Enrico Menduni - Dipartimento di Scienze Politiche

annuncio pubblicitario
Enrico Menduni
Televisione e società italiana
L’argomento di studio di questo libro riguarda lo sviluppo della televisione italiana, nel
periodo che va dal 1975 al 2000. Prima di iniziare dobbiamo fare una piccola premessa
sulla televisione degli inizi.
Per definire la televisione italiana del periodo del monopolio di Stato (dal 1954 alla metà
degli anni 70 ), Umberto Eco, in un articolo uscito su L’Espresso ha coniato i neologismi
Paleotelevisione e Neotelevisione.
Con il primo termine Eco si riferisce alla televisione degli inizi, mentre con la
Neotelevisione, che si ha con l’avvento delle televisioni private, il quadro cambia
radicalmente.
Più avanti ritorneremo su questo argomento, ma per ora partiamo dalla nascita della Rai.
Fatta questa breve premessa, iniziamo a parlare della storia della televisione che
andremo a studiare.
La RAI, sotto l’egida di Ettore Bernabei, direttore generale dell’azienda dal 1961 al 1974,
aveva due caratteristiche: 1) l’accentramento monocratico del potere nelle mani del
direttore generale; 2) l’assoluta priorità della televisione rispetto alla radio.
Partiamo dalla prima. Bernabei, il direttore generale, da solo gestiva i rapporti con l’intero
sistema politico ( il presidente del consiglio, i vari partiti, ecc… ) mentre il presidente e
l’amministratore delegato erano figure di contorno. In più Bernabei esercitava una
supervisione su tutto quanto veniva mandato in onda dai giornalisti.
In concreto, la particolare vicinanza dell’emittente radiotelevisiva con la politica voleva dire
scambio politico: la radiotelevisione da una parte consentiva di fare moltissimi favori:
assumere un dipendente, ingaggiare un artista, la presenza di un ospite in un programma,
ecc venivano scambiati con favori a qualche corrente democristiana o alla Rai.
Facciamo un passo indietro: la Rai è nata nel lontano 1924, ma allora non si chiamava con
il nome attuale. Il suo nome era URI, Unione radiofonica italiana. Poi, nel 1928 diventò
EIAR, ente italiano audizioni radiofoniche, nel 1933 passò sotto il controllo della SIP (
società idroelettrica piemontese ) e solo nel 1944 assunse il nome di Rai, Radio audizioni
italiane. Nel 1954 la storica azienda cambiò ufficialmente nome chiamandosi
definitivamente Rai, Radiotelevisione italiana Spa.
E’ una società privata incaricata di un pubblico servizio e soggetta a una speciale disciplina
legislativa. Tale azienda ha un duplice statuto: pubblico e privato.
Grazie alla prima peculiarità, l’azienda aveva una grossa libertà riguardante la sfera
relativa a corsie preferenziali nelle istituzioni, espropri di terreni, capacità di concerto con
gruppi politici, ecc. La seconda peculiarità, cioè il carattere privatistico, invece, permetteva
ad essa di avere un potere decisionale molto forte e senza ingerenza di terzi.
Veniamo adesso alla seconda caratteristica della Rai, cioè la priorità della televisione
rispetto alla radio. La preferenza che Bernabei diede alla televisione rispetto alla radio era
dettata dal fatto che la sua esperienza politica gli faceva ritenere la televisione più potente
nei legami con le grandi masse. Alla radio seppe destinare programmi riservati a un target
di livello più alto, per intellettuali e laici.
Nel 1961, la Rai, che fino ad allora aveva avuto solo un canale, aumenta l’offerta televisiva
con il secondo canale. La programmazione era complementare, nel senso che non esisteva
ancora la concorrenza tra le emittenti, anzi, i programmi venivano scelti in un’ottica di
complementarietà.
Per non danneggiare il settore cinematografico, la Rai decideva di non mandare in onda
programmi che avrebbero fatto diminuire la clientela nel grande schermo, nei giorni di
massimo incasso. In televisione, poi, un film veniva mandato in onda solo quando aveva
esaurito il suo ciclo commerciale nelle sale cinematografiche. Il carattere pedagogico delle
trasmissioni viene messo sempre in primo piano.
I programmi di intrattenimento che vanno in onda in questo periodo si avvicinano alla
produzione americana, più che somigliare a quelli europei. Per i nostri generi, dalla fiction
nostrana nasce il romanzo sceneggiato di breve serialità, generato dalla rivisitazione dei
modelli teatrali. I quiz provenivano invece dal modello americano, introdotti da Mike
Bongiorno.
La produzione dei programmi televisivi era quasi sempre interna all’azienda. I centri di
produzione erano 3: Roma, Milano e Napoli. Tutto ciò che veniva mandato in onda
doveva essere seriamente controllato allo scopo di impedire “incidenti”.
La televisione italiana somigliava alle altre emittenti europee. Così come quella italiana,
anche le altre “sorelle” europee rappresentavano un servizio pubblico gestito direttamente
o indirettamente dallo Stato, che rispecchiava le peculiarità della società del tempo.
Tutte le emittenti televisive del Vecchio Continente erano svincolate dall’assillo di dover
trovare denaro e sponsor, in quanto la porzione economica essenziale alla loro vita
derivava dagli abbonamenti e dal sostegno dello Stato.
Invece, nel modello televisivo americano i broadcaster erano grandi società private che si
finanziavano con la pubblicità per intero e lo Stato assolveva alla sua funzione di controllo
attraverso la Federal Communication Commission, autorità di nomina governativa.
Le aziende televisive pubbliche europee hanno sempre guardato con un senso di
competitività quelle americane per quanto riguarda le produzioni televisive made in USA,
che si sono amalgamate con quelle cinematografiche di Hollywood.
L’influenza americana si notava nella produzione televisiva europea, chiaramente ispirata
ad essi, in molti casi venivano importati programmi e telefilm.
Le televisioni del mondo latino e anglosassone erano caratterizzate dal modello
monopolista, con una forte intervento pubblico, mentre il modello della tv americana era di
tipo commerciale, in cui i profitti provengono dagli inserzionisti. Proprio la presenza delle
aziende che investono in pubblicità si fa sentire, poiché in qualità di clienti delle emittenti
facevano pressione sulla programmazione.
La ricerca dell’ascolto, in quegli anni, non è stata una preoccupazione che si affacciava
nelle menti dei dirigenti Rai e neanche era un pensiero che veniva al pubblico da casa, il
quale seguiva i programmi televisivi sentendosi guidato da Mamma Rai.
Alla fine degli anni Sessanta il modello bernabeiano entra in crisi perché le risorse
non erano più così ampie da poter accontentare tutti e il suo potere non era più così
assoluto. La Rai diventa un grande centro di potere con i suoi dieci milioni di abbonati alla
tv e il ruolo di leader nell’industria culturale italiana. In questo periodo gli italiani
desiderano dotarsi della televisione, diventato simbolo della modernità.
La Rai si trovava a dover mascherare agli occhi dei politici gli utili derivanti dagli
abbonamenti e per aggirare le ingordigie dei politici comprò prestigiose sedi a New York,
ma anche importanti palazzi storici in Italia come sedi di rappresentanza.
Nel 1968 l’azienda commissionò in gran segreto a tre saggi, Martinoli, Re Rita e Bruno, di
stilare un rapporto sul futuro della Rai. Invece alcune parti finirono pubblicate nell’Unità, in
forma anonima, allo scopo di renderlo inutile. Le questioni riguardanti l’azienda finiva
sempre per essere materia incandescente e i partiti politici volevano assolutamente
controllare la situazione, tra quelli che si opponevano a ogni forma di cambiamento e
quelli che consideravano le innovazioni pericolose.
Sempre in questo periodo i giornalisti e i programmisti prendono coscienza della propria
autonomia professionale. Nascono il Movimento dei giornalisti democratici, che darà un
forte impulso al sindacato, FSNI, Federazione della Stampa Nazionale Italiana e
l’Associazione dei programmisti.
Tra le questioni infuocate, quella che destava maggiore preoccupazione era il rinnovo della
Convenzione tra lo Stato e la Rai, che regolava il monopolio radiotelevisivo.
Bisogna tenere presente come l’azienda era posseduta dallo Stato.
Da un punto di vista formale infatti lo Stato era l’unico proprietario dello spettro
elettromagnetico, ( cioè la parte atmosferica in cui si propagavano le onde radio ), e
volendolo dare vita in concessione, per dar vita a un servizio televisivo, il Governo scelse di
affidare a una società privata, appunto la Rai, tale concessione approvando una
convenzione con essa. ( stiamo parlando del lontano 19…. ).
La Rai, nel 1952 aveva firmato con lo Stato una convenzione ventennale,che sarebbe
scaduta nel 1972. E prima ancora di questa ne era stata siglata un’altra, dall’ EIAR con lo
Stato, nel periodo del fascismo. Nel clima politico del periodo che stiamo esaminando,
diverso da quello presente nel paese venti anni prima, non sarebbe stato fattibile la firma
del rinnovo della convenzione approvata dal Governo. Il cambiamento socio – politico (
della società e della politica ) dettata una maggiore l’attenzione da parte di Parlamento,
dei sindacati e delle Regioni, accomunati tutti dall’ideologia trasversale della
partecipazione, cioè della concertazione delle decisioni.
Si trattava in sostanza di attuare una riforma alla quale tutte le forze politiche volevano
partecipare. Si aprì quella che si chiamò “la stagione dei convegni”, alla quale
parteciparono per alcuni anni centinaia di politici, dirigenti Rai, giornalisti e sindacalisti,
parlamentari.
I punti sui quali dibatterono erano 10:
monopolio o competitors;
natura della Rai: azienda a partecipazione pubblica controllata dall’IRI o privatizzata;
necessità di un passaggio dal controllo operato dal Governo a quello operato dal
Parlamento;
coinvolgimento delle Regioni ( decentramento );
entità da coinvolgere per garantire un pluralismo ( sindacati, forze sociali );
distribuzione dei poteri all’interno dell’azienda ( si auspicava la riduzione dei poteri in mano
al direttore generale );
ideazione e produzione ( i programmisti e i giornalisti chiedevano il riconoscimento della
loro autonomia professionale );
garanzie per gli utenti;
allargamento della partecipazione ( accesso );
allargamento delle fonti di introito ( pubblicità ).
Ci sono due eventi che in questo periodo infliggono uno scossone alla Rai.
Da una parte emittenti televisive quali Telemontecarlo, Telecapodistria e la Televisione
della Svizzera italiana ottengono il permesso di poter essere trasmesse nella nostra
nazione, che per un paradosso, risultano essere di proprietà della Pubblicitas (al 27%),
che è della SIPRA, che a sua volta è della Rai. Per la prima volta gli italiani possono vedere
le immagini a colori, grazie a queste televisioni. La Rai continua a trasmettere in bianco e
nero perché era bloccata dal mondo politico.
Dall’altra, la nascita delle emittenti private.
La prima in assoluto è Tele Biella ( 1971), fondata da un ex dipendente Rai, alla quale ne
seguiranno altre. Ma nel 1972, per la mancanza dell’ autorizzazione a strasmettere del
Ministero delle Poste, la piccola emittente viene dichiarata fuori legge e viene fatta
chiudere nel febbraio 1973.
A maggio dello stesso anno nella Gazzetta Ufficiale viene pubblicato il nuovo Codice
postale, il quale contiene l’articolo 195 che punisce severamente chi stabilisce o esercita
un impianto di telecomunicazioni, sottolineando che sono compresi gli impianti di
distribuzione di programmi sonori o visivi realizzati via cavo o con qualsiasi altro mezzo.
Le sentenze dei processi contro Telebiella costituiscono la base per due sentenze del 10
luglio 1974 che passeranno alla storia. La sentenza n. 225 riconosce il diritto dei privati a
ripetere i programmi televisivi esteri, purché non interferiscano con le frequenze della Rai.
La sentenza n.226 legalizza le trasmissioni via cavo su scala locale. Quindi, il monopolio
Rai viene ribadito, ma il diritto che si conferisce a quanti vogliano ritrasmettere le stazioni
estere è una contraddizione.
Riflettiamo su un punto: se da una parte quelle estere possono essere trasmesse via
etere, perché le televisioni italiane locali devono trasmettere i loro programmi via cavo ? A
Firenze, ad agosto, l’emittente Telelibera Firenze viola questa sentenza ( quindi il
monopolio televisivo della Rai ), trasmettendo via etere un dibattito al quale parteciparono
politici importanti. Sempre in quello stesso anno, in estate, sorgono tante emittenti locali,
alcune delle quali trasmettono via etere. Tra le tante c’è Telemilano, che trasmette via
cavo, gli eventi culturali e sportivi del quartiere con due notiziari agli abitanti del
complesso residenziale Milano 2.
La rete via cavo di Telemilano è collegata con un’antenna centralizzata che riceve i due
canali della Rai, la tv svizzera, Telemontecarlo e Telecapodistria. Berlusconi, il fondatore di
Telemilano, nella banda libera dell’antenna, inserisce la sua televisione, ponendo le basi
per la futura Mediaset.
La convenzione Stato – Rai che scadeva nel 1972 viene rinnovata per un anno e poi
ancora fino ad arrivare all’atteso giorno.
Nell’aprile del 1975 si giunge alla “riforma” con la legge del 4 aprile 1975, n. 103. E’ la
legge “Nuove norme per la diffusione radiofonica e televisiva”, che ripropone di rivedere
l’intero sistema radiotelevisivo pubblico, individuando i principi fondamentali per la
diffusione circolare di programmi radiofonici via etere o su scala nazionale, via filo e di
programmi televisivi via etere o su scala nazionale, via cavo e con qualsiasi altro mezzo.
Principi fondamentali del servizio pubblico sono: indipendenza, obiettività e apertura alle
diverse tendenze politiche, sociali e culturali.
Il luogo appartato in cui si svolsero gli incontri, una scuola, diede il nome alla trattativa,
che venne chiamata: “patto della Camilluccia”.
Il patto divideva la Rai in zone di influenza dei vari partiti. Con la zebratura infatti si
stabilisce una gerarchia, con tanto di responsabili, che al di sotto di essi ne avrebbero
avuto tanti altri ( tra direttori, vice e così via ), allo scopo di permettere un più esteso
controllo delle decisioni prese dagli altri partiti. Nessun partito in definitiva poteva
prendere delle decisioni se non trovava l’accordo con gli altri partiti.
Con questa legge di riforma si stabilisce la più importante delle norme: l’asse di servizio
pubblico si sposta dal Governo al Parlamento, allo scopo di osservare maggiore pluralismo,
completezza e obiettività dell’informazione. Per fare ciò, 40 deputati e senatori di tutti i
gruppi politici danno vita alla Commissione parlamentare di vigilanza.
Con questa legge il 5 % delle trasmissioni radiofoniche e il 3% di quelle televisive viene
riservato all’”accesso”, cioè trasmissioni autogestite da organizzazioni religiose,
politiche, sindacali.
Il finanziamento dell’azienda avveniva tramite il canone di abbonamento e solo in modo
secondario derivare dalla pubblicità, raccolta dalla SIPRA, ( solo per il 5% giornaliero ). Il
monopolio statale della radiotelevisione viene ribadito, fermo restando che l’azienda non
sarebbe diventata un ente pubblico ma una società per azioni a totale partecipazione
pubblica.
Con la legge 103 del 1975, se da un parte il Parlamento disciplinava il monopolio
radiotelevisivo della Rai, dall’altra, nel 1976, una nuova sentenza della Corte Costituzionale
( n.202 del 28 luglio 1976) limitava il monopolio radiotelevisivo alle trasmissioni nazionali,
consentendo invece solo ai privati di poter trasmettere i loro programmi via etere con le
loro emittenti, purché non superassero l’ambito locale.
Questo ambito locale definito dalla Corte non era in realtà ben definito. Un grosso limite
per la raccolta pubblicitaria che non poteva fruttare come doveva.
Solo una legge del 1990 lo stabilirà.
Intanto, nel 1976, un po’ in tutta Italia nascono televisioni via etere, concepite dai
“ripetitoristi”, piccoli imprenditori che si erano specializzati nella gestione di impianti per
ritrasmettere le televisioni straniere. La televisione via cavo, di fronte alla semplicità
dell’etere, viene abbandonata.
Poiché il carattere locale delle tv private appariva sempre come un vincolo, con il limite di
poter trasmettere di appena 15 chilometri, i privati misero a punto varie strategie per
arginare l’ostacolo.
Le tendenze sono tre:
1)coordinare la presenza televisiva in varie città;
2) gli editori della carta stampata costruiscono sinergie coni loro giornali.
Rusconi nel giro di un anno apre 5 emittenti ( 1976 ), mentre Mondadori si mette a
produrre documentari e programmi culturali.
3) Rizzoli tenta di riproporre una tv estera, Tivumalta, ritrasmettendo in Italia i programmi.
Per ragioni oscure le trasmissioni non partiranno mai. Rizzoli inizia la sua carriera come
editore, comprando nel 1974 il Corriere della Sera e tante altre testate in Italia.
Gli accordi della Camilluccia pongono le basi per la lottizzazione istituzionalizzata della Rai.
I partiti si spartiscono sia le reti ( Rai 1 va alla Dc, Rai Due al Psi e la Terza rete radio al
Pci ), sia gli incarichi aziendali, affidandoli prevalentemente a simpatizzanti ( giornalisti,
funzionari, programmisti, ecc… ) delle loro correnti politiche. Come è facile immaginare,
con questa riforma, se da una parte i politici si volevano rendere sempre più responsabili
della politica del personale nelle posizioni che venivano loro attribuite, dall’altra, per alcuni,
per poter fare carriera, era necessario appartenere a qualche corrente politica. Nella
spartizione politica delle reti Rai, più esattamente, alla Dc va, oltre alla Rai, emittente
televisiva, anche la seconda rete radiofonica; ai socialisti la seconda rete Rai e la prima
rete radiofonica; ai laici va la piccola radio Rai tre.
Decentramento. I centri televisivi nei quali registi, attori e autori preferivano lavorare sono
quelli di Roma. Sono più grandi, dotati di maggiori mezzi per lavorare rispetto a quelli di
cui la Rai si è dotata in tutte le regioni d’Italia. Economicamente, il decentramento ( o
coinvolgimento delle regioni ), contemplato in uno dei punti del patto della Camilluccia,
rischiava di infliggere un duro colpo all’azienda, se non attuato nella giusta direzione.
Non era fattibile, come pretendevano alcuni, che si producesse un programma diverso in
ciascuna delle sedi Rai sparse in giro per l’Italia, quando se poteva realizzare uno solo e
mandarlo su scala nazionale. I costi sarebbero stati insostenibili e la qualità ne avrebbe
risentito enormemente. Dobbiamo ricordare che in quel periodo c’erano solo due canali, la
Rete 1 e la Rete 2. Ma i fautori del decentramento non si rendevano conto di queste
pretese poco pratiche, oltre che enormemente dispendiose. Solo per i telegiornali la cosa
era fattibile, in quanto per realizzare l’informazione locale bisognava avere la redazione in
ogni regione.
E’ in questo stato di cose che nasce la terza rete televisiva ( 1979 ) già contemplata dalla
legge 103 e il Tg Tre. In questa nuova emittente, che va al partito comunista, trovano
collocazione altre persone che non avevano trovato una sistemazione nelle altre due
emittenti. Facendo un bilancio sui programmi dell’accesso, che avevano riservato tante
aspettative per quel 5% riservato a sindacati, associazioni ed enti religiosi, sono stati
realizzati in minuta molto inferiore alle attese.
Emittenti televisive private. Nel 1978 le emittenti televisive private sparse in giro per la
nostra nazione avevano superato quota 400. Le televisioni private, per la ricchezza della
loro programmazione, battono i palinsesti della Terza rete.
Mentre la Rai si attiene ad alcune disposizioni di legge, come non mandare in onda
programmi vietati ai minori, le piccole emittenti riescono a farlo godendo degli scarsi
controlli di quel tempo. In più, la Rai, per arginare la registrazione illecita dei film che
puntualmente le televisioni locali mandavano in onda “usufruendo del servizio pubblico
della Rai”, l’azienda mette il logo in un angolo del teleschermo.
Sul versante sportivo, durante le partite di calcio, si verificavano insistenti richieste per
poter trasmettere gli incontri, ricevendo secchi rifiuti.
L’informazione televisiva privata inizia a farsi sentire, facendo qualche scoop e buona
inchiesta. Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, ucciso dalle Br, fu ripreso da una piccola
televisione privata e non dalla Rai.
Nelle televisioni locali, le aste televisive ( di oggetti per la casa, gioielli, corredi, ecc…) si
evolvono in televendite ( ad es. di appartamenti sul Mar Rosso ), con relative truffe anche
note e le telepromozioni, in cui il banditore deve convincere il telespettatore a venire a
vedere di persona la merce per acquistarla, manifestano la natura commerciale delle
televisioni private.
Grazie alle televisioni locali si può conoscere un’Italia fatta di creatività, curiosità e di
localismo, che nel programma Portobello trovano la massima espressione di questa
cornice. Enzo Tortora, il presentatore, porta sul piccolo schermo, dal 1977 al 1983,
inventori, inserzionisti, disperati e poeti. Il cuore del programma è dato dagli inserzionisti
che propongono ai telespettatori le invenzioni più curiose, spettacolarizzando il quotidiano.
Bianco e nero. La produzione televisiva degli anni 70 non nera molto vivace e i
cambiamenti non venivano accettati facilmente. Da una parte, le menti della Rai non si
volevano discostare troppo dal modello pedagogico che sulla quale l’azienda si basava, e
dall’altra, il pubblico, abituato per venti anni con determinati modelli, non poteva essere
pronto dall’oggi al domani a poter recepire dei cambiamenti. Un esempio eclatante che
rispecchia la situazione di quel periodo è L’Orlando furioso, di Luca Ronconi e Edoardo
Sanguineti. La Rai trasmette in Bianco e Nero fino al 1977 ( per questioni politiche),
mentre le emittenti televisive private partono a colori. Con l’avvento del colore i
cambiamenti sono sia di natura tecnica ( adozione di telecamere portatili Eng – electronic
news ghatering - dotate di videoregistatori ), che culturali. Lo studio televisivo e quello dei
salotti ora deve essere curato, come il look dei personaggi che appaiono sul piccolo
schermo: dai giornalisti ai presentatori e ai politici.
Con la legge della riforma Rai il principio della complementarietà della programmazione
delle due reti si comincia ad attenuare, in quanto ognuna di esse tende ad una sua
identità. Quello che si era fatto fino a questo momento, dedicare ogni serata a un genere
diverso, integrandolo con un'altra proposta nell’altro canale. La tendenza è quella di
realizzare trasmissioni in cui sia possibile soddisfare contemporaneamente i diversi gusti
dei telespettatori. Non si tratta di generi televisivi, ma di metageneri, in cui si
scompongono, di rincollano, si mixano e si narrano di nuovo generi antichi.
Carosello e spot. Il Carosello era una rubrica di pubblicità, che andava in onda tutte le
sere. Tutti, grandi e piccoli si erano affezionati al siparietto, alla musica ( tarantella
napoletana ) che lo accompagnava, agli attori e alle storielle che venivano raccontate.
Nacque nel 1957 e durò per vent’anni, fino a gennaio 1977. La sua chiusura è stata
accolta con molto disappunto dai telespettatori. La fine di Carosello ha decretato
l’abbandono della pretesa pedagogica della Rai di poter relegare gli spazi pubblicitari
all’interno di ambiti ben definiti. Con la soppressione del Carosello la pubblicità si aprì a
modalità comunicative differenti, gli spot.
La fine di questo lungo periodo coincide con l’avvento della televisione privata, che viveva
di pubblicità, al contrario della Rai che traeva gli introiti dai canoni di abbonamento
televisivo. I comunicati commerciali o spot, caratterizzeranno il sistema misto. A differenza
del modello americano, in cui grossi sponsor investivano cifre da capogiro potendo anche
determinare la programmazione, in modo che il pubblico da casa fosse il più possibile
vicino al target che si prefiggeva di raggiungere, qui in Italia la pubblicità viene vista in
modo diverso. Tanti piccoli investitori scendono in campo, decidendo di pubblicizzare i loro
prodotti dia nelle reti Rai che Fininvest.
Scarica