Boullier-Yvon e l`anima delle bestie - Dipartimento di Filosofia

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Boullier-Yvon e l’anima delle bestie∗
Maddalena Mazzocut-Mis
L’Essai philosophique sur l’âme des bêtes di Boullier (pastore calvinista nato
a Utrecht) ebbe veramente una grandissima eco1 tanto che nel 1751 l’abate Yvon,
seguendo parola per parola la trattazione di Boullier (fino a copiarne gli esempi più particolari e anche il linguaggio), compone la voce “Ame des bêtes” per
l’Encyclopédie 2 .
L’anima delle bestie esiste!
L’anima delle bestie esiste innegabilmente! Ma è dotata di percezioni confuse e non
giunge alla coscienza dei propri pensieri3 . Ecco in sintesi la posizione di Boullier.
Nel Settecento è la nozione di esperienza a giustificare l’esistenza stessa dell’anima delle bestie4 . Boullier oppone alla complessità reale dell’esperienza, dalla
quale appunto ricava l’esistenza dell’anima delle bestie, la complessità arbitraria di
Cartesio – che non è altro che un pregiudizio metafisico – dalla quale si concludeva
che gli animali sono delle macchine. Il pregiudizio naturale (quello che si ricava
dall’osservazione) è quindi più fondante di quello filosofico di matrice cartesiana
(e il termine pregiudizio è proprio l’esatto contrario del termine esperienza)5 .
∗
Questo saggio è stato presentato al convegno Animalità. Etica ed estetica animale, organizzato da Maddalena Mazzocut-Mis e svoltosi presso l’Università degli Studi di Milano il 13 e
18 Dicembre 2002.
1
Fu edito nel 1728, riedito nel 1737 e nel 1744.
2
Si ricorda che quando finalmente lo citerà, lo chiamerà, sbagliando, «Bouiller». . .
3
Cfr. D.R. Boullier, Essai philosophique sur l’âme des bêtes, Fayard, Paris 1985, pp. 303 sgg.
4
Cfr. J. O’Neal, “L’évolution de la notion d’expérience chez Boullier et Condillac sur la question
de l’âme des bêtes”, Recherches sur Diderot et sur l’Encyclopédie, n. 29, octobre 2000, p. 149.
5
Cfr. ibid., p. 152.
c 2002 ITINERA (http://www.filosofia.unimi.it/itinera/)
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
L’esperienza per Boullier si «comprende da sola [. . . ]. Basta ricordarne la parola per spazzar via gli argomenti contrari»6 . Se si vuole cercare una definizione di
esperienza si possono citare qui le parole stesse di Boullier. Egli è spinto a credere
con convinzione che «esiste fuori di me un accoppiamento di creature, sia spirituali
sia corporee, che sono sottomesse a certe leggi che hanno tra loro un ordine, dei
legami fissi, certi rapporti reciproci e con me, che queste Creature agiscono le une
sulle altre e tutte insieme su di me e che io agisco reciprocamente su di loro con un
certo ordine». A partire da tale ordine, legami e influenze risultano «certi effetti di
cui io sono il testimone o il soggetto e ai quali prendo parte in un modo che mi è
o favorevole o contrario». Allora si conclude che dal risultato «di queste operazioni combinate nasce quello che chiamo l’Esperienza»7 . L’esperienza presuppone
quindi un corpo dotato di un apparato sensoriale, un mondo esterno da esperire,
un’anima, unita al corpo, attraverso la quale l’uomo è in grado di prendere coscienza del mondo. Eppure, come si avrà modo di constatare, la libertà dell’uomo
e la sua differenza rispetto agli animali sono date proprio dalla supremazia, nell’uomo, dell’anima rispetto al corpo. Il metodo di Boullier consiste nel legare insieme
meccanicismo e spiritualismo al fine di accordare agli animali il sentimento ma
non la ragione così come la intendiamo nell’uomo (l’allontanamento da Cartesio
non è poi definitivo).
Certo è che il ruolo dei sensi e delle sensazioni risulta di primaria importanza
nell’economia del testo. Gli animali sono “esseri sensibili”, capaci di sensazioni,
che tuttavia restano subordinati agli uomini esattamente come le sensazioni stesse sono subordinate alla ragione (in effetti Boullier oppone sensazione e ragione
– ed è questa la parte più compromettente del trattato, quella che l’abate Yvon
non approfondirà). Il fatto che le bestie “sentano” non significa che “ragionino”.
«La facoltà di sentire è, ai suoi occhi [. . . ], lontana dal porsi allo stesso livello
intellettuale»8 .
In compenso Boullier insiste sulla presenza negli animali di una persistente
memoria del passato, che esiste proprio in quanto la si può concepire «in un’anima
puramente sensitiva». Nei bruti, che hanno solo idee particolari e percezioni confuse, i “legami delle tracce” sensibili, che si “fissano” nel loro cervello, producono
una «forte immaginazione del passato»9 .
La memoria dei bruti è «meccanica e non ha nulla di intellettuale». Perciò
«prevale in un certo senso su quella degli uomini, in quanto le sue tracce, essendo
più distinte e più profonde», sono conservate dal bruto più fedelmente e ricordate
«in modo più vivo e più distinto fino ai più piccoli oggetti»10 . Nell’uomo ogni
tentativo di diventare «maestro in un’arte» comporta degli «sforzi lenti e reiterati»,
dei «tentativi mal riusciti e faticosi» e contemporaneamente «molta intelligenza
6
Ibid., pp. 152-153.
D.R. Boullier, op. cit., p. 468.
8
J. O’Neal, “L’évolution de la notion d’expérience. . . ”, cit., p. 158.
9
D.R. Boullier, op. cit., p. 378.
10
Ibid., pp. 390-391.
7
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
e riflessione». L’animale, invece, sembra nascere già predisposto a una forma di
“specializzazione”11 .
Inoltre «nell’anima umana la memoria non può avere il grado di perfezione che
ha nell’anima della bestia che è puramente sensitiva». Nella bestia «le impressioni
sensibili sono molto più profonde e durevoli; gli oggetti in tutte le loro circostanze
vi si delineano fino al tratto più piccolo e conservano esattamente il loro ordine e
il loro legame; niente sfugge alla memoria di ciò che ha colpito i sensi e quando la
traccia si risveglia anche il senso si risveglia. In una parola, questa memoria senza
riflessione è meno un ricordo del passato che una forte immaginazione che rende
in qualche modo questo passato presente»12 .
Boullier non attribuisce un’anima alle piante. Egli mantiene gli stessi confini
tra uomo e animale come tra animale e pianta. La continuità tra le specie, tanto
decantata, è di fatto contraddetta. Inoltre è convinto che le piante siano state «fatte
per gli animali», cioè per servire da nutrimento – e Buffon non sarà molto distante
da questa posizione. Tale idea, invece, sarà confutata da Condillac, che non vede
nessun tipo di “sudditanza” tra le specie “superiori” e quelle “inferiori”.
“Ame des bêtes”
Nella voce “Ame des bêtes”, vero riassunto del pensiero di un’epoca, compaiono
comunque delle considerazione interessanti. In primo luogo l’abate Yvon riassume
la posizione dei cartesiani e illustra per quale motivo alcune azioni possano essere
ritenute del tutto automatiche e meccaniche, anche nell’uomo, senza che per la loro
realizzazione si veda la necessità di far intervenire un “principio sensibile”, “intelligente” o addirittura l’anima. La stessa volontà non è implicata in questo genere di
azioni. Esiste allora una «disposizione primitiva della macchina»13 , che giustifica
tali azioni e non richiede l’intervento dell’anima. Si prendano ad esempio quelle
abitudini, che derivano dalla frequente ripetizione di determinate azioni (tra queste anche diverse abilità che gli artisti dimostrano), oppure quelle capacità, una di
queste l’equilibrio in situazioni difficili, che l’uomo mette in atto macchinalmente
senza rendersene conto. Così anche il gusto o le antipatie naturali per certi oggetti. . . Se anche negli uomini ci sono comportamenti che prescindono dalla volontà,
dall’intelligenza, dalla sensazione, a maggior ragione questo è vero negli animali
che possono agire in base alla specifica organizzazione interna di cui sono dotati
e che reagisce a determinati stimoli senza che debba necessariamente intervenire
l’ausilio dell’anima.
11
Ibid., p. 381.
Ibid., pp. 391-392.
13
Abbé Yvon, “Ame des bêtes”, in Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des Sciences, des
Arts et des Métiers, curato da Denis Diderot e Jean Rond D’Alembert, Briasson, David, Le Breton,
Durand, Paris, 1751, t. I, p. 351; cfr. l’edizione qui consultata, Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des Sciences, des Arts et des Métiers, 18 voll., F.M. Ricci, Parma 1970-1980, vol. XIII, pp. A,
114 sgg.
12
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D’altra parte il Settecento fornisce esempi di macchine che sanno compiere
determinate azioni proprio grazie alla loro organizzazione interna (statue che camminano, uccelli che cantano, ragni che tessono. . . )14 . Una macchina parlante, ad
esempio, è in grado di articolare suoni senza coscienza, senza competenza e soprattutto senza alcun intervento di tipo “creativo”. Così i suoni emessi dagli animali.
Solo l’espressione della componente fisica, presente anche nell’uomo, caratterizza
i suoni degli animali come quelli degli automi.
Per inciso è bene qui ricordare il successo che ebbe Jacques Vaucanson quando, nel 1738, terminò la costruzione del suo androide suonatore di flauto traverso
che espose al pubblico all’Hôtel de Longueville (non si dimentichi che nel 1741
Vaucanson esporrà all’Accademia delle scienze e delle belle arti il progetto per la
realizzazione di un uomo-macchina – e non fu il solo). . . e lo scalpore che suscitò
la sua anatra meccanica in grado di muovere le ali (composte di quattrocento pezzi
mobili), mangiare e, pare, anche di “digerire” il grano. . . 15 . La costruzione di tali
marchingegni, assai di moda, attirava molto pubblico.
L’abate Yvon, seguendo le indicazione di Boullier, afferma tuttavia che se diamo retta all’esperienza – ancora una volta il tema dell’esperienza diventa basilare per una dimostrazione – le “macchine cartesiane” possono essere “smontate”,
così come il suo sistema filosofico16 . Inoltre, seguendo una logica consequenziale, è facile dimostrare la presenza di un principio immateriale come l’anima. Il
procedimento è esattamente quello di Boullier. Analizziamolo in sintesi.
Non bisogna attaccare i cartesiani là dove hanno ragione e cioè circa i «miracolosi effetti del meccanicismo», riguardo all’estensione incomparabile e incomprensibile per l’uomo della ragione divina e «sul parallelo che essi fanno tra le
macchine costruite dall’arte degli uomini» e le meraviglie infinite «che il creatore
dell’universo potrebbe mettere» in quelle che egli stesso produce17 .
Ma come opporsi alla logica dei cartesiani? Recuperando letteralmente Boullier – senza menzionarlo – l’abate Yvon detta le due regole del suo procedimento:
«Dio non può ingannarci»; «l’insieme di un gran numero di apparenze o di effetti
collegati a una Causa che li spiega prova l’esistenza di questa causa»18 .
Ora, se Dio è in grado di produrre un animale simile a un automa, sarà anche
in grado di produrre un uomo simile a un automa. . . I cartesiani non possono
14
Cfr. Ibid., p. A, 115.
Non è un caso che Vaucanson avesse intrapreso una carriera religiosa nell’ordine dei Minimi.
Carriera poi abbandonata perché attirato dall’anatomia e soprattutto dalla meccanica. Aveva quindi
preferito approfondire gli studi con il chirurgo Le Cat con il quale sviluppò i primi modelli anatomici
in grado di espletare le principali funzioni vitali, come la respirazione, la circolazione e la digestione.
Dal 1738 incominciò a esporre i suoi tre famosi automi: prima di tutto “Le Joueur de Flûte”, androide
di un metro e mezzo, capace di suonare ben dodici arie differenti, poi “Le Joueur de Tambourin et de
flageolet” e infine “Le Canard Digérateur”. Realizzando questi automi non era lontana da Vaucanson
l’idea di dimostrare i principi meccanicistici alla base delle teorie da lui studiate (Descartes, Gassendi
e Boerhaave erano state le sue letture più approfondite).
16
Cfr. ibid., p. A, 116.
17
Ibid.
18
Ibid.
15
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sfuggire a una tale conseguenza! Supponendo possibile un tale caso, l’uomo, il
suo pensiero, la sua parola risponderebbero a principi meccanici del tutto nascosti,
del tutto inafferrabili e incomprensibili. Di fatto si legherebbero degli effetti a delle
cause supposte, ma sconosciute.
Supporre un’anima significa prima di tutto avere la certezza che Dio non ci
inganna mettendoci di fronte un automa al posto di un essere umano, con la sua
sensibilità, i suoi sentimenti, la sua intelligenza fatta anche di tentennamenti. Inoltre, al posto di una causa oscura, di un meccanismo nascosto, Yvon, come Boullier,
suppone una causa, l’anima appunto, che spiega tutte le apparenze, tutti i comportamenti dell’uomo. Io agisco, e di ciò sono certo in base all’esperienza, perché
possiedo un’anima che pensa, ragiona, che ha delle idee, che è unita al corpo di cui
regola i movimenti19 .
Lo stesso deve valere per i bruti. Anche quando le loro azioni possono essere
giustificate attraverso l’istinto, si osservano delle azioni spontanee che lasciano
trasparire una certa libertà e una dose di ragione.
Io ho, afferma Yvon, un’idea chiara di un principio sensitivo: «Vedo che questo
principio ha rapporti distinti con tutti i fenomeni in questione e che esso spiega e
riunisce insieme tutti questi fenomeni. Vedo che la mia anima, quale principio
sensitivo, produce mille azioni e muove il mio corpo in mille maniere, tutte simili
a quelle in cui le bestie muovono i loro, nelle stesse circostanze»20 . L’anima è la
causa di tutti i movimenti e dell’autoconservazione degli animali. Negli animali
esiste quindi, poiché Dio non può ingannarci, «un principio di sentimento».
In definitiva Yvon, semplificando Boullier, procede alla ricerca di un’idea certa e chiara, sulla base della stessa evidenza esperienziale, un’esperienza che parte
dalla propria coscienza che si relaziona al mondo. Non è un fondamento autoreferenziale e indubitabile come quello del cogito cartesiano. Piuttosto si tratta
di una constatazione sulla base di reiterate esperienze che la vita stessa offre costantemente all’uomo. Da qui la necessaria rivalutazione di quel sapere (messo in
dubbio invece da Cartesio) procurato dai sensi. Un sapere che, sebbene distante
dall’evidenza razionale, ha un potere di persuasione e convincimento assai potente
e inattaccabile. Esiste un’“evidenza esperienziale”, la cui certezza non è soggetta
a dimostrazione perché si dimostra, mostrandosi, da sé. I sensi, che per Cartesio
potevano risultare la fonte dei nostri errori se assunti come base per la conoscenza,
divengono il fondamento del procedere di Boullier e di Yvon. Da qui la ragione
della lunga digressione sui sensi e sulle qualità dell’esperienza nel trattato di Boullier. Il principio metodologico-euristico, che dà fondamento alla causa prima, va a
sua volta esplicitato e fondato.
«Hanno gli organi dei nostri sensi, che un’arte tanto saggia, che una mano
tanto industriosa ha confezionato, altre finalità, nell’intenzione del Creatore, rispetto alle stesse sensazioni che vengono eccitate nella nostra anima tramite essi?
Dubiteremo che il nostro corpo sia fatto per la nostra anima, per essere, nei suoi
19
20
Ibid., p. A 117.
Ibid.
5
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confronti, un principio di sensazione e uno strumento d’azione? E se ciò è vero
per gli uomini, perché non deve essere vero per gli animali? Nella macchina degli animali noi scopriamo un fine molto saggio, assai degno di Dio, fine verificato
dalla nostra esperienza in casi simili; è di unirsi a un principio immateriale e di
essere per esso fonte di percezione e strumento di azione; ecco un’unità di scopo,
al quale si rapporta questa combinazione prodigiosa di impulsi che compongono
il corpo organizzato»21 . Se si nega l’esistenza di un tale principio immateriale
che agisce sulla macchina e la conserva «non vedo più nessuno scopo di un’opera tanto ammirevole. Tale macchina deve essere fatta per qualche finalità da essa
distinta»22 .
Boullier-Yvon contro Cartesio
È bene ricordare che, per Cartesio, non esiste equivalenza tra sentire e pensare.
«Per lui non vale che, se qualcuno pensa, allora anche sente. Il sentire è una condizione sufficiente sì, ma non necessaria, per il pensare. D’altra parte il pensare
è condizione necessaria per il sentire: se qualcuno non pensa allora neanche sente. Ma perché? Chiederselo è chiedersi che cosa si debba intendere con pensare.
Sia nel Discorso sul metodo sia nelle Meditazioni, Cartesio aveva assunto “pensare” come termine fondamentale, per definire attraverso di esso l’anima umana
o mente. Una res cogitans, appunto. Apparentemente, del pensare non dava più
che esemplificazioni come: “Una cosa che pensa. . . è una cosa che dubita, intende
intellettualmente, afferma, nega. . . ”, ecc. E invece non era una mera statuizione su
esemplificazioni: perché era pur fornito un criterio: che si tratti di funzioni – azioni
o passioni – di cui il soggetto [subjectum] sia io, indipendentemente dal fatto che
io abbia o no anche un corpo. Anche se non avessi un corpo, infatti, rimarrebbe
vero che sono io a immaginare e sono io a sentire»23 .
Quanto siamo distanti da Cartesio, allora, con Boullier-Yvon! E la questione
degli animali appare solo come un corollario.
Mentre per Cartesio è dubitabile che si abbia un corpo, per Boullier-Yvon il
corpo o meglio gli organi sensoriali sono alla base di ogni esperienza possibile. Se
per Boullier-Yvon esiste una genesi conoscitiva che passa attraverso l’azione del
corpo e che coinvolge dapprima le sensazioni poi le passioni, per Cartesio, anche
una volta accertato che io abbia un corpo, le passioni hanno una natura intrinseca
di “stati mentali”. Così la facoltà di immaginare e quella di sentire apparterranno
all’anima, in quanto sono delle “specie di pensieri”, eppure apparterranno all’anima proprio in quanto unita al corpo (sono infatti dei pensieri senza i quali «si può
concepire l’anima nella sua purezza»)24 .
Quindi i bruti, per Cartesio, vedono, ma senza avere coscienza della vista, come
quando noi vediamo in modo del tutto distratto, senza averne nessuna sensazione.
21
Ibid.
Ibid.
23
S. Landucci, La mente in Cartesio, Franco Angeli, Milano 2002, p. 46.
24
Cfr. ibid., p. 47.
22
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
«A parte la confusione tra assenza di percezione (“non ne abbiamo alcuna sensazione”), da una parte, e, dall’altra percezioni subliminari (quando siamo “distratti”)
– quelle che Leibniz chiamerà petites perceptions – qui si hanno già due criteri sui
quali Cartesio si attesterà. a) Il modello degli automatismi involontari (ma, secondo la tesi, dovrebbero essere anche inconsci)». b) Negare ai bruti la “coscienza
immediata”, la mancanza della consapevolezza diretta immanente in ogni evento
mentale, il sentire di sentire25 .
«Senonché proprio la concezione del pensiero come coscienza, anziché come
prestazione, non reggeva la pretesa di attribuirlo all’uomo soltanto, e non anche ai
bruti. Cartesio metterà tempo a rendersene conto; ma – se passerà dalla tesi all’ipotesi, per la negazione della sensibilità ai bruti – sarà perché se ne renderà conto.
Un tale mutamento va infatti spiegato; e si può concludere già a priori che c’entrino
considerazioni di verosimiglianza empirica; ché la paradossalità rimaneva intatta,
anche passando a dire solo probabile che gli animali non sentano. D’altra parte, è la
cosa più costosa per Cartesio, accontentarsi di una probabilità, ché aveva rifiutato
ogni congettura che non raggiunga la certezza»26 .
Quindi si può dire che anche la marcia indietro cartesiana (da «gli animali non
sentono» a «probabilmente gli animali non sentono») non cambia qui il senso della
questione.
Ritorniamo allora a Yvon per concludere il suo racconto.
Entrambi, Yvon e prima Boullier, sostengono che contestare l’esistenza di
un’anima spirituale alle bestie significa contestarne anche l’esistenza nell’uomo,
«poiché il privilegio della ragione e tutte le altre facoltà dell’anima umana non sono maggiormente incompatibili con l’idea della pura materia, di quanto non lo sia
la semplice sensazione»27 .
Certo esiste una radicale differenza tra la ragione umana e quella delle bestie.
Quella delle bestie agisce solo su “piccole cose” e molto debolmente. Essa avrà
idea di quegli oggetti che hanno una relazione d’utilità con il corpo, ma non possiederà nessuna idea spirituale o astratta, nessuna idea di Dio, di una religione, del bene e del male morale28 . Le scienze e le arti sono appannaggio esclusivo dell’uomo.
Anche fermandosi all’esperienza (e dove altrimenti?), si è in grado di contestare
alla mente degli animali tutte le proprietà che invece riscontriamo nell’uomo.
Anche se le bestie non hanno alcuna idea di Dio, della religione e della morale,
ciò non toglie che, pur non possedendo tutte le proprietà dell’anima dell’uomo, non
si possa accordare loro una certa “ragione”, senza cancellare del tutto la differenza
che esiste, ed è evidente, con l’anima umana. D’altra parte, se si accorda agli
animali il sentimento, come è poi possibile rifiutare loro la ragione? Per Yvon,
e prima per Boullier, Bayle ha quindi ragione contro Cartesio, che commette un
grave errore metodologico non risalendo dagli effetti visibili alle cause. Se tutto
dimostra che gli animali sono dotati di sentimento, la logica induttiva impedisce
25
Cfr. ibid., pp. 49-50.
Cfr. ibid., pp. 50-51.
27
Abbé Yvon, “Ame des bêtes”, cit., p. A, 118.
28
Cfr. ibid.
26
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
di vedere in essi delle semplici macchine. È quindi necessario capire l’attività
dell’anima delle bestie che viene diretta e modificata dalla varietà delle sensazioni.
Qual è allora la natura dell’anima degli animali? È una sostanza immateriale e
intelligente, «un principio attivo che possiede delle sensazioni e che ha solo queste»29 . La nostra anima ha due facoltà che forniscono alla sua attività essenziale
il materiale sul quale tale attività si esercita: la prima è la facoltà di formare idee
chiare e distinte sulle quali il principio attivo agisce in un determinato modo che si
chiama «riflessione, giudizio, ragionamento, scelta libera». La seconda è la facoltà
di sentire «che consiste nella percezione d’una infinità di piccole idee involontarie,
che si succedono rapidamente le une alle altre, che l’anima non discerne, ma le cui
differenti successioni piacciono o spiacciono e in base alle quali il principio attivo
viene impiegato solo attraverso desideri confusi»30 . Quest’ultima viene condivisa
da uomini e animali.
La libertà dell’uomo dipende dal dominio dell’anima sul corpo. Gli uomini
esercitano la loro volontà padroneggiando il loro pensiero. Le bestie, al contrario,
sono soggette alle sensazioni che determinano il loro pensiero. Ciò dipende proprio
dalla relazione anima-corpo. Il corpo, infatti, fornisce all’anima la “materia” e
l’occasione di esercitare le sue peculiarità e d’altra parte il dominio che l’anima
esercita sul corpo è la fonte nell’uomo di azioni libere.
Animali e uomini
Gli animali possiedono sensazioni confuse e non riescono a staccarsi da tali sensazioni per approdare a idee chiare e distinte, proprie invece dell’uomo. «L’anima
dei bruti, così come me la figuro, appercepisce gli oggetti attraverso la sensazione;
non riflette; non ha idee distinte; ha solo un’idea confusa del corpo»31 . Così se
un uomo e un animale vedono un albero, la percezione dell’uomo è del tutto differente: per ciò che dipende solo dai sensi è di fatto uguale, ma avendo l’uomo la
capacità di riflettere, anche la percezione muta. Dal momento che l’uomo vede un
albero, se ne può formare l’idea astratta e metterla in relazione con le altre idee che
si è già formato e relative a oggetti differenti. L’animale no. «Un’anima puramente
sensitiva è limitata nella sua attività come nella sua intelligenza»32 . Incapace di
ragionare, è anche incapace di vizi e virtù, di progressi diversi da quelli consentiti dalle impressioni e abitudini involontarie. Non esiste, per l’animale, passato o
avvenire: sente e agisce soltanto.
Perciò solo un’ipotesi che si fonda sull’unione di un meccanismo fisico e di
un principio sensitivo può spiegare il comportamento animale. È l’anima che fa
muovere i corpi. Essa dirige e modifica l’attività del corpo in conformità alle diverse sensazioni che eccitano in essa determinate impressioni, le quali possono
29
Ibid., p. A, 119.
Ibid.
31
Ibid.
32
Ibid.
30
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
essere piacevoli o sgradevoli e quindi vantaggiose o svantaggiose per la “macchina” corporea. «Così tutto si lega e si tiene: l’anima, in quanto principio sensitivo, è
sottomessa a un meccanismo che le trasmette in un certo modo l’impressione degli
oggetti esterni; in quanto principio attivo essa domina un altro meccanismo che le
è subordinato, e che, essendo per essa solo strumento d’azione, mette in tale azione
tutta la regolarità necessaria. L’anima della bestia, essendo attiva e sensitiva contemporaneamente e regolando la sua azione sulla sua sensazione e trovando nella
disposizione della sua macchina sia di che sentire agevolmente sia di che eseguire
utilmente e per essa e per il bene delle altre parti dell’universo, è il legame di questo doppio meccanismo; essa ne è la ragione e la causa finale nell’intenzione del
Creatore»33 .
L’anima delle bestie è, per Yvon, paragonabile a un bambino che attiva la molla
di un giocattolo meccanico, senza sapere come la molla funzioni all’interno degli
ingranaggi. È come un agente cieco. Tuttavia è certo che tale molla attivata può
innescare un meccanismo legato al piacere e alla sopravvivenza (che sono i due
elementi fondamentali dell’agire della bestia).
L’abate Yvon continua poi la voce disquisendo sull’immortalità o meno dell’anima delle bestie. Onestamente questa parte della trattazione, per quanto interessante in altri ambiti, non sembra essenziale al percorso che si sta seguendo.
Superiorità dell’anima
Boullier, certamente in questo contesto più radicale di Yvon, giunge a separare le
operazioni del corpo e dell’anima, dimostrando la superiorità dell’anima sul corpo.
L’uomo, infatti, compie molte azioni che non hanno rapporto con i bisogni del
corpo, come quelle legate all’ambito della cultura e della morale. Tale supremazia
è spinta a tal punto da non accettare l’inverso e cioè la predominanza del corpo (e
nemmeno l’azione) sull’anima.
A questo proposito Boullier è sicuramente esplicito. Lascio da parte Yvon per
seguire ancora Boullier, che considera Dio causa universale e immediata che agisce sull’anima. «La materia non può agire realmente e fisicamente»34 . Riprende
addirittura il pensiero di Malebranche a tale proposito, sostenendo che la materia
non è che la causa occasionale dei nostri sentimenti – non si dimentichi però che
anche Yvon ha di certo subito fortemente l’influenza di Malebranche. Secondo
quest’ultimo, Dio, avendo creato gli animali per conservarli, «nel plasmare il loro
corpo, ha fatto sì che evitino, meccanicamente e senza timore, tutto ciò che può distruggerli. Altrimenti si dovrebbe dire che c’è più intelligenza nel più piccolo degli
animali, o persino in un solo seme, di quanta ve ne sia nel più dotato degli uomini»35 . Di fatto quindi gli animali non sono dotati della medesima sensibilità che si
33
Ibid., p. A, 120.
D.R. Boullier, op. cit., p. 325, si veda anche p. 295.
35
N. Malebranche, La ricerca della verità, tr. it. di M. Garin, Laterza, Roma-Bari 1983, libro VI,
parte II, p. 670.
34
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ITINERA – Rivista di Filosofia e di Teoria delle Arti e della Letteratura
riscontra negli uomini poiché la loro è solo il frutto di una particolare disposizione
degli organi. In compenso le manifestazioni d’intelligenza, che innegabilmente si
possono riscontrare negli animali, sono necessariamente imputabili a un intervento
esterno di matrice divina, che assicura all’animale una forma di autoconservazione
senza che esso ne abbia coscienza.
Ora, le conclusioni di Yvon non vanno certo nella stessa direzione, ma ne sono
chiaramente influenzate: è l’anima che sente e non il corpo! Le sensazioni non
esistono nel corpo ma nella nostra coscienza o meglio in ciò che Boullier, appunto,
chiama anima.
D’altra parte Boullier si interessa approfonditamente alla natura delle sensazioni, sebbene si renda conto delle difficoltà che ancora vanno superate: «Sulla
natura delle sensazioni esistono grandi difficoltà; infatti, perché l’anima collega le
sue sensazioni a una causa esterna? Chi induce l’anima a rivestire con le sensazioni gli oggetti dai quali essa le riceve? Perché queste percezioni così vive sono
nello stesso tempo così confuse se le si paragona alle nostre idee? [. . . ] Perché
la sensazione suscitata da un oggetto corporeo e l’idea che esso presenta sono così
strettamente unite e così intimamente mescolate l’una nell’altra tanto che ci è quasi
impossibile distinguerle e separare per esempio l’idea dell’estensione e della figura
di un corpo dal colore sotto il quale e per mezzo del quale, per così dire, vediamo
tale figura e tale superficie?»36 .
Boullier afferma che «ogni sensazione è un ammasso di piccole percezioni indiscernibili»37 . «Le sensazioni uniscono la nostra anima al nostro corpo e mediante
esso all’universo che ci rappresentano nel suo rapporto con noi»38 . L’anima è
quindi «un Essere intelligente» che può avere «l’idea dei corpi senza essere unita
al mondo materiale, senza che vi sia bisogno di supporre che questo mondo esista.
Ma posta l’esistenza di questo mondo, l’anima conosce questo mondo esistente ed
è unita ad esso mediante le Sensazioni che Dio le dà. Le Sensazioni sono idee
rappresentative di questo Mondo esistente, non precisamente come esso è in sé,
ma nel suo rapporto con una porzione di materia organizzata sulla quale i differenti oggetti corporei fanno diverse impressioni. L’anima è resa presente a questo
corpo organico attraverso l’idea confusa che Dio gliene dà e attraverso la sua applicazione immediata, continua e involontaria a rappresentarsi un certo luogo del
cervello chiamato il Sensorium, nel quale terminano tutti i nervi che si estendono
e che si ramificano in tutto il corpo, per trasmettere, verso questo centro comune,
l’impressione di tutti i movimenti che avvengono nel corpo sia che gli siano comunicati dagli oggetti esterni sia che abbiano il loro principio nell’interno stesso della
macchina»39 .
Lo spiritualismo di Boullier e Yvon è innegabile.
Entrambi, poi, servendosi della nozione di esperienza, sono in grado di constatare l’esistenza dell’anima delle bestie ma contemporaneamente anche la differen36
D.R. Boullier, op. cit., p. 308.
Ibid., p. 310.
38
Ibid., p. 333.
39
Ibid., pp. 333-334.
37
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za che separa l’uomo dagli animali. Se l’anima degli animali serve da ornamento
all’universo, essa non può aumentare tuttavia le conoscenze dell’animale né contribuire alla gloria di Dio. Se anche le bestie sono capaci di progressi intellettuali,
non sono affatto capaci di progressi culturali (d’altra parte è la cultura che preoccupa la maggior parte dei pensatori del Settecento). Progressi che si evidenziano
soprattutto nelle scienze e nelle arti, le quali necessitano di quelle idee astratte che
gli animali non possono elaborare. Solo l’uomo è in grado di discernere il bello.
Infine, di contro all’animale, risulta che l’uomo possiede anche un grado maggiore di libertà, che dipende dalla sua capacità di riflettere e articolare pensieri,
nonché dalla possibilità di accrescere le proprie conoscenze, imparando dall’esperienza: la differenza tra una rondine che costruisce un nido e un bambino che
costruisce un castello con le carte risiede proprio nella libertà del bambino di sistemare le carte come preferisce, eludendo una logica ferrea che deve sottostare al
principio di utilità e alla funzione. E d’altra parte che cosa è l’arte se non un modo
di esprimere tale libertà?
Una sede per l’anima
Quel “guscio spregevole”, che è poi il nostro corpo, influisce però in modo determinante «sull’ordine dei pensieri che costituiscono l’esser suo». . . e per fortuna,
visto che ciò è funzionale alla nostra sopravvivenza. Così Diderot.
Le riflessioni sull’anima di Diderot rappresentano la prosecuzione della voce
“Ame”, scritta dall’Abate Yvon e anticipano la voce “Ame des bêtes”. Se Dio può
costruire automi, tanto perfetti quanto un essere vivente, non c’è però motivo per
pensare l’uomo stesso come un puro meccanismo senza anima. E tuttavia, perché
opporre macchina e spirito? Non è meglio pensare a una sorta di automa spirituale,
dato che la percezione non può essere spiegata del tutto attraverso pure ragioni
meccaniche?
Come ammetterne la spiritualità e insieme concederle l’estensione? Diderot si
interroga sulla “sede dell’anima”.
Domina nelle riflessioni di Diderot una prospettiva ricavata sia dalla rimeditazione sul razionalismo empirico sia dall’analisi dei fallimenti della medicina postcartesiana. Dunque, è esplicito l’attacco contro la ghiandola pineale di Cartesio,
definita il parto dell’immaginazione. Nessun organo dell’uomo può essere la sede dell’anima. Come non conosciamo il modo in cui l’anima agisce sugli organi
materiali, allo stesso modo non possiamo scorgere nessun luogo del corpo che possa esserne la sede. Del gioco tra anima e corpo si colgono quindi soltanto effetti
reciproci, anche se il nesso sfugge e «forse non lo scopriremo mai».
Perciò l’unica conclusione che se ne può trarre è che le funzioni del “principio pensante” dipendono strettamente dall’organizzazione e dallo stato attuale del
corpo durante la vita. Se è possibile dubitare dell’esistenza reale dell’anima – non
trovandosi una sede che la contenga –, non è affatto possibile dubitare – data la
sua evidenza empirica – che le nostre capacità intellettuali dipendano strettamente
dalla salute del corpo.
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Diderot, pensando alla struttura complessiva dell’Encyclopédie, si rendeva ben
conto che «la collocazione dell’anima nel corpo» non poteva prescindere da quel
Système figuré des connaissances humaines – prospettato nel Discours préliminaire – che forniva un quadro delle facoltà dell’uomo all’interno delle quali anche
l’anima doveva trovare una sede. Era certo che da questo sistema sarebbe dipeso
anche il ruolo dell’anima.
La scelta della collocazione dell’anima all’interno dell’Encyclopédie è quindi molto delicata e segna per certi versi un passaggio epocale e rivoluzionario, che
risveglia la disputa sulla sua “sede” all’interno del corpo dell’uomo o eventualmente dell’animale. La pneumatologia o scienza dell’anima, non essendo più un appannaggio della metafisica e della teologia, diventa nell’Encyclopédie una scienza
dell’uomo, come essere animato, di cui è innegabile una componente “animale”.
Già le prime righe del Discours préliminaire suggeriscono l’importanza che
viene accordata all’articolazione delle conoscenze: «L’Opera, di cui oggi diamo
il primo volume, ha due obiettivi: come Encyclopédie deve esporre, per quanto
possibile, l’ordine e il complesso delle conoscenze umane: come Encyclopédie,
ou Dictionnaire raisonné des Sciences, des Arts et des Métiers, deve esprimere di
ogni Scienza o di ogni Arte, liberale o meccanica, i principi generali che ne sono la
base e i particolari essenziali che ne formano il corpo e la sostanza»40 . Una doppia
struttura – Dictionnaire e Encyclopédie – che corrisponde da un lato alla semplice
collezione delle conoscenze suddivise per ordine alfabetico, indipendentemente
dal contenuto degli articoli, dall’altro a una vera e propria articolazione gerarchica
interna: «Tre cose formano l’ordine enciclopedico; il nome della Scienza alla quale
l’articolo appartiene; il rango di tale Scienza nell’Albero; il legame dell’articolo
con altri nella stessa Scienza o in Scienze differenti; legame indicato dai rimandi
oppure facile da collegare mediante termini tecnici spiegati secondo il loro ordine
alfabetico»41 .
L’ordine enciclopedico è quindi strettamente legato a due modi di organizzazione interdipendenti.
Il primo è appunto il Système figuré42 , che raggruppa gli articoli secondo una
rappresentazione arborescente e gerarchizzata delle scienze. È uno schema che
deriva da Bacone43 e dalle teorie epistemologiche che ispirano gli enciclopedisti.
Ne è un esempio la suddivisione della medicina di Boerhaave. Il tronco dell’albero
è rappresentato dall’intelligenza, suddivisa in memoria, ragione e immaginazione,
all’interno delle quali le scienze si organizzano in categorie e sottocategorie. La
classificazione del Système figuré si fonda quindi non sulla natura degli oggetti
investigati, ma sul modo in cui l’uomo li concepisce44 .
Il secondo modo di organizzazione interno dell’Encyclopédie è dato dai rinvii
interni. Ma nell’economia del ragionamento qui seguito è di minore interesse.
40
Discours préliminaire, in Encyclopédie, cit.,vol. XIII, p. i.
Ibid., pp. xviii-xix.
42
Cfr. il prospetto del Système figuré, in Encyclopédie, cit., p. lii.
43
Cfr. Observations sur la division des sciences du chancelier Bacon, in Encyclopédie, cit., p. li.
44
Cfr. Discours préliminaire, in Encyclopédie, cit., pp. xxiv-xxv.
41
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Gli articoli che nell’Encyclopédie trattano dell’anima non sono però del tutto
fedeli al sistema arborescente indicato da D’Alembert e Diderot45 . Prendiamo in
considerazione in particolare l’estensore della voce “Ame”.
L’abate Yvon è un «cristiano, tollerante, che prende posizione a favore del teismo». Il suo articolo viene situato all’interno dell’insieme «Entendement, Raison,
Philosophie ou Science des Esprits, de Dieu, des Anges, de l’Ame”, in modo da
accentuare il significato teologico della sua riflessione. Ma era questo l’intento
iniziale degli enciclopedisti?46
Yvon, dopo aver definito l’anima un principio dotato di conoscenza e sentimento, solleva quattro questioni: qual è l’origine dell’anima, quali sono la sua natura e
la sua destinazione e in quali esseri risiede?
La risposta alle prime questioni lo porta alla conclusione secondo la quale la
sensazione prodotta sugli organi dai movimenti dei corpi esterni non è sufficiente
a rendere conto dell’attività cognitiva dell’anima. Contro Epicuro, Spinoza, Hobbes, tutti citati e riuniti insieme, «l’anima non è un ‘corpo’ ma una sostanza distinta la cui essenza è quella di pensare. Ecco ciò che Cartesio aveva compreso. La critica che l’abate conduce contro la teoria ‘empiristica’ della conoscenza
non tiene in alcun conto delle prese di posizione, a tale proposito, dei responsabili
dell’Encyclopédie, Diderot e D’Alembert»47 .
All’ultima questione – quella che qui maggiormente interessa – risponde appunto Diderot, che modifica non poco le conclusioni di Yvon. Diderot si accorge
subito che l’articolo “Ame” dell’abate Yvon tratta della questione nella sua connotazione religiosa e metafisica con tutte quelle cautele dell’ortodossia e del conformismo che lo infastidiscono. Così, apparentemente affrontando un tema collaterale, quello della sede dell’anima, Diderot affronta, in chiave del tutto diversa e
stravolgendone le conclusioni spiritualistiche, le tematiche svolte dall’abate.
L’unità psicofisica dell’uomo nella quale corpo e anima si influenzano reciprocamente, sostenuta da Diderot, non è certo una tematica rivoluzionaria (era già
stata trattata da diversi esponenti della fisiologia, dell’anatomia, della nascente biologia e della filosofia). Certo il modo di inserirsi di Diderot alla fine dell’articolo
“Ame” e prima dell’articolo “Ame des bêtes” dello stesso Yvon non può passare
inosservato e non può non aver influito su alcune conclusioni dello stesso abate.
Dopo aver preso in considerazione il sovrapporsi di tematiche metafisiche su
precisi contesti scientifico-medici, a partire da Cartesio e per tutta la seconda parte
del Seicento, e aver analizzato alcuni momenti del dibattito attorno alla dottrina
cartesiana della ghiandola pineale, l’attenzione di Diderot si sposta verso le tematiche di Jean Vieussens e soprattutto di suo padre Raymond – che aveva studiato
alla scuola di Montpelier, specializzandosi in iatrochimica, di cui a volte però contestava i risultati – che pongono l’anima nel “centro ovale”, tessuto di piccoli vasi
molto sottili e comunicanti all’interno dei quali il sangue si sottilizza a tal punto
45
Cfr. M. Crampe-Casnabet, “Les articles âme dans l’Encyclopédie”, Recherches sur Diderot et
sur l’Encyclopédie, n. 25, octobre 1998.
46
Ibid., p. 92.
47
Ibid., p. 93.
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da diventare spirito vitale. È all’interno di questi canali, quasi del tutto impercettibili, che nascono i moti che danno origine alle idee e alla traccia mnestica48 .
Vieussens padre sapeva ben documentare le proprie osservazioni morfologiche che
tuttavia corredava con spiegazioni fisiologiche piuttosto fantastiche. Diderot lo sa
bene e contesta, per mancanza di supporto sperimentale, la suggestiva ipotesi dei
canalicoli dei Vieussens, padre e figlio.
L’unione del corpo con l’anima, teorizzato da Diderot, rimane quindi nel suo
scritto volutamente privo di alcun supporto empirico e teorico. In effetti l’uomo
non ha nessuna idea immediata di dipendenza o rapporto tra anima (o pensiero).
«Questa unione è quindi un fatto che noi non possiamo mettere in dubbio, ma le
cui modalità ci sono assolutamente ignote»49 .
48
49
Cfr. D. Diderot, “Ame”, in Encyclopédie, cit., pp. A, 111 sgg.
Ibid., p. A, 112.
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