La stagione 2002-03 - Conservatorio della Svizzera Italiana

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2002
2003
LUGANO
AUDITORIO
STELIO MOLO
DELLA RSI
DOMENICA
ore 17.30
13
3
24
15
12
2
23
ottobre
novembre
novembre
dicembre
gennaio
febbraio
febbraio
ENTRATA LIBERA
7 concerti
per ascoltare e capire la musica
degli ultimi cento anni
Studenti e insegnanti
della sezione professionale del
Conservatorio
della Svizzera italiana
diretti da
Giorgio Bernasconi
Presentazioni
di Marcello
Sorce Keller
Un progetto di
CONSERVATORIO
DELLA SVIZZERA ITALIANA
con il sostegno di
Commissione culturale
cantonale
Entrata libera
2002
2003
Da oltre un secolo conviviamo con il termine “moderno”, impiegato in campo artistico a designare la manifestazione a noi contemporanea. Ne deriva che, mentre ciò
che vi si è svolto è ormai abbondantemente archiviato, non tutto (anzi assai poco)
è diventato patrimonio degno di convivere con altre manifestazioni del passato
anteriore meritevoli di essere trasmesse ai posteri, come in una situazione normale
sarebbe dovuto avvenire. In verità la “modernità” a cui ancora ci si appella per affermare l’autenticità delle nuove proposte artistiche, associata all’idea di manifestazione in contrasto col senso comune (oppositiva e spesso provocatoria), è
rimasta un termine discriminatorio, usato per indicare ciò che non è facilmente
accessibile, comprensibile, assimilabile, da gestire quindi in un contesto separato
dal vivere comune, spesso come faccenda riguardante solo gli addetti ai lavori.
Ne deriva che, anche a causa di una questione terminologica, ci si avvicina a ciò
che il 900 ha creato con cautela, molte volte con diffidenza, per non dire con
pregiudizio.
Il risultato è che proprio il secolo musicale che ci sta alle spalle, quello dei padri e
ormai dei nonni (per non dire dei bisnonni), ci resta estraneo. Frequentato solo occasionalmente, da molti addirittura negato, si evita di considerarlo il torso su cui è
poggiata la nostra testa, come per derivazione cronologica sarebbe invece logico.
Pur essendo ormai entrati col 2000 in un altro secolo, è come se tale precarietà
continuasse, con la conseguenza che ogni espressione del nuovo, anziché essere
considerata come tappa di uno svolgimento innestato sul passato prossimo, viene
confrontata col passato remoto. Se è vero che ogni nuova manifestazione deve rendere ragione al pubblico non del suo grado di sviluppo rispetto a Boulez e Stockhausen bensì a Debussy, Mahler o a Richard Strauss, per non dire a Brahms o Ciaikovskij - considerando che nella vita musicale ciò che (già con Schönberg e Stravinsky) è venuto dopo tali esponenti del decadentismo è presente in minima (o irrilevante) misura - è come se si fosse imposta una prospettiva distorta a stabilire relazioni tra realtà più vicine culturalmente di quanto cronologicamente siano.
Il problema si era affacciato già nel secondo decennio del secolo, dopo gli scandali
parigini suscitati da Stravinsky e dopo quella specie di sdegnato ritiro sull’Aventino
del gruppo espressionista viennese barricatosi nel Verein für musikalische Privataufführungen. Sia l’un caso (opposizione diretta) sia l’altro (autosegregazione) rivelavano una forma di dissidenza dalla società giunta all’ultimo stadio. Fu così che
la critica tedesca coniò il termine di “Radikalmoderne” per distinguere la generazione degli estremisti dai “Moderne” quali erano già riconosciuti Mahler o Strauss.
Da allora fu una successione di gradi di modernità variamente definiti, dai moderati
agli estremi, che tuttavia ebbe l’effetto di sequestrare le manifestazioni del secolo
in uno stato di provvisorietà gravante ancor oggi sul loro grado di omologazione,
nettamente insufficiente in rapporto alla loro importanza.
In verità, affrontato senza preconcetti, il repertorio novecentesco si rivela diramato
in una molteplicità di direzioni non necessariamente sussumibili nell’esclusiva logica dell’accanimento innovativo, mentre anche l’ascolto delle espressioni più turbolente, a distanza di tempo (per effetto di un orecchio ormai sottoposto a prove di
ogni genere nelle esperienze del quotidiano ascolto di massa), rivela difficoltà d’approccio molto minori di quanto si pensi.
Della necessità di considerare la modernità anche come passato il nostro ciclo ha
fatto il suo scopo, con risultati rallegranti se consideriamo il seguito di pubblico che
ne è derivato. Questo ci incoraggia a proseguire nella nostra proposta, che in questa quarta edizione non coinvolge solo gli allievi avanzati del Conservatorio della
Svizzera italiana ma anche i loro insegnanti, a riconoscimento e ad incremento del
grado di professionalità già raggiunto ed abbondantemente riconosciuto da chi è
stato testimone delle realizzazioni degli scorsi anni.
Carlo Piccardi
ottobre 13
Cinema Teatro
Via Dante Alighieri 3B Chiasso
In collaborazione con
il Dicastero Cultura
del Comune di Chiasso
Thüring Bräm
*1944
Il gong magico
opera in quattro atti
tratto dall’omonimo lavoro teatrale
di Dimitri, Markus Kunz, Bernard Stöckli
Coristi e strumentisti della
Musikhochschule di Lucerna
Preparazione musicale
Andrew Dunscombe
Coreografia
e collaborazione registica Katja Groll
Assistente alla regia
Antonia Brügger
Lorenz Ulrich
Drammaturgo assistente
Yvonne Klaus
Produzione
Hanno Wyss
Regia, scene e costumi
Dimitri
Direzione musicale
Jost Meier
Una realizzazione
della Musikhochschule
di Lucerna
Entrata Fr. 10.Fr 5.-
(studenti
e membri Club Rete Due)
3 novembre
Bohuslav Martin’u
1890-1959
La revue de cuisine
1927
suite dal balletto per 6 strumenti
- Prologue
- Tango
- Charleston
- Final
William Walton
1902-1983
Façade
1921-1922 (revisione 1942)
intrattenimento su poemi di
Edith Sitwell
per voce recitante
e 6 strumenti
-
Fanfare
Hornpipe
En famille
Mariner man
Long steel grass
Through gilded trellises
Tango-Pasodoble
Lullaby for Jumbo
Black Mrs. Behemoth
Tarantella
A man from a far countree
-
Country dance
By the lake
Polka
Four in the morning
Something lies beyond the scene
Valse
Jodelling song
Scotch rhapsody
Popular song
Fox-trot “Old Sir Faulk”
Sir Belzebub
Luigi Maio
versione italiana
e recitazione
Francesco Tamiati tromba
novembre 24
Manuel De Falla
1876-1946
Concerto
per clavicembalo e 5 strumenti
1923-26
Marika Uchimura
clavicembalo
Nadir Vassena
*1970
Quattro danze macabre
per chitarra e ensemble
2001
Massimo Laura
Niccolò Castiglioni
1932-1996
chitarra
Cantus planus I
per 2 soprani e 7 strumenti
su testo di Angelus Silesius
1989
Barbara Zanichelli
Emiko Sato
Paul Hindemith
1896-1963
soprani
Kammemusik n.3 op.36 n.2
per violoncello e strumenti
1925
- Majestätisch und stark
- Lebhaft und lustig
- Sehr rasch und gemessen
schreitende Viertel
- Mässig bewegte Halbe
Taisuke Yamashita
violoncello
15 dicembre
Rudolf Kelterborn
*1931
Adagio con interventi
per 6 strumenti
2000
Mathias Steinauer
*1959
Omaggio a Italo Calvino
per complesso da camera
1993/94
Rudolf Kelterborn
per quartetto di flauti dolci
Spektren
1993
- Himmel aus Stein
- Ohne Farben
- Meteoriten
Fabio Tognetti
1965
Contrast
per clarinetto, violino e pianoforte
2002
Rudolf Kelterborn
Ensemble-Buch III
eine zyklische Kammermusik
mit 10 Instrumenten
1997
-
Impulse
Toccata
Solitude
Blending
Shadows
Nature morte
gennaio 12
Darius Milhaud
1892-1974
La mort d’un tyran
per coro parlato e strumenti
1932
Coro di voci bianche “Clarière”
diretto da
Brunella Clerici
Luciano Berio
*1925
Folk Songs
per voce e 7 strumenti
1964
-
Black is the color (USA)
I wonder as I wander (USA)
Loosin yelav (Armenia)
Rossignolet du bois (Francia)
A la femminisca (Sicilia)
La donna ideale (Italia)
- Ballo (Italia)
- Motettu de tristura (Sardegna)
- Malaurous qu’o uno fenno (Auvergne)
- La fiolaire (Auvergne)
- Canto d’amore (Azerbagian)
Luisa Castellani
Claude Dedussy
1862-1918
soprano
La boîte à joujoux
Balletto per bambini
1913
(strumentazione di Mathias Steinhauer)
-
Prélude (le sommeil de la boîte)
Premier tableau (la maison des jouets)
Deuxième tableau (le champ de bataille)
Troisième tableau (la bergerie à vendre)
Quatrième tableau (après fortune faite)
Epilogue
Gruppo Danza creativa di Tesserete
Animazione di
Elena Gianini
Scenografia di
Emmy Willemse
2 febbraio
Luciano Berio
*1925
Corale
per violino, 2 corni e archi
1982
Carlo Chiarappa
Olivier Messiaen
1908-1992
violino
Trois petites liturgies
de la présence divine
per coro di voci femminili e gruppo strumentale
1944
- Antienne de la conversation intérieure
(Dieu présent en nous)
- Séquence du verbe, cantique divin
(Dieu présent en lui-même)
- Psalmodie de l’ubiquité par amour
(Dieu présent en toutes choses)
Alessandro D’Onofrio
pianoforte
Camerata Polifonica di Milano
diretta da
Ruben Jais
George Antheil
1900-1959
Ballet méchanique
per 4 pianoforti,
percussione e motore d’aeroplano
1923-25
Nora Doallo
Alessandro D’Onofrio
Fabrizio Rosso
Sandra Wyman
pianoforti
febbraio 23
Andreas Stauder
*1977
AKA
1999
per 4 percussionisti
(prima esecuzione svizzera)
Mathias Steinauer
*1959
Jahreszeiten?
per 3 percussionisti
Wen De-Qing
*1958
Complainte
per voce recitante e 3 percussionisti
Recitante dell’Opera di Pechino
Salvatore Sciarrino
*1947
Un fruscio lungo trent’anni
1967-1999
per 4 percussionisti
Iannis Xenakis
1921-2001
Okho
1989
per 3 Djembe
Gruppo percussionisti di Lugano
diretto da
Mircea Ardeleanu
Rumore, musica e strumenti a percussione
nella musica occidentale
Possedere un buon orecchio, avere un buon senso musicale significa, in una qualsiasi cultura, essere detentore di una competenza relativa solo a quelle determinate
aree del musicale che la cultura di appartenenza utilizza, apprezza ed esalta. Le culture del mondo concepiscono infatti in modo differente il rapporto tra l'altezza delle
note, tra le durate e tra le loro intensità. Pure differentemente concepiscono, percepiscono e intendono il rapporto tra suoni intermittenti e stazionari, tra suoni di
primo piano e di sfondo, tra segnale e rumore, tra rumore e silenzio.
La cultura occidentale, per esempio, ha avuto in passato un rapporto assai problematico con il "rumore" (cioè con quei "suoni di altezza indeterminata") prodotto
dalla maggior parte degli strumenti a percussione (primariamente, ma non solo, quelli che Curt Sachs e Hornbostel chiamarono "idiofoni": che emettono il suono mediante la messa in vibrazione del materiale stesso di cui sono composti, senza l'ausilio di
parti poste in tensione). La stessa parola "rumore" è portatrice di una forte connotazione negativa. Per esempio, l'Oxford English Dictionary sin dalle sue origini, e fino
a tempi recenti, ha definito il rumore (in inglese Noise) come un "suono non desiderato". E nel XIX secolo Hermann Helmoltz parlava di rumore e di "suono non musicale"
proprio per descrivere le vibrazioni aperiodiche - quelle prodotte da numerosissimi
strumenti percussivi (in tal senso il termine si usa ancora in espressioni quali "rumore
bianco" o "rumore gaussiano"). Ma si parla di rumore anche a proposito di suoni di
altezza determinata e però di forte intensità. Rifacendosi a tale accezione del termine
certi regolamenti sul controllo e sulla riduzione del rumore proibiscono determinati
suoni di forte intensità o fissano dei limiti, espressi in Decibel. Anche la teoria della
comunicazione parla di "rumore" in senso negativo, quale "disturbo interno a
qualunque sistema di comunicazione", quindi qualsiasi disturbo che non faccia parte
del segnale (il ronzio prodotto dall'elettricità in un telefono, l'effetto-neve su di uno
schermo televisivo, ecc.).
Sicuramente però, pur all'interno del condizionamento culturale a cui tutti inevitabilmente siamo sottoposti, la percezione del rumore è ampiamente soggettiva: alcuni
non sopportano nemmeno il canto del gallo, altri apprezzano il rombo di una Ferrari.
Il solo riferimento oggettivo, uguale per tutti, pare che sia la soglia del dolore che si
raggiunge con una intensità di circa 125 Decibel (anche che il rumore provocato dallo
sfregamento delle unghie o del gesso sulla lavagna pare che sia considerato sgradevole in tutti i paesi e in tutte le culture: l'analisi fisica di questo tipo di suono non
riesce tuttavia a spiegare perché).
Detto questo, occorre ricordare che quando il Cristianesimo, tra il II e il IV secolo
cominciò a proibire l'uso liturgico degli strumenti musicali, tra quelli censurati c'erano in primo luogo quelli a percussione che più di altri ricordavano i riti dionisiaci del
paganesimo. La loro sostanziale esclusione (o almeno emarginazione) dalla musica
seria dell'Occidente, che cominciò allora, ebbe fine veramente solo nel XX secolo.
Dirò tra breve perché. Prima però desidero ricordare che, se il primo impulso alla
censura del rumore in musica venne dal Cristianesimo, un secondo venne molto
dopo, con la stagione culturale del razionalismo e dell'illuminismo dei secoli XVII e
XVIII. In quel periodo e fino a buona parte del secolo XIX, anche nella musica non
liturgica e non religiosa, la percussione fu ridotta, ai soli timpani, cioè ai soli strumenti
di questo tipo che potessero venire accordati (scomparvero anche dall'uso quegli
strumenti medievali a fiato, p. es. cromorno, serpentone, che pur producendo suono,
ne davano uno poco chiaro, carico di un rumore aggiunto; altri, come la zampogna,
rimasero limitati esclusivamente all'ambito popolare). Ciò perché si era affermato
nella musica occidentale il principio della tonalità maggiore-minore. E quando si
ascolta musica tonale l'ascolto si rivolge soprattutto all'attacco delle note più che
non alla loro durata complessiva. Per l'ascoltatore "tonale", dei sei secondi che può
durare una nota il primo è sicuramente più importante degli altri, perché l'armonia
maggiore-minore si interessa più ai rapporti tra suoni che non ai suoni stessi (questa è probabilmente la ragione per cui buona parte della musica del periodo compreso dai secoli XVI-XIX può essere suonata indifferentemente sul cembalo, da
un'orchestra d'archi, dal sintetizzatore o quant'altro). Il rumore (la vibrazione sonora
aperiodica) nel contesto della tonalità maggiore-minore non ha, in sostanza, alcun
senso. Non c'è dunque da sorprendersi se per quasi duecento anni gli strumenti a
suono indeterminato sparirono dalla musica colta (usati solo occasionalmente e,
spesso, per effetti umoristici). Sparirono dall'uso anche quando le circostanze ne
avrebbero forse ben giustificato la presenza come nel caso dell'oratorio Die Schöpfung, di Haydn, in cui l'angelo Raffaele racconta la storia della creazione a partire dalla
"descrizione del caos" primordiale. Haydn non descrive musicalmente il caos sovvertendo le leggi dell'armonia, oppure introducendo sonorità rumoristiche per rendere
acusticamente la caoticità dell'esistente prima dell'atto creativo di Dio.
Un vero caos sonoro, in contesto musicale, era probabilmente inconcepibile per un
uomo di quel tempo.
È pur vero però che ogni attacco di un suono è inevitabilmente accompagnato da
rumore. Ciò perché l'oggetto che emette il suono deve, per prima cosa, vincere la
propria inerzia per poter essere messo in vibrazione, e provoca quindi delle leggere
imperfezioni nel suono che viene emesso. Significativamente però quasi tutti gli strumenti incorporati nell'orchestra sinfonica del Sette-Ottocento sono capaci di un
attacco del suono morbido, pulito, e sono per giunta suonati in modo da evitare al
massimo, nei limiti fisici del possibile, di "sporcare" l'attacco - come invece si fa nel
jazz (dove il rapporto gravitazionale tra le note della scala con la loro tonica è meno
forte, meno diretto, in certo senso meno "razionale" - come p. es. assai visibilmente
nel blues).
Tutto ciò comincia però a cambiare con l'estetica romantica, per la quale l'irrazionale
non è più una elemento da estromettere e rimuovere; e quindi anche il suono irrazionale (il "rumore" dunque, allora non misurabile e in alcun modo) riacquista una
qualche legittimità. Successivamente, contribuisce anche al crescente interesse dei
compositori occidentali per gli strumenti a suono indeterminato il loro progressivo
abbandono della tonalità maggiore-minore e quindi di quella costruzione logica della
musica che viene percepita principalmente quasi solo attraverso il collegamento delle altezze. Tutto ciò contribuisce a dare agli strumenti a percussione un'importanza
che nella musica occidentale non avevano davvero mai avuto.
Grandi personaggi nella storia musicale del Novecento hanno reso visibile questa
svolta. Béla Bartók, diede spesso un ruolo da protagonista agli strumenti a percussione. Igor Stravinsky (1882-1971) produsse esperimenti ritmici che mettevano in secondo piano la componente melodica; nel Sacre du Printemps le note sono a volte
quasi solo dei ganci su cui appendere figurazioni ritmiche mentre l'orchestrazione
trasforma, per quanto possibile, gli strumenti melodici in strumenti percussivi.
Edgard Varèse (1883-1965) fin dalle prime sue composizioni si concentrò sull'esplorazione di quelle sonorità inedite in cui viene meno la distinzione tra suono e rumore,
anche per mezzo di registrazioni su nastro magnetico. Nelle sue composizioni l'elemento melodico-tematico viene dunque a perdere importanza, mentre il timbro e il
ritmo diventano fattori di primo piano. Luigi Russolo (1885-1947), compositore e pittore che aderì al futurismo, prospettava una musica fatta di rumori prodotta da
un'orchestra futurista composta di sei famiglie di "intonarumori".
George Antheil (1900-1959) nel suo Ballet méchanique, del 1925, incluse nella partitura eliche di aeroplano, campanelli da porta, macchina da scrivere. Pierre Schaeffer
(1910-1995), il padre della "musica concreta" nel suo Traité des objets musicaux tentò una classificazione di tutti i suoni che fuoriescono dalle categorie accettate dalla
musica tradizionale: rumori, suoni sintentici, ambienti acustici, ecc. Poi, naturalmente, nella seconda metà del XX secolo, ci sono i casi di Cage (1912-1992), di Stockhausen (*1928) e di R. Murray Schafer (*1933), che con i suoi studi sul paesaggio
sonoro incorpora definitivamente il rumore nel concetto di musica. Gli esempi significativi sono quindi numerosissimi e non sarebbe possibile citarli tutti.
C'è pero da osservare, perché non si tratta di un dettaglio insignificante, che nella
musica del 900 riaffiora anche quell'aspetto della tradizione pitagorica che vuol vedere nella composizione musicale un'attività di esplorazione e comprensione della
natura e del carattere fisico della vibrazione acustica (p. es. in Milton Babbitt); e con
essa pure viene quindi meno, anche concettualmente, la distinzione tra suono e rumore - perché entrambi sono vibrazioni acustiche, e il confine tra le due è spesso
assai sfumato. Infine, nel corso del XX secolo anche l'acquisita consapevolezza del
grande ruolo che gli strumenti percussivi a suono indeterminato hanno svolto nelle
musiche di altre culture contribuisce in misura significativa a rafforzare la tendenza,
già attivata, come abbiamo visto, da altri fattori, a rivalutare le percussioni e quindi la
funzione musicale del rumore.
Il rumore musicale in altre culture è stato spesso assai gradito. Il suono sporco e
vibrato della tambura e del sitar in India è tale come risultato di una scelta culturale.
Lo stesso si può dire del suono carico di vibrazioni spurie della mbira africana.
Significativamente, numerosi compositori del 900 hanno avuto esperienze di contatto diretto con queste e altre musiche extraeuropee. Philip Glass (*1938) ha collaborato con gli indiani Ravi Shankar e Allah Rukha. Steve Reich (*1936) ha studiato musica africana in Ghana e il Gamelan di Bali.
Stockhausen, affascinato dalla musica di corte giapponese Gagaku ha composto un
brano per quel tipo particolarissimo di orchestra (il fatto che i giapponesi lo considerino un brano assai brutto è comunque altra questione). Tutti questi contatti, anche
di prima mano, hanno quindi ulteriormente rafforzato l'interesse dei compositori
occidentali per le sonorità rumoristiche.
Nonostante tutto questo la parola "rumore", almeno nel linguaggio corrente, aveva e
continua ad avere una connotazione fortemente negativa. Spesso ha continuato ad
essere usata come antitesi del termine "musica". Schopenhauer nell'800 così si era
espresso: "È da molto tempo che sono persuaso che la quantità di rumore che ciascuno di noi può tollerare sia in proporzione inversa alle capacità mentali di cui
dispone". Schoenberg nel 1930 scrisse che: "La radio… ci ingozza di musica... senza
chiedersi se abbiamo voglia di ascoltarla, se abbiamo la possibilità di percepirla, cosicché la musica diventa un semplice rumore, un rumore fra altri rumori" E Kundera,
nell'anno 2000, in modo non dissimile, parla dell'onnipresenza della musica nel nostro ambiente come di un "flusso in cui tutto si mescola, al punto che non sappiamo
chi sia il compositore (la musica diventata rumore è anonima), che non distinguiamo
l'inizio dalla fine (la musica diventata rumore non ha forma)". Certo è che le orecchie
sono la parte più indifesa del corpo. Sia i suoni di altezza determinata che quelli di
altezza indeterminata possono in egual misura inquinare il nostro ambiente. Anche la
musica più bella può essere inquinante, quando è presente a sproposito, quando ci
viene imposta. Ma anche i rumori artisticamente costruiti sono musicali quando ci
vengono invece proposti in situazioni di cui possiamo approfittare per libera scelta e
dunque con la disponibilità necessaria ad apprezzare l'artisticità delle configurazioni
acustiche a cui danno luogo.
Marcello Sorce Keller
Giorgio
Bernasconi
Nato a Lugano, si è diplomato in corno
al Conservatorio G. Verdi di Milano.
Ha proseguito gli studi presso
la Hochschule für Musik di Friburgo in Germania
dove ha studiato composizione con Klaus Huber
e direzione d'orchestra con Francis Travis,
diplomandosi nel 1976.
È stato per anni animatore e direttore
del "Gruppo Musica Insieme" di Cremona,
con il quale ha svolto un'intensa attività concertistica.
Ha collaborato con la cantante Cathy Berberian
con cui ha effettuato numerosi concerti
in Italia e all'estero.
Dal 1982 è regolarmente invitato a dirigere
l'Ensemble Contrechamps di Ginevra con il quale,
oltre ad essere costantemente presente
nelle più importanti sedi concertistiche europee,
ha effettuato tournées in Sudamerica,
India, Giappone, Russia.
Parallelamente a questa attività è spesso ospite
di diverse orchestre italiane e straniere quali
l'Orchestra della Svizzera Italiana,
l'Orchestra Sinfonica dell'Emilia Romagna "Arturo Toscanini",
l'Orchestra Nazionale Belga, la Tokyo Symphony Orchestra,
l'Orchestra Filarmonica di Radio France.
Conservatorio
della Svizzera italiana
Il Conservatorio della Svizzera Italiana
nasce come Accademia di Musica della Svizzera Italiana,
nel luglio 1985, su iniziativa privata con lo scopo
di offrire ai giovani ticinesi un insegnamento musicale
qualificato, sia a livello professionale, sia a livello amatoriale.
La sezione professionale raggiunge entro breve tempo
un ottimo livello ottenendo già nell’aprile del 1988
il riconoscimento dei suoi diplomi a livello federale
dalla Conferenza dei Direttori dei Conservatori Svizzeri.
Segue il riconoscimento da parte del Cantone Ticino.
Da allora il Conservatorio ha guadagnato prestigio,
ha continuamente migliorato la qualità della formazione,
diventando – grazie anche alla fama dei suoi docenti –
una meta per studenti provenienti da tutto il mondo:
tra gli studenti che hanno svolto i loro studi a Lugano troviamo
giovani russi, giapponesi, coreani, statunitensi, australiani,
argentini, colombiani, canadesi e naturalmente tanti europei,
svizzeri e ticinesi.
Nel gennaio del 2000 è stato superato un traguardo importante
con il riconoscimento provvisorio quale Scuola universitaria
di musica, passo indispensabile per poter offrire anche in futuro
una formazione musicale professionale di livello internazionale.
Da poche settimane esiste pure un dipartimento di ricerca
e sviluppo, anch’esso fondamentale per il consolidamento
quale Scuola universitaria di musica.
interpreti
Mircea
Ardeleanu
Mircea Ardeleanu è nato nel 1954 a Klausenburg in Romania. Ha studiato musica nella sua città d'origine e a Basilea.
Superati gli esami da solista, ora lavora come indipendente
e si dedica soprattutto alla musica del XX secolo.
Nel 1978 gli è stato attribuito il 1° premio al Concorso Nazionale di Bucarest per la selezione solisti e l’anno successivo il 1° premio al Concorso internazionale "Gaudeamus"
di Rotterdam.
Mircea Ardelenau è stato invitato a partecipare ai principali
festival di musica contemporanea.
Negli ultimi tempi ha tenuto concerti in Europa, Asia,
America del Nord e del Sud, ha effettuato numerose registrazioni per la Radio in Germania e in altri paesi ed ha collaborato con diversi compositori contemporanei (K. Stockhausen, G. Kurtag, I. Xenakis, Peter Eötvös, R. Febel, Robert HP Platz) per la creazione di nuove opere, molte delle
quali gli sono state dedicate dagli stessi autori.
Contemporaneamente alla sua attività di musicista ha tenuto numerosi corsi di perfezionamento nelle Università e nei
Conservatori in Uraguay, Argentina, Brasile, Messico, Venezuela, Cuba, Messico, Cina, Corea, India e in Europa.
Ha inciso diversi CD con opere di K.Stockhausen, I.Xenakis,
J. Cage e El Cimarron di H.W. Henze. Altre registrazioni sono in fase di preparazione.
Dal 1996 Mircea Ardelenau è docente ai corsi estivi internazionali di Darmstadt. Attualmente risiede in Germania e
insegna percussioni presso il Conservatorio della Svizzera
italiana.
Camerata
Polifonica
di Milano
La Camerata Polifonica di Milano è sorta nel 1982, sotto la
guida del maestro Ottavio Beretta, dedicandosi prevalentemente al repertorio sacro e profano del Rinascimento e
ricercando inediti da proporre al pubblico odierno, tra cui i
brani di G. Gastoldi, madrigali di F. Corteccia e la “Missa
dominicalis” di G. Contino.
Dal 1991, sotto la nuova direzione di Ruben Jais, la Camerata ha ampliato il suo repertorio dedicandosi anche all’ese-
cuzione di musica del ‘900 e di autori contemporanei. Ha
quindi partecipato a prime esecuzioni assolute di opere quali
Rigurgita di Davide Anzaghi, Unreported Imbound Pa-lermo
di Alessandro Melchiorre e di brani per coro a cappella di
autori quali Irlando Danieli, Flavio Delli Pizzi, Francesco
Pennisi e Bruno Zanolini.
Nel 1999, insieme all’orchestra dei Pomeriggi Musicali, ha
partecipato all’esecuzione di musica sacra nella basilica di
S. Ambrogio durante il nuovo progetto di Musica Liturgica
Contemporanea.
Luisa
Castellani
È una delle interpreti più reputate e raffinate della musica
contemporanea, particolarmente apprezzata per la duttilità
della tecnica vocale, la fantasia e l’intelligenza. Unisce temperamento appassionato, ironia e vis comica al rigore e al
gusto dell’approfondimento musicale, in particolare nel repertorio contemporaneo. Berio, De Pablo, Donatoni, Kurtag,
Gaslini, Sciarrino, Scelsi Pennisi e altri compositori ne hanno fatto un’iterprete di elezione. Ha cantato alla Scala, alla
Fenice, al Maggio Musicale Fiorentino, all’Accademia di S.Cecilia, al Barbican Theater di Londra, all’Opéra Bastille e allo
Châtelet di Parigi, al Konzerthaus di Vienna, alla Philharmonie di Berlino e altrove, nel repertorio cameristico e in ruoli
operistici. Ha collaborato con i direttori d’orchestra Gelmetti,
Panni, Eötvös, Ferro, Tamayo e Berio e con molte orchestre
(Ensemble Modern di Francoforte, Ensemble Recherche di
Friburgo, l’ASKO Ensemble di Amsterdan, il gruppo Contrechamps di Ginevra), oltre che con solisti quali Antonio Ballista, Bruno Canino, Massimiliano Damerini, Andrea Lucchesini e il Quartetto Arditti.
Ha registrato per numerose radio e televisioni, e realizzato
vari cd per DG, Fonit Cetra, Harmonia Mundi, Hungaroton,
RCA, Ricordi, Stradivarius. Per Teldec ha registrato il Pierrot
lunaire sotto la direzione di Sinopoli.
Luisa Castellani tiene corsi di musica contemporanea al CSI.
Carlo
Chiarappa
È nato a Roma in una famiglia di musicisti. Ha compiuto studi musicali al Conservatorio di Santa Cecilia, perfezionandosi
in seguito al Conservatorio Reale di Bruxelles con Louis Polet
e André Gertler. Impegnato in tutta Europa, Venezuela, Stati
Uniti, Messico, Israele, Argentina e Australia, Chiarappa ha
collaborato con direttori quali Eduardo Mata, Piero Bellugi,
Gianandrea Gavazzeni, Zubin Mentha, Jean-Claude Casadeus, Paul Sacher, Luciano Berio, Ernest Bour e Jurij Temirka-
nov. Ha tenuto corsi di perfezionamento a Bruxelles, Groznjan, Fiesole, Aix-en-Provence, Gerusalemme, Ferrazzano.
Dal 1990 è insegnante presso il Conservatorio della Svizzera Italiana a Lugano. È stato il primo esecutore di Sequenza VIII per violino solo (dedicatagli dall'autore) e di Corale per violino e orchestra di Luciano Berio. Ha inciso per
Denon, Nippon, Columbia, Frequenz Europa musica, FonitCetra, RCA e Tactus. Nel marzo del 1996 ha fondato l'ensemble "RISONANZE" assumendone la direzione musicale.
Suona su un J.B. Vuillaume (copia Stradivari) del 1868.
Brunella
Clerici
Nata nel 1967, ha compiuto gli studi musicali al
Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano, diplomandosi in
pianoforte, composizione, musica corale e direzione di
coro. La sua pratica è prevalentemente rivolta alla coralità
giovanile: dal 1994 dirige il coro di voci bianche al
Conservatorio della Svizzera italiana, con il quale ha tenuto
numerosi concerti in Svizzera e all’estero. Alcune sue composizioni sono state eseguite nella rassegna Musica e Metrè
di Milano, presso la Sala di Como e nel ciclo Novecento,
passato e presente.
Coro
Clarière
Il coro di voci bianche Clairière, sorto nell’ambito del
Conservatorio della Svizzera italiana, è diretto da Brunella
Clerici e comprende una quarantina di ragazzi di età compresa tra i 6 e i 16 anni divisi in tre fasce secondo l’età e il
livello di preparazione. Il suo repertorio spazia dal canto gregoriano ad autori dell’Ottocento e del Novecento.
Nora
Doallo
Nora Doallo è nata a Buenos Aires e ha studiato pianoforte
con Juan Salomon alla Scuola Superiore di musica dell’Università Nazionale di Cuyo, dove si è diplomata nel 1959.
A partire dall’anno successivo, si è perfezionata con uno dei
maggiori didatti del nostro tempo, Vincente Scaramuzza.
Nel 1960 ha ottenuto il primo premio all’unanimità al concorso “Mozart” in Argentina. Ha tenuto concerti in America
Latina, Italia e Germania. Dal 1978 è docente della classe di
perfezionamento pianistico al Conservatorio della Svizzera
Italiana.
Dalla sua scuola sono usciti numerosi pianisti che si sono
imposti in importanti concorsi internazionali ed hanno intrapreso brillanti carriere concertistiche. Tiene regolarmente
Corsi di Perfezionamento in Svizzera e in Argentina.
Alessandro
D’Onofrio
Alessandro D’Onofrio inizia lo studio del pianoforte all'età di
sei anni in Svizzera sotto la guida di Eke Méndez e Nora
Doallo. Nel 1980 consegue il diploma al Conservatorio di
Santa Cecilia in Roma e si perfeziona in seguito con Jakob
Gimpel, Eduardo Vercelli, Aldo Ciccolini, Maria Joáo Pires e
Alexis Weissenberg.
L'incontro con Alberto Lysy, lo porta a collaborare con la
Camerata Lysy nell'ambito della Menuhin Academy e a dedicarsi intensamente al repertorio cameristico approfondendo
questo genere con musicisti quali Sandor Vegh, Bruno Giuranna e Riccardo Brengola, con cui ottiene nel 1988 il diploma di perfezionamento in musica da camera ai corsi dell’Accademia Santa Cecilia.
Alessandro D'Onofrio si è esibito in tutta Europa e negli Stati
Uniti, dove ha anche tenuto dei seminari suonando tra l’altro
come solista con la Camerata Lysy, l’Orchestra di Stato di
Mosca e l’Orchestra della Svizzera Italiana.
Ha effettuato numerose registrazioni anche su disco.
Attualmente insegna pianoforte e musica presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano.
Massimo
Laura
Massimo Laura si è imposto all'attenzione internazionale
vincendo in breve giro di tempo una serie di primi premi in
prestigiosi concorsi internazionali, tra i quali il "Tárrega" di
Benicasim, in Spagna, e il Concorso di Alessandria.
Ha suonato in importanti sedi concertistiche, in recital e con
orchestra, da ultimo presentando il Concierto di Aranjuez a
Tokyo. Grande interesse hanno sempre suscitato le sue esecuzioni, con la mitica chitarra Hermann Hauser I, strumento
con il quale ha registrato due cd di grande successo, Giochi
e Carillon. Quest'ultimo era dedicato alla figura di
Benvenuto Terzi, chitarrista italiano autore di un repertorio di
estremo virtuosismo.
Dal 1980 è il chitarrista della Scala di Milano, teatro con cui
ha effettuato varie tournée per il mondo.
Insegna presso il Conservatorio di Como ed è titolare della
classe di perfezionamento al Conservatorio della Svizzera
Italiana di Lugano.
Luigi
Maio
Musicista, attore ed autore genovese, ha messo a frutto
questa sua molteplice esperienza in quello che egli ha definito il “Teatro sinfonico”. Nel ruolo che egli ha chiamato di
“musicattore” si è esibito in alcuni dei più importanti teatri in
Italia e all’estero scrivendo, riscrivendo, dirigendo e interpre-
tando lavori a carattere musicale nei quali la teatralità è esibita attraverso la recitazione diretta, quali L’histoire du soldat, Vespe d’artificio, Pierino e il lupo, Façade, L’histoire de
Babar, Sport et divertissements, L’Arlésienne, un Peer Gynt
da camera, Il Concerto dell’albatro, Des Wanderers Wand, La
bellezza del diavolo, I musicanti di Brema, Il melologo dell’oca, Le canzoni di Mefisto, ecc. anche per realizzazioni televisive.
Recentemente gli è stato attribuito il Premio Arte e Cultura
Ettore Petrolini quale interprete più originale del grande comico italiano.
Fabrizio
Rosso
Si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio "G. Verdi" di Torino.
È stato allievo di Homero Francesch presso il Conservatorio
di Zurigo, dove ha conseguito il Konzertfreidiplom e in seguito di Nora Doallo presso il Conservatorio della Svizzera
Italiana dove ha conseguito il diploma di solista.
Ha frequentato nel 1989 e 1991 i corsi di interpretazione
tenuti da Mieczyslaw Horszowsky presso il Conservatorio di
Lucerna e ha seguito in Italia numerose Masterclass con i
Maestri Jörg Demus e Paul Badura-Skoda.
In collaborazione con il pianista Giuseppe Leanza e Andrea
Caino, tecnico del suono della RAI, ha eseguito MANTRA
"per due pianisti" di Karlheinz Stockhausen ottenendo nell'agosto del 2001, per un concerto tenutosi a Kürten (Köln),
un "Premio Speciale" fra quelli assegnati ogni anno dall'autore alle migliori esecuzioni di sue composizioni.
Attualmente è attivo nella classe di perfezionamento di Nora
Doallo per la musica contemporanea e del 900, e pianista
della classe di Luisa Castellani.
Francesco
Tamiati
Nato a Vercelli nel 1965 ha compiuto gli studi presso il Conservatorio di Alessandria con Luigi Sechi, perfezionandosi con
Armando Ghitalla a Boston, John Wallace a Londra e Annes
Loubin a Stoccarda. Ha iniziato l’attività concertistica in giovane età, prima ancora di concludere gli studi, tra il 1980 e il
1981. Ha preso parte in qualità di solista alla prima esecuzione del Lohengrin di Salvatore Sciarrino al Teatro alla Scala.
Attualmente è attivo in due formazioni dedite alla musica del
Novecento (“Carme” a Milano e “Edgar Varèse” a Parma).
Nel 1996 è entrato come prima tromba nell’Orchestra della
Svizzera italiana. Recentemente ha vinto il concorso per il
posto di prima tromba nell’Orchestra del Teatro alla Scala.
Sandra
Weymann
Nata nel 1978 inizia lo studio del pianoforte all'età di 10 anni.
Ha studiato con Adalbert Roetschi al Conservatorio di Zurigo
dove ha conseguito il diploma con il massimo dei voti e lode.
Nel 1998 ha vinto il primo premio per pianoforte al Concorso
Landolt di Zurigo. Nel 2001 ha iniziato gli studi di perfezionamento al Conservatorio della Svizzera Italiana sotto la guida
di Nora Doallo.
Taisuke
Yamashita
Nato in Giappone nel 1954, ha iniziato a studiare il violoncello all’età di quattro anni. Ha compiuto gli studi musicali
nella Toho Gakuen Music School con Hodeo Saito, Yoritoyo
Inoue, Reine Fraschot e con William Primrose per la musica
da camera.
Dal 1976 è allievo di Guy Fallot al Conservatorio di Ginevra
dove nel 1979 ha ottenuto il Premio Ferney.
Ha ottenuto riconoscimenti presso vari concorsi internazionali: Gaspar Cassadò, Concorso internazionale di esecuzione musicale di Ginevra, Maria Canals di Barcellona, ecc.
La sua attività musicale si esplica tra Europa, Giappone e
Stati Uniti. Come solista ha suonato con le orchestre George
Enescu, di Pforzheim, della Suisse Romande, della Radio
Polacca, di Osaka, del Teatro Carlo Felice di Genova, con i
Filarmonici di Verona, ecc.
Dal 1980 è primo violoncello solo presso l’Orchestra della
RTSI, diventata in seguito Orchestra della Svizzera italiana.
Dal 1987 fa parte del Quartetto di Lugano.
Gruppo
percussionisti
di Lugano
l gruppo è nato nel 1998 nell’ambito del Conservatorio della
Svizzera italiana su iniziativa di Mircea Ardeleanu e si prefigge lo scopo di divulgare e approfondire le opere degli autori
contemporanei, con un occhio di riguardo agli autori svizzeri.
Da un nucleo principale di tre studenti si è passati nel 2001
a un gruppo di sei musicisti. Recentemente l’ensemble,
sotto la direzione di Mircea Ardeleanu, ha effettuato una
tournée svizzera (Winterthur, Losanna, La Chaux-des-Fonds,
Lugano), ottenendo un notevole successo di pubblico e di
critica e ricevendo inviti per il prossimo anno a Ginevra.
Ultimamente è stato inoltre invitato a suonare all’EXPO 02
per lo “Schlachtenprogramm” in collaborazione con i migliori
esecutori dei conservatori di tutta la Svizzera.
Nel luglio del 2002 alcuni componenti del gruppo hanno partecipato ai Corsi estivi internazionali di Darmstadt, l’appuntamento più importante al mondo dedicato alla musica contemporanea, ricevendo un Premio d’interpretazione.
George ANTHEIL
1900 - 1959
Compositore e pianista americano, fu allievo di Ernest Bloch. Visse a lungo in Europa
(Berlino, Parigi, Vienna) dove incontrò Stravinsky che, più di ogni altro compositore
esercitò su di lui una chiara influenza. A Parigi Antheil ebbe notevole successo, tanto
da divenire quasi il prototipo e il portavoce dei compositori che manifestavano le tendenze moderniste più avanzate. Nel 1933 ritornò negli Stati Uniti e poi, nel 1936, si
stabilì a Hollywood dove fu un apprezzato autore di musica da film (collaborò con
numerosi registi tra i quali il leggendario Cecil B. DeMille). Negli ultimi anni della sua
vita riprese poi ad occuparsi di musica sinfonica e da concerto, con composizioni
che testimoniano la sua adesione ad uno stile ed una sensibilità neoromantica
Il suo Ballet méchanique, è del 1925. La partitura che include eliche di aeroplano,
campanelli da porta, macchina da scrivere, e altri strumenti rumoristici, si iscrive in
quel momento del primo novecento in cui l'esplosione della tecnologia e, con essa,
la presenza nell'ambiente quotidiano di suoni e rumori del tutto nuovi, induceva alcuni compositori a incorporarli nelle loro musiche - o almeno a trarne ispirazione (si
pensi alla Danza dell'elica di Casavola e a Pacific 231 di Honegger). Il brano a Parigi
ebbe notevole successo e fece di Antheil il giovane compositore più noto di Francia.
Egli ritenne peraltro che questo suo lavoro compisse e concludesse un'intera fase
artistica della propria vita, tanto è vero che immediatamente dopo cambiò pelle e,
sulla scia di Stravinsky, si orientò verso il neoclassicismo. Oggigiorno le musiche di
Antheil non sono quasi mai eseguite e ciò è singolare se consideriamo che questo
autore godette nel corso della propria vita davvero di enorme successo e notorietà,
se pur con alti e bassi. Il Ballet méchanique, è peraltro il brano che oggi come oggi
più direttamente (e direi quasi automaticamente) si collega al nome di Antheil.
Vale dunque la pena di ascoltarlo con attenzione. Esso costituisce un tassello di
importanza non secondaria se vogliamo avere una immagine realistica di cosa fosse
la vita musicale parigina di inizio Novecento.
Luciano BERIO
*1925
Nacque nel 1925 da una famiglia di tradizioni musicali ed ebbe quindi suo padre
come primo insegnante di musica. Poi al Conservatorio di Milano studiò composizione con Paribeni e Ghedini, e direzione d’orchestra con Votto e Giulini.
Nel 1955 fondò, assieme con l’amico Bruno Maderna, lo Studio di Fonologia della
RAI a Milano, a cui si aggregò ben presto anche Luigi Nono. Era questo il periodo
delle prime composizioni elettro-acustiche (Thema/Omaggio a Joyce, 1958, e AllezHop, basato su un testo di Italo Calvino, 1959). Luciano Berio in quegli anni fu
davvero un pioniere, un esploratore, dal carattere estroso e italianamente asistematico. Tra il 1960 e il 1972, fu spesso attivo a Darmstadt, a Darlington, a Harvard, alla
Juilliard e alla Columbia University. Se da un lato era attratto dagli orizzonti che le
nuove tecnologie elettroacustiche aprivano alla musica, nello stesso tempo con-
dusse studi particolari sulla musica etnica e folkloristica: Sono di quel periodo composizioni assai famose come Visage, Passaggio, Folk Songs, Laborintus II, nonché la
lunga e fortunata serie di Sequenze.
Berio esplorò pure – con eguale intensività – le possibilità espressive della voce
umana: specie quando la cantante Cathy Berberian apparve nella sua vita negli anni
70, e iniziò con lei una collaborazione che sarebbe rimasta costante nel tempo fino
alla di lei prematura morte. Seguirono Opera, Line and Points, Cries of London, una
nuova serie delle Sequenze, e Il ritorno degli Snovidenia. Pur operando soprattutto
negli USA, Berio non rinnegò mai le proprie origini culturali italiane. La sua curiosità
intellettuale lo portò a esplorare ogni tipo di tradizione che ben si potesse adattare al
suo modo di far musica, come per esempio il jazz, la musica del teatro No giapponese, o la musica classica indiana. Vale la pena di ricordare che sino al 1980 lavorò
anche al Dipartimento di elettroacustica dell’IRCAM di Parigi, e fu lui stesso a fondare una sede staccata dell’IRCAM a Milano. Nel 1987 fondò anche, sempre a Milano, un Istituto di Ricerca, "Tempo Reale". Luciano Berio è indubbiamente una delle
figure più importanti del panorama musicale della seconda metà del XX secolo.
Folk songs, una serie di arrangiamenti per voce e 7 strumenti, è del 1964. Ne esiste
anche una versione orchestrale del 1973. Quelli erano gli anni del Folk Song Revival,
quel movimento che mirava alla riscoperta e rivalutazione del patrimonio popolare e
Luciano Berio era allora in stretto contatto con alcune delle persone che in Italia ne
facevano attivamente parte, tra gli altri Roberto Leydi. Ecco dunque da ciò il suo desiderio di lavorare su materiali di provenienza folklorica.
Il Corale sulla sequenza VIII, per violino, 2 corni e archi è del 1981, come dice il titolo riprende la Sequenza VIII, che è per violino solo e che fu composta nel 1977.
Il Corale è uno di quei lavori che ci testimonia come Luciano Berio ami a volte
ritornare su di una sua composizione e ripensarla, ripresentarla sotto un diverso
punto di vista.
*1944
Thüring BRAM
Dopo la sua formazione musicale a Basilea, Siena, Salisburgo e Heidelberg (pianoforte, direzione d'orchestra e musicologia) Thüring Bräm ha studiato per tre anni negli
Stati Uniti ottenendo un Master of Arts in composizione alla University of California
a Berkeley ed è stato anche attivo in quel paese come direttore d'orchestra e coach
presso il Curtis Institute di Philadelphia, la Santa Fe Summer Opera, e l' Aspen Music
Festival. È stato poi fondatore e direttore della Junge Philarmonie Zentralschweiz.
Come compositore e direttore d'orchestra Bräm è attivo a livello internazionale.
Il catalogo delle sue opere comprende circa cento brani. Dal 1987 è direttore del
Conservatorio di Lucerna. Dal 1999 al 2001 è stato Rettore della Musikhoschscule
recentemente fondata di Lucerna e dal 2001 ne è Prorettore e direttore della Facoltà I.
La sua musicalità è stata inizialmente influenzata sia da Anton Webern che da Pierre
Boulez e, successivamente, da John Cage. A partire dagli anni 80 si è interessato
alla ricerca di nuove possibilità sonoriali ottenibili anche da materiali tradizionali (per
esempio nell'oratorio Luci e Ombre o nel brano orchestrale Florestan und Eusebius).
Thüring Bräm ha ricevuto in quanto compositore importanti commissioni e riconoscimenti (Pro Helvetia, Stadt Basel, IMF Luzern, Radio DRS, Danzig, BBC Singers,
Edwin Fischer-Anerkennungspreis, University of California).
Il Gong Magico è un'operina da camera in quattro atti in cui gli elementi narrativi si
esprimono attraverso la pantomima, mentre le arie cantate riguardano i momenti
emotivamente connotati della narrazione. L'opera rappresenta con tratto leggero,
alla maniera del teatro popolare, alcuni archetipi della nostra socialità. I tre popoli (i
Variopinti, gli Scuri e i Facciabianca) mal si comprendono tra loro. Grazie ad un gong
magico, che solo i Variopinti sanno suonare, i tre popoli riescono a convivere.
Quando però gli Scuri riescono a trafugare il gong, nelle loro mani esso non funziona. Evidentemente, solo quando si trova nel luogo giusto ed è attivato dalla giusta
persona esso manifesta il suo magico potere. Mentre gli Scuri riescono a rendersene conto e cambiano atteggiamento in ragione di questo, i Facciabianca (così detti
perché richiedono a tutti i loro compatrioti di portare una maschera bianca) rimangono invece quelli di sempre: codardi e indifferenti. Il libretto, scritto da Dimitri in collaborazione con Markus Kunz e Bernard Stöckli, evidenzia alcuni archetipi della favolistica. Tra questi il mistero del soprannaturale e la rivalità tra due popoli che viene
poi ricomposta attraverso due loro rappresentanti (il motivo di Romeo e Giulietta).
La musica raffinata e al tempo stesso di immediata presa composta da Thüring Bräm
sottolinea l'attualità della tematica che riprende in forma fiabesca la questione eterna della conflittualità tra fazioni che vivono la loro diversità come fattore di inevitabile conflitto.
Niccolò CASTIGLIONI
1932 - 1996
Nato a Milano, studiò al Conservatorio della sua città natale con Giorgio Federico
Ghedini, e seguì successivamente i corsi di Gulda, Zecchi e Blacher al Mozarteum di
Salisburgo. A parte una breve parentesi concertistica negli anni 50, si dedicò poi
esclusivamente alla composizione e all’insegnamento di essa. Nel 1966 fu invitato a
Buffalo, alla Rockefeller Foundation, dove insegnò Contrappunto; poi sino al 69 fu
visiting professor in numerose università americane. Tornato in Italia, dove rimase
fino alla sua morte, egli insegnò prima al Conservatorio di Trento e poi al Conservatorio di Milano. Da Milano si allontanava spesso per andare a Bressanone, un’amena cittadina del ridente Alto Adige, dove ritrovava il contatto con la natura, elemento questo che è spesso presente nelle sue composizioni. Il suo stile si distingue
da quello di tutti i suoi contemporanei italiani: esso manifesta le sonorità più aggiornate della stagione delle avanguardie ma, al tempo stesso, il sistema tonale maggiore-minore a volte riemerge nelle sue composizioni da situazioni sonoriali che non
sembrerebbero preannunciarlo. Nella sua opera sono pure sempre ben chiare le profondissime radici culturali della sua concezione del comporre, basate soprattutto su
una non comune conoscenza e sensibilità per il contrappunto antico.
Cantus planus per due soprani e strumenti è una composizione del 1990 in cui Anton
Webern è paragonato al poeta mistico Angelus Silesius per la sua capacità di unire
semplicità e profondità.
1862 - 1918
Claude DEBUSSY
Figlio di modesti commercianti, il caso gli fece incontrare, all'età di 8 anni, un'ex allieva di Chopin che lo avviò seriamente allo studio del pianoforte. Entrò al Conservatorio di Parigi nel '72. Con la parentesi delle esperienze come "pianista privato" al
seguito di Nadiezda von Meck, frequentò il Conservatorio per 12 anni nelle classi di
Marmontel, Franck, Durand, Guiraud, ottenendo quindi nell'84 il "Prix de Rome".
Dopo aver soggiornato 3 anni a Roma rientrò a Parigi, cominciando a frequentare
ambienti di intellettuali e circoli artistici. Nell'88 si recò per la prima volta a Bayreuth,
dove rimase fortemente impressionato dalle opere wagneriane. L'anno seguente si
avvicinò alla musica orientale (il "gamelan" indonesiano) attraverso l'Expositión Universelle. Con il Prélude à l'après midi d'un faune giunse nel '94 la sua prima grande
affermazione, seguita da altre numerose conferme negli anni seguenti. La migliorata
situazione economica gli permise così di dedicarsi esclusivamente alla composizione. Il lavoro compositivo proseguì molto intenso, nonostante vicende familiari tormentate, fino all'ultimo, anche quando sopravvennero i primi sintomi di una malattia
incurabile. Debussy compose opere, balletti, lavori per orchestra, pagine corali, pianistiche, vocali e da camera. La sua musica strumentale da camera consiste di un
Quartetto per archi, 3 Sonate per diversi organici, 2 pezzi per clarinetto e pianoforte,
un Trio con pianoforte e le Chansons de Bilitis che, prevedendo la voce recitante, si
sottraggono a una precisa classificazione di genere.
La boite a joujoux, (ballet pour enfants par André Hellé) è un brano che Debussy compose nel 1913 in una versione per solo pianoforte. È destinato ad un pubblico di
bambini e contiene alcuni momenti genuinamente umoristici. La première si ebbe a
Parigi nel 1919, poco più di un anno dopo la morte del compositore. La composizione esiste in una versione orchestrale di André Caplet, amico e collaboratore di
Debussy. La potremo ascoltare in una riscrittura di Matthias Steinauer.
1876 - 1946
Manuel DE FALLA
Nacque a Cádiz, dove iniziò gli studi musicali; successivamente si trasferì prima a
Madrid e poi a Parigi, rintrando poi a Madrid solo nel 1914. Fortemente influenzato
dalla tradizione del canto andaluso – e in ogni caso dal canto popolare iberico – si
stabilì successivamente a Granada dove entrò in amicizia col poeta e musicista
Federico Garcia Lorca. Nel 1939 emigrò a Buenos Aires, causa il conflitto nel suo
Paese. Morì a Cordoba, nel 1946. La figura di De Falla è una delle più importanti di
tutta la storia della musica in Spagna. Anche se nella sua opera sono avvertibili le
tracce degli studi compiuti a Parigi, e quindi i riferimenti a compositori come Debussy, Ravel o Dukas, la musica di de Falla rimane essenzialmente iberica, imbevuta di
elementi folklorici densamente spagnoli, con caratteri fortissimi, inequivocabili, che
tutti gli ascoltatori riconoscono anche al primo contatto. Nacquero in quest’ottica le
sue opere più importanti e rappresentative, come Notti nei giardini di Spagna (190915), L’amore stregone (1915), Il cappello a tre punte (1919), lavori teatrali apprezzati
in tutto il mondo; o lavori sinfonici ancor più famosi, come la Danza del fuoco. Altre
composizioni da non dimenticare sono Le sette canzoni popolari spagnole (1914) e
l’opera Atlantida, rimasta incompiuta alla morte del maestro, quando si trovava ancora in esilio volontario a causa del franchismo. Anche l’opera strumentale di Falla presenta le stesse fortissime connotazioni della produzione sinfonica; nell’opera pianistica (o per clavicembalo, come il suo Concerto) sono ravvisabili altri influssi, che si
concretano in eleganti disegni sulla tastiera, degni della grande tradizione dell’area
culturale latina, come quelli di un Couperin o di un Domenico Scarlatti.
Il suo Concerto per clavicembalo e cinque strumenti (1926), è dedicato a quella
straordinaria Wanda Landowska a cui si deve il revival del clavicembalo nel corso del
secolo scorso. Esso è, assieme al Concert Champêtre di Francis Poulenc (pure composto per la Landowska), uno dei due più conosciuti e amati brani moderni che mettono il clavicembalo in primo piano.
Paul HINDEMITH
1895 - 1963
Compositore, violista e direttore d'orchestra tedesco: all'età di 9 anni iniziò lo studio
della viola, dimostrando in breve tempo grande predisposizione per la composizione.
Ma i genitori si opposero alla sua passione musicale, tanto che il giovanissimo
Hindemith decise ad un certo punto di finanziarsi da solo gli studi. Si mantenne economicamente suonando nei caffè e nelle sale da ballo e nel 1909 divenne allievo della
Hochschule di Francoforte. Risalgono a quei tempi le sue prime composizioni, tra cui
la Lustige Sinfonietta. Terminati gli studi iniziò l'attività concertistica: dal 1915 al 1923
fu primo violino e, successivamente, direttore dell'orchestra dell'Opera di Francoforte. Negli anni successivi alla Prima guerra mondiale cominciò a farsi notare anche
come compositore. Furono anni di intensa attività: nel 1921 entrò a far parte come
violista del famoso Quartetto Amar. L'attività di strumentista non gli impedì tuttavia
di ottenere riconoscimenti anche come compositore. La conferma del suo talento
venne con i Quartetti op. 10 presentati al Festival di Salisburgo del 1922; nella stessa sede, nel 1923 e nel 1924, ebbe successo col Quintetto con clarinetto op. 30.
Nel 1926 Hindemith cominciò a nutrire un fervido interesse per la Jugendbewegung,
un movimento per il progresso dell'attività musicale, fondato da giovani melomani e
dilettanti attivi sia in campo privato che scolastico. Stimolato da questa attività collettiva, scrisse Spielmusik, Gemeinschaftmusik e Schulwerk. Come riconoscimento
per essersi dimostrato sensibile ai problemi dell'educazione musicale, nel 1927 la
Musikhochschule di Berlino lo nominò professore di composizione. Ed è da questa
attività di didatta che Hindemith ricava l'idea per la sua prima e più vasta opera teorica, Unterweisung im Tonsatz, iniziata nel 1927 e pubblicata nel 1937. È una pietra miliare nella storia della teoria musicale, che afferma il concetto di Grundton (suono
fondamentale) come codice generatore di tutta la costruzione sia melodica, che
armonica e contrappuntistica. Nel 1934 iniziò l'opera che gli porterà i maggiori consensi, Mathis der Maler; dello stesso anno è la sinfonia omonima. Ma il nazismo che
sta per dominare la Germania non vede di buon occhio la sua opera. La sua influen-
za sui giovani compositori (non solo tedeschi) in quegli anni è fortissima; Hindemith
fu un attivo "restauratore" della tradizione strumentale tedesca preromantica e il
nazismo lo accusò pertanto di "internazionalismo" bollando come "degenerata" la
sua arte. Così è costretto a lasciare il suo Paese. Prima trova Ankara disposta ad accoglierlo per organizzare una scuola superiore di musica d'importanza europea, poi
va a Zurigo, dove termina Mathis der Maler. L'opera viene presentata con successo
prima a Zurigo nel 1938 e poi a Londra nel 1939. Successivamente, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Hindemith si trasferisce negli Stati Uniti, all'Università
di Yale. Nel 1946 ottiene la cittadinanza americana, ma nel 1953 elegge come suo
domicilio fisso la Svizzera, sul lago di Ginevra. Una delle opere più significative dell'ultimo periodo sarà Die Harmonie der Welt del 1957. Hindemith morirà poi in una
clinica di Francoforte il 28 dicembre del 1963. Nel panorama della musica del
Novecento, Hindemith è da accostare ai nomi di Reger, Bartók, Prokofiev, Sciostakovic, Stravinsky e Schoenberg.
Kammermusik no. 3 op. 36, per violoncello e 10 strumenti, fa parte di una serie di
sette composizioni che portano tutte questo identico titolo e che Hindemith compose tra il 1922 e il 1927. Tutte mettono in primo piano uno strumento solista al quale
viene affiancato un piccolo gruppo, cameristico per l’appunto, di strumenti diversi.
*1931
Rudolf KELTERBORN
Rudolf Kelterborn è uno dei compositori elvetici più rappresentativi della scena contemporanea ed è tra i pochi a godere di una reale reputazione internazionale. Nacque
a Basilea. Ha insegnato all’Accademia di Basilea, di cui fu anche direttore e poi
anche al Conservatorio di Zurigo. È stato poi per numerosi anni direttore del dipartimento musicale della DRS e anche il redattore della Schweizerische Musikzeitung.
Kelterborn ha fatto pure il direttore d’orchestra, dirigendo principalmente sue proprie
composizioni e ha anche scritto parecchio di musica, specialmente contributi di
carattere analitico. Sono scritti che testimoniano bene il suo ampio orizzonte culturale. E questo lo si vede anche nella sua produzione musicale, nelle scelte, negli indirizzi che essa manifesta, per esempio nella sua musica teatrale. Una delle cose più
significative in questo ambito fu, nel 1974, la traformazione in opera di un lavoro di
Dürrenmatt, Ein Engel kommt nach Babylon, che fu un lavoro in cui lo stesso drammaturgo si mostrò disponibile a rielaborare il proprio testo per renderlo adatto a questa nuova destinazione teatral-musicale.
Di Kelterborn, un autore che ama cimentarsi con organici e con generi di ogni tipo,
abbiamo in programma tre brani che ben mostrano la sua propensione a impiegare
piccoli ensembles in cui ogni strumento viene a svolgere un ruolo significativo:
Ensemble-Buch III, Eine zyklische Kammermusik mit 10 Instrumenten (1997), Spektren per quartetto di flauti a becco (1993), Adagio con interventi, per flauto, clarinetto, pianoforte, violino, violoncello e contrabbasso (2000). Si tratta, come indicano le
date, di composizioni di brani molto recenti; una testimonianza, dunque, del maturo
consolidamento di una poetica che si è sviluppata con molta coerenza nel corso di
decenni. Da notare, a livello di curiosità, in Spektren, la scelta dei flauti a becco
(anche detti “flauti dolci”). Si tratta evidentemente di quel flauto barocco che era
totalmente scomparso dall’uso fino a quando, nel corso del Novecento, non si è
cominciato a recuperare la musica che a questo strumento antico era stata destinata. Poi il flauto a becco è diventato, per la sua economicità e semplicità uno degli
strumenti preferiti per la didattica musicale di base. Non c’è dunque da sorprendersi se alcuni compositori contemporanei, hanno sentito il desiderio di usare il loro suono particolare.
Bohuslav MARTINU
1890 - 1958
Compiuti gli studi musicali a Praga, fu sino al 1923 violinista dell’orchestra filarmonica di quella città, poi si trasferì a Parigi per perfezionarsi con Roussel. Dopo essere
stato negli USA, e dopo aver insegnato a Praga, dal 1957 si stabilì in Svizzera.
Nell’opera di Martinu confluiscono influssi alquanto diversi fra loro, che vanno dalla
musica nazionale (si tende ad accostare il suo nome agli intenti nazionali che furono
di Dvorak e poi di Janacek) all’impressionismo francese, al neoclassicismo di Stravinsky, ai ritmi nero-africani, sino alla sintassi armonica del jazz. Quindi il suo linguaggio risulta eclettico, anche se basato fondamentalmente su di un lavoro costruttivo in cui il contrappunto gioca un ruolo importante e che alcuni sono tentati di
etichettare come "neobarocco". Martinu scrisse molto, soprattutto in ambito teatrale;
particolarmente notevoli sono la sua Julietta del 1938, La commedia sul ponte del
1937, Il matrimonio (scritto per la televisione nel 1953). Compose anche una decina
di balletti, alcuni poemi sinfonici e molta musica da camera. Questa sua ricca produzione venne un po' dimenticata negli anni immediatamente successivi alla sua
morte (che erano quelli della massima affermazione delle tendenze d'avanguardia).
Oggigiorno però il suo nome si incontra frequentemente nei programmi delle stagioni
concertistiche di tutto il mondo.
Martinu compose molta musica per balletto (il suo catalogo conta ca. 15 titoli di cui
alcuni sono andati persi e altri ancora attendono una prima esecuzione). La suite dal
balletto intitolata La revue de cuisine è del 1927 (anno della composizione e della sua
prima esecuzione a Praga). Essa risale quindi al periodo, la fine degli anni 20, in cui
lo stile musicale di Martinu cominciò a mostrare tendenze moderniste. Anche se gli
accordi che utilizzava in quel periodo potevano essere fortemente stridenti e dissonanti la base della tonalità maggiore-minore nella sua musica non viene però mai a
mancare veramente. Si tratta, come avremo modo di verificare, di musica spiritosa,
arguta, piacevole e divertente.
*1908 - 1992
Olivier MESSIAEN
Messiaen fu allievo di Dupré e Dukas al Conservatorio di Parigi. Nel ’31 divenne organista alla Chiesa della Trinità a Parigi; nel ’36 fondò, con Jolivet, il gruppo Jeune
France; dal ’36 insegnò alla Schola Cantorum, e poi del ’42 al Conservatorio di Parigi.
Messiaen scrisse moltissimo: per orchestra, per coro, per coro e orchestra, e anche
tanta musica strumentale e da camera. L’aspetto più caratteristico della sua estetica
è il libero uso della modalità. L’adozione frequente di scale orientali e un intero arcobaleno di accenti estranei alla tradizione occidentale (o anche, per esempio, risonanze gregoriane) danno alla sua opera un’impronta sempre mistica, spirituale e profonda, spesso di esplicito richiamo religioso. Il suo linguaggio è sempre aperto alle
innovazioni e mai scontato, anche se in lui sono palesi i richiami all’opera di un
Debussy o di uno Skriabin. Un altro aspetto fondamentale della scrittura di Messiaen
è il ritmo, ispirato alla metrica classica e a quella orientale, che aggiunge ulteriore
fascino alla sua cifra espressiva. Sperimentò anche la possibilità di una serializzazione integrale (non è quindi estraneo a esperienze dodecafoniche), ma il suo intenso lavoro di ricerca segue in realtà altri cammini del tutto personali. La figura di
Messiaen si erge maestosa nel panorama della musica del Novecento, accanto ad
altre figure di primo piano (da Berio a Ligeti, da Stockhausen a Boulez), ma la sua
opera brilla per un fascino e contenuti spirituali assolutamente particolari e sostanzialmente estranei alla sensibilità degli altri grandi compositori della seconda metà
del XX secolo.
Tra i grandi compositori del XXmo secolo Messiaen è stato probabilmente quello in
cui l’ispirazione religiosa ha costituito uno dei motivi più costantemente presenti nella
sua opera. Essa riappare particolarmente, come intuibile, nella musica vocale.
Le Trois petites liturgies de la presence divine per coro di voci femminili e strumenti
portano i seguenti titoli individuali: 1. Antienne de la conversation intérieure; 2. Séquence du Verbe, cantique divin; 3. Psalmodie de l’ubiquité par Amour. Si tratta di
una composizione che risale agli anni 1943-4, quindi al travagliato periodo della
Seconda Guerra Mondiale. Da notare che nell’organico previsto dalla partitura figura
la Celesta (quello strumento dal timbro angelico e cristallino che Ciaikovski impiegò
per la prima volta nello Schiaccianoci per la “danza della fata confetto”) e l’Onde
Martenot. Si tratta di uno dei primi strumenti elettronici presentato al pubblico per la
prima volta nel 1928 dal suo inventore, Maurice Martenot. Oggi è praticamente introvabile e viene spesso sostituito da una tastiera elettronica moderna capace di imitarne il timbro.
1892 - 1974
Darius MILHAUD
Darius Milhaud nacque in Provenza da famiglia ebraica. Fu introdotto fin da giovane
nell’ambiente culturale parigino. Successivamente lavorò in Brasile come attaché
dell’ambasciata francese. Nel 1918 entrò in contatto con Cocteau e Satie, e poco
dopo venne a fare parte del "Gruppo dei Sei" (con Honegger, Auric, Tailleferre, Durey
e Poulenc). Dopo il 1920 viaggiò in tutta Europa, e le sue musiche cominciarono ad
essere eseguite in numerosi Festival europei. All’inizio della seconda guerra mondiale si trasferì negli Stati Uniti, ritornando a Parigi solo nel ’47; da allora fu insegnante
presso il Conservatorio della capitale francese. Forse, all’interno del gruppo dei Sei,
Milhaud è la personalità di maggior rilievo; la sua opera risulta sempre interessante
e fresca. Ciononostante, benché assai conosciuto e apprezzato, la storiografia non
gli ha assegnato una posizione di grande visibilità nel panorama del '900; forse perché tutto il gruppo dei Sei, in generale occupa una posizione non propriamente
proiettata in avanti sul piano della ricerca dei nuovi linguaggi novecenteschi, in un
periodo in cui questa tensione verso l'innovazione sembrava a molti necessaria e
indispensabile.
La mort d'un tyranè una composizione che si inserisce in una tradizione di ambito
germanico, quella dello Sprechchor, ovverossia del coro parlato. Si tratta di una scelta espressiva che contribuisce a dare all’azione, nel contesto di un’opera teatrale o
di un oratorio profano, una connotazione realistica (l’esempio più noto al riguardo è
quello del Thyl Claes di Wladimir Vogel). In questo caso lo Sprechchor richiede la
partecipazione di un coro di bambini accompagnati da un piccolo gruppo strumentale. La composizione risale al 1932, epoca nella quale l’assai prolifico Milhaud era
già un compositore affermato e maturo che aveva già composto moltissimo e ancora moltissimo si apprestava a comporre.
Salvatore SCIARRINO
*1947
Un fruscío lungo trent’anni (1967-1999)
per quattro percussionisti.
Questo titolo racconta già la storia della composizione, il cui nucleo risale a un’epoca che sta per tramontare . Su pagine ingiallite i segni proclamano a me l’estraneità
dei miei stessi giorni. Anche gli occhi sono cambiati. Altri occhi, altri pensieri.
Nel 1967 il mio stile cominciava a mettersi a fuoco, forse non tutti sarebbero in grado
di riconoscerlo. Inutile pure per me tentare di riconoscermi dopo tanti anni.
Cosa dunque ho voluto fare di questo frammento? Inseguire quelle idee che mantengano un potenziale di azzardo e interrogativo.
Proprio alla luce delle attuali aperture, alcune caratteristiche del vecchio pezzo prendono rilievo: solo così è stato possibile un recupero delle parti scritte e una ulteriore
definizione del progetto generale.
Può oggi sorprendere l’uso dei suoni ecologici (rami di pino verdi, foglie secche,
acqua) mescolati a strumenti musicali ortodossi, raggruppati però secondo la materia costitutiva (legni, pelli, vetri, metalli). Gli strumenti vengono soprattutto strisciati,
non percossi.
Poi compaiono quelle inesauribili fonti di vibrazione corporea che sono le Gran
Casse. Il loro suono mette in allarme perché senza nome, come lo spazio.
La tendenza estrema all’impercettibile è contraddetta e bilanciata da elementi violenti, quali oggetti da rompere, tubi metallici, pistole.
L’attitudine alla meditazione per mezzo del suono mi è stata sempre congeniale.
Immaginate di sedervi sulle rive di un fiume. Non un fiume reale, ma il fiume della
musica.
Immaginate di sedervi alla ribalta di un concerto. Non un concerto reale, ma di acqua
e vento.
Vi sono suoni in cui ci si immerge con diletto. Ma v’è una cosa senza la quale nessun diletto di suono ha senso, ed è l’intensità del silenzio.
La tensione è il pensiero di chi ascolta reso percepibile da chi suona.
Salvatore Sciarrino
*1977
Andreas STAUDER
Studio della composizione al Conservatorio di Ginevra con Jean Balissat e Eric
Gaudibert: Prix de Composition, Prix Edmund Pendleton, Prix du Conseil d'Etat. Stipendi delle fondazioni A.R.J. Leenaards e S. T. Patiño (soggiorno di un anno alla Cité
des Arts di Parigi). Lezioni con Salvatore Sciarrino durante un seminario dell'Ensemble Ictus. Esecuzione da parte dell'Ensemble Contrechamps ("Le pin nain), Kammerorchester Basel e dell'Ensemble für Neue Musik Zürich ("Concerto Grosso").
Incisione del Septour "Gloriette" dell'Ensemble TaG.
Il titolo AKA si riferische al principio degli spostamenti assimetrici dei poliritmi di certe
regioni della Repubblica Centro-africana, i quali sono stati esposti dal musicologo
Simha Arom e integrati da Ligeti nella sua musica degli anni 80'. Nel mio brano, quei
principi ritmici, liberamente adattati, insieme al una elaborazione timbrica di associazioni ed oggetti "strumenti" composti e fungono da base ad una articolazione formale attraverso la quale, delle "figure" ben delineate, emergono da uno stato iniziale
di percezioni complesse, innanzitutto timbrica, per terminare nelle grandi formazioni
lineari dell'ultima parte.
*1959
Matthias STEINAUER
Nato a Basilea, ha conseguito il diploma di pianoforte presso I'Accademia di musica
della sua città, continuando poi gli studi di teoria e di composizione con Robert Suter
e Roland Moser. Ha proseguito in seguito la sua formazione a Budapest con Gyorgy
Kurtag. E stato premiato in numerosi concorsi nazionali e internazionali. Dal 1986 è
docente di teoria, musica da camera e composizione, e tiene corsi di musica contemporanea al Conservatorio di Winterthur. Dal 1992 vive a Corticiasca.
Il suo Omaggio a Italo Calvino è una composizione articolata in tre movimenti tratti
da altrettanti racconti dello scrittore italiano che trattano di possibili genesi della
terra, che iniziano con una citazione dal tono quasi scientifico.
I. Himmel aus Stein / Il cielo di pietra "La velocità di propagazione delle onde sismiche all'interno del globo terrestre varia a seconda delle profondità e delle discontinuità tra i materiali che costituiscono la crosta, il mantello e il nucleo". Due esseri si
divertono nell'interno della terra. Talvolta si lasciano trascinare dalla corrente di lava
sulla superficie del nostro pianeta e si spaventano per il rumore, il frenetico e veloce
scorrere del tempo di questi "extra"-terrestri.
II. Ohne Farben / Senza colori "Prima di formarsi la sua atmosfera e i suoi oceani,
la Terra doveva avere l'aspetto d'una palla grigia roteante nello spazio. Come ora è
la Luna: là dove i raggi ultravioletti irradiati dal Sole arrivano senza schermi, i colori
sono distrutti". In un ambiente totalmente grigio due innamorati pure grigi non possono vedersi e ritrovarsi. Improvvisamente precipita un meteorite, si alzano emissioni di gas che invadono il mondo rendendo visibili colori e contorni.
III. Meteorìten / I meteoriti "Secondo le teorie più recenti, la Terra in origine sarebbe
stata un piccolissimo corpo freddo che si sarebbe poi ingrandito inglobando meteoriti e polvere meteorica". In continuazione cadono pietre e polvere sulla terra inizialmente piccola. I due abitanti, che ininterrottamente puliscono lo sporco e ordinano i
meteoriti, si allontanano sempre più a causa dell'ingrandirsi del pianeta. Alla fine l'uomo, divenuto nel frattempo solo, osserva con calma l'aumentare degli oggetti, e percepisce la terra, in ogni momento, come perfetta. Ciononostante, sempre, quando
cade qualcosa di nuovo (ad esempio il Colosseo, il Po, la rete telefonica, ecc.), gli
sembra che era proprio quella la cosa che mancava.
Mentre la drammaturgia e la formulazione dei materiali musicali sono basati sul testo
letterario, il trattamento e lo sviluppo dei medesimi, procedendo a volte in modo visibilmente sistematico e a volte meno, seguono peraltro - sempre - loro proprie leggi
musicali.
Jahreszeiten? (stagioni) reca come sottotitolo “Dis-tanz”. La breve opera scenica è
stata composta per l’undicesimo anniversario del Basler Schalgzeugtrio.
Nella sua elaborazione hanno giocato un ruolo vari livelli di associazioni :
. il suono “Dis” (re diesis),
- la “Distanz” rispetto ai miei buoni amici basilesi causata dal mio nuovo dimicilio nel
Ticino,
- la rappresentazione di una “Tanz” quasi statica di tutti e tre gli esecutori intorno al
più piccolo degli strumenti di Mallet, il Glockenspiel, e non da ultimo anche l’”esigenza”, di destinare il mio modesto contributo al genere “stagioni”.
Certamente in rara brevità e con un punto interrogativo: in effetti oggi noi sperimentiamo le tiepide serate di dicembre esattamente come gli urtanti freddi di giugno.
Oppure non trascorriamo forse le stagioni principalmente in interni riscaldati e ad aria
condizionata? In ogni caso ne abbiamo esperienza in forma moltiplicata a distanza,
o in modo sempre più virtuale nelle previsioni meteorologiche dei media.
*1965
Fabio TOGNETTI
Inizia gli studi musicali all’età di dieci anni. Maturata successivamente l'intenzione di
dedicarsi alla composizione si trasferisce a Parigi per frequentare i corsi di armonia,
contrappunto e composizione sotto la guida di Alain Weber, professore al Conservatoire National Supérieur de Musique. Prosegue la sua formazione, perfezionandosi in composizione con Paul Glass e dedicandosi alla pratica dell’improvvisazione
classica e barocca con Ottavio Dantone, presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano. Nel 1995 ottiene il diploma di Professore di teoria rilasciato dalla
Società Svizzera di Pedagogia Musicale e nel 1996 David Richards gli assegna il Prix
du grand jury del concorso nazionale di Montreux "Profession artiste", concedendogli la possibilità di registrare nei suoi prestigiosi Mountain Studios di Montreux il suo
primo CD. Nel 2000 ottiene la cattedra di materie teoriche al Conservatorio della
Svizzera Italiana di Lugano. Al suo attivo ha numerose composizioni per solisti, formazioni cameristiche e per orchestra.
Sul suo brano intitolato Contrasts così si esprime l’autore: "Contrasti ritmici, contrasti dinamici, contrasti di forma e di scrittura. Contrasti tenui e contrasti marcati, contrasti nei contrasti... e chi più ne ha più ne metta. Il contrasto è un elemento ricorrente nel linguaggio musicale perché contribuisce a chiarire la forma stessa e le articolazioni interne di una composizione; esso favorisce, in definitiva, la comprensione
del brano. Inoltre la sua presenza è rivelatrice dello stile di un’epoca e dalla sensibilità individuale di ciascun autore. La tematica che l'idea di contrasto abbraccia è quindi vasta e complessa. Il fatto fondamentale che ad essa è sotteso è però che un contrasto, per essere percepito come tale, deve riguardare elementi in qualche modo
accomunati da qualcosa. Quando parliamo di caldo e di freddo, per esempio, che
sono sensazioni ben diverse tra loro, siamo pur sempre consapevoli che sono sensazioni legate al fattore temperatura… Da parte mia, ho scelto in questo brano le forme di contrasto che meglio mi sembravano adatte al mio modo di sentire e di comporre. Mi auguro che arrivino al pubblico con la stessa chiarezza e la stessa forza con
cui io le ho immaginate ".
*1970
Nadir VASSENA
Ha studiato composizione a Milano con Bruno Zanolini e Alessandro Solbiati, e a
Freiburg in Breisgau con Johannes Schöllhorn. Ha vinto numerosi concorsi internazionali: Forum junger Komponisten organizzato dalla WDR di Colonia (1992), Institut
fùr Neue Musik der Hochschuie der Künste di Berlino (1994), Kompositionswettbewerb fùr Kammermusik di Wintertuhr (1996), Mozartwettbewerb di Salisburgo (1997),
prima menzione al "9° Concorso di composizione musicale per orchestra" di Besançon (1999). Sue composizioni sono state selezionate per cinque anni consecutivi dal
festival Gaudeamus Music Week di Amsterdam (1996-2000). Nel 1999 gli è stato attribuito il premio della fondazione Christoph Delz di Basilea, e l'anno seguente è stato
borsista della fondazione Schloss-Solitude di Stoccarda. Oltre ad essere attivo come
compositore ha collaborato per numerosi anni con il Conservatorio della Svizzera
Italiana e sporadicamente per il settimanale Azione. Di prossima pubblicazione è un
CD dedicato interamente a sue composizioni.
Sulle Quattro danze macabre, per chitarra e ensemble, l'autore stesso così si esprime: " Quattro forme chiuse, quasi una suite, in cui il rapporto tra solista e ensemble
è di volta in volta organizzato in modo differente: chi è in primo piano e chi sullo sfondo? percorsi incrociati, opposizione, derivazioni e amplificazioni. L’analogia fra timbri e gesti è utilizzata come cavallo di Troia per insinuare ambiguità e differenze tra i
personaggi di queste brevi scene; un teatro dei suoni. Se A e B hanno due cose in
comune forse ne avranno una terza, oppure no?"
William WALTON
1902 - 1983
Entrò giovanissimo nella scuola della Christ Church di Oxford dove ottenne il primo
diploma in musica nel 1918 e continuò poi gli studi musicali come autodidatta, coltivando in seguito il contatto col musicologo Edward J. Dent, col direttore d'orchestra Ansermet e col compositore Ferruccio Busoni. Fu uno dei musicisti inglesi più
famosi del suo tempo, e negli ultimi anni di vita risiedette in Italia. La scrittura di Walton all’inizio si collocava all'interno di un orizzonte stilistico compreso fra Poulenc,
Auric e, in parte, Stravinsky. In seguito il suo gusto ritornò ad una concezione molto
più legata alla tradizione inglese (Holst, Vaughan-Williams, Frank Bridge).
Secondo alcuni dopo il 1930 vi fu in lui una certa dispersione, uno scadimento dell'intensità espressiva, e un ritorno all’uso di materiali compositivi meno originali.
L'opinione è pero discutibile. I suoi lavori più importanti sono Façade, un melologo
per voce recitante e piccolo complesso cameristico, il Concerto per viola e orchestra
del 1929 e l’opera Troilo e Cressida del 1954.
Façade, del 1923 è un open air entertainment con cui Walton incornicia musicalmente una serie di testi della poetessa sua amica Edith Sitwell. È la prima sua composizione di grande impegno ed è tuttora una delle più popolari e più frequentemente eseguite. Occorre dire che ciò che si esegue usualmente è la suite orchestrale che
il compositore approntò in due fasi, nel 1926 e poi nel 1931. Questa è quindi una rara
occasione per ascoltare l’opera nella sua concezione originale con l’aiuto della teatralizzazione e della recitazione di Luigi Majo. Vale la pena di fare notare che questo
lavoro è probabilmente uno dei pochi riusciti esempi, dopo Chabrier, di musica altamente sofisticata che fa uso del linguaggio della musica leggera.
Si tratta di una vera e propria collana di deliziose melodie che passano dal fox trot
alla tarantella, al valzer, ecc. Il pubblico avrà modo I notare che si tratta di un riuscitissimo fox trot, di una tarantella che più tarantella di così non potrebbe essere, di un
valzer affascinante, e cosi via attraverso una serie di episodi stilisticamente molto
ben connotati con l’aiuto di una strumentazione assai fantasiosa e brillante.
*1958
Wen DE-QING
Nato in un villaggio della Cina meridionale ha studiato composizione a Fuzhou,
Pechino, Ginevra e Lione con i professori Guo Zu-Rong, Shi Wan-Chun, Luo ZhongRong, Jean Balissat e Gilbert Amy. Varie sue composizioni sono state presentate in
tre concerti monografici nel 1987, 1995, 1998 e 1999 in Cina e in Svizzera.
La sua musica è stata eseguita in Europa, America del Sud e Asia.
Le sue opere sono pubblicate da SME Edizione Musicale Svizzera. Un CD a lui dedicato è stato pubblicato dalla casa italiana Stradivarius. Ha ottenuto premi al
Concorso di composizione del Festival des Châteaux neuchâtelois, al Prix Cultura
della Fondazione Kiwanis, e da parte del Consiglio di stato di Ginevra. Ha beneficiato di vari incarichi di composizione da parte di Pro Helvetia, del Festival Archipel, dell’ensemble Contrechamps, del Festival di Witten per il Quartetto Arditti, ecc.
È stato compositore in residence al Festival di Pechino nel 1999.
Vive a Ginevra dal 1991 come compositore indipendente.
Complainte, dedicato ai bambini che hanno dato la loro vita per la libertà e la democrazia, è tratto da un poema di Wang Lihua:
Bambini,
dove vi siete nascosti?
Le gambe di mamma sono stanche,
lo sguardo di mamma è fosco,
la voce di mamma è rotta.
Bambini,
perché non lasciate il vostro nascondiglio?
Mamma ha rivoltato le pietre,
toccato le colonne,
ispezionato la soglia delle case.
I miei scaltri folletti restano introvabili.
Alcuni sostengono che vi siete volatilizzati nei cieli.
Mamma è salita in alto quanto l’orizzonte
per scrutare le nuvole grigie e la pioggia fine.
Ma perché le tracce dei vostri giochi restano invisibili?
Figli mie, venite fuori?
Smettete di giocare al gatto e al topo con mamma.
Le mie gambe si stancano,
il turbamento mi invade,
le mie grida mi lacerano.
Venite fuori!
Bambini, dove vi siete nascosti?
Il motivo per cui ho scelto queste percussioni insolite è che esse fanno parte della
nostra vita quotidiana, mentre raramente ascoltiamo il loro suono in una sala di con-
certo. Certi strumenti e certi timbri hanno un valore simbolico. Poiché la loro altezza
è relativa, l’organizzazione ritmica è fondamentale, Un testo dell’antichità cinese mi
ha aiutato a risolvere il problema: il “quadrato magico” (Luoshi), diagramma organizzato in nove caselle corrispondenti alle cifre da 1 a 9, la cui lettura orizzontale, verticale o obliqua dà sempre come somma un totale di quindici.
Iannis XENAKIS
1921 - 2001
Nato a Brâila in Romania, il compositore greco ha studiato musica ad Atene con A.
Kondurov, laureandosi contemporaneamente in architettura al politecnico.
Nell’ultimo dopoguerra ha fatto parte della resistenza greca, combattendo contro gli
inglesi e rimanendo anche ferito. Condannato a morte, si è rifugiato in Francia , dove
si è stabilito e dove ha ottenuto la nazionalità nel 1965. Per dodici anni ha collaborato con Le Corbusier, partecipando tra l’altro al progetto del padiglione Philips
all’Esposizione di Bruxelles del 1958. Contemporaneamente ha studiato con Messiaen e con Hermann Scherchen. È noto per aver introdotto il calcolo probabilistico
come metodo per comporre, distanziandosi dalle tecniche seriali ritenute un inutile
retaggio rispetto a una complessità polifonica ben superiore alle possibilità di discernimento percettivo, ma anche dai procedimenti aleatori di John Cage. Mirando al
controllo astratto delle tensioni insite in un materiale musicale che sfugge al calcolo,
ha esteso in seguito la tecnica compositiva ai meccanismi “stocastici” markoviani
Nel 1966 ha fondato l’Equipe de Mathématique et d’Automatique Musicales (EMAMU),
applicandosi allo sviluppo di procedure informatiche di composizione.
Okho, composto nel 1989 per tre percussionisti, esplora gli “Djembe” (tamburi
africani) ad alto livello ritmico e tecnico, determinando più di dodici diversi suoni per
un solo strumento.
Testi di Marcello Sorce Keller
Grafica : RTSI- Raffaela Casasopra
Stampa : Tipografia Lepori e Storni
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