Corso di
Fondamenti Storico-epistemologici della scienza tra Ottocento e Novecento
A. A. 2007-2008
L EZIONE 4 ( FISICA )
La meccanica quantistica
C AMPI
FENOMENOLOGICI CHE PORTANO AI “ QUANTI ”
[A] Teoria del corpo nero (1859-1926)
[B] Effetto fotoelettrico (1887-1915)
[C] Modelli atomici (dal 1859 con la spettroscopia, e poi dal 1897 dopo la
scoperta dell’elettrone e della radioattività)
[D] Teoria dei calori specifici (iniziata nel 1819, problemi dal 1830)
2
Nel 1905 Einstein pubblica
vari articoli, dei quali almeno
5 fondamentali.
I tre più noti sono del marzo
(quanti di luce), maggio
(moto browniano), giugno
(relatività ristretta), e
compaiono tutti nel vol. 17
degli Annalen der Physik.
Nel vol. 18 vi è poi una
breve nota sulla relazione
massa-energia e nel vol. 19
una trattazione generale del
moto browniano.
Alla ricerca di una visione unitaria
dell’universo naturale…
Temodinamica (Clausius e ThomsonKelvin)
Teoria cinetica dei gas (Clausius,
Maxwell, Boltzmann, Einstein, Gibbs)
Una discrepanza tra termodinamica e
teoria statistica del calore: il valore delle
grandezze termodinamiche del sistema
anche all’equilibrio è soggetto a
fluttuazioni irregolari (pur essendo molto
rare le fluttuazioni molto grandi).
Ammettendo queste fluttuazioni Einstein
arriva a spiegare sia il moto browniano
sia la natura corpuscolare della luce.
Che cos’è il moto browniano e cosa ha in comune con la luce?
Il botanico Robert Brown aveva osservato nel 1828 che il polline nell’
nell’acqua si
divideva in corpuscoli che si muovevano in modo assai irregolare.
Nel corso dell’
dell’Ottocento si era tentato senza successo di spiegare i moti browniani
sulla base della luce incidente sulla soluzione, delle dimensioni delle particelle
sospese nell’
nell’acqua e della viscosità
viscosità.
Einstein punta a dimostrare che la presenza dei moti browniani è
riferibile all’esistenza di atomi di dimensioni finite che urtano sui
corpuscoli di polline in sospensione nel fluido, ed è spiegabile
quindi sulla base delle fluttuazioni della pressione previste dalla
teoria cinetica.
La sorprendente conclusione di Einstein è che il numero di
Avogadro, cioè il numero di molecole contenute in una opportuna
quantità di sostanza, può essere ricavato semplicemente misurando
con un microscopio gli spostamenti medi dei corpuscoli in
sospensione. Una prova decisiva a favore dell’esistenza degli
atomi.
…e la luce?
Supponiamo – scrive Einstein – che i corpuscoli in sospensione
siano elettricamente carichi, allora essi emettono e assorbono
radiazione; il problema del corpo nero di Planck può allora
essere così riformulato: i corpuscoli sono gli oscillatori
elementari costituenti le pareti e il “fluido” nel quale sono
immersi è il campo di radiazione elettromagnetica della cavità.
Se si tratta il sistema complessivo secondo i dettami della teoria
statistica del calore e si accetta l’ipotesi di Planck della
quantizzazione dell’energia emessa e assorbita dai corpuscoli,
si deve concludere che anche la radiazione si comporta come
se fosse composta da particelle, le cui fluttuazioni di energia e
pressione sono responsabili dei moti dei corpuscoli.
Dalla teoria statistica ai quanti di luce! È il cammino che Einstein
seguirà anche nei successivi contributi alla teoria dei quanti.
Lo stato delle cose nel 1924-25
Due campi: gravitazionale e elettromagnetico.
Tre forze: gravitazionale, elettromagnetica e nucleare.
Tre particelle: elettrone, fotone e protone.
Due strade: particelle e onde.
8
La scoperta del protone
Già nel 1914 Rutherford si riferiva al nucleo dell’atomo di idrogeno chiamandolo “elettrone positivo”, nella convinzione che esso dovesse svolgere
un ruolo fondamentale nella descrizione della costituzione nucleare [nel
1920 propose, in un articolo su Nature, di chiamarlo “protone”]. “Ci si può
immaginare – scrive nel 1914 – che l’atomo di elio [la particella α] contenga
quattro elettroni positivi e due negativi”.
Nel 1919 Rutherford pubblica in quattro parti il suo fondamentale lavoro “Collision of α-particles with light atoms” nel quale riporta i risultati di
esperimenti iniziati nel 1917 “e proseguiti ad intervalli alquanto irregolari,
quando le necessità del lavoro ordinario e di quello legato alla guerra lo
permettevano” (Moseley, uno dei suoi più brillanti collaboratori, era morto
in guerra).
9
Riprendendo esperimenti svolti vari anni prima da Geiger e Marsden, ma
lavorando con bersagli costituiti da nuclei di elementi più leggeri, Rutherford arriva alla scoperta del protone cui concorrono anche altri fondamentali risultati:
(1) la prima osservazione di trasmutazioni artificiali di elementi per bombardamento di particelle α;
(2) l’osservazione che la diffusione delle particelle α da parte dell’idrogeno non sempre segue la legge da lui utilizzata per inferire l’esistenza del
nucleo atomico. In particolare il quest’ultimo risultato veniva inizialmente
interpretato da Rutherford come evidenza della struttura complessa delle
α.
10
Dopo il suo passaggio da Manchester a Cambridge (alla direzione del Cavendish Laboratory), Rutherford affida la prosecuzione del lavoro a James
Chadwick (1891-1974, appena rilasciato dalla detenzione in Germania) e
Étienne Bieler (1895-1929), che nel loro articolo del 1921 optano per una
spiegazione diversa del risultato (2):
“In nessun caso un sistema di quattro nuclei di idrogeno e due elettroni
potrebbe dar luogo a un campo di forza [elettrostatico] di tale intensità
(...) Dobbiamo concludere che la particella α non è formata da quattro
nuclei di idrogeno e due elettroni, oppure che la legge di forza non è di
tipo elettrostatico nelle immediate vicinanze di una carica elettrica. Pare
più semplice scegliere questa seconda possibilità”. È l’atto di nascita di
quella che oggi chiamiamo forza forte (cf. anche Sommerfeld che nel 1919
sostiene che leggi quantistiche vadano applicate anche al nucleo).
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Le due strade che portano alla MQ: cronologia (prima parte)
• Louis de Broglie (1892-1987): il 10 settembre 1923 (tesi di dottorato il 25 novembre 1924) propone
che comportamento ondulatorio della materia sia simmetrico a quello corpuscolare della radiazione.
• Satyendra Nath Bose (1894-1974): 2 luglio 1924 nuova procedura di conteggio statistico che conduce alla legge di Planck per il corpo nero.
• Einstein: 10 luglio 1924 estende la procedura di Bose a un gas di particelle materiali monoatomiche. Per questa strada arriva l’8 gennaio del 1925 a associare onde con particelle utilizzando un
argomento indipendente da quello di de Broglie.
• Wolfgang Pauli (1900-1958): 16 gennaio 1925 enuncia il “principio di esclusione”.
• Werner Heisenberg (1901-1976): 25 luglio 1925 primo articolo sulla meccanica delle matrici (“Reinterpretazione teorico quantistica delle relazioni cinematiche e meccaniche”).
• Max Born (1882-1970), Pascual Jordan (1902-1980): 25 settembre 1925 approfondiscono il lavoro
di Heisenberg (“Sulla meccanica quantistica”, così chiamata per la prima volta da Born in un articolo
del 1924).
• Uhlenbeck e Goudsmit: 17 ottobre 1925 annunciano la scoperta dello spin dell’elettrone.
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Le due strade che portano alla MQ: cronologia (seconda parte)
• Paul A. M. Dirac (1902-1984): 7 novembre 1925 generalizza e formalizza il lavoro di Heisenberg
(introduce tra l’altro il “commutatore” [p, q], collegandolo alle parentesi di Poisson {p, q}).
• Born, Heisenberg e Jordan: 16 novembre 1925 prima complessiva trattazione della meccanica
delle matrici.
• Pauli: 17 gennaio 1926 applicazione della meccanica delle matrici per calcolare lo spettro discreto
dell’atomo di idrogeno.
• Erwin Schrödinger (1887-1961): 27 gennaio 1926 la prima di quattro sezioni dell’articolo “Quantizzazione come problema agli autovalori” che inaugura la meccanica ondulatoria.
• Enrico Fermi (1901-1954): 7 febbraio 1926 il primo articolo sulla “statistica di Fermi-Dirac”.
• Born: 25 giugno 1926 primo lavoro sull’interpretazione statistica della funzione d’onda.
• Dirac: 26 agosto 1926 rideriva la legge di Planck da principi primi e indipendentemente ottiene la
“statistica di Fermi-Dirac”.
• Clinton J. Davisson (1881-1958) e Lester H. Germer (1896-1971): 3 marzo 1927 rivelano la
diffrazione di un fascio di elettroni da parte di un cristallo.
• Heisenberg: 23 marzo 1927 presenta le relazioni di indeterminazione.
13
Le due strade che portano alla MQ: 1.1
⇒ Progressiva chiarificazione negli anni 1913-1924 del conflitto tra regole
di quantizzazione (Bohr, 1913) e fisica classica.
Come scrive Pauli a Bohr nel febbraio 1924: “Mi sembra che la questione
più importante sia la seguente: fino a che punto si può davvero parlare di
orbite definite, nel caso degli elettroni di stati stazionari. Mi pare che ciò
non possa essere in alcun modo considerato evidente a priori [...] Secondo
me Heisenberg su questo punto ha colpito esattamente nel segno quando
dubita della possibilità di parlare di orbite definite”.
⇒ Kramers (due lettere a Nature nel marzo e nel luglio del 1924), e Kramers & Heisenberg (articolo del dicembre del 1924): elaborazione di una
teoria quantistica della diffusione della radiazione da parte degli atomi.
14
Kramers & Heisenberg (1924) L’emissione di radiazione secondaria da parte di un atomo esposto ad una radiazione (monocromatica) esterna e da
essa eccitato è l’oggetto di questi lavori che generalizzano la teoria classica della dispersione. Alla loro base il principio di corrispondenza e l’idea di
costruire una teoria che si emancipi dall’idea classica dei moti orbitali: “La
relazione di dispersione contiene solo quelle quantità [che si riferiscono
alle transizioni tra stati stazionari] che possono essere interpretate direttamente in termini fisici sulla base della teoria quantistica degli spettri e della
costituzione dell’atomo, e che non mostrano più nessuna reminiscenza
della teoria matematica dei sistemi periodici multipli”.
Le relazioni di dispersione sono in seguito generalizzate da Kramers (1927)
e Ralph de Laer Kronig (1926) con l’applicazione ai raggi X. Quelle che
oggi sono note come relazioni di Kramers-Kronig hanno trovato importanti
applicazioni nella fisica delle particelle elementari.
15
Le due strade che portano alla MQ: 1.2
Quando si va in montagna [...] capita talvolta di voler salire su una cima,
ma di vedere solo la nebbia [...] abbiamo una carta della zona o qualche
indicazione della direzione da prendere, ma nonostante ciò siamo completamente perduti nella nebbia. Poi [...] improvvisamente si vedono, molto
vagamente, pochi minuscoli particolari che ci fanno dire: ‘Eccola, è la cima
che cercavo’. Nel preciso istante in cui ci rendiamo conto di ciò, il quadro
cambia completamente, perché, pur non sapendo se siamo sul sentiero
giusto, pensiamo: [...] ’Almeno so dove sono; mi avvicinerò e troverò sicuramente la via per salire [...]. Fino a che vediamo solo particolari, come
capita spesso in montagna, possiamo solo avvicinarci, di dieci o cento metri o magari di un chilometro, ma senza sapere se il sentiero ci porterà sulla
cima o se siamo invece completamente fuori strada. [Intervista a Kuhn, 1963]
16
Le due strade che portano alla MQ: 1.3
È ben noto che le regole formali che sono usate nella teoria quantistica
per calcolare quantità osservabili come l’energia dell’atomo di idrogeno
possono essere severamente criticate in base al fatto che contengono,
come elementi fondamentali, relazioni tra quantità che sono apparentemente inosservabili in linea di principio, come per esempio la posizione o
il periodo di rivoluzione di un elettrone. [...]
Sembra più ragionevole tentare di stabilire una meccanica quantistica teorica, analoga alla meccanica classica, ma nella quale si trovino solo relazioni tra quantità osservabili. Si possono considerare la condizione sulle frequenze e la teoria della diffusione di Kramers, unitamente alle sue
estensioni in articoli recenti, come i più importanti primi passi verso una
tale meccanica quantistica teorica. (Heisenberg, 1925)
17
Il genere di “positivismo” che emerge dal ’manifesto’ di Heisenberg riemergerà a più riprese nella storia della teoria dei campi quantistici (matrice
S e ripresa delle relazioni di dispersione negli anni ’50), sebbene l’attuale
teoria dei campi sia ben lungi da questo ideale.
Prendendo spunto da alcuni semplici sistemi (oscillatore armonico, oscillatore anarmonico, corpo rotante) introduce i ‘simboli quantistici’ (per grandezze osservabili) al posto delle analoghe grandezze classiche:
x(t) → xmn(t), v(t) → vmn(t), x2(t) → x2
mn(t) = k xmk (t) × xkn(t)
(ma il prodotto così espresso non è commutativo!)
Born, My Life: “Lessi l’articolo di Heisenberg e ne fui entusiasta [...] cominciai a pensarci sopra giorno e notte [...] quella legge di moltiplicazione
doveva avere un significato. [...] un mattino, intorno al 10 luglio 1925, vidi
improvvisamente la luce: la moltiplicazione simbolica di Heisenberg non
era nient’altro che il prodotto di matrici, che ben conoscevo da quando ero
studente”.
18
Le due strade che portano alla MQ: 1.4
Born insieme a Jordan trascrive ed estende il lavoro di Heisenberg: (1) xmn(t), vmn(t)
sono matrici quadrate; (2) le condizioni imposte da Heisenberg sull’energia (matrice con
elementi diversi da zero solo sulla diagonale e indipendenti dal tempo) valgono per tutti i
sistemi unidimensionali; (3) prima espressione delle ‘regole di commutazione’ per le p e q
(pnk × qkm − qnk × pkm) =
k
h
se n = m
2πi
= 0
se n = m
Poco dopo Born riceve una copia dell’articolo di Dirac che contiene molti dei risultati trovati
da lui e Jordan: Questa fu, me ne ricordo bene, una delle maggiori sorprese della mia
vita scientifica. Il nome di Dirac mi era del tutto sconosciuto, l’autore risultava essere
un giovanotto, eppure ogni cosa era, a modo suo, perfettamente e mirabilmente a posto.
L’articolo di Dirac conteneva le stesse relazioni di commutazione scritte in forma compatta:
h
I
(1)
2πi
L’articolo successivo di Born, Heisenberg e Jordan completa la prima fase della formulazione delle basi della meccanica matriciale (nome non simpatico a Heisenberg che lo
trovava troppo matematico).
pq − qp =
19
Le due strade che portano alla MQ: 2.1
Erwin Schrödinger, nel suo articolo scritto nel marzo 1926 On the Relationship of the
Heisenberg-Born-Jordan Quantum Mechanics to Mine, dimostra l’equivalenza matematica delle due teorie dopo averne sottolineato la radicale diversità nei loro punti di partenza,
nei metodi formali utilizzati, nell’approccio generale. Schrödinger afferma che pur essendo a conoscenza del lavoro di Heisenberg apparso alcuni mesi prima, non si era accorto
inizialmente di alcuna connessione tra questo e il suo, e anzi era stato “spaventato se
non respinto” dall’eccesso di algebra e dall’assenza di un chiaro aggancio intuitivo (fisico). “La mia teoria era stimolata dalla tesi di de Broglie e da alcune brevi ma infinitamente
lungimiranti osservazioni di Einstein.”
Tappe della nascita della meccanica ondulatoria:
• I lavori di Einstein sulla struttura della radiazione.
• L’effetto Compton e alcune sue conseguenze.
• La statistica di Bose e le onde di de Broglie.
• Dalle osservazioni di Einstein alla meccanica ondulatoria di Schrödinger.
20
Le due strade che portano alla MQ: 2.2
I lavori di Einstein sulla struttura della radiazione
In due lavori del 1909 Einstein rianalizza la legge di Planck calcolando le fluttuazioni di
energia nella radiazione di corpo nero. Ne ricava che per ottenere la legge di Planck
bisogna considerare due cause indipendenti che producono le fluttuazioni, che quindi si
sommano nell’espressione finale: una riferibile alla natura corpuscolare (che domina nel
limite di alta frequenza o bassa temperatura e riproduce la legge di Wien), e una riferibile
alla natura ondulatoria (dominante a bassa frequenza o alta temperatura dove si riproduce
la legge di Rayleigh-Jeans). [cit Einstein (a cura di Bellone), p. 201 e ss.]
È innegabile che c’è un vasto gruppo di dati riguardanti la radiazione che mostrano che la luce ha alcune fondamentali proprietà che possono essere
comprese molto più facilmente dal punto di vista della teoria newtoniana dell’emissione
che dal punto di vista della teoria ondulatoria. È mia opinione, perciò, che la prossima
fase dello sviluppo della fisica teorica ci fornirà una teoria della luce che può essere interpretata come una specie di fusione delle teorie ondulatorie e emissive. [voce solitaria in
[Einstein, Salisburgo 1909]
quegli anni]
21
Le due strade che portano alla MQ: 2.3
Nell’ambito della relatività ristretta, la chiave di volta per reinterpretare la teoria della radiazione (e con essa la nozione di campo) era fornita dall’equivalenza tra massa e energia.
Che la luce fosse un’entità indipendente dal mezzo (il campo come nuovo oggetto fisico
e non come deformazione di qualcosa) e che l’emissione di luce da una sorgente seguita dal suo assorbimente da un ricevitore implicasse il trasferimento di massa erano due
caratteri che sembravano più facilmente interpretabili nell’ambito di teorie emissive che in
quello di teorie ondulatorie.
Ristabilire la simmetria tra processi di emissione e assorbimento. Le equazioni di Maxwell
interpretano l’emissione come produzione da parte di una carica oscillante di un’onda
sferica che si espande, ma l’assorbimento (che le equazioni di Maxwell porterebbero a
considerare come contrazione di un’onda sferica da parte di una carica) non è certamente
un processo elementare. Le teorie dell’emissione in questo senso permettono di ristabilire
la simmetria sotto forma di emissione e assorbimento di particelle.
→ Einstein torna sul problema nel 1916 e nel 1917. La trattazione porta alla necessità
di considerare quella che Einstein chiama la “radiazione aghiforme” (needle radiation)
nell’emissione e nell’assorbimento (introduzione del momento per la particella di luce).
22
Le due strade che portano alla MQ: 2.4
L’effetto Compton e alcune sue conseguenze
• 1922: annuncio di Compton dei risultati sperimentali.
• 1923: Compton e Debye indipendentemente danno la spiegazione sulla base della
cinematica relativistica dell’urto fotone-elettrone.
• La proposta di Bohr, Kramers e Slater (1924): (1) le leggi di conservazione dell’energia e del momento valgono solo statisticamente nel caso delle interazioni radiazione
materia; (2) l’introduzione di un opportuno campo di radiazione virtuale per spiegare
gli effetti di tipo corpuscolare (virtuali e non reali secondo i proponenti).
• Confutazione da parte di Bothe e Geiger (1925), e Compton insieme a Simon (1925):
causalità e leggi di conservazione di energia e impulso rimangono valide. Qualunque
cosa debba essere eliminata in una teoria che tratti la dualità particella-corpuscolo
della radiazione non ha niente che fare con le leggi di conservazione.
23
Le due strade che portano alla meccanica quantistica: 2.5
Le onde di de Broglie e la statistica di Bose-Einstein
de Broglie (che dal 1922 studiava il problema della radiazione nell’ottica
della dualità onda-corpuscolo proposta da Einstein):
“Ero convinto – ricorda – che la dualità onda-corpuscolo scoperta da Einstein nella sua teoria dei quanti di luce fosse assolutamente generale e si
estendesse all’intero universo fisico, e mi sembrava certo, perciò, che la
propagazione di un’onda fosse associata con il moto di qualunque tipo di
particella - fotone, elettrone, protone”.
Scrive tre brevi memorie nel 1923 e la tesi nel 1924. Il suo supervisore,
Langevin, ne invia una copia a Einstein che gli risponde entusiasta: de
Broglie “ha sollevato un angolo del grande velo”.
24
Le due strade che portano alla meccanica quantistica: 2.6
La statistica di Bose-Einstein
• (Bose 1924) Derivazione della legge di Planck senza riferimento all’elettrodinamica
classica: (1) volume dello spazio delle fasi diviso in celle di volume h3 ; (2) procedura
di conteggio degli stati per occupazione delle celle da parte di particelle indistinguibili
(piuttosto che considerare la distribuzione dei quanti come fatto da Planck).
• Eherenfest nel 1911 e nel 1914 aveva già sottolineato che un conteggio su quanti indipendenti portava alla legge di Wien, per ottenere la legge di Planck era necessario
considerare correlazioni (perdita dell’indipendenza statistica).
• Einstein generalizza, nel 1924, la trattazione di Bose al caso di un gas ideale monoatomico, e continua nel corso dell’anno ad indagarne le proprietà per temperature
tendenti a zero. Scrivendo a Ehrenfest nel settembre, Einstein afferma che le molecole “condensano” nello stato di energia zero sotto una certa temperatura anche in
assenza di forze attrattive tra loro.
25
Le due strade che portano alla meccanica quantistica: 2.7
L’idea di de Broglie delle onde di materia (E = hν, p = h/λ) trova conferma negli
sviluppi delle indagini di Einstein del gas quantistico (1925): come la radiazione non è
solo onda ma anche corpuscolo, così le particelle materiali non sono solo corpuscoli ma
anche onde.
“Questo campo d’onda - scrive Einstein nel suo articolo sul gas quantistico del 1925 - la
cui natura fisica è ancora oscura deve essere in linea di principio dimostrabile attraverso
fenomeni di diffrazione ad esso corrispondenti”.
Dalle note di Einstein alla meccanica ondulatoria di Schrödinger
Immediatamente prima della serie di articoli su Quantizzazione come problema degli autovalori, Schrödinger manda (dicembre 1925) al Physikalische Zeitschrift l’articolo Sulla
teoria del gas di Einstein di grande rilevanza per comprendere la genesi della teoria. In
esso si legge:
26
“Ci si può aspettare di ottenere una più profonda comprensione dell’essenza della nuova
teoria [la statistica di Bose-Einstein] se si tiene ferma la validità dei vecchi metodi statistici
[...] e si operano cambiamenti nei fondamenti nel punto dove possono essere fatti senza
‘sacrificium intellectus’.”
La teoria di Einstein del gas si ottiene applicando alle molecole del gas la statistica che
porta alla legge di Planck se applicata agli atomi di luce. Si può però ottenere la legge
di Planck applicando la statistica usuale agli ‘oscillatori eterei’, cioè ai gradi di libertà
della radiazione. I fotoni appaiono allora come livelli energetici degli oscillatori eterei. Si
può ottenere la statistica di Bose scambiando il ruolo dei concetti: ‘la varietà (manifold)
degli stati di energia’ e ‘la varietà dei portatori di questi stati’. Basta quindi raffigurarsi il
gas come una radiazione in una cavità che non corrisponde all’estrema rappresentazione
tramite quanti di luce; la statistica naturale condurrà alla teoria del gas di Einstein.
“Questo non significa altro che prendere seriamente la teoria ondulatoria di particelle in
moto di de Broglie-Einstein, secondo la quale le particelle non sono nulla di più che un
tipo di ‘cresta d’onda’ su uno sfondo di onde”.
27
Prime interpretazioni della nuova meccanica I
1. La posizione di Schrödinger.
• Interpretazione realistica della ψ: le onde sono l’unica realtà mentre le particelle
sono entità derivate.
• Interpretazione iniziale di ψ come legata alla densità di carica e dell’equazione di
continuità come collegata alla conservazione della carica elettrica.
P ROBLEMI APERTI: (1) Lorentz (1926), dopo aver affermato di preferire la meccanica
ondulatoria a quella delle matrici nel caso di sistemi a una particella, prosegue però osservando che “un pacchetto d’onda in moto con la sua velocità di gruppo che dovrebbe
rappresentare una ‘particella’ non potrà mai restare unito e rimanere concentrato in un
piccolo volume per lunghi percorsi. La più piccola dispersione del mezzo porterà a un
suo sparpagliamento nella direzione di propagazione, e anche in assenza di questa dispersione si sparpaglierà sempre di più in direzione trasversale al moto. Proprio a causa
di questa inevitabile diffusione non mi sembra che il pacchetto d’onda possa servire per
rappresentare cose alle quali vogliamo attribuire un’esistenza individuale relativamente
permanente”. (2) ψ vive nello spazio delle configurazioni del sistema e non in quello
fisico.
28
Prime interpretazioni della nuova meccanica II
2. Il lavoro di Born (25 giugno 1926), On the quantum mechanics of collision processes
(interpretazione statistica della ψ). Si può riassumere l’itinerario seguito da Born nel modo
seguente:
A. Parte dall’analisi dei processi di collisione nei quali il formalismo di Schrödinger è “particolarmente appropriato, per cui sono incline a ritenerlo la formulazione più profonda delle
leggi quantistiche”. Considera l’urto elastico di un fascio stazionario di particelle di massa
m e velocità v in direzione z da parte di un potenziale statico V (r) che asintoticamente va
a zero più velocemente di 1/r. La funzione d’onda stazionaria che descrive lo scattering
va asintoticamente come:
mv
eikr
, k=
.
(2)
r
Interpretando allora N |f (θ, φ)|2 d ω come il numero di particelle scatterate nell’elemento
di angolo solido d ω, Born collega |f (θ, φ)|2 con |ψmn|2 (dove n denota lo stato iniziale
di onda piana in direzione z e m lo stato asintotico finale in cui le onde si muovono nelle
direzioni (θ, φ)).
eikz + f (θ, φ)
29
B. In generale ψψ ∗ dτ misura la probabilità della particella di trovarsi nell’elemento spaziale dτ . Quindi la meccanica ondulatoria non dà una risposta alla domanda: Qual è
precisamente lo stato dopo la collisione?; essa può rispondere solo alla domanda:
Qual è la probabilità di uno stato definito dopo la collisione?.
“Il moto delle particelle - afferma Born in questo primo lavoro - si conforma
alle leggi della probabilità, ma la probabilità stessa si propaga secondo le
leggi della causalità” .
Il risultato di Born, come lui stesso sottolinea a più riprese successivamente, è influenzato da idee di Einstein. In alcune riflessioni generali nei primi anni Venti [non pubblicate],
Einstein aveva delineato una sua concezione delle relazioni tra onde del campo elettromagnetico e quanti di luce. Esso considera il campo ondulatorio come una sorta di “campo
fantasma” (ghost o phantom field, Gespensterfeld), le cui onde guidano le particelle fotoniche sui loro cammini, nel senso che il quadrato dell’ampiezza dell’onda determina la
probabilità di presenza dei fotoni (o della loro densità).
30
Prime interpretazioni della nuova meccanica III
La questione interpretativa riceverà un particolare impulso dopo il mese di
marzo del 1927 quando Heisenberg pubblica l’articolo con le relazioni di
indeterminazione.
h
h
pq ≥
Et ≥
(3)
2π
2π
Le relazioni di indeterminazione hanno come controaltare “filosofico” quello che Bohr chiama principio di complementarità, da lui enunciato nel settembre del 1927.
Nel noto dibattito tra Einstein e Bohr le relazioni di indeterminazione svolgeranno un ruolo cruciale: Einstein tenterà di trovare un controesempio
alle relazioni di indeterminazione per dimostrare “l’inconsistenza della teoria”, mentre Bohr dimostrerà che i controesempi di Einstein non sono corretti e quindi che la teoria è consistente.
31
[Congresso di Como, settembre 1927]
“La nostra interpretazione dei dati sperimentali si basa essenzialmente sui concetti classici: per questo ci poniamo il problema se un elettrone sia un’onda o un corpuscolo. Nel
caso classico, la relazione tra oggetto osservato e strumento di misura può, in linea di
principio, essere controllata perfettamente, e quindi se l’elettrone è un corpuscolo non è
un’onda, e viceversa: in altre parole il fisico classico può dedurre dal risultato della misura che una delle due descrizioni è errata. Nel caso quantistico, dato che una realtà
indipendente nel senso fisico usuale [classico] del termine non può essere attribuita né al
fenomeno né agli strumenti di misura, si deduce che l’elettrone è un’onda o un corpuscolo
a seconda dello strumento di misura usato. Quindi, per evitare i presunti paradossi legati
al dualismo onda-corpuscolo, bisogna considerare il nuovo nesso che la teoria quantistica
introduce tra oggetto e strumento”.
Questa situazione è chiamata da Bohr complementarità: “La natura stessa della teoria dei
quanti ci obbliga a considerare il coordinamento spaziotemporale [proprio dei corpuscoli]
e l’enunciato di causalità [delle onde], l’unione dei quali caratterizza le teorie classiche,
come aspetti complementari, ma mutuamente esclusivi della descrizione, rappresentazioni complementari dei fenomeni che solo considerati insieme offrono una generalizzazione
naturale del modo classico di descrivere le cose”.
32
§ 4.1 “PARADOSSI ”
E INTERPRETAZIONI DELLA MECCANICA QUANTISTICA
33
Introduzione ai cosiddetti “paradossi”
della meccanica quantistica
1. Struttura della teoria.
2. Interludio: le fasi del dibattito Einstein-Bohr (1927-1930).
3. L’argomento di Einstein-Podolsky-Rosen (1935), noto come “paradosso
EPR”.
4. Il problema della misurazione quantistica.
5. Il “gatto di Schrödinger” (1935).
6. L’“amico di Wigner” (1961).
34
Struttura della teoria
(A) Sistemi fisici e loro stati – Ad ogni sistema fisico S (un oggetto o insieme di oggetti
fisici) è associato un particolare spazio vettoriale sul campo numerico C (lo spazio di
Hilbert H), i cui elementi (modulo 1) corrispondono agli stati fisici del sistema. Siccome H è uno spazio vettoriale (lineare e chiuso rispetto alla operazione di somma
di stati) si ha che:
Dati ψ, φ ∈ H e α, β ∈ C anche αφ + βψ ∈ H
(principio di sovrapposizione degli stati → equazioni lineari in ψ).
(B) Proprietà misurabili (“osservabili quantistiche”) – Le osservabili di un sistema fisico
sono rappresentate da operatori lineari (operatori hermitiani) sullo spazio vettoriale
associato al sistema. Se ψ è un autovettore di un’osservabile  corrispondente
all’autovalore a, Âψ = aψ, allora si dice che lo stato ψ ha valore a per la proprietà
misurabile rappresentata da Â.
(C) Dinamica – Dato ψ all’istante (iniziale) t = to e note le forze e i vincoli cui è soggetto
il sistema esiste un algoritmo (l’equazione di Schrödinger) tramite il quale, in linea
di principio, si può calcolare lo stato ψ del sistema in un qualunque istante t > to:
l’evoluzione di ψ è lineare e deterministica.
35
(D) Connessione con gli esperimenti (legge di probabilità quantistica)
– Dato l’osserva
bile Ô sul sistema S individuato dallo stato ψ si ha ψ = i ciΩi, con Ωi autovettori
di Ô con autovalori ωi
La probabilità che la misura di Ô abbia
come risultato ωi è |ci|2 (0 ≤ |ci|2 ≤ 1).
(E) Collasso o riduzione del vettore ψ – Data ψ =
i ci Ωi se ottengo nella misura
un certo valore ωj la ψ collassa o è ridotta a ψ = Ωj per cui ripetendo la misura
successivamente ottengo con probabilità 1 il valore ωj .
(D) e (E) sono regole speciali: è il loro carattere stocastico il vero responsabile dell’indeterminismo quantistico.
36
I momenti salienti del dibattito Einstein-Bohr (1927-1930)
1. il V Congresso Solvay (24-29 ottobre 1927, su “elettroni e fotoni”, presenti tra gli altri Planck, Einstein, Bohr, Heisenberg, Schrödinger, Dirac, de Broglie, Kramers, Pauli, Eherenfest);
2. il VI Congresso Solvay (20-25 ottobre 1930, sul magnetismo);
3. pubblicazione dell’articolo di Einstein, Podolsky e Rosen, Can QuantumMechanical Description of Physical Reality Be Considered Complete,
Phys. Rev. 47 (1935), pp. 777-780, la risposta di Bohr in un articolo con lo stesso titolo che compare sul Phys. Rev. 48 (1935), pp.
696-702. [cf. P. Schilpp, Albert Einstein: philosopher scientist, 1949,
tr. it. Boringhieri 1958 e ancora nel 1979 con il titolo “Autobiografia
Scientifica”]
37
Le questioni dibattute possono essere inquadrate nei tre seguenti temi:
(I) Demarcazione tra classico e quantistico. Esiste, nel sistema fisico complessivo
costituito dal
(sistema fisico investigato)+(apparato di misura) ,
una linea di demarcazione (difficilmente definibile in via di principio ma identificabile
di volta in volta a seconda del sistema complessivo preso in esame) tra parti classiche e parti quantistiche (cioè sostanzialmente che obbediscono alle relazioni di
indeterminazione).
(II) Consistenza della teoria. Tentativi di Einstein di ideare esperimenti ideali che
evidenzino una inconsistenza (contraddittorietà) della teoria.
(III) Completezza della teoria. Ammessa la consistenza, la teoria offre davvero una
descrizione completa dei sistemi fisici?
38
FIG. 1 Per chiarire il suo atteggiamento [la sua preoccupazione per l’abbandono della
causalità nella meccanica quantistica] Einstein si rifece al semplice esempio (FIG. 1) di
una particella (elettrone o fotone) che passi attraverso un foro o una sottile fenditura praticata in un diaframma situato a una certa distanza davanti a una lastra fotografica. A
causa della diffrazione dell’onda connessa col moto della particella non sarà possibile in
tali condizioni prevedere con esattezza in che punto della lastra fotografica la particella
arriverà, ma sarà solo possibile calcolare la probabilità che, in un certo esperimento, la
particella si trovi in una certa regione della lastra.
L’evidente difficoltà in questa descrizione risiede nel fatto che, se nell’esperimento la particella viene registrata in un punto A della lastra, resta alloraesclusa la possibilità di osservare la particella in un altro punto (B), sebbene le leggi dell’ordinaria propagazione delle
onde non consentano una correlazione fra due fatti del genere.
L’indeterminazione Δq nella localizzazione della particella sul piano del diaframma è data
dal raggio a del foro, e poiché l’agolo di onda sferica θ ≈ 1/(σa) = λ/a otteniamo Δp ≈
θP ≈ h/q (dato che P = hσ = h/λ), in accordo con le relazioni di indeterminazione.
39
FIG. 2 Guardando al semplice dispositivo di FIG.1 vediamo che ancora non è stato specificato l’uso che se ne intende fare. Infatti solo se diaframma e lastra hanno posizioni
ben definite nello spazio, sarà impossibile, con la meccanica quantistica, fare previsioni
più accurate sul punto della lastra in cui la particella sarà registrata.
Se però ammettiamo un’indeterminatezza abbastanza grande nella conoscenza della posizione del diaframma, dovrebbe essere possibile, in linea di principio, controllare il trasferimento di impulso al diaframma, e quindi fare previsioni più particolareggiate sulla
direzione del percorso della particella dal foro al punto della registrazione. Ma, in questo
caso, sparirebbero le figure di interferenza.
Bohr mette così in evidenza il carattere mutuamente esclusivo delle condizioni sperimentali: FIG.2a diaframmi e lastra fissati a un supporto rigido (o interferenza o chiusura del foro); FIG. 2b misura dello scambio di impulsi (ma allora posizione e impulso del diaframma
non sono precisamente determinati).
40
FIG. 3 Facendo leva sulla relazione E = mc2 Einstein propone il congegno di Fig.3 (Einstein), formato da
una scatola con un foro che si apre e chiude mediante uno sportello mosso da un orologio. Se la scatola
all’inizio contiene una certa quantità di radiazione e l’orologio si apre per un brevissimo intervallo di tempo,
si può ottenere che un solo fotone esca in un istante determinato con la precisione voluta. Pesando la
scatola prima e dopo l’evento sembrerebbe che anche l’energia del fotone potesse essere misurata con la
precisione voluta in contrasto con la relazione di indeterminazione tra E e t.
Il peso della scatola (nella Fig.3 con la molla) può essere determinato con una qualsiasi approssimazione
m riportando la bilancia nella posizione di zero con opportuni pesi. Il punto essenziale è che qualunque
determinazione di questa posizione con approssimazione q implica un’indeterminazione p nel controllo
dell’impulso della scatola, legate dalle relazioni di indeterminazione. Questa p deve ovviamente essere
minore dell’impulso totale che, durante l’intervallo di tempo T del procedimento, può essere dato dal campo
gravitazionale a un corpo con massa m, cioè:
h
p ≈
< T gm
(4)
q
(g costante di gravità). Ma, secondo la teoria della relatività generale, un orologio che subisce uno spostamento q in direzione della forza gravitazionale cambia il ritmo di misura, per cui la sua lettura nel corso di
un intervallo di tempo T presenterà una differenza pari a:
T
gq
[red shift]
(5)
= 2
T
c
Ecco quindi che si riottengono da (4) e (5) le relazioni di indeterminazione:
h
c2 T = T gq >
(6)
⇒ c2 mT = ET > h.
m
Usare il congegno per misurare con precisione l’energia del fotone ci impedisce di controllare l’istante in cui
esce.
42
L’articolo di Einstein, Podolsky e Rosen (1935)
Ammettiamo che la teoria sia consistente, ma è anche completa? Quali
sono le condizioni che definiscono la completezza di una teoria?
Perché una teoria sia completa ogni elemento di realtà fisica deve avere
una controparte nella teoria.
Quali sono gli elementi di realtà fisica?
Se, senza disturbare in alcun modo un sistema, è possibile predire
con certezza (cioè con probabilità uguale a 1) il valore di una quantità
fisica, allora esiste un elemento di realtà fisica corrispondente a questa
quantità fisica [il sistema possiede oggettivamente la relativa proprietà].
44
L’idea è quella di mettersi nelle condizioni di predire con certezza il risultato
di una misura che verrà compiuta (in futuro) su un sistema senza interagire
in alcun modo con esso.
Questo significa che ora (prima della misura, non appena possiamo predirne con certezza il risultato) ci deve essere qualcosa nel sistema (con il
quale non interagisco), una qualche proprietà oggettiva, in virtù della quale quella misura futura debba dare proprio quel risultato. Se le predizioni
empiriche della meccanica quantistica sono corrette – argomentano EPR
usando la meccanica quantistica contro sé stessa – allora ci sono elementi
di realtà del mondo che non hanno corrispondenza nella descrizione data
dalla teoria quantistica.
45
EPR – Consideriamo il seguente esempio. Due particelle, le cui variabili coniugate di moto
e di posizione sono rispettivamente (p1 , q1 ) e (p2 , q2 ), si trovano in uno stato iniziale di
quantità di moto totale definita P = p1 + p2 e di distanza relativa definita Q = q1 − q2
([P, Q] = 0, quindi è possibile misurarli simultaneamente).
Dopo l’interazione iniziale si lasci andare le particelle ognuna per suo conto e dopo un
sufficiente lasso di tempo si compiano osservazioni sulla particella 1: misurando p1 si
conoscerà p2 senza intervenire sulla particella 2 e, successivamente, misurando q1 si
conoscerà q2 senza intervenire sulla particella 2. Quindi p2 e q2 sono entrambi, simultaneamente, elementi di realtà della particella 2, per i quali la meccanica quantistica non
ha strumenti di descrizione e quindi la meccanica quantistica è incompleta.
La località è un punto cruciale – “Se all’istante della misurazione i due sistemi non interagiscono più, nessun cambiamento reale può aver luogo nel secondo sistema come
conseguenza di un qualunque intervento sul primo”. Gli elementi di realtà di un sistema
fisico non possono essere influenzati istantaneamente a distanza. La particella 2 possiede quindi una proprietà che non trova espressione nell’apparato formale della teoria (la ψ
del sistema).
46
Abbiamo dimostrato in precedenza che o (A) la descrizione quantistica della realtà data
dalla funzione d’onda è incompleta o (B) quando gli operatori corrispondenti a due quantità fisiche non commutano le due quantità non possono avere realtà simultanea. Abbiamo
assunto che la descrizione della realtà fornita dalla funzione d’onda fosse completa e
siamo arrivati alla conclusione che due quantità fisiche associate a operatori non commutanti possono avere realtà simultanea. Quindi la negazione di (A) conduce alla negazione dell’unica altra alternativa (B). Siamo quindi forzati a concludere che la descrizione
quantistica della realtà fisica data dalle funzioni d’onda è incompleta.
Si potrebbe criticare la conclusione sulla base del fatto che il nostro criterio di realtà non
è sufficientemente restrittivo. Infatti, si potrebbe non arrivare alla nostra conclusione se
si sostenesse che due o più quantità fisiche possono essere considerate come elementi simultanei di realtà solo quando possono essere simultaneamente misurati o predetti.
Da questo puntodi vista siccome p2 e q2 non commutano non possono essere simultaneamente reali. Questo però rende la realtà di p2 e q2 dipendente dal processo di
misura condotto sul primo sistema, che non disturba in alcun modo il secondo. Nessuna
ragionevole definizione di realtà potrebbe permettere questo fatto.
47
[Bohr] Illustra un apparato sperimentale che realizza l’esperienza di EPR.
Esso è costituito da un diaframma rigido con due fenditure molto sottili
rispetto alla loro distanza relativa. Assume che le due particelle, con momento inziale p1 e p2, passino ognuna in una fenditura diversa independentemente l’una dall’altra. Se il momento del diaframma viene misurato
accuratamente prima e dopo il passaggio delle particelle possiamo risalire
alla somma delle componenti perpendicolari alle due fenditure dei momenti
delle particelle, come pure possiamo conoscere l’iniziale distanza relativa
delle due particelle (data dalla distanza delle due sottili fenditure).
Ovviamente qualunque misura successiva o della posizione o del momento di una delle due particelle ci permette di predire la posizione o il
momento dell’altra.
48
Possiamo - prosegue Bohr - scegliere di misurare p1 o q1 (e predire il valore risp. di p2 o q2), ma questo implica scegliere tra due apparati di misura
mutuamente esclusivi. Se misuriamo q1 è necessario stabilire una correlazione tra il comportamento della particella 1 e uno strumento rigidamente
connesso col supporto che definisce il sistema di riferimento spaziale. La
misura di q1 quindi fornisce anche la posizione del diaframma quando le
particelle passano attraverso le fenditure e permette in tal modo di stabilire
q2. Permettendo tuttavia il passaggio di una quantità di moto p essenzialmente incontrollabile dalla prima particella al supporto menzionato, non ci
sarà più possibile in seguito applicare la conservazione della quantità di
moto al sistema costituito dal diaframma e dalle due particelle. E quindi si è perduta ogni possibilià di predizione non ambigua della quantità di
moto della seconda particella. Viceversa la misura di p1 coinvolge inevitabilmente uno spostamento incontrollabile che preclude ogni possibilità
di dedurre dal comportamento della particella 1 la posizione del diaframma relativamente al resto dell’apparato e quindi impedisce di predire la
posizione q2.
49
[Bohm, 1951] Consideriamo un sistema composto da due particelle di spin 1/2 in uno
stato di singoletto (spin totale 0), e supponiamo che il sistema venga scisso nelle due
particelle (da un processo che non influenzi il loro momento angolare totale) che iniziano
a muoversi liberamente in direzione opposta. Lo stato del sistema sarà descritto dalla
seguente funzione d’onda:
1
Ψ = √ [ψ+ (1)ψ− (2) − ψ− (1)ψ+ (2)] ,
2
un’espressione che vale qualunque sia la direzione in cui misuriamo lo spin. Ogni misura
dello spin sulla particella (1) in una certa direzione fornisce una misura indiretta della stessa componente dello spin della particella (2). Possiamo sempre fare misure successive
dello spin della particella (1) lungo le direzioni x, y, z, riorientando liberamente l’apparato
di misura lungo la traiettoria di volo della particella ottenendo valori (impredicibili) definiti
del suo spin in diverse direzioni (incompatibili). Ma questo avviene senza in alcun modo
disturbare la particella (2) quindi devono esistere elementi di realtà definiti in (2) corrispondenti alla simultanea definizione di tutte e tre le componenti del suo spin. Siccome
la funzione d’onda specifica al più una di queste componenti in un certo istante di tempo,
essa non fornisce una descrizione completa.
50
L’argomento di Einstein-Podolsky-Rosen (1935): criterio cruciale
• Località – “Se all’istante della misurazione i due sistemi non interagiscono più, nessun cambiamento
reale può aver luogo nel secondo sistema come conseguenza di un qualunque intervento sul primo”.
Gli elementi di realtà di un sistema fisico non possono essere influenzati istantaneamente a distanza.
La particella 2 possedeva quindi anche prima (indipendentemente dalla misura) quella proprietà che
però non trova espressione nell’apparato formale della teoria (la ψ del sistema).
Critiche dell’argomento EPR
• Non si possono condurre misure simultanee su 1 di variabili incompatibili (Bohr).
• “Senza in alcun modo disturbare il sistema”: oggetti e apparati sperimentali formano una unità
inseparabile (Bohr).
• Problematizzazione (e abbandono) dell’interpretazione delle relazioni di indeterminazione come ‘disturbo’: esse sono un’implicazione inevitabile dell’apparato formale.
• Sistemi ‘entangled’ implicano un substrato di ‘non-separabilità’ nella descrizione quantistica (visione olistica). Se si sostiene la completezza contro EPR non si può fare a meno, in linea di principio di ammettere la non-separabilità: sistemi che hanno interagito risultano entangled e il recupero
dell’individualità richiede il ricorso al collasso della funzione d’onda.
• Disuguaglianze di Bell (1964): non esiste la possibilità di una descrizione completa e locale della
teoria: la meccanica quantistica ammette correlazioni non locali. Stesso dicasi di ogni suo completamento (con variabili nascoste) che recuperi una nozione epistemica di probabilità.
51
Il problema della misurazione quantistica
Qual è il significato del collasso della funzione d’onda? È possibile renderlo consistente con l’evoluzione
deterministica descritta dall’equazione di Schrödinger?
Sia S un sistema fisico e A uno strumento di misura. Lo stato di S sia descritto da c1 ψ1 + c2 ψ2 e quello di
A (inizialmente) da αi , .... Allora l’evoluzione del sistema complessivo S + A è esprimibile come segue:
ΨiS+A = (c1 ψ1 + c2 ψ2 ) αi → ΨfS+A = c1 ψ1 αf1 + c2 ψ2 αf2
(7)
ma ΨfS+A è uno stato puro diverso da una miscela statistica che vorrebbe ψ1 αf1 con probabilità |c1 |2 e
ψ2 αf2 con probabilità |c2 |2 per le diverse letture su A. In ΨfS+A , se non si ammette il postulato di proiezione,
‘coesistono’ tutti gli stati che pure sono macroscopicamente distinti (stato inconcepibile).
Il postulato di proiezione sancisce un dualismo nell’evoluzione dinamica:
stocastica-non lineare-irreversibile versus deterministica-lineare-reversibile
Esso è conseguenza del dualismo delle ‘situazioni fisiche’ tra sistemi microscopici (che collassano) e macroscopici (classici, che attuano la riduzione). Questa distinzione, facile spesso da stabilire in pratica, è
difficilmente definibile in linea di principio e introduce una vaghezza descrittiva e interpretativa nella teoria
fisica fondamentale, che sembra incapace al suo interno di dar conto del processo di misura.
52
Il problema della misurazione quantistica: ortodossia e paradossi
Posizione ortodossa – Esistono sistemi (apparati di misura) che non
obbediscono alle leggi della teoria quantistica.
La catena di von Neumann – Sia dato un sistema S descritto da c1ψ1 + c2ψ2
e una successione di misure con strumenti A, B,... che hanno indici
inizialmente negli stati individuati da αi, β i,..., si ha allora:
f
f
ΨiS+A+B+... = (c1ψ1 + c2ψ2) αiβ i... → (c1ψ1α1 + c2ψ2α2)β i...
f f
f f
f
→ (c1ψ1α1β1 + c2ψ2α2β1 )... → ΨS+A+B+...
interrompendo la catena (collasso) al primo passo tutti gli altri leggeranno
la stessa cosa: ma dove e perché interrompere la catena?
53
Due sono i ‘paradossi’ particolarmente noti legati al problema della riduzione della funzione d’onda:
Il gatto di Schrödinger (“Die gegenwärtige Situation in der Quantenmechanik”[L’attuale situazione nella M.Q.], Die Naturwissenschaften 23 (1935),
823-828, 844-849) [ristampato in Wheeler e Zurek (eds.), Quantum Theory of Measurement, Princeton 1983]:
(c1ψ1 + c2ψ2) (GAT T O)i → c1ψ1(GAT T O)vivo+c2ψ2(GAT T O)morto
L’amico di Wigner (“Remark on the Mind-Body Question”,in The Scientist
Speculates, I.J. Good (ed.), Basic Books, New York 1962, ristampato in
E.P. Wigner, Symmetries and Reflections, Indiana Univ. Press, 1967).
54
L’“amico di Wigner” (1961)
Supponiamo che un certo “osservabile” (spin?) relativo a un determinato oggetto S, avente solo due autostati σ1 e σ2 , sia osservato da un “amico” (AdiW). Assumiamo che lo stato iniziale dell’oggetto sia la
combinazione lineare c1 σ1 + c2 σ2 . Dopo l’interazione (osservazione) lo stato del sistema S + AdiW è
quindi:
(dove α1 e α2 sono gli stati di AdiW).
c1 σ1 α 1 + c2 σ2 α 2
(8)
Se ora Wigner chiede all’amico se ha visto s1 (l’autovalore corrispondente a σ1 ), nel qual caso per esempio
si sarebbe visto un lampo luminoso, la risposta dell’amico sarà positiva con probabilità |c1 |2 e negativa con
probabilità |c2 |2 . Nel caso affermativo l’oggetto darà anche a Wigner risultati come se fosse nello stato σ1 .
Se poi, dopo aver completato l’intero esperimento, Wigner domanda all’amico “che cosa vedevi prima che
ti chiedessi cosa vedevi?”, l’amico risponderà: “Te l’ho già detto: vedevo (non vedevo) [a seconda del caso
considerato] s1 ”. E siccome questo fatto era già definito nella sua mente prima della domanda di Wigner, se
ne deve concludere che lo stato, immediatamente dopo l’interazione di AdiW con S, era già o τ1 = σ1 α1
o τ2 = σ2 α2 e non τ = c1 σ1 α1 + c2 σ2 α2 (che ha proprietà differenti dai precedenti) prima che qualunque
cosa avesse interferito con l’evoluzione naturale del sistema (amico + oggetto). Certamente però se sostituiamo l’amico con un sistema quantistico (per es. un atomo che può essere eccitato dal lampo di luce),
la differenza avrebbe effetti osservabili: solo τ potrebbe descrivere correttamente le proprietà del sistema
composto. È evidente che lo stato τ è assurdo per un esserre cosciente, perché questo implicherebbe che
il mio amico dovrebbe trovarsi in uno stato di animazione sospesa prima di dare risposta alla mia domanda.
Pensare ad una coscienza che contiene la sovrapposizione degli stati fino alla mia domanda sarebbe un
atteggiamento solipsistico, che pochi sarebbero disposti ad accettare.
56
L’“amico di Wigner” versione Everett II (1973)
L, A, S Un laboratorio L isolato nello spazio. Al suo interno un osservatore A che fa una misura di una
osservabile X su un sistema S in uno stato σ che non è uno degli autostati ψk di X. La probabilità di
ottenere il risultato xj è |(ψj , σ)|2 . Subito dopo la misura al tempo t = t1 , A segna sul blocco note il
risultato, per es. xn .
B Un altro osservatore, B, esterno a L per ipotesi conosce lo stato Φ di L con tutto il suo contenuto (S, A,
l’apparecchio di misura, il blocco note) al tempo t = to < t1 . Interessato a ciò che troverà sul blocco note
al tempo t = t2 > t1 (per es. una settimana dopo), B calcola in accordo con l’equazione di Schrödinger
lo stato Φ di L al tempo t2 . Ovviamente Φ(t2 ) deve avere probabilità non nulla per tutte le possibili
annotazioni sul blocco, altrimenti A avrebbe sbagliato nell’assumere l’indeterminazione dei possibili risultati
della misurazione.
B + A Subito dopo t2 , B entra in L e getta lo sguardo sul blocco note. Fiducioso nel suo credo di teorico
quantistico ortodosso B informa A che, poiché Φ, subito prima del suo ingresso in L, aveva probabilità non
nulle per gli altri risultati rispetto a quello annotato, quest’ultimo è stato deciso solo quando lui ha guardato
il blocco. B dice ad A che il risultato segnato sul blocco e la sua memoria di ciò che era avvenuto una
settimana prima non aveva esistenza obiettiva indipendente finché lui (B) non è intervenuto. In breve B
suggerisce che A deve la sua presente oggettiva esistenza alla generosa natura di B intervenuta in suo
favore. Tuttavia, con la costernazione di B, A non reagisce per nulla con quel rispetto e quella gratitudine
che dovrebbe manifestare nei confronti di B, e alla fine di una risposta pepata, nella quale A esprime in
modo colorito la sua opinione su B e sulla sua credenza, A in modo rude punge l’ego di B osservando
che se la visione di B è corretta allora non ha nessuna ragione di sentirsi compiaciuto di sé, poiché l’intera
situazione presente può non avere nessuna esistenza obiettiva ma può dipendere dalle azioni future di un
altro osservatore ancora.
Il solipsismo è consistente logicamente, ma filosoficamente non porta a una soluzione convincente delle
difficoltà.
57
Interpretazioni della meccanica quantistica
• Interpretazione usuale (o ortodossa o di Copenhagen).
• Variabili nascoste.
• Logica quantistica.
• Interpretazione Statistica.
• Molti mondi (o molti universi) e in generale teorie con ‘branch label’.
• Riduzioni (o localizzazioni) spontanee (Ghirardi-Rimini-Weber).
• Tirando le fila: tra fisica e filosofia.
58
Interpretazione di Copenhagen
Caratteri salienti:
• ψ descrive completamente lo stato del sistema. A questo monismo nella descrizione fa da contraltare
il dualismo nell’evoluzione dinamica.
• Interpretazione probabilistica della ψ: |ψ|2 dV misura la probabilità di trovare la particella nel volume
elementare dV .
• Lo sparpagliamento nel tempo di ψ e il suo vivere nello spazio delle configurazioni non sono problematici (a differenza di quanto succedeva nelle iniziali proposte interpretative di Schrödinger) perché
ψ non è considerata qualcosa di reale fisicamente.
• I salti quantici di ψ (o le riduzioni) significano semplicemente un cambiamento nella conoscenza
della situazione fisica, che si produce quando veniamo a conoscenza del risultato della misura (a
differenza di quello che proponeva Schrödinger, che li vedeva come un processo fisico reale con
subitaneo collasso di un’onda ampiamente sparpagliata)
• Il principio di complementarietà porta a un ineludibile riferimento alla meccanica classica: esistono
(macro)sistemi il cui funzionamento non può essere descritto dalla teoria.
Wigner: “La natura statistica dei risultati di una misura è un postulato di base da cui consegue che la
funzione d’onda della MQ non descrive una qualche ‘realtà’, qualunque cosa significhi, ma fornisce solo
correlazioni statistiche tra osservazioni successive. Questa conclusione riduce la ψ ad uno strumento di
calcolo, certo utile e importante, ma sicuramente non una rappresentazione della realtà”.
[Ramo russo: Fock, Landau, Tamm, Krylov]
59
La MQ in Unione Sovietica
Lenin, Materialismo e Empiriocriticismo, 1909. Attacco a Mach e al neopositivismo irriconciliabile con il materialismo dialettico che riconosce l’esistenza della materia e delle sue proprietà come indipendenti e separate
dal soggetto percipiente e conoscente.
• Tra gli anni Trenta e Cinquanta la complementarietà viene fortemente criticata da una parte influente della comunità scientifica sovietica. Nikolskii (1936) scrive: “la complementarietà è una interpretazione
sbagliata dei fatti fisici di chiaro stampo idealistico.
• Zdanov e Maksimov (1947-1948): una campagna contro la complementarietà (in particolare contro Markov).
60
Teorie con variabili nascoste - I
La reazione all’egemonia copenhageniana si nutre di diversi fattori: scientifici, filosofici, politici, sociali...
In generale è diffusa tra fisici di ieri (si pensi ad Einstein) e di oggi una propensione a credere nell’esistenza
di una realtà oggettiva, che spesso si accompagna con la fiducia nell’esistenza di una qualche forma di
determinismo (ancorché non necessariamente connesso con la predicibilità). L’idea di fondo, allora, è quella
di cercare di interpretare la MQ come una sorta di termodinamica: essa produce solo valori medi di quantità
misurate, mentre a livello più profondo (quello che per la termodinamica classica è la meccanica statistica),
non necessariamente empiricamente accessibile, ogni sistema individuale segue il suo moto secondo leggi
deterministiche. A questa idea di fondo si unisce l’aspirazione a ricostruire una visione unitaria del mondo
(Bell) spostando il dualismo delle situazioni (apparati e sistemi) alla descrizione degli stati (ψ, λ).
Precedenti in contesto classico – Boltzmann e la sua aspirazione a dare una interpretazione (fondazione)
statistica della termodinamica, che non a caso si scontra con l’opposizione da parte di fisici (Loschmidt,
Zermelo) [che tentano di refutare la possibilità di interpretare le leggi termodinamiche ricorrendo ai moti
invisibili di molecole] e filosofi [Mach, il cui positivismo influenza le posizioni degli esponenti della scuola di
Copenhagen].
L’interpretazione probabilistica della ψ (Born) non vieta necessariamente le variabili nascoste. von Neumann scrive: “Il fatto che ensemble descritti dalla stessa funzione di stato mostrino dispersione suggerisce
due interpretazioni concepibili: (1) i sistemi individuali sebbene descritti dalla stessa ψ differiscono in parametri addizionali nascosti il cui valore determina il preciso risultato della misura; (2) tutti i sistemi individuali
dell’ensemble sono nello stesso stato, ma le leggi della natura non sono causali.
61
Teorie con variabili nascoste: il teorema di impossibilità di von Neumann
Nel suo fondamentale lavoro sui fondamenti matematici della MQ, von Neumann dimostra un teorema che
per quasi venti anni viene accettato come una dimostrazione dell’impossibilità di teorie a variabili nascoste
consistenti con la meccanica quantistica e deterministiche (causali). “La sola teoria formale esistente oggi
- scrive von Neumann - che ordini e riassuma le nostre esperienze in questo dominio in modo parzialmente
soddisfacente, la MQ, è in evidente contraddizione logica con la causalità. Naturalmente sarebbe esagerato
affermare che la causalità per questo debba essere abbandonata: la meccanica quantistica ha, nella sua
forma attuale, molte serie lacune, e potrebbe anche rivelarsi falsa, anche se quest’ultima possibilità è
altamente improbabile [...] A dispetto del fatto che la MQ ben si accorda con l’esperimento e che ci ha aperto
la strada ad un nuovo lato del mondo, non si può mai dire di una teoria che è stata provata dall’esperienza,
ma solo che essa è la migliore rappresentazione conosciuta dell’esperienza. Tuttavia, tenendo a mente
queste precauzioni,... possiamo ancora dire che ... non c’è spazio per la causalià in natura. In altre
parole, abbiamo a che fare con un modo vecchio di pensare dell’umanità, ma non con una necessità logica
(questo segue dal fatto che era sempre possibile costruire una teoria statistica), e chiunque voglia entrare
nell’argomento senza nozioni preconcette non ha ragione di aderire ad esso.”
A partire dal contro esempio fornito dalla teoria di Bohm del 1952, una progressiva chiarificazione della
questione si avrà nei successivi contributi di Gleason (1957), Jauch e Piron (1963), Bell (1964), Kochen
e Specker (1967). In particolare Bell sottolineerà che von Neumann ha utilizzato alcune ipotesi restrittive
non giustificate. Le teorie a variabili nascoste sono possibili ma va abbandonata l’idea di poter evitare le
anomalie quantistiche nella teoria più fondamentale: sono possibili teorie a variabili nascoste, ma esse
devono essere (come la MQ) non locali e contestuali.
62
La meccanica di Bohm
David Bohm (1917-1992) approfondisce questioni legate ai fondamenti della MQ già durante i suoi studi
a Berkeley come allievo di Oppenheimer (PhD a Berkeley nel 1943). Dal 1946 è assistent professor a
Princeton. Nel 1951 pubblica il libro Quantum Theory (apprezzato da Einstein e Pauli, mentre Bohr, di
cui pure l’autore dichiara il debito per alcune parti del volume, non esprime alcun giudizio). Nel 1951
viene sospeso dalla posizione in conseguenza della ‘crociata’ del senatore Mc Carthy, presidente della
Commissione sulle attività anti americane del Congresso. Nel 1952, trasferitosi a San Paolo in Brasile,
elabora in due articoli (Phys Rev. 85 (1952), pp. 166 e 180) la sua teoria.
L’interpretazione usuale ci impedisce - scrive Bohm nel suo primo articolo - anche solo di concepire precisamente cosa potrebbe determinare il comportamento di un sistema individuale a livello quantistico senza
fornir una dimostrazione adeguata che una tale rinuncia sia necessaria ... le due assunzioni mutuamente
consistenti su cui si basa l’interpretazione usuale: (1) ψ con la sua interpretazione probabilistica determina la specificazione più completa possibile dello stato del sistema; (2) il processo di trasferimento di un
singolo quanto dal sistema osservato all’aparato di misura è impredicibile, incontrollabile, inanalizzabile.
... possiamo concludere che la scelta dell’attuale interpretazione della MQ conduce ad una limitazione del
tipo di teoria da prendere in considerazione. Ma, a nostro avviso, ci sembra di poter concludere che non ci
sono sicure basi sperimentali e teoriche sulle quali fondare una tale scelta, poiché questa scelta segue da
ipotesi che non possono concepibilmente essere soggetet a test sperimentali e poiché disponiamo ora di
una interpretazione alternativa.
Per eliminare le ambiguità e la vaghezza di cui i formalismo quantistico risente nello stabilire i suoi caratteri
operativi, Bohm propone una teoria che, pur con aspetti radicalmente non-newtoniani, ha un’‘ontologia’
simile a quella della meccanica classica: ci sono particelle materiali che hanno posizioni e traiettorie ben
definite, i cui moti sono completamente deterministici. Possiamo fare predizione sull’evoluzione dei sistemi
solo in termini probabilistici a causa della nostra ignoranza delle posizioni reali delle particelle.
63
La meccanica di Bohm: alcuni elementi della teoria
• La funzione d’onda è un oggetto fisico reale, distinto dalle particelle, analogo a un campo (ma da questo
diverso in quanto ‘vive’ nello spazio delle configurazioni), che ha la funzione di ‘guidare’ le particelle lungo le
loro traiettorie. La descrizione completa dello stato è data dalla coppia (Q, ψ), dove le Q = (Q1 , ..., QN ) ∈
R3N , con Qi sono le posizioni reali delle particele e ψ = ψ(q) = ψ(q1 , ..., qN ) è la funzione d’onda del
sistema per una generica configurazione spaziale q.
• Evoluzione temporale - La specificazione dello stato del sistema a un qualche istante (iniziale), (Q0 , ψ0 ),
determina lo stato (Qt , ψt ) ad istanti successivi. La funzione d’onda evolve (senza mai collassare) in
accordo alla equazione di Schrödinger:
∂ψt
= Hψt ,
(9)
i
∂t
e la configurazione (reale) Q secondo l’equazione:
dQt
(10)
= v ψt (Qt ),
dt
ψ
) è un vettore nello spazio delle configurazioni R3N . Quindi la ψ ha il ruolo (didove v ψ = (v1ψ , ..., vN
namico) di generare il moto delle particelle attraverso il campo vettoriale delle velocità ψ → v ψ , ad essa
associato. La forma di v ψ può essere derivata sulla base di alcuni principi di invarianza (per rotazione,
inversione temporale, galileiana). La più semplice espressione è:
∇i ψ
viψ =
Im
(11)
mi
ψ
per un sistema di N particelle di massa mi (i = 1, ..., N ).
• Si dimostra che la meccanica di Bohm ha lo stesso contenuto empirico della MQ (non relativistica).
Questo fatto è legato allo speciale ruolo assunto nella teoria dalla distribuzione ρ = |ψ|2 : essa è la misura
d’equilibrio del sistema (se vale a un istante generico vale in qualunque altro istante successivo). Quando
un sistema ha funzione d’onda ψ la sua configurazione ha una distribuzione casuale |ψ|2 (in analogia con
quanto sancito dal postulato di Gibbs nella meccanica statistica).
64
La meccanica di Bohm: versione originale, antecedenti, critiche
√
Nell’articolo originale Bohm partiva scrivendo la ψ sotto forma di ψ = ρeiS/ , che sostituita nella equazione di Schrödinger e scindendo la parte reale da quella immaginaria permetteva di ricavare:
∇S
∂ρ
∂ρ
=
(12)
+∇· ρ
+ ∇ · ρv ψ = 0
(Re) →
∂t
m
∂t
∂S
2 (ρ 1 (∇ρ)2
(∇S)2
+
+V −
−
=0
(13)
(Im) →
∂t
2m
4m
ρ
2 ρ2
Nella (13) il primo pezzo in parentesi quadre è l’equazione classica di Hamilton-Jacobi mentre il secondo
pezzo viene interpretato come un pezzo additivo quantistico al potenziale V .
Tra i precursori dell’approccio di Bohm:
Erwin Madelung (più noto per i suoi lavori con Born sui cristalli ionici, si pensi alla costante di Madelung)
che nel 1926 scrive un’articolo sull’interpretazione idrodinamica dell’equazione di Schrödinger;
de Broglie che nel 1926 aveva già scritto un lavoro simile a quello di Bohm sull’onda pilota che a seguito
di critiche da parte di Pauli (che Bohm refuta definitivamente nel suo secondo articolo del 1952) aveva
abbandonato, salvo poi ritornarvi dopo il lavoro di Bohm;
Rosen (1945) argomenta anche lui nella direzione di de Broglie;
Walter Glaser che nel 1951 aveva analizzato le somiglianze formali tra equazione di Schrödinger e equazione di Hamilton-Jacobi.
Le idee veramente nuove di Bohm sono costituite dall’introduzione delle variabili nascoste, interpretate
come posizioni delle particelle dell’ensemble descritto dalla ψ, e dall’introduzione del campo di velocità
associato alla ψ.
Critiche di Fock: in un articolo del 1957 avversa il dogma deterministico bohmiano contro l’evidente
indeterminismo della MQ.
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L’interpretazione stocastica
L’interpretazione stocastica è introdotta nel lavoro di Edward Nelson (un matematico di Princeton) dal titolo
“Derivation of the Schrödinger Equation from Newtonian Mechanics”, Phys. Rev. 150 (1966), 1079-1085 (si
veda anche E. Nelson, Quantum Fluctuations, Princeton Univ. Press, Princeton 1985). Come nota anche
Nelson in conclusione al suo articolo, la proposta è uno sviluppo indipendente di idee già proposte su Z.
Physik da I. Fényes nel 1952 e da W. Weizel nel 1953, di cui l’autore è venuto a conoscenza solo dopo aver
completato l’articolo.
“Tenteremo di mostrare in questo articolo - scrive Nelson - che l’allontanamento radicale dalla meccanica
classica prodottosi con l’introduzione della meccanica quantistica quaranta anni fa non era necessario. Una
derivazione e interpretazione interamente classica dell’equazione di Schrödinger sarà data, seguendo una
linea di pensiero che è uno sviluppo naturale del ragionare usato in meccanica statistica e nella teoria del
moto browniano.”
– Le posizioni q sono variabili (nascoste) stocastiche. – Cinematica ripresa dalla teoria di Einstein e
Smoluchowski del moto browniano: il moto è descritto come un processo stocastico di Markov nello spazio
delle configurazioni con un coefficiente (universale) di diffusione /m.
– Dinamica newtoniana generalizzata come nella teoria del moto browniano (espresso come processo di
Markov nello spazio delle fasi) di Ornstein e Uhlenbeck (via equazioni di Langevin, processi di Wiener,
equazione di Fokker-Planck).
“Le equazioni del moto che si derivano sono non lineari, ma se la ψ è introdotta, in un modo semplicemente
legato alla descrizione cinematica del moto, si trova che la ψ soddisfa l’equazione di Schrödinger, e ogni
soluzione dell’equazione di Schödinger può essere ricavata in questa maniera. La nostra teoria non è una
teoria causale, ma i concetti probabilistici vi entrano in modo classico. La descrizione dei processi atomici
è ottenuta per mezzo di idee classiche del moto nello spazio-tempo, ed è quindi contraria alla MQ.”
Indagine successiva delle relazioni tra integrali di Feynman, processi di Markov (moti browniani) e equazione di Schrödinger.
66
La logica quantistica: premesse
Le difficoltà interpretative della meccanica quantistica non necessariamente possono essere superate modificandone la formulazione e/o le regole extralogiche (che assegnano contenuto empirico al formalismo),
possono invece essere chiarite (se non risolte) da una analisi la struttura formale del ragionamento deduttivo
utilizzato nella teoria.
Questo approccio all’interpretazione della teoria quantistica (e, più in generale, delle teorie elaborate dalle
scienze empiriche) è stimolato:
(1) dai lavori logici sviluppatisi nell’ambito dei fondamenti della matematica [Brouwer (1908) e Heyting
(1930): logica intuizionista come revisione della logica classica alla luce delle antinomie (Russell, BuraliForti); ricerca di strutture logiche diverse come base della matematica pura come la teoria dei tipi di Russell
e Whitehead (1910-1913); Lesnieswski (1920), Carnap, Church, Tarski, C.I. Lewis, Łukasiewicz (logica a
tre valori e abbandono del principio del terzo escluso: esistono proposizioni che non sono né vere né false;
logica (della probabilità) a infiniti valori in [0, 1]) ... Quine...];
(2) dal progressivo delinearsi di quella composita corrente filosofica che va sotto il nome di empirismo logico, che sfrutta tra l’altro gli sviluppi nel settore delle logiche non classiche e dell’analisi semantica delle
strutture formali applicate alle scienze empiriche.
Elementi basilari: stati, osservabili e eventi, questi ultimi definiti dalla coppia (O, B), dove O è un osservabile del sistema fisico in un certo stato e B un sottoinsieme (un borelliano) del suo spazio di valori.
La coppia (O, B) determina la domanda: ‘il valore di O appartiene a B?’, una domanda che ammette due
risposte: sì, no (non necessariamente certe, ma fissato lo stato del sistema restano fissate le probabilità ad
esse riferibili). Se si adottano gli stati del sistema fisico come primitivi, mediante i quali definire osservabili
e eventi, si hanno i cosiddetti approcci convessi; se il ruolo di elementi primitivi lo hanno gli osservabili si
parla di approcci algebrici; se, infine, gli elementi primitivi sono gli eventi si rientra nell’approccio logico
propriamente detto.
67
La logica quantistica: linee di sviluppo
• Uno dei lavori fondamentali è quello di G. Birkhoff e J. von Neumann, “The logic of quantum mechanics”, Annals of Mathematics 37 (1936), pp. 823-843. Scoprono, tra l’altro, che nella ‘logica
della meccanica quantistica’ non vale la distributività. Con un esempio fatto successivamente se
b = {sz = /2}, a = {sx = /2} e a⊥ = {sx = −/2} allora b ∩ (a ∪ a⊥ ) = b ed è
= (b ∩ a) ∪ (b ∩ a⊥ ) = 0. La struttura logica del calcolo proposizionale, che classicamente è
un ‘reticolo booleano’, è il ‘reticolo ortomodulare ortocomplementato’.
• Sviluppi negli anni ’60 nell’indagine delle strutture reticolari: Jauch, Emch, Misra, Piron...
• Logiche a molti valori: lavoro pionieristico di Reichenbach (1944, Fondamenti filosofici della meccanica quantistica, Einaudi 1954). Sviluppi successivi nella ‘fuzzy logic’.
• Approccio algebrico: von Neumann, Jordan e Wigner (1934), Segal (1947) e sviluppi nelle C algebre, Haag e Kastler (1964)...
• Approcci assiomatici inaugurati da Mackey (1960), Jauch (1968) e Varadarajan (1968).
Matematici e fisici con inclinazioni matematiche e filosofiche sottolineano che l’uso di una matematica rigorosa semplifica l’analisi logica, permettendo di tracciare una chiara distinzione tra questioni sintattiche e
semantiche implicate nell’interpretazione; si poteva per questa via chiarire e esprimere precisamente quali
assunzioni si dovevano fare per derivare certe conclusioni rilevanti a fini interpretativi.
David Finkelstein (1969) (Matter, Space, and Logic: “Non esiste una logica valida a priori: la logica, come
la geometria, subisce un processo evolutivo, il cui primo rivoluzionario cambiamento o frattura diventa
apparente attraverso l’abbandono della distributività (come nella geometria euclidea si genera la frattura
abbandonando il quinto postulato).
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Interpretazione statistica
Blokhintsev (1949): nella seconda edizione della sua Introduction of Quantum Mechanics
rifiuta l’interpretazione di Bohr-Heisenberg (anche sulla scia del conflitto tra Markov, da un
lato, e Maksimov-Zdanov dall’altro) e presenta la teoria sulla base della ‘interpretazione
statistica’.
ψ non è la descrizione di un sistema individuale ma di un ensemble statistico di sistemi
identicamente preparati.
Il processo di misura è visto come un analizzatore spettrale degli ensemble quantistici che
seleziona dal dato ensemble certi sub-ensemble in accordo con la natura dello strumento
o separa un ensemble (stato puro) in una miscela di sub-ensemble (miscela di stati). L’assegnazione di una nuova funzione d’onda a tali sub-ensemble corrisponde alla riduzione:
“Fisicamente una riduzione significa che una particella appartiene a nuovi ensemble puri
dopo la misurazione”.
“L’eliminazione dell’osservatore - secondo Blokhintsev - e quindi l’oggettività della meccanica quantistica è dovuta al fatto che la ψ descrive non lo stato di una particella ma
l’appartenenza della particella a un certo (sub-)ensemble.”
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I molti mondi o molti universi I
Negli anni ’50 cresce l’interesse per le ricerche di una teoria quantistica della relatività generale. In questo ambito si comincia a porsi il problema di cosa possa significare lo studio
della dinamica quantistica di un sistema chiuso come l’universo della relatività generale, e
quindi di una funzione d’onda che descrive l’intero universo. È ovvio che in uno scenario
del genere ogni teoria ‘dualista’ dell’evoluzione della ψ perde di significato: quale dovrebbe essere l’osservatore o l’apparato di misura ‘esterno’ che permette alla funzione d’onda
di collassare? Ecco quindi che la teoria quantistica della relatività generale richiede una
qualche modificazione della teoria quantistica della misurazione.
• Hugh Everett III (1957, “‘Relative state’ formulation of quantum mechanics”, Review
of Modern Physics 29, pp. 454-462). Rielaborata a più riprese da John A. Wheeler
(1957, “Assessment of Everett’s ‘relative state’ formulation of quantum mechanics”,
Review of Modern Physics 29, pp. 462-465), Bryce DeWitt e Neill Graham (DeWitt e
Graham (eds.), The Many-Worlds Interpretation of Quantum Mechanics, Princeton
1973), J.B. Hartle (1968).
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I molti mondi o molti universi II
• Assunzione che la funzione d’onda dell’universo evolve (sempre!) secondo l’equazione di Schrödinger, ed ogni suo termine ha una controparte reale. L’universo è
quindi in ‘realtà’ costituito da una molteplicità di copie dell’universo, nelle quali vivono
anche copie di noi stessi. In queste repliche si muovono diverse diramazioni della
funzione d’onda universale separatesi da qualche evento di misurazione passato.
L’effetto di decoerenza impedisce ogni forma di comunicazione o di interferenza tra
i vari rami della realtà la cui unione rappresenta l’intera funzione d’onda dei molti
universi.
• La teoria è quindi consistente in quanto nessun esperimento in una data diramazione dell’universo può mai rivelare il risultato di una misura ottenuta in un’altra diramazione. Inoltre il formalismo include la sua stessa interpretazione, e ogni altra
interpretazione è fuorviante perché sovrappone all’interpretazione già presente nel
formalismo altre interpretazioni (che in questo senso sono logicamente false).
• Nel solco dell’interpretazione a molti mondi (almeno nel senso di introdurre delle
etichette di ramo) rientrano anche interpretazioni successive come quella delle storie consistenti (o decoerenti) di Griffiths (1984), Omnès (1985), Gell-Mann e Hartle
(1989), Isham (1992), o come quella delle molte menti di David Albert (1992, Quantum mechanics and Experience, tr. it. Meccanica Quantistica e senso comune,
Adelphi 2000).
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Modelli di riduzione dinamica
• Precursori: F. Karolyhazy (Nuovo Cimento, A42 (1966), pp. 390-402); P. Pearle (Phys. Rev., D13
(1976), pp. 857-868; Found. Phys., 12 (1982), pp. 249-263; Phys. Rev., D29 (1984), pp. 235-240).
• GRW: G.C. Ghirardi, A. Rimini, T. Weber (Phys. Rev., D34 (1986), pp. 470-491; Phys. Rev., D36
(1987), pp. 3287).
Il punto centrale, come più volte sottolineato dagli autori, è il seguente.
La differenza caratteristica tra evoluzione quantistica governata dall’equazione di Schrödinger e riduzione
del pacchetto d’onda risiede nel fatto che la prima è lineare e deterministica, mentre la seconda è non
lineare e stocastica. Si può allora pensare di modificare la dinamica quantistica aggiungendo all’equazione
di Schrödinger termini stocastici e non lineari. Tali modificazioni sono assunte descrivere meccanismi
universali che governano tutti i processi fisici.
Si assume che all’evoluzione lineare e deterministica si sovrappongano processi di localizzazione spontanea a istanti casuali, che influenzano i costituenti elementari. Questi processi, chiamati ‘hittings’, sono formalmente descritti nella seguente maniera. Quando l’i-esimo costituente del sistema subisce un ‘hitting’ la
funzione d’onda cambia: Ψ(r1 , ..., rN ) → Ψx (r1 , ..., rN ) = Φx (r1 , ..., rN )/||Φx ||, dove Φx (r1 , ..., rN ) =
2
(α/π)3/4 e−(α/2)(ri −x) Ψ(r1 , ..., rN ). Il processo di localizzazione avviene in tempi casualmente distribuidi probabilità del processo che avviene nel
ti con una frequenza media λ = 10−16 sec−1 . La densità √
punto x è data da ||Φx ||2 . Il parametro di localizzazione 1/ α si assume valga 10−5 cm. Ovviamente le localizzazioni, pur avvenendo sempre, sono tanto più efficaci quanto più numerosi sono i costituenti
elementari.
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