Capitolo 4. Memoria, Pensiero e Linguaggio Antonella De Angeli Argomenti -Sistemi di memoria -Modelli mentali -Apprendimento -Comunicazione verbale e multimodale Introduzione Quando un utente interagisce con un sistema informatico ha luogo uno scambio di messaggi nei due sensi: dall’utente al sistema e dal sistema all’utente. Tale dialogo può rivelarsi problematico in quanto i due agenti sono diversi. L’utente interagisce con il computer per raggiungere obiettivi che si rappresenta in termini psicologici. Il computer, invece, comunica il suo stato in termini fisici, mediante varie interfacce, come per esempio lo schermo, il mouse e la tastiera. Secondo Don Norman, ricercatore di fama internazionale nel design di interfacce, tale differenza tende a creare una serie di golfi interattivi, spazi che separano gli stati mentali dell’utente dagli stati fisici del sistema. In particolare, il golfo dell’esecuzione separa le azioni che l’utente ha in mente, dal mondo fisico dove tali azioni devono essere eseguite. Il golfo della valutazione riguarda, invece, la comprensione dello stato del mondo fisico sulla base delle aspettative dell’utente. I due golfi devono essere ridotti progettando interfacce che siano compatibili con le capacità e le limitazioni degli esseri umani. Molti errori di progettazione di interfacce sono dovuti ad un’errata concettualizzazione dell’utente come agente dotato di un elevato grado di flessibilità e adattabilità. In realtà, gli esseri umani sono caratterizzati da processi di elaborazione dell’informazione altamente strutturati e difficilmente modificabili. Una volta che imparano una procedura, tendono ad applicarla in modo automatico con minimo controllo intenzionale. Gli esseri umani sono agenti molto complessi, diversi fra loro e soggetti a un’ampia gamma di variabilità comportamentale dovuta per esempio alle loro conoscenze, allo stato emozionale, ai desideri e all’ambiente in cui agiscono. Per comprendere questa complessità è necessario semplificarla, considerando solo quegli aspetti che sono fondamentali per il design di interfacce. A questo scopo, nel 1983 i ricercatori Stuart Card, Thomas Moran e Allen Newell proposero il modello del processore umano, che descrive l’utente come un sistema di elaborazione dell’informazione che si articola seguendo una serie di principi in tre sottosistemi interattivi: il sistema percettivo (descritto nel capitolo 3), il sistema motorio e quello cognitivo. Questo capitolo si concentra specificamente sul sistema cognitivo, fornendo alcune conoscenze di base sui processi di memoria che permettono all’utente di acquisire e riutilizzare conoscenza, sulle strategie di ragionamento che permettono all’utente di pianificare la propria azione e sul linguaggio, inteso come uno dei possibili canali d’interazione con la macchina. 4.1 Memoria Memoria La memoria è il fondamento della vita umana: fornisce i pilastri per costruire la nostra storia, sviluppare le nostre capacità e pianificare il comportamento. Figura 4.1. Schema di funzionamento della memoria umana (adattato da Baddeley, 2000). L’informazione che parte da un’interfaccia passa attraverso diversi sistemi e solo una piccola parte raggiunge la memoria a lungo termine. Il termine memoria descrive lʼinsieme dei processi cognitivi che sono alla base della capacità di apprendere dallʼesperienza passata e di pianificare il comportamento futuro. Il processo della memoria può essere concepito come un percorso composto da 3 fasi distinte: aquisizione (percezione del materiale da apprendere), ritenzione (trasformazione dellʼinformazione in ricordi) e recupero (rievocazione del ricordo dalla memoria). Questo processo coinvolge tre distinti magazzini: memoria sensoriale, memoria di lavoro e memoria a lungo termine. Essi trattengono lʼinformazione per una durata di tempo variabile. Un modello schematico del flusso dʼinformazione da unʼinterfaccia alla memoria è riportato in Figura 4.1. Si noti come le informazioni provenienti da media diversi (informazione visiva, uditiva e aptica) siano elaborate da sistemi specializzati che agiscono in parallelo e spesso indipendentemente lʼuno dallʼaltro. 4.1.1 Memoria sensoriale Nella fase di acquisizione dell’informazione gioca un ruolo fondamentale la memoria sensoriale, che funge da filtro fra la complessità del mondo esterno e la memoria di lavoro. La memoria sensoriale è composta da registri diversi per ciascuna modalità sensoriale, per cui si parla di registro iconico, ecoico o aptico in riferimento a stimoli visivi, uditivi, e tattili. Tali registri hanno lo scopo di prolungare la durata delle stimolazioni sensoriali per un lasso di tempo estremamente breve, che varia da 0.5 a 5 secondi a seconda della modalità sensoriale. In questo intervallo, le persone selezionano, tramite l’attenzione, gli stimoli importanti per i loro scopi che vengono passati alla memoria di lavoro per la successiva elaborazione. Gli stimoli a cui non viene prestata attenzione vengono rapidamente sovra-scritti, e quindi persi. Per dimostrare la presenza della memoria iconica basta guardare per un periodo di tempo una fonte luminosa e poi chiudere gli occhi. Il fatto che ci sembra di vederla ancora è causato dalla presenza dello stimolo in memoria iconica. Un esempio di interfaccia che aiuta a focalizzare l’attenzione su stimoli importanti per l’esecuzione del compito è fornito dal motore di ricerca delle “Preferenze di sistema” del Mac Os X (Figura 4.2). Mentre l’utente scrive una parola chiave, il sistema illumina in modi diversi gli elementi sullo schermo che potrebbero essere rilevanti. L’effetto è dinamico e cambia all’aumentare delle lettere inserite durante la ricerca (altre tecniche per attrarre visivamente l’attenzione dell’utente sono state illustrate nel Capitolo 3). L’esempio di Figura 4.2 evidenzia anche un problema tipico dei menù a tendina: gli elementi nell’angolo in alto a destra vengono nascosti alla vista dell’utente. Figura 4.2. Il sistema di ricerca delle preferenze di sistema nel Mac Os X: gli elementi di interesse sono evidenziati in modo da attrarre l’attenzione dell’utente La memoria di lavoro serve a mantenere attiva l’informazione mentre su questa si lavora. 4.1.2. Memoria di lavoro La memoria di lavoro1 (o a breve termine) è il sistema che permette di mantenere attive per un periodo limitato di tempo le informazioni su cui operare manipolazioni o trasformazioni mentali, preservandole dall’interferenza di stimoli irrilevanti che vengono inibiti. Secondo lo psicologo Alan Baddeley, tale sistema è costituito da 4 componenti principali (Figura 4.1). • L'esecutivo centrale è un sistema attentivo supervisore che distribuisce le limitate risorse cognitive della memoria di lavoro, co-ordinando e monitorando un insieme di sistemi sussidiari fra cui: •Loop Articolatorio: responsabile del mantenimento ed elaborazione dell’informazione verbale e acustica; 1 Il costrutto di memoria di lavoro e quello di memoria a breve termine sono diversi, in quanto derivano da modelli teorici psicologici differenti. In questo capitolo, comunque, essi vengono discussi insieme seguendo la tradizione prevalente nella HCI. •Taccuino Visuo-Spaziale: responsabile del mantenimento ed elaborazione dell’informazione visuo-spaziale e aptica; •Buffer episodico: responsabile dell’integrazione dell’informazione proveniente dai sottosistemi sensoriali con quella contenuta nella memoria a lungo termine. Il ruolo dell’esecutivo centrale è fondamentale in quanto le risorse cognitive disponibili nella memoria di lavoro sono limitate, come vi accorgerete sicuramente se provate a eseguire delle operazioni matematiche mentalmente, mentre leggete questo testo. I vari sottosistemi permettono l’elaborazione simultanea di stimoli sensoriali diversi. Per questo motivo non abbiamo difficoltà a seguire un film composto da informazione video e audio, ma facciamo molta più fatica a seguire due video o due conversazioni in parallelo. La memoria di lavoro è un magazzino a breve termine, dove l’informazione viene trattenuta per permettere all’utente di eseguire compiti cognitivi. Ad esempio, vi vengono trattenuti i risultati parziali durante l’esecuzione di un calcolo, o le parole durante lettura di una frase. Tale informazione può essere velocemente scartata, in quanto non più utile, o passata alla memoria a lungo termine dove diviene parte della conoscenza. Le caratteristiche principali della memoria a breve termine sono una durata temporale limitata tra i 2 e i 20 secondi a seconda del tipo di stimolo e un limitato numero di elementi che possono essere manipolati allo stesso tempo. Per capire i limiti temporali e di contenuto della memoria a breve termine provate a guardare per 10 secondi la Figura 4.2 cercando di memorizzare il maggior numero possibile di elementi. Poi cambiate pagina. Quanti elementi vi ricordate? Quali? Probabilmente vi ricordate la tastiera, bluetooth e gli altri elementi evidenziati. Ci sono anche buone possibilità che vi ricorderete le funzionalità che conoscete meglio (effetto di familiarità), così come i primi e gli ultimi elementi dell’immagine (effetto di priorità e recenza). Sicuramente avrete avuto delle difficoltà a ricordare tutti gli elementi, specialmente se non utilizzate quotidianamente un sistema Macintosh. Secondo un famoso studio condotto dallo psicologo George Armitage Miller a metà degli anni ’50, le persone tendono a mantenere in memoria a breve termine in media 7 ± 2 elementi nuovi. La reiterazione permette di trattenere le informazioni in memoria di lavoro più a lungo. La creazione di chunk permette di ricordare più item. Esistono varie strategie che consentono un uso più efficace delle risorse della memoria a breve termine. Il vincolo temporale può essere esteso mediante reiterazione, come quando ripetiamo più volte verbalmente o mentalmente un numero di telefono che vogliamo ricordare. Il limite di contenuto può essere aumentato combinando i singoli elementi da ricordare in chunk (insiemi significativi di lettere o numeri), quali parole, frasi o cifre composte. Per capire il concetto di chunk, provate a leggere una sola volta e poi a scrivere su un foglio la seguente serie di cifre distogliendo l’attenzione da questa pagina: 5 3 2 6 4 7 2 9 6 3 Quanti ne avete ricordati? Provate adesso lo stesso compito con questa sequenza: 53 26 47 29 63 E’ molto probabile che siate riusciti ora a ricordare più cifre, poiché i numeri decimali sono stati elaborati come chunk dalla memoria di lavoro. La capacità della memoria di lavoro dipende da un’ampia gamma di fattori, fra cui il tipo di compito, gli artefatti disponibili (quali l’interfaccia di un sistema) e le caratteristiche dell’utente. La prestazione della memoria di lavoro, infatti, è soggetta a decadimento in situazioni di stanchezza, stress o carico di lavoro e tende a deteriorarsi con il passare degli anni. Il concetto di chunk è probabilmente il concetto di psicologia cognitiva maggiormente condiviso e spesso non correttamente compreso dai progettisti di interfacce grafiche. L’errore tipico è quello di ritenere che il limite si applichi a elementi visibili dell’interfaccia grafica, quali il numero di icone o il numero di voci di un menù. Per quanto sia chiaro che un minore numero di scelte semplifichi i compiti visivi e decisionali, è altrettanto chiaro che gli elementi di un’interfaccia grafica non richiedono di essere trattenuti in memoria, ma sono visivamente disponibili all’utente. Il trasferimento dalla memoria di lavoro a quella a breve termine avviene attraverso reiterazione, organizzazione e esposizione ripetuta. Le immagini tendono ad essere ricordate più a lungo e più facilmente del materiale verbale 4.1.3. Memoria a lungo termine L’informazione elaborata nella memoria di lavoro può essere trasferita nella memoria a lungo termine, che rappresenta l’insieme delle conoscenze disponibili all’essere umano. Il trasferimento è facilitato da varie strategie più o meno intenzionali. Ad esempio, le persone possono intenzionalmente ripetere mentalmente o a voce alta l’informazione da visualizzare (reiterazione), oppure creare delle connessioni tra il nuovo materiale e quello già presente in memoria a lungo termine (organizzazione). L’informazione può essere immagazzinata anche senza intenzionalità: è ciò che accade quando vediamo più volte la stessa pubblicità e ne impariamo il contenuto anche senza volerlo intenzionalmente (esposizione ripetuta). La profondità di elaborazione influisce sul ricordo: un’elaborazione profonda, in cui il materiale viene elaborato trovando associazioni con quello già presente in memoria di lavoro, produce ricordi più articolati e più forti che un’elaborazione superficiale. L’informazione in memoria a lungo termine è codificata in maniera diversa a seconda del canale sensoriale attraverso il quale è stata comunicata. La letteratura riporta un vantaggio significativo del canale visivo: le immagini tendono a essere ricordate più facilmente e per un tempo più lungo dell’informazione verbale. Varie teorie sono state proposte per spiegare questo fenomeno; fra questi ricordiamo il modello della doppia codifica elaborato dallo psicologo Allan Paivio, a partire dagli anni ’60, che ipotizza due sistemi paralleli di memoria: 1.un sistema verbale, che gestisce le informazioni linguistiche e la cui unità di rappresentazione sono denominati logogeni; 2.un sistema deputato alla gestione delle informazioni visive, rappresentato dagli immageni. I due sistemi comunicano fra loro, ma solo le immagini vengono rappresentate sia tramite immageni che logogeni, cioè tramite rappresentazioni visive e verbali, lasciando quindi una traccia mnestica più elaborata. La memoria dichiarativa riguarda fatti e conoscenze sul mondo e sulla nostra vita. La memoria procedurale riguarda conoscenze su come svolgere azioni. Figura 4.3 Organizzazione dell’informazione nella memoria a lungo termine La memoria a lungo termine contiene sia conoscenza dichiarativa (fatti) che conoscenza procedurale (abilità). La prima si riferisce a quella vasta gamma di conoscenze esplicite che sono direttamente accessibili alla coscienza e possono essere comunicate verbalmente. Si tratta sia di memoria semantica, conoscenze enciclopediche, astratte e generali (per esempio, la definizione della parola mouse), che di memoria episodica, ricordi su eventi ed esperienze personali della vita dell’individuo (per esempio, il giorno del nostro ultimo compleanno). La memoria procedurale, invece, contiene conoscenza tacita, ovvero non comunicabile semplicemente a parole. Tale conoscenza riguarda il modo in cui si fanno le cose, per esempio come si va in bicicletta. Un riassunto è illustrato in Figura 4.3. Recupero dell’informazione. Il riconoscimento è più semplice della rievocazione. Da un lato le tecnologie informatiche rappresentano un’estensione della nostra memoria, dall’altro pongono una serie di richieste significative su di essa, che devono essere gestite in fase di progettazione. A differenza degli altri sistemi, la memoria a lungo termine è molto vasta e meno soggetta a oblio. L’informazione viene recuperata tramite rievocazione o riconoscimento. La rievocazione implica il ricordo spontaneo di ciò che è stato precedentemente immagazzinato. Il riconoscimento, invece, è la capacità di identificare come familiari stimoli presenti ai sensi dell’osservatore che erano già stati visti in passato. In linea di massima, è più facile riconoscere che rievocare. Per questo i comandi delle interfacce grafiche, in cui icone e menu’ sono visivamente disponibili all’utente, sono piu’ semplici da ricordare rispetto ai comandi dei linguaggi a comando che richiedono rievocazione. L’oblio, ovvero la dimenticanza dell’informazione, è spiegato in modo variabile a seconda dei modelli teorici di riferimento, ma essenzialmente tende a essere attribuito a codifica superficiale o ad interferenza da parte di altra informazione presente in memoria che tende ad essere confusa con quella che cercavamo. L’interferenza tende a coinvolgere informazione simile e particolarmente informazione che è stata acquisita tramite lo stesso canale sensoriale (ad esempio, è facile confondersi nel riconoscimento di due figure molto simili, come discuteremo nel BOX 1). 4.2 Memoria e tecnologia: un rapporto bivalente Questa sezione analizza il rapporto fra memoria e tecnologie informatiche, un rapporto che spesso è complesso (van Der Hoven et al. 2012). Da un lato, infatti, le tecnologie informatiche possono essere concepite come una sorta di protesi mnemonica che ci permette di ricordare più informazioni per un tempo molto esteso. Dall’altro lato, però, il loro utilizzo può introdurre una serie di sfide importanti alle capacità di memoria. In questo paragrafo, presentiamo una serie di sistemi e situazioni interattive che testimoniano tale paradosso. Il settore in cui la metafora della protesi mnemonica è stato sfruttato appieno è quello della tecnologia per l’assistenza alle persone che soffrono di disturbi della memoria (Berry et al., 2007). Un esempio è SenseCam una piccola macchina fotografica che viene indossata dall’utente e scatta automaticamente foto durante l’intera giornata. Le foto vengono scaricate su un computer per essere riviste e analizzate. Uno studio clinico della durata di un anno ha dimostrato un effetto positivo di tale analisi sulla memoria episodica di un utente affetto da amnesia. Anche al di fuori della pratica clinica, la tecnologia è frequentemente usata per raccogliere memorie personali. Si passa dall’utilizzo diffuso di macchine fotografiche digitali ai nuovi sistemi di Lifelogging che registrano eventi in modo parzialmente automatico (ad esempio, il numero di caffè bevuti o i chilometri percorsi in un giorno). Il campo della sicurezza informatica mostra il gap fra capacità mnemoniche dell’utente e richieste tecnologiche (Adams e Sasse 2000). Nel momento in cui buona parte dei nostri interessi economici, professionali e personali sono mediati da strumenti informatici diventa fondamentale proteggere le informazioni. Per questo motivo, sono state realizzate una serie di misure tecnologiche avanzate relative alla sicurezza dei dati, quali firewall, antivirus, sistemi di crittografia. Recentemente, però, si è capito che un approccio puramente tecnologico non basta: gli utenti che cerchiamo di proteggere rappresentano gli anelli più deboli della catena. Il processo a rischio è l’autenticazione dell’utente: tutti quei compiti variegati che dobbiamo giornalmente eseguire in modo da dimostrare a un sistema informatico di essere gli onesti proprietari dell’informazione. Dal punto di vista della sicurezza, password “robuste” corrispondono a lunghe combinazioni di lettere e simboli che devono essere uniche, cambiate spesso e non corrispondere a parole reali. Tali requisiti pongono richieste difficili alla memoria delle persone che reagiscono con una serie di strategie a rischio, quali annotare le password, scrivendole su fogli cartacei o file digitali che possono essere facilmente visibili a altre persone, o usare la stessa password in sistemi diversi. Una possibile soluzione per aumentare l’usabilità del processo di autenticazione sfruttando la superiorità dell’immagine e il riconoscimento è descritta nel Box 4.1. La facilità di ricordo e’ un elemento fondamentale dell’usabilità di sistemi utilizzati in modo occasionale. 4.2.1 Facilità di ricordo Secondo il modello multidimensionale proposto da Jacob Nielsen la facilità di ricordo è un aspetto fondamentale dell’usabilità. Non solo un sistema deve essere facile da usare, ma l’utente deve potere interagire anche dopo un periodo di lungo inutilizzo, senza essere costretto a ripartire da zero. Una memorizzazione semplice e immediata dei comandi è particolarmente importante per applicazioni destinate a utilizzo occasionale da parte di utenti inesperti. Esistono consolidati principi di progettazione che possono aiutarci in questa sfida. Pensiamo, ad esempio, ai tre modi diversi che un utente che utilizza il sistema word su un computer Macintosh ha a disposizione per salvare un file. L’utente può fare click su un’icona che rappresenta un dischetto, può selezionare la voce “salva” da un menù a tendina (“File”) oppure schiacciare contemporaneamente il tasto CMD⌘ (l’equivalente Apple del tasto CTRL dei PC) e il tasto S, usando quella che viene tecnicamente chiamata una scorciatoia (shortcut). Questi tre comportamenti producono lo stesso risultato sullo stato del programma, ma pongono richieste diverse all’utente. Dal punto di vista della semplicità di ricordo, la selezione dell’icona con il dischetto è il chiaro vincitore, per tre ragioni principali: (1) l’icona è disponibile nello spazio di lavoro e quindi può essere immediatamente percepita; (2) il riconoscimento è più semplice del recupero; (3) l’informazione iconica è più semplice da ricordare di quella verbale. La selezione da menù si pone a livello di complessità intermedio. Infatti, se da un lato il feedback fornito dalla parola “salva” aiuta a ricordare che questa è effettivamente l’opzione corretta, facilitando il recupero tramite riconoscimento, dall’altro lato l’opzione non è immediatamente disponibile. Se l’utente non ne ricorda la posizione, deve navigare fra un menù e l’altro, un compito che può essere difficile se, come a volte succede, il titolo del menu non è chiaramente esplicativo. Le scorciatoie sono più complesse da ricordare in quanto devono essere recuperate direttamente dalla memoria a lungo termine, ma hanno il vantaggio di sveltire l’interazione. La probabilità di ricordo varia in base alla logicità della combinazione. Per esempio, la scorciatoia per salvare del testo è relativamente semplice, in quanto S è l’iniziale di Salva e il tasto ⌘ è sempre utilizzato. Più complesso invece è il ricordo del comando per sostituire del testo (Shift, ⌘, H). L’apprendimento può essere facilitato tramite esposizione ripetuta, come avviene nei menù che riportano graficamente la combinazione dei tasti delle scorciatoie vicino alla voce a cui si riferiscono. 4.2.2. Ricerca dell’informazione La gestione dell’informazione digitale è diventata un problema pressante per molti utenti, in quanto il numero di file creati ogni giorno, nella forma di documenti, fotografie, immagini, brevi messaggi di testo sul cellulare, musica, video-clip, o mail cresce esponenzialmente. A questo si aggiunga la massa di informazioni che continuamente vengono prodotte nelle varie comunità sociali, quali Wikipedia, Facebook e Twitter. Il problema diventa quindi come organizzare l’informazione in modo che possa essere recuperata al bisogno. Il modo più comunemente usato dalle persone per la gestione della loro informazione personale è di attribuire ai file un nome e salvarli nella memoria dei vari strumenti interattivi usati. Quante volte però vi è capitato di non ricordare il nome o la cartella in cui avete salvato un file? Questo problema può essere alleviato da motori di ricerca flessibili, ad esempio Spotlight nel caso del computer Mac. Spotlight sfrutta qualunque indizio verbale l’utente ricordi e cerca la parola chiave nel nome e nel testo di tutti i file presenti La ricerca dell’informazione può essere facilitata tramite interfacce che ne facilitano il riconoscimento. nel sistema. Il risultato della ricerca è raggruppato per tipologia di file, indicata verbalmente tramite testo e graficamente tramite immagine. In questo modo, Spotlight facilita processi di ricerca basati sia sulla rievocazione che sul riconoscimento, limitando il campo di scelta ad un numero ragionevole di candidati. L’ordine di visualizzazione dipende dalla frequenza di occorrenza della parola chiave e dalla data dell’ultimo utilizzo del file. Le proposte di autocompletamento, inoltre, possono aiutare l’utente a trovare le parole chiave per la ricerca (vedi Figura 4.2) sfruttando il principio che il riconoscimento (selezione da una lista di alternative) è più facile della rievocazione non strutturata. Il loro successo è funzione della qualità del suggerimento e del tipo di parola che l’utente cerca di ricordare. Sono particolarmente utili nei browser Web dove la stringa da ricordare (URL) è spesso complessa. Box 4.1: Autenticazione grafica I sistemi di autenticazione grafica sfruttano la superiorità mnemonica delle immagini rispetto alle parole e il ruolo facilitante del riconoscimento sulla rievocazione (De Angeli et al., 2005). Inoltre, possono aumentare la sicurezza, in quanto le immagini sono difficili da comunicare in forma scritta o parlata. L’idea è stata implementata in tre classi di sistemi. 1) Sistemi basati sul riconoscimento: all’utente vengono assegnate delle immagini che formano la password. In fase di autenticazione, tali immagini devono essere riconosciute fra un numero variabile di distrattori (Figura 4.4). 2) Sistemi basati sul metodo dei loci: l’utente sceglie dei punti in un’immagine, che devono essere selezionati in sequenza in fase di autenticazione. 3) Sistemi basati sul disegno: l’utente disegna una forma che diventa il suo codice personale. In fase di autenticazione, deve riprodurre il disegno. Un esempio della prima categoria é il sistema VIP (Visual Identification Protocol), prodotto dai laboratori di ricerca di NCR. All’utente viene assegnato un gruppo di 6 immagini selezionate in modo da appartenere a categorie semantiche diverse. Questo gruppo di immagini costituisce la password. Ogni volta che l’utente utilizza un sistema sicuro, 5 immagini estratte a caso, devono essere riconosciute distinguendole da un insieme di 11 distrattori. Le immagini da riconoscere e i distrattori cambiano ogni volta rendendo complessa la comunicazione intenzionale o non intenzionale del codice di riconoscimento. L’usabilità dei sistemi basati sul riconoscimento è comunque funzione del tipo di immagini utilizzate che devono essere semplici, altamente distintive e riprodurre oggetti concreti, come quelli rappresentati in Figura 4.4. Immagini più complesse sono più sicure, in quanto minimizzano il rischio di comunicazione volontaria ed involontaria del codice, ma sono piu’ difficili da ricordare e tendono a generare errori dovuti ad interferenza con distrattori visivamente simili. Figura 4.4. Interfaccia del sistema VIP - Visual Identification Protocol Tassonomia dei compiti. I compiti si differenziano in 3 categorie di crescente complessità: compiti basati sulle abilità (eseguiti automaticamente), compiti basati sulle regole e compiti basati sulle conoscenze (che richiedono crescente attenzione ed elaborazione) Tabella 4.1. Classificazione dei compiti sulla base della loro complessità, adattato da Rasmussen (1973)- MdL= Memoria di Lavoro; MLT= Memoria a Lungo Termine 4.3 Pensiero: Elaborazione dell’informazione Questa sezione illustra alcune conoscenze di base relative a come le persone eseguono compiti attraverso l’uso di tecnologia informatica. In particolare il capitolo si concentra sull’analisi degli errori, dei modelli mentali e dell’apprendimento. 4.3.1 Complessità dei compiti Il livello di complessità di un compito dipende dalle sue richieste attenzionali alla memoria di lavoro e dal tipo di conoscenza utilizzata (procedurale o dichiarativa). Questi fattori influenzano direttamente il carico cognitivo, vale a dire l’impegno necessario all’elaborazione dell’informazione. Secondo Rasmussen, i compiti si dividono in tre categorie: compiti basati sulle abilità, compiti basati sulle regole e compiti basati sulle conoscenze (Tabella 4.1). I compiti basati sulle abilita’ pongono richieste modeste alla memoria di lavoro in quanto vengono portati avanti in modo pressoché automatico utilizzando sequenze standard presenti nella memoria procedurale. Di conseguenza, comportano un basso carico cognitivo. Per un utente esperto, il compito di salvare un file utilizzando la scorciatoia ⌘ + il tasto S è spesso portato avanti in modo automatico senza dovere effettivamente pianificare le attività necessarie. I comportamenti basati sulle regole pongono moderate richieste attenzionali e utilizzano conoscenze procedurali che descrivono sequenze di azioni. Immaginiamo in questo caso di volere salvare un file Excel con nomi diversi a seconda del tipo di elaborazione eseguito in esso. Infine, i compiti basati sulle conoscenze pongono elevate richieste attenzionali in quanto si basano su conoscenze di tipo dichiarativo che vanno di volta in volta elaborate per pianificare l’azione. Un esempio di compito basato sulle conoscenze è la scrittura di un programma informatico, che richiede costante pianificazione, analisi e controllo. Tipo di compito MdL MLT Complessità Basato sulle abilità Basso Procedurale Semplice Basato sulle regole Medio Procedurale Medio Basato sulle conoscenze Alto Dichiarativa Complesso Questa tassonomia è molto importante per la progettazione di interfacce, in quanto permette di definire, per esempio quali compiti possono essere svolti in parallelo senza generare interferenza in memoria di lavoro e quindi senza generare errori. E’ chiaro che i compiti basati sulle abilità tenderanno ad interferire meno con altre attività parallele. Mentre nel caso dei compiti basati sulle conoscenze tutta l’attenzione deve essere concentrata sul lavoro principale. La complessità di un compito varia sulla base di molti fattori. L’apprendimento rende i compiti più semplici: la prima volta che si usa un programma informatico, si lavora tipicamente a livello della conoscenza o delle regole, mentre con l’esperienza si possono raggiungere prestazioni basate sulle abilità, che permettono di avere più risorse disponibili per altri compiti. Il livello di arousal influenza la prestazione secondo una curva a U capovolta. Altri fattori contestuali, incluso l’ambiente e lo stato psicologico dell’utente, influenzano la complessità del compito. E’ noto, infatti, che la prestazione varia al crescere del livello di arousal, un termine che descrive l’attivazione fisiologica dell’operatore. Esiste un andamento tipico della prestazione che può essere descritto da una funzione ad U capovolta. A livelli di bassa attivazione corrispondono livelli bassi di prestazione. In questi casi l’operatore non presta attenzione all’interfaccia, magari perché é molto affaticato. La prestazione cresce poi gradualmente al crescere dell’attivazione, ma tale miglioramento si arresta in coincidenza con il punto più elevato della curva, a partire dal quale la prestazione tende progressivamente a peggiorare. 4.3.2. Errori La definizione dell’errore umano nell’interazione con strumenti informatici è complessa. Da un punto di vista pratico, l’errore può essere definito come il risultato di un’azione che si discosta da quello atteso. In altre parole, l’errore rappresenta un fallimento della comunicazione fra l’essere umano e il sistema: un momento d’incomprensione che rivela l’entità del golfo esistente fra i due agenti. Da un punto di vista psicologico, l’errore è concettualizzato in maniera variabile a seconda del fatto che l’utente sia consapevole di avere sbagliato e a seconda del livello di elaborazione cognitiva sottostante l’azione da cui è stato prodotto. Quando si parla di errori, infatti, è necessario distinguere tra quelli che possono essere definiti errori concettuali e gli errori automatici. I primi riguardano gli sbagli generati da un utilizzo inappropriato delle conoscenze e delle regole sottostanti la pianificazione del comportamento e si verificano quando si eseguono compiti a livello delle conoscenze e delle regole, mentre gli errori automatici riguardano gli inceppamenti nell’esecuzione dei compiti basati sulle regole. Esistono varie tassonomie (classificazioni strutturate) dell’errore umano che sono state utilizzate per studiare incidenti nel settore aeronautico, petrolifero, chimico e nucleare. Secondo lo psicologo James Reason, gli errori si suddividono in 4 categorie. • Le sviste (slip) sono errori che derivano dalla mancanza di collegamento tra intenzione (piano dell’utente) e azione (esecuzione del piano). L’intenzione è soddisfacente, ma l’azione non porta ai risultati desiderati. Questo tipo di errore si verifica nell’esecuzione di compiti basati sulle regole che vengono portati avanti in modo automatico. Le cause riguardano principalmente un fallimento nell’attenzione o nell’azione motoria, come per esempio un errore di battitura di una parola o la pressione di un bottone adiacente a quello che si desiderava realmente premere (per esempio, “rifiuta chiamata” invece che “rispondi”). • I lapsus sono errori tipicamente dovuti a fallimenti della memoria o ad applicazione di procedure errate. Nell’interazione con dispositivi informatici, questi errori capitano tipicamente quando una nuova versione di un prodotto è rilasciata e l’utente segue la vecchia procedura che si discosta dalla nuova. • Gli sbagli (mistake) si verificano a livello dell’intenzione, quando i piani generati dal soggetto non portano al successo dell’azione. L’errore può essere dovuto all’attivazione di regole sbagliate o all’applicazione di conoscenze erronee, come ad esempio una valutazione sbagliata della situazione, l’utilizzo di modelli mentali superficiali o errati, o errori nel pensiero causale. Errori di questo tipo riguardano piani sbagliati, come quando si pensa che l’attivazione di un certo comando porterà ad un risultato diverso da quello ottenuto. In generale, sono generati dall’applicazione di un modello mentale errato, come descritto precedentemente nel caso del termostato. • Le violazioni (violation), infine, sono errori deliberati, in cui il piano e l’azione della persona corrispondono, ma sono in contrasto con le procedure definite da un’istituzione. L’esempio più tipico è quando comunichiamo la nostra password a colleghi, nonostante ci siamo impegnati a non farlo con il nostro datore di lavoro I modelli mentali sono le rappresentazione cognitiva che le persone hanno di oggetti ed eventi del mondo. 4.3.3. Modelli mentali Quando impariamo ad utilizzare un nuovo sistema o ci troviamo di fronte a situazioni impreviste, basiamo le nostre azioni sul modello mentale che ne abbiamo. Secondo lo psicologo Kenneth Craik, un modello mentale è la rappresentazione che le persone hanno in mente di come funziona il mondo e di come agire su di esso. Questo concetto è estremamente importante per la progettazione di interfacce utente perché ci permette di prevedere quello che le persone si aspettano dalle macchine. In questo contesto, il modello mentale rappresenta le aspettative, le conoscenze e le credenze su come funzionano gli oggetti che ci circondano; tali conoscenze vengono utilizzate per pianificare le nostre azioni, sia consciamente sia inconsciamente. Pensate per esempio alla seguente situazione: tornate una fredda sera di inverno a casa e volete scaldare l’ambiente nel minor tempo possibile. Che cosa fate? Azionate il termostato della caldaia al massimo o alla temperatura desiderata? Molte persone sceglieranno la prima opzione che è corroborata da un modello mentale basato sulle valvole, in cui al massimo (del termostato) corrisponde il massimo (del calore). Questo modello è corretto per molti contesti familiari, come ad esempio il lavandino dell’acqua calda oppure il fornello del gas (in cui aumentando il valore sul selettore aumenta il calore prodotto). Sfortunatamente, la soluzione è invece errata nel caso della caldaia. Infatti, il termostato funziona in base ad un modello spento-acceso ed aumentare il numero di gradi sul termostato non aumenta il livello di calore dei radiatori. I modelli mentali che gli utenti si formano dei dispositivi tecnologici sono spesso errati e gli errori aumentano in funzione della loro complessità. Il problema di fondo è che i computer sono entità opache del cui funzionamento si percepisce direttamente molto poco. I modelli mentali sono entità dinamiche che diventano via via più elaborate al crescere dell’apprendimento. Un esperto di reti informatiche ha un dettagliato modello mentale di come l’informazione digitale è trasmessa che gli permette di configurare connessioni sicure, risolvere problemi e massimizzare la velocità di trasmissione. L’utente informatico medio ha, invece, un modello più elementare che gli permette essenzialmente di verificare che il modem sia acceso in caso di problemi di connessione. Questa differenza rappresenta un problema fondamentale in fase di progettazione delle tecnologie. L’esperto di computer deve capire il modello mentale dell’inesperto, per progettare interfacce che rendano il sistema più trasparente tramite feedback dettagliato e comprensibile, istruzioni chiare e semplici da seguire, sistemi di aiuto appropriati e contestuali. Per sfruttare a pieno i modelli mentali dell’utente è necessario conoscere i sistemi a cui sono abituati e per quanto possibile seguirne le metafore e le convenzioni di design usate. Gli stereotipi sono rappresentazioni cognitive delle altre persone sulla base delle loro caratteristiche salienti, quali l’età. il sesso o la razza. L’equivalente dei modelli mentali nei processi di cognizione sociale, quando cioè lo stimolo è rappresentato da esseri umani e non oggetti, sono gli stereotipi: rappresentazioni cognitive che forniscono informazione generale rispetto ad un particolare gruppo sociale. Gli stereotipi vengono usati prevalentemente in mancanza di informazione specifica, quando incontriamo una persona per la prima volta. In questo caso, ci forniscono indicazioni generali sulla sua competenza, abilità e valore sulla base del gruppo sociale a cui appartiene. Il processo di categorizzazione si basa su varie caratteristiche personali (quali etnia, genere, età o classe sociale). Come vedremo nel paragrafo sul linguaggio, le macchine tendono spesso ad elicitare stereotipi sociali, come se fossero persone. 4.3.4 Apprendimento L’apprendimento nel contesto della Human-Computer Interaction può essere discusso in due accezioni principali: apprendimento di conoscenze informatiche necessarie all’utilizzo di un sistema ed apprendimento mediato dalla tecnologia informatica. Imparare a usare un sistema La facilità di apprendimento è una dimensione fondamentale dell’usabilità, secondo cui un utente, che utilizza per la prima volta un sistema interattivo deve raggiungere buone prestazioni in tempi brevi. L’importanza relativa di questo attributo per il design e’ funzione del tipo di compito, della frequenza di utilizzo del sistema e dell’esperienza dell’utente target. Sistemi destinati a un utilizzo frequente in ambito professionale pongono richieste molto diverse da sistemi destinati a utilizzo saltuario in ambito personale. Per progettare sistemi facili da apprendere, il designer deve comprendere profondamente il modello mentale di un compito e dell’artefatto, che l’utente possiede ed utilizzarlo come guida alla progettazione. In questo modo si fornisce alle persone la possibilità di integrare il nuovo materiale da apprendere con le conoscenze dichiarative e procedurali presenti in memoria a lungo termine. Tale integrazione favorisce un’elaborazione più profonda della traccia mnestica, che, come discusso precedentemente, ne favorirà il ricordo. Le interfacce a manipolazione diretta facilitano l’apprendimento mediato dall’azione. L’apprendimento di sistemi informatici è oggetto di un vasto numero di studi. E’ risaputo per esempio che le persone trovano difficile e noiosa la lettura di manuali d’uso: di conseguenza tendono ad evitarla. Preferiscono invece l’apprendimento mediato dall’azione. Da questo punto di vista, le interfacce a manipolazione diretta sono campi scuola ideali. Infatti, tale approccio permette di agire immediatamente sullo stato del sistema manipolando tramite strumenti di input oggetti grafici presenti nell’interfaccia. La filosofia di queste interfacce è riassunta dalla frase inglese what you see is what you get2 . In seguito ad ogni azione dellʼutente la rappresentazione dellʼinterfaccia viene immediatamente aggiornata, permettendo così allʼutente un continuo ed elevato controllo sullʼinterazione. Queste interfacce dunque devono essere progettate in modo da stimolare l’esplorazione diretta e fornendo comunque funzioni facilmente accessibili, che permettano di annullare l’esecuzione di un azione riportando il sistema alla sua configurazione precedente (funzionalità di undo). Al giorno d’oggi, la manualistica cartacea è quasi sparita. Al suo posto si sono andati affermando vari sistemi di aiuto digitale. Si consideri, per esempio, Microsoft Word 2008 nella versione per Macintosh. Offre un sistema di help dove le persone possono navigare nel contenuto seguendo hyperlink, cercare l’informazione su materiale fornito da Microsoft, e chiedere aiuto a una comunità di utenti. Quest’ultimo approccio sta diventando sempre più comune e vi sono molte comunità sponsorizzate o spontanee dove le persone si scambiano informazioni su come utilizzare prodotti tecnologici. Vari strumenti on-line, comunque, pongono serie sfide alle nostre capacita’ cognitive, in quanto sono presentati in finestre esterne a quelle su cui l’utente agisce. Per illustrare il problema si consideri il seguente esempio: l’utente sta scrivendo un testo e vuole sapere come creare nuovi stili di formattazione. Digitando la parola ‘stile’ nel motore di ricerca ottiene una lista di risultati. Cliccando la voce di menu ‘Crea nuovo stile’, il sistema indica la sua posizione nel menu principale ‘Formato’. L’effetto è dinamico e grafico, il menu si apre e una grossa freccia evidenzia l’item desiderato consentendo all’utente di identificarlo con minimo sforzo. Questo e’ un esempio di aiuto contestuale, volto a diminuire il carico cognitivo dell’utente integrando l’informazione rilevante nel momento dell’azione. Purtroppo pero’ a volte non e’ sufficiente. Richiedendo aiuto on-line l’utente ottiene più informazione che tuttavia spesso e’ esterna all’ambiente di lavoro. Questo pone forti richieste alla memoria di lavoro: l’utente deve trattenere la descrizione di azioni da compiere e il loro ordine, agendo su menù, icone, o tasti funzione, pianificare ed eseguire le azioni sulla base di tale informazione. Considerando il fatto che l’utente che richiede aiuto sta agendo al livello delle regole (o delle conoscenze in caso di compiti più complessi) si può’ concludere che i due task difficilmente possono essere condotti in parallelo. La reiterazione è complicata dal fatto che le capacità cognitive dell’utente sono concentrate sull’esecuzione del compito primario per cui ha cercato aiuto. Per questo motivo, l’utente si trova spesso spesso a tornare a consultare il messaggio di aiuto passando da una finestra all’altra. E-learning Diverse tecnologie informatiche sono state utilizzate come strumenti per insegnare un’ampia gamma di materie, a cominciare dalle tradizionali piattaforme di e-learning tipicamente implementate sul web fino ai recenti sistemi di m-learning (mobile learning) in cui il contenuto è fornito nel contesto fisico di rilevanza (vedi Box 4.2). L’utilizzo della tecnologia informatica fornisce al discente la possibilità di ricevere informazioni in un contesto dinamico e multimediale dove può acquisire conoscenze attraverso l’esplorazione e la manipolazione diretta del contenuto, impossibile con i tradizionali strumenti cartacei. La progettazione di tali sistemi richiede di considerare attentamente sia il contenitore (strumento interattivo, con le sue funzionalità e caratteristiche interattive) che il contenuto (materiale didattico). Interfacce complesse influenzano negativamente la 2 Abbreviata WYSIWYG e pronunciato come wizzy-wig, la frase si è presto trasformata in una coppia di parole, con cui vengono identificati tutti quei programmi dove l’output del sistema rappresenta pienamente e chiaramente il risultato dell’azione dell’utente. fruizione del contenuto, aumentando il carico cognitivo dell’utente. La preparazione del contenuto può essere facilitata da una una serie di principi sviluppati in anni di lavoro sperimentale da Mayer e Moreno (Tabella 4.2). Tabella 4.2. Principi per l’apprendimento multimediale Principio Razionale Rappresentazione multipla Le spiegazioni fornite tramite testo e immagini sono più efficaci di quelle solo in testo. Contiguità spaziale Nelle spiegazioni multimediali, parole e immagini devono essere fisicamente integrate piuttosto che separate. Divisione dell’attenzione Il materiale didattico deve essere presentato in modo tale da non richiedere di dividere l’attenzione fra fonti di informazione diverse che fanno riferimento alla stessa modalità sensoriale in quanto questo pone richieste troppo elevate sulla memoria di lavoro Modalità Le informazioni verbali devono essere presentate tramite parlato piuttosto che come testo scritto Ridondanza Animazioni e parlato sono più efficienti di animazioni, parlato e testo scritto, quando le informazioni visive sono presentate insieme alle informazioni verbali I materiali visivi e verbali devono essere sincronizzati (presentati contemporaneamente) Contiguità temporale Coerenza I materiali non rilevanti alla spiegazione del contenuto devono essere esclusi dalle spiegazioni multimediali Box 4.2: Explore! I sistemi di m-learning estendono il contesto tradizionale di apprendimento al di fuori delle aule informatiche portandolo nel mondo reale e fisico di eventi e oggetti d’interesse, creando un flusso diretto fra conoscenza ed esperienza in contesti di visite a musei, gite nella natura o in città. Tali sistemi richiedono, quindi, strategie d’insegnamento e interazione innovative che permettano di arricchire l’esperienza di vita reale, senza detrarre l’attenzione dell’utente dal contesto reale. Un esempio è Explore! progettato per insegnare la storia a studenti della scuola primaria e secondaria durante visite a siti archeologici (Costabile et al. 2008). Explore! è implementato su telefonini commerciali e utilizza la tecnica didattica del gioco-escursione: una specie di caccia al tesoro in cui gruppi di 3-5 bambini esplorano un parco archeologico alla ricerca di luoghi storicamente importanti, immedesimandosi in personaggi del periodo storico (Figura 4.5). In questo modo, i bambini diventano protagonisti del mondo antico trasformando lo studio in un momento di conquista, divertimento e avventura. Le missioni sono comunicate tramite brevi messaggi scritti e orali che spingono i bambini ad analizzare dettagliatamente i reperti archeologici e a esplorare l’ambiente circostante. Un sistema contestuale di aiuto, che riporta conoscenze storiche e archeologiche è inoltre disponibile. Explore! permette anche di aumentare l’ambiente circostante tramite immagini tridimensionali che visualizzano l’aspetto originario delle rovine archeologiche e suoni contestuali che aiutano a immaginare la vita in tempi passati (Figura 4.5). Per esempio, camminando sulle rovine della piazza del mercato, gli utenti sentono il rumore di folla e animali, mentre avvicinandosi ai resti della fornace lo sfrigolio del fuoco. Vari studi in laboratorio e sul campo hanno dimostrato la validità pedagogica dell’approccio e un’incondizionata soddisfazione da parte dei bambini 6/13/12 11:01 PM Figura 4.5. Un gruppo di bambini che gioca con Explore! al parco archeologico di Eganzia, in Puglia. Il cellulare riproduce la ricostruzione 3-d della Basilica Civile 4.4 Linguaggio: Comunicazione del pensiero Lettura, scrittura, e più recentemente, parlato sono modalità comunemente usate come output nell’interazione con un computer. Il significato trasmesso dai vari canali linguistici è lo stesso, ma lo sforzo per decifrarlo varia sostanzialmente a seconda del canale, del contesto, dell’utente e del compito. Le principali differenze che possono essere utili nella progettazione di interfacce utente sono riassunte in Tabella 4.3, altri importanti principi relativi alla presentazione di materiale multimediale sono stati presentati in Tabella 4.2 Paragone fra linguaggio scritto e linguaggio parlato Ascoltare un testo richiede meno sforzo cognitivo che leggerlo L’informazione trasmessa tramite linguaggio parlato è transitoria, quindi pone più richieste alla memoria di lavoro Il linguaggio scritto è più formale e attento alle regole grammaticali del parlato. La lettura è più veloce dell’ascolto La lettura è un processo di percezione selettiva: le persone non procedono sequenzialmente lettera per lettera da sinistra a destra, ma saltano velocemente fra una parola e l’altra, una volta che ne intuiscono il significato, e spesso tornano indietro per verificare le loro ipotesi. Generalmente, il testo scritto in stampatello minuscolo viene letto più velocemente, poiché l’immagine composta da lettere che salgono e scendono è più distintiva, rispetto allo stampato maiuscolo. Provate a leggere il prossimo paragrafo e probabilmente vi accorgerete di necessitare più sforzo e procedere meno speditamente. Alcune sequenze di lettere, che non sono parole, come ad esempio i codici fiscali, o gli acronimi, comunque vanno, pero’, sempre scritte in maiuscolo, proprio per sottolineare la loro differenza. Il maiuscolo può essere usato per attrarre ‘attenzione. LA PREFERENZA FRA I DIVERSI CANALI VERBALI DIPENDE DALLE PERSONE, DAL CONTESTO E DAL COMPITO. PER ESEMPIO, GLI UTENTI DISLESSICI HANNO DIFFICOLTÀ A LEGGERE, MENTRE LE PERSONE ANZIANE NECESSITANO DI CARATTERI PIÙ GRANDI PER LA LETTURA E DI UN AUDIO PIÙ FORTE PER L’ASCOLTO. IL PARLATO DIMINUISCE LA PRIVACY DELL’INFORMAZIONE E QUINDI NON E’ CONSIGLIABILE PER INFORMAZIONI SENSIBILI IN CONTESTI PUBBLICI COME QUANDO SI USA UN BANCOMAT. D’ALTRO LATO, LA LETTURA NON È POSSIBILE QUANDO L’ATTENZIONE VISIVA È CONCENTRATA SU ALTRI COMPITI, AD ESEMPIO LA GUIDA DI UN VEICOLO. Il significato trasmesso tramite linguaggio parlato dipende sia da aspetti verbali che non verbali. Il linguaggio verbale veicola in modo digitale gli aspetti di contenuto, mentre la comunicazione non verbale veicola in modo analogico gli aspetti di relazione. Secondo lo psicologo Albert Mehrabian, l’interpretazione del contenuto emozionale di un messaggio dipende in minima parte dalle parole pronunciate (7%) e in modo sostanziale dalle caratteristiche vocali (tono, ritmo, volume: 38%) e dai movimenti del corpo, in particolare dalle espressioni facciali (55%). La tendenza ad arricchire il parlato con gesti è automatica e inconsapevole, come può essere osservato quando le persone gesticolano o sorridono durante una conversazione telefonica. Un’analisi approfondita dei processi cognitivi sottostanti l’uso del linguaggio è al di fuori dello scopo di questo capitolo, che si concentra invece sull’analisi di situazioni in cui il linguaggio naturale è usato nell’interazione fra esseri umani e macchine. In questo contesto, l’aspetto più problematico è la creazione di un terreno comune (common ground), la parte di conoscenze condivise che costituisce la base di ogni scambio comunicativo. 4.1. Common ground e messaggi di errore La comunicazione richiede una base di conoscenza comune fra gli attori coinvolti, che deriva da un processo di negoziazione dinamica dei significati che si stanno condividendo. Le persone pianificano il comportamento verbale sulla base di quello che ritengono l’altra persona possa comprendere, facendo spesso uso di stereotipi sociali, e modificando il comportamento sulla base della reazione dell’audience, vale a dire le persone che ascoltano. Tale reazione può essere comunicata tramite linguaggio verbale (richiesta diretta di spiegazioni) o non verbale (una faccia sbigottita, un’espressione confusa). Per questo la creazione di common ground è più efficiente in contesti di interazione faccia a faccia, ma necessaria in ogni tipo di comunicazione. Pensate per esempio a cosa fareste per comunicare a un bambino di 5 anni o a un vostro collega di studio l’argomento di questo capitolo. Sicuramente userete parole, metafore ed espressioni diverse, basate su quelle che ritenete siano le conoscenze condivise. In modo simile, tutti i messaggi verbali provenienti da un computer devono basarsi su conoscenze condivise con gli utenti per essere compresi. Come abbiamo visto nel paragrafo sui modelli mentali, tali conoscenze sono diverse a seconda dell’esperienza dell’utente e spesso i progettisti di sistemi informatici condividono poco terreno comune con gli utenti. Il problema si nota particolarmente con i messaggi d’errore che devono essere chiari, informativi e adattati alle conoscenze dell’utenza. 4.2 Interfacce vocali Le interfacce vocali mediano sempre più frequentemente la comunicazione telefonica con vari servizi di assistenza per il pubblico, quali quelli di banche o compagnie aeree. Come sottolineato in precedenza, gli output vocali soffrono del problema della transitorietà e possono mettere a dura prova la memoria di lavoro. Immaginiamo, per esempio, che una persona abbia smarrito la carta di credito e debba bloccarla telefonando al customer service. Tipicamente, in questa situazione, l’utente si trova in uno stato di stress visto il danno economico che ne può risultare, e quindi la sua prestazione ne risentirà’. L’utente chiama un lungo numero telefonico e una voce automatica elenca una serie di opzioni per al sistema automatico più utile. Le probabilità di successo dipendono dal numero delle opzioni proposte, che deve mantenersi adeguatamente nei limiti della capacità di ritenzione in memoria a breve termine (a causa dell’assenza di un display che visualizzi il menu), e della logicità della loro organizzazione. E’ inoltre necessario permettere all’utente di selezionare l’opzione desiderata in qualunque momento, interrompendo la lista se necessario e di richiedere la ripetizione di una o più opzioni senza doverle riascoltare tutte. A causa di questi problemi, le interfacce vocali sono sconsigliate in contesti critici: per esempio se si vuole chiamare la polizia per denunciare un evento criminale. L’utilizzo del parlato come strumento di input riscuote un’attenzione crescente, come testimoniato dall’interesse verso Siri, l’assistente digitale introdotto dall’iPhone 4S. Il successo di questa interfaccia dipende non solo del grado di evoluzione della tecnologia di riconoscimento, ma anche dal tipo di compito e dalle conoscenze dell’utente. Compiti che richiedono l’identificazione di oggetti nello spazio fisico, per esempio, sono eseguiti più efficacemente da gesti (tipicamente il puntamento dell’indice verso l’oggetto) che da parole e richiedono quindi sistemi multimodali che integrano gesti e parlato. 4.3 Agenti conversazionali Gli agenti conversazionali sono un tipo di interfaccia animata dall’aspetto antropomorfico che si è affermata nell’ultimo decennio in molti settori, fra cui spiccano l’ambito pedagogico, sanitario e commerciale. Tali agenti interagiscono con gli esseri umani reagendo a input mediati da linguaggio scritto o parlato ed altre modalità non verbali. La loro caratteristica peculiare è quella di possedere un corpo virtuale con il quale possono attuare una serie di comportamenti non verbali, che possono facilitare per esempio la gestione dei turni conversazionali (sguardi) o stimolare empatia e fiducia (sorrisi). A causa del loro aspetto antropomorfico, l’interazione con agenti conversazionali è spesso mediata da regole simili a quelle che determinano l’interazione fra esseri umani. In particolare, tali agenti stimolano attribuzioni stereotipiche, sulla base del loro aspetto fisico, quale il genere, l’etnia e la bellezza. Per esempio, gli agenti conversazionali sono più persuasivi quando forniscono suggerimenti su argomenti stereotipicamente associati al loro genere. Inoltre, macchine con voce maschile sono valutate come più competenti di quelle con voce femminile, anche nel caso di indizi di genere minimi. Come nella vita reale, le persone preferiscono gli agenti conversazionali attraenti rispetto a quelli meno attraenti. Tuttavia tali agenti possono a volte generare reazioni molto negative, come descritto nel BOX 3.3. BOX 3.3. DISINIBIZIONE VERBALE Un recente filone di ricerca si sta occupando dello studio della disinibizione verbale che spesso si manifesta quando gli utenti interagiscono con le macchine (De Angeli e Brahnam 2008). Tale comportamento, che consiste in forme di linguaggio scortese e maleducato, quali parolacce, riferimenti sessuali e tutto ciò che nell’interazione fra umani sarebbe etichettato come “linguaggio scurrile”, per anni è stato ignorato in letteratura. Eppure tale comportamento è prevalente nei dialoghi registrati da utenti anonimi su Internet e rappresenta dal 10 al 50% degli scambi interattivi. Tipicamente, gli utenti chiamano il sistema stupido (e rafforzano il concetto con una varietà di sinonimi più o meno volgari) e indulgono in conversazioni di tipo sessuale, anche quando la macchina non possiede alcuna conoscenza del dominio. Tali discorsi variano da domande relative al sesso dell’agente conversazionale, alle sue conoscenze in materia, fino a veri e propri monologhi pornografici. Il fenomeno di disinibizione si evidenzia in modo costante indipendentemente dall’età e dall’etnicità delle rappresentazioni utilizzate (Brahnam e De Angeli 2012). Gli agenti rappresentati da un corpo femminile sono maggiormente soggetti a insulti e discorsi a sfondo sessuale di quanto lo siano gli agenti rappresentati da un corpo maschile. In entrambi i casi il contenuto di questi scambi si concentra su stereotipi sessuali negativi, che variano a seconda del genere dell’agente: le interazioni con agenti femminili contengono molti riferimenti alla prostituzione, mentre le interazioni con agenti maschili si concentrano sull’omosessualità. Alcuni esempi di interfacce valutate in questi studi sono riportate in Figura 4.6, si noti come l’abbigliamento sia intenzionalmente formale in modo da evitare attribuzioni inappropriate. 6/13/12 11:01 PM Figura 4.6. Esempi di agenti conversazionali Conclusioni In questo capitolo abbiamo presentato i processi cognitivi con cui le persone acquisiscono, elaborano e comunicano lʼinformazione, discutendone la loro rilevanza per la progettazione di interfacce utente in unʼampia gamma di contesti. I concetti principali sono i seguenti: 1) La memoria è lʼinsieme dei processi cognitivi che permettono la selezione, elaborazione e immagazzinamento dellʼinformazione. Lʼinformazione viene ricordata più semplicemente tramite riconoscimento che tramite rievocazione. 2) La memoria ha un ruolo fondamentale in molti contesti di interazione quali il semplice atto di salvare un file o di accedere alle nostre informazioni personali. 3) La complessità di un compito varia sulla base del tipo di conoscenza richiesta nellʼesecuzione. 4) I modelli mentali sono le rappresentazioni cognitive su cui basiamo il nostro comportamento di interazione: quanto più riflettono la realtà tanto più agiamo correttamente. Gli errori si differenziano a seconda della causa psicologica in sviste, lapsus e sbagli. 5) Lʼapprendimento in un contesto di HCI riguarda sia nozioni relative allʼinterazione con un computer sia nozioni relative ad altre discipline insegnate tramite supporto informatico. Lʼefficacia di tali strumenti dipende dalla combinazioni di media diversi che devono evitare di coinvolgere contemporaneamente la memoria di lavoro dellʼutente. 6) La comunicazione è mediata da modalità diverse: linguaggio verbale (le parole che usiamo), e non verbale (il comportamento con cui comunichiamo - gesti, silenzi, espressioni). Il linguaggio verbale rappresenta solo una minima parte della nostra capacità di comunicazione. 7) La comunicazione efficace richiede il consolidamento di terreno comune di comprensione, che rappresenta le conoscenze condivise fra essere umano e macchina. 8) La comunicazione multimodale con agenti conversazionali, composta da linguaggio verbale, gesti ed espressioni, costituisce la prossima frontiera dellʼinterazione con le macchine. Questa tecnologia apre scenari interessanti, ma anche problemi di disinibizione che possono influenzare negativamente il suo successo. Domande Aprite un sito di e-commerce che non avete mai usato prima. Provate ad acquistare un prodotto di vostra scelta, analizzando tutte le richieste alla vostra memoria (di lavoro, e a lungo termine). Quali vi sembrano irragionevoli? Come si potrebbe ridisegnare l’interazione per fare in modo che l’utente non debba tenere inutilmente materiale in memoria? Considerate un compito comune nell’interazione con il computer: l’inserimento di testo mediante tastiera. Provate adesso a classificare tale attività all’interno della tassonomia dei compiti per una dattilografa esperta o per una persona che utilizza la tastiera per la prima volta. Che differenze immaginate? A chi richiedereste di copiare i sottotitoli direttamente da un video e perché? Immaginate di essere in una situazione di stress e di dovere urgentemente informare un amico. Quale sistema prediligereste: scrivere un lungo messaggio di testo, selezionare il suo nome e chiamarlo, scrivere una e-mail? Perché? Vi e’ stato richiesto di progettare una lezione interattiva on-line con il contenuto di questo capitolo. Quali informazioni, riportereste in testo scritto e quali in testo parlato? Riflettete sulle ragioni della vostra scelta. Materiali utili Links: http://www.theinvisiblegorilla.com/ Un sito web sviluppato intorno al best-seller “The invisible Gorilla” che permette di comprendere in modo semplice e coinvolgente i misteri dell’attenzione umana. In particolare si invita il lettore a visionare i video che dimostrano una serie di limitazioni attentive in modo diretto e divertente. http://daytum.com/ Sito web che permette ai suoi iscritti di registrare azioni della vita di tutti i giorni e visualizzare i dati con grafici e rappresentazioni visive molto attraenti. Le applicazioni fornite possono essere utilizzate per costruire memorie personali che si protraggono nel tempo. Il sito e’stato sviluppato dai designer Nicholas Felton e Ryan Case che hanno anche contribuito alla progettazione della Timeline di Facebook. http://www.andrewpatrick.ca/blog2 In questo blog Andrew Patrick ricercatore del centro nazionale delle ricerche canadese, fornisce una serie di informazioni sulla ricerca nel settore dell’usabilità e della sicurezza on-line e nella vita di tutti i giorni, comprese varie riflessioni sul check-in agli aeroporti. http://www.realuser.com/ Questa compagnia commercializza PassFaces, un esempio di password visiva che si basa sul riconoscimento di facce. Il sito permette di scaricare e provare il sistema in versione demo. http://www.jabberwacky.com/ Un chatterbot che conversa con l’utente e che è stato oggetto di varie pubblicazioni scientifiche. Per saperne di più Baddeley, A. Eysenck, M. W., e Anderson. M. (2011). La memoria. Il Mulino Questo manuale fornisce un’introduzione fondamentale, completa e chiara dei diversi sistemi di memoria e delle loro applicazioni nella vita di tutti i giorni, dalla memoria autobiografica, al ruolo dell’età sul ricordo, a tecniche di miglioramento della memoria. Mayer, R. (2001). Multimedia Learning. Cambrdige: Cambridge Press. Questo libro in inglese riporta i risultati un decennio di ricerca nel settore dell’apprendimento multimediale discutendo come l’informazione deve essere suddivisa fra i vari canali percettivi per facilitare l’apprendimento. Norman, D. 1990. La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani. Milano, Giunti. Un testo eccellente, piacevole e umoristico che dimostra in modo convincente lo scarto che intercorre fra il funzionamento della mente umana e molti oggetti della vita quotidiana che siamo costretti a utilizzare nonostante ci rendano la vita difficile. Il libro fu originariamente pubblicato in lingua inglese nel 1988 con il titolo “The psychology of everyday things” e successivamente con il titolo “The design of everyday things”. Payne, S. J. (2003) Users’ Mental Models: The Very Idea. Chapter 6 in J.M. Carroll (Ed.), HCI Models, Theories, and Frameworks. San Francisco: Morgan Kaufmann Questo capitolo fornisce un’analisi dettagliata del concetto di modello mentale nell’interazione con il computer, descrivendone limiti e potenzialità. Reason J. (1994). L’errore umano. Il Mulino. Questo volume e’ la traduzione italiana di uno dei capisaldi della disciplina dei fattori umani. Il trattato presenta l’errore umano e le sue conseguenze considerando sia episodi minori (un errore di calcolo nella mente dell’utente) sia episodi catastrofici (l’esplosione di Chernobil). Il libro permette di capire come e perché capitano gli errori analizzandone i processi cognitivi sottostanti. Bibliografia Adams, A., Sasse, M.A. 1999. Users are not the enemy. Communications of the ACM 42 (12), 40-46. Berry, E., Kapur, N., Williams, L., Hodges, S., Watson, P., Smyth, G., Srinivasan, J., Smith, R., Wilson, B. and Wood, K. The use of a wearable camera, SenseCam, as a pictorial diary to improve autobiographical memory in a patient with limbic encephalitis. Neuropsychological Rehabilitation 2007, 17 (4/5), 582-68. Brahnam e De Angeli (2012). Social affordances of Conversational agents. Interacting with computers, 24(3), 139-153. Costabile M.F., De Angeli A., Lanzilotti R., Ardito C., Buono P., and Pederson T. (2008). Explore! Possibilities and challenges of mobile learning. Proceedings of the Conference on Human Factors in Computing Systems CHI 2008: ACM Press. De Angeli, A., Coventry, L., Johnson, G., e Renaud, K. (2005). Is a picture really worth a thousand words? Exploring the feasibility of graphical authentication systems. International Journal of Human-Computer Studies, 63(1-2), 128-152. De Angeli, A. e Brahnam, S. (2008). I hate you! 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