"Movimenti, volontariato, immigrazione: una interpretazione e una

Università di Modena e Reggio Emilia
Corso di Laurea Specialistica in
Analisi dei conflitti, delle ideologie e della politica nel mondo contemporaneo
"Movimenti, volontariato, immigrazione:
una interpretazione e una ricerca sul campo"
Candidato
Gualtiero Via
Anno Accademico 2006/2007
Introduzione
In questa tesi si tratterà di movimenti collettivi e del loro significato, di giovani, di
volontariato, nonché di immigrazione, integrazione e multiculturalismo. Così posti, non potranno
che sembrare troppi argomenti per una tesi sola, e dare un'idea di eterogeneità, se non di confusione.
Crediamo però di poter proporre un disegno ed un filo argomentativo che tenga insieme questi vari
oggetti di ricerca e riflessione.
Argomenteremo qui quello che possiamo chiamare un “allargamento di campo”
nell'interpretazione del fenomeno del volontariato e del suo significato nel particolare contesto
dell'Italia. Per questa via, si tenterà di pervenire ad un altro nodo di rilievo della riflessione civile
nonché storiografica, e cioè il giudizio da dare sui movimenti collettivi (o di contestazione, o come
si preferisca chiamarli) e sul loro posto e la loro funzione nella storia della società italiana. Per
quanto possa parere ardito il passaggio dal “volontariato” ai movimenti di contestazione, esso ci
sembra come minimo suggerito, se non autorizzato, dalla lettura di un passo di un'opera celebre di
uno dei nostri più eminenti storici del Novecento, Federico Chabod. Di tutto questo si argomenterà
nel primo capitolo.
Unitamente a quanto appena esposto la tesi presenta, in quanto esempio di attività di
volontariato, una ricerca su di una esperienza radicata nella città di Bologna e in particolare nel suo
contesto universitario: la Scuola di italiano per stranieri del Centro Poggeschi. Del Centro
Poggeschi verranno illustrate per sommi capi la storia e le caratteristiche, e quindi verranno
illustrate le modalità della ricerca sulla Scuola di italiano, i suoi obiettivi, nonché i risultati, che
verranno analizzati e discussi.
La Scuola di italiano per stranieri di cui ci occuperemo si rivolge in modo particolare agli
immigrati extracomunitari e dell'Europa dell'Est, ed ha come scopo fondamentale, come vedremo,
non tanto quello di insegnare l'italiano (che è concepito più come un mezzo), quanto quello di
offrire occasioni di incontro ed integrazione fra gli studenti universitari e la popolazione straniera
immigrata. Questo dell'immigrazione è un altro nucleo tematico rilevante della presente ricerca.
Dell'immigrazione verranno almeno tratteggiati i contorni, facendo riferimento alla più
aggiornata letteratura specifica, nonché discussi alcuni dei nodi problematici ad essa connessi, con
particolare attenzione ai temi dell'integrazione e del “multiculturalismo”.
Conclusioni
Crediamo si possa dire che la tematica del volontariato nel nostro paese si intreccia in modo
assai stretto con quella della partecipazione politica. Vi sono state stagioni di intensa partecipazione
politica seguite ad altre di relativa crisi e disillusione, e concomitante espansione dell'impegno
volontario in senso solidaristico. Gli uni e gli altri sono fenomeni leggibili sotto più punti di vista.
In quanto attività oggettive, prestate entro strutture dagli scopi definiti, è legittimo indagare e
collocare separatamente l'attività politica e quella di volontariato in senso solidaristico (sebbene
anche da questo punto di vista possano presentarsi punti di contatto significativi, per esempio a
proposito di cooperazione internazionale, disagio sociale, immigrazione). Se però ci spostiamo sul
versante soggettivo dei singoli che prestano la loro attività, allora mantenere sempre separati i due
oggetti di indagine diventa meno giustificabile.
La sociologia degli ultimi decenni ha fatto fare dei progressi significativi alla capacità di
comprensione delle società moderne (per tutti, Melucci, 1976) quando ha allargato ai movimenti di
contestazione, che erano stati tenuti a lungo nel limbo delle manifestazioni puramente irrazionali e/o
distruttive, le categorie fino ad allora utilizzate nell'analisi delle organizzazioni sociali più
tradizionali e formali. Proseguendo lungo questa strada, nel corso degli anni Ottanta e Novanta si è
indagato sia sui movimenti (Della Porta, 1996), che presentavano mutamenti rilevanti rispetto ai
due decenni precedenti, che su manifestazioni più peculiari ed estreme quali ad esempio il
terrorismo armato (Della Porta, 1990). Si è trattato di ricerche preziose, che hanno consentito di
ampliare le conoscenze sia sulla gamma di motivazioni diverse con cui medesime scelte furono
compiute, sia sulla dialettica non scontata fra la “domanda” rappresentata dai movimenti e le
risposte del sistema politico.
Una delle chiavi di comprensione adottate dagli studi citati (ma anche di altri, per tutti,
Tarrow, 1990), e alla quale noi pure si è fatto ricorso, è quella di “struttura delle opportunità
politiche”. E' una categoria di cui possiamo ampliare la portata, se le togliamo l'aggettivo. Potremo
allora parlare di “struttura delle opportunità”, secondo i casi, dell'impegno, dell'attivismo, della
partecipazione, della ricerca di senso, della socializzazione.
Tanto la partecipazione ai movimenti collettivi quanto quella ad iniziative del volontariato,
rispondono ad una gamma ampia di motivazioni, che si può distribuire lungo un ideale ampio
continuum, che vede a un estremo obiettivi molto mirati sul sé, e all'estremo opposto obiettivi tutti
proiettati all'esterno.
Si “impegnano” persone che dalla società reclamano qualcosa, ma anche persone che in essa
cercano qualcosa o fuggono da qualcosa, persone che hanno qualcosa da dare, persone che
altrimenti si sentirebbero sprecate e ancora, persone in cerca di occasioni di incontrare altre persone.
La geologia insegna che identici materiali di partenza danno luogo a rocce diverse in tempi e
condizioni diverse. Crediamo che qualcosa del genere si possa ipotizzare per la dinamica sociale.
Non crediamo siano da considerare mutate in modo straordinario le esigenze di base delle persone
che hanno deciso di impegnarsi socialmente, negli ultimi trenta, quaranta o più anni, sono mutate
però le condizioni -e non ultima, è mutata la struttura delle opportunità. Prima di formulare qualche
considerazione conclusiva su questo, però, dovremo dire qualcosa sulla nostra ricerca sul campo.
Alla rassegna, inevitabilmente sintetica, sulle forme così diverse di impegno che si sono
succedute nei decenni, abbiamo affiancato lo studio di un caso specifico, il Centro Poggeschi. Cosa
possiamo leggere nell'attività di questa esperienza, nel suo interagire nel corso degli anni con
centinaia e centinaia di persone che si sono impegnate e si impegnano in esso tuttora? Una delle
prime cose che emerge è che il Centro è in grado di fornire risposte ad una gamma assai ampia di
esigenze. Si può frequentare il Poggeschi spinti da una motivazione di crescita spirituale, e lo si può
frequentare per fare un'esperienza di volontariato: in mezzo stanno molte possibilità diverse,
prevalentemente di socializzazione (i pranzi del giovedì), di studio interdisciplinare (i seminari), e
di varia altra natura (corsi di ebraico e arabo, microprogetti di cooperazione, scoutismo
universitario, eccetera). Oltre a questo, l'offerta di attività del Centro non è rigida: esso è aperto alle
proposte nuove che possono provenire dagli studenti. Questa apertura è citata come caratteristica
particolarmente positiva da più d'una delle interviste raccolte, e ha consentito di allargare
ulteriormente negli ultimi anni il ventaglio delle attività svolte o ospitate: rassegne di musica, corsi
di clown, collaborazione con una radio locale (fra l'altro, vicina all'area di movimento e assai
politicizzata1). Sembra che un'altra chiave del successo del Centro stia nella sua capacità di restare
centrato sulla sua finalità fondamentale, quella cioè di offrire occasioni di attività formative -certo,
intese in senso assai ampio- agli studenti. Come abbiamo visto, questo è reso possibile dal fondarsi
del Centro su di un progetto condiviso definito nelle sue varie parti: presupposti, scopi, strumenti.
Appare notevole poi come abbiamo già sottolineato, che una realtà che nasceva in modo così
fortemente segnato da un leader con caratteristiche di trascinatore carismatico abbia saputo superare
senza contraccolpi la partenza di quest'ultimo. Cercando di tratteggiare ciò che definisce il Centro,
sembra che si possa parlare di una miscela che vede convivere:
1 Si tratta di Radio Città Fujiko, una delle più vecchie radio libere di Bologna, legata storicamente alla
vecchia Democrazia Proletaria, e in ani più recenti a Rifondazione Comunista. Per una realtà, quale il
Poggeschi, in cui pochi anni prima fu discussa come scelta delicata, paventata come rischiosa da alcuni
membri, quella di entrare in rete col Nodo Lilliput, appare una scelta non scontata)
−
primato della pratica (ad esempio, l'integrazione è un valore: se rientra spesso fra i temi dei
seminari, è sempre, tutti gli anni, alla base dell'attività più rilevante del Centro, per mezzo della
scuola)
−
centralità della funzione formativa, esplicata però senza affidarsi a modelli rigidi, con grande
apertura e flessibilità
−
valorizzazione dello studio interdisciplinare
−
attenzione alle dinamiche interne al Centro (mediante il monitoraggio svolto dal Direttivo e
momenti dedicati di riflessione interna, anche con l'ausilio di facilitatori e in forma seminariale:
vi fa riferimento in particolare l'intervista a S. Carboni, coordinatrice del Poggeschi fino a pochi
mesi fa).
Sarebbe pedante riprendere uno per uno questi punti per soppesare quanto si tratti di
modalità riportabili ad altri contesti, sia di volontariato che di azione collettiva, anche politica. Non
ci sono dubbi sul fatto che il primato della pratica sia una chiave per il buon funzionamento dei
gruppi, in un grandissimo numero di casi. Nel nostro esempio vediamo un primato della pratica che
non presenta il limite -non raro in altri ambiti, anche politici- dell'attivismo fine a se stesso, o della
incapacità di unire ad esso forme di riflessione (per esempio, propria delle esperienze di
volontariato ripiegate unicamente sulla gestione ordinaria, a cui facevano riferimento diversi autori
citati nel capitolo II). Per ogni contesto o gruppo che si misuri in forme di pratica sociale
qualsivoglia questi sono tratti importanti, requisiti forse non sufficienti ma sicuramente necessari
dell'efficacia e del successo. Con questo, possiamo tornare alle nostre considerazioni conclusive, sul
piano più generale.
Gli anni Sessanta-Settanta possono essere presi come il picco massimo della
popolarità
dell'impegno politico. Un tipo di impegno che tendeva, oltre che ad attrarre persone di ambienti
sempre più ampi, a condizionare e “colonizzare” anche comportamenti e linguaggi che estendevano
la loro portata all'intera società (arte, pubblicità, tecniche della comunicazione, paradigmi
pedagogici2). Alla fase di iperpoliticizzazione (ci si passi la brutta parola) è seguita una crisi che
però ha visto un rapido aggiornarsi della struttura delle opportunità, con la comparsa dei “single
issue movements”, una parte dei quali sono stati l'anticamera organizzativa e culturale della fioritura
di associazioni ed Ong della “stagione del volontariato”, esplosa negli anni Novanta e tuttora in
2 La cosa si può leggere -come è stato fatto- anche in senso inverso: pubblicità, comunicazione, arte e altri
ambiti cominciarono abbastanza presto a metabolizzare e spesso a banalizzare e neutralizzare contenuti,
valori, scopi, repertori d'azione della protesta, che veniva degradata a moda, stereotipo, cliché
generazionale.
rigoglio (nonostante la recente sensibile flessione della partecipazione giovanile). Di questa sorta di
“mondo” sempre più strutturato, retto da gruppi dirigenti manageriali e dotato di sue riviste,
fondazioni, esperti, abbiamo fato cenno per quanto interessava i nostri scopi nel capitolo II.
Che si studino la partecipazione politica strettamente intesa o l'impegno nel volontariato, si
ha sempre a che fare, inevitabilmente, con una sovrastruttura fatta di attori collettivi (secondo i casi,
movimenti strutturati, associazioni, fondazioni, enti locali), linguaggi, nonché rapporti determinati
coi decisori politici (che a loro volta esercitano un potere di condizionamento sull'intera
sovrastruttura). In tutto questo, le condizioni di base e i mutamenti effettivi in atto nella società
possono anche restare lontani e sullo sfondo. Qui più che altrove, trovandosi a contatto con attori
collettivi che vantano come “ragione sociale” alte motivazioni etiche, è necessario che si persegua
una separazione fra attore e osservatore, fra progetto in essere e sua valutazione. Un fenomeno
sociale non può dirsi scandagliato esaustivamente se se ne ascolta la descrizione soggettiva di uno
solo degli attori coinvolti. Sarà necessario raccogliere più voci di più attori, e soprattutto assumersi
l'onere, come ricercatori, di una propria indagine con strumenti obiettivi3. Nei limiti dei tempi e
delle fonti di cui abbiamo potuto disporre, questo è ciò che abbiamo cercato di fare, muovendoci sui
vari terreni e fenomeni, un po' diversificati, che inevitabilmente sono entrati in gioco nel verificare
un'ipotesi come la nostra.
Ci sembra molto ragionevole supporre che una parte della facilità con cui la società italiana
fornisce attori ai “movimenti”, attraverso i decenni e le generazioni, non sia da considerare in modo
univocamente benevolo e compiaciuto. In determinati, felici casi concreti i movimenti possono
essere i portatori delle risposte possibili a problemi altrettanto determinati e concreti, o quantomeno,
attori necessari e legittimi della loro risoluzione. In molti altri casi i movimenti faticano a sollevarsi
al di sopra della funzione di rappresentare niente altro che uno degli aspetti dei problemi aperti.
Se la nostra società fosse meno scollata, se interi comparti lavorativi fossero meno dei meri
“posti”4 e fossero più votati a perseguire la qualità dei servizi forniti e il soddisfacimento dei clienti
e/o del pubblico, si supporre che sarebbe maggiore la quota di popolazione che trova realizzazione
3 Non vogliamo sottrarre a un'obiezione facilmente prevedibile: quella secondo cui l'obiettività sarebbe un
obiettivo irrealistico. Se fatta con buonsenso è un'obiezione sensata: solo persone molto ingenue possono
pensare che nelle scienze sociali sia possibile perseguire un'obiettività assoluta. Ci pare però che esistano
diffusi esempi di assunzione radicale -di relativismo radicale, cioè nichilistico- di questo assunto, col
quale dissentiamo in modo categorico. Anche nel mondo delle relazioni umane e sociali esistono fatti
accertabili, pratiche verificabili, moventi riconoscibili, una comunità scientifica dotata di tecniche
confrontabili. Questo patrimonio comune, se utilizzato e condiviso da ricercatori consapevoli, spinti da
una reale volontà di comprensione reciproca e soprattutto dall'idea di partecipare -idealmente- di una
medesima impresa, quella della conoscenza, è qualcosa di inestimabile, che può consentire di rendere
comprensibile anche manifestazioni che al loro apparire sembrano non esserlo.
4 Nel senso di puri e semplici mezzi e strumenti di percezione di un salario, al di fuori di ogni logica più
che opportunistica e strumentale.
e possibilità di esprimersi nel proprio lavoro, e calerebbe la ricerca di compensazioni in contesti
extralavorativi.
Se il sistema politico fosse tale da considerare suo compito fisiologico, fra gli altri, quello
della capacità di ascolto delle domande emergenti dal corpo sociale, non avremmo un panorama
politico polarizzato fra un sistema di partiti chiuso e castale ed una conflittualità sociale facilmente
soggetta alla tentazione della protesta fine a sé stessa e non propositiva. Se, da ultimo, non fosse
comune a quasi tutte le forze politiche l'idea della spesa sociale come costo da comprimere, è assai
improbabile che avremmo il fiorire di enfasi mediatica, incoraggiamento istituzionale e vera e
propria propaganda a favore di un “volontariato” idealizzato in modo acritico e sospetto.
La lista delle tare e miserie nazionali potrebbe continuare, ma non avrebbe senso. Non è
prevalentemente di tare e miserie che ci siamo occupati indagando tanto i movimenti che l'impegno
volontario. Nelle società e culture determinate che più sono attraversate da conflitti, è normale che
la definizione della propria particolare società o cultura sia di per sé problematica: così è, crediamo,
per il nostro paese. Crediamo parimenti che qui stia un compito inevaso il quale i nostri più gravi e
annosi problemi non potranno trovare soluzione. Alla disponibilità e generosità di grande parte dei
nostri concittadini e dei nostri giovani non si offrono progetti di impegno che abbiano l'ambizione
di aggredire le nostre tare culturali e nazionali (alcune delle quali sono recenti, come quelle della
gestione dei rifiuti o delle politiche dell'immigrazione, ma altre sono secolari, come la tentazione di
mistificare retoricamente i fatti che imbarazzano, anziché isolarli e affrontarli metodicamente). La
risposta non è e non potrà essere uno “scegliere” fra i due poli dell'impegno politico o del sostegno
al volontariato. Crediamo di aver mostrato come in entrambi i casi possa avvenire che la moneta
cattiva scacci quella buona, per così dire. La risposta potrebbe venire da un vero e proprio progetto
politico capace di integrare in sé:
- modelli e pratiche di partecipazione politica realmente democratici ed orizzontali,
- paradigmi pedagogici e comunicativi moderni ed aperti, concepiti nello spirito della
reciprocità e della crescita integrale della persona,
- un approccio ai problemi aperti e ai conflitti ispirato alle metodologie nonviolente, cioè
che parta dal coinvolgimento esplicito e dal protagonismo sollecitato di tutti gli attori dei
conflitti, e non dall'esclusivo sostegno (o utilizzo demagogico) di uno o qualcuno di essi,
contro altri.
Sono proposte di cui ci assumiamo la paternità, e che vanno ben oltre ciò che si può dedurre
dalla nostra ricerca, ne siamo consapevoli. Ma le sintesi sono -non possono essere altro- operazioni
intellettuali interpretative, non frutti spontanei delle cose (casomai, può accadere che tali possano
sembrare, o essere definite, a posteriori, dopo che si sono affermate con successo).
Crediamo almeno di aver mostrato come, scendendo dal livello dei dirigenti o degli “opinion
maker” a quello delle persone comuni che fanno volontariato, si trovino pochi o punto esempi di
iperboli esaltatorie, e invece numerosi esempi di realistica consapevolezza, vuoi del lato “egoistico”
della faccenda (ad esempio, volontariato come modo di accumulare esperienza da utilizzare poi nel
lavoro), vuoi della necessità di un'adeguata formazione per essere realmente utili, vuoi del costante
rischio di essere strumentalizzati per poter attuare tagli di personale (Ambrosini, 2004).
In troppi casi, nei decenni passati, un cattivo connubio fra il leaderismo di poche persone
carismatiche (dotate intellettualmente ma corruttibili intimamente) e l'indole gregaria di tante, ha
messo in scacco la genuina generosità dei più. E in troppi casi oggi la miscela di ingenuità, piccolo
calcolo o ambizione dei manager del volontariato sociale si sposa con le politiche di risparmio
neoliberiste (mai confessate come tali) dei decisori politici. Chi vede lucidamente i rischi delle
cattive pratiche e dei polveroni verbali a coprire lo sporco sotto al tappeto (Albanesi, 2007, 2007b,
Nervo, 2007) è visibilmente fuori dai giochi.
Tutto questo lo registriamo, semplicemente: accanto -o sotto- vi è e resta il corpo sociale,
con suoi problemi, le sue storie, la sua vita quotidiana. Tanto più vi saranno ricercatori delle diverse
branche -accanto a giornalisti, ci teniamo ad aggiungere- che soprattutto al corpo sociale vorranno e
sapranno guardare, e che i cambiamenti che in esso si agitano sapranno interrogare, tanto più vi
saranno le condizioni per capire in che società viviamo, chi siamo, e in che direzione e con quali
mezzi ha più senso che ci impegniamo.
Se questa ricerca -al di là dei tanti limiti, di cui siamo consapevoli, e delle parti discutibili o
degli errori che potrà contenere, di cui ci scusiamo- avrà invogliato il lettore a considerare con occhi
nuovi e diversi la partecipazione politica e l'impegno volontario, il nostro sforzo non sarà stato
vano. Con tutti coloro che di questi mondi fanno parte, in quanto attori, dirigenti, cronisti, semplici
partecipanti di base, l'auspicio è quello di un confronto franco e leale.
Documenti - 1
Il Patto associativo del Centro Poggeschi
Finalità
Il Centro Poggeschi si propone come centro di formazione per giovani universitari, nell’intento di
fornire percorsi di consolidamento dell’identità e percorsi di maturazione di tutti gli aspetti che
compongono l’equilibrio della persona: culturale, sociale, civico e spirituale, oltre che
professionale, precipuo dell’università stessa. È convinzione che la crescita integrale della persona
possa portarla ad una partecipazione serena ed attiva alla vita del territorio in cui vive per il bene
comune e lo sviluppo della società. È proposto un cammino di crescita comunitario che non vincola
i giovani ad una scelta di fede e rappresenta una opportunità di confronto e collaborazione per
maturare consapevolezza delle proprie qualità e capacità, nonché di sostegno per responsabili scelte
di vita e di servizio.
Riferimenti antropologici
L’attività formativa del Centro è mirata allo sviluppo di una persona responsabile e consapevole
della importanza delle proprie scelte personali; conscia delle opportunità ricevute, curiosa ed
animata da spirito positivamente critico ed orientato al servizio; sensibile agli stimoli e ai bisogni
della società ed in grado di sviluppare una propria coscienza politica e sociale; dedita allo studio,
non per un sapere fine a se stesso, ma mirato ad azioni concrete che sappiano rispondere alle
esigenze del territorio in cui vive e da cui proviene; capace di attivare alleanze per condividere
progetti ed obiettivi pur nella consapevolezza delle proprie appartenenze e convinzioni culturali,
religiose, politiche, professionali; capace infine di cogliere ed esprimere la presenza e l’azione dello
Spirito in una prospettiva salvifica di miglioramento della società.
Formazione Integrata
L’azione del Centro Poggeschi tende ad una formazione integrata che comprenda, come detto, tutti
gli aspetti che compongono l’equilibrio della persona. Integrata anche perché si vede necessario che
siano rispettate le varie provenienze degli studenti sul piano spirituale, culturale ed ideologico, per
evitare una proposta che diventi, già in fase iniziale, esclusiva e selettiva. L’obiettivo di formazione
integrata comprende poi, da parte degli studenti, il riconoscimento della loro vocazione alla fede,
ma anche delle loro qualità di creatività, di autonomia nel valutare le proposte della società, di
responsabilità come cittadini e, non ultimo, di impegno sociale nei settori di maggior disagio o di
sofferenza. Si ritiene infatti che il confronto con il dolore, con lo svantaggio, con l’ingiustizia, sia
indispensabile per indirizzare le qualità intellettuali, morali e tecniche del futuro professionista al
miglioramento del quadro sociale e non solo all’autoaffermazione. In questa ottica, l’azione
formativa del Centro Poggeschi, pur indirizzata principalmente agli studenti universitari, passa
anche attraverso il coinvolgimento di adulti la cui presenza è importante opportunità per il
confronto generazionale, umano e professionale. La presenza dei adulti, inoltre, garantisce la
continuità delle varie iniziative ed attività presenti nel Centro stesso, che costituiscono luogo
irrinunciabile in cui lo studente può sperimentarsi e sperimentare percorsi e progetti di servizio, di
impegno civile, sociale e spirituale. Il Centro Poggeschi pertanto favorisce la collaborazione con
gruppi o associazioni nei quali i giovani universitari possano inserirsi ed impegnarsi, e valuta
dinamicamente, nel corso degli anni e con l’evolvere delle situazioni, le collaborazioni più
opportune in sintonia con le finalità suddette.
Strumenti e Metodi
Il Centro Poggeschi ha sperimentato nel corso degli anni vari ambiti ed occasioni
formative che ripropone, in modo non esclusivo, mantenendosi aperto a nuove
metodologie e formulazioni. Se ne suggeriscono alcune. Le occasioni di vita
spirituale di una comunità in ricerca, che si esplicano nell’ascolto della Parola di
Dio, nei momenti di preghiera, nelle celebrazioni, nelle occasioni di
approfondimento e discernimento spirituale attraverso ritiri e esercizi ignaziani, nei
percorsi famigliari di educazione alla fede, offrono una gradualità di partecipazione
in cui si possa liberamente maturare il senso di appartenenza al disegno di amore
dello Spirito e allo sforzo storico della Chiesa. L’incontro con altre esperienze
religiose, e non, dovrebbe contribuire a far crescere il rispetto, la conoscenza, il
desiderio di comunione, l’impegno per obiettivi di interesse condivisi,
positivamente rivolti alla pace, alla non violenza e alla solidarietà. Le proposte di
ricerca scientifica e di elaborazione culturale si basano sulla necessità di un
approccio interdisciplinare e di un confronto professionale sul piano operativo. Esse
trovano concreta attuazione in seminari che propongono ed approfondiscono temi
di attualità, tratteggiando anche concreti percorsi di impegno, e in tirocini di
servizio attivo in collaborazione con gruppi di volontariato presenti nel Centro, o
che con esso collaborano, e con l’università stessa. I momenti di ascolto tra studenti
e adulti, a livello individuale o di piccoli gruppi, preparano i giovani prossimi
all’ingresso nel mondo del lavoro, permettendo il confronto con professionisti su
specifici temi connessi alla formazione e all’agire in ambito professionale. Le
attività di incontro, accoglienza ed ascolto dei più deboli ed oppressi, individuando
le varie emergenze sociali quali ad esempio i senza fissa dimora, i detenuti, gli
immigrati, esercitano i giovani alla lettura del territorio e del tempo in cui vivono
per la ricerca di risposte solidali. Il centro di documentazione sulla mondialità
rappresenta luogo di approfondimento sui problemi dei diritti umani, della
mondialità, del rapporto tra le nazioni, della pace. La presenza di progetti di aiuto
economico e culturale e di viaggi nei paesi più poveri fornisce infine la possibilità
di vivere in prima persona le difficoltà di un equilibrato sviluppo mondiale e di
contribuire concretamente ad azioni si aiuto e solidarietà.
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Indice
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Capitolo I . . .
. . . . . .
.
p. 3
Capitolo II
. . . . . .
.
p. 46
. .
Capitolo III . . .
Capitolo IV .
. .
Conclusioni . .
Documenti . . .
Bibliografia . .
Indice
. .
. . . . . .
.
.
.
p. 69
.
. . . . . .
p. 98
.
p. 156
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. p. 163
.
p.166
. . .
p. 184