che conoscevo poco
per Jean Asselin
e il suo teatro Omnibus di Montréal
e ho scoperto un testo affascinante
e così abbondante che sfrondarlo era necessario
le texte est un dialogue en prose découpé en 21
actes]
on l’a qualifié de roman en dialogues
on l’a déclaré premier roman espagnol
premier roman européen
le théâtre était interdit en Espagne en 1502
le texte aurait été fait cependant
pour être lu à haute voix
il testo è un dialogo in prosa diviso in ventuno
atti]
l’hanno definito un romanzo in dialoghi
l’hanno dichiarato primo romanzo spagnolo
primo romanzo europeo
il teatro era proibito in Spagna nel 1502
il testo tuttavia sarebbe stato fatto
per essere letto ad alta voce
j’ai essayé d’emporter le texte écrit
vers la représentation
en tentant d’aller à l’essentiel
où les personnages se montrent
avec toute la fragilité qu’impose l’angoisse d’être
et d’être des sortes de marionnettes du destin
ho cercato di portare il testo scritto
verso la rappresentazione
tentando di andare all’essenziale
dove i personaggi si mostrano
con tutta la fragilità che impone loro l’angoscia
di essere]
e di essere una sorta di marionette del destino
quand j’ai vu l’immense faisceau d’émotions
qui habitent et taraudent et meuvent ses
personnages]
j’ai senti que Fernando de Rojas a réussi
à témoigner de la folle grandeur de toutes les vies
quando ho visto l’immenso fascio d’emozioni
che abitano e tormentano e muovono i suoi
personaggi]
ho sentito come Fernando de Rojas sia riuscito
a testimoniare la folle grandezza di tutte le vite
Perché ha scelto di adattare la Celestina di de Rojas?
en nos temps
où les termes de la morale
sont langue morte
et où le mot même
fait seulement sourire
c’est rafraîchissant de travailler
sur un bon vieux texte
qui part tout entier
du point de vue de la morale
et dit clairement
qu’en ne s’occupant
que de lui-même avec acharnement
chaque individu
finit par se tuer
d’une façon ou d'une autre
tout à fait tragicomiquement
in questo nostro tempo
in cui i termini della morale
sono lingua morta
e in cui la parola stessa
fa solamente sorridere
è rinfrescante lavorare
su un buon vecchio testo
che scaturisce per intero
dal punto di vista della morale
e dice chiaramente
che se si occupa
con accanimento solo di se stesso
ogni individuo
finisce per uccidersi
in un modo o nell’altro
davvero tragicomicamente
29
Perché questo titolo?
Celestina
d’abord
j’aime bien les titres longs
et qui font qu’on se pose des questions
anzitutto
è che mi piacciono i titoli lunghi
che fanno sì che ci si ponga delle domande
j’ai écrit une pièce qui s’appelle
Émilie ne sera plus jamais cueillie par l’anémone
ho scritto una pièce che s’intitola
Emilia mai più sarà còlta dall’anemone
pour qu’on veuille savoir qui elle est
et pourquoi elle était cueillie
et ne le sera plus
perché venga voglia di sapere chi è
e perché era stata còlta
e non lo sarà più
j’ai choisi celui-là
parce que d’abord je ne voulais pas qu’elle soit
La Célestine]
mais bien Célestine
pour la rapprocher de nous
tout en la mettant au centre de tous ces
personnages]
qu’on rencontrera
ho scelto questo titolo
anzitutto perché non volevo che fosse
La Celestina]
bensì Celestina
per avvicinarla a noi
ponendola al centro di tutti quei personaggi
che s’incontreranno
au centre comme une sorte de soleil pauvre
une vieille femme
qui tente de survivre
un vieux moteur fatigué
al centro come una sorta di sole povero
una vecchia donna
che tenta di sopravvivere
un vecchio motore stanco
là-bas parce qu’elle est loin
du beau monde que nous sommes
prétendant être légitimes
laggiù perché lei è lontana
dal bel mondo che siamo noi
di cui ci pretendiamo i legittimi abitanti
elle vient vers nous
sa clientèle
(parfois mais rarement nous allons chez elle)
mais une fois son travail fait
elle retourne là où elle est loin
lei viene verso di noi
la sua clientela
(talora ma di rado andiamo noi da lei)
ma una volta fatto il lavoro
ritorna là dov’è lontano
près des tanneries
parce qu’on sait que les tanneries
puaient puissamment
et qu’on pouvait donc y vivre presque pour rien
vicino alle concerie
perché si sa che le concerie
puzzavano tremendamente
e che vi si poteva quindi vivere quasi con niente
au bord de la rivière
parce qu’au bord des rivières des villes du monde
se machinent toujours des actions sombres
avec des choses ou des personnes
qu’il faut jeter à l’eau
la nuit
in riva al fiume
perché in riva ai fiumi delle città del mondo
si tramano sempre azioni tenebrose
con cose o persone
che vanno gettate in acqua
la notte
30
laggiù vicino alle concerie in riva al fiume
di Michel Garneau
da La Celestina di Fernando de Rojas
regia Luca Ronconi
foto di scena
Luigi Laselva
Il sistema di diffusione sonora per “Celestina”
Lo spettacolo Celestina può
contare su un sistema di
diffusione sonora molto
sofisticato. Si basa su una
tecnica denominata
Wavefield Synthesis (WFS),
che significa letteralmente: la
sintesi del campo sonoro, ed
è la più avanzata tecnica di
diffusione del suono in 3D.
Nata dalle ricerche fatte dalla
fine degli anni ’90
all’università di Delft
proseguite poi in prestigiosi
centri di ricerca come
l’IRCAM di Parigi, la WFS è
stata usata in Italia la prima
volta nello spettacolo
Il panico di Luca Ronconi
al Piccolo Teatro di Milano
nel 2013.
Per comprendere in che
cosa la WFS si distingue da
altri sistemi di diffusione del
suono, dobbiamo partire
dalla tecnica più usata negli
spettacoli dal vivo: la
stereofonia. Si basa su
presupposti psico-acustici,
che prevedono l’ascoltatore
di fronte a 2 diffusori (una
cassa a sinistra e una a
destra) nell’angolo centrale di
un triangolo equilatero.
Scostando lo spettatore
dalla posizione centrale si
compromettono facilmente
le delicate differenze
temporali dei 2 segnali
audio, dandogli la
sensazione di sentire
unicamente la cassa più
vicina (o quella sinistra o
quella destra). Questo
fenomeno è ben noto con il
nome “Effetto Haas”.
Considerando la larghezza
della platea del Teatro
Strehler, e quindi la notevole
distanza di buona parte del
pubblico dal centro sala, e il
52
fatto che nella stragrande
maggioranza dei teatri la
posizione centrale della
platea, dalla quale si
sentirebbe correttamente,
corrisponde al corridoio, si
può capire quanto la
stereofonia sia una tecnica
poco adatta a grandi platee.
La WFS ha un approccio
completamente diverso.
Utilizza
contemporaneamente tutti i
diffusori audio (nel nostro
caso 24 posti sotto la
pedana inclinata e 16 appesi
sopra il boccascena) per
generare fisicamente per
ogni attore quando parla un
fronte sonoro, che si
propaga verso il pubblico
come se fosse generato
dall’attore stesso.
Di conseguenza tutti gli
spettatori, immersi nel
campo sonoro generato
dalla WFS (nel quale
potrebbero anche muoversi),
localizzano gli attori nella
giusta direzione e non come
provenienti dalla cassa
acustica più vicina.
Un software dedicato crea
inoltre la profondità del
palcoscenico: allontanandosi
dal proscenio le voci
catturate con dei
radiomicrofoni vengono
ritardate, emulando il ritardo
causato dalla distanza, le
alte frequenze si attenuano e
aumenta l’incidenza delle
prime riflessioni e del
riverbero, come avviene nella
realtà.
Ovviamente è fondamentale
sapere in ogni momento
dove si trovano gli attori sul
palcoscenico. Un raffinato
sistema di Tracking, una
specie di GPS locale con 6
antenne, dà
automaticamente e in tempo
reale le posizioni degli attori e
segue perfettamente i loro
spostamenti.
La Wavefield Synthesis
mette finalmente a
disposizione del sound
designer, del regista o del
compositore più esigente un
sistema di diffusione sonoro,
con la possibilità di
posizionare e muovere in
uno spazio tridimensionale
(intorno e volendo anche
sopra le teste del pubblico)
voci, suoni e musiche. Si
possono creare spazi sonori
immersivi, cambiare la
prospettiva sonora o
modificare virtualmente
l’acustica di uno spazio.
Hubert Westkemper
Luca Ronconi
Nasce l’8
marzo 1933 a
Susa (Tunisia).
Si diploma
all’Accademia
d’Arte
Drammatica di
Roma nel 1953 e lavora come
attore con ruoli da protagonista in
spettacoli diretti da registi come
Luigi Squarzina, Orazio Costa e
Michelangelo Antonioni. A partire
dal 1963 compie le sue prime
esperienze registiche all’interno
della Compagnia Gravina/
Occhini/Pani/ Ronconi/Volonté
per la quale cura l’allestimento de
La buona moglie, abbinamento in
un solo spettacolo di due testi
goldoniani, La putta onorata e
La buona moglie. Nel 1966
realizza I lunatici di Middleton e
Rowley ed è salutato dalla critica
come uno degli esponenti di
punta dell’avanguardia teatrale
italiana. Lo spettacolo che lo
consacra alla fama internazionale
è Orlando Furioso (1969) di
Ariosto, nella riduzione elaborata
da Sanguineti, un evento teatrale
straordinario che vivrà una
fortunatissima tournée italiana e
conoscerà un successo su scala
mondiale.
Dal 1975 al 1977 è Direttore della
Sezione Teatro alla Biennale di
Venezia e tra il 1977 e il 1979
fonda e dirige il Laboratorio di
progettazione teatrale di Prato.
Gli anni Settanta vedono la
messa in scena di spettacoli
memorabili, tra cui XX da Wilcock
(1971), Orestea di Eschilo (1972),
Utopia da Aristofane (1976) e,
per il Laboratorio di Prato,
Baccanti di Euripide (1977) e La
torre di von Hofmannsthal (1978).
Negli anni Ottanta, fondamentali
tappe del percorso di ricerca
ronconiano, considerate anche
come indiscutibili vertici della
storia del teatro italiano del
dopoguerra, sono Ignorabimus di
Holz (1986), Dialoghi delle
carmelitane di Bernanos (1988) e
Tre sorelle di Cechov (1989). Dal
1989 al 1994 è direttore del
Teatro Stabile di Torino per il
quale, nel 1992, fonda e dirige la
Scuola per attori. Risalgono al
mandato torinese, tra gli altri,
Strano interludio di O’Neill,
L’uomo difficile di von
Hofmannsthal e Gli ultimi giorni
dell’umanità di Kraus (tutti e tre
del 1990), quest’ultimo allestito
nel vasto ambiente della salamacchine del Lingotto di Torino,
evento assoluto di quella
stagione teatrale. Nell’aprile del
1994 è nominato direttore del
Teatro di Roma per il quale mette
in scena spettacoli di grande
impegno come Re Lear di
Shakespeare e verso “Peer Gynt”
da Ibsen (1995), Quer
pasticciaccio brutto de via
Merulana di Gadda (1996) e I
fratelli Karamazov da Dostoevskij
(1998). Dal gennaio 1999
assume le deleghe per la
direzione artistica del Piccolo
Teatro di Milano e la direzione
della Scuola per attori dello
stabile milanese. Per dare avvio al
proprio lavoro al Piccolo,
allestisce La vita è sogno di
Calderón de la Barca e Il sogno
di Strindberg, nell’inverno del
2000. Nella stagione 2000-2001
dirige Lolita-sceneggiatura di
Nabokov, I due gemelli veneziani
di Goldoni e Candelaio di Bruno;
nella stagione successiva Quel
che sapeva Maisie di James e
Infinities del matematico Barrow.
Nell’estate 2002, nella cornice del
Teatro Greco di Siracusa,
allestisce la trilogia Prometeo
incatenato di Eschilo, Baccanti di
Euripide, Rane di Aristofane
(rappresentati poi anche al Teatro
Strehler a Milano). Lo stesso
anno, con la messinscena a
Ferrara di Amor nello specchio di
Andreini, vede il debutto il Centro
Teatrale Santacristina, unità di
produzione e formazione che
Ronconi fonda insieme a Roberta
Carlotto e che tutt’ora dirige nella
struttura appositamente creata
nella valle eugubina. L’estate
successiva è al Teatro Farnese di
Parma con Peccato che fosse
puttana di Ford (poi al Teatro
Studio a Milano).
Per Genova Capitale Europea
della Cultura 2004 realizza La
centaura di Andreini. Nel 2005
porta in scena Diario privato di
Léautaud, con Giorgio Albertazzi
e Anna Proclemer, cui segue
Professor Bernhardi, prodotto dal
Piccolo. Nel 2006 è invitato a
dirigere, in omaggio al simbolo
olimpico, cinque spettacoli in
occasione delle Olimpiadi
invernali di Torino 2006: Troilo e
Cressida di Shakespeare, Atti di
guerra: una trilogia di Edward
Bond, Biblioetica, Dizionario per
l’uso di Corbellini, Donghi e
Massarenti (codiretto con Claudio
Longhi), Il silenzio dei comunisti di
Foa, Mafai e Reichlin, Lo
specchio del diavolo di Ruffolo.
Per il terzo centenario
goldoniano, mette in scena al
Teatro Strehler, nel gennaio 2007,
la commedia Il ventaglio. Sempre
al Piccolo, Inventato di sana
pianta ovvero gli affari del Barone
Laborde di Hermann Broch.
Per l’edizione del 2007 del
Salone del Libro di Torino
propone Fahrenheit 451 di Ray
Bradbury; nel settembre 2007, a
Ferrara, debutta Progetto
“Odissea doppio ritorno”, dittico
comprendente L’antro delle
Ninfe, da Omero e Porfirio e Itaca
di Botho Strauss (2007).
A giugno 2008 inizia la
collaborazione con il Festival dei
Due Mondi di Spoleto
presentando alcune “Lezioni”
sulla drammaturgia di Ibsen.
A settembre del 2008, in Umbria,
inaugura il Teatro Cucinelli di
Solomeo con Nel bosco degli
spiriti, una fiaba dello scrittore
nigeriano Amos Tutuola tradotta
in testo teatrale da Cesare
Mazzonis e musicata dal vivo da
Ludovico Einaudi. Nel giugno
2009 prosegue l’appuntamento
spoletino con uno studio sul
Gabbiano di Cechov dal titolo Un
altro gabbiano. Per lo stabile di
Genova, ha messo in scena Nora
alla prova da “Casa di bambola”
tratto da Ibsen (2011).
Le sue ultime regie al Piccolo
Teatro sono i due Shakespeare
Sogno di una notte di mezza
estate (2008) e Il mercante di
Venezia (2009), la commedia
Giusto la fine del mondo (2009)
del contemporaneo francese
Jean-Luc Lagarce, I beati anni
del castigo di Fleur Jaeggy
(2010), La compagnia degli
uomini con cui ritorna al teatro di
Edward Bond (2011), La
modestia (2011) di Rafael
Spregelburd, Santa Giovanna dei
macelli (2012), sua prima
esperienza con il teatro di Bertolt
Brecht, Il panico ancora di
Spregelburd (2013).
Dal 2010 porta avanti un
progetto triennale nato grazie alla
collaborazione tra il Centro
Teatrale Santacristina e
53
l’Accademia Nazionale d’Arte
Drammatica “Silvio d’Amico”: i
cicli di laboratori estivi presso la
sede della Scuola con gli allievi
diplomandi del III anno di
recitazione si concludono proprio
nel luglio 2012 al Festival di
Spoleto con la messa in scena di
In cerca d’autore. Studio sui “Sei
personaggi” di Luigi Pirandello
inserito anche nella stagione
2012/13 del Piccolo. Sempre
con il Centro Teatrale
Santacristina e il Piccolo Teatro
ha allestito Pornografia di
Gombrowicz, in anteprima nel
luglio 2013 al Festival dei 2Mondi
di Spoleto e prossimamente al
Piccolo.
Come regista lirico, alla
frequentazione dei “classici”
dell’opera italiana (i verdiani
Nabucco, 1977, e Trovatore,
1977; Norma di Bellini, 1978;
Macbeth, 1980, Traviata, 1982 e
Aida, 1985, ancora di Verdi, e
Tosca di Puccini, 1997) ed
europea (Carmen di Bizet, 1970;
Das Rheingold di Wagner, 1979;
Don Giovanni di Mozart, 1990 e
1999; Lohengrin, ancora di
Wagner, 1999), Ronconi
accompagna un interessante
lavoro di studio sui territori meno
battuti del teatro musicale, come
la grande stagione del Barocco
italiano (L’Orfeo di Rossi, 1985;
L’Orfeo e Il ritorno di Ulisse in
patria di Monteverdi, entrambi del
1998; L’incoronazione di Poppea
sempre di Monteverdi, 2000) o la
produzione operistica
contemporanea (Il caso
Makropulos di Janácek, 1993;
Il giro di vite di Britten, 1995;
Teorema di Battistelli, 1996;
Arianna a Nasso di Strauss,
2000). Incontro particolarmente
felice è quello con la
drammaturgia musicale
rossiniana: Il barbiere di Siviglia
(1975), Moïse et Pharaon ou le
passage de la Mer Rouge (1983),
Il viaggio a Reims (1984),
Guglielmo Tell (1988), Ricciardo e
Zoraide (1990), Armida (1993),
Cenerentola (1998), La donna del
lago (2001), King Lear di
Reimann per il Regio di Torino
(2001), Giulio Cesare di Händel
(Madrid, 2002), una nuova
versione di Moïse et Pharaon di
Rossini (Teatro alla Scala –
Arcimboldi, 2003), Alfonso ed
Estrella di Schubert (Cagliari,
54
2004), L’Europa riconosciuta di
Salieri (per la riapertura della
Scala nel dicembre 2004), Il
barbiere di Siviglia (Pesaro,
2005). Tra le regie liriche più
recenti, Falstaff di Verdi nel 2006
al Maggio Musicale Fiorentino, la
Turandot “nuda” nel 2007 per
l’apertura di stagione del Teatro
Regio di Torino e il Trittico
pucciniano alla Scala di Milano
(2008, riallestito all’Opéra di Parigi
nell’ottobre 2010), la ripresa del
Viaggio a Reims di Rossini alla
Scala (2009). La sua regia de
La clemenza di Tito di Mozart ha
riaperto dopo il restauro lo storico
Teatro San Carlo di Napoli
(gennaio 2010). Nello stesso
teatro, nel novembre 2011 ha
messo in scena Semiramide di
Rossini. Nel novembre 2013 ha
allestito nuovamente Falstaff,
questa volta al Petruzzelli di Bari.
Luca Ronconi è anche curatore e
allestitore di mostre.
Nel febbraio 2004, a Palazzo
Reale di Milano, si è inaugurata
Anton Van Dyck-Riflessi italiani;
nel settembre 2006 ha curato la
suggestiva esposizione della
mostra Cina. Nascita di un
Impero presso le Scuderie del
Quirinale a Roma. Nel 2008,
prima per Roma, negli spazi del
Museo Nazionale di Palazzo
Venezia, poi per Berlino alla
Gemäldegalerie, ha curato
l’allestimento della mostra
dedicata a Sebastiano Del
Piombo. Nel settembre 2009
lavora all’allestimento della
mostra Roma. La pittura di un
Impero esposta negli spazi delle
Scuderie del Quirinale. Infine ha
curato l’allestimento
dell’esposizione La bella Italia.
Arte e identità delle città capitali,
messa in scena negli spazi delle
scuderie Juvarriane della Venaria
Reale di Torino per i 150 anni
dell’Unità d’Italia (2011).
Tra i numerosi premi e
riconoscimenti, il VI Premio
Europa per il Teatro di Taormina
Arte (aprile 1998); il Premio UBU
come migliori spettacoli delle
rispettive stagioni teatrali per
“Progetto sogno” nel 2000, Lolita
nel 2001, Infinities nel 2002,
Professor Bernhardi nel 2005,
“Progetto Domani” nel 2006,
Il panico nel 2013, il Premio
Nazionale della Critica per il
“Progetto Lagarce” e il Premio
ETI come migliore spettacolo per
Sogno di una notte di mezza
estate.
Nel 2008 gli è stato conferito
dall’Accademia Nazionale dei
Lincei il Premio “Antonio
Feltrinelli” per la Regia teatrale.
Ha ricevuto lauree honoris causa
dalle Università di Bologna
(1999), Perugia (2003), Urbino
(2006) e Venezia (2012).
Nell’ambito della Biennale Teatro,
ha ricevuto il Leone d’Oro alla
carriera (agosto 2012).
Como, 2004), I pretendenti di
Jean-Luc Lagarce, regia Carmelo
Rifici (Teatro Studio, 2009), Alice
nel paese delle meraviglie da
Lewis Carrol, regia di Emiliano
Bronzino (Teatro Studio, gennaio
2010), 20 novembre, di Lars
Norén, regia Fausto Russo Alesi
(Piccolo Teatro Strehler, Scatola
Magica, febbraio 2010), Giulio
Cesare di Shakespeare, regia
Camelo Rifici (Teatro Strehler,
2012), Natale in casa Cupiello, di
E. De Filippo, regia Fausto Russo
Alesi (Teatro Studio, 2012).
Marco Rossi (Scene)
Nato a Firenze,
diplomato
all’Accademia
di Belle Arti
della sua città
alla scuola di
Antonio
Capuano; ha collaborato, come
assistente, con lo scenografo
Maurizio Balò.
Ha realizzato le scenografie degli
spettacoli di Luca Ronconi Amor
nello specchio di G. B. Andreini
(Ferrara, 2002), Peccato che
fosse puttana di John Ford
(Teatro Farnese di Parma, 2003,
coprodotto dal Piccolo Teatro e
messo in scena anche al Teatro
Studio), Diario privato di Paul
Léautaud (Teatro Argentina di
Roma, 2005), I soldati di Jakob
Lenz (Teatro Studio, 2005),
Inventato di sana pianta, ovvero
gli affari del barone Laborde di
H. Broch (Teatro Grassi, 2007,
premio UBU per la migliore
scenografia), Itaca di Botho
Strauss e L’antro delle ninfe a
cura di M.Trevi (progetto “Odissea
doppio ritorno”, Teatro Comunale
di Ferrara, settembre 2007),
Giusto la fine del mondo, di JeanLuc Lagarce, regia Luca Ronconi
(Teatro Studio, 2009), La
modestia di R. Spregelburd
(Festival di Spoleto, Teatro Caio
Melisso, giugno 2011, ripreso al
Teatro Grassi), Il panico di
R. Spregelburd, (Teatro Strehler,
2013), Pornografia di W.
Gombrowicz (Festival di Spoleto,
Teatro Torti, Bevagna, 2013,
prossimamente al Piccolo). Per il
Piccolo ha curato anche le scene
di Vecchia Europa di Delio Tessa,
regia di Giuseppina Carutti (Teatro
Studio, 2002) e Guardia alla luna
di Bontempelli, regia Marco
Rampoldi (Teatro Sociale di
Gianluca Sbicca (Costumi)
Perugino di
nascita, classe
1973, studia
scenografia
all’Accademia
di Brera di
Milano dove
conosce Simone Valsecchi con il
quale inizia una collaborazione su
diversi progetti. Dopo varie
esperienze nel campo della moda
(Gianfranco Ferrè, Jean Paul
Gaultier e altri), approdano al
teatro come assistenti di Maria
Carla Ricotti per Macbeth Clan,
con Raoul Bova, regia Angelo
Longoni, produzione del Piccolo
per la stagione 1998/99. Sempre
al Piccolo, sono assistenti di
Jacques Reynaud per i costumi di
Lolita di Nabokov (2001), regia
Luca Ronconi, per il quale
realizzano anche Phoenix di
Marina Cvetaeva (2001). Diretto
da Ronconi è il primo spettacolo
che firmano: Candelaio di
Giordano Bruno, allestito a
Palermo nell’estate del 2001 e
ripreso a Milano. È l’inizio di una
lunga collaborazione con il
regista, che li vedrà realizzare i
costumi per la trilogia Prometeo
incatenato di Eschilo, Baccanti di
Euripide e Rane di Aristofane (al
Teatro Greco di Siracusa e al
Piccolo); Amor nello specchio di
Andreini a Ferrara; Giulio Cesare
di Händel, coproduzione Teatro
Real di Madrid e Teatro Comunale
di Bologna; Peccato che fosse
puttana di John Ford, debutto al
Farnese di Parma, poi anche al
Piccolo; Professor Bernhardi di
Schnitzler al Piccolo; Diario
privato di Léautaud per il Teatro di
Roma; due degli spettacoli del
Progetto Domani di “Torino 2006
Olimpiadi della Cultura”, Troilo e
Cressida di Shakespeare e Lo
specchio del diavolo di Ruffolo;
Fahrenheit 451 di Ray Bradbury,
per lo Stabile di Torino, in scena
anche al Piccolo.
Il primo spettacolo che Gianluca
Sbicca firma da solo è Nel bosco
degli spiriti di Tutuola per il Teatro
Cucinelli di Solomeo; collabora
con lo stilista Antonio Marras per
la realizzazione dei costumi di
Sogno di una notte di mezza
estate di Shakespeare di nuovo al
Piccolo e realizza i costumi di:
La modestia di Spregelburd, che
ha debuttato a Spoleto nell’estate
2011, Santa Giovanna dei macelli
di Bertolt Brecht (Piccolo Teatro
Grassi, 2012), Il panico (Piccolo
Teatro Strehler, 2013). Tra gli altri
registi con cui ha collaborato,
Gabriele Lavia (I giorni del buio),
Claudio Longhi (La Moscheta di
Ruzante; Ite Missa Est di Luca
Doninelli, Cos’è l’amore di Franco
Branciaroli, Caligola e La peste di
Camus, Omaggio a Koltès, Io
parlo ai perduti di Roberto
Barbolini, Arturo Ui di Bertolt
Brecht vincitore del premio della
critica come spettacolo dell’anno
2011, Prometeo incatenato di
Eschilo, nuovo allestimento del
2012 a Siracusa con la
partecipazione del Martha
Graham Dance Company di New
York, Il ratto d’Europa, 2013);
Marco Rampoldi (La Calandria di
Bibbiena, Due dozzine di rose
scarlatte di Aldo De Benedetti);
Peter Greenaway (Peopling The
Palace, filmato progettato e
diretto per animare la Reggia di
Venaria a Torino); Piero
Maccarinelli (Ritter Dene Voss di
Thomas Bernhard e John Gabriel
Borkman di Ibsen); Sergio Fantoni
(La commedia di Candido di
Stefano Massini); Massimo
Popolizio (al debutto alla regia con
Ploutos da Aristofane, riscritto da
Ricci/Forte); Daniele Salvo
(Gramsci a Turi di Antonio
Tarantino, in cui è autore anche
delle scene, così come per
Summer di Edward Bond); Pietro
Babina (La leggenda del grande
inquisitore ispirato a Dostoevskji);
Alvis Hermanis (Le signorine di
Wilko di Jaroslaw Iwaszkiewicz).
A.J. Weissbard (Disegno luci)
Light designer
americano,
lavora in tutto il
mondo per
teatro, mostre,
installazioni
permanenti e
architettoniche. Ha collaborato
con Robert Wilson, Peter Stein,
Luca Ronconi, Daniele Abbado e
Bernard Sobel, Peter Greenaway,
William Kentridge, David
Cronenberg, Shirin Neshat,
Marina Abramovic, Gae Aulenti,
Fabio Novembre, Pierluigi Cerri,
Giorgio Armani, Richard
Gluckman, Matteo Thun e Martha
Graham Dance Company.
Tra i luoghi che hanno ospitato le
sue creazioni si ricordano: per il
teatro, Lincoln Center New York,
Los Angeles Opera, Brooklyn
Academy of Music, Teatro alla
Scala di Milano, Paris Opéra
Garnier, Bruxelles Opera La
Monnaie, Teatro Real Madrid,
Teatro di Epidauro, Schaubühne
Berlin, Esplanade Singapore e
Bunka Kaikan Tokyo; per le
mostre e le installazioni
multimediali, il Guggenheim di
New York e Bilbao, Royal
Academy of London, Petit Palais
Paris, Vitra Design Museum,
Triennale di Milano, il Quirinale a
Roma, Kunstindustrimuseum
Copenhagen, Shanghai Art
Museum, Aichi World Expo 2005,
Salone del Mobile Milano,
Biennale di Venezia e il Museo del
Louvre. È il primo a ricevere il
premio IFSArts per il Lighting
Design nel 2010. AJ Weissbard
vive a Roma.
Hubert Westkemper (Suono)
Laureato alla
“Hochschule
der Künste” di
Berlino come
ingegnere del
suono vive e
lavora dai primi
anni ottanta in Italia, dedicandosi
prevalentemente al sound design
di spettacoli teatrali.
Ha collaborato con molti registi
italiani e internazionali, tra i quali:
Luca Ronconi (collaborazione
cominciata nel 1986 con
Ignorabimus), Robert Wilson
(Come in under the shadow of
this red rock di T.S.Eliot,
Persephone e G.A. Story),
55
Jérôme Savary (Blimunda, opera
di Azio Corghi su testo di José
Saramago, Teatro alla Scala),
Peter Stein (Tat’jana, opera di
Azio Corghi), Mario Martone
(Operette morali e il film Noi
credevamo), compositori quali
Luciano Berio (Cronaca del luogo,
Festival di Salisburgo), Luca
Francesconi (Gesualdo
considered as a murderer,
Amsterdam), Fabio Vacchi (ll letto
della Storia, Maggio Musicale di
Firenze, regia Barberio Corsetti).
Ha dato il suo contributo ad
importanti istituzioni tra cui Teatro
alla Scala, Piccolo Teatro di
Milano, Biennale di Venezia,
Festival di Spoleto, Maggio
Musicale Fiorentino, Festival di
Salisburgo e Holland Festival.
Un’attenzione particolare dedica
da sempre all’aspetto spaziale del
suono, sia nei concerti, sia nella
messa in scena delle opere
contemporanee e degli spettacoli
teatrali. Da questa passione
nasce, in collaborazione con il
regista Andrea de Rosa, Elettra di
Hugo von Hofmannsthal,
spettacolo che utilizza - con gli
spettatori in cuffia - la tecnica
binaurale (olofonia), e con il quale
nel 2005 vince il Premio
dell’Associazione Nazionale dei
Critici Teatrali e il Premio UBU.
Da diversi anni si dedica inoltre ai
possibili utilizzi della wavefield
synthesis per spettacoli dal vivo,
installazioni e musica.
Socio fondatore di AGON, ha
partecipato in qualità di ingegnere
del suono a tutti i più importanti
progetti dell’associazione.
Ha collaborato con RAI-Radio 3 e
la RadioTelevisone Svizzera
Italiana (RTSI) per alcuni
radiodrammi realizzati in parte in
olofonia.
Dal 2006 è docente presso
l’Accademia di Brera –
Dipartimento di Progettazione e
Arti applicate (Progettazione di
Spazi sonori) e tiene corsi presso
la Civica Scuola Paolo Grassi di
Milano.
56
Peppe Servillo (Melodie)
Debutta nella
musica con gli
Avion Travel nel
1980. La sua
storia coincide
in gran parte
con quella del
suo gruppo che, in circa trent’anni
di lavoro, ha pubblicato numerosi
album conquistando importanti
riconoscimenti. Nel 1998 con gli
Avion Travel partecipa al Festival
di Sanremo con la canzone Dormi
e sogna, vincendo il premio della
critica e il premio della giuria di
qualità come migliore musica e
miglior arrangiamento. Nel 2000 il
gruppo vince a Sanremo con il
brano Sentimento oltre ad
aggiudicarsi il premio della giuria
di qualità per la musica e
l’arrangiamento. Inizia nel 2003
una proficua collaborazione
artistica con due musicisti
argentini, Javier Girotto e Natalio
Mangalavite che si concreta negli
anni a seguire nella realizzazione
di due album. Nel 2007 esce
l’album degli Avion Travel Danson
Metropoli – Canzoni di Paolo
Conte vincitore di un disco d’oro.
Nel 2010 vengono presentati al
Festival di Venezia due film nei
quali Peppe è presente in veste
d’interprete: Into paradiso di
Paola Randi e Passione di John
Turturro. Lo stesso anno
collabora come attore in teatro col
fratello Toni allo spettacolo
Sconcerto. Nel 2011,
accompagnato dall’orchestra
Roma Sinfonietta, è voce
recitante dell’Histoire du soldat di
Igor Stravinsky della quale cura
anche l’adattamento in
napoletano. Lo spettacolo viene
rappresentato in numerose città
italiane fra le quali Napoli al Teatro
San Carlo. Nel mese di ottobre
2012 esce l’album Peppe Serviilo
& Solis String Quartet
“Spassiunatamente” omaggio alla
cultura e alla canzone classica
napoletana. Nel 2013 recita
ancora accanto al fratello Toni
(anche regista) ne Le voci di
dentro di Eduardo De Filippo, per
il quale vince l’Ubu come migliore
attore non protagonista.
Flavio D’Ancona (Melodie)
Dopo numerosi
anni di studi di
musica classica
inizia un’intensa
collaborazione
a partire dal
1970 con
numerosi gruppi rock attivi nel
panorama italiano in veste di
compositore, pianista, chitarrista
e cantante. Negli anni a seguire è
molto attivo in qualità di
compositore di numerose
musiche per la televisione fino
all’incontro agli inizi del 1990 con
il gruppo degli Avion Travel con i
quali collabora da oltre vent’anni
in qualità di produttore e poi
anche di musicista nelle fortunate
tournée Danson Metropoli Canzoni di Paolo Conte e Nino
Rota - L’amico magico.
Cura la produzione esecutiva di
tutti i dischi degli Avion Travel dal
2000 in poi oltre a quella dei
primi due dischi dell’Orchestra di
Piazza Vittorio e di numerosi altri
artisti. Continua nel frattempo la
propria attività in qualità di
esecutore e compositore in
campo cinematografico e
radiofonico.
Aldo Signoretti
(Trucco e acconciature)
Nasce a Roma,
inizia a muoversi
nel mondo dello
spettacolo, negli
anni ‘70, tra
teatro e cinema
collaborando
con grandi maestri tra cui De
Lullo, Zeffirelli e Visconti,
lavorando agli ultimi film di
quest’ultimo, nonché su quelli di
Fellini e Monicelli e Cavani.
Si trasferisce negli Stati Uniti negli
anni ’80, dove passando per
Broadway e collaborando ad
alcuni musical, inizia a lavorare
con eminenti registi internazionali
partecipando a progetti come
M. Butterfly di David Cronenberg,
Dolores Claiborne e L’avvocato
del diavolo, entrambi diretti da
Taylor Hackford, Kansas City e
Popeye di Altman; risale anche a
questo periodo l’inizio della sua
collaborazione con il regista Baz
Luhrmann, con il quale lavora su
progetti teatrali e cinematografici
quali La Traviata, Romeo + Juliet
e Moulin Rouge.
In anni piu recenti dà inizio alla
collaborazione con il regista Paolo
Sorrentino per Il divo, This Must
Be the Place e La grande
Bellezza. Nell’ultimo anno ha
lavorato con Mario Martone nel
film Il giovane Favoloso e con il
regista Brett Rathner per
Hercules. Lo scorso anno ha
realizzato per il Piccolo Teatro il
make up di Il panico per la regia di
Luca Ronconi.
Nella sua lunga e ricca carriera gli
sono stati attribuiti diversi
riconoscimenti tra i più ambiti del
panorama internazionale.
Giovanni Crippa (Pleberio)
Debutta sulle
scene a
vent’anni, in
Equus di Peter
Shaffer, diretto
da Marco
Sciaccaluga.
Ha lavorato con i principali registi
italiani, tra cui De Lullo (La
dodicesima notte di Shakespeare
e Le tre sorelle di Cechov),
Albertazzi (Il Cid di Corneille),
Squarzina, De Fusco, Siciliano,
Crivelli, Cappuccio, Andrée Ruth
Shammah (I promessi sposi alla
prova di Testori), lo stesso
Giovanni Testori (Filippo di Alfieri),
Patroni Griffi (Zio Vanja di Cechov,
la cosiddetta Trilogia del teatro nel
teatro di Pirandello e Fior di pisello
di Bourdet), Chérif, Maccarinelli
(Elettra e Oreste di Euripide), Stein
(Medea di Euripide e Demoni di
Dostoevskij).
Del 1993 è la sua prima regia,
L’angel, dal poema di Loi.
Dal 1995, prende parte alle
principali produzioni del Teatro di
Roma dirette da Luca Ronconi,
interpretando Quer pasticciaccio
brutto de via Merulana di Gadda,
Davila Roa di Baricco, I fratelli
Karamazov di Dostoevskij,
Questa sera si recita a soggetto di
Pirandello, Alcesti di Samuele di
Savinio. Per il Teatro di Genova ha
recitato ne La centaura di Andreini
e in Nora alla prova da “Casa di
bambola”. Per il progetto
ronconiano ideato per le Olimpiadi
di Torino ha preso parte a Troilo e
Cressida e Lo specchio del
diavolo. Al Piccolo, sempre diretto
da Ronconi, è stato tra gli
interpreti di La vita è sogno, Lolita,
I due gemelli veneziani (Premio
UBU come miglior attore non
protagonista), Candelaio,
Prometeo incatenato, Baccanti,
Rane, Peccato che fosse puttana,
Professor Bernhardi, Il ventaglio,
Inventato di sana pianta, Sogno di
una notte di mezza estate,
Il mercante di Venezia,
La compagnia degli uomini. Ha
recitato anche ne I pretendenti di
Lagarce, ne Il gatto con gli stivali
ovvero Una recita continuamente
interrotta di Tieck/Tessitore, in
Dettagli di Lars Norén, tutti e tre
con la regia di Carmelo Rifici e ne
La cimice di Majakovskij, regia
Serena Sinigaglia. Con la sorella
Maddalena, ha interpretato
Passione, da Passio Laetitiae et
felicitatis di Giovanni Testori per la
regia di Daniela Nicosia.
Sul grande schermo ha recitato in
State buoni se potete di Luigi
Magni; in televisione è stato
protagonista maschile in Manon,
regia di Sandro Bolchi e in Cheri,
regia di Muzii.
Paolo Pierobon (Calisto)
Attore di teatro,
cinema e
televisione.
Diplomato alla
Civica Scuola
d’Arte
Drammatica
“Paolo Grassi” di Milano, riceve
nel 2004 il premio
dell’Associazione Nazionale Critici
Italiani come miglior attore
emergente per gli spettacoli
Finale di partita di Samuel
Beckett (regia Lorenzo Loris) e
Morte accidentale di un
anarchico di Dario Fo (regia
Ferdinando Bruni e Elio De
Capitani). Nel 2008 interpreta il
ruolo di Levin in Anna Karenina di
Tolstoj, nella messinscena di
Eimuntas Nekrosius, e vince il
Premio Ubu come miglior attore
non protagonista. Nel 2009,
ancora con Elio De Capitani, è
Ian in Blasted di Sarah Kane;
Luca Ronconi lo dirige al Festival
di Spoleto in un’inedita versione
de Il gabbiano di Cechov (Un
altro gabbiano) dove interpreta lo
scrittore Trigorin, quindi, nella
stagione 2010/2011, ne La
compagnia degli uomini di
Edward Bond, al Piccolo Teatro
di Milano, in Nora alla prova da
“Casa di bambola” da Ibsen al
Teatro della Corte di Genova, ne
La modestia di Rafael
Spregelburd presentato al Festival
dei Due Mondi di Spoleto e al
Mittelfest di Cividale del Friuli;
nella stagione 2011/12 gli affida il
ruolo di Mauler in Santa Giovanna
dei macelli di Brecht; l’anno
seguente è Emilio Sebrjakovich
ne Il panico, ancora di
Spregelburd e Federico in
Pornografia di Gombrowicz.
Al cinema debutta nel 1998 in
Pompeo, mediometraggio di
Paolo Vari e Antonio Bocola.
L’anno successivo è
protagonista, con Sandra
Ceccarelli, di Guarda il cielo
(Stella, Sonia, Silvia) di Piergiorgio
Gay. Nel 2005, in Come l’ombra
di Marina Spada, è un professore
di russo. Partecipa a diversi film
del regista Federico Rizzo, tra cui
Lievi crepe sul muro di cinta del
2003 dove interpreta (da
protagonista) un poeta
emarginato, e Fuga dal call
center del 2008 in un cameo.
Nello stesso anno è diretto da
Marco Bellocchio in Vincere in cui
è il fascista Bernardi. Marina
Spada l’ha diretto anche ne Il mio
domani. Nel 2013 è tra i
protagonisti de La prima neve, di
Andrea Segre ed è in questi
giorni sugli schermi per la sua
partecipazione a Il capitale
umano di Virzì (nel ruolo dello zio
Davide).
In televisione, recentemente è
stato diretto da Maurizio Zaccaro
ne Lo smemorato di Collegno
(Avvocato Farinacci) ed è tra i
protagonisti di Squadra antimafia
- Palermo oggi.
Lucrezia Guidone (Melibea)
Nata a Pescara
ma di origini
pugliesi, si
diploma
all'Accademia
Nazionale
D’Arte
drammatica Silvio D’Amico. Dopo
il diploma frequenta il Centro di
Formazione teatrale Santacristina
diretto da Luca Ronconi e
Roberta Carlotto e il Lee
Strasberg Theatre and Film
Institute di New York. Sempre a
New York studia con la regista
Jordan Bayne. Lavora con
L. Salveti ne L'impresario delle
Canarie per la biennale di
Venezia, con V. Binasco in
Frammenti per il Festival di
57
Spoleto. Con Luca Ronconi
interpreta la Figliastra in In cerca
d’autore. Studio sui “Sei
personaggi” di Pirandello, il
travestito Ursula ne Il panico di
Rafael Spregelburd.
È autrice, insieme a Vera
Dragone, del testo FOR(give)ME
scelto per essere rappresentato
all’Art Off Festival in Venezuela.
È la vincitrice del premio UBU
2012 come miglior attrice under
30, del premio Virginia Reiter
2013 e del Premio Duse miglior
attrice giovane 2013.
Al cinema la vedremo in
primavera nei panni di Emma nel
nuovo film di Francesco Bruni dal
titolo Noi quattro.
Fausto Russo Alesi
(Sempronio)
Diplomato alla
Civica Scuola
d’Arte
Drammatica
“Paolo Grassi”;
dal 1996 è uno
dei soci di
A.T.I.R. Nel 2002 ottiene il premio
dell’Associazione Nazionale dei
Critici di Teatro. Nella stagione
2000/2001 è Kostja nel Gabbiano
di Cechov, diretto da Eimuntas
Nekrosius; per questa
interpretazione e quella di Natura
morta in un fosso di Fausto
Paravidino, regia Serena
Sinigaglia, riceve il “Premio Ubu”
2002 come miglior attore
giovane.
Nel gennaio 2003 è vincitore del
21st International Fadjr Theatre
Festival a Teheran (Iran), attribuito
dall’I.T.I-Unesco. Nel 2004
interpreta Il Grigio di Giorgio
Gaber, regia di Serena Sinigaglia,
ricevendo il “Premio Olimpici del
Teatro” (premio ETI 2004), il
premio Annibale Ruccello (2004),
il premio Vittorio Gassman, la
Maschera d’oro e il Persefone
d’oro (2005). È interprete e regista
dello spettacolo Edeyen di Letizia
Russo. Ha lavorato anche con
Gigi Dall’Aglio, Ferdinando Bruni,
Armando Punzo e Gabriele Vacis,
con Peter Stein (I demoni di
Dostoevskij) e di nuovo con
Serena Sinigaglia (L’Aggancio di
Nadine Gordimer). Diretto da
Luca Ronconi ha recitato in
Il silenzio dei comunisti,
Fahrenheit 451, Nel bosco degli
spiriti, Sogno di una notte di
58
mezza estate, Il mercante di
Venezia (nel ruolo di Shylock),
La modestia di Rafael
Spregelburd, Santa Giovanna dei
macelli di Brecht (premio Ubu
miglior attore non protagonista).
Per il ruolo di Kirillov ne
I demoni e di Bottom in Sogno di
una notte di mezza estate, ha
vinto il Premio Ubu 2009 come
miglior attore non protagonista.
Ancora al Piccolo è stato unico
interprete e regista di 20
novembre di Lars Norén, nella
stagione 2010/11, ha recitato in
Nathan il saggio di Lessing,
diretto da Carmelo Rifici, quindi
nel 2012 ha adattato, diretto e
interpretato Natale in casa
Cupiello di Eduardo.
Tra le altri recenti interpretazioni,
protagonista e regista di Cuore di
cactus di Antonio Calabrò.
Per il cinema è stato diretto da
Silvio Soldini in Pane e tulipani,
Agata e la tempesta e
Il comandante e la cicogna. Ha
recitato in Le rose del deserto di
Mario Monicelli, In memoria di me
di Saverio Costanzo (in concorso
al Festival di Berlino), Vincere di
Marco Bellocchio, in concorso al
Festival di Cannes 2009, La
doppia ora di Giuseppe
Capotondi, in concorso alla
Mostra del Cinema di Venezia
2009, La passione di Carlo
Mazzacurati, in concorso alla
Mostra del Cinema di Venezia
2010. Nel 2012 ha recitato in
Romanzo di una strage, regia
Marco Tullio Giordana e in Venuto
al mondo, regia Sergio Castellitto.
Per Radio Rai ha letto il romanzo
Padri e Figli di Turgenev. Nel 2013
è tra i protagonisti della fiction tv
per Rai 1 Altri tempi, regia Marco
Turco.
Maria Paiato (Celestina)
Di origine
veneta, dopo il
diploma di
ragioniera
frequenta
l’Accademia
Nazionale
d’Arte Drammatica “Silvio
d’Amico” e si diploma nel 1984
con il saggio spettacolo Il risveglio
di primavera di Franz Wedekind
per la regia di Lorenzo Salveti. Ha
interpretato Maria Zanella di
Sergio Pierattini, regia Maurizio
Panici, Premio della critica,
Maschera d’Oro e Premio Ubu
2005; Cara professoressa di
Ljudmila Razumovskaja, regia
Valerio Binasco, le è valso il
premio come Migliore Attrice agli
Olimpici del teatro 2004. Tra le
sue interpretazioni: Natura morta
in un fosso di Fausto Paravidino,
Le Troiane di Euripide e Ritter
Dene Voss di Thomas Bernhard
per la regia di Piero Maccarinelli; il
monologo Non ho imparato nulla
di Dolores Prato. In occasione
delle Olimpiadi della cultura di
Torino 2006 ha preso parte al
“Progetto Domani” di Luca
Ronconi interpretando il ruolo di
Miriam Mafai ne Il silenzio dei
comunisti di V. Foa, M. Mafai, A.
Reichlin, Premio Ubu 2006 per la
migliore attrice. Il monologo Un
cuore semplice, scritto e diretto
da Luca De Bei (tratto
dall’omonimo racconto di
Gustave Flaubert), le è valso il
Premio Olimpici del teatro 2007.
Nelle ultime stagioni, si ricordano
le collaborazioni con Valerio
Binasco ne L’intervista di Natalia
Ginzburg e con Walter Malosti ne
I quattro atti profani di Antonio
Tarantino, grazie alle quali ottiene
il Premio Duse (2009). Quindi
veste i panni di Erodiade di
Giovanni Testori per la regia di
Pierpaolo Sepe, che la dirige
anche nel monologo Anna
Cappelli di Annibale Ruccello e in
Medea di Seneca, e collabora
con Cristina Pezzoli in Precarie
età di Maurizio Donadoni; di
nuovo Luca Ronconi la dirige ne
La modestia di Rafael
Spregelburd, (debutto nell’estate
2011 a Spoleto, poi al Piccolo), in
Santa Giovanna dei macelli di
Bertolt Brecht e ne Il panico, di
nuovo di Spregelburd (entrambi al
Piccolo). Al cinema è stata diretta,
tra gli altri, da Francesca
Archibugi (Lezioni di volo), Marco
Martani (Cemento armato), Pietro
Reggiani (L’estate di mio fratello),
Francesca Comencini (Lo spazio
bianco), Luca Guadagnino (Io
sono l’amore) e Carlo
Mazzacurati (La passione). Ha
partecipato a diverse produzioni
radiofoniche: Il teatro giornale di
Roberto Cavosi e Sergio
Pierattini; I dialoghi delle
Carmelitane di G. Bernanos con
la regia di Cristina Pezzoli;
Taccuino italiano e Madre Teresa
di Calcutta entrambi con la regia
di Giuseppe Venetucci; La storia
di Elsa Morante e Giro di vite di
Henry James per il programma
Ad alta voce a cura di Anna
Antonelli.
Licia Lanera (Elicia)
Attrice e regista,
nasce a Bari nel
1982, città in
cui vive tutt’ora.
Durante
l’università si
avvicina al
teatro attraverso il CUT (Centro
Universitario Teatrale). Prosegue la
sua formazione, prevalentemente
autodidatta, con stage e
masterclass con Luca Ronconi,
Eimuntas Nekrosius, Ermanna
Montanari e Marco Martinelli,
ricci/forte, Massimo Verdastro,
Marco Sgrosso. Nel 2005, dopo
essere stata scartata alle selezioni
per entrare nelle accademie di
teatro, decide di fondare, insieme
a Riccardo Spagnulo la
Compagnia Fibre Parallele con cui
produce drammaturgie originali e
ottiene numerosi riconoscimenti in
Italia e all’estero. È interprete e
regista di Mangiami l'anima e poi
sputala, 2007 (selezione Premio
Scenario 2007, finalista al premio
internazionale Vertigine 2010,
premio Landieri 2011 a Licia
Lanera come miglior attrice
giovane); 2.(DUE), 2008 (vincitore
del primo premio Fringe/
L’Altrofestival al 18° Festival
Internazionale del Teatro di
Lugano); Furie de Sanghe Emorragia cerebrale, 2009
(vincitore del bando Nuove
Creatività-ETI; replicato anche in
Macedonia, Francia e Belgio);
Have I None di Edward Bond,
2011 (prodotto per TREND,
rassegna dedicata alle nuove
frontiere della drammaturgia
britannica, segnalazione nella
Terna Ubu a Licia Lanera come
miglior attrice under 30);
DURAMADRE, 2011; Lo
Splendore dei Supplizi, 2013
(Vincitore del bando Teatri del
Tempo Presente, segnalazione in
due terne Ubu come migliore
novità Italiana e miglior attore
under 30 a Riccardo Spagnulo,
menzione speciale al Premio
Teresa Pomodoro). Vince il
premio Hystrio-Castel dei Mondi
2011, conferito alle giovani
compagnie teatrali che si
distinguono su tutto il territorio
nazionale.
Fabrizio Falco (Parmeno)
Si diploma al
liceo artistico
“Eustachio
Catalano” di
Palermo.
Durante il
periodo degli
studi, partecipa a diversi
spettacoli per la regia di Maurizio
Spicuzza e frequenta la scuola
“Teatès” diretta da Michele
Perriera. Dal 2007 frequenta
l’Accademia Nazionale d’Arte
Drammatica “Silvio D’Amico”
dove si diploma nel 2010 con un
doppio saggio, uno diretto da
Valerio Binasco e un altro da Luca
Ronconi. Nella stagioni 2010/11 e
2011/12 partecipa allo spettacolo
Sogno d’una notte d’estate
diretto da Carlo Cecchi. Sotto la
direzione di Luca Ronconi,
partecipa anche a In cerca
d’autore, studio sui “Sei
personaggi” di Luigi Pirandello e a
Il panico di Rafael Spregelburd.
Nel 2012 esordisce nel cinema
con due film, entrambi in
concorso alla 69° Mostra del
Cinema di Venezia: È stato il figlio
regia di Daniele Ciprì e Bella
addormentata di Marco
Bellocchio. Per le due
interpretazioni si aggiudica il
Premio Marcello Mastroianni,
assegnato al miglior giovane
attore emergente. Candidato ai
Premi Ubu come miglior attore
under30 nel 2012 e 2013.
Lucia Marinsalta (Lucrezia)
Allieva della
Scuola di Teatro
del Piccolo,
fondata da
Giorgio Strehler
e diretta da
Luca Ronconi,
sta attualmente frequentando il
terzo e ultimo corso e si
diplomerà nel giugno 2014. Oltre
a prendere parte agli spettacoli
della Scuola, ha recitato, nel ruolo
di Enrichetta, in Pornografia di
Gombrowicz, sempre diretta da
Luca Ronconi, presentato nel
luglio 2013 in anteprima al Festival
dei 2Mondi di Spoleto e in
programmazione al Piccolo nel
marzo 2014.
Bruna Rossi (Alisa)
Frequenta il
Corso per Attori
alla Civica
Scuola d’Arte
Drammatica
Paolo Grassi di
Milano tra l’86 e
l’89. Scelta da Mario Martone,
debutta nella Seconda
Generazione, iniziando la propria
collaborazione con Teatri Uniti.
Il corso biennale di formazione e
perfezionamento “Progetto
Euripide”, diretto da Massimo
Castri, segna l’inizio della
collaborazione con il regista
toscano: da Amoretto di
Schnitzler e La vita è sogno di
Calderón de la Barca fino ai
recenti Quando si è qualcuno di
Pirandello e Tre Sorelle di Cechov.
Dall’incontro con la regista
Cristina Pezzoli nascono, negli
anni Novanta, numerosi
spettacoli, tra i quali Come le
foglie di Giacosa, per il quale
vince il Premio Duse come miglior
attrice emergente (1994).
Collabora, tra gli altri, con Nanni
Garella, Valerio Binasco, Marco
Sciaccaluga, Bob Wilson, Gigi
Dall’Aglio, Walter Le Moli,
recitando testi di Koltès, Goldoni,
Pirandello, Sartre, Weiss.
Dall’iniziale periodo napoletano
emerge successivamente un
importante sodalizio artistico con
Toni Servillo, che la dirige in
Tartufo di Molière e ne Il lavoro
rende liberi di Vitaliano Trevisan
nel 2005. Nel contesto di una
carriera sostanzialmente teatrale,
ha partecipato a film e produzioni
televisive di Citto Maselli, Gabriele
Muccino, Roberto Andò, Gilberto
Squizzato, Pasquale Pozzessere,
Laura Muscardin e Mario
Martone.
Al Piccolo, ha recitato nelle
produzioni I pretendenti di JeanLuc Lagarce, e Nathan il saggio di
Lessing, entrambi per la regia di
Carmelo Rifici, La cimice di
Majakovskij, regia Serena
Sinigaglia e, diretta da Luca
Ronconi, in Giusto la fine del
mondo, sempre di Lagarce,
Il mercante di Venezia di
Shakespeare, (per la cui
interpretazione è finalista ai Premi
Ubu 2010), Il panico di Rafael
Spregelburd (2013).
59
Lucia Lavia (Areusa)
Figlia d’arte (di
Gabriele Lavia e
Monica
Guerritore),
debutta a
giovanissima a
teatro, con la
madre, in Teresa d’Avila.
Nel 2011 gira la fiction Rossella
per RAI Uno. Lo stesso anno è
Desdemona nell’Otello di Nanni
Garella e Angelica nel Malato
immaginario di Molière, che
debutta al Teatro Stabile di
Roma. Nel dicembre 2011
partecipa allo spettacolo Tutto
per bene, per la regia Gabriele
Lavia.
Nel 2012 prosegue la formazione
presso il Centro di Ricerca
Teatrale Santacristina diretto da
Luca Ronconi.
Gabriele Falsetta (Tristano)
Genovese, nato
nel 1982, nel
2005 entra alla
Scuola di Teatro
del Piccolo,
diplomandosi
nel 2008. Oltre
agli spettacoli realizzati come
allievo, tra cui i saggi di diploma
Il gabbiano e Zio Vanja di Cechov,
regia di Enrico D’Amato e
Futur…azione a crepapelle regia
di Emanuele De Checchi, prende
parte a Opera seria di Ranieri
de’ Calzabigi, Il ventaglio di
Goldoni e Itaca di Botho Strauss
tutti con la regia di Luca Ronconi,
oltre a Bucoliche di Virgilio
(Festival Letteratura di Mantova) e
La Mandragola di Machiavelli
entrambi con la regia di
Gianfranco de Bosio.
Ha recitato in Sogno di una notte
di mezza estate di Shakespeare,
regia di Luca Ronconi, è stato coprotagonista di Darwin... tra le
nuvole, regia di Stefano de Luca,
ha recitato ne Il gatto con gli stivali
- Una recita continuamente
interrotta di Tieck/Tessitore e in
Giulio Cesare per la regia Carmelo
Rifici e ne La cimice di
Majakovskij, regia Serena
Sinigaglia. Con Ronconi ha
recitato anche nel ruolo di
Konstantin in Un altro gabbiano
da Cechov per il Festival dei
2Mondi di Spoleto, 2009. Nella
stagione 2009/2010 è stato
Lancillotto ne Il mercante di
60
Venezia di Shakespeare, regia
Luca Ronconi. Ha recitato in
1984 di G. Orwell e ne Il Clown
dal cuore infranto, entrambi con la
regia di Simone Toni. Ha recitato
in Alice, regia di Emiliano Bronzino
(Piccolo Teatro di Milano).
Lavorando stabilmente nella
Compagnia Vocitinte, ha recitato
in Medea’s Dream, Due Fratelli di
Fausto Paravidino e ne L’uomo, la
bestia e la virtù di Pirandello, tutti
con la regia di Antonio Mingarelli.
Nel 2012 è Bauer ne La Rosa
Bianca, regia di Carmelo Rifici,
prodotto dal Teatro Stabile di
Bolzano. Nel maggio 2013 ha
fondato, insieme al fratello
Jacopo, la casa di produzione
indipendente cinematografica
Frömell Films.
Riccardo Bini (Sosia)
Nato a Firenze,
si diploma
all’Accademia
di Belle Arti.
Nel 1978
partecipa al
Laboratorio di
Progettazione Teatrale di Prato e
allo spettacolo La torre di
Hofmannsthal, regia di Ronconi.
Tra il 1978 e il 1984 segue il primo
anno dell’Accademia d’Arte
Drammatica “Silvio d’Amico” di
Roma e della Bottega dell’Attore
diretta da Vittorio Gassman,
lavora con Ugo Chiti, Elio De
Capitani, Giancarlo Cobelli, Mario
Martone, Piero Maccarinelli. Dal
1985 collabora con Ronconi
partecipando a molti suoi
spettacoli, tra cui ricorda La serva
amorosa di Goldoni, Ignorabimus
di Arno Holz (1986), Strano
interludio di O’Neill, L’uomo
difficile di Hofmannsthal (1990),
Gli ultimi giorni dell’umanità di
Kraus (1991), Misura per misura
di Shakespeare (1992), L’affare
Makropulos di Capek (1993),
verso “Peer Gynt” da Ibsen
(1995), Ruy Blas di Hugo (1996),
I fratelli Karamazov di Dostoevskij
(1998), Alcesti di Samuele di
Savinio (1999), quindi, al Piccolo
La vita è sogno di Calderón de la
Barca (2000), per il quale ha vinto
il Premio Ubu come miglior attore
non protagonista nel ruolo di
Clarino, I due gemelli veneziani di
Goldoni, Candelaio di Bruno
(2001), Rane di Aristofane (2002),
Peccato che fosse puttana
di Ford (2003), La centaura
di Andreini (2004), Professor
Bernhardi di Schnitzler (2005),
Troilo e Cressida di Shakespeare
(allo Stabile di Torino 2006),
Il ventaglio di Goldoni, Itaca di
Botho Strauss (2007), Sogno di
una notte di mezza estate (2008),
Giusto la fine del mondo di JeanLuc Lagarce e Il mercante di
Venezia di Shakespeare, entrambi
del 2009, La compagnia degli
uomini di Edward Bond (2011),
Il panico di Rafael Spregelburd
(2013), Pornografia di Witold
Gombrowicz (2013).
Pierluigi Corallo (Centurione)
Diplomato alla
Scuola del
Piccolo Teatro,
nel 1999 vince il
premio Wanda
Capodaglio per
attori
diplomandi. Ha lavorato in diversi
spettacoli di Massimo Castri, tra i
quali John Gabriel Borkman,
Gl’Innamorati e Spettri dove ha
interpretato il ruolo di Osvald. Ha
lavorato al fianco di Giorgio
Albertazzi in Falstaff per la regia di
Gigi Proietti e con Ugo Gregoretti
nel Duello di A. Shaffer.
Ha interpretato David nel Saul di
Alfieri per la regia di Lamberto
Puggelli. Diretto da Pietro
Carriglio, ha recitato ne Il povero
Piero, Girotondo e Assassinio
nella cattedrale al fianco di Giulio
Brogi. Con Luca Ronconi ha
interpretato Ulisse nel Progetto
“Odissea doppio ritorno” e, nella
stagione 2008/2009, Demetrio in
Sogno di una notte di mezza
estate di Shakespeare, Antoine in
Giusto la fine del mondo di
Lagarce. Nella stessa stagione,
sempre al Piccolo, ha recitato
anche ne I pretendenti ancora di
Lagarce, diretto da Carmelo Rifici
e ne La cimice di Majakovskij, con
la regia di Serena Sinigaglia.
Tra le ultime prove teatrali,
Novantadue di Claudio Fava,
regia di Marcello Cotugno, dove
interpreta il ruolo di Paolo
Borsellino, (2012), Sangue sul
collo del gatto di R. W. Fassbinder
e Il Fiore del dolore di Mario Luzi,
entrambi per la regia di Umberto
Cantone (2013).
Al cinema, la lavorato con Michele
Placido (Il grande sogno), Sergio
Rubini (L’uomo nero e Colpo
d’occhio); Marco Risi (Fort
Apache), Ferzan Ozpetek (Un
giorno perfetto) e Franco Battiato
(Niente è come sembra). Sul
piccolo schermo, ha lavorato nella
miniserie Padre Pio, diretta da
Carlo Carlei, nell’episodio Il gioco
delle tre carte, della serie de Il
commissario Montalbano, in Tutti
pazzi per amore ed era tra i
protagonisti di R.I.S. – Delitti
imperfetti.
Angelo De Maco (Critone)
Veneziano, figlio
d’arte, classe
1937, in
gioventù recita
con compagnie
amatoriali.
Arriva al teatro
dopo la pensione, grazie ad una
grande passione che lo porta a
rimettersi in gioco attraverso corsi
di recitazione e dizione. Nel 2001
partecipa a Lolita di Nabokov e
Quel che sapeva Maisie di James
con la regia di Luca Ronconi e a
Gli angeli dello sterminio di Testori,
regia di Franco Branciaroli. Nel
2003 partecipa alla fiction
Mediaset Vivere. Nel 2006 lavora
con Andrée Ruth Shammah per
L’isola delle parole e Quale droga
fa per me? di Kai Hensel. Torna al
Piccolo Teatro nel 2008 in
Fahrenheit 451 di Ray Bradbury
regia di Luca Ronconi e nel 2009
ne I pretendenti di Jean-Luc
Lagarce, con la regia di Carmelo
Rifici. Nel 2010 al Teatro Ringhiera
di Milano recita ne I fiori del mare
del nord regia di Serena Sinigalia.
L’anno successivo, alla Scuola di
cinema di Milano è Correl nel filmcorto The Technician regia di
Luca Carlini ed è co-protagonista
nel film-corto What happens in
Vegas, Stays in Vegas con la
regia di Teresa Iaropoli. È di nuovo
al Piccolo nel 2012 per Giulio
Cesare di Shakespeare, regia
Carmelo Rifici. Nella stagione
2012/13 partecipa al musical
Titanic con la regia di Federico
Bellone e nel maggio 2013 recita
ne Il costruttore Solness di Ibsen,
con la regia di Roberto Trifirò.
Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa
Fondato il 14 maggio 1947 da
Giorgio Strehler, Paolo Grassi e
Nina Vinchi, è il primo Stabile
italiano, in ordine di tempo,
nonché il più conosciuto, in Italia e
all’estero. L’idea dei fondatori era
dare vita a un’istituzione
sostenuta dallo Stato e dagli enti
locali (Comune e Provincia di
Milano, Regione Lombardia) in
quanto pubblico servizio
necessario al benessere dei
cittadini. “Teatro d’Arte per Tutti”
era lo slogan che accompagnava
il Piccolo alla sua nascita e anche
oggi ne riassume pienamente le
finalità: portare in scena spettacoli
di qualità indirizzati al pubblico più
ampio possibile.
Dal 1991 il Piccolo Teatro di
Milano è anche “Teatro d’Europa”.
Il Piccolo gestisce tre sale: la sede
storica (488 posti), ribattezzata
Piccolo Teatro Grassi, di recente
oggetto di un restauro
conservativo che ha “scoperto” e
restituito alla città lo splendido
Chiostro Rinascimentale attiguo
intitolato a Nina Vinchi; lo spazio
sperimentale del Teatro Studio
(368 posti), edificio dove è
ospitata anche la Scuola di Teatro;
la sede principale di 968 posti,
inaugurata nel gennaio 1998, che
porta il nome di Piccolo Teatro
Strehler. In sessantasette anni di
attività, il Piccolo ha prodotto oltre
300 spettacoli, 200 diretti da
Strehler, di autori che vanno da
Shakespeare (Re Lear e La
tempesta) a Goldoni (Le baruffe
chiozzotte, Il campiello e
soprattutto Arlecchino servitore di
due padroni), Brecht (L’opera da
tre soldi, Vita di Galileo, L’anima
buona di Sezuan), Cechov
(Il giardino dei ciliegi).
Dal 1998, con il passaggio del
testimone a Sergio Escobar e a
Luca Ronconi, il Piccolo ha
accentuato la dimensione
internazionale e interdisciplinare,
candidandosi quale ideale polo
culturale cittadino ed europeo.
Sui suoi palcoscenici si alternano
spettacoli di prosa e danza,
rassegne e festival di cinema,
tavole rotonde e incontri di
approfondimento culturale.
Nel suo itinerario di ricerca, Luca
Ronconi ha proposto al Piccolo
classici quali Calderón de la Barca
(La vita è sogno), Eschilo
(Prometeo incatenato), Euripide
(Baccanti), Aristofane (Rane)
Shakespeare (Sogno di una notte
di mezza estate, Il mercante di
Venezia), alternati ad autori meno
frequentati in teatro (Schnitzler,
Professor Bernhardi), o
contemporanei (Jean-Luc
Lagarce, Giusto la fine del mondo,
Edward Bond, La compagnia
degli uomini, Rafael Spregelburd,
La modestia e Il panico), accanto
alle versioni per la scena di celebri
romanzi (per tutti Lolita di
Nabokov). Autentico esperimento
teatrale è stato lo spettacolo tratto
dai cinque scenari sull’infinito
(Infinities) del matematico inglese
John D. Barrow, allestito in un
magazzino di scenografie alla
periferia di Milano.
Per quanto riguarda la dimensione
internazionale, il Piccolo ospita
abitualmente artisti come Peter
Brook, Patrice Chéreau, Eimuntas
Nekrosius, Robert Lepage, Lev
Dodin, Lluís Pasqual, Ingmar
Bergman, Declan Donnellan,
Simon Mc Burney, Robert Wilson.
È stato in tournée in tutti i paesi
del mondo, dalla Russia agli Stati
Uniti, dalla Cina al Giappone,
dall’Europa al Nord Africa, alla
Nuova Zelanda.
Dal 1986 il Piccolo gestisce la
scuola di teatro, fondata da
Giorgio Strehler e oggi diretta da
Luca Ronconi, che ha diplomato
198 attori professionisti.
Il Piccolo dal 1947 ad oggi
Spettacoli allestiti
Attori scritturati
Recite a Milano
Recite in Italia
3265
1.814
14.067
7.593
Edizioni Piccolo Teatro di Milano-Teatro
d’Europa.
Direttore editoriale Giovanni Soresi.
A cura di Eleonora Vasta.
Redazione Katia Cusin, Micol Ariane Bottazzi.
Recite all’estero
Totale recite
2.011
23.671
(elenco al 29 gennaio 2014)
Progetto grafico Emilio Fioravanti,
G&R Associati.
Fotografie di scena Attilio Marasco
Stampa Globalprint s.r.l., Osnago (Lc)
gennaio 2014.
61
Sostieni il Piccolo
perché diventi
sempre più grande
l’Albo
d’Oro
del Pıccolo
Teatro
PERSONE
MECENATI
Gilberto Calindri (onorario)
Carla e Martina Carpi (onorario)
Milli De Monticelli (onorario)
Gustavo Ghidini
Francesco Micheli
Rosita Missoni
Federica Olivares
Dolores Redaelli (onorario)
AZIENDE
MECENATI AD HONOREM
Anima
Camera di Commercio - Milano
Eni
Fastweb
Fondazione Berti
Fondazione Cariplo
Fondazione Corriere della Sera
Fondazione Tronchetti Provera
Intesa Sanpaolo
Laura Biagiotti
Sisal
MECENATI
Banca Popolare Commercio e Industria
(Gruppo UBI Banca)
Carpigiani
Dom Pérignon
General Conserve-ASDOMAR
Pirelli & C
SOSTENITORI
Carlo Belgir
Consolato generale di Svizzera a Milano
Repubblica e Cantone Ticino
Indicod-Ecr
AMICI
BCG - The Boston Consulting Group
Centromarca
Cooperativa FEMA
Fondazione Bracco
Fondazione IBM
IBC
SOSTENITORI
Sarah e Sonia Balestra
Piero Bassetti
Cinzia Colombo
Filippo Crivelli
Marino Golinelli
Vittorio Gregotti
Giovanni Iudica
Paolo Francesco Lazzati
Luigi Marcante
Massimo Menozzi
Maria Angela Morini Rossini
Alessandro Nespoli
Nandi Ostali
Carla Piasentin Canussio
Carla Venosta Fossati Bellani
AMICI
Amici della Scala
Rosellina Archinto Marconi
Annamaria Cascetta
Dario Ferrari
Piergiorgio Gattinoni
Mimma Guastoni
Andrea Kerbaker
Giacomo Leva
Maria Grazia Mezzadri Cofano
Rosella Milesi Saraval
Fiorella Minervino
Gian Battista Origoni della Croce
Tinetta Piontelli
Maurizio Porro
Enrico Sacchi
Gianbattista Stoppani
Visita il sito www.iosostengoilpiccolo.it