L`utopia rosacrociana nell`età di Bacone e di Cartesio Paolo Aldo

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L'utopia rosacrociana nell'età di Bacone e di Cartesio
Paolo Aldo Rossi
Elisabetta e Federico V in una stampa d'epoca.
"Un carattere notevole dei lavori sia scientifici sia pseudoscientifici del
Seicento - scriveva Lynn Thorndike - è la frequenza con la quale ricorrono
nei titoli termini come 'nuovo' o 'inaudito' … Con la comparsa di nuove
stelle dal 1572 in poi, si cominciò a riconoscere un nuovo cielo, oltre che
una nuova terra. Ma l'idea di novità era già presente in altri campi del
sapere al di fuori della geografia e dell'astronomia."[1]. E difatti Thorndike
spende ben 12 pagine di bibliografia ragionata, esclusivamente su libri del
tempo, per dimostrare come nel XVII secolo l'uso di aggettivi come "mai
viste prima, inaudito, innovativo, nuovo…", compaiano nella maggior
parte dei titoli delle opere più importanti di filosofia, di matematica, di
fisica, di chimica, di medicina … ma anche in lavori dedicati alla
progettazione di macchine e addirittura per definire altrimenti le scienze
occulte; e ciò divenne tanto comune e abituale da sfociare non solo nel
loro uso reiterato, ma anche nello stereotipato e nel monotono. E' evidente
che al 'mai visto prima' si accompagna la sorpresa e lo stupore. Il termine
1
'meraviglia' è uno dei più usati (ed abusati) nella letteratura
(specificatamente scientifica) del XVII secolo il quale, dal momento in cui
si apre, è annunciatore e apportatore di infinite e interminabili novità;
sembra aprirsi cioè un'età felice di riforme e di mutamenti. La parola
meraviglia si accompagna con l'aggettivazione di: "grandissima, rara,
infinita, estrema, incomparabile"… ma anche con l'iperbole "stupenda" e,
quasi sempre se è al plurale, con il determinativo meraviglie "della
natura". D'altra parte cosa potevano fare gli uomini dotti e sapienti
dell'epoca i quali dovunque si girassero trovavano sempre del nuovo e
dello stupefacente davanti a loro? Quantomeno stilare un "Liber naturae o
regula di tutte le arti - consiglia la Fama Fraternitatis - raccogliendo
nozioni da tutto ciò che Dio ci ha donato cosí generosamente in questa
età" dato che in "teologia, medicina e matematica, la verità si sta facendo
strada". [2]
L'opuscolo anonimo, Fama Fraternitatis o Rivelazione della Confraternita
del nobilissimo Ordine della Rosa-Croce, stampato a Kassel da Wilhelm
Wessel nel 1614, si apriva con queste parole: "Poiché l'unico dio saggio e
misericordioso in questi ultimi tempi ha riversato sull'umanità la sua
misericordia e bontà con tanta dovizia, da permetterci di conseguire una
conoscenza sempre maggiore e perfetta di suo figlio Gesú Cristo e della
Natura, possiamo vantarci a buon diritto di vivere in un tempo felice, in
cui Egli non solo ha rivelato quella metà del mondo fino ad ora a noi
sconosciuta e celata e ci ha fatto conoscere molte meravigliose opere e
creature della Natura mai viste prima, ma ha anche fatto sorgere uomini
di grande sapienza, che potrebbero in parte rinnovare e condurre a
perfezione tutte le arti, ora contaminate e imperfette, cosicché l'uomo
possa finalmente comprendere la sua nobiltà e il suo valore e perché sia
chiamato microcosmus e quanto la sua conoscenza si estenda nella natura"
[3]
Nell' "The Advancement of Learning", pubblicato nel 1605 e dedicato a
Giacomo I, Francesco Bacone aveva lamentato le carenze del sapere, sia in
ambito letterario che in ambito naturalistico, prospettando e presagendo
la possibilità di un mondo in cui finalmente la fratellanza dello studio e
dell'esercizio delle arti meccaniche avrebbe rinnovato tutte le attività
umane: "… il progresso scientifico consiste in una certa misura anche nel
prudente governo e nelle sagge istituzioni delle singole università, così si
avrebbe un accumulo di sapere, se tutte le università sparse per tutta
l'Europa fossero fra loro in più stretti rapporti e collegamenti. Eppure
esistono tanti ordini e sodalizi i quali, benché sparsi e dispersi in Stati
diversi, sentono sempre una comunione che li affratella … E come la
natura crea la fratellanza in una famiglia, le arti meccaniche trovano la
loro comunione nei sodalizi, la unzione divina costituisce la fratellanza tra
i re e i vescovi, i voti e le regole introducono la fratellanza negli ordini
sacri; così non può mancare la fratellanza nobile e generosa tra uomini
della scienza e della luce, giacché Iddio stesso è detto Padre dei lumi" [4].
Come vedremo Johann Valentin Andreae (1586-1654), specialmente ne
Le nozze chimiche di Christian Rosencreutz, (1459), usa spesso la dicitura "il
padre della Luce"[5] in luogo di Dio o Creatore. Nel 1620 verrà pubblicato
2
a Londra, da Francesco Bacone, Lord Cancelliere d'Inghilterra, l'Instauratio
magna nel cui frontespizio si vede una nave che a vele spiegate, su un
mare tempestoso, sta attraversando le colonne d'Ercole e più sotto la
citazione dal Libro di Davide "Multi pertransibunt et augebitur scientia…", e
nel 1623 nella Nuova Atlantide (pubblicata postuma nel 1627) si narra che:
"… il re …emanò il seguente decreto: ogni dodici anni due navi
equipaggiate dovevano salpare da questo regno per due diversi viaggi e
in ciascuna ci doveva essere una missione di tre Soci, o Fratelli, della casa
di Salomone, il cui unico scopo era quello di informarci sugli affari e sulla
condizione dei paesi ai quali erano designati e soprattutto sulle scienze,
sulle arti, sulle opere e sulle invenzioni di tutto il mondo e inoltre di
riportarci libri, strumenti e campioni di ogni tipo. Le navi dovevano
ritornare quando avevano sbarcato i fratelli che restavano all'estero fino
ad una nuova missione … in questo modo, noi istituiamo un commercio
non per procacciarci oro, argento o gioielli, né le sete o le spezie o
qualsiasi altro vantaggio materiale, ma soltanto la prima creatura di Dio:
la Luce; per essere illuminati - voglio dire - sullo sviluppo dì tutti i paesi
del mondo" [6].
La solidarietà fraterna rende possibile questo viaggio, il quale ha come
solo obiettivo l'accrescimento del sapere che è l'unico modo per ottenere il
potere sull'universo accessibile e raggiungibile dall'uomo; ovvero il
progresso scientifico avvicina sempre più alla realizzazione di quel regnum
hominis dove abita e governa la Luce. Bacone fa proprio questo concetto
biblico sul quale costruirà tutta la sua filosofia della natura, perché Dio,
come dice San Giacomo nella Lettera I, 17, viene detto Padre dei lumi e la
fratellanza del sapere diverrebbe una fraternità di scienza e di luce. Con
queste parole, difatti, egli termina il Novum Organon: "Egli, infatti, per il
peccato, cadde dal suo stato di innocenza e dal dominio sulle creature.
Entrambe le cose si possono recuperare, almeno in parte, anche in questa
vita: la prima, con la religione e la fede; la seconda, con le arti e le scienze"
[7].
La realizzazione di una confraternita della luce sarà quello che
cercheranno di fare i due manifesti rosacrociani, la Fama del 1614 e la
Confessio del 1615, e cioè la creazione di una fratellanza di uomini dotti di
tutta Europa riuniti attorno ad una comune religione cristiana e ad una
solidarietà del sapere ottenuta mediante lo scambio vicendevole di tutte le
conoscenze: "…dichiariamo veramente e sinceramente di professar la fede
in Cristo - dice la Confessio - di condannare il papa, di essere dediti alla
vera filosofia, di condurre una vita cristiana e che ogni giorno esortiamo,
preghiamo e invitiamo molti altri, e precisamente coloro ai quali si è
manifestata come a noi la luce divina, ad aderire alla nostra Confraternita"
[8].
Come non credere, di conseguenza, ad una umanità finalmente liberata
dai mali e dai bisogni? I1 segno dell’utopia pare essere quasi il distintivo
dell’epoca dove aleggia l’idea che la riforma del mondo deve
necessariamente venire, di lì a poco, per opera di un collegio scientifico. E
sono molti a pensarla così, prima e dopo 1'apparizione dei R.C. Il
movimento rosacrociano si manifestò e si evidenziò pubblicamente in
3
tutta Europa nel 1614 con la Fama, si consolidò nel 1615 con la Confessio, si
rese stabile nel 1616 con Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz di Johann
Valentin Andreae [9], ma da questa data incominciò il suo indebolimento,
per quanto moltissimi dotti di tutta Europa non solo lessero e reputarono
le idee della Confraternita degli Invisibili degne di attenzione, ma ne
furono fortemente attratti, a diverse ragioni, ancora per almeno un
decennio.
Il titolo completo della Fama Fraternitatis è il seguente: "Riforma
universale e generale dell'intero universo. Oltre alla Fama Fraternitatis
dell'Onorevole Confraternita della Rosa-Croce, dedicata a tutti gli uomini
dotti e ai sovrani d'Europa, una breve risposta inviata dal signor
Haselmeyer, il quale per questo motivo è stato gettato in prigione dai
Gesuiti e incatenato su una galera. Ora data alle stampe e resa nota a tutti
i cuori sinceri. Stampata a Kassel da Wilhelm Wessel, anno 1614". [10]
Si tratta di uno scritto diviso in quattro parti, preceduto da
un'illustrazione rappresentante un'ancora sulla quale si attorciglia il
serpente di Mercurio, contenente: 1) Una epistola al lettore violentemente
antigesuitica. 2) Una traduzione del Ragguaglio LXXVII dei Ragguagli di
Parnaso di Traiano Boccalini edito a Venezia nel 1612, ma non citato, per
cui questa parte - quasi interamente copiata - viene detta Generale riforma
dell'universo. 3) La Fama, una lettera aperta che contiene la vita e la
dottrina del mitico Christian Rosencreutz e dei suoi Fratelli, assieme agli
ammaestramenti della Confraternita e alle loro istruzioni ai lettori. 4) La
Risposta di Adam Haselmayer, una specie di breve compendio in chiave
apocalittica del catechismo e del credo rosacraciano sulla venuta dello
Spirito.
Il testo più discusso fu naturalmente la Fama contenente la vita di
Christian Rosencreutz e le regole dell'ordine della Rosa-Croce:
"Convennero di comune accordo su questi punti: 1) Non avrebbero
esercitato altra professione che quella di curare i malati, e ciò
gratuitamente. 2) Non avrebbero indossato alcun abito particolare,
imposto dalla Confraternita, ma il costume del paese. 3) Ogni anno, nel
giorno C, si sarebbero incontrati nella Casa dello Spirito Santo, o
avrebbero comunicato la causa della loro assenza. 4) Ogni fratello avrebbe
scelto una persona degna che, dopo la sua morte, potesse succedergli. 5)
La parola Rosa-Croce sarebbe stata il loro unico suggello e segno
distintivo. 6) La Confraternita sarebbe rimasta segreta per cento anni e la
scoperta del sepolcro nel 1604, il segnale della "riforma generale delle cose
divine e umane". Questa opera termina con la dichiarazione che la
Confraternita è cristiana nella "forma chiara e più pura, venuta
recentemente alla luce, particolarmente in Germania" (ossia evangelica e
luterana), e pratica i due sacramenti, battesimo ed eucaristia, ossia segue
la liturgia di Augusta; in politica crede nel Romano Impero e nella Quarta
Monarchia (il regno di Dio). Alla fine è detto "… se per ora non abbiamo
rivelato i nostri nomi, né quando c'incontriamo, tuttavia verremo
senz'altro a sapere l'opinione di tutti, in qualunque lingua sia espressa; e
chiunque ci farà pervenire il suo nome potrà conferire con uno di noi a
4
viva voce, o, se vi fosse qualche impedimento, per iscritto." [11]
L'invito iniziale a prestare attenzione ad uno squillo di tromba ci
ricorda l'Iconologia di Cesare Ripa, edita con le figure del Cavalier
d'Arpino, a Roma nel 1603, che ci presenta la Fama come: "Donna vestita
d'un velo sottile succinto à traverso, raccolto a meza gamba. che mostri di
correre leggiermente, haverà due grand'ali, sarà tutta pennata. & per tutto
vi saranno tant'occhi, quante penne, & tra. questi vi saranno molte bocche
& orecchie, nella destra mano terrà una tromba, così la descrive Vírgilio"
[12].
La Confessio del 1615, anch'essa di autore anonimo, è ricalcata e
conformata alla Confessio augustana di Melantone ed è divisa in una serie
di argomenti numerati. Il suo titole è: Secretioris philosophiae consideratio
brevis a Philipp a Gabella, philosophiae st [studioso?] conscripta, et nunc
primum una cum Confessione Fraternitatis R. C. in lucem edita Cassellis,
excudebat Guilhelmus Wessellius III.mi Princ. typograpbus. Anno post natum
Christum MDCXV ed ha sul verso del frontespizio la citazione del Genesi
27: De rore Caeli et pinguedine terrae det tibi Deus. Il che fa pensare ad una
doppia etimologia: rosa-crux e ros-crux (rosa o rugiada), per cui Michael
Maier, che pubblica nel triennio 1616-18, a Oppeneim, le sue opere
rosacrociane[13] in una di esse dice: "…usano il segno delle due lettere
R.C. in conformità alle prescrizioni del loro ordine ... come un simbolo che
ciascuno può interpretare secondo la propria idea. Ma non appena la
Confraternita si manifestò con i suoi scritti, subito uno zelante interprete
spiegò R.C. con Rosen Creutz. Da allora ci si attenne a questa versione
sebbene i Confratelli stessi abbiano affermato in scritti successivi di essere
chiamati a torto rosacrociani, poiché le lettere R.C. designano il nome del
loro primo fondatore solo simbolicamente." [14].
L'opera contiene:1) La Consideratio brevis di Filippo da Gabella,
dedicata a Bruno Carolus Uffel, in nove capitoli, seguita da una preghiera.
2) La prefazione alla Confessio. 4) La Confessio Fraternitatis R. C., ad eruditos
Europae, in quattordici capitoli che è la continuazione della Fama.
La Secretioris philosophiae consideratio brevis si fonda sulla Monas
hieroglyphica di John Dee (1527-1608)[15] in gran parte tradotta quasi alla
lettera. Si tratta dell'opera più nota (1564) del più celebre filosofo
ermetico, astrologo, mago, spiritista, ma anche teologo, matematico,
geografo ed esperto di arti meccaniche dell'epoca elisabettiana; ossia colui
che al meglio rappresentava l'ideale rosacrociano del dotto o del mercante
della Luce. E difatti Heirich Khunrath, nel 1609 ad Hannover pubblicherà
l'Anfhitheatrum sapietiae aeternae[16], un'opera che dal suo titolo è
"cristiana, cabalistica, magica, fisica, chimica ed ermetica" e riporta tutto il
frasario e l'oscura e misteriosa parlata dei prossimi manifesti.
La Confessio si apre con una visione apocalittica dove sono promessi,
con grandi squilli di tromba, tutti gli arcani e i misteri che solo la
Confraternita sa leggere nei segni del tempo come le nuove stelle apparse
nel Serpentario e nel Cigno[17] (1604 l'anno in cui venne ritrovato il
sepolcro di Rosenkreutz), dedicata a tutti gli uomini e non solamente ai
5
dotti e infatti: "…. Cosí, anche se noi siamo in grado di arricchire
l'universo intero, instillargli sapere e liberarlo da innumerevoli miserie,
non ci riveleremo ad anima viva, se Dio non lo approva; colui che pensa
di ottenere beneficio e partecipare delle nostre ricchezze e del nostro
sapere, senza e contro la volontà di Dio, perderà la sua vita nel cercarci e
ricercarci anziché trovarci e raggiungere l'ambita felicità della
Confraternita della Rosa-Croce"[18].
Nel 1616 Johann Valentin Andreae pubblicò Le nozze chimiche di
Christian Rosenkrèutz che definì come ludibrium termine che molti lessero
come scherzo o facezia. Se i termini ludus, jeu, play, gioco ..., fossero assunti
entro una dimensione semanticamente più ampia dell'univoco termine
che sta per burla, divertimento o passatempo, e il loro ambito di
significato si estendesse dal teatro medievale [19] e ai giochi di guerra
dove due contendenti sono spiegati in ordine di battaglia, potremmo
capire meglio anche il ludibrium del serissimo J. Valentin Andreae. Egli
era il nipote di Jacob, detto il Lutero del Württemberg. il negoziatore nel
1577 del concordato fra le città protestanti, e figlio di Johann un pastore
interessato alle scienze occulte. Il giovane J. Valentin si interessò in
gioventù alla letteratura teatrale (il termine ludus lo conosceva bene),
all'astronomia matematica (il suo insegnante è Maestlin, il maestro di
Keplero), all'ottica e alla filosofia. Nel 1604 egli sostiene nella sua Vita ab
ipso conscripta, di avere già composto una prima versione de Le nozze
chimiche sotto forma di un'invenzione teatrale, una cosa di poco conto e
quindi non un ludus, ma un ludibrium. Nel 1607-8 viene coinvolto in due
scandali: uno, cui egli non c'entra per niente, di carattere licenzioso, l'altro
di tipo ideologico e morale che lo fecero allontanare dalla università di
Tubinga e lo obbligarono a girare per l'Europa: Strasburgo, Parigi,
Losanna, Ginevra … dove conobbe e apprezzò il calvinismo e dalla sua
autobiografia sappiamo che allora ebbe la chiamata per la sua missione:
juvare res christiana[20]. Tornò nel Württemberg nel 1614 dove diventa
pastore a Vaihingen e si sposò. Fu proprio durante gli il biennio 1614-1616
che partecipò, ma non da solo, all'avventura dei Rosa-Croce e di cui fu il
principale ideatore: "Era il problema del cristianesimo che mi stava a
cuore e che io tentavo di risolvere con tutti i mezzi; e siccome non potevo
farlo per la via maestra, tentai di farlo mediante sotterfugi e pagliacciate,
per niente mosso, come è parso a certuni, da intenti beffardi, ma
ricorrendo a mezzi molto usati da persone pie, nel senso che con delle
facezie e un'accattivante malizia perseguivo uno scopo serio e inculcavo
[nel lettore] l'amore per il cristianesimo."[21] Però, già nel 1616, si accorse
che questa non era la strada più adatta e quindi attaccò la Confraternita
dichiarandola una farsa, una buffonata, una ridicolaggine, ma ormai tutta
Europa era convinta del contrario. Alcuni, come il chimico Andreas Libau
(Libavius) [22] o il filosofo Tommaso Campanella [23], si scagliano contro
i due manifesti fra 1615 e il 1620, ma ciò che ci fa pensare è che fu proprio
Johann Valentin Andreae a diventare il più spietato dei nemici del
ludibrium curiosorum, (come lo chiama nel Menippus,1615) [24] assieme agli
amici del cenacolo di Tubinga: Christoph Bezold, Tobias Adami, Wilhelm
Wense, Comenio … Nella Mythologia christiana, Strassburg, 1619 parla di
un personaggio incognito che ha dato origine a questa finzione ingegnosa
fra i sapienti e nello stesso anno, nella Turris Babel, scrive che di
6
Confratelli della R.C egli crede che non ne esistano [25].
E' per questa ragione che non sono d'accordo
con Francis Amalia Yates quando afferma: "Il
movimento dei Rosa-Croce crollò quando crollò
il movimento del Palatinato"[26]. La battaglia
della Montagna Bianca, dell'8 novembre del
1620, rappresenta il crollo di Federico V e il
punto più alto della potenza asburgica, ma se al
contrario avesse vinto il principe palatino usando un contraffattuale - allora sarebbe stato
il successo in Europa dei riformati (ovviamente).
E' chiaro che per quanto riguarda i Rosa-Croce,
sarebbe stato possibile interpretarli
politicamente anche come movimento pro
Principe Palatino, però visto che già fra il 1615 e
il 1620 vengono pubblicate molte opere di
studiosi tedeschi, accusati di essere oltretutto gli
autori dei manifesti, fortemente dissenzienti con
questi e, per di più, Johann Valentin Andreae
nel 1617-1618 pubblica le sue opere più
fortemente critiche e fonda la vera "Societas
christiana" paragonata al ludibrium della
Confraternita dei R.C. [27], questo non è
possibile senza forzare la storia.
Nella Christianopolis del 1619, un'opera
importantissima fra quelle del filone "utopia" (e
sta fra le contemporanee: La Città del Sole di
Campanella, la Nuova Atlantide di Bacone e la
Nova Solyma di Samuel Gott ) si legge "Una certa
Confraternita (a parer mio, si tratta di uno
scherzo, ma secondo i teologi è una questione
seria ... ) promise ... le cose piú grandi ed
insolite, proprio quelle cose che gli uomini
generalmente desiderano; diede anche la
straordinaria speranza di emendare la
corruzione dell'attuale stato di cose e ...
l'imitazione degli atti di Cristo. Quale
confusione tra gli uomini abbia fatto seguito a
questa notizia, quale conflitto fra i dotti, quale
agitazione, quale scalpore e scompiglio di
impostori e truffatori, è inutile descrivere ...
"[28].
Certo che molti sapienti ci credettero e fecero in modo di mettersi in
contatto con i fratelli invisibili. Ma la formazione delle "Unioni o Società
Cristiane" prima della elezione di Ferdinando di Stiria a re di Boemia e a
7
Imperatore del Sacro Romano Impero (ossia anteriormente allo scoppio
della guerra dei Trenta Anni) sposta tutto a livello di mistica cristiana
toglie ogni freccia al summenzionato arco che vuole che i Rosa-Croce
fossero un movimento politico.
Nel triennio dal 1617-1619 [29] Robert Fludd scrive un trattato
apologetico e un altro teologico-politico in difesa dei Rosa-Croce, oltre che
la storia metafisica, fisica e tecnica dei due cosmi ossia la sua opera
maggiore, e Michael Maier nel 1618 editerà, con l'Atalanta fugiens, un
breve trattato e un' apologia sui Rosa-Croce [30]. Essi sono due fra gli
uomini colti dell'epoca che, benché negassero di appartenere alla
Confraternita, la difesero e cercarono con ogni mezzo di entrarne a far
parte, ma ad essi capitò come a tutti gli altri (cioè a tutti coloro che
cercarono di mettersi in contatto con la R.C.) non riuscirono perché o non
esisteva alcuna Fraternità, o forse erano così celati, nascosti, sottratti alla
vista anzi invisibili, che ogni sforzo di trovarli fu invano.
Nella biografia di Cartesio [31] si leggono le seguenti vicende da cui se
ne potrebbe ricavare un romanzo avvincente e suggestivo, ma, è ovvio,
assolutamente privo di validità o verità storica. Egli fu introdotto fra i
Rosa-Croce nel 1620 dal matematico Johann Fullhaber (1580-1635) e in
seguito fu accettato nella R.C. cioè con il nome di Renato Cartesio (ma lui
ha sempre firmato con Renè des Cartes); alla fine del XVII secolo egli non
è per nulla defunto, ma vivrà ancora molti secoli e, avendo deciso di
ritirarsi in solitudine presso i Lapponi, iniziati nelle scienze magiche, si
consacrò alla direzione della Confraternita Rosa-Croce" [32]. Le uniche
notizie certe sono le seguenti: il ventiquattrenne Descartes nel 1618 si reca
in Olanda, si arruola nell'esercito del principe Maurizio di Nassau e
conosce il grande matematico Isac Beeckman; nel 1619 va in Germania
assoldato fra le truppe del duca di Baviera, ma del tutto indifferente alla
politica: "Sentì sorgere dentro di sé l'impeto di un'emulazione per cui fu
tanto più toccato da quei Rosa-Croce, poiché ne aveva appreso l'esistenza
nel suo momento di maggiore travaglio rispetto agli strumenti,che si
devono adottare nella ricerca della verità". Nell'inverno del 1619 li cercò,
ma "poiché ignorava la regola che prescriveva di celare la loro identità
davanti al mondo …tutte le sue pene e la sua curiosità furono inutili, e
non riuscì a trovare un sol uomo che dichiarasse di appartenere a quella
confraternita o che almeno lo facesse supporre". E quindi, come
sappiamo, passò poi l'inverno a riscaldarsi accanto a una stufa. immerso
in profonde meditazioni, sfociate nel sogno del 10 novembre. Nel 1620: "Si
sentì in dovere di contattare qualcuno di questi nuovi sapienti per poterli
conoscere personalmente e discutere con loro" e difatti viene in contatto
con Johann Fullhaber [33] con il quale parlerà solo di geometria.
Nel 1623 quando a Parigi vennero affissi dei volantini che riportavano
"Noi, deputati del Collegio principale dei fratelli della Rosa-Croce, stiamo
facendo soggiorno visibile e invisibile in questa città per grazia
dell'Altissimo, a cui si rivolgono i cuori dei giusti. Riveliamo e insegniamo
senza libri né segni come parlare le lingue dei paesi dove vogliamo essere,
e come trarre gli uomini dall'errore e dalla morte," [34] immediatamente
partì la caccia alle streghe e uscì un libello anonimo dal titolo "Gli orrendi
8
patti stretti fra Satana e i presunti Invisibili che iniziava con "Noi, deputati
del Collegio di Rosa-Croce, annunciamo a tutti coloro che vorranno
entrare nella nostra Società e Congregazione, che saranno istruiti nella
perfetta conoscenza dell'Altissimo, nel cui nome quest'oggi ci riuniremo, e
li renderemo come noi da visibili invisibili e da invisibili visibili, e saranno
trasportati in tutti i paesi stranieri in cui vorranno andare. Ma avvertiamo
il lettore desideroso di acquisire tali meravigliosi poteri, che noi
conosciamo i suoi pensieri, che se desidera vederci per sola curiosità, non
riuscirà mai a comunicare con noi; ma se vuole veramente essere iscritto
sul registro della nostra confraternita, noi che possiamo giudicare i suoi
pensieri, gli mostreremo la veracità delle nostre promesse, a tal punto che
non indicheremo il luogo della nostra dimora, poiché i pensieri uniti alla
volontà sincera del lettore potranno svelarci a lui e lui a noi" [35].
Quando Cartesio arrivò a Parigi proprio in quell'anno: " …da alcuni
giorni si parlava a Parigi dei Fratelli della Rosa-Croce, che aveva cercato
invano in Germania durante l'inverno del 1619 e cominciava a circolare la
voce che egli fosse affiliato alla Confraternita. Descartes fu tanto più
sorpreso da questa notizia in quanto ciò non si accordava con il suo
carattere, né con la tendenza, sempre manifestata, a considerare i RosaCroce impostori e visionari. A Parigi erano chiamati gli Invisibili … - <e
quindi>- …Descartes avrebbe potuto avere conseguenze incresciose sulla
sua reputazione, se si fosse nascosto o fosse vissuto appartato in città,
come era stato solito fare durante i suoi viaggi. Ma egli confuse coloro che
volevano valersi di questa coincidenza per dare fondamento alla loro
calunnia. Si mostrò dovunque a tutti e soprattutto ai suoi amici, a cui non
occorreva altro argomento per persuadersi che egli non era membro della
Confraternita dei Rosa-Croce o Invisibili; e si valse dello stesso argomento
- la loro invisibilità - per spiegare ai curiosi come mai non fosse riuscito a
trovane neanche uno in Germania" [36].
E ne aveva ben donde. Nel 1624, il gesuita, padre François Garasse,
così tuonava in modo inappellabile sui Rosa-Croce: "Tutte queste
affermazioni, alcune enigmatiche, altre temerarie, alcune eretiche, altre
sospette di stregoneria, ci fanno supporre che la sedicente Confraternita
non sia così antica come vuole far credere, che anzi sia una giovane
ramificazione del Luteranesimo, contaminato per opera di Satana da
empirismo e magia, al fine di ingannare più facilmente gli animi volubili e
curiosi."[37]
Da quel momento il ludibrio si trasformerà in burla, insulto o peggio
ancora eresia. Tutto finì nel secolo successivo nella costituzione di società
segrete e confessioni massoniche che durano ancora oggi e si rifanno ai
R.C, reperendo (leggi inventando) un considerevole e cospicuo numero di
documenti.
"Nella storia - mi si faccia citare Karl Marx - ciò che per la prima volta
compare sotto forma di tragedia, la seconda volta ricompare sotto forma
di farsa".
9
NOTE
[1] Lynn Thorndike, Novità e innovazione nella scienza e nella medicina del Seicento (a cura di Philip P. Wiener e Aaron Noland)
in "Le radici del pensiero scientifico", Feltrinelli Editore, 1971, pagg. 459-473
[2] Fama Fraternitatis o Rivelazione della Confraternita del nobilissimo Ordine della Rosa-Croce in Frances Amalia Yates,
L'illuminismo dei Rosa-Croce, Appendice", Einaudi Editore, Torino, 1976. p.283
[3] ibidem
[4] F. Bacon, The Advancement of Learning, II, dedica a Giacomo 1, p. 13 (cfr. De augmentis scientiarum, la versione latina
posteriore), in Opere filosofiche, a cura di Enrico de Mas, Laterza, Bari, 1965, vol. II, p. 84).
[5] Johann Andreae, Valentin, Chymische Hochzeit Chrístiani Rosencreutz: Anno 1459, Strassburg, Zetzner, 1616 (trad. it., Le
nozze cbimicbe di Christian Rosencreutz, Anno 1459, Atanòr, Roma, 1975 o Milano, Studio Editoriale, 1987).
[6] Francesco Bacone, La Nuova Atlantide, Armando Editore, Roma,1998 p. 75
[7] Francesco Bacone, Novum Organon, Bompiani, Milano, 2002, p.531
[8] Confessio Fraternitatis o Confessione dell'encomiabile Confraternita dello stimatissimo Ordine della Rosa-Croce a tutti i dotti
d'Europa in "Frances Amalia Yates, L'illuminismo dei Rosa-Croce, Appendice", Einaudi Editore, Torino, 1976. p.303
[9] Andreae, Johann Valentin, Chymische Hochzeit Christiani Rosencreutz: op.cit Cfr: Johann Valentin Andreae, (Andreas de
Valentia), Turbo, sive moleste et frustra per cuncta divagans ingenium, in theatrum productum, Helicone juxta Parnassum, 1616;
Verae unionis in Christo Jesu Specimen, s.l. (Norimberga), 1628.; Fama Andreana reflorescens, sive Jacobi Andrrae... vita...,
Strassburg, Reppius, 1630. Summa doctrinae christianae trigemina ex Matthiae Hafenrefferi locis communibus contracta,
Lüneburg, 1644; Vita ab ipso conscripta, ex autographo primum, a cura di F.H. Rheinwald, Berlin, Schultze, 1849 (per il testo
tedesco cfr. Seybold (a cura di), "Selbstbiographie Johann Valentin Andreás, aus dem Manuskript übersetzt", in Selbstbiographien
berümter Männer, vol. II, Winterthur, Steiner, 1799.)
[10] Fama Fraternitatis op. cit. cfr Paul Arnold, Historie des Rose-Croix, Paris, 1955
[11] ibidem
[12] Cesare Ripa, Iconologia … Appresso Lepido Facij, Roma, 1603, cfr Iconologia, a cura di P.Buscaroli, Editori Associati s.p.a,
TEA Arte, Milano, 1992, pag. 124
[13] Lusus serius quo Hermes sive Mercurius rex mundanorum omnium sub bomine existentium... judicatus et constitutus est,
Oppenheim, 1616.; Silentium post clamores, hoc est tractatus apologeticus, Frankfurt, 1617; Symbola aureae mensae duodecim
nationum, Frankfurt, 1617; Themis aurea, hoc est De Legibus Fraternitatis R.C. tractatus, Frankfurt, Nicolas Hoffman, 1618;
Atalanta fugiens, Oppenheim, 1618.
[14] Themis aurea, op cit. cap. XVI
[15] Peter J.French, John Dee The word of Elizabethan Magus, Routldege & Kegan Paul. London, 1972
[16] Heirich Khunrath, Anfhitheatrum sapietiae aeternae solius verae christiano-cabalisticum, divino-magica, phisico-chymicum,
tertriunum-catholicon, Hannover, 1609
[17] Johannes Kepler, Gesammelte Werke, Munchen, ed. M. Caspar, 1937 sgg, De stella nova in pede Serpentarii; De stella
incognita Cygni, vol. I, pp. 146 sgg.
[18] Confessio Fraternitatis op cit., p.304
10
[19] cfr. i vari Ludus de Nativitate, de Antichristo ...., il Jeu d'Adam, de Saint Nicholas etc... del teatro medievale
[20] Vita ab ipso conscripta, ex autographo primum, a cura di F.H. Rheinwald, Berlin, Schultze, 1849
[21] Seybold (a cura di), "Selbstbiographie Johann Valentin Andreás, aus dem Manuskript übersetzt", in Selbstbiographien
berübmter Männer, vol. II, Winterthur, Steiner, 1799.
[22] Andreas Libau, (Libavius), Analysis confessionis fraternitatis de Rosea Cruce, Frankfurt, 1615. Appendix necessaria
syntagmatis arcanorum chymicorum... V. Amonitio de regulis novae rotae seu harmonicae sphaerae Fratrum de Societate Roseae
Crucis juxta famae editae indicem, Frankfurt, 1615
[23] Tommaso Campanella, Von der Spanischen Monarchy,1623, Anhang (ma composta in italiano fra il 1600 e il 1620): "Nel
momento in cui questo fantasma fu lanciato in Europa, nonostante la Fama e la Confessio testimonino chiaramente in più punti che
si tratta solo del gioco senza importanza di uno spirito ozioso ... in ogni paese perfino uomini molto sapienti e devotissimi si sono
lasciati ingannare al punto di offrire i loro servigi e il loro impegno, talvolta sottoscrivendo con il loro nome." p. 48.
[24]Johann Valentin Andreae, Menippus, sive Dialogorum satyricorum centuria inanitatum nostratium speculum, Helicone juxta
Parnassum, 1617
[25] Johann Valentin Andreae , Turris Babel, sive judicíorum de Fraternitate Rosaeae Crucis chaos, Strassburg, Zetzner 1619:
[26] op cit pag 220
[27] Invitatio ad Fraternitatem Christi, Strassburg, Zetzner, 1617 e 1629 (prima parte), 1618 e 1628 (seconda parte); Mythologia
christiana, Strassburg, 1619; Reipublicae Chiistianopolìtanae descriptio, Strassburg, Zetzner, 1619; Turris Babel, sive judicíorum
de Fraternitate Rosaeae Crucis chaos, Strassburg, Zetzner 1619: Civis Christianus, sive Peregrini quondam errantis restitutiones,
Strassburg, Zetzner, 1619;
[28] F. E. Held, Christianopolis, An Ideal State of the Seventeentb Century, Oxford 1916.
[29] Fludd, Robert, Tractatus apologeticus integritatem societatis de Rosea Cruce defendens, Leiden, 1617, Tractatus theologophilosophicus in libros tres distributus quorum I. de vita; Il. de morte; III. de resurrectione... sapientiae veteris fragmenta collectae
.fratrbusque a Cruce Rosea dictis dedicata, Oppenheim, 1617 e Utriusque cosmi, majoris et minoris, metaphysica, physica atque
technica historia, Oppenheirn, 1617-1621
[30] Maier, Michael, Lusus serius quo Hermes sive Mercurius rex mundanorum omnium sub bomine existentium... judicatus et
constitutus est, Oppenheim, 1616. Silentium post clamores, hoc est tractatus apologeticus, Frankfurt, 1617. Symbola aureae
mensae duodecim nationum, Frankfurt, 1617. Themis aurea, hoc est De Legibus Fraternitatis R.C. tractatus, Frankfurt, Nicolas
Hoffman, 1618.
[31] Adrien Baillet, La vie de M. Des Cartes, Hortemels, Paris, 1691. Cfr. René Descartes (Cartesio), Oeuvres complètes, edizione
a cura di Charles Adam e Paul Tannery, Paris, 1891-1912.
[32] Daniel Huet, Nouveaux mémoires pour servir à l'Histoire du cartèsianisme, Paris, 1692 cfr. Adrien Baillet op. cit . 452-453:
"L'abate Picot era così convinto che egli possedesse il segreto della longevità che avrebbe giurato che ... salvo una causa esterna e
violenta sarebbe vissuto cinquecento anni, possedendo l'arte di vivere per molti secoli". Cfr Lettera a Huyghens, in Correspondence
of Descartes and Constantyn Huyghens, Oxford 1926, p. 63 e R. Descartes, op. cit., vol. I, p. 507 :"… mi sembra evidente che se
evitassimo soltanto alcuni degli errori che di solito si commettono nel condurre una normale esistenza, potremmo già riuscire a
raggiungere una longevità molto maggiore e più felice di quanto non accada oggi".
[33] Adrien Baillet, op. cit p. 67-107
[34] Gabriel Naudé, Instruction à la France sur la vérité de l'histoire des Frères de la Roze Croix, Paris, 1623, p. 27
[35] Effroyables pactions faites entre le Diable ei les prétendus Invisibles, Paris, 1623, p. 16.
[36] Adrien Baillet op.cit.pp. 106-8
[37] François Garasse, La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps ou prétendus tels, Paris, 1624, pp. 83-91.
11
MARSILIO FICINO E LA MAGIA NATURALE
Selene Ballerini
Marsilio Ficino (part. da un affresco del Ghirlandaio).
Marsilio Ficino (1),filosofo neoplatonico e medico-astrologo presso la
corte fiorentina nel secolo XV, convinto dell’esistenza di una “prisca
theologia” che, attraverso espressioni e forme diverse, legava insieme
antichi saggi quali Orfeo, Zoroastro, Pitagora, Ermete e Plotino, si dedicò
con grande zelo - con l’appoggio e anche sotto richiesta dei Medici - alla
traduzione di numerose opere filosofiche ed ermetico-magiche pagane, in
un appassionato tentativo di conciliarle con i valori del cristianesimo. Tra
esse vanno ricordate il De Misterijs Aegyptiorum, Chaldeorum atque
Assyriorum di Proclo, il De animi ascensu et descensu di Porfirio, gli
Hermetica,(2) le opere platoniche, il De daemonibus di Psello e l’Aurea Verba
di Pitagora.
Questo può dare almeno una vaga idea della cultura esoterica che
possedeva Ficino quando nel 1489 si accingeva a scrivere la terza parte del
Liber de vita (dedicato a Lorenzo il Magnifico), ossia il De vita coelitus
comparanda. Quest’opera, per i numerosi riferimenti alla Magia demonica
che conteneva, causò a Ficino non pochi problemi con la Chiesa, ma riuscì
a ottenere il favore dell’arcivescovo di Firenze e dello stesso papa, ai quali
il filosofo tracciò pure l’oroscopo (che si rivelò, naturalmente, propizio).
Ciò che risultava pericoloso nel De vita coelitus comparanda non erano le
pratiche astrologiche ma i talismani e la musica planetaria. Si possono
comunque rilevare negli scritti del Ficino parecchie titubanze relative a
certi aspetti non ortodossi dell’Astrologia stessa, come testimonia un suo
scritto del 1477, Disputatio contra iudicium astrologorum. “È pur vero” 12
scrive a questo proposito lo storico della filosofia Eugenio Garin - “che
Ficino non portò mai in fondo la sua requisitoria; che nelle opere
pubblicate lasciò da parte le obiezioni più aspre e spesso convenzionali;
che non nascose incertezze e ambiguità; che, soprattutto, più assai del
determinismo astrale mostrò di voler combattere gli esiti materialistici e
atei dell’astrologia”.(3) La critica contro un’Astrologia eccessivamente
deterministica era già in Plotino, il principale maestro del neoplatonismo,
e vale la pena di esaminarla dal momento che il terzo libro del De vita
sembra facesse parte del commento di Ficino alle Enneadi di Plotino (203270 d.C.).(4)
Secondo questo filosofo l’astrologo che riferisce tutte le azioni umane
ai movimenti e alle figure degli astri “ci riserva un’esistenza di pietre
scagliate e non di uomini che traggono dalla loro spontaneità e dal loro
essere una loro propria azione. Urge invece rendere a noi uomini ciò che è
nostro”.(5) Plotino non esclude certo che gli astri abbiano un’influenza su
di noi, ma questa va ridimensionata e inquadrata in una visuale ben più
ampia di reciproche influenze all’interno del cosmo, che presuppongono
uno scambio di energie: “ciascuna cosa” - scrive - “possiede una sua certa
irrazionale potenza influenzatrice appunto perché essa è configurata in
seno all’universo [...]. Ed avvengono tante cose corrispondentemente a tali
influenze, non però in virtù di una decisione di quegli esseri donde
sembra provenire il dato effetto: poiché anche in esseri privi di decisione
l’influenza esiste”.(6)
Il concetto di armonia o simpatia universale espresso in questo brano è
fondamentale per comprendere la visione culturale-filosofica dell’epoca
ficiniana, tutta tesa, nella prospettiva dell’organicità del reale, a scoprire
sotto il manto variegato delle forme apparenti l’unità trascendente tra i
due piani dell’esistenza, macro e microcosmo, mondo delle idee e mondo
della manifestazione. Tale rapporto è alla base sia della Magia che
dell’Astrologia, poiché il fine ultimo di ambedue è proprio d’individuare i
sottili legami che collegano fra loro le diverse entità della scala dell’essere
e sfruttare questa conoscenza per l’ascesa a Dio.
L’Astrologia è assolutamente necessaria alla Magia, che deve scegliere
il giusto momento astrale per il compimento di ciascuna sua opera: questa
infatti ha un senso solo se collegata alle universali leggi del cosmo alle
quali tutto il creato è sottomesso.
Ficino sottolinea la differenza esistente tra questa Magia, fondata sui
rapporti di naturale corrispondenza fra le cose, e la Magia demonica,
realizzata invece mediante l’intervento di anime scisse dai corpi, demoni
o angeli, i quali, penetrando in sigilli per loro approntati, parlano
attraverso di essi e creano effetti soprannaturali. Tale differenza
costituisce anzi uno degli argomenti principali che Ficino porta a propria
difesa nella sua Apologia. E poiché la Magia naturale altro non è che
l’attrarre l’una cosa verso l’altra per generare determinate forze ed energie
Ficino, d’accordo con Plotino e Sinesio, può affermare che veri e principali
maghi sono la Natura e l’Amore e che il mago può essere paragonato
all’agricoltore, il quale attraverso le combinazioni dei semi fa prosperare
13
la terra.
I segni zodiacali in
un'incisione del De
Astrorum Scientia di
Leopoldo duca d'Austria
(Venezia 1520). Durante
il rinascimento, se pur
con qualche polemica,
l'astrologia fu scienza
molto in voga nelle classi
dominanti
Questa Magia naturale nel terzo
libro del De vita appare però
complicata e, potremmo dire,
contaminata da riferimenti alla
Magia demonica, tant’è che in un
codice laurenziano l’opera viene
presentata come un commento al
seguente brano di Plotino: “Io credo
che gli antichi saggi - che, nel
desiderio di aver tra loro presenti gli
dèi, rizzarono templi e statue mirando alla natura dell’universo
intuirono nel loro Spirito che
l’Anima si lascia facilmente attrarre
dappertutto, ma che sarebbe stata la
più facile di tutte le cose trattenerla
addirittura, qualora l’uomo avesse
costruito qualcosa di affine e di
impressionabile atto ad accogliere
una qualche parte di Anima! Ma
impressionabile si è appunto
l’imitazione - comunque riuscita - la
quale, proprio come uno specchio,
sa rapire almeno un po’ di
figura”.(7)
Questo brano di Plotino è, a detta dello stesso Ficino, in stretta
connessione con quel tanto esecrato passaggio dell’Asclepius (testo
ermetico del III secolo d.C.) dove si legge: “I nostri antenati [...]
inventarono l’arte di foggiare divinità. A questa invenzione aggiunsero
una virtù soprannaturale, che trassero dalla natura materiale e
mescolarono alla sostanza delle statue. Non potendo però creare anche le
anime, dopo aver evocato anime di demoni o di angeli le introdussero nei
loro idoli mediante riti santi e divini, in modo che questi idoli avessero il
potere di fare del male e del bene [...]. La natura di questi dèi [...] che sono
chiamati terrestri [...] è costituita [...] da una composizione di erbe, di
pietre e di aromi che possiedono in se stessi una innata virtù divina”. (8)
Sia la costruzione di amuleti che quella di imagines (le statuette
evocatorie) è strettamente collegata al fattore astrologico, poiché qualsiasi
influsso si voglia catturare occorre fondere i vari elementi magici - erbe,
aromi, pietre... - nel giorno e nell’ora giusti, sotto l’adeguata
configurazione celeste; inoltre si deve costituire un’unica serie di forze
simili, in modo che venga a crearsi un fulcro potentissimo di attrazione
per l’influsso e la virtù stellare a esso corrispondente.
Poiché a Ficino preme sorvolare sull’aspetto demonico dell’uso delle
imagines, nell’opera si sofferma in particolar modo su quello naturale
dell’assorbimento di forze astrali, ma è certo però che egli credeva
14
nell’esistenza dei demoni e nella loro influenza non solo sul corpo fisico,
ma anche e soprattutto sul corpo astrale, o spiritus.
Il silenzio ermetico ( da Symbolicarum questionum...libri quinque, 1555 di A.
Bocchius). La traduzione delle opere ermetiche effettuata da Ficino fornì i
presupposti per la scoperta rinascimentale dell'ermetismo.
La teoria dello spiritus sta alla base della Magia e della medicina
astrologica del Ficino, il quale infatti ne dà ampia e minuziosa descrizione
nel De vita. Essa è indubbiamente legata alla concezione neoplatonica del
veicolo eterico, medio tra corpo fisico e anima, che l’anima acquista dalle
varie stelle e sfere che attraversa nella sua discesa nel corpo terreno.
Poiché la sua natura è calda, umida e vaporosa, lo spiritus è certamente
gioviale, ma è solare in quanto è sottile, lucente e sorge dal cuore; con
moto venereo si trasferisce nelle altre persone e tende a propagare la
specie, con moto mercuriale è sottilmente agile, mutabile ed elastico.
Lo spiritus può essere naturalis (dedicato a Giove), vitalis (al Sole) e
animalis (a Mercurio) e compito dell’uomo è di renderlo sempre più
“celeste”, con l’aiuto delle stelle e attraverso la purificazione. Moltissimo
giovano a tale scopo gli influssi delle cosiddette Tre Grazie: Sole, Giove e
Venere, mentre la forza di Saturno, che è la più potente ma anche la più
pericolosa, va usata con la stessa cautela con cui il medico usa una
sostanza velenosa.
L’essere umano, sciolto così dal determinismo astrologico, può perciò
cercare di migliorare il proprio stato morale e fisico coordinando e
adeguando tutte le sue attività, i suoi pensieri, il cibo, le vesti, i luoghi, i
tempi e addirittura le persone che frequenta con il flusso astrale che vuole
catturare. Chi per esempio vuole attrarre l’energia solare dovrà
camminare in luoghi alti e ariosi, operare durante il giorno piuttosto che
di notte, immergersi in numeri, parole e luci conformi al Sole e infine far
uso di talismani figurati collegati all’astro.
15
Di queste immagini planetarie Ficino parla ampiamente, mentre
sorvola sui decani, legati ai demoni delle stelle. Stessa prudenza usa nel
trattare i “canti”, in quanto connessi con l’innologia magico-demonica
orfica. Gli Orphica, che Ficino e i suoi contemporanei, per distorsione
cronologica, attribuivano allo stesso Orfeo, erano inni composti nel II-III
secolo d.C. e usati probabilmente da qualche setta religiosa del tempo, che
li indirizzava al dio del quale veniva invocata la potenza. Certamente
Ficino credeva nel beneficio che si poteva ottenere tramite questi inni,
soprattutto sullo spirito vitale e animale e da lì sull’anima e sul corpo, e
sembra che lui stesso li cantasse accompagnandosi con una lira da braccio.
Così nella visione di Ficino la Magia viene a essere la controparte
dell’Astrologia, in quanto permette di manipolare e indirizzare gli influssi
astrologici a proprio vantaggio, sottraendosi alle correnti negative sia del
proprio oroscopo natale che dei transiti. Una concezione che riscatta il
libero arbitrio e che, facendo perno sul tema fondamentale dell’analogia,
mette l’essere umano in armonico rapporto con tutto il resto dell’universo.
Rapporto di cui oggi, purtroppo, spesso ci si dimentica.
Note:
(1) Marsilio Ficino nacque a Figline Valdarno, in Toscana, nel 1433 e morì a 66 anni nel ritiro della villa di Careggi che
gli era stata donata da Cosimo dei Medici. Figlio di un medico, Diotifeci d’Agnolo di Giusto, fu medico anche lui,
interessandosi soprattutto di ottica e di fisiognomica. Come astrologo sappiamo che nel ’77 predisse la guerra e la peste
dell’anno seguente. Come filosofo, dopo essersi occupato delle teorie aristoteliche, aderì pienamente al pensiero
platonico, fondando in Firenze, con il patrocinio dei Medici, la celebre Accademia Platonica. Cfr. Arnaldo Della Torre.
Storia dell’Accademia Platonica di Firenze, Firenze 1902.
(2) Il cosiddetto Corpus Hermeticum è un insieme di testi che per tradizione si fanno risalire al mitico Ermete
Trismegisto. I più importanti di questi libri, datati tra il II secolo a.C. e il I d.C., sono l’Asclepius e il Pimander.
(3) Eugenio Garin. Lo Zodiaco della vita, Bari 1976, p. 76.
(4) Idea centrale della sua filosofia è il concetto di Unità, dalla quale tutto ciò che esiste proviene e alla quale l’essere
umano può tornare mediante l’esercizio dei principi etici.
(5) Plotino. Enneadi, Bari 1984, IV, 1, 5.
(6) Ivi, IV, 1, 37.
(7) Ivi, IV, 3, 11.
(8) Asclepius, Roma 1970, cap. 37-38.
16
MARSILIO FICINO: DALLA CRISTIANIZZAZIONE DELLA MAGIA
ALLA MAGICIZZAZIONE DEL CRISTIANESIMO
di Paolo Aldo Rossi
Marsilio Ficino: sacerdos et medicus
"Ego sacerdos minimus, ho avuto due padri, Ficinum medicum et Cosmum
Medicem. Dal primo io sono nato, dal secondo rinato. Il primo mi affidò a
Galeno, medico e platonico, il secondo mi consacrò al divino Platone. Ambedue
mi destinarono alla medicina. Se infatti Galeno è medico dei corpi, Platone è il
medico delle anime "
La data di nascita è il 19 ottobre 1433, quella della rinascita è il 1462.
Fin dai suoi primi studi, comunque, Marsilio s'era sentito talmente
attratto dalla filosofia platonica che sant'Antonino da Firenze, a detta di
fra' Zanobi Acciaiouli, era dovuto intervenire presso il padre Diotifeci e
suggerirgli di mandare il figlio a Bologna a studiare medicina in modo che
non progredisse ulteriormente su di un cammino filosofico che l' avrebbe
potuto portare all'eresia.
Educato negli studi umanistici e medici ( a Pisa, Firenze e Bologna),
aveva avuto come primo maestro di filosofia Nicolò Tignosi da Foligno,
17
un medico aristotelico di chiare simpatie tomiste, ma l'interesse di
Marsilio s'era subito appuntato dapprima sull'epicureismo (il suo primo
amore è per quel Lucrezio che negli anni della maturità rinnegherà ) e
quindi, con una passione travolgente che gli avrebbe riempita la vita, sul
pensiero del filosofo ateniese che egli avrebbe sempre denominato Plato
noster.
Tornato dal biennio di studi a Bologna (1457-59 ), ed essendo nel
frattempo morto sant'Antonino, Marsilio potè nuovamente dedicarsi ai
suoi temi prediletti, forte anche del fatto che fu lo stesso Cosimo il Vecchio
non solo a sgombrargli la strada da ogni impedimento, ma addirittura a
favorirlo con tutti i mezzi che un Signore poteva offrire ad un cortigianoletterato. Nel rapporto fra Cosimo e Ficino emergono due figure nuove:
quella del "signore" partecipe in prima persona alla ricerca e sinceramente
interessato agli esiti contemplativi della teologia platonica più che a quelli
attivi dell'etica e della filosofia politica aristotelico-scolastica, e quella del
filosofo-cortigiano cui professionalmente è commesso il compito di
intellettuale di regime. Marsilio è protetto dalla censura ecclesiastica, gli
sono assicurate ottime condizioni di vita e gli vengono dati larghi mezzi
per poter compiere i propri studi e le proprie mansioni. In cambio non gli
viene chiesto altro che la fedeltà politica, una adesione pronta e
incondizionata alle richieste del mecenate ed una efficenza produttiva tale
da garantire un costante prestigio intellettuale alle istituzioni culturali
della corte.
Si spiegano così certi episodi poco felici della vita di Marsilio che ce lo
mostrano adulatore e servile, pronto a rinnegare, in caso di pericolo,
conoscenze e simpatie passate; come durante la congiura dei Pazzi e
nell'ambito del tragico episodio del Savonarola o rispetto ai suoi studi
lucreziani.
In ogni caso la sua passione per Platone è del tutto sincera e non
indotta da convenienze contingenti, così come altrettanto univoca e
travolgente lo è quella di Cosimo. Lo stesso Ficino si incarica di ricordarci
come il cenacolo platonico fiorentino fosse nato dall'influenza esercitata
da Gemisto Pletone sul principe mediceo: " Il grande Cosimo, per pubblico
decreto padre della patria, quando si svolgeva a Firenze sotto il pontificato di
Eugenio il concilio per l'unificazione della Chiesa greca con la latina, ascoltò
spesso le discussioni sui misteri platonici di un filosofo greco che di nome si
chiamava Gemisto e di soprannome Pletone, quasi fosse un secondo Platone.... E
a tal segno fu ispirato dall'ardore della sua parola da esserne tratto a
vagheggiare nell'alta sua mente un'accademia che avrebbe realizzato, appena se
ne fosse data l'opportunità "
Nel 1462 ricevette da Cosimo due doni: un codice platonico ed una
villa a Careggi affinchè egli potesse dedicarsi con maggior agio alla
traduzione di Platone; questi eventi lo destinarono, a suo dire, alla
realizzazione di quel sogno che il principe mediceo aveva maturato
durante la permanenza dei greci a Firenze. Idealmente questa data segna
la nascita dell'Accademia Platonica, un sodalizio di filosofi diretto e
coordinato dalla stesso Ficino e, realmente, indica l'inizio di quella sua
18
fervida stagione di attività ufficiale di traduttore dal greco, di
commentatore della letteratura filosofica platonica e di animatore della
renovatio della pia philosophia.
Prima d'allora egli aveva tradotto, "mihi solo " [ a suo uso personale],
gli inni di Orfeo, di Omero, di Proclo e la Teologia di Esiodo.
Quando nel 1462 si accinge alla traduzione dell'intera opera platonica,
ormai completamente disponibile, accade un evento destinato a
modificare radicalmente una parte non indifferente della storia della
cultura occidentale dei due secoli seguenti: la riscoperta dei testi emetici.
In quell'anno Leonardo da Pistoia, uno dei "messi della luce" che Cosimo
aveva inviato in Oriente per recuperare i perduti tesori della letteratura
greca, riportò dalla Macedonia una copia del Corpus Hermeticum ( un
manoscritto contenente i primi 14 libri della mitica opera di cui s'era
favoleggiato per tutto il Medioevo). Il grande mecenate mediceo ne fu
talmente affascinato che impose a Marsilio di interrompere la traduzione
platonica e di iniziare subito quella di Ermete: " ... mi incaricò di tradurre e
commentare ricorda il Ficino a Lorenzo il Magnifico nella Dedica del suo
Commento a Plotino prima il Trismegisto e quindi Platone ". Questa
traduzione fu terminata prima dell'aprile del '63; tanta rapidità di
esecuzione dipese sia dal fatto che Cosimo, ormai molto vecchio, sperava
gli fosse concesso il tempo di leggerla, sia perché il traduttore, convinto di
aver messo le mani sulla fons et origo della sapienza occidentale, aveva
dedicato a questa tutte le sue energie. Nello stesso anno Tommaso Benci
verteva in italiano la traduzione latina del Ficino, la quale uscirà
definitivamente a stampa solo nel '71.
Fra l'aprile e il maggio del '63, terminata la traduzione del Pimandro ,
Marsilio dava avvio alla versione dei Dialoghi platonici che terminava nel
68. Tra il 69 e il 74 traduceva in italiano il Convito e nel decennio
successivo esaudiva il suo sogno giovanile di un commento al Timeo, ed
infine nel 94 completava il suo lavoro con i tre dialoghi ontologici: il
Filebo, il Fedro e il Parmenide.
Nel frattempo aveva anche tradotto Alcinoo, Speusippo, Pitagora,
l'Assioco di Senocrate e il De secta phytagorica di Giamblico.
Nell'84 diede inizio alla versione commentata di Plotino,
inframmezzando tale lavoro con traduzioni di Giamblico, Proclo, Porfirio,
Teofrasto e Psello. In definitiva l'intero corpus platonico e neoplatonico.
Ficino tenta così , da solo, un'operazione di mole analoga a quella che
aveva impegnato generazioni di studiosi su Aristotele, proponendosi
d'essere, per l'opera platonica e neoplatonica, quello che Averroé e san
Tommaso erano stati per quella dello Stagirita.
Senza giungere all'eccesso di L. Thorndike che, sulle orme
dell'umanista spagnolo Vives, intitola un capitolo della sua monumentale
opera sulla storia del pensiero magico: "Ficino, il filosofastro ", va
comunque riconosciuto che il letterato fiorentino possedeva grandi
19
capacità tecniche di traduttore ( lo si potrebbe paragonare a Gherardo di
Cremona o Gugliemo da Morbecke), ma non aveva certo la statura
teoretica per portare a compimento un'impresa di tali proporzioni.
La sua apologetica della filosofia platonica, così come lo erano stati
argumenta e commenti , ce lo presentano come un ottimo divulgatore, ma
certamente non un originale continuatore, in ambito cristiano, di una linea
di pensiero che peraltro aveva percorso, proprio in questo senso, gran
parte degli itinerari filosofici dell'età di mezzo: da Agostino, a Boezio,
Scoto Eriugena, Anselmo d'Aosta, Ugo di San Vittore e Bonaventura di
Bagnoregio.
Quel che Alberto di Sassonia e Tommaso d'Aquino, in ambiente
cristiano, ed Averroe, in ambiente islamico, avevano fatto con Aristotele,
Ficino sognava, quindi, di poterlo fare con il platonismo. In questo senso
la sua scelta non è casuale; Ficino crede di poter ricostruire la catena della
pia philosophia, la rivelazione perenne del "logos" che unifica la tradizione
pagana a quella cristiana. Non è quindi soltanto una mera riscoperta da
filologo, ma una vera e propria interpretazione religiosa di Ermete,
Platone e Plotino, passando attraverso gli itinerari degli Inni Orfici , i
Commentaria in Zoroastrem , il De secta phytagorica e il De mysteriis di
Giamblico, la Mistica Theologia e il De divinis nominibus dello PseudoDionigi, Porfirio, Proclo, Prisciano, Sinesio, Psello. Tradizioni diversissime
(ermetismo, zoorastrismo, kabbalah, gimnosofistica, pitagorismo, oracoli
caldaici ecc... ) vengono fatti confluire in una unica pia philosophia che, a
detta di Marsilio, raggiunge il suo apice, prima della Rivelazione, con
Platone e il neoplatonismo.
"Non senza un decreto della Divina Provvidenza scrive nell'Introduzione
alle Enneadi avvenne che una certa filosofia religiosa nascesse mirabilmente
concorde fra i Persiani e con Ermete fra gli Egizi; si alimentasse poi con Orfeo e
Aglaofemo presso i Traci per crescere tosto con Pitagora fra i Greci e gli Italici e
giungere infine a compimento in Atene con Platone. Era costume degli antichi
teologi nascondere i divini misteri sotto formule matematiche e metafore
poetiche, perché non venissero propalati al volgo. Ma Plotino alla fine liberò la
teologia da quei veli, come attestano Porfirio e Proclo, penetrò per divina
ispirazione gli arcani degli antichi "
A questo punto Marsilio esce allo scoperto ed afferma decisamente
quello che è il ruolo ch'egli ha giocato e intende giocare nella "renovatio"
della cultura occidentale:
" Noi abbiamo lavorato a tradurre a a chiarire questa teologia in Platone e
Plotino, perché alla sua luce i poeti smettano di considerare empiamente, sul
piano delle loro favole, i sacri misteri e i Peripatetici nella loro maggioranza, e
cioè a dire quasi tutti i filosofi, siano distolti dal considerare la religione comune
una favola da vecchierelle. Il mondo intero è invaso oggi dagli aristotelici, divisi
in due sette, alessandrina e averroista, l'una sostiene che il nostro intelletto è
mortale, l'altra che è unico in tutti gli uomini. Gli uni e gli altri ugualmente
distruggono ogni religione soprattutto col negare la divina provvidenza nel
mondo umano. E con ciò tutti tradiscono anche il loro Aristotele, la cui mente
oggi ben pochi intendono, tranne il nostro sublime complatonico Pico, con quella
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pietà che mostrarono un giorno Teofrasto, Porfirio, Simplicio, Avicenna e, in
tempi recenti, il Pletone.... Se qualcuno ritenesse poi, che una empietà tanto
diffusa, e sostenuta da ingegni tanto potenti, potrebbe essere distrutta con una
semplice predicazione della fede, costui andrebbe ben lungi dal vero ... C'è
bisogno di ben altro, e cioè di un diretto e miracoloso intervento divino o almeno
di una religione filosofica capace di essere accettata e talora convincente presso
i filosofi. Ai nostri tempi la divina provvidenza ama appoggiare la religione
all'autorità razionale della filosofia, finché al tempo stabilito, come già ha fatto
una volta, la confermerà dovunque con i miracoli. Per ispirazione dunque della
provvidenza divina abbiamo interpretato il divino Platone e il grande Plotino."
Un compito quindi non solo di apologetica, ma addirittura un'opera di
dimensioni profetiche e transtemporali, dettata direttamente dalla
divinità, una missione di diretta continuazione del ruolo svolto da una
lunga serie di sacerdoti-filosofi ispirati da Dio.
La Theologia platonica de immortalitate animorum in 18 libri e il De
christiana religione sono le sue prime opere composte dopo la definitiva
conversione a quel ruolo di sacerdote-medico ch'egli assumerà con
l'entusiasmo del missionario. Della prima opera, composta fra il '69 e il
'74, s'è a lungo discusso circa una presunta riedizione cristianizzata della
primitiva stesura paganizzante, dopo l'ordinazione sacerdotale (cfr. il
racconto della Epistola I circa il voto fatto alla Madonna, durante una
grave infermità, di mettere la filosofia al servizio della religione cristiana ),
ma si tratta di una leggenda dato che Marsilio ha sempre professato una
sostanziale ortodossia e, quantomeno, non vi sono elementi di probante
discrepanza nelle sue opere atte a giustificare una tesi di conversione.
La seconda opera,
terminata "cum
primum sacerdotii
sacris initiatus sum "
è scritta
direttamente in
italiano e quindi,
tradotta, da egli
medesimo in latino.
Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Angelo
Poliziano e Demetrio Chalkondiles in un affresco
del Ghirlandaio a S. Maria Novella - Firenze
21
" L'eterna sapienza di
Dio ivi scrive a
giustificazione
della sua scelta
ordinò che i misterii
divini almeno ne'
principi della
religione da coloro
solamente fussino
trattati i quali erano
veri amatori della
sapienza vera. Per
questo avvenne che
presso gli antichi i
medesimi uomini le
cagioni delle cose
ricercavano e ancora
amministravano i
sacrifici di colui il
quale è somma
cagione delle
cagioni.
Il perché in tutte le generazioni degli uomini i medesimi erano filosofi e sacerdoti
e non senza ragione era così, perché conciosiacosachè l'animo, come piace al
nostro Platone, con due alie, che sono l'intelletto e la volontà, possa al padre e
alla patria celeste volare, e il filosofo con l'intelletto massime e il sacerdote con
la volontà proceda e oltre a questo intelletto illumini la volontà e questa volontà
accenda l'intelletto, è ragionevole che quegli che prima le cose divine per
intelligenzia da sé trovorono, o vero Dio attinsono, venerassino rettamente
ancora prima esse cose divine per la volontà e la retta venerazione di queste agli
altri insegnassino... O felici secoli i quali questa divina copula della sapienza e
della religione, spezialmente appresso gli Ebrei e i Cristiani conservaste intera.
O secoli finalmente troppo miseri, quando la copula di Pallade e di Themis si
disciolse ... perché la dottrina i gran parte si trasferì ne' secolari
La renovatio theologica può essere condotta avanti soltanto da un
filosofo che sia nello stesso tempo anche sacerdote. Egli quindi, medico
dei corpi, deve diventare anche medico delle anime. In questa prospettiva
il recupero della pia philosophia nella sua globalità implica anche la ripresa
degli aspetti magico-sapienziali del platonismo e dell'intera area
iniziatico-misterica ellenistica. Nel 1489 pubblica i tre libri del De vita,
l'opera in cui è esposta la "magia" e la difesa della liceità di una scienza
che coniuga macrocosmo e microcosmo nella ricerca di un'armonia sia dei
corpi che delle anime.
" Voi sapete scrive nella Dedica ai tre Pietri, Pietro Del Nero, Soderini e
Guicciardini che ho scritto un libro Sulla Vita , diviso in tre parti, la prima Sulla
Vita sana , la seconda Sulla vita lunga e il terzo Sulla vita nelle sue relazioni con
i cieli. L'attrattiva di un titolo così soave spingerà molti a gustarne, ma fra i tanti
molti, penso, saranno gli ignoranti e non pochi i malvagi. E non mancherà chi
dica: "Ma Marsilio non è un sacerdote? Certo! e che cosa hanno a che fare i
sacerdoti con la medicina e l'astrologia? " Ed incarica quindi i tre amici di
difenderlo affermando che quanto egli espone altro non è che l'imitatio
del Cristo medico-taumaturgo e la coniugazione che il sapiente sa e deve
saper compiere fra uomo e cosmo.
Questo gli valse comunque l'accusa di magia dalla quale fu scagionato
più per le potenti protezioni ch'egli contava presso il pontefice che grazie
alle fervide pagine della Apologia in cui riprende e sviluppa le tematiche
apologetiche che aveva già commesso ai suoi tre amici nell'apertura del
De Vita.
Nel 1495 pubblica i dodici libri delle Epistole, in cui sono contenuti i
22
diversi trattatelli filosofici scritti dal 76 in poi, lettere, opuscoli e commenti
di estrema importanza per poter comprendere compiutamente il pensiero
di questo singolare intellettuale, tanto sottovalutato dalla critica filosofica
posteriore quanto sopravvalutato lo era stato da quella a lui
contemporanea.
Muore a Careggi il 3 ottobre del 1499, l'anno dopo il rogo del
Savonarola che Marsilio rinnegò e chiamò anticristo dopo averlo salutato
come profeta. A lui, invece, toccarono solenni esequie ed un monumento
in Santa Maria del Fiore a ricordo del massimo dei filosofi fiorentini.
Tutta la sua filosofia è incentrata sulla ricerca di una risposta totale,
non trovata nella fisica, cercate nell'aldilà dei sensi, oltre l'apparenza delle
cose.
Ciò che lo spinge è la speranza che " forsitan in praesentia somniamus,
forsitan non sunt vera quae hunc nobis apparent ". Egli rifiuta di credere che
quella terrena sia l'unica condizione dell'uomo perché se così fosse l'uomo
sarebbe la più infelice delle creature della terra. Perciò sposa filosofia e
teologia, per dare la certezza, ch'egli non sente dentro di sé, ad entrambe;
perciò non lo abbandona mai un senso di inquietudine e fa sempre
accenno, quando parla di sé, di un tratto psicologico dominante del suo
carattere che gli deriva dall'influsso di Saturno: la melancolia
b) Ficino: la cristianizzazione della magia
Quale importanza il Ficino annettesse ai testi ermetici lo si comprende
subito dall'Argumentum (la lettera dedicatoria a Cosimo), in cui inizia a
tracciare la genealogia del Termaximus: "Nel tempo in cui nacque Mosé
fioriva l'astrologo Atlante, fratello del fisico Prometeo e zio materno di Mercurio
il Vecchio, il cui nipote fu Ermete Trismegisto ". Questo santo e saggio
sacerdote-filosofo egizio, di cui hanno scritto Cicerone, Agostino e
Lattanzio, fu colui che dette "leggi e lettere" agli Egizi , ed è per questo
dichiara Marsilio che fu detto "il tre volte grande" in quanto fu il massimo
filosofo, sacerdote e legislatore dell'antichità: "Egli è detto il primo degli
autori di teologia; gli successe Orfeo, secondo fra i teologi dell'antichità:
Aglaofemo ch'era stato iniziato all'insegnamento sacro di Orfeo, ebbe come
successore in teologia Pitagora, di cui fu discepolo Filolao, il maestro del nostro
divino Platone. Vi è quindi una prisca theologia ... che ha la sua origine in
Mercurio e culmina nel divino Platone "
Il collegamento storico, garante della continuità teologica fra i primi
teologi e Platone è compiuto. Proprio Platone da cui era partita la
speculazione teologica dei Padri e che aveva continuato a suggestionare la
pars maior della filosofia medievale è posto al termine di un itinerario
teologico che precede la venuta del Cristo, cammino originatosi proprio
con quell'Ermete che a detta di Lattanzio profetizzò alcune delle
fondamentali verità cristiane e che, secondo Agostino: "questo Ermete dice
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di Dio molte cose secondo la verità "
A differenza di Gemisto Pletone che aveva posto a capo della più
remota sapienza teologica Zoroastro, il Ficino, inteso a cristianizzare la
prisca theologia contro la paganizzazione del Cristianesimo, punta tutto
sul Trismegisto, facendone un autentico profeta del cristianesimo (
affidandosi totalmente all'autorità di Lattanzio che aveva posto Ermete fra
le Sibille e i Profeti ).
L'operazione gli riesce talmente bene che verso il 1480 viene posto
all'ingresso del Duomo di Siena (posizione carica di significato simbolico)
un mosaico ritraente Ermete Trismegisto che indica a Mosé una tavola i
cui stanno scritte le parole del Pimandro: "Deus, omnium creator secum
Deum fecit visibilem et hunc fecit primum et solum quo oblectatus est et valde
amavit proprium Filium " e sotto, sulla targa del titolo del riquadro musivo:
"Hermes Mercurius Trismegistus Contemporaneus Moysi ".
Al riguardo Marsilio aveva addirittura adombrato l'idea che Mosé ed
Ermete fossero la stessa persona, o per meglio dire che il secondo fosse il
Mosé egizio prima d'esser illuminato sul suo compito storico: " Mercurio
Trismegisto descrive con maggior chiarezza questo momento originario della
creazione del mondo. Ne dobbiamo meravigliarci che costui sapesse tutto se
Mercurio altri non era che lo stesso Mosé. In particolare sapeva che la Parola
Creatrice era il Figlio di Dio: "Ille [Moses] potenti verbo Domini cuncta creata
nunciat, hic [mercurius] verbum illud lucens, quod omnia illuminet … filium Dei
esse asseverat ".
Nel suo Commento al primo trattato del Pimandro egli infatti scrive:
"Sembra qui che Mercurio parli dei misteri mosaici "
E' appunto il primo trattato del Pimandro ossia la Genesi egiziana il
primo luogo in cui Marsilio incontra le singolari analogie fra la prisca
theologia egizia e quella cristiana. In sintesi il racconto: mentre Ermes
riflette sugli esseri e i suoi sensi corporei sono intorpiditi, in quello stato
che non è né veglia né sonno, gli appare per la durata di un istante una
visione infinita di luce e subito questa si trasforma in tenebra che aleggia e
si diffonde a spirale sulle acque; poi dalla luce un santo Logos che vivifica
il tutto dentro un soffio ardente: "Quella luce sono io, l'intelletto supremo, il
tuo Dio che esiste prima della natura umida emersa dall'oscurità, il Logos
luminoso che è scaturito dall'intelletto è il Figlio di Dio .. Tu hai visto nel tuo
intelletto la forma archetipa, il principio del principio che non ha fine "
Marsilio ne rimane fortemente impressionato, individua le analogie
con la visione mosaica, trova che è del tutto simile all'inizio del Genesi e
sostiene che Ermete ha intuito non solo l'inizio del Vangelo di Giovanni,
ma addirittura il mistero della Trinità (il Figlio è generato dal Padre e lo
Spirito procede dal Padre e dal Figlio).
Ma le analogie non terminano qui. "Donde vengono gli elementi naturali?
chiede Ermete Dalla volontà di Dio la quale avendo accolto in sé il Logos e
avendo visto il bel cosmo, lo imitò, disponendosi in un mondo ordinato mediante i
suoi elementi e le sue creature, che sono le anime. L'intelletto divino ... generò
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mediante il Logos un intelletto demiurgo che, essendo dio del fuoco e dell'etere
creò sette ministri,, quali racchiudono in cerchi il mondo sensibile, e il loro
governo è chiamato destino" E l'uomo, come fu creato e quale fu la sua
primigenia caduta ? " Il Nous procreò l'uomo simile a sé, ed esso si rallegrò
come di Suo figliolo. Imperò che egli era bello e portava seco l'immagine di suo
padre ... dilettandosi della sua propria forma concedette tutte le sue opere all'uso
umano. Ma l'huomo conciosia che considerasse la procreazione di tutte le cose
nel suo padre, esso ancora vole fabbricare onde cadde dalla contemplazione del
Padre a la sfera della generatione ... [acquisito così il potere dei "sette
governatori" l'uomo entra nella sfera demiurgica ] Il quale dappoi che ebbe
compreso la loro essentia e ragguardò la loro propria natura, già molto
desiderava di trapassare e ricidere il circuito de' loro cerchi et comprendere la
possanza del Governatore Presidente al fuoco, e avendo avuto ogni arbitrio e
potenzia sopra li mortali del mondo, e che sono sanza ragione; e uscì, et subito
passò per l'armonia, penetrando e recidendo la virtù de cerchi, e fugli manifesta
la Natura che trascorre di sotto, a similitudine della bella forma di Dio: la quale
... esso la vedessi essere adorna di maravigliosa bellezza, e tutte l'operazioni de
sette governatori: e ancora avere la effigie di esso Dio, per grande amore verso
quella sorrise: quasi cosa se egli riguardasse la forma della humana bellezza,
nell'acqua come in ispecchio: e vedessi in terra di quella qualche adombratione.
Elli oltre a questo ragguardando, quasi come nell'acqua, la forma che aveva in
sé medesimo, a sé simile quella amò; e desiderò d'accostarsi con essa. L'effetto
subitamente seguì la volontà: e generò una forma che mancava di ragione. et
ancora la natura abbracciato quello, nel quale era tutta dall'amore portata, in
tutto a quello s'appiccò e mescolossi "
L'uomo creatura bellissima, fatta a immagine di Dio, è un essere
inquieto, mosso dalla volontà di conoscere e fare. Non gli bastano le
concessioni che per amore gli ha fatto Dio suo Padre, "l'uso di tutte l’opere
sue"; egli stesso vuole creare e partecipare così dell'opera del Demiurgo.
Perciò cade dalla contemplazione di Dio alla sfera dei sette governatori.
Acquistato potere ed arbitrio sugli animali mortali del mondo, va oltre,
sempre più spinto dal desiderio di tutto comprendere e "recisi li cerchi"
vede la natura, se ne innamora riamato, cade nuovamente unendosi a lei
in un amplesso in cui perde la sua natura interamente divina. Ma questa
caduta è volontaria e consapevole delle conseguenze, sicura che dopo ci
sarà l'ascesi. Egli si sottopone volontariamente alla morte fisica, alla
corporeità con tutti i suoi bisogni e con tutte le sue miserie, al legame
ineludibile con il destino che regge il mondo; ma egli è figlio di dio e, in
parte, dio egli medesimo, per cui nella sua caduta v'è il seme della
resurrezione, un nuovo stato di potere che ingloba quello appena perso
più uno nuovo che sta per acquisire. La perdita dell'Eden in favore della
scienza fa dell'uomo non più il prediletto del Padre, da lui continuamente
beneficiato al prezzo della sottomissione, dell'accettazione al passivo dei
suoi voleri, della costante amorevole dipendenza, ma il libero, attivo,
paritetico nuovo dio capace di far sorridere d'amore l'intero universo.
Quando il Ficino traduce il primo sermone del Pimandro nota
commosso le somiglianze con la Genesi, ma ne tace le diversità.
La caduta dell'uomo è un fatto volontario, non una punizione divina;
l'uomo cade per amore del conoscere e del fare, amore che gli deriva
dall'essere fatto simile a Dio. Cade per scelta, una scelta che gli conquista
25
la libertà, lo toglie dalla tutela del Padre, lo rende grande, autonomo, non
più solo figlio di Dio, ma potenziale nuovo Dio, "miraculum magnum". E'
un passaggio importante nella visione dell'uomo: l'uomo-mago, tutto
possibilità, capace di conquistare con la sapienza il dominio sul mondo
della natura, presuppone l' uomo libero e adulto del Pimandro. L'uomo
nuovo ha infatti proprio quello che è la sua natura, né tutta divina né tutta
fisica, la responsabilità del suo destino, la possibilità di scegliere se
diventare simile a Dio o rimanere servo misero o mortale: " L'uomo vero, o
egli è più nobile di quegli che abitano il cielo, o almeno è pari a loro ... l'uomo
sale al cielo e quello misura, ne lo possono fuggire le cose infine, ne le sublimi e
tutte l'altre diligentemente ricerca .. tanto è ampia la possanza dell'umana
natura: per la qual cosa si debba ardire di dire certamente, l'uomo terreno
essendo mortale dio; e Dio celeste essere immortale huomo "
Un altro punto notevole dell'episodio della Creazione è la descrizione
dell'incontro con la natura: è la curiosità che spinge l'uomo a "spezzare li
cerchi" ma è l'amore, l'attrazione che sente per la bellissima natura a
deciderlo definitivamente per la caduta : "..si unirono perché ardevano
d'amore ...".
Due sono i punti chiave che emergono da questa direttrice culturale:
l'uno legato al tema della libertà e della dignità dell'uomo e l'altro
connesso alla nuova concezione rinascimentale della Natura.
Come ha ben chiarito il Cassirer, il problema della libertà dell'uomo nel
Rinascimento doveva fare i conti con due ostacoli: il regnum gratiae e il
regnum naturae, la predestinazione divina o le ferree leggi naturali.
Sembrava che chi cercasse di liberarsi di una cadeva inevitabilmente nelle
braccia dell'altra. Il mondo umano, il mondo dello spirito, non può stare a
fianco a quello naturale senza essere ricondotto a questo, perché allora
perderebbe senso il concetto di natura, cioè l'idea dell'unità e unicità della
spiegazione naturale: queste le conclusioni di una impostazione
naturalistica esclusiva, di un monismo metodologico, per cui non può
esistere nessun dualismo nel contenuto dell'essere. Non esiste una
risposta unica dei maghi rinascimentali (Ficino compreso) circa questo
problema. Ciascuno cercherà a suo modo di risolverlo, tutti cercheranno
comunque di salvare la libertà dell'uomo dal determinismo naturale. Dal
Pimandro emergono però alcune idee significative in proposito. Vi si
trovano due visioni molto diverse della Natura: una presente nei sermoni
a "gnosi negativa", dove si insiste sul dualismo materia-male, intellettobene, e si vede perciò la salvezza dell'uomo unicamente nel suo distacco,
nel suo poter diventare "mente". L'altro concetto è quello panteistico di un
mondo in cui si manifesta Dio, ordinato e affine all'uomo splendente di
luce e di bellezza, tutto legato da vincoli di amore. Un mondo che l'uomo
può percorrere in tutti i sensi dal basso all'alto e dall'alto al basso, proprio
perché dovunque può riconoscere Dio, perché "bontà e virtù di Dio è
risplendere in tutte le cose " Qui l'uomo è sempre superiore e semidivino,
ma il suo rapporto con le cose cambia: non deve fuggirle, ma imparare a
conoscerle, capire i legami che hanno con lui, perché tutto è Uno e l'Uno è
Dio.
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E' il concetto dei Sermoni a "gnosi positiva", lo stesso passo della
Creazione, Quello che tutti i maghi del rinascimento riprenderanno di
preferenza. L'idea di una natura viva, di cui l'uomo non è servo, ma
ancora non domina, con la quale ha invece un rapporto dialettico, quasi
uno scambio, un rapporto d'amore, prospetta l'idea magica di un dominio
sul mondo e degli strumenti con cui realizzarlo. Potere sulla natura non è
costrizione, violenza, ma persuasione amorosa, conoscenza reciproca,
studio delle sue abitudini per volgerne gli effetti a favore dell'uomo. In
questo senso il sapiente acquisterà l'onnipotenza e dominerà le stelle:
sapiens dominabitur astra
Estendendo alla natura la vita stessa dell'uomo, postulando un unico
impulso vitale per entrambi, la cultura magica dà una sua risposta
particolare al problema del dualismo posto dalla coppia di opposti: libertà
dell'uomo-necessità del mondo. Fusi insieme i due termini, proprio
sull'unità del tutto è possibile basare la possibilità dell'intervento
dell'uomo, il suo divenire, la sua libertà e contemporaneamente
trasformare la natura in un grande animale vivente dove tutto è possibile,
dove i miracoli, proprio come i sentimenti per l'uomo, sono la norma.
Ma su queste due tematiche decisive ritorneremo in chiusura al
capitolo sul neoplatonismo rinascimentale.
Per intanto val la pena seguire più da vicino lo stretto rapporto che in
Marsilio si instaura fra magia e religione.
Sul recupero della pia philosophia e nella prospettiva della costruzione
della docta religio, Marsilio impianta l'intero sviluppo della sua opera. "Il
Verbo è Uno, il Medesimo appresso agli Egizi e ai Persiani et a Greci ", si legge
nel Sermone XII. La verità, perenne, rivelazione del Logos, è la stessa di
Ermete e Platone e culmina nel Cristianesimo. Il Ficino intende recuperare
la religione cristiana a quella pietas, in parte persa, tipica della visione
mistico-gnostica dell'ermetismo. E' in questo spirito che traduce il
Pimandro, è questa religiosità che ne fa la fortuna. In tale prospettiva egli
risponderà prevalentemente da teologo ai problemi dell'uomo e del suo
rapporto con il mondo, dell'uso e del significato della conoscenza.
La Theologia platonica è un imponente tentativo di dimostrare
l'immortalità e la divinità dell'anima umana, pensata a se stante, staccata
dal corpo, sottratta al divenire caduco delle cose: se non si ammettesse
tale immortalità l'uomo sarebbe la creatura più infelice della terrà. Ficino
accoglie ed accentua lo spiritualismo della tradizione ermeticoneoplatonica. Per parlare dell'uomo parla direttamente dell'anima che
nella sua visione fortemente dualistica essa ha un posto importante: è la
copula del mondo, la garanzia della sua unità.
"Ma quella stessa essenza interposta è tale da cogliere le cose superiori senza
trascurare le inferiori, e così le une e le altre in essa vengono a collegarsi. Al
tempo stesso immobile e mobile, ha in comune l'immobilità con le cose superiori,
la nobiltà con le inferiori. Comunicando con entrambe, le desidera entrambe,
perciò per istinto di natura sale in alto e scende i basso e quando sale non
27
abbandona ciò che sta in basso, quando scende non abbandona le cose sublimi;
che se abbandonasse un estremo scivolerebbe verso l'altro e non sarebbe più
vera copula del mondo "
Pure nei suoi momenti essenziali di vita l'uomo e la sua anima
sembrano decisamente abbandonare un estremo per dissolversi nell'altro.
Il processo conoscitivo, ad esempio è dissoluzione della mente in Dio,
preparazione dell'uomo a ricevere dall'alto la luce; tutto il senso, in
generale della vita, il suo vero valore, sta nel seguire la strada
dell'abbandono dei sensi e della materia, e in un processo di catarsi
morale e intellettuale, ritornare a immergersi in Dio. Visione in cui, tutto
sommato, l'uomo finisce per perdere ogni definitezza personale e annega
in un "mare di luce". Nella Theologia Platonica la mente umana, la
funzione più alta dell'anima: " Si congiunge alle menti superiori; con la sua
forza infima, cioè con l'idolo con cui il corpo si governa, si insinua nella natura
corporea .. così con la mente l'anima è sopra il fato, nell'ordine della
provvidenza, imitando le realtà superne ed insieme con esse governando il mondo
inferiore "
L'uomo è un essere sommamente degno perché ha un' anima divina;
essa è decisione, scelta, punto d'incontro tra i due mondi; ma la sua libertà
sta nell'ascendere a uno solo di questi, il divino.
L'autonomia conquistata dall'uomo del Pimandro con la sua caduta
sembra che Ficino l'avverta come condizione mutilata, che suscita
soprattutto l'ansia del ritorno, ben diversamente dall'empia audacia degli
altri grandi maghi rinascimentali, per cui l'uomo caduto ha in sé il germe
del nuovo dio: " Giustamente non ha mai posa scrive Marsilio fino a che non
s'immerge in Dio infinito che appaghi l'infinito desiderio di cui egli stesso è fonte
"
La mente umana è infinita perché riesce a pensare l'infinito, lo contiene
al suo interno, è autonoma dalla natura perché è capace di ritornare alla
sua scaturigine spirituale; la sua unione con il corpo non è male solo
perché le consente di godere la bellezza della molteplicità; ma questo
godimento, quell'infinitezza e autonomia hanno in Dio il loro unico vero
fine.
E' l'antica visione dell'uomo microcosmo, ma più dinamica e
spiritualizzata; egli collega sì i due termini del mondo, ma per fuggire
sempre verso uno soltanto dei due ed in tal maniera, proprio la specificità
dell'uomo sembra finisca per annullare ogni specifico umano.
Ci sono invece altre opere in cui il Ficino dedica, al contrario, la sua
attenzione proprio alla vita terrena .
Nel Pimandro lo colpisce soprattutto la pietà religiosa e, grazie a questo,
egli riabilita anche l'altro scritto filosofico ermetico, l'Asclepius o Sermo
Perfectus , e con questo rende dignità e importanza alla magia naturale.
Se, infatti, il Pimandro era apparso ai Padri della Chiesa un'opera
contenente alcune verità su Dio, al contrario l' Asclepius, l'opera di magia
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operativa e a gnosi ottimistica, ( utilizzato e forse interpolato da uno dei
massimi maghi dell'antichità, Apuleio di Madaura ) era stato considerato
idolatra e il suo autore era stato bollato da sant’Agostino come "alleato del
diavolo". Questo poneva gli estimatori rinascimentali dei testi ermetici in
una situazione difficile e imbarazzante.
Ficino con prudenza non commenta mai direttamente il trattato "sulla
volontà di Dio", su cui l'opinione dei Padri della Chiesa era fortemente
discorde, ma attraverso Plotino difende Ermete e il famigerato brano sulla
costruzione delle statue: " Plotino, imitando Mercurio, afferma che gli antichi
sacerdoti, o Magi, solevano introdurre qualcosa di divino e di mirabile nelle loro
statue e nei loro sacrifici. Egli sostiene, concordando con Trismegisto, che essi
non vi introducevano spiriti separati dalla materia, ma mundana numina.. lo
stesso Mercurio afferma di aver composto, per mezzo di demoni aerei, e non di
demoni celesti o superiori e servendosi di erbe, alberi, pietre e sostanze
aromatiche, certe statue che avevano in sé (egli dice) un naturale potere divino ..
Mercurio dice che i sacerdoti estraevano opportune virtù dalla natura del mondo
e che le mischiavano fra di loro "
Il mago è, come Ermete, colui il cui potere viene solo dalla conoscenza
profonda della natura e del tutto, dal sapere quale sono le connessioni che
legano le idee al mondo; ma questo potere è soltanto mondano Le statue,
così come i talismani sono immagini intermediarie tra i due mondi capaci
di catturare gli influssi delle stelle e sposare le cose inferiori alle superiori.
Dato che tutto quello che avviene di sotto è come quel che avviene
sopra e quel che avviene sopra è come quel che avviene sotto, fra le due
sfere esiste una immensa rete di interconnessioni di cui il mago deve
essere in grado di tracciare l'ologramma e quindi di mettersi nelle
condizioni di poter seguire tutti i percorsi che collegano i due mondi. In
tal modo è possibile al mago modificare gli influssi, se questi sono
sfavorevoli, o riplasmare le forme materiali del modo sensibile, quando
queste abbiano subito un processo degenerativo.
La magia serve a Ficino medico per curare la salute dei corpi; non a
caso il De Vita è un trattato di medicina. Ma questo gli serve anche come
filosofo sacerdote per curare la salute delle anime: " Compito senza dubbio
egregio dichiara nell'Apologia e sommamente necessario e sopra tutti
desiderato è far si che gli uomini abbiano una mente sana in un corpo sano. Ma
lo possiamo adempiere solo se uniamo il sacerdozio alla medicina. Ma siccome
la medicina è molto spesso vana e dannosa senza il favore del cielo, e lo
confessano Ippocrate e Galeno e io stesso l'ho sperimentato ) conviene senza
dubbio alla stessa carità sacerdotale l'astronomia con cui abbiamo detto
connettersi .. Questo stesso medico le Scritture hanno ordinato di onorare ...E
Cristo stesso datore di vita che affidò ai suoi discepoli la cura di tutti i sofferenti
del mondo, ingiunge ai sacerdoti che, se non sono più capaci di curare come
quelli di una volta con le parole, medichino almeno con le erbe e con le pietre. E
se queste riescano per se sole insufficienti ordinerà di somministrarle ai malati
sotto favorevoli influssi celesti."
Egli stesso nel III Libro del De Vita si adopera a consigliare talismani
per curare non solo le malattie ma anche gli umori: l'influsso negativo di
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Saturno si corregge attirando in parte quelli del Sole, di Giove e di Venere,
i tre astri portatori di vitalità, di forza e di bellezza. Se il corpo dell'uomo è
sottoposto all'ordine naturale e con la mente egli partecipa a quello
superiore e divino della Provvidenza, la sua anima, parte dell'anima
mundi, fa si che egli debba fare i conti anche con l'ordine mediano: il fato.
Nella visione cosmologica, gerarchica, di Ficino, il grado che sta sopra a
quello dell'anima umana è quello delle stelle. In questo ambito generale
avviene il riconoscimento del fato astrologico. Riconoscimento che, come
ha mostrato il Garin, non sembra affatto significare per lui, come invece
per altri filosofi, l'inserimento dell'uomo nelle leggi del determinismo
naturale, ma al contrario significa liberazione dal determinismo e
ingresso, tramite la conoscenza del mago, in un ordine diverso da quello
fisico.
Per Marsilio il mago è sacerdote e la magia è sempre da collocarsi nella
dimensione religiosa ed è per questo ch'egli si sente in dovere di far
presente che nella sua opera: " Non si parla affatto di quella magia profana
che si fonda sul culto dei demoni; ma della magia naturale che sfrutta i benefici
celesti con mezzi naturali per la buona salute dei corpi. Facoltà che si deve
concedere a chi la usa in modo legittimo … Da tale officina vennero quei Magi
che primi fra tutti adorarono Cristo appena nato. Perché dunque hai tanta paura
del nome di Mago? Nome caro all'Evangelo e che non significa uomo malefico e
venefico, ma sapiente e sacerdote "
Egli scriveva l'Apologia proprio sotto il pontificato di quel Giovan
Battista Cybo, papa Innocenzo VIII, che aveva promulgato la terribile
Bolla "Summis desiderantes affectibus " che dava via libera ai due autori del
Malleus Maleficarum, di organizzare e dirigere l'olocausto della caccia alle
streghe. Come poteva sperare il pio Ficino di sottomettere ai suoi voleri di
mago naturale il mondo sublunare che per sua stessa natura è un
Principato diabolico? Senza il permesso di Satana nessun mago può
operare prodigi. I gradi manuali demonologia dell'epoca sono
estremamente chiari in tal senso.
Nella sua opera di cristianizzazione della magia, il raffinato traduttore
di Ermete, Platone e Plotino crede di superare questo scoglio facendo quel
che san Tommaso fece con Aristotele. Egli trasforma i demoni in angeli, fa
di Ermete e Platone due profeti del Cristianesimo, rende la magia alla sua
primitiva funzione sacerdotale, ma invece di provocare l'analogo del
processo storico-culturale del tomismo: la cristianizzazione
dell'ermetismo e del neoplatonismo, egli indurrà il processo contrario
della magicizzazione del pensiero cristiano. Nessuna meraviglia quindi se
la tradizione popolare evocava i demoni noti delle arcaiche liturgie e
mitologie contadine, quando Marsilio, Pico, Agrippa, Cardano, Reuchlin,
Tritemio, Bruno, Paracelso, Campanella e Keplero, credevano si potesse, a
partire dall'arcana sapienza egizio-ebraica, forzare gli aneli a modificare
per il bene e il vantaggio degli uomini, il moto delle sfere celesti e i loro
influssi sulla Terra. I loro mezzi sono di certo più raffinato di quelli delle
streghe: l'astrologia, la cabbala, l'arte della memoria, la teoria delle
simpatie, la mistica della parola e del gesto, il prezioso talismano e
l'alchemica fornace sono molto diversi dalle vili tecniche dello stregone,
30
dai caotici Sabba, dalle inquietanti formule magiche o evocatorie, ma il
segno e il tono culturale sono analoghi.
Durer - Melancolia 1
Il materiale che suggerisce Marsilio non è ripugnante: l'oro e l'argento
per i talismani, le pietre preziose, i fiori come la rosa e il croco, erbe
profumate e diete raffinatissime per la salute, formule di incantevole
poesia e figure magiche degne del miglior gusto iconografico di un'epoca
di gusto, sono ben diverse dai disgustosi elementi del Sabba, ma se si
tolgono le forme estetizzanti quel che rimane è la tecnica dello stregone. E
sotto questa tecnica veniva sempre più a imporsi la precisa
consapevolezza che i limiti fissati da Marsilio erano contradditori con la
figura e i compito di un uomo-mago che, ormai entrato nella sfera
demiurgica e sedutosi alla destra di Colui che regna al di sopra del fuoco,
aveva coscienza di essere il nuovo dio. Molti degli emuli di Marsilio non
disdegneranno di ricorrere a tecniche assolutamente contrarie alla
religione cristiana e, addirittura, a propugnare (nello spirito di Gemisto
Pletone) un ritorno integrale al paganesimo antico e al culto dei " demoni".
Pia philosophia e docta religio svaniranno così per lasciare il posto alla
magia o per meglio dire al desiderio dell'uomo di essere assolutamente
padrone di se stesso e della natura, senza che nulla al di sopra di lui possa
mai limitarlo in questo sogno di assoluta libertà.
31
IL SAPIENTE DOMINERÀ GLI ASTRI? I FILOSOFI DELLO ZODIACO
di Ottavio Olivieri
Dalla razionalità del pensiero greco che chiamava barbari quei popoli che
adoravano il Sole e la Luna a Claudio Tolomeo, autore di un’opera
importantissima sull’astrologia, alla persecuzione degli imperatori cristiani fino
all’istituzione della cattedra di astrologia da parte dell’imperatore Teofilo
nell’VIII sec., all’atteggiamento ostile del mondo islamico…Se rigettiamo i
preconcetti razionalistici che ne fanno un tema da dimenticare, la storia
dell’astrologia si può leggere anche così: come un viaggio affascinante che ci
consente di comprendere meglio una parte della storia umana.
Molte leggende riguardano la vita di Talete di Mileto, il primo filosofo
nella Storia occidentale. Una di esse racconta come il sapiente, mentre
gironzolava con la testa per aria fissando le stelle, scivolò in un pozzo. Per
sua fortuna fu salvato da una giovane servetta, che era solita seguirlo
durante queste passeggiate ben sapendo come chi è troppo attratto dal
32
cielo sia solito dimenticare ciò che si trova sotto i piedi. Forse a causa di
questa disavventura l'acqua ebbe una così grande importanza nella teoria
cosmogonica del filosofo, fino a diventare arché (principio) di tutte le cose.
Lo stesso Talete, secondo un’altra leggenda, era troppo occupato dalle
attività della mente per avere cura di quelle materiali, sicché si ridusse
ben presto in povertà. Spinto probabilmente dalle rimostranze dei
familiari, che non riuscivano a comprendere il lato pratico della sua
sapienza, riuscì a procurarsi una piccola fortuna in modo senz'altro
inconsueto. La tecnica era quella che in campo economico è chiamata
aggiotaggio: dopo aver previsto mediante complessi calcoli astronomici
uno straordinario raccolto di olive, aveva affittato tutti i frantoi della zona,
rivendendo poi il diritto così acquisito al momento opportuno e
procurandosi un grosso guadagno nello scorno degli immancabili
detrattori.
Con la figura in buona parte mitica di Talete di Mileto inizia una delle
possibili storie dell’astrologia occidentale.
Egli visse nel sesto secolo a.C., senz'altro prima che precise tecniche di
astromantica fossero introdotte nel mondo greco. Certamente dall'Egitto e
molto probabilmente da Babilonia, Talete e i suoi epigoni avevano tratto
numerose cognizioni di astronomia. La divisione del giorno in dodici ore,
la conoscenza delle orbite del Sole e dei pianeti, il loro numero e la
successione delle costellazioni sono nozioni che provenivano dall‘Oriente.
I filosofi ioni ci non accettarono però il principio di connessione tra
movimenti degli astri e destino di singoli individui o interi popoli.
Costruendo cosmogonie puramente scientifiche rigettarono la
mentalità ieraticamente condizionata propria dell'astrologia "caldea" ed
egizia. Con opera mirabile gli antichi Greci riuscirono a combinare i
movimenti della volta celeste con la geometria e col pensiero razionale
sull'uomo e sull'universo. Non vi fu per loro spazio per un culto degli
astri, Wilamowitz (1) a questo proposito è chiarissimo: l'adorazione del
Sole e delle stelle non appartiene al popolo greco, ". ..gli dèi greci, che
amavano e odiavano, aiutavano o danneggiavano i mortali erano terreni,
appartenevano alla terra e, come tali, apparivano agli uomini. ..fu Solo
attraverso I 'astrologia che le costellazioni ebbero una qualche influenza sulla
sorte degli uomini ed anche allora furono fondamentalmente solo semata
(segni)".
Aristofane nella commedia "La Pace" (vv. 406-413) era piuttosto
esplicito: elemento distintivo tra Greci e Barbari era il fatto che questi
ultimi adoravano il Sole e la Luna come divinità. I segni provenienti dal
cielo, non solo i tuoni e i fulmini, ma anche le eclissi potevano avere un
significato divinatorio preciso, ma la loro importanza non andava molto
oltre.
33
Ogni interruzione del normale corso degli eventi poteva essere il
prologo di fatti notevoli ma anche in questo prevaleva la razionalità. Il
condottiero ateniese Nicia, sconfitto in Sicilia anche per il terrore delle
conseguenze di un'eclisse lunare, fu considerato dai contemporanei e
dallo storico Tucidide uomo stolto e superstizioso. Fu invece apprezzato il
comportamento opposto di Pericle il quale, secondo una nota leggenda,
era riuscito a rassicurare i propri soldati, spaventati da un'eclisse solare,
coprendo il volto di uno di essi con un mantello, dando cosi una
spiegazione immediata e comprensibile del fenomeno.
L'astrologia in quanto tale non esercitò decisive influenze sulla vita e
sui costumi del popolo greco fino ai tempi di Alessandro Magno.
Nozione comune per i Greci era che la loro astronomia derivasse da
Babilonia e che l'astrologia fosse stata importata dal " caldeo " Berosso. Lo
scrittore romano Vitruvio (2) narra come ". .. molti della razza dei Caldei ci
hanno rivelato le loro scoperte. ..il primo fu Berosso, che si stabilì nell’isola di
Cos ed ivi insegnò per molti anni la sua scienza. .." Lo stesso Vitruvio afferma
che Berosso fu un sacerdote di Bel che visse almeno centosedici anni, età
non eccezionale per un popolo che, stando all'autorità di Plinio il Vecchio,
aveva tenuto il computo dei movimenti ce lesti per 490.000 anni.
Nelle "Storie Babilonesi", opera databile intorno al 280 a.C. e dedicata
ad Antioco I di Siria, Berosso rese note ai Greci le leggende cosmogoniche
della Mesopotamia, l'astromantica di un popolo che doveva essere
prezioso regalo per chi ne fosse stato degno.
Conoscenza iniziatica, dunque, rivelazione che avrebbe sollevato i
sapienti dalle miserie dell’esistenza. A questo aspetto se ne può
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aggiungere un altro: Cos era la patria della: medicina di Ippocrate e la
connessione tra astologia e anatomia, la cosiddetta "iatromathematica",
era molto antica. Fra il quarto e il terzo secolo si diffuse la nozione che le
parti del corpo fossero in qualche modo collegate ai segni dello zodiaco:
partendo dalla testa, soggetta al potere della costellazione dell’Ariete, si
giungeva ai piedi, dominati dalla costellazione dei Pesci.
Sulla scorta del concetto stoico di "simpatia" tra macrocosmo e
microcosmo che riflette nella sua natura e struttura quella del tutto, un
pianeta maldisposto può determinare la malattia dell'organo ad esso
soggetto. Unico rimedio è quello di ristabilire l'equilibrio alterato,
rafforzando il potere del "segno" zodiacale afflitto mediante l'uso di
animali, piante e minerali ad esso propizi.
Neugebauer (3) e Nilsson (4) affermano che l'astrologia "scientifica",
basata cioè su precisi dati astronomici, da noi conosciuta non è più antica
del quarto secolo a.C. Se si considerano i progressi compiuti
dall'astronomia greca, quello straordinario sviluppo che inizia nel quarto
secolo con Eudosso per raggiungere il suo apice tra il terzo e il secondo
secolo a.C., nel periodo che va da Aristarco a Ipparco, tale impostazione
può essere condivisa. Le conoscenze di trigonometria di Ipparco lo misero
in grado di calcolare la durata del giorno con la declinazione del sole e la
latitudine del luogo, l'astrolabio da lui costruito rendeva agevole seguire i
movimenti della volta celeste. La struttura principale della teoria
astrologica è indubbiamente ellenistica, una costruzione nella quale ". ..per
filosofi ed astronomi greci l’universo era una struttura ben definita di corpi
direttamente connessi tra loro. La concezione di un 'influenza prevedibile
esercitantesi tra questi corpi non è minimamente diversa, in linea di principio, da
una qualsiasi teoria meccanicistica moderna. Essa si contrappone nettamente
all'idea di un dominio arbitrario degli dèi". (5)
In questo contesto fece la sua
comparsa un grande libro
sistematico, formato
sostanzialmente di due opere,
conosciuto col nome di due autori
appartenenti alla storia dell'Egitto:
Nechepso e Petosiris. Il primo era
ritenuto un antico faraone ed il
secondo un alto sacerdote; siffatte
autorità rivelavano in forme
profeticamente oscure, la sapienza
destinata agli "spiriti regali chiamati
ad esserne illuminati" toccando tutti i
particolari (compreso l'ordine dei
pianeti secondo la durata delle
rivoluzioni). Questo trattato
fondamentale, scritto in greco dai
due presunti autori egizi (tuttora
non sappiamo fino a che punto ci si
trovi di fronte all'opera di due
scrittori o di uno solo) risale ad
35
almeno 150 anni avanti Cristo,
poiché dà come non ancora per
distrutta Corinto.
Il libro di Nechepso-Petosiris era destinato ad avere eccezionale
importanza per gli astrologi, fino a divenire il testo più autorevole in
materia sino alla comparsa delle opere di Tolomeo nel secondo secolo
dell'era cristiana.
Più o meno al tempo della comparsa del libro di Nechepso-Petosiris, il
filosofo accademico Carneade poneva obiezioni di ordine morale e tecnico
alla credenza nell'influsso delle stelle e nell'attendibilità dell'astromantica.
Gli argomenti da lui proposti restarono a lungo i più pericolosi per
denigrare l'astrologia: come si poteva spiegare il destino diverso di due
gemelli venuti al mondo quasi nello stesso momento? Come si
giustificava il fatto che più persone nate in tempi diversi morissero nella
stessa battaglia?
La pretesa scientificità dell'astrologia veniva meno perché i calcoli
delle posizioni planetarie erano fatti al momento della nascita e non in
quello del concepimento, quasi impossibile da stabilire. I principi stessi
dell'astromantica erano fallaci, con la pretesa onnipotenza del destino
veniva meno ogni responsabilità e moralità umana, le azioni dell'uomo
non erano altro che le conseguenze ultime del moto degli astri.
Queste obiezioni ebbero un considerevole successo, lo stesso filosofo
stoico Panezio ne fu convinto fino al punto di abbandonare la predizione
e l'esegesi astrologica che era propria della scuola che rappresentava. A
detta di Cicerone, (6) Panezio fu l'unico degli stoici a respingere tale
concezione; per il suo determinismo rigoroso la Stoa era per definizione la
vestale dell'astrologia. La diaspora durò in effetti ben poco; già con
Posidonio successore di Panezio nella direzione della scuola, l'influsso
orientale riprese quota. A questo proposito Franz Boll (7) riscontra come
Panezio, amico di Scipione Emiliano e dello storico Polibio, fosse nativo di
Rodi mentre Posidonio, originario di Apamea in Siria, era per tale motivo
ben più esposto alle influenze orientali. Tralasciando spiegazioni di
ordine geografico, fu senz'altro per opera di Posidonio, scrittore
enciclopedico di erudizione sconfinata, che i Greci conobbero meglio
l'astrologia orientale e superarono gradualmente le resistenze ad essa.
Intorno al secondo secolo a.C., stando a quanto riferito da Ennio e
Plauto, l'astrologia giunse a Roma; nel 139 a.C. gli astrologi furono espulsi
per editto di Cornelio, "praetor peregrinus", preoccupato dell'influenza
che tali personaggi stavano esercitando nelle classi subalterne. Senz'altro
l'editto riguardava più i ciarlatani e gli indovini che tormentavano la
plebe romana in ogni occasione di ritrovo collettivo che non i
"mathematici", astrologi scientifici di origine greca o alessandrina, che
praticavano l’arte per conto dei potenti. Questi ultimi erano tenuti in
buona considerazione, sebbene un'accettazione acritica dell'astrologia
dovesse rimanere in buona parte estranea alla mentalità romana. Gli
epicurei come Lucrezio, nel loro materialismo teso a liberare l'uomo da
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paure superstiziose, erano destinati ad opporsi alle teorie astrologiche.
Come contrapposizione all'atomismo e all'irreligiosità del "De rerum
natura" Manilio, poeta latino della cui vita si conosce ben poco, scrisse tra
il 9 e il 15 d.C. il grande poema "Astronomica", opera probabilmente
incompiuta della quale ci sono pervenuti cinque libri largamente
rimaneggiati. "Perspicimus coelum, cur non et munera coeli?" in esametri di
struttura impeccabile e di indubbia efficacia l'astrologia viene da Manilio
esaltata come rivelazione divina offerta da tempi immemorabili agli spiriti
eletti. Vi è nell'uomo e negli astri una natura divina comune, della cui
conoscenza la stessa divinità ha fatto dono ai mortali. Il sapiente, che è in
grado di interpretare questo legame, è veramente libero "victorque ad
sidera mittit sidereos oculos".
Tutti gli imperatori, da Augusto, Tiberio, Nerone a Vespasiano e
Marco Aurelio, ebbero i loro astrologi; alcuni di essi divennero i
consiglieri più ascoltati. Certo le loro fortune furono alterne; un decreto di
Augusto dell'11 d.C. rendeva illegale il fatto di consultare privatamente o
segretamente "gli indovini di ogni tipo".
Solo nel primo secolo della nostra era gli "astrologi" in senso lato
furono banditi da Roma almeno sei volte. L'astrologia era destinata a
partecipare in misura sempre crescente ai giochi di potere; un esempio tra
molti è la nota previsione di Trasillo, astrologo amico di Tiberio. Le stelle
decretavano che " l'imperatore non avrebbe , fatto ritorno dalla Campania,
ma i suoi nemici non ebbero modo di gioire, negli undici anni che Tiberio
rimase a Capri essi ebbero modo di pagare cara la loro ingannevole
sicurezza. Allora come sempre i responsi degli astrologi erano
volutamente ambigui e pericolosi, ma il misterioso doppio senso non
diminuiva anzi accresceva la fede nella loro attendibilità.
In questa situazione rimaneva in ombra l'aspetto scientifico
dell’astrologia; ben pochi furono gli autori che si preoccuparono di
mettere in giusta evidenza questa caratteristica. Tra essi fu senz'altro il
"miles fati" Vezio Valente, vissuto nel secondo secolo d.C., autore
dell’"Antologia", grosso volume in gran parte conservato.
Purtroppo il suo entusiasmo
non fu supportato da
adeguate cognizioni tecniche,
la materia astrologica venne
descritta in maniera non
molto attendibile in un greco
involuto ed oscuro (Boll,
attento a questi aspetti, non
manca di rilevare come Vezio
Valente fosse un plebeo di
modeste capacità intellettuali).
Contemporaneo di Vezio
Valente fu il grande
astronomo Claudio Tolomeo,
la cui opera doveva avere ben
37
altra importanza e portata.
"Dei modi di predire il futuro attraverso 1‘astronomia due sono i più
importanti ed efficaci: uno, che è il primo nella teoria e nella pratica, è quello
mediante il quale abbiamo conoscenza delle inalterabili configurazioni prodotte
dai movimenti del sole, della luna e dei pianeti in relazione reciproca e con la
terra, il secondo è quello che ci permette di indagare i cambiamenti prodotti nel
mondo dai particolari aspetti di queste configurazioni. Il primo ha una sua
propria 1ogica ed un proprio metodo, desiderabile per se, prescindendo dai
risultati che conseguono dalla sua combinazione con 1‘altro. Esso è stato esposto
sistematicamente e scientificamente, nel miglior modo a me possibile, in questo
trattato. Del secondo, che non è altrettanto autosufficiente, ho cercato di dare
una descrizione adeguata dal punto di vista filosofico".
Inizia così la Tetrabiblos di Tolomeo destinata a divenire ben presto la
bibbia astrologica, l’opera fondamentale a cui faranno riferimento gli
astrologi arabi e occidentali dei secoli successivi. I due momenti distinti
dell’astronomia, quello teorico (la cognizione matematica dei moti celesti
cui è consacrato l’ Almagesto ) e quello pratico (la previsione utile e
possibile degli eventi contenuta nella Tetrabiblos propriamente detta) sono
complementari. La scienza dei cieli così congegnata è 1’unica che possa
condurre l’uomo ad una conoscenza serena dell’inevitabile,
preservandolo da paure eccessive e da esaltazioni deliranti. La
"Tetrabiblos" era concepita soprattutto come opera didattica: la forma
dell’espressione astrologica, fino ad allora frammentaria o poetica, viene
razionalizzata in chiare definizioni; la dottrina dei quattro elementi (aria,
acqua, terra, fuoco) e la classificazione delle quattro qualità fondamentali
(caldo, freddo, secco, umido) viene espressa in termini che resteranno
immutati nelle elaborazioni dei secoli successivi.
Non era facile per nessuno sottrarsi all’autorevolezza di un sistema
così abilmente congegnato: "col grande nome di Tolomeo, anche per gli
ambienti intellettuali dell’antichità morente, la lotta intorno all’astrologia era
sostanzialmente decisa...".. (8)
Di fronte a questa situazione venne a trovarsi il cristianesimo nascente,
una religione per dogma intollerante di ogni altro culto dalla quale ci si
poteva aspettare soltanto una lotta di sterminio nei confronti
dell’astrologia. La fede nel- la salvezza eterna male poteva conciliarsi con
la credenza negli astri e nel destino, ma la lotta esteriormente vittoriosa,
della Patristica contro l’astrologia non si svolse senza resistenze interne.
Due esempi tra i molti possibili: Origene concedeva agli angeli ed ai beati
la capacità di leggere le scritture astrali; Tertulliano riteneva l’astrologia
ammissibile solo fino all’apparizione dei Vangeli, dopo i quali era lecita
solamente "la scienza che osserva le stelle di Cristo". La dottrina della
predestinazione affermava che la salvezza o la dannazione dell’uomo
dipendono soltanto dal volere di Dio, quindi molti cristiani devoti
potevano vedere nel decreto dei corpi celesti una diversa espressione di
questa fede, oppure riservare all’onnipotenza divina l’annunzio mediante
gli astri della sua decisione irremovibile.
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Non diversamente dai loro predecessori pagani, anche gli imperatori
cristiani combatterono l’astrologia: nel 409 d.C. Onorio e Teodosio
costrinsero gli astrologi a bruciare i loro libri alla presenza dei vescovi ed
a ritornare alla vera fede sotto pena di esilio; tra gli eretici banditi da
Teodosio e Valentiniano nel 425 non mancavano i mathematici.
Non furono certo gli editti imperiali o i roghi dei manuali a far
scomparire l"astromantica dai mondo occidentale, ma di certo l"astrologia
ai tempi delle invasioni barbariche ebbe la stessa sorte delle altre arti o
scienze Cadute nell'oblio le cognizioni astronomiche che ne erano il
supporto necessario, l’astromantica attraversò un lungo periodo di
declino. Solo alla fine dell'ottavo secolo un persiano chiamato Stefano il
filosofo, poté vantarsi "…per aver reintrodotto l'astrologia a Roma ("rectius
Bisanzio"). Di certo fu col rifiorire della ricerca scientifica a Costantinopoli
che l'astrologia rinacque assieme all'astronomia; negli ultimi anni dei
secolo VIlI l'imperatore Teofilo istituì una cattedra di astrologia quale
ricompensa per il filosofo Leone, benemerito per aver salvato Salonicco da
un'epidemia mediante appropriati consigli tratti dall'osservazione degli
astri .
In quel secolo gli Arabi iniziarono a praticare l"astrologia greca, a loro
pervenuta mediante traduzioni dal siriano, dal persiano e persino
dall'indiano. Il testo fondamentale, la Tetrabiblos di Tolomeo conobbe un
nuovo periodo di splendore. Inoltre i perfezionamenti introdotti dall'uso
delle cifre arabe e dello zero rendevano accessibili calcoli di una
precisione inconcepibile in precedenza. Cambiarono radicalmente le
tecniche astromantiche; le nuove cognizioni rendevano possibile tracciare
diagrammi del moto degli astri anche per momenti limitati.
Dal raffronto delle carte celesti così compilate il sapiente era in grado
di trarre precise indicazioni non solo sulla soluzione dei singoli problemi,
ma anche sui momenti più opportuni per affrontarli.
Lo sviluppo di questo tipo di astromantica non avvenne senza
opposizioni. L 'assoluto monoteismo insegnato da Maometto non lasciava
spazio per ogni sorta di fatalismo sul potere delle stelle; la deterministica
visione del volere di Allah implicava l'assoluta dipendenza dell'uomo da
Dio. Proprio per questo l'Islam non poteva essere più tollerante del
Cristianesimo, non a caso gli argomenti prodotti a sostegno della validità
e dell'ammissibilità dell'astrologia furono pressoché identici a quelli dei
cristiani dei primi secoli. Molti grandi pensatori islamici come AI-Farabi,
Avicenna e Ibn Khaldun si schierarono decisamente contro l'astrologia
giudiziaria, ma il dottissimo AI-Kindi e il suo discepolo Abu Ma'shar
furono astrologi ed ebbero grande influenza sugli scrittori occidentali del
Medioevo.
AI Kindi era nato verso la fine dell'ottavo secolo da una famiglia
aristocratica (il padre fu governatore di al-Kurfan sotto Harun al-Rashid)
ebbe prestigiose cariche alla corte di quel grande patrono delle arti e delle
scienze che fu il califfo Ma'mun. Tra le sue numerose opere il trattato De
radiis, sopravvissuto in traduzione latina, doveva avere una duratura
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considerazione. Partendo dalla nozione stoica di simpatia cosmica AlKindi poneva le basi per una sorta di metafisica della magia, quasi
precorrendo Keplero parlava reciproche influenze di raggi tra gli oggetti,
in particolare dell'influenza di raggi stellari, i più potenti, sull'agire
umano (l'affermazione fu condannata come eretica dal vescovo Tempier
nel 1277).
Abu Ma'shar era nato nel 787 a Balkh, una città del Khurasan dove
vivevano comunità ebree, nestoriane, manichee e buddhiste. Molte di
queste influenze si ritrovano nelle sue opere grande fu comunque
l'ascendente che su di lui ebbe AI-Kindi. Si debbono all'incontro con
quest'ultimo i Flores Astrologiae tradotti da Giovanni di Siviglia,
l’Introductrium, tradotto da Abelardo di Bath, il il De revolutionibus
nativitatum tradotto da Ermanno di Carinzia, testi che ebbero una grande
diffusione nell'Occidente europeo. Immediatamente accessibili anche ai
profani, furono queste opere, di natura didattica e didascalica, a rendere
conosciuta ed apprezzata l'astrologia araba presso i lettori occidentali. Ne
fu certo un caso se i "Flores Astrologiae" furono tra i primi lavori stampati
da Gutemberg.
Per tutto il periodo che va dal sesto al dodicesimo secolo non vi fu in
Europa una vera e propria astrologia. Andati perduti i maggiori manuali
in lingua latina, fu per merito degli Arabi che le scienze naturali degli
antichi furono nuovamente conosciute in Occidente. Da quando le
traduzioni di medicina, matematica, scienza e filosofia cominciarono a
diffondersi nelle scuole europee, anche l'astrologia fu accettata come parte
dell'antica visione del mondo, patrimonio comune del mondo islamico e
di quello cristiano.
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Una materia di studio : Grazie ai contatti tra le civiltà stabilitisi con le
crociate e ai centri culturali della Spagna (Toledo) e della Sicilia (Palermo),
gli studiosi europei si rivolsero agli Arabi per imparare il quadrivio e la
medicina. In questo contesto la scienza medica e l'astronomia non
potevano essere disgiunte dallo studio dell'astrologia, che costituiva parte
integrante di entrambe. Tullio Gregory ha caratterizzato molto bene
questo aspetto" ...nel dodicesimo secolo 1’astrologia era una delle scienze
fisiche che gli uomini dovevano studiare, proprio come scienza fisica e non come
qualcosa basato su dati immaginari, perché essa era realmente una scienza
positiva per l'uomo del Medioevo..." . (9)
Dalla cognizione delle cause naturali dipendeva la corretta
comprensione dei fenomeni. Singolare applicazione di questo principio fu
il parere ufficiale della facoltà di medicina dell'università di Parigi
presentato al re Filippo IV nel 1348 per spiegare l'origine della peste nera:
"il giorno 20 Marzo 1345, all’ora prima pomeridiana, è avvenuta la
congiunzione di Saturno, Giove e Marte nella casa dell'Acquario. È noto come la
congiunzione di Saturno e Giove sia causa di morte e disastri, mentre la
congiunzione di Marte e Giove diffonde l'epidemia nell'aria. Conseguentemente
la congiunzione di tutti i pianeti non può che significare un'epidemia di scala
cosmica".
Lo stretto legame tra astrologia e medicina faceva parte del
programma di insegnamento impartito nelle università. Gli studenti di
medicina a Bologna dovevano seguire un corso di astrologia della durata
di quattro anni, il docente aveva tra i suoi doveri quello di compilare ogni
anno un calendario contenente movimenti, congiunzioni ed aspetti dei
pianeti. Tra i nomi che compaiono nella lista dei professori di questa
materia il primo che si incontra è quello di Guido Bonatti, nato a Forlì
verso il 1200 e morto verso la fine del secolo. Famoso astrologo, scrisse il
"De astronomia", trattato in dodici volumi nel quale, a detta del Villani,
trattò il soggetto dell'astrologia in modo così chiaro da sembrare
desideroso di insegnare quest'arte alle fanciulle. Fu l'astrologo preferito
da Guido di Montefeltro; si narra che il condottiero si servisse
dell'astrologo come segnale di partenza per le sue imprese belliche.
Bonatti saliva sul campanile di S.Mercuriale a Forlì a consultare gli
astri, l'esercito prendeva le armi e si metteva in marcia solo al suo rintocco
di campana. Singolare fu il ruolo da lui svolto nel tentativo di
riconciliazione tra guelfi e ghibellini di Forlì nel 1282. L 'accordo era
basato sulla solenne rifondazione della città, sulla costruzione di nuove
mura e sul fatto che un capo guelfo ed un capo ghibellino ponessero
contemporaneamente la prima pietra nel momento astrologicamente più
propizio. Tutto era pronto, alla presenza delle schiere contrapposte, ma
quando Bonatti (inutile dirlo) diede il segnale che il momento cruciale era
giunto, il ghibellino mise la sua pietra, mentre il guelfo esitò ed infine
rifiutò di cooperare.
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Tra le escandescenze disse che
Bonatti, notoriamente di parte
ghibellina, aveva usato la sua
sapienza per scegliere il momento
più favorevole non per la città, ma
solo per i suoi amici.
Si può dedurre che gli astrologi
fossero le autorità più consultate
riguardo al tempo più favorevole
per un'impresa ; non si può in vece
sapere quanti e quali principi e
potenti mutarono le loro esistenze a
causa dei loro consigli.
Nel Medioevo in tutta l'Europa gli
uomini erano disposti a credere in
opinioni che, ai nostri tempi,
consideriamo superstiziose senza
senso.
Contemporaneamente riuscirono a
compiere grandi progressi in campo
filosofico e matematico.
Certo non facevano le distinzioni cui
siamo abituati religione e
superstizione, ma le stesse
confusioni ritornano continuamente.
È luogo comune che la storia sia scritta dai vincitori, ma nella storia
delle idee è difficile e sintomo di supponenza rintracciare dei ruoli
definitivi. È corretto perciò affrontare ogni epoca considerando ciò che
l'ha preceduta, ma rintracciare passaggi è difficile quanto individuare uno
spirito del progresso. In quasi due millenni l'astrologia aveva conosciuto
più volte periodi di prosperità e miseria, scomparve quasi completamente
per poi ricomparire e riacquistare una crescente importanza. Seguirne i
percorsi è uno dei possibili mezzi per comprendere meglio una parte della
storia dell’uomo.
Note.
(1) U. Von Willamowitz Moellendorf Der Glaube der Hellen (Berlin 1931)
(2) Vitruvio, libro VI, 2
(3) O. Neugebauer: Le scienze esatte nell’antichità (trad. it. Milano 1974) pag. 197 e segg.
42
(4) M. P. Nilsson: Geschichte der griechischen Religion (Munchen 1961) pag. 268 e segg.
(5) O. Neugebauer op. cit. pag. 203
(6) Cicerone, De divinatione, II, 42
(7) F. Boll, C. Bezold. H. G. Gundel: Storia dell’astrologia (trad. it Roma-Bari 1979) pag. 36
(8) Ibidem, pag. 41
(9) T. Gregory: La nouvelle idée de nature et de savoir scientifique au XII siécle in The cultural context of
Medieval Learning Boston, 1975, pag. 214
IL RITORNO DEGLI DEI PLANETARI E LA LORO
RAPPRESENTAZIONE
Maurizio Elettrico
L’idea principale su cui si muove il recupero dell’astrologia dal
medioevo all’età rinascimentale è che gli dei antichi sono in realtà stelle; la
loro raffigurazione quindi contiene implicitamente i corrispondenti
significati cosmologici.. L’idea che i pianeti siano esseri viventi era già
diffusa nel primo medioevo e si connetteva a svariati processi di
identificazione tra pianeti e dei, iniziata sin nei tempi antichi. Per il
mondo greco però questa sovrapposizione non fu affatto immediata.
Aristofane nella commedia La Pace (vv.406-413) distingue i greci dai
barbari, anche perché questi ultimi venerano superstiziosamente il Sole e
la Luna e credono negli effetti nefandi delle eclissi. In seguito si era
avviata questa compenetrazione tra il divino e l’astrale a partire
dall’influsso della tradizione caldea sul mondo greco. Il pensiero greco
aveva postulato l’idea del pianeta come essere vivente e divino con la
scuola di Zenone stoico, dove l’astrologia veniva di fatto impiegata anche
per finalità divinatorie. In effetti si può leggere in questa concezione anche
un fertile innesto della religione egizia, che già secoli prima rappresentava
lo zodiaco attraverso le sue divinità, come ci illustra lo zodiaco di
Denderah. Ciò può essere dovuto alla diffusione in Grecia di testi egizi
che prendevano il nome dai loro stessi autori: il Nechepso e il Petosiris, il
43
primo un faraone e il secondo un sacerdote egiziano.
Anche Eratostene parla di questa combinazione divinità e zodiaco,
mentre in poesia si comincia con Arato ad associare le stelle agli antichi
miti.
Ma non mancano detrattori; celebre ad esempio è la questione
sollevata da Carneade nella sua polemica contro l’astrologia, perché
rimaneva indimostrabile il fatto che due gemelli avessero destini
differenti pur nascendo nello stesso giorno e ora, mentre persone nate in
periodi diversi potessero morire nello stesso momento e modo, come per
una battaglia o catastrofe. Lo stesso Panezio, amico di Scipione Emiliano
e di Polibio, pur appartenendo alla scuola stoica, respinse alla fine
l’astrologia, negando di fatto agli astri ogni rapporto con il divino, mentre
Varrone indicava nelle divinità soltanto simboli dei corpi celesti.
Nonostante ciò questo processo di identificazione tra dei ed astri
diviene sempre più saldo; Manilio nel suo poema Astronomica, scritto tra
il 9 e il 15 d.C., celebrava gli astri come divinità, contribuendo a fondere
sempre più la mitologia con l’astrologia e la rappresentazioni degli dei
con quella dello zodiaco. Già in età repubblicana cominciano ad essere
usate le espressioni abbreviate Saturnus o Juppiter al posto di Sidus Saturni
e Sidus Jovis, mentre in età augustea viene introdotta la settimana
planetaria, fino ad una corrispondenza tra calendario e zodiaco, che
riguarda non solo i giorni ma anche i mesi e le ore.
Macrobio allude a queste corrispondenze ad esempio tra marzo e
Marte, in latino per entrambi mars, che corrisponderebbe all’Ariete, segno
zodiacale del mese di marzo. Così anche aprilis verrebbe dal greco aphros,
cioè spuma: è difatti aprile corrisponde a Venere in associazione con il
Toro. Maggio ancora, cioè maius, deriva da Maia, madre di Mercurio e
questi è infatti il pianeta del mese di maggio, corrispondente al segno dei
Gemelli, mentre giugno si riferisce al segno del Cancro, domicilio della
Luna, perché associato a Giunone Lucina o lunare. Ancora gennaio
deriverebbe da uno degli dei più antichi e importanti dell’antichità
romana: il Giano bifronte.
Anche le ore hanno una divinità
diversa a secondo del giorno della
settimana, partendo dalla regola
che il pianeta, che governa il giorno,
amministra anche la prima ora
dopo l’alba, mentre le successive
sono distribuite tra i vari pianeti,
che si susseguono sempre nel
medesimo ordine: cioè Sole, Venere,
Mercurio, Luna, Saturno, Giove,
Marte.
Arateon Centauro
44
Le arti figurative non si sottraggono
a questo rimando tra miti e stelle,
come si nota nel celebre globo
farnese nel Museo Nazionale di
Napoli, copia romana di un
originale greco forse ispirato al
poema sulle costellazioni di Arato:
sono rappresentate le costellazioni celesti attraverso l’iconografia degli
antichi miti sulla superficie di una sfera sostenuta da un Atlante, con uno
alto stile di esecuzione .
È il caso della figurazione dell’Idra, costellazione che ne porta sopra
altre due; il corvo e la coppa qui con un chiaro riferimento alla storia
mitica di Apollo, che manda il corvo ad attingere acqua alla fontana sacra,
mentre la disobbedienza costa all’animale come punizione una specie di
supplizio di Tantalo, di stare cioè sul dorso dell’Idra insieme alla coppa,
senza potersi mai dissetare.
Importante sulla scia della identità iconografica tra mito e costellazione
è anche il disco di bronzo di un orologio con raffigurazioni zodiacali, ora
nel Salisburgo Stadtmuseum, databile intorno al sec. II-III d. C.. Tale
classicismo descrittivo rifiorirà solo in età rinascimentale a partire dalla
carta zodiacale di Albrect Durer o nella carta di Pietro Apiano del 1536 e
ancora con l’Atlante del disegno Giorgio Martini (1439-1502), una delle
prime riprese figurali del mito, che non regge un globo, ma bensì un disco
piatto.
Ancora l’idea di Manilio di accoppiare i mesi alle divinità finisce con
l’avere nella stessa età romana le sue esecuzioni figurative come l’altare di
Gabi e i menologi rustici.
La rappresentazione nell’arte figurativa dello zodiaco acquista sempre
più un carattere simbolico, in genere riferendosi al potere universale del
monarca, unita a esigenze decorative ed estetiche. Un esempio ci può
essere offerto dalla volta del triclinio imperiale di Nerone, che
probabilmente raffigurava uno zodiaco su una grande tavola di avorio e
riproduceva il moto celeste attraverso un meccanismo idraulico.
45
Il Sole e i segni dello zodiaco in un manoscritto rinascimentale.
Con l’avvento del cristianesimo l’astrologia subisce una iniziale
decadenza, ma continua a rimanere radicata nella cultura sia laica che
religiosa. Ancora l’evocazione simbolica del potere implicita
nell’immagine dello zodiaco resiste negli ambienti del potere.
L’identificazione di Dio stesso con il sole, basata sulle teorie eliosofiche e
la penetrazione del mazdeismo nella cultura tardoantica spingono ancora
imperatori come Aureliano e Costantino a non rinunciare ai culti astrali.
Costantino chiede la creazione dell’oroscopo della città di Bisanzio, che
venne ritrovato nel rinascimento da Pomponio Gaurico nella biblioteca
vaticana e pubblicata dal fratello Luca nel Neapolitani prognosticon. Sempre
Costantino, in perfetto accordo con le teorie orientali di una origine celeste
del potere non mancò di farsi raffigurare su una colonna a Bisanzio con le
vesti del sole .
La filosofia tardo antica cerca inoltre di rafforzare la posizione
dell’astrologia e della magia in genere. Nell’ambito neoplatonico è
possibile una distinzione tra teurgia e goetia, la prima rivolta a spiriti
stellari buoni la seconda ad entità malvagie, categorie di popolazioni
magiche già individuate da Apuleio. Anche in questa visione riscopriamo
la resistenza di un rapporto stretto tra spiriti ed astri. In questo modo
l’astrologia proprio perché riferita al mondo celeste è in se stessa benigna:
per Plotino in particolare le stelle con i loro transiti sono segni inviati della
divinità stessa per meglio predisporci verso il futuro.
Invece l’atteggiamento dei padri della chiesa verso i pianeti - dei è nel
migliore dei casi polemico e diffidente. Per un Tertulliano, che aveva dato
una particolare spiegazione sugli spiriti planetari, definendo l’astrologia
la dottrina degli angeli caduti, la divinazione con gli astri non ha più
46
necessità di essere dopo la discesa del Cristo sulla terra. La possibilità
preditoria dell’astrologia appare così superflua nell’ambito del modificato
rapporto con il destino dell’uomo, eticamente rigenerato dal Cristo. San
Agostino considera malvagi tutti gli dei astrologici in una polemica, che
vuole essere di fatto anche un colpo di grazia al morente paganesimo. La
critica di Agostino è però di base compromessa dal suo stesso
avvicinamento, avvenuto in età giovanile, a questa scienza divinatoria.
Infatti il rifiuto dei perfidi dei astrali nel De Civitate Dei mostra almeno
rispetto per uno di essi, che era poi la divinità prescelta dai platonici:
Saturno, di cui descrive la etimologia metà greca e metà latina, cioè da
Satur abbondante e nous mente.
Nel corso del medioevo non mancheranno tentativi di eliminare la
stessa settimana planetaria e addirittura di conciliare le costellazioni con
nomi biblici, come fa Irenico in piena età carolingia, mentre nel Li cumpoz
di Filippo di Taon si prova a sostituire ai dodici segni i dodici patriarchi.
Questa operazione garantiva ancora e in un ambito religiosamente
rivoluzionato l’antica assimilabilità degli astri a delle manifestazioni del
divino in terra.
Le stelle, prima associate strettamente agli dei e ai miti pagani, ossia
agli eroi divinizzati e alle gesta mitiche dell’antichità, ora trovano il loro
corrispettivo terrestre nei nuovi eroi della tradizione ebraico cristiana,
santi e patriarchi.
Ma i presupposti dell’astrologia e la
credenza negli spiriti astrali non cessano
per questo. Già nell’ottavo secolo
l’imperatore bizantino Teofilo istituirà
una cattedra di astrologia per
ringraziare il filosofo Leone, per aver
salvato la città di Salonicco da una
epidemia attraverso l’uso degli influssi
astrali. Questa era di certo una
circostanza fortuita, una scelta fatta
sull’onda emotiva di una grande
sventura evitata e nella storia antica
non mancavano esempi di comunità
salvate dalle conoscenze oscure di un
filosofo, come il caso di Empedocle, che
blocca il diffondersi della malaria a
Siracusa e che viene divinizzato dalla
comunità. Ma la cattedra assegnata a
Leone è comunque un primo segno di
un dibattuto recupero.
La frequente associazione analogica
tra sole, zodiaco e corpo umano
In effetti il pensiero medievale tenta un riscatto dello zodiaco
soprattutto attraverso l’idea di stelle come esseri spirituali e capaci di
47
intervenire sul mondo terrestre. In questo modo si assiste alla
sopravvivenza dei miti e degli dei pagani nel medioevo come forme
astrali fino al Rinascimento, dove in molte esperienze rafforzeranno il
loro valore astrologico.
Sant’Ambrogio ispirandosi a Filone, che era riuscito a compendiare la
concezione celeste ellenistica con quella ebrea, e rifacendosi alla divisione
dei sette cieli individuata da Vittorino di Pettau, che li faceva
corrispondere ai sette giorni della creazione, afferma l’esistenza di sette
spiriti immortali legati ai sette cieli, che resero possibile come dice Isaia la
incarnazione del Cristo.
Abelardo di Bath nel X secolo, del resto traduttore dell’Introductorium
di Abu Ma’ shar, una delle opere di astrologia più importanti del
medioevo, crede che le stelle siano degli animali immortali, non soggetti
a nessun tipo di trasformazione, ma in grado di svolgere attività
biologiche come mangiare e accoppiarsi. Gli astri animati di Abelardo
sono quindi in perfetta concordanza con l’idea antica della divinità, ed è
possibile constatare in questa tesi l’influsso di testi arabi. Anche Bernardo
Silvestre ritiene che se da un lato le stelle appartengono alla dimensione
divina e pertanto immortale, dall’altro condividono con l’uomo alcuni
elementi della condizione terrestre. Ricompone quindi una cosmogonia
astrologico cristiana, affermando ad esempio che Urania, una delle nove
Muse, crea l’uomo servendosi di congiunzioni planetarie e che la
incarnazione del Cristo fu dovuta all’azione delle stelle. Ancora
Guglielmo di Conches nel De philosofia mundi ritiene che Dio avesse
creato gli spiriti delle stelle e che questi a loro volta generassero l’uomo.
Ma nel medioevo oltre ad un certo recupero in un ambito intellettuale,
è soprattutto nel rapporto con il potere, in particolare con quello
imperiale, che risorge l’astrologia nel suo antico valore cosmologico.
L’astrologia come sistema di simboli cosmogonici di un rimando
speculare tra potere terrestre e potere celeste rivela nel medioevo la sua
vitalità anche nelle realizzazioni figurali e in particolare nei ricami su i
manti degli imperatori. Noto è infatti il mantello stellato di Ottone III,
incoronato nel 995; l’abito aveva una rappresentazione escatologica, legata
alla simbologia cosmica e zodiacale, come fusione della Gerusalemme
celeste con quella terrestre (macrocosmo microcosmo) e venne donato al
monastero di san Alessio sull’Aventino. Enrico di Bamberga nel primo
quarto del XI secolo ebbe in regalo dal conte pugliese Melo di Bari un
mantello anch’esso con la raffigurazione dello zodiaco. Anche il manto di
Ruggero il Normanno presenterebbe per certi studiosi un rapporto con la
simbologia astrologica, così come è raffigurata in un mappamondo celeste
realizzato in Egitto nel 1225 e ora a Napoli (Napoli Museo di
Capodimonte ). Ma ancora più interessante è la descrizione di queste
cosmologie zodiacali su vesti imperiali fatta da Pietro Diacono, poligrafo
di Montecassino, che descrive nel suo Libellus de cerimoniis Aulae
Imperatoris i manti dell’ imperatore ( forse Ottone III, ma potrebbe trattarsi
di oggetti del tutto immaginari ), tra cui uno con riproduzione zodiacale
trapuntata di perle e di 365 tintinnaboli (cioè campanelli), quanti ne erano
sul leggendario mantello di Melchisedec e cioè tanti quanti i giorni
48
dell’anno. Un secondo mantello descritto, ancora proporrebbe, attraverso
una simbologia mistica del potere, il suo rapporto con il destino, nella
forma di un labirinto con al centro un minotauro astomo, cioè con il dito
indice puntato sulla bocca, come nel gesto di fare silenzio che era stato di
Arpocrate. La misteriosa figura sta forse ad indicare il mistero
insondabile del mondo e del destino, mentre l’uso del labirinto è forse
similare alle successive realizzazioni di labirinti sotterranei con al centro
una zona circolare, al di sotto delle cattedrali gotiche. Il labirinto è
probabilmente una rappresentazione del destino e della imponderabilità
degli influssi stellari, che il fedele attraverso un percorso iniziatico cercava
di superare con la forza della fede, raggiungendo il centro della struttura,
rappresentante il sole o la Gerusalemme celeste.
Dalla Fisiognomica di G. B. Della Porta
Oltre a ciò la figura dell’astrologo come consigliere di re e imperatori si
fa sempre più strada, riprendendo quel legame, che era già stato espresso
nell’antichità; come Augusto ,Tiberio, Nerone, Vespasiano e Marco
Aurelio avevano avuto i loro astrologi, così Federico II ospita nella sua
corte Michele Scoto, mentre il padre di Cristin de Pizan , Tommaso da
Pizzano diverrà astrologo di Carlo V. Ancora Giudo Bonatti offrì la sua
scienza di divinazione oroscopale a Guido da Montefeltro ed ebbe tanto
credito, che il signore di Foligno non intraprendeva una campagna
militare prima che l’astrologo dall’alto del suo luogo di osservazione, che
era il campanile della città, non segnalasse il momento giusto con i
rintocchi di campana.
In Italia tra medioevo e rinascimento vennero create delle
rappresentazioni monumentali dello Zodiaco e gli stessi dei planetari
cominciarono a figurare spesso nei contesti architettonici più vari, civili e
religiosi.
Esistevano nell’antichità esempi leggendari di edifici astronomico astrologici come il palazzo di vetro del prefetto Cromazio sotto l’impero
di Diocleziano, a cui si lega una storia, che mette in evidenza il rapporto
cristianesimo e astrologia. Lo stesso San Sebastiano induce Cromazio a
distruggere l’edificio, dove era contenuta tutta la disciplina delle stelle. E
comunque il mondo occidentale conosceva attraverso Dimasqui, autore di
49
una cosmografia, le cui redazioni da noi conosciute risalgono al XIV
secolo, l’esistenza di templi astrologici tra i Sabei, popolo siriano, i cui si
ufficiava la religione Harranita imperniata sul culto degli dei pianeti e
delle costellazioni e intrisa di elementi greci. Di questi culti di immagini
astrologiche ne parla anche un suo contemporaneo Masu’ udi. Questa
particolare religione, che poteva considerarsi una sopravvivenza del
paganesimo siriano, resistette a lungo alla dominazione islamica; altra
fonte era il testo harranita Gajat al -hakim, dove per esempio sono indicati i
caratteri formali degli spiriti astrali anche in relazione al colore. Questi
testi in effetti descrivono una iconologia astrologica, che verrà a
diffondersi nel mondo occidentale a partire dal dodicesimo secolo. Il
modello iconologico, di cui il popolo harranita era erede, conteneva in se
già un interessante mescolanza tra l’astrologia greca ed orientale risalente
al sincretismo, che si era realizzato all’interno di regni di confine come
quello Sassanide. Nell’occidente comunque erano anche note le
rappresentazioni zodiacale dei bagni greci riprese in età araba a Quasai’r
Amra. Quest’ultimo modello zodiacale può avere ispirato cicli pittorici
come quello della cappella dei Pazzi a Santa Croce in Firenze, che
riproduce il cielo così come era nel 6 luglio 1439 e la sacrestia vecchia a
San Lorenzo, che è un oroscopo per la data 9 luglio 1422. Anche gli dei
presentano spesso in Italia una iconografia ispirata a testi arabi come il
Qazwini: li troviamo ad esempio nel Campanile di Giotto di Santa Maria
del Fiore insieme ai loro figli ( i decani ), in bassorilievi realizzati da
Andrea Pisano, a testimoniare il rinato interesse astrologico nella Firenze
del tempo. Qui tra gli altri riscontriamo un Mercurio che corrisponde a
l’uomo del libro, in una postura simile all egizio Thot, dio dalla testa di
scimmia e probabilmente ispirata al Qazwini, dove gli dei greci sono
affrontati come potenze cosmiche, riferibili a modelli sia egizi che caldei.
Infatti il Mercurio nel campanile di Santa Maria del Fiore, presenta
curiose analogie con l’antica immagine del dio babilonese Nabu, patrono
dell’astronomia
Giove in trionfo in una miniatura rinascimentale
50
Analogie con l’Ermes descritto nel manoscritto Qazwini si possono
trovare ancora nel Capellone degli Spagnoli a Firenze, come pure negli
affreschi degli Eremitani a Padova. Nei dipinti della cappella degli
Spagnoli la corrispondenza dei pianeti con le arti liberali, simile a come
viene presentata nel Convivio dantesco, dove a Mercurio
corrisponderebbe la dialettica, avrà molteplici riprese, tra le quali, degne
di nota, sono le illustrazioni dell’Epitre d’Othèa di Cristin de Pisan. Anche
nel capitello del Palazzo ducale, detto capitello dei pianeti, è riprodotto un
Mercurio come dotto munito di libro. Questa immagine orientale di
Ermes seduto con il libro aperto sarà per lo più evitata nel corso del
rinascimento, a favore di una immagine più connessa al mito classico;
basta considerare un opera come il Mercurio del Sansovino per la loggetta
di Venezia, dove abbiamo l’associazione del dio con la testa di Argo. In
relazione a questo suo celebre mito, è pure l’immagine, che ritroviamo
nelle Carte del Mantegna con il caduceo ed il flauto. Quest’ultimo è
presente ancora nella raffigurazione del dio, che ne fa Baccio Bandinelli
nel suo disegno Combattimento tra ratio e libido, inciso da Beatrizèt e si
giustifica probabilmente nell’idea di esaltare le virtù artistiche degli astridei attraverso gli accessori simbolici.
Ancora nelle raffigurazioni dell’appartamento di Alessandro VI,
realizzate dal Pinturicchio, abbiamo un Mercurio guerriero, cioè munito
di spada, nell’atto di decapitare Argo con un evidente allusione ad un
significato ermetico-filosofico.
Non sempre il rapporto con le fonti dei Sabei è confermabile anche per
realizzazioni di età medievale e comunque questa influenza va del tutto
scemandosi nei periodi successivi. Il Saturno rappresentato sul campanile
di Santa Maria del Fiore, che divora un bambino, riprende l’immagine
dell’Ovide moralisè nelle illustrazioni dell’introduzione di Bersuir (43),
mentre le illustrazioni del Agiaib al-makluqat di al- Qaswini a p. 1336, lo
presentano come un fachiro, poiché astrologicamente Saturno presiede le
terre dell’India, con la bilancia che sormonta la sua figura. Saturno ha in
effetti nel segno della Bilancia la sua esaltazione, come pure indicano le
illustrazioni di un altro testo arabo, l’’Introductio in astrologium, nella
traduzione di Zotori Zappari risalente alla metà del XIII secolo. Il tema
della bilancia di fatto sarà ripreso da Durer nella sua celebre incisione la
Malinconia del 1514. Ancora alla versione antropofaga del dio della
settima sfera, se ne affiancarono in seguito altre come quella di Saturno
fondatore di Sutri con l’aspetto di un guerriero, con un fascio di spighe di
grano nella mano, simbolo questo, che in taluni casi appartiene piuttosto a
Giove, come rivela il bassorilievo di Agostino di Duccio nel Tempio
Malatestiano. Curiosa è l’esecuzione del Campagnola di un Saturno
rappresentato come dio fluviale con un riferimento al dio dell’Arco
Traianeo a Benevento. Anche la sua forma più classica, quella cioè
precedente alla sua identificazione con il Cronos greco, munito come dio
agreste di falce fienaria, ha una sua evoluzione dalle illustrazioni dei
manoscritti di Rabano Mauro al Saturno agricolo del Mocetto. A parte
questa identità mitica di Saturno che trova impiego nelle sue
51
raffigurazioni, la divinità astrale si ricopre funzionalmente anche di valori
filosofici. Il neoplatonismo esalta Saturno come la mente cosmica legata
da una parte con Dio (Urano), dall’altra con l’anima cosmica (Giove).
Questa concezione fa svolgere iconograficamente a Saturno il ruolo di
denudare la verità dai giochi illusionistici dell’apparenza come riveliamo
nell’Impudicizia svelata del Bronzino.
Il Sole nel testo di al’Qazwini, che è identificabile con il dio Samas,
giudice e re degli altri dei ed è raffigurato con la spada sulle ginocchia,
non trova però rilevanti corrispondenze con le figurazioni dell’età
medievale, soprattutto per l’identificazione parziale del dio con Marte,
mentre l’asta sormontata dalla Vittoria e l’arco o semplicemente la saetta
divengono simboli del suo potere in notevoli figurazioni. Agostino di
Duccio lo raffigura con arco e frecce nel tempio Malatestiano, così come
più tardi sarà rappresentato nella Cappelli Chigi da Raffaello. Comunque
la figura del Sole non perderà il suo carattere di re e giudice espresso nel
testo arabo, e come tale ci viene di fatto rappresentato nella Cappella degli
Spagnoli.
Ancora il Marte, che viene descritto nel Qazwini , cioè l’uomo che porta
una spada in una mano, mentre nell’altra tiene una testa sanguinante, lo
ritroviamo nel medioevo come raffigurazione di una costellazione, quella
appunto di Perseo, con la differenza che Marte nel testo arabo indossa una
armatura, mentre Perseo è nudo.
Così ancora nel Qazwini Giove è descritto simile al dio babilonese
Marduk, con in mano un libro che contiene i destini degli uomini. Questa
rappresentazione è rintracciabile in un manoscritto tardo medievale nella
Vaticana prodotto in occidente nel 1398. Comunque per Giove erano in
uso anche altri elementi simbolici; ad esempio nel campanile di Santa
Maria del Fiore Giove impugna una coppa, che è antico simbolo di
Dionisio, di cui il dio fu padre e in segiuto madre, avendolo partorito dal
suo stesso corpo. Visto la forma del bassorilievo che ricorda un
imponente frate, questa opera può essere interpretata come una versione
cristianizzata della divinità planetaria, di cui esistevano notevoli esempi
nell’età medievale. La coppa accanto al riprodotto simbolo della fede
cristiana, cioè la croce che il monaco-Giove regge con la sinistra,
potrebbe infatti avere valore di calice di Cristo o Graal. In effetti le
raffigurazioni di Giove potevano comprendere altri elementi, quali lo
stigma, che vediamo in una raffigurazione pure in bassorilievo, eseguita
nel Tempio Malatestiano da Agostino di Duccio, oggetto-simbolo che
Taddeo di Bartolo nel suo affresco nel Palazzo Pubblico di Siena
attribuisce invece ad un Marte. Molto più tardi (1571) in una delle stampe
del Le Imagini di Vincenzo Cartari ritroviamo Giove non con l’antico
stigma ma con una frusta. Intanto nel già citato mosaico della Cappella
Chigi parrebbe ritornare il tema antico del divino giudice con davanti un
libro aperto. Ciò indica il passaggio nell’iconografia degli dei planetari da
figurazioni legate alla tradizione islamica e barbarica in genere, che
comunque ancora persistono in grandi composizioni pittoriche come
quelle del Palazzo della Ragione di Padova e nel Palazzo Schifanoia a
Ferrara, verso altre più strettamente connesse al mito greco-romano e
52
quindi alle fonti classiche, come riscontriamo nei cicli cinquecenteschi
della Farnesina, della Capella Chigi, e nel Palazzo del Te a Mantova
(Camera dei Venti). La tradizione antica vede aggiungersi nel corso del
rinascimento all’aspetto magico-religioso dell’immagine astrologica anche
una qualità formale ed estetica. L’immagine pur collegandosi al mito
perderà sempre più col tempo il valore di costellazione o di talismano
pittorico, rimanendo essenzialmente una citazione classica della bellezza
ed armonie antiche
Dosso Dossi (1479-1542) Giove
53
L'ARTISTA E IL FILOSOFO-MAGO NEL RINASCIMENTO
Maurizio Elettrico
Botticelli, La Primavera
Nel Rinascimento si creò un complesso filo di comunicazione tra arte e
pensiero magico-astrologico. L’artista è di fatto in questa epoca in grado
di vivere e di interpretare la cultura del tempo anche nei confronti di
questo particolare aspetto. Infatti egli può assimilare i principi
dell’astrologia e quasi servirsene per il suo riscatto intellettuale
(importante è per questa indagine l’analisi di testi o come nel caso di
Leonardo di tracce testuali lasciate, che sembrano muoversi in questa
direzione). La cultura del tempo da un grande rilievo all’astrologia, pur se
tra polemiche e ostilità, che è strumento di conoscenza, ma anche di
trasformazione del destino umano. É un scienza vivacemente coinvolta
nella disputa tra neoplatonismo e aristotelismo, rispettivamente tra un
idea della libertà umana e una concezione rigida della necessità cosmica.
Se ancora Francesco Cossa, il pittore ferrarese, lamentava la sua
condizione di inferiorità nei confronti di Pellegrino Prisciani, l’astrologo
che supervisionò il ciclo pittorico di Schifanoia a Ferrara, poiché lo aveva
trattato come ’’l’ultimo dei garzoni di Ferrara’’, e se Francesco Zorzi, il
celebre umanista pitagorico, può imporre il suo programma all’architetto
Yacopo Sansovino per la basilica di San Pietro della Vigna a Mantova,
certamente questa impreparazione verso interessi ermetici non riguarda
personaggi come il Parmiggianino, o il Pontormo. Anche Benvenuto
Cellini non ne fu estraneo, come si evince dal racconto nella Vita, dove
egli chiede ed ottiene da un negromante di evocare alcuni spiriti nel
54
Colosseo.
Quindi sempre più cresce un interesse originario degli artisti verso
l’esoterismo, interesse, che è in effetti anche dovuto alla riconsiderazione
dell’arte come una forma di filosofia. L’arte pare quindi intellettualizzarsi
attraverso gli aspetti magici della filosofia. É un processo transitivo, ma
non marginale: le scienze esoteriche si inquadrano in una posizione alle
volte centrale nel dibattito filosofico del tempo. L’arte italiana si sviluppa
grandiosamente nel suo sforzo di diventare filosofia delle immagini, che
equivale a dire il Pensiero che precede tutti i pensieri, la filosofia degli dei.
Dei e astri sono ormai combinati insieme in identità compatte; l’astrologia
e il neopaganesimo si riscoprono come facce di una unica medaglia.
L’arte, avvicinandosi agli aspetti astrologici della filosofia del tempo,
ingloba anche la sensibilità nuova di un neopaganesimo risorto.
Attraverso l’arte l’uomo partecipa del pensiero degli dei astri, che sono
anche artefici del nostro destino, e tramite loro dell’unità di Dio, origine di
ogni destino e fine di ogni fine.
Lo scrittore e pittore Giovan Paolo Lomazzo nell’Idea del Tempio rivela
l’importanza svolta dalla astrologia nella formazione dell’artista,
indicandola insieme alle altre materie fondamentali di studio come
l’anatomia: ‘’Ma sopra tutto, per essercitazione generale e particulare, fa
bisogno che egli (l’artista) sia buon Matematico, che altro non vuol dire,
che dottrinabile, over disciplinabile, affine che con l’astrologia possa
pervenire alla cognitione de i cieli de i segni, e delle facce ascendenti, e
significationi loro’’. Altrove Lomazzo sembrerebbe riecheggiare la
similitudine proposta dall’astrologo Abraham Giudeo tra artisti e
astrologi, in base ad una simmetrica posizione di Mercurio. Per Lomazzo
l’artista diventa il punto di contatto privilegiato tra microcosmo e
macrocosmo, tra natura e stelle e ancora tra queste e i personaggi della
cultura universale. Alle volte ciò sembrerebbe muoversi quasi a rilevare
un curioso binomio artista-mago. Prima di lui, Lomazzo scrive sul finire
del XVI secolo, ci appaiono molti esempi. Si pensi infatti al Giudizio di
Michelangelo come ruota del cielo e del destino, al Diluvio di Leonardo
ispirato probabilmente ad un pronostico astrologico, ancora alle
suggestioni astrologiche di un Vasari, che pure userà un impostazione
evidentemente oroscopale nella presentazione di ciascun dei personaggio
delle Vite.
L’astrologia e l’idea di un artista mago e astrologo, consigliata da
Lomazzo aiuta quindi alla definitiva trasformazione dell’arte da tecnè ad
epistemè, cioè da tecnica a scienza, tanto più che l’aspetto di mutazione del
destino si avvale attraverso l’uso della talismanica, applicazione magicooperativa dell’astrologia, di vere e proprie opere d’arte. Il rinnovamento
dell’arte sembrerebbe seguire in parte quell’idea, per cui il sapiente è colui
che conosce e sa per questo dominare le stelle.
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Ma quale è il pensiero da cui parte
questa visione?
Il mondo del filosof o mago
del Rinascimento sembra
curiosamente anticipare una
idea psicologica e non fisica
della ricerca: i fatti non
interessano per q uello che
sono, ma per q uello che
significano. É interessante
come questo principio va
evolvendosi da Pico a
Giordano Bruno; per entrambi
è importante la pregnanza
simbolica dell’oggetto reale e
quindi il suo sost rato
psicologico e spirituale, che
ne costituisce la vera essenza,
e la rete analogica che
l’oggetto simbolico crea con
gli altri oggetti simbolici.
Ferrara, Palazzo Schifanoia, Salone
dei Mesi (Giugno)
Si cercheranno così i rapporti e le
relazioni tra gli eventi più lontani, al
fine di rivelarne una loro natura
interna legata ad un specifico fine.
Tutto diventa simbolo, come per la rappresentazione mentale del
sogno, che rimanda ininterrottamente ad altri significati, ad altri enti
significanti producendo un pansimbolismo ricco di implicazioni
conoscitive. Si crea così uno stretto legame tra immaginazione e
immagine, ma anche tra immagine e realtà, con l’idea che immagine e
immaginazione possono cambiare la realtà del mondo o svelarne i misteri.
Almeno fino a Pico, la corrispondenze tra le cose significanti si regge sulla
connessione biunivoca tra mondo sovralunare e mondo terrestre, come
egli afferma nella prefazione dell’Heptaplus, ma in Bruno questo percorso
si spinge fino alle conseguenze estreme. Ogni cosa può divenire di fatto
immagine di un altra cosa, perché tutto è connesso all’unità originaria,
poiché, come dirà nel De umbris idearum,, tutto è in tutto: ‘’Unde in
omnibus et per omnia quaelibet posse figurari manifestum est’’. Ogni
immagine quindi rimanda ad una qualsiasi realtà, e ogni realtà può essere
immagine di qualsiasi cosa esistente, ogni immagine può inoltre
influenzare e trasformare o farsi strumento di conoscenza per qualsiasi
cosa esistente. E qui si inserisce l’attività dell’artista, da cui il Nolano
sembrerebbe prendere spunto nella sua applicazione cabalistica ed
astrologica: nell’uso che l’arte fa dell’immagine simbolica e della sua
capacità evocatoria. La grande opera d’arte diventa per questo momento
dell’infinito, per questa valenza associativa e combinatoria dei suoi
simboli-immagini, ma è anche forma in grado di modificare la realtà,
agendo innanzitutto sulla nostra mente alla maniera ancora di un
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talismano astrologico.
In questo universo cognitivo non c’è lacerazione tra mentale e reale: la
sintesi è data proprio dall’arte figurativa, che nella sua espressione più
elevata diviene forma di pensiero in grado di unificare l’immaginazione
umana con quella divina, diventando essa stessa forma di ricerca della
conoscenza. L’arte appare così presenza terrestre di un pensiero divino,
che si attua attraverso le immagini, con un superamento della dualità tra il
pensante e il pensato, come leggiamo nelle Enneadi di Plotino, testo
fondamentale per la cerchia ficiniana. Ciò può spiegare la qualità, che
attribuisce proprio il Ficino alle immagini nel captare in maniera
prioritaria gli influssi cosmici. Un dipinto o una statua possono essere
potenti veicoli di forze celesti. Le figure dell’arte assorbono e rimandano
le energie astrali. Possono essere adoperate quindi come momenti di
meditazione, in curiosa somiglianza con i mandala orientali. Il suo allievo
Francesco Diaccetto si spinge oltre, descrive infatti, nella direzione degli
antichi culti astrologici siriani, i riti per ottenere favori dagli dei planetari,
allestendo dei veri altari con davanti un dipinto, che rappresenti la
divinità astrale. Il tutto è concepito non nel senso di semplice
rappresentazione cultuale, ma piuttosto per il suo valore talismanico di
imbrigliare le energie dell’astro stesso. Arte e neopaganesimo astrologico
trovano qui una commistione perfetta nell’utopia di un religione naturale,
che non è solo di matrice filosofica. Ricostruiscono infatti una tecnologia
immateriale, già messa a punto dagli antichi, una possibilità conoscitiva e
trasformativa affidata totalmente alla evocazione di immagini.
Etimologicamente l’idea appartiene al mondo della visione; l’ideaimmagine non ha solo il potere di rivelare la verità, di cui le cose reali
sono simboli e quindi immagini, ma anche di agire su questi simboli
attraverso altri simboli. É l’utopia dell’uomo che vuole trasformare il
mondo non solo con il mezzo umano della mano, esaltata comunque dal
Bruno sulla traccia di Anassagora, ma anche, come gli dei, con la sola
forza della mente.
Inoltre la polimetodologia della conoscenza magica-astrologica così
come la vediamo affermarsi nel Rinascimento, cioè l’utilizzo di più
funzioni o metodi per la ricerca della sapere, ha delle evidenti similitudini
con il processo di creazione artistica. Essa va dall’uso analitico della
matematica (nella direzione pitagorica e astrologica di una interpretazione
geometrico-matematica dei fenomeni fisici, che nell’arte si identificherà
nei complessi studi prospettici), all’impiego di processi analogici (nell’uso
dell’associazione simbolica, che accomuna fortemente l’astrologia a certi
procedimenti dell’arte), all’importanza riconosciuta all’intuizione come
espressione della mente creativa, fino ad individuare nella concomitanza
degli eventi un rapporto non meno importante di quello causale. La
scientificità della filologia è compromessa dall’associazione cabalisticoastrologica, che può creare combinazione infinite, quasi a cercare l’essenza
della bellezza come in una distillazione e a trasformarla in una
architettura pittorica, come furono i dispersi teatri mnemonici del
cabalista Giulio Camillo. Ancora nella scienza astrologica la gerarchia
delle leggi di interpretazioni del reale non può soffocare l’importanza
comunicata all’eccezionale (ed è notevole come sempre più si cercherà
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nell’arte il miraculum). L’eccezione non conferma impotentemente una
regola, ma costituisce di per se legge, regola e forma. Nasce addirittura
una scienza, la taumastica, che l’astrologia studia nelle sue varie forme,
dalle catastrofi eccezionali, alla nascita di bambini mostruosi a quella di
profeti e di anticristi. Astrologia e arte in questo senso si porranno proprio
come ricerca e spiegazione del meraviglioso, di ciò che nella sua qualità di
tremendum sfugge ad ogni regola umana. L’anarchia metodologica della
filosofia magica mostra quindi questa corrispondenza con l’arte del
tempo, soprattutto per la trasformazione di quest’ultima in scienza, che
utilizza per perseguire le sue verità i più disparati sistemi.
E ancora parrebbe che la trasformazione dell’artista da tecnico a
scienziato, debba passare attraverso quella forma di sapienza che sa
dominare le stelle .
Non solo ma anche l’astrologia riconosce in se stessa i significati
dell’arte e della poesia; quasi ispirandosi al pensiero espresso da Avveroè
nella Poetica, per cui il linguaggio della religione è simile a quello della
poesia. L’astrologia in quanto espressione di una religiosità magica, di un
paganesimo rinato, non si sottrae nel Rinascimento ad una trasfigurazione
poetica. Già Agrippa, nella Declamatio de incertitudine et vanitate scientiarum
atque artium riconoscerà, anche se in una chiave pessimistica, la poeticità
presente nella divinazione.
Così pure l’opera sullo zodiaco,
Zodiacus Vitae, edito tra 1534-37, di
Marcello Palingenio Stellato, opera la
trasfigurazione dell’astrologia nella
poesia . Questa idea è però già
anticipata dal poeta astrologo Lorenzo
Buonincontri e da un componimento
come l’Urania di Gioviano Pontano. In
conclusione possiamo quindi dire che
nel Rinascimento le scienze ermetiche,
sostanziate dalla filosofia neoplatonica
e pitagorica, aiutano a riscattare
definitivamente la figura dell’artista,
conferendogli tra l’altro uno status
filosofico privilegiato (e va aggiunto
che questo processo durerà attraverso i
secoli tra alti e bassi, fino ad alcune
delle figure chiave delle Avanguardie
storiche).
L’arte rappresenta una forma di
perfezionamento della natura, che
perpetua il processo di realizzazione
attraverso il piano creativo di un
contatto tra umanità e divinità, tra le
stelle che regolano le leggi della natura,
e l’uomo.
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Ferrara, Palazzo
Schifanoia, Salone
dei Mesi (Agosto)
Si parte dall’idea vitruviana dell’arte capace di rendere più perfette le
cose, che in natura si danno in un modo incompleto. Ma ancora si pensa a
Platone, il quale comunque esaltava la funzione dell’arte, quando questa è
in grado di esprimere simbolicamente e sinteticamente le conoscenze
umane più elevante o quando, divenendo profetica, fonde mirabilmente
l’umano e il divino, producendo soprattutto in questa ultima formula una
stretta connessione con la divinazione e il soprannaturale.
La stessa concezione di armonia si impregna via via di valori
astrologici ed ermetici. A riguardo è interessante l’interpretazione, che ne
dà Giulio Camillo, ricorrendo alle statue viventi realizzate dagli antichi
egizi descritte nell’Asclepius. Ciò era possibile infondendo nei corpi delle
statue gli influssi stellari attraverso l’uso di proporzioni perfette; creare
una statua secondo la legge della proporzione basata sull’armonia
cosmica era un modo per ottenere un unità miracolosa tra microcosmo e
macrocosmo, tra il mondo delle stelle e l’umano. Tema questo che
parrebbe concretizzarsi nel gesto di Michelangelo di incitare il suo Mosè a
muoversi.
Ma i sogni fallaci dell’astrologia e le molteplici suggestioni artistiche
dovevano finire definitivamente compressi tra le rigidità della
Controriforma e la ben più concreta metodologia galileiana, eventi
strettamente collegati da una loro condivisa vocazione per l’esclusivismo
dogmatico. L’uomo non rappresenta più i suoi simboli, ma tenta un
interpretazione univoca del reale, scinde definitivamente il mondo
psicologico da quello noumenico, la soggettività dalla oggettività creando
così la fortuna e la crisi della civiltà moderna.
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