la terapia assistita dai delfini - Associazione ITACA, Istituto Terapie e

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LA TERAPIA ASSISTITA DAI DELFINI:
ESPERIENZE E PROSPETTIVE
“Congresso di igiene urbana veterinaria”, Roma, 15 dicembre 1999
I programmi educativi/terapeutici con l’ausilio dei delfini sono destinati a bambini autistici e
adulti sofferenti di depressione e consistono in periodi di 10-12 giorni, di immersioni
individuali con i delfini, con l’assistenza di un operatore, presso i delfinari di Rimini o
Fasano. Le interazioni che si svolgono in acqua sono rigorosamente spontanee e quindi
piuttosto imprevedibili, tuttavia l’innata curiosità e giocosità dei delfini le rende di solito
frequenti e piacevoli.
L’intervento comprende anche diverse attività correlate. Nel caso degli adulti depressi si
tratta di sessioni, individuali e di gruppo, con uno psicoterapeuta, destinate ad
approfondire i vissuti e, ove possibile dato il breve tempo a disposizione, ad affrontare
alcune delle difficoltà personali emergenti.
Nel caso dei bambini il trattamento comprende sessioni educative, finalizzate al
miglioramento delle capacità di comunicazione, sessioni di acquaticità in piscina e attività
ludiche come giochi in spiaggia o passeggiate, a volte insieme con il resto della famiglia. I
genitori vengono anche coinvolti in sessioni di sostegno con lo psicologo, singolarmente o
in gruppo.
Dal punto di vista educativo e terapeutico i risultati positivi osservati direttamente dagli
operatori durante il programma e/o riferiti in seguito dai pazienti e dalle loro famiglie
sembrano frequenti. Per i bambini consistono principalmente in diminuzione dell’iperattività
e di comportamenti aggressivi o autoaggressivi e maggiore continuità dell’attenzione. Per
gli adulti depressi aumentano la vitalità e la capacità di godere di esperienze piacevoli,
nonché la volontà di effettuare cambiamenti per migliorare la propria vita.
Tuttavia, data la complessità dell’intervento e la novità e particolarità dell’ambiente in cui
esso avviene, non è facile impostare un lavoro di ricerca che permetta di attribuire alla
sola variabile “animali” i miglioramenti riscontrati. E’ questa una difficoltà di cui tener conto
in tutte le ricerche sulla terapia con animali.
Per limitare al massimo l’inquinamento dovuto ad altri fattori, la ricerca che si sta
svolgendo prevede la rilevazione di un certo numero di comportamenti significativi in
delfinario e in piscina. Il confronto tra i due setting dovrebbe permettere di valutare
l’impatto della presenza del delfino sui comportamenti problematici e, viceversa, su quelli
socialmente adeguati.
I dati raccolti sono ancora insufficienti a livello statistico, ma alcuni casi sono stati vagliati
più dettagliatamente, e sono state evidenziate significative variazioni. Il caso di F, che
esaminerò con l’aiuto di alcune tabelle (v. allegato), è stato approfondito, nell’ambito di
una tesi di laurea, discussa presso la facoltà di Scienze della Formazione di Torino nel
1996 e basata su osservazioni effettuate direttamente in delfinario e in piscina, e su
videoregistrazioni analizzate tramite uno schema per l’osservazione etologica del
comportamento autistico. La tabella è stata originariamente elaborata dall’Università di
Siena, e riveduta da me e dall’équipe che effettua la terapia con i delfini, per adattarla alle
variazioni determinate dalla presenza dell’acqua e degli animali.
Le voci in cui si riscontrano variazioni più rilevanti sono: “agitazione e turbolenza” e
“stereotipie” che, in delfinario, diminuiscono fino al 70% rispetto alla piscina; “uso del
linguaggio” e dei “suoni inarticolati” (che in questo caso sembravano essere precursori del
linguaggio vero e proprio), che aumentano di oltre il 70%. Questo caso specifico mostra
anche come si intreccino e rafforzino tra loro le componenti affettive e quelle motorie e
intellettive nello sviluppo del linguaggio. Infatti i primi sforzi di F. Sono stati rivolti a
chiamare i delfini, pronunciandone i nomi, con evidenti difficoltà nell’articolazione,
successivamente, la mamma ha riferito con grande commozione che F. aveva
pronunciato, per la prima volta nella sua vita la parola mamma, anch’essa evidentemente
carica di un grande significato emozionale.
Un caso molto recente, che definirei emblematico, in quanto ne rappresenta molti altri, è
quello di R. Il bambino frequentava già da tempo la piscina, tuttavia i risultati non erano
molto soddisfacenti. Infatti, sebbene avesse in gran parte superato una iniziale paura
dell’acqua, rimaneva molto insicuro, collaborava poco con l’istruttore e, nel complesso,
non sembrava sentirsi a suo agio. Nei primi giorni del programma con i delfini, R. ha
continuato a mantenere questo comportamento, tanto che si era discussa con la famiglia
l’opportunità di rinviare la partecipazione a un momento successivo. Invece, dopo i primi
giorni, la sicurezza e la tranquillità del bambino sono andate costantemente aumentando,
così come la sua risposta alle interazioni dei delfini e alle richieste dell’operatore.
Naturalmente, eravamo soddisfatti del risultato, ma ancora più soddisfatti siamo stati
quando ci è stato riferito che, al ritorno in piscina, diversi istruttori di nuoto, che
conoscevano R. da tempo, si sono stupiti della sua rapida maturazione nel rapporto sia
con loro, sia con l’acqua. In altri casi sono stati gli insegnanti di scuola o gli educatori, oltre
ai genitori, che hanno visto i bambini “più maturi” o “più calmi”, dopo i programmi con i
delfini.
Ritengo che in ciò abbia parte anche l’accrescimento dell’autostima, così importante per
bambini che spesso, nonostante un’intelligenza normale o quasi, risultano emarginati per
la loro incapacità di esprimersi e di seguire le semplici regole della vita sociale.
Nell’incontro con i delfini i piccoli pazienti sono consapevoli di essere al centro di un
evento eccezionale, riservato a pochi, e ricevono attenzione e apprezzamento inusuale sia
da tutti i presenti (familiari, operatori, ecc.) sia, in seguito, da compagni e amici che
vengono a conoscenza del fatto, anche tramite foto e video. Insieme al giocoso interesse
dei delfini, questo ha spesso l’effetto di rafforzare stabilmente l’autostima.
Un effetto analogo ha avuto l’incontro con i delfini sulla maggior parte dei pazienti adulti
sofferenti di depressione: un aumentato senso del proprio valore individuale, della propria
centralità negli eventi, ha a volte facilitato cambiamenti di notevole portata nella vita di
queste persone. Basterà citare il caso di M., traumatizzata cranica, in coma per diversi
mesi, che stava seguendo un difficile percorso di recupero psicofisiologico. Il programma
di terapia con i delfini, l’ha resa più sicura di sé e determinata nel definire e realizzare un
progetto di maggiore autonomia nell’ambito familiare e di sviluppo delle proprie capacità
professionali. Infatti nei mesi successivi si è trasferita in un appartamento proprio, ha
ottenuto a pieni voti il diploma di logopedista e ha dato vita a un’associazione dove,
insieme ad altri, utilizza le proprie capacità professionali per aiutare le persone che, come
lei, hanno subito gravi traumi.
Significativo anche il caso di S., una giovane donna di 27 anni, sofferente di sclerosi
multipla. I genitori da anni tentavano di tenerla all’oscuro della malattia, ed erano convinti
di esserci riusciti. L’argomento perciò era tabù in famiglia e S. era come irretita da questo
gioco di negazione; si trovava così tagliata fuori dalla più diretta e naturale fonte di
sostegno e di conforto cui potesse attingere. Solo dopo l’incontro con i delfini e il lavoro
terapeutico nel gruppo, ha finalmente avuto il coraggio di affrontare l’argomento a casa,
chiarire alcuni equivoci di fondo relativi alla malattia e recuperare un rapporto più sereno
con i genitori.
Anche in questi casi, la crescita dell’autostima è affiancata dal profondo e gioioso
coinvolgimento emotivo nel rapporto con l’animale, che contribuisce a superare il senso di
isolamento e di impotenza che caratterizza gli stati depressivi.
Nel campo della ricerca, la difficoltà principale che si è dovuta affrontare è stata quella di
non poter standardizzare né la situazione oggettiva, data la presenza di fattori
imprevedibili, quali gli agenti atmosferici o l’umore e il comportamento dei delfini, né
l’intervento degli operatori, in quanto si è scelto di dare la priorità all’aspetto educativo e/o
terapeutico dell’intervento piuttosto che all’uniformità del trattamento. Un protocollo rigido
non consentirebbe infatti di sviluppare piani educativi/terapeutici individualizzati e
quotidianamente aggiornati in base all’evoluzione del paziente che, proprio perché partono
dalle reali esigenze di ciascuno e dalla variabilità di fattori come carattere, potenzialità e
limiti in ogni individuo, si sono rivelati lo strumento principale per ottimizzare i risultati del
nostro lavoro.
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