Evoluzione della musica moderna fra conservazione

Quando, nelle tarde opere e nei “Vierernste Gesange” J.Brahms tende ad arrivare fino al limite dei
nessi tonali e motivici personali, pensava, non proprio a torto, che la fine della musica fosse oramai
vicina. Anch’egli é stato, se ci è concesso, vittima del suo tempo, ma in maniera più consapevole
rispetto a molti suoi contemporanei che credevano in maniera esclusiva nel progresso e nel divenire
della musica cancellando ciò su cui essa si era basata fino a quel momento. Ma Brahms non fu
l’unico che cercò di rinnovare il linguaggio musicale col suggello della Tradizione, sacra. La lotta fra
istanze “progressiste” e personalità che cercarono invece il cambiamento nella “conservazione”,
avvenne in tutti i campi artistici, e ad oggi si comprende bene che i primi hanno avuto di certo la
meglio, almeno esteriormente. Sicuramente la musica di Wagner, contemporaneo ed “avversario”
artistico di Brahms, ha influenzato più la successiva produzione novecentesca. Ma cos’è che
nell’ottocento ha caratterizzato queste istanze? E perché è importante capire questo per
comprendere la musica contemporanea? Per cercare di rispondere occorre comparare in sintesi le
premesse spirituali, storico -sociali e culturali che ci hanno portato alla situazione odierna in cui la
molteplicità dei linguaggi e delle forme musicali ha creato una vera e propria incomunicabilità fra i
generi oppure ibridi estremi in cui, il riflesso dell’ego dell’artista diventa quasi sempre l’unica chiave
interpretativa. Questo rende la produzione moderna un unicum rispetto ad altre transizioni storiche,
e la rende perlopiù inaccessibile e quindi ininfluente sulla società, se non agli addetti ai lavori. Il
soggettivismo appunto, l’individualismo, la sostituzione di un io personale ad un dio universale, del
culto privato ad un culto riconosciuto. Questi i mali dell’artista, musicista in questo caso, moderno.
Oggi la musica è intrattenimento e soddisfazione del mercato e del singolo artista-star, i riferimenti
a cose alte, ideali, sovra-individuali pressoché assenti se non politically correct, conformistici. Anche
un critico marxista come Lukàcs ebbe ad affermare “Nei tempi recenti l’arte è divenuta un articolo
voluttuario destinato a parassiti oziosi; l’attività artistica, a sua volta, è divenuta una professione
particolare con lo scopo di soddisfare quei bisogni voluttuari”. Bisognerà, insomma, ripartire da un
unità nuova, da una nuova oggettività, da un nuovo “grande stile”, per “costringere il proprio caos a
divenire forma, legge, matematica” prendendo ciò che di buono, di elevato, c’è comunque stato
cercando una mediazione fra le istanze “avanguardiste” e “classiciste” che ci accingiamo a prendere
in esame; per ridare alla musica ed al musicista di nuovo il suo legittimo ruolo ,senza scadere in una
retorica passatista che non servirebbe a resuscitare forme spurie che ormai riposano nel passato ma
nemmeno esaltando esperimenti personali “che non danno luogo a nulla di costruttivo, di stabile, di
durevole”. Vediamo allora cosa succede in Europa alla fine del secolo XVIII per capire da dove la
musica moderna (ma tutta la società e le arti nel complesso) prende una determinata direzione.
L’avvenimento che segna il passaggio inderogabile alla cultura moderna è ovviamente la rivoluzione
giacobina in Francia. In tutta Europa ,nel giro di una manciata di anni, si affermano gli ideali
borghesi di libertà individuale e emancipazione dalla chiesa che nel 1802/03 portarono alla
laicizzazione. Le idee dell’illuminismo, l’affermarsi del razionalismo, l’evoluzione della tecnica, il
formarsi di quella che oggi si definisce opinione pubblica, la vita di stampo realistico dell’ottocento
aprirono dei vuoti, soprattutto spirituali pensiamo, che non poterono più essere colmati se non con
surrogati (ideali nazionalistici, sentimentalismo, devozione privata, missione divina dell’artista).In
campo musicale tutto ciò è estremamente evidente. Nel XIX secolo infatti “La musica religiosa non
svolge più il ruolo centrale di un tempo e ciò vale soprattutto per la sfera più ristretta della musica
sacra liturgica”. “I grandi compositori dell’ottocento non erano più al servizio della Chiesa come
Bach e ancora Mozart a Salisburgo. Scrivevano le loro composizioni, un Requiem, una messa
solenne, per decisione personale o su commissione. Quindi non era più la liturgia a determinare la
composizione, quanto il compositore a determinare il carattere della celebrazione liturgica con la
forma personale data alla sua opera”. Potremmo arrivare a dire, che l’arte e la musica si prendono la
briga di sostituire la religione cristiana ormai morente, infondendo nelle loro produzioni un
“sentimento” di devozione generica che aspirava all’assoluto. Si arriva così a produzioni di musica
sacra di mediocre qualità, quindi ad una produzione di musica religiosa soprattutto nel mondo laico,
profano, ad opera dei grandi compositori. Proprio ciò fa capire come ormai il distacco dalla
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Tradizione si sia consumato. Le chiese si stavano trasformando in sale da concerto. Ora, questo fu
inevitabile che accadesse, e delle sussistenti velleità di tenersi ad un “arte tradizionale” non vale la
pena di parlarne, se non sul piano “di una riproduzione sfiorita di modelli…”.Ma esaminiamo come e
ad opera di chi tali cambiamenti avvennero cercando di situarci in una “terra di mezzo” fra i due
fiumi che si distaccano dalla sorgente classica per due vie solo in apparenza opposte; una è
“l’intellettualizzazione” e cioè quella musica in cui “prevale l’elemento cerebrale, con un deciso
interesse per l’armonia, che spesso conduce ad un radicalismo tecnicista, a scapito
dell’immediatezza”, l ‘altra via è quella della “fisicità”, cioè quella musica in cui prevalentemente si
parla ai sensi e non alla psiche, “distoltasi dal mondo soggettivo e patetico ed incline a trarre dal
mondo delle cose, delle azioni e di impulsi elementari i suoi principali temi d’ispirazione”… (se
considerate come tendenze non opposte ma complementari, che necessitano l’una dell’altra, si può
affermare che la ricerca della loro sintesi in un unità superiore, del loro equilibrio, sia decisamente
preferibile all’esasperazione di una a discapito dell’altra, e che quando ciò avviene nascono opere
assolute. [n.d.A])
Il soggettivismo e l’espressione del sentimento in aperto contrasto con la ragione, anticiparono la
poetica romantica già alla fine del settecento, con le opere letterarie di stampo idealistico che
stavano nascendo nel mondo tedesco come “Gli sfoghi del cuore di un monaco amante dell’arte”
(1797) di Wackenroder o l’opera di Novalis che descrive perfettamente questa nascente tendenza: “Il
mondo deve essere reso romantico. Così se ne ritroverà il significato originario. Se attribuisco un
significato elevato a quant’è comune, un aspetto misterioso a quant’è consueto, a quant’è noto la
dignità dell’ignoto, a quant’è finito una parvenza di infinito, li rendo romantici” (1798). E.T.A.
Hoffmann fu il primo a parlare di romanticismo musicale a proposito della quinta sinfonia di
Beethoven, che presenta nei primi dell’Ottocento già tutti i caratteri che predomineranno nel secolo:
amore dell’umanità, missione divina dell’artista; il tutto equilibrato da una potenza creatrice ancora
molto legata alla tradizione, soprattutto austriaca, ereditata dai primi maestri C. G. Neefe, Mozart
per breve periodo, Salieri e infine Haydn, senza scordare l’influsso onnipresente di Bach. “La
consapevolezza della sua forza creativa fece nascere in lui la coscienza della missione dell’artista,
concetto nuovo, che sarà quello dell’ottocento”. Ecco che per la prima volta si affaccia il
soggettivismo, la visione dell’artista come misura di tutte le cose, con la sua sensibilità alle cose
umane, alle tensioni ideali, che danno alla musica di Beethoven un tipico carattere tragico-patetico,
soprattutto nella seconda fase della sua produzione, tormentata dalla malattia. Egli fu il primo ad
imboccare vie nuove inventando nuove strutture e forme, inserendo contrasti nella melodia, nel
ritmo, nella dinamica, come nel caratteristico tema del Prometeo, ” creando però un tutto
classicamente equilibrato”. Del resto il passaggio dal classicismo all’epoca romantica non ha di certo
avuto soluzione di continuità, ” tanto che per molti versi possono essere considerati un’epoca sola “.
La produzione Beethoveniana, che però fino al 1802 si allaccia in modo rigoroso e maturo alla
Tradizione (Trio per archi op.8,Quartetti per archi, Sinfonie 1 e 2),può essere considerata proprio il
simbolo del passaggio stesso, nella sua seconda fase, ai motivi idealistici che caratterizzeranno in
modo indelebile l’epoca (Fraternità, amore per un umanità ideale, espressione del proprio io,
emozione) che sono gli elementi che segnano la differenza poetica vera dallo spirito chiaro ed
equidistante fra ragione e sentimento, forma e sostanza, che ha segnato la musica classica, e l’opera
del genio di Bonn, in cui l’elemento femmineo, sentimentale, tenebroso, inizia a prendere il
sopravvento. In quei primi dell’ottocento, alla musica così carica di tensione “Intellettuale” di
Beethoven, si può contrapporre quella “gaiamente artificiale” di Rossini, sicuramente di spirito più
conservatore. Rossini riportò l’opera buffa italiana ad un nuovo e vasto splendore che nel settecento
era stato oscurato dall’opèra comique e il grand opèra francesi. Scrisse poca musica strumentale ma
molte opere, 39 tra il 1810 ed il ’29 tra cui Tancredi e l’Italiana in Algeri (Venezia 1813), Il Barbiere
di Siviglia (Roma 1816) che é stata forse l’opera più rappresentata dell’ottocento, così via fino ad
arrivare a Semiramide (Venezia 1823). Dal ’24 Rossini vive a Parigi e qui scrive la sua ultima opera
nel ’29 e cioè Guillaume Tell da Schiller. Da qui scrive solo raramente concentrandosi perlopiù su
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musica da camera e musica sacra: Stabat Mater (1831-32/1841-42), Petite Messe solennelle
(1836/37).La poetica del musicista di Pesaro é sempre estremamente chiara e brillante, briosa con
naturale ricchezza di “contrasti a tutti i livelli, nell’atteggiamento, nel ritmo, nella melodia, nella
dinamica e nel timbro”. L’ideale compositivo di Rossini fu quello di “melodia semplice e ritmo
chiaro” che fa si che la sua musica sia vitale e comprensibile a tutti in quanto comunica direttamente
ai nostri sensi.
Dall’analisi di questi due grandi musicisti, possiamo capire cosa intendevamo quando poco sopra si
parlava di due tendenze solo in apparenza opposte, una “intellettualizzante” (Beethoven),l’altra
“fisicizzante” (Rossini).C’è da dire che i due grandi padri della musica moderna erano in realtà
ancora molto legati alle opere tradizionali, e quindi le loro opere risultano organiche, equilibrate,
anche se presentano in germe le due correnti che in seguito tenderanno sempre più a distaccarsi per
raggiungere i rispettivi limiti formali. Per capirci, se è vero che il maestro di Bonn diede molta
rilevanza ad armonia e contenuti non per questo trascurò dinamiche e ritmo, così come Rossini oltre
alla grande vitalità e melodicità non trascurò tessiture interne con anche vette virtuosistiche non
indifferenti.
Comunque è da qui che il soggettivismo degli artisti prende sempre più piede, portando alle estreme
conseguenze le due tendenze che, dopo i moti rivoluzionari del 1848 ed il fallimento dei tentativi
restauratori in Europa, si manifesteranno in modo sempre più antitetico negli autori moderni.
Intorno proprio a questi anni, fra il 1850 ed il 1860 possiamo trovare il punto di svolta in cui le due
correnti arrivano ad un contrasto evidente, che si cristallizza nelle opere di altri due grandi geni
dell’ottocento: Johannes Brahms e Richard Wagner. Quest’ultimo non stimava affatto il suo collega
tanto che lo appellava come il ” legnoso Johannes”. La volontà di Wagner era di rendere la sua
musica romantica, poetica, introducendovi contenuti extra-musicali (estetica dell’espressione o del
sentimento),a pensarla come lui vi erano anche Liszt e Berlioz; mentre dalla parte opposta, sin dalla
metà del secolo, “vi erano i sostenitori della musica assoluta (estetica formalistica)” e cioè Brahms
ed il grande critico Hanslick suo amico che così si esprime: “la musica esprime sentimenti, ma non
sentimenti determinati”, ed ancora ” il comporre è un lavoro dello spirito su materiale
spiritualizzato”, “l’elemento primigeneo della musica è il suono armonioso, la sua essenza il ritmo ”
(1854). Brahms “lungi dall’andar a caccia di effetti e di modernità cercava una qualità musicale che
presupponesse la tradizione storica”, egli “venerava l’alta spiritualità ed il grande mestiere degli
antichi maestri”. Non apprezzava la musica di Wagner ma lo stimava come un grande artista.
Brahms cercò, ed in buona parte riuscì, ad infondere una nuova vitalità e purezza ai generi del
passato, soprattutto con le sue grandi Sinfonie di cui la “Sinfonia I°” che fu eseguita per la prima nel
1876 diede una svolta decisiva al genere stesso. Egli non ha mai scritto un opera ed ebbe a dire che
“è meglio sposarsi che scrivere un’opera”. Al contrario Wagner si fece conoscere proprio grazie alle
sue opere ed alle concezioni e strutture nuovissime che esse presentavano, che segnarono in modo
indelebile la Kultur tedesca. Nel Lohengrin (prima esecuzione 1850 ) già si delineano tutti i nuovi
elementi che poi saranno caratteristici dell’opera che in seguito sistematizzerà come dramma
musicale, sua personale creazione. L’orchestra di Wagner assume il ruolo che il coro aveva
nell’antichità, “mettendo in luce i motivi psicologici che stanno dietro agli avvenimenti scenici e li fa
affiorare alla coscienza (o sub-coscienza) con l’aiuto del Leit-motiv (motivo conduttore) “.
L’orchestra di Wagner parla, racconta, ed una polifonia vocale e strumentale scorre come un flusso
ininterrotto, ed invece che far emergere episodi melodici come per es. fa Verdi, egli cerca una
“melodia infinita” che descriva anche la natura e le sue voci. Nella sua idea di “arte totale” dove
tutte le arti s’intrecciano, la fruizione ed il messaggio (pessimismo, germanismo) prendono il posto
della religione e da qui la sua idea dei “Festspiele”. (“L’inaugurazione del teatro di Bayreuth e la
prima esecuzione integrale dell’ Anello dei Nibelunghi furono eventi politici nazionali”). Come si
evince da queste poche righe Brahms con la sua concezione assoluta tenta di comunicare
all’ascoltatore una spiritualità che intrinsecamente deve risultare dallo sviluppo armonico ricco di
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colore e dalla struttura serrata tipicamente cameristica che egli applica alle sue sinfonie insieme
ovviamente alla grande levatura etica e sensibilità. L’accostamento di tali opere alle prime sinfonie
di Beethoven non è errato, come la vicinanza invece dell’ opera di Wagner alla seconda produzione
dell’artista di Bonn ci sembra evidente, con la sua densità di contenuti intellettuali e significati
reconditi, espressi in un dramma in cui il significato del messaggio e la veste musicale si fondono. A
parer nostro, fra i due artisti tedeschi che possiamo dire rappresentino l’uno l’ala “conservatrice”
della musica, l’altro quella più “progressista” (sempre ovviamente si parla non in termini assoluti),il
termine medio o di incontro fra le due concezioni potrebbe essere quello rappresentato da Anton
Bruckner che fu in effetti estimatore dell’uno e dell’altro. Cresciuto nel solco della Tradizione
austriaca, scrisse nove sinfonie, in cui gli aspetti soggettivi di ritmo interno si innestano in forme
tradizionali facenti riferimento a criteri assoluti, per meglio dire oggettivi, che lo collocano
precisamente fra il “partito” di Lizst e Wagner e quello del classicismo romantico (Brahms).
“Bruckner fa l’effetto di un uomo barocco in un epoca romantica”. Fu molto influenzato dallo stile
organistico, dal mestiere del contrappunto e dall’accumulazione di masse sonore alla maniera del
barocco, inserendo anche nelle sue opere arresti meditativi su suoni di tipo obiettivo come suoni
primordiali, motivi della natura (versi di uccelli) e intervalli fondamentali (ottava, quinta,
quarta).”Espressione e significato crescono nel corso della sua opera fino al finale che ha sempre il
carattere di una summa dell’intera opera”. Per fare un esempio della grandezza di questo autore e di
come riesca a creare un ponte fra modernità e tradizione basta analizzare il tema principale della 9°
Sinfonia che “sorge dalla successione di ottave, come il mondo dal caos primordiale”.
Come abbiamo visto è sicuramente possibile quindi coniugare una passione per l’innovazione delle
forme tradizionali con il rispetto però degli immutabili princìpi che soli possono guidare un giusto
cambiamento nell’arte. Senza la conoscenza di questi e della loro importanza si andrà sempre più
verso forme spurie o esperimenti personali che tutt’al più possono essere utili come barometri del
clima attuale. Bruckner per noi dimostra come le cose più interessanti nascano proprio dall’incontro
delle due tendenze che caratterizzano la musica moderna. Nel novecento le tecniche si
radicalizzano, e si raggiungono gli estremi limiti espressivi delle varie correnti. Ma come al solito i
risultati più interessanti arrivano dalla sintesi dell’ “intellettuale” con il “fisico” e della novità con la
tradizione. Il risultato è ” Le Sacre Du Primtemps” di Igor Strawinsky. Forse l’opera che a nostro
modo di vedere racchiude meglio uno slancio soggettivo e super -intellettualizzante di elaborate
costruzioni ritmiche con l’oggettività di ” qualcosa di appartenente meno alla psicologia, al mondo
passionale, romantico e espressionistico che non al substrato delle forze della natura”.
Quest’opera rappresenta “il superamento della musica del XIX secolo borghese- la musica diviene
puro ritmo, intensità di un dinamismo sonoro e timbrico in atto, musica pura ma con l’innesto di un
elemento menadico”. C’è da dire però che il musicista russo non proseguì su questa strada, in
seguito sperimentò le forme estreme dell’ intellettualizzazione musicale come la dodecafonia alla
Schonberg per poi ritornare soprattutto verso la fase finale della sua vita ad una produzione
fortemente neo – classica (Da Pulcinella del 1920 a The Rake Progress nel 1950). Ma la sua opera
prima é sicuramente un esempio di opera “assoluta”, forse l’unica vera del 900′ ,in cui il
superamento e la sintesi dei vari elementi che caratterizzano la musica moderna e antica in un tutto
di pura intensità estatica e liberatrice, riporta la musica stessa al suo significato originario, perenne
ed immutabile. Ad oggi, con le possibilità dell’elettronica, dovremmo proprio cercare una via simile,
di un nuovo equilibrio, là dove “sono le stesse forze sonore liberate dalle strutture tradizionali a
spingere verso una specie di meandro tecnicistico dove la completa dissoluzione nell’informe, è
contenuta solo da un algebra pura della composizione. Come nel mondo creato dalla tecnica delle
macchine, in musica la perfezione tecnica e l’ampiezza dei nuovi mezzi hanno avuto come
controparte il vuoto, la disanimazione, la spettralità o il caos “.
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