Università di Modena e Reggio Emilia Corso di Laurea Specialistica in Analisi dei conflitti, delle ideologie e della politica nel mondo contemporaneo "Movimenti, volontariato, immigrazione: una interpretazione e una ricerca sul campo" Candidato Gualtiero Via Anno Accademico 2006/2007 Introduzione In questa tesi si tratterà di movimenti collettivi e del loro significato, di giovani, di volontariato, nonché di immigrazione, integrazione e multiculturalismo. Così posti, non potranno che sembrare troppi argomenti per una tesi sola, e dare un'idea di eterogeneità, se non di confusione. Crediamo però di poter proporre un disegno ed un filo argomentativo che tenga insieme questi vari oggetti di ricerca e riflessione. Argomenteremo qui quello che possiamo chiamare un “allargamento di campo” nell'interpretazione del fenomeno del volontariato e del suo significato nel particolare contesto dell'Italia. Per questa via, si tenterà di pervenire ad un altro nodo di rilievo della riflessione civile nonché storiografica, e cioè il giudizio da dare sui movimenti collettivi (o di contestazione, o come si preferisca chiamarli) e sul loro posto e la loro funzione nella storia della società italiana. Per quanto possa parere ardito il passaggio dal “volontariato” ai movimenti di contestazione, esso ci sembra come minimo suggerito, se non autorizzato, dalla lettura di un passo di un'opera celebre di uno dei nostri più eminenti storici del Novecento, Federico Chabod. Di tutto questo si argomenterà nel primo capitolo. Unitamente a quanto appena esposto la tesi presenta, in quanto esempio di attività di volontariato, una ricerca su di una esperienza radicata nella città di Bologna e in particolare nel suo contesto universitario: la Scuola di italiano per stranieri del Centro Poggeschi. Del Centro Poggeschi verranno illustrate per sommi capi la storia e le caratteristiche, e quindi verranno illustrate le modalità della ricerca sulla Scuola di italiano, i suoi obiettivi, nonché i risultati, che verranno analizzati e discussi. La Scuola di italiano per stranieri di cui ci occuperemo si rivolge in modo particolare agli immigrati extracomunitari e dell'Europa dell'Est, ed ha come scopo fondamentale, come vedremo, non tanto quello di insegnare l'italiano (che è concepito più come un mezzo), quanto quello di offrire occasioni di incontro ed integrazione fra gli studenti universitari e la popolazione straniera immigrata. Questo dell'immigrazione è un altro nucleo tematico rilevante della presente ricerca. Dell'immigrazione verranno almeno tratteggiati i contorni, facendo riferimento alla più aggiornata letteratura specifica, nonché discussi alcuni dei nodi problematici ad essa connessi, con particolare attenzione ai temi dell'integrazione e del “multiculturalismo”. Conclusioni Crediamo si possa dire che la tematica del volontariato nel nostro paese si intreccia in modo assai stretto con quella della partecipazione politica. Vi sono state stagioni di intensa partecipazione politica seguite ad altre di relativa crisi e disillusione, e concomitante espansione dell'impegno volontario in senso solidaristico. Gli uni e gli altri sono fenomeni leggibili sotto più punti di vista. In quanto attività oggettive, prestate entro strutture dagli scopi definiti, è legittimo indagare e collocare separatamente l'attività politica e quella di volontariato in senso solidaristico (sebbene anche da questo punto di vista possano presentarsi punti di contatto significativi, per esempio a proposito di cooperazione internazionale, disagio sociale, immigrazione). Se però ci spostiamo sul versante soggettivo dei singoli che prestano la loro attività, allora mantenere sempre separati i due oggetti di indagine diventa meno giustificabile. La sociologia degli ultimi decenni ha fatto fare dei progressi significativi alla capacità di comprensione delle società moderne (per tutti, Melucci, 1976) quando ha allargato ai movimenti di contestazione, che erano stati tenuti a lungo nel limbo delle manifestazioni puramente irrazionali e/o distruttive, le categorie fino ad allora utilizzate nell'analisi delle organizzazioni sociali più tradizionali e formali. Proseguendo lungo questa strada, nel corso degli anni Ottanta e Novanta si è indagato sia sui movimenti (Della Porta, 1996), che presentavano mutamenti rilevanti rispetto ai due decenni precedenti, che su manifestazioni più peculiari ed estreme quali ad esempio il terrorismo armato (Della Porta, 1990). Si è trattato di ricerche preziose, che hanno consentito di ampliare le conoscenze sia sulla gamma di motivazioni diverse con cui medesime scelte furono compiute, sia sulla dialettica non scontata fra la “domanda” rappresentata dai movimenti e le risposte del sistema politico. Una delle chiavi di comprensione adottate dagli studi citati (ma anche di altri, per tutti, Tarrow, 1990), e alla quale noi pure si è fatto ricorso, è quella di “struttura delle opportunità politiche”. E' una categoria di cui possiamo ampliare la portata, se le togliamo l'aggettivo. Potremo allora parlare di “struttura delle opportunità”, secondo i casi, dell'impegno, dell'attivismo, della partecipazione, della ricerca di senso, della socializzazione. Tanto la partecipazione ai movimenti collettivi quanto quella ad iniziative del volontariato, rispondono ad una gamma ampia di motivazioni, che si può distribuire lungo un ideale ampio continuum, che vede a un estremo obiettivi molto mirati sul sé, e all'estremo opposto obiettivi tutti proiettati all'esterno. Si “impegnano” persone che dalla società reclamano qualcosa, ma anche persone che in essa cercano qualcosa o fuggono da qualcosa, persone che hanno qualcosa da dare, persone che altrimenti si sentirebbero sprecate e ancora, persone in cerca di occasioni di incontrare altre persone. La geologia insegna che identici materiali di partenza danno luogo a rocce diverse in tempi e condizioni diverse. Crediamo che qualcosa del genere si possa ipotizzare per la dinamica sociale. Non crediamo siano da considerare mutate in modo straordinario le esigenze di base delle persone che hanno deciso di impegnarsi socialmente, negli ultimi trenta, quaranta o più anni, sono mutate però le condizioni -e non ultima, è mutata la struttura delle opportunità. Prima di formulare qualche considerazione conclusiva su questo, però, dovremo dire qualcosa sulla nostra ricerca sul campo. Alla rassegna, inevitabilmente sintetica, sulle forme così diverse di impegno che si sono succedute nei decenni, abbiamo affiancato lo studio di un caso specifico, il Centro Poggeschi. Cosa possiamo leggere nell'attività di questa esperienza, nel suo interagire nel corso degli anni con centinaia e centinaia di persone che si sono impegnate e si impegnano in esso tuttora? Una delle prime cose che emerge è che il Centro è in grado di fornire risposte ad una gamma assai ampia di esigenze. Si può frequentare il Poggeschi spinti da una motivazione di crescita spirituale, e lo si può frequentare per fare un'esperienza di volontariato: in mezzo stanno molte possibilità diverse, prevalentemente di socializzazione (i pranzi del giovedì), di studio interdisciplinare (i seminari), e di varia altra natura (corsi di ebraico e arabo, microprogetti di cooperazione, scoutismo universitario, eccetera). Oltre a questo, l'offerta di attività del Centro non è rigida: esso è aperto alle proposte nuove che possono provenire dagli studenti. Questa apertura è citata come caratteristica particolarmente positiva da più d'una delle interviste raccolte, e ha consentito di allargare ulteriormente negli ultimi anni il ventaglio delle attività svolte o ospitate: rassegne di musica, corsi di clown, collaborazione con una radio locale (fra l'altro, vicina all'area di movimento e assai politicizzata1). Sembra che un'altra chiave del successo del Centro stia nella sua capacità di restare centrato sulla sua finalità fondamentale, quella cioè di offrire occasioni di attività formative -certo, intese in senso assai ampio- agli studenti. Come abbiamo visto, questo è reso possibile dal fondarsi del Centro su di un progetto condiviso definito nelle sue varie parti: presupposti, scopi, strumenti. Appare notevole poi come abbiamo già sottolineato, che una realtà che nasceva in modo così fortemente segnato da un leader con caratteristiche di trascinatore carismatico abbia saputo superare senza contraccolpi la partenza di quest'ultimo. Cercando di tratteggiare ciò che definisce il Centro, sembra che si possa parlare di una miscela che vede convivere: 1 Si tratta di Radio Città Fujiko, una delle più vecchie radio libere di Bologna, legata storicamente alla vecchia Democrazia Proletaria, e in ani più recenti a Rifondazione Comunista. Per una realtà, quale il Poggeschi, in cui pochi anni prima fu discussa come scelta delicata, paventata come rischiosa da alcuni membri, quella di entrare in rete col Nodo Lilliput, appare una scelta non scontata) − primato della pratica (ad esempio, l'integrazione è un valore: se rientra spesso fra i temi dei seminari, è sempre, tutti gli anni, alla base dell'attività più rilevante del Centro, per mezzo della scuola) − centralità della funzione formativa, esplicata però senza affidarsi a modelli rigidi, con grande apertura e flessibilità − valorizzazione dello studio interdisciplinare − attenzione alle dinamiche interne al Centro (mediante il monitoraggio svolto dal Direttivo e momenti dedicati di riflessione interna, anche con l'ausilio di facilitatori e in forma seminariale: vi fa riferimento in particolare l'intervista a S. Carboni, coordinatrice del Poggeschi fino a pochi mesi fa). Sarebbe pedante riprendere uno per uno questi punti per soppesare quanto si tratti di modalità riportabili ad altri contesti, sia di volontariato che di azione collettiva, anche politica. Non ci sono dubbi sul fatto che il primato della pratica sia una chiave per il buon funzionamento dei gruppi, in un grandissimo numero di casi. Nel nostro esempio vediamo un primato della pratica che non presenta il limite -non raro in altri ambiti, anche politici- dell'attivismo fine a se stesso, o della incapacità di unire ad esso forme di riflessione (per esempio, propria delle esperienze di volontariato ripiegate unicamente sulla gestione ordinaria, a cui facevano riferimento diversi autori citati nel capitolo II). Per ogni contesto o gruppo che si misuri in forme di pratica sociale qualsivoglia questi sono tratti importanti, requisiti forse non sufficienti ma sicuramente necessari dell'efficacia e del successo. Con questo, possiamo tornare alle nostre considerazioni conclusive, sul piano più generale. Gli anni Sessanta-Settanta possono essere presi come il picco massimo della popolarità dell'impegno politico. Un tipo di impegno che tendeva, oltre che ad attrarre persone di ambienti sempre più ampi, a condizionare e “colonizzare” anche comportamenti e linguaggi che estendevano la loro portata all'intera società (arte, pubblicità, tecniche della comunicazione, paradigmi pedagogici2). Alla fase di iperpoliticizzazione (ci si passi la brutta parola) è seguita una crisi che però ha visto un rapido aggiornarsi della struttura delle opportunità, con la comparsa dei “single issue movements”, una parte dei quali sono stati l'anticamera organizzativa e culturale della fioritura di associazioni ed Ong della “stagione del volontariato”, esplosa negli anni Novanta e tuttora in 2 La cosa si può leggere -come è stato fatto- anche in senso inverso: pubblicità, comunicazione, arte e altri ambiti cominciarono abbastanza presto a metabolizzare e spesso a banalizzare e neutralizzare contenuti, valori, scopi, repertori d'azione della protesta, che veniva degradata a moda, stereotipo, cliché generazionale. rigoglio (nonostante la recente sensibile flessione della partecipazione giovanile). Di questa sorta di “mondo” sempre più strutturato, retto da gruppi dirigenti manageriali e dotato di sue riviste, fondazioni, esperti, abbiamo fato cenno per quanto interessava i nostri scopi nel capitolo II. Che si studino la partecipazione politica strettamente intesa o l'impegno nel volontariato, si ha sempre a che fare, inevitabilmente, con una sovrastruttura fatta di attori collettivi (secondo i casi, movimenti strutturati, associazioni, fondazioni, enti locali), linguaggi, nonché rapporti determinati coi decisori politici (che a loro volta esercitano un potere di condizionamento sull'intera sovrastruttura). In tutto questo, le condizioni di base e i mutamenti effettivi in atto nella società possono anche restare lontani e sullo sfondo. Qui più che altrove, trovandosi a contatto con attori collettivi che vantano come “ragione sociale” alte motivazioni etiche, è necessario che si persegua una separazione fra attore e osservatore, fra progetto in essere e sua valutazione. Un fenomeno sociale non può dirsi scandagliato esaustivamente se se ne ascolta la descrizione soggettiva di uno solo degli attori coinvolti. Sarà necessario raccogliere più voci di più attori, e soprattutto assumersi l'onere, come ricercatori, di una propria indagine con strumenti obiettivi3. Nei limiti dei tempi e delle fonti di cui abbiamo potuto disporre, questo è ciò che abbiamo cercato di fare, muovendoci sui vari terreni e fenomeni, un po' diversificati, che inevitabilmente sono entrati in gioco nel verificare un'ipotesi come la nostra. Ci sembra molto ragionevole supporre che una parte della facilità con cui la società italiana fornisce attori ai “movimenti”, attraverso i decenni e le generazioni, non sia da considerare in modo univocamente benevolo e compiaciuto. In determinati, felici casi concreti i movimenti possono essere i portatori delle risposte possibili a problemi altrettanto determinati e concreti, o quantomeno, attori necessari e legittimi della loro risoluzione. In molti altri casi i movimenti faticano a sollevarsi al di sopra della funzione di rappresentare niente altro che uno degli aspetti dei problemi aperti. Se la nostra società fosse meno scollata, se interi comparti lavorativi fossero meno dei meri “posti”4 e fossero più votati a perseguire la qualità dei servizi forniti e il soddisfacimento dei clienti e/o del pubblico, si supporre che sarebbe maggiore la quota di popolazione che trova realizzazione 3 Non vogliamo sottrarre a un'obiezione facilmente prevedibile: quella secondo cui l'obiettività sarebbe un obiettivo irrealistico. Se fatta con buonsenso è un'obiezione sensata: solo persone molto ingenue possono pensare che nelle scienze sociali sia possibile perseguire un'obiettività assoluta. Ci pare però che esistano diffusi esempi di assunzione radicale -di relativismo radicale, cioè nichilistico- di questo assunto, col quale dissentiamo in modo categorico. Anche nel mondo delle relazioni umane e sociali esistono fatti accertabili, pratiche verificabili, moventi riconoscibili, una comunità scientifica dotata di tecniche confrontabili. Questo patrimonio comune, se utilizzato e condiviso da ricercatori consapevoli, spinti da una reale volontà di comprensione reciproca e soprattutto dall'idea di partecipare -idealmente- di una medesima impresa, quella della conoscenza, è qualcosa di inestimabile, che può consentire di rendere comprensibile anche manifestazioni che al loro apparire sembrano non esserlo. 4 Nel senso di puri e semplici mezzi e strumenti di percezione di un salario, al di fuori di ogni logica più che opportunistica e strumentale. e possibilità di esprimersi nel proprio lavoro, e calerebbe la ricerca di compensazioni in contesti extralavorativi. Se il sistema politico fosse tale da considerare suo compito fisiologico, fra gli altri, quello della capacità di ascolto delle domande emergenti dal corpo sociale, non avremmo un panorama politico polarizzato fra un sistema di partiti chiuso e castale ed una conflittualità sociale facilmente soggetta alla tentazione della protesta fine a sé stessa e non propositiva. Se, da ultimo, non fosse comune a quasi tutte le forze politiche l'idea della spesa sociale come costo da comprimere, è assai improbabile che avremmo il fiorire di enfasi mediatica, incoraggiamento istituzionale e vera e propria propaganda a favore di un “volontariato” idealizzato in modo acritico e sospetto. La lista delle tare e miserie nazionali potrebbe continuare, ma non avrebbe senso. Non è prevalentemente di tare e miserie che ci siamo occupati indagando tanto i movimenti che l'impegno volontario. Nelle società e culture determinate che più sono attraversate da conflitti, è normale che la definizione della propria particolare società o cultura sia di per sé problematica: così è, crediamo, per il nostro paese. Crediamo parimenti che qui stia un compito inevaso il quale i nostri più gravi e annosi problemi non potranno trovare soluzione. Alla disponibilità e generosità di grande parte dei nostri concittadini e dei nostri giovani non si offrono progetti di impegno che abbiano l'ambizione di aggredire le nostre tare culturali e nazionali (alcune delle quali sono recenti, come quelle della gestione dei rifiuti o delle politiche dell'immigrazione, ma altre sono secolari, come la tentazione di mistificare retoricamente i fatti che imbarazzano, anziché isolarli e affrontarli metodicamente). La risposta non è e non potrà essere uno “scegliere” fra i due poli dell'impegno politico o del sostegno al volontariato. Crediamo di aver mostrato come in entrambi i casi possa avvenire che la moneta cattiva scacci quella buona, per così dire. La risposta potrebbe venire da un vero e proprio progetto politico capace di integrare in sé: - modelli e pratiche di partecipazione politica realmente democratici ed orizzontali, - paradigmi pedagogici e comunicativi moderni ed aperti, concepiti nello spirito della reciprocità e della crescita integrale della persona, - un approccio ai problemi aperti e ai conflitti ispirato alle metodologie nonviolente, cioè che parta dal coinvolgimento esplicito e dal protagonismo sollecitato di tutti gli attori dei conflitti, e non dall'esclusivo sostegno (o utilizzo demagogico) di uno o qualcuno di essi, contro altri. Sono proposte di cui ci assumiamo la paternità, e che vanno ben oltre ciò che si può dedurre dalla nostra ricerca, ne siamo consapevoli. Ma le sintesi sono -non possono essere altro- operazioni intellettuali interpretative, non frutti spontanei delle cose (casomai, può accadere che tali possano sembrare, o essere definite, a posteriori, dopo che si sono affermate con successo). Crediamo almeno di aver mostrato come, scendendo dal livello dei dirigenti o degli “opinion maker” a quello delle persone comuni che fanno volontariato, si trovino pochi o punto esempi di iperboli esaltatorie, e invece numerosi esempi di realistica consapevolezza, vuoi del lato “egoistico” della faccenda (ad esempio, volontariato come modo di accumulare esperienza da utilizzare poi nel lavoro), vuoi della necessità di un'adeguata formazione per essere realmente utili, vuoi del costante rischio di essere strumentalizzati per poter attuare tagli di personale (Ambrosini, 2004). In troppi casi, nei decenni passati, un cattivo connubio fra il leaderismo di poche persone carismatiche (dotate intellettualmente ma corruttibili intimamente) e l'indole gregaria di tante, ha messo in scacco la genuina generosità dei più. E in troppi casi oggi la miscela di ingenuità, piccolo calcolo o ambizione dei manager del volontariato sociale si sposa con le politiche di risparmio neoliberiste (mai confessate come tali) dei decisori politici. Chi vede lucidamente i rischi delle cattive pratiche e dei polveroni verbali a coprire lo sporco sotto al tappeto (Albanesi, 2007, 2007b, Nervo, 2007) è visibilmente fuori dai giochi. Tutto questo lo registriamo, semplicemente: accanto -o sotto- vi è e resta il corpo sociale, con suoi problemi, le sue storie, la sua vita quotidiana. Tanto più vi saranno ricercatori delle diverse branche -accanto a giornalisti, ci teniamo ad aggiungere- che soprattutto al corpo sociale vorranno e sapranno guardare, e che i cambiamenti che in esso si agitano sapranno interrogare, tanto più vi saranno le condizioni per capire in che società viviamo, chi siamo, e in che direzione e con quali mezzi ha più senso che ci impegniamo. Se questa ricerca -al di là dei tanti limiti, di cui siamo consapevoli, e delle parti discutibili o degli errori che potrà contenere, di cui ci scusiamo- avrà invogliato il lettore a considerare con occhi nuovi e diversi la partecipazione politica e l'impegno volontario, il nostro sforzo non sarà stato vano. Con tutti coloro che di questi mondi fanno parte, in quanto attori, dirigenti, cronisti, semplici partecipanti di base, l'auspicio è quello di un confronto franco e leale. Documenti - 1 Il Patto associativo del Centro Poggeschi Finalità Il Centro Poggeschi si propone come centro di formazione per giovani universitari, nell’intento di fornire percorsi di consolidamento dell’identità e percorsi di maturazione di tutti gli aspetti che compongono l’equilibrio della persona: culturale, sociale, civico e spirituale, oltre che professionale, precipuo dell’università stessa. È convinzione che la crescita integrale della persona possa portarla ad una partecipazione serena ed attiva alla vita del territorio in cui vive per il bene comune e lo sviluppo della società. È proposto un cammino di crescita comunitario che non vincola i giovani ad una scelta di fede e rappresenta una opportunità di confronto e collaborazione per maturare consapevolezza delle proprie qualità e capacità, nonché di sostegno per responsabili scelte di vita e di servizio. Riferimenti antropologici L’attività formativa del Centro è mirata allo sviluppo di una persona responsabile e consapevole della importanza delle proprie scelte personali; conscia delle opportunità ricevute, curiosa ed animata da spirito positivamente critico ed orientato al servizio; sensibile agli stimoli e ai bisogni della società ed in grado di sviluppare una propria coscienza politica e sociale; dedita allo studio, non per un sapere fine a se stesso, ma mirato ad azioni concrete che sappiano rispondere alle esigenze del territorio in cui vive e da cui proviene; capace di attivare alleanze per condividere progetti ed obiettivi pur nella consapevolezza delle proprie appartenenze e convinzioni culturali, religiose, politiche, professionali; capace infine di cogliere ed esprimere la presenza e l’azione dello Spirito in una prospettiva salvifica di miglioramento della società. Formazione Integrata L’azione del Centro Poggeschi tende ad una formazione integrata che comprenda, come detto, tutti gli aspetti che compongono l’equilibrio della persona. Integrata anche perché si vede necessario che siano rispettate le varie provenienze degli studenti sul piano spirituale, culturale ed ideologico, per evitare una proposta che diventi, già in fase iniziale, esclusiva e selettiva. L’obiettivo di formazione integrata comprende poi, da parte degli studenti, il riconoscimento della loro vocazione alla fede, ma anche delle loro qualità di creatività, di autonomia nel valutare le proposte della società, di responsabilità come cittadini e, non ultimo, di impegno sociale nei settori di maggior disagio o di sofferenza. Si ritiene infatti che il confronto con il dolore, con lo svantaggio, con l’ingiustizia, sia indispensabile per indirizzare le qualità intellettuali, morali e tecniche del futuro professionista al miglioramento del quadro sociale e non solo all’autoaffermazione. In questa ottica, l’azione formativa del Centro Poggeschi, pur indirizzata principalmente agli studenti universitari, passa anche attraverso il coinvolgimento di adulti la cui presenza è importante opportunità per il confronto generazionale, umano e professionale. La presenza dei adulti, inoltre, garantisce la continuità delle varie iniziative ed attività presenti nel Centro stesso, che costituiscono luogo irrinunciabile in cui lo studente può sperimentarsi e sperimentare percorsi e progetti di servizio, di impegno civile, sociale e spirituale. Il Centro Poggeschi pertanto favorisce la collaborazione con gruppi o associazioni nei quali i giovani universitari possano inserirsi ed impegnarsi, e valuta dinamicamente, nel corso degli anni e con l’evolvere delle situazioni, le collaborazioni più opportune in sintonia con le finalità suddette. Strumenti e Metodi Il Centro Poggeschi ha sperimentato nel corso degli anni vari ambiti ed occasioni formative che ripropone, in modo non esclusivo, mantenendosi aperto a nuove metodologie e formulazioni. Se ne suggeriscono alcune. Le occasioni di vita spirituale di una comunità in ricerca, che si esplicano nell’ascolto della Parola di Dio, nei momenti di preghiera, nelle celebrazioni, nelle occasioni di approfondimento e discernimento spirituale attraverso ritiri e esercizi ignaziani, nei percorsi famigliari di educazione alla fede, offrono una gradualità di partecipazione in cui si possa liberamente maturare il senso di appartenenza al disegno di amore dello Spirito e allo sforzo storico della Chiesa. L’incontro con altre esperienze religiose, e non, dovrebbe contribuire a far crescere il rispetto, la conoscenza, il desiderio di comunione, l’impegno per obiettivi di interesse condivisi, positivamente rivolti alla pace, alla non violenza e alla solidarietà. Le proposte di ricerca scientifica e di elaborazione culturale si basano sulla necessità di un approccio interdisciplinare e di un confronto professionale sul piano operativo. Esse trovano concreta attuazione in seminari che propongono ed approfondiscono temi di attualità, tratteggiando anche concreti percorsi di impegno, e in tirocini di servizio attivo in collaborazione con gruppi di volontariato presenti nel Centro, o che con esso collaborano, e con l’università stessa. I momenti di ascolto tra studenti e adulti, a livello individuale o di piccoli gruppi, preparano i giovani prossimi all’ingresso nel mondo del lavoro, permettendo il confronto con professionisti su specifici temi connessi alla formazione e all’agire in ambito professionale. Le attività di incontro, accoglienza ed ascolto dei più deboli ed oppressi, individuando le varie emergenze sociali quali ad esempio i senza fissa dimora, i detenuti, gli immigrati, esercitano i giovani alla lettura del territorio e del tempo in cui vivono per la ricerca di risposte solidali. Il centro di documentazione sulla mondialità rappresenta luogo di approfondimento sui problemi dei diritti umani, della mondialità, del rapporto tra le nazioni, della pace. La presenza di progetti di aiuto economico e culturale e di viaggi nei paesi più poveri fornisce infine la possibilità di vivere in prima persona le difficoltà di un equilibrato sviluppo mondiale e di contribuire concretamente ad azioni si aiuto e solidarietà. Bibliografia Autori vari 1969 Giovani nuova frontiera, Torino, SEI, 1969. Autori vari (Osservatorio del Volontariato) 2007 L'identikit di un volontariato, in Communitas, n.16, 2007, pp.15-47 Adonis 2006 Oceano nero, Parma, Guanda. Albanesi, V. 2007a Addetti al non profit: utili idioti?, in Lo Straniero, n.81, marzo 2007. 2007b Per non essere “utili idioti”, in Lo Straniero, n.85, luglio 2007. Ambrosini, M. 2004 I giovani per gli altri e per sé, in Rivista del volontariato, n.7/2004, Roma, Fivol. 2005 Sociologia delle migrazioni, Bologna, Il Mulino. 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