“…LA PAURA CHE FERMA L`AMORE…” STUDIO DEL LIVELLO DI

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“…LA PAURA CHE FERMA L’AMORE…” STUDIO DEL LIVELLO DI CONOSCENZA
DELLA POPOLAZIONE E DEL PERSONALE OSTETRICO RIGUARDO IL
VAGINISMO. ANALISI DEL VISSUTO DELLE DONNE
E DEL PERSONALE SANITARIO
Ost.Gagliardi Cecilia, Dott.ssa Paola Vialetto, Ost. Paola Agnese Mauri
BACKGROUND
IL VAGINISMO
Cos’è il vaginismo?
Le definizioni di vaginismo sono state più volte riviste.
L’American Psychiatric Association lo definisce come: “ricorrente o persistente spasmo involontario della muscolatura
del terzo esterno della vagina che interferisce con la penetrazione.” (2000)
Basson et al.(2003)5 lo definiscono: “persistente o ricorrente difficoltà della donna da accettare la penetrazione vaginale
del pene, di un dito o di un oggetto, nonostante l’espresso desiderio della donna di farlo. Ci sono spesso un evitamento
fobico e una paura anticipatoria del dolore. Anomalie anatomiche o altre anomalie fisiche devono essere escluse o
trattate.”
Plaut M., Graziottin A. e Heaton J.6 definiscono il vaginismo come: “spasmo involontario ricorrente o persistente della
muscolatura del terzo vaginale inferiore che interferisce con la penetrazione vaginale, associato o meno a un variabile
grado di fobia della penetrazione.” (2004)
Il primo e fondamentale passo per la cura del vaginismo è una precisa ed accurata diagnosi del disturbo.
Purtroppo le donne che si accorgono di soffrire di un disturbo sessuale e che si rivolgono ad uno specialista non sempre
ricevono adeguata attenzione e di conseguenza una corretta diagnosi. Studi (Jannini E. A., Lenzi A., Maggi M.
“Sessuologia medica” 2007)7 riportano addirittura una percentuale pari al 72% di donne vaginismiche alle quali,
all’inizio del loro percorso, non era stato correttamente diagnosticato il disturbo .
Lo specialista al quale le donne si rivolgono, deve avere una conoscenza adeguata nel campo della sessuologia medica,
per essere in grado di:
- osservare e interpretare il linguaggio corporale della donna,
- determinare l’origine temporale del problema,
- valutarne il grado di fobia,
- valutare l’ipertono muscolare,
- analizzare il comportamento della coppia.
Determinando quindi un quadro complessivo della situazione e valutandone la gravità complessiva, lo specialista avvia
la donna verso una terapia personalizzata.
Osservazione ed interpretazione del linguaggio del corpo
Il linguaggio del corpo della donna vaginismica è molto caratteristico, soprattutto nelle forme di vaginismo severo.
E’ evidente nello svolgersi dell’esame clinico del terapeuta: durante una tentata esplorazione vaginale potremo
osservare:
1. bocca serrata e occhi ben aperti.
2. tensione e rigidità della colonna vertebrale a livello soprattutto cervicale, che molte volte provoca cefalee
3.
muscolo tensive (Graziottin et al. 2004, Bertolasi et al. 2008)8.
tensione della parte lombare che porta all’inarcamento della schiena accompagnata molte volte dall’adduzione
delle cosce e dalla protezione dei genitali con le mani al solo tentativo di penetrazione.
spasmo difensivo dei muscoli pelvici.
4.
5. tachicardia.
6. sudorazione fredda.
7. respiro superficiale e fame d’aria.
Tutti chiari messaggi di fortissimo disagio da parte della donna che il terapeuta deve essere in grado di interpretare.
Determinazione dell’origine temporale del disturbo
A seconda del periodo in cui è insorto il disturbo si possono distinguere due tipi di vaginismo: primario e secondario.
Il vaginismo primario è quello presente fin dall’inizio della vita sessuale. La paziente non è mai riuscita ad avere un
rapporto completo o comunque ogni rapporto avuto è stato accompagnato da dolore.
Questa è la ragione principale di matrimoni cosiddetti bianchi con conseguente infertilità della coppia dovuta
all’assenza di rapporti sessuali. Ben il 5-7% delle coppie sterili lo sono perché non consumano il matrimonio. (Plaut M.,
Graziottin A., Heaton J. 2004)6
1
Il vaginismo secondario invece, può comparire dopo un periodo di rapporti sessuali normali. Questo tipo di disfunzione
sessuale è molte volte collegata a fattori biologici come un infezione vaginale, dolore post-partum, eventi traumatici,
ecc…
Alcuni terapeuti non diagnosticano il vaginismo secondario ma fanno ne confluire tutti i sintomi e le manifestazioni
caratteristiche all’interno del grande insieme di quel disturbo chiamato dispareunia.
Valutazione del grado di fobia e di ipertono muscolare
Tramite la valutazione del grado di fobia e di ipertono muscolare si possono distinguere i diversi gradi di vaginismo
(Lamont J.A., 1978)9
I grado: spasmo del muscolo elevatore dell’ano che scompare con la rassicurazione
II grado: spasmo dell’elevatore dell’ano che persiste durante la visita ginecologica. La visita in questo caso è
possibile.
III grado: spasmo dell’elevatore dell’ano e tensione della parte lombare al tentativo di visita. La paziente si
ritrae dalla visita ginecologica inarcando la schiena.
IV grado: spasmo dell’elevatore dell’ano, inarcamento della schiena, adduzione delle cosce e difesa dei genitali
con le mani.
XO: la paziente rifiuta la visita.
Analisi del comportamento della coppia
Da non sottovalutare il comportamento della coppia nel suo insieme: il 32% (calcolato su una popolazione di 172 donne
vaginismiche avute in cura) ha un partner che soffre di disturbi del desiderio, dell’erezione ed eiaculazione precoce.
(Jannini E. A., Lenzi A., Maggi M. “Sessuologia medica” 2007)7. Non è quindi raro che il compagno di una donna
vaginismica abbia bisogno di una terapia sessuologica.
PREVALENZA
Complessivamente è stata rilevata un’ incidenza di casi di vaginismo dell’1-2% (Jannini E.A., Lenzi A., Maggi M.
2007)7 nelle donne in età post puberale.
Delle donne che si presentano in cliniche o comunque che chiedono aiuto ad una figura specializzata, una percentuale
che oscilla tra il 12% e il 17% è vaginismica (Spector I. e Carey M. 1990)10.
Studi più recenti stimano che una percentuale compresa tra il 5% e il 47% delle donne che lamentano disturbi sessuali o
richiedono una terapia, soffre di vaginismo. (Reissing ED. et al. 2003)17
In letteratura si trovano studi condotti in Canada ed in Irlanda dove le percentuali sono più elevate (Lamont 1978,
Barnes, Bowman & Cullen 1984)11
È molto difficile raccogliere dati esatti su una disfunzione sessuale come quella del vaginismo per vari motivi. Le
descrizioni dei sintomi riportate dalle donne sono molto spesso confuse, il disturbo spesso non viene distinto dalla
dispareunia, e, ancora oggi, è difficile superare il problema del silenzio.
Nonostante la società in cui viviamo sia sempre meno restrittiva di trent’anni fa, molte donne rinunciano a cercare aiuto
per paura di essere derise, in qualche modo giudicate e tengono questo grande e doloroso segreto ben nascosto.
Tenendo conto di tutte queste varianti la percentuale, che già di per se è molto rilevante, potrebbe aumentare di molto.
EZIOLOGIA DEL VAGINISMO
“..Perché non riesco a far l’amore come fanno tutte le donne attorno a me?...”
Perché una donna soffre di vaginismo?
Le risposte sono molteplici. L’eziologia del vaginismo è stata oggetto di studi e si è arrivati alla conclusione che alla
base dell’insorgenza di questo disturbo sessuale c’è il cosiddetto “circuito del dolore”.
Ma qual è la causa scatenante di questo tipo di risposta?
Probabilmente una combinazione di fattori fisici e non fisici. Le cause si possono raggruppare in biologiche,
psicosessuali e relazionali.
Tra i fattori essenzialmente fisici si trovano:
- imene particolarmente fibroso e rigido,
- imene setto, cribroso,
- sindromi rare quali l’agenesia vaginale mulleriana che si ritrova tipicamente nella sindrome di Rokitansky,
- infibulazione o gravi traumi vaginali.
Anche le infezioni ripetute da candida, che provocano infiammazione e dolore vaginale, possono essere l’origine della
contrazione difensiva dei muscoli del pavimento pelvico. (Plaut M, Graziottin A, Heaton J. “Sexual Dysfunction”,
2004)6 (Graziottin A. “Etiology and diagnosis of coital pain”, 2003)12
Allo stesso modo una vescica iperattiva, in donne timorose di perdere urina, porta ad una situazione di contrattura
costante dei muscoli del diaframma pelvico (Chiozza e Graziottin, 2004)13.
L’endometriosi, che può essere fonte di dolore durante il rapporto, può provocare una risposta difensiva che si traduce
nella contrattura dei muscoli perineali. (Graziottin A.”Il dolore segreto”, 2005)14
Ci sono poi cause essenzialmente psicosessuali riferite alla sfera personale della donna. (Plaut M, Graziottin A, Heaton
J. “Sexual Dysfunction”, 2004)6 (Pukall C, Lahaie M, Binik Y.”Sexual pain disorders: etiologic factors”, 2006)15
(Harrison CM. ”Le vaginisme”, 1996)16 (Reissing ED. et al. “Etiological correlates of vaginismus: sexual and Physical
abuse, sexual knowledge, sexual self-schema ,and relationship adjustment”,2003)17.
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Di questo grande insieme fanno parte:
- inibizioni educative e tabù che hanno classificato il sesso come qualcosa di immorale, volgare e vergognoso,
- il concetto popolare, assolutamente errato, della lacerazione del imene, descritta con parole che rimandano a
qualcosa di violento e doloroso.
- passato di violenze sessuali e di stupri,
- paura di una gravidanza indesiderata,
- paura di una gravidanza e del parto, causata da racconti traumatici di familiari e genitori,
- contesto sociale nel quale la verginità è da mantenere intatta fino al matrimonio,
- immagine corporea problematica e un profondo conflitto nella propria identità sessuale,
- immaturità psicosessuale e ignoranza in tema di sesso e sessualità.
Non sono da dimenticare le cause relazionali tra cui i fattori di coppia.
È emerso da recenti studi (Graziottin A., Leiblum S.R., Rosen R.C., 2004) 18 che molto spesso nella coppia la donna
vaginismica ha paura di essere penetrata ma allo stesso tempo l’uomo soffre di disturbi della sfera sessuale quali
eiaculazione precoce o difficoltà a mantenere l’erezione.
La paura di far male alla propria compagna è un altro pensiero che frena il desiderio sessuale dell’uomo.
Sicuramente un carattere ansioso (“The Role of Anxiety in Vaginismum. A case control study” Newcastle University,
2009)20, emotivo ed insicuro non fanno altro che aumentare la paura della penetrazione e della “componente aggressiva”
che caratterizza implicitamente il rapporto sessuale.
TRATTAMENTO TERAPEUTICO
Molti sono i fenomeni che possono portare al comparire del vaginismo e molte sono le terapie proposte alla cura della
disfunzione sessuale. Il compito dello specialista è individuare quella corretta e personalizzata per la paziente.
In primo luogo è necessario capire se il disturbo ha una causa fisiologica, anatomica. Per questo la paziente dovrebbe
sottoporsi ad una visita specialistica che permetterebbe di valutare, per esempio, la presenza di un infezione
vulvovaginale che può provocare dolore durante il rapporto oppure imene ipertrofico.
Una volta escluse cause anatomiche la diagnosi sarà vaginismo.
Il trattamento del vaginismo è ancor oggi dedicato ad eliminare la contrazione involontaria dei muscoli del pavimento
pelvico.
Secondo Kaplan (1974) il trattamento doveva prevedere una progressiva dilatazione vaginale volta a desensibilizzare la
donna verso la penetrazione in modo da farle sviluppare un controllo sui muscoli che involontariamente si contraevano.
I muscoli del pavimento pelvico, infatti, rispondono sia allo stimolo involontario che a quello volontario.
Contemporaneamente alla desensibilizzazione muscolare, secondo Kaplan, doveva essere affrontato anche l’aspetto
psicologico del disturbo affrontando le fobie e i condizionamenti negativi legati al rapporto sessuale.
Attualmente il problema viene affrontato rifacendosi alla terapia che aveva proposto Kaplan con l’uso di dilatatori
vaginali.
Il primo passo è la desensibilizzazione della donna al proprio tocco della vulva e quindi dell’introito vaginale.
Si passa poi all’ inserimento delle proprie dita in vagina, per poi arrivare all’inserimento di dilatatori di Hegar con
diametro sempre più grande.
Questa terapia non ha lo scopo di portare ad una dilatazione anatomica della vagina, perché come sappiamo la vagina di
per sé ha la capacità di distendersi e di aumentare il suo diametro fino al 50% in più.
La procedura serve invece, a ridurre il riflesso involontario e auto difensivo che si scatena al tentativo di penetrazione.
Diversamente chi affronta il disturbo attraverso un approccio più psicoanalitico ritiene necessaria un’ esplorazione
inconscia delle proprie fobie e limitazioni mentali.
Altri associano questo esplorazione inconscia ad un approccio cognitivo - comportamentale rifacendosi agli studi di
Masters e Johnson.
I due studiosi furono i primi a mettere l’accento sulla coppia. Sicuramente andava indagato il vissuto psicologico, le
credenze e le conoscenze riguardo a sesso e sessualità della donna, ma fondamentale era il coinvolgimento del partner,
introdussero così la terapia sessuale duale.
Uno degli obiettivi fondamentali della terapia sessuale duale è il miglioramento della comunicazione tra i componenti
della coppia. La coppia deve essere rieducata alla conoscenza del proprio corpo e di quello dell’altro, rieducata ad una
sessualità piacevole e soddisfacente.
Molte volte grazie a questa terapia si scopre che accanto al disturbo femminile del vaginismo c’è una disfunzione
maschile come l’eiaculazione precoce o problemi di erezione. (Graziottin A, Leiblum S.R, Rosen R.C, 2004)18.
Drenth propone una terapia esistenziale - esperienziale basata sull’esplorazione profonda dei pensieri della donna ma
soprattutto sul significato del suo sintomo per riuscire a decodificare quello che il corpo vuole dire alla paziente.
L’obiettivo quindi si discosta dal solo contenimento vaginale, prima dei dilatatori e poi del pene. Il trattamento
purtroppo però ignora l’insoddisfazione maschile e quindi mette da parte la coppia per dedicarsi solo alla donna.
Oggigiorno una terapia utilizzata è l’ipnoterapia (Fuuchs K., Hoch Z., Paldi H.)19. Basato sull’ipnosi, questo metodo è
molto utile per eliminare l’ansia e i pensieri fobici legati al rapporto sessuale. La paziente attraverso l’ipnosi riesce a
controllare il suo corpo riacquistando stima in se stessa.
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Virginia Sadock (1983) introduce anche la terapia comportamentale. Secondo la studiosa il vaginismo è causato da un
comportamento non adattativo. Le procedure sono quelle utilizzate anche nella terapia sessuale duale quindi attraverso
esercizi di conoscenza del proprio corpo e di quello del proprio compagno. Lo scopo è sempre quello di ridurre l’ansia
e la fobia da penetrazione.
La stessa Sadock introduce anche la terapia di gruppo. Terapia basata sulla formazione di gruppi di discussione dove,
senza paura di essere giudicati o derisi, si affrontano gli aspetti anche più profondi della sessualità. Si cerca di risolvere
i dubbi e di rimediare all’ignoranza sessuale che molte volte è all’origine del problema.
Il gruppo è sempre stato un ottimo metodo di confronto e di scambio di idee e sensazioni. La paziente ha la possibilità
di sentirsi a suo agio tra persone che soffrono del suo stesso disturbo e che percorrono il suo stesso cammino verso la
guarigione.
Gli esercizi di Kegel possono essere integrati in ciascuna terapia. Questa ginnastica del pavimento pelvico può essere
volta alla graduale presa di coscienza dell’esistenza dei muscoli vaginali, muscoli che molte donne non si rendono
neppure conto di avere.
Altre forme di riabilitazione più semplici da integrare sono lo stretching, la fisioterapia e il biofeedback di rilassamento
(Barnes J., Bowman EP, Cullen J. “Biofeedback as an adjunct to psycotherapy in the treatment of vaginismus” 1984)11
Quest’ultima è una tecnica specifica che aiuta la donna ad imparare a modulare la contrazione dei muscoli del
pavimento pelvico attraverso la visualizzazione del livello di tensione su uno schermo del computer collegato ad una
sonda posta in vagina.
Come ultima terapia può essere utile, contemporaneamente ad una terapia cognitivo-comportamentale, l’assunzione di
alcuni farmaci come ansiolitici e antidepressivi nei casi in cui la fobia del rapporto sia profondamente radicata tanto da
portare a veri e propri attacchi di panico e alla perdita della stima in se stesse.
Tra le terapie su base farmacologica in questi ultimi anni è stata introdotto l’uso della tossina botulinica. (Bertolasi L,
Bottanelli M, Graziottin, 2005)21
Il trattamento è ancora in fase di studio. Lo scopo della tossina sarebbe quello eliminare l’ipertono dei muscoli del
pavimento pelvico attraverso la somministrazione di basse dosi di botulino. Il trattamento consisterebbe in più
somministrazioni a seconda del diverso grado di ipertono muscolare a livello della zona genitale compresa tra la
forchetta e l’ano.
Una vota passato l’effetto del botulino però il muscolo riacquista il suo ipertono. Qual è il vantaggio di questa terapia: il
rilassamento causato dal farmaco avrebbe l’importante scopo di interrompere quel ciclo del dolore di cui si è parlato nel
paragrafo “eziologia del vaginismo”.
In parallelo a questa terapia però è fondamentale seguire una terapia sessuale adeguata alla paziente.
LA TRIPLICE RICERCA
PRIMA RICERCA
SCOPO
Analisi conoscitiva riguardo le disfunzioni sessuali.
CAMPIONE
Il campione è formato da 500 volontari di cui 295 donne (pari al 63,71%) e 168 uomini (pari al 36,28%) con età
compresa tra i 15 e i 55 anni.
MATERIALI E METODI
I dati per la ricerca sono stati raccolti mediante tre differenti metodi.
Questionari che per la maggior parte sono stati consegnati direttamente alle persone alle quali è stato rivolto l’invito alla
compilazione. La maggioranza di esse l’ha compilato e restituito immediatamente, mentre in altri casi è stato restituito
dopo qualche giorno.
Questionari che sono stati consegnati a persone di fiducia che si sono occupate di fornirlo ad altri.
Questionari che sono stati somministrati agli interessati attraverso internet.
Tutti i dati raccolti sono stati registrati e successivamente elaborati con l’ausilio del programma di Office Excel.
RISULTATI
Per quanto riguarda la popolazione maschile solo il 3,36% conosce i disturbi legati alla sfera femminile, mentre il
31,55% conosce i disturbi maschili.
Della popolazione femminile presa in considerazione il 40,34% conosce i disturbi sessuali che affliggono gli uomini.
È stato chiesto al campione se avesse mai sofferto di disturbi della sfera sessuale e di come avesse risolto il problema.
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Tabella 1. Quanti soggetti del campione hanno sofferto di disturbi sessuali
Ha sofferto di disturbi sessuali
32,61%
Non ha mai sofferto di disturbi sessuali
67,39%
Tabella 2. come è stato risolto il problema dagli uomini che hanno sofferto di disturbi sessuali
Uomini
36,28%
Ha mai sofferto di disturbi della sfera sessuale ?
Come ha risolto il problema?
SI
17,86%
Da solo
56,67%
Ho chiesto aiuto
43,33%
NO
82,17%
5
Tabella 3. come è stato risolto il problema dalle donne che hanno sofferto di disturbi sessuali
Donne
63,71%
Ha mai sofferto di disturbi della sfera sessuale?
Come ha risolto il problema?
SI
41,02%
Da solo
33,06%
Ho chiesto aiuto
63,94%
NO
58,98%
6
Inoltre, l’indagine ha chiesto al campione che ha sofferto di disturbi della sfera sessuale a chi si è rivolto.
Tabella 4. A chi si rivolge chi ha sofferto di disturbi sessuali
Familiari
Gruppo dei pari
Medico di base
Medico specialista
Internet
Riviste
Farmacista
Da soli
4,04%
1,01%
19,19%
67,68%
5,05%
2,02%
1,01%
37,65%
Infine, come ultimo dato è stato analizzato il tempo trascorso prima della richiesta di aiuto.
Tabella 5. Tempo intercorso prima che il soggetto che ha sofferto di disturbi sessuali chiedesse aiuto
Meno di 6 mesi
63,83%
Tra 6 e 12 mesi
17,02%
Più di 12 mesi
8,51%
Tempo non specificato
10,64%
SECONDA RICERCA
SCOPO
Esplorare il vissuto delle donne vaginismiche.
CAMPIONE
Il campione è composto da 25 donne che hanno sofferto di vaginismo e si sono rivolte ad uno psicoterapeuta negli
ultimi 5 anni.
MATERIALI E METODI
È stato utilizzato un questionario in forma cartacea composto da 7 domande aperte.
Si è voluto somministrare un questionario aperto proprio per permettere alle donne di esprimere al meglio il loro vissuto
senza alcun vincolo.
L’indagine è stata strutturata con le caratteristiche di una intervista guidata effettuata da uno psicoterapeuta che ha avuto
in cura negli ultimi 5 anni donne che hanno sofferto di vaginismo. Per garantirne l’anonimato e per espresso desiderio
dalle donne, l’unica persona con la quale hanno avuto contatti è stato lo specialista che in seguito ha riportato le risposte
fornite in elaborati cartacei. La figura dello psicoterapeuta è stata un indispensabile tramite per raggiungere donne che
con molta difficoltà esternano ad altri, che non sia colui che le ha in cura, il loro vissuto.
RISULTATI
Le donne intervistate hanno un’età compresa tra i 21 e i 45 anni.
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Come prima domanda dell’intervista si è deciso di chiedere loro quando si siano rese conto di soffrire di un disturbo
sessuale che rendeva molto dolorosa e praticamente impossibile la penetrazione.
Per diciotto donne (72% delle donne intervistate) la consapevolezza di soffrire di vaginismo è emersa con i primi
rapporti sessuali: improvvisamente si sono rese conto di non riuscire ad accettare la penetrazione e che, anche solo il
tentativo di rapporto, provocava loro un forte dolore.
Per una donna la scoperta è avvenuta intorno ai 14-15 anni nel tentativo di praticare un’igiene intima più profonda che
le ha provocato prima un forte fastidio e successivamente dolore.
Le restanti donne, sei (24% delle donne intervistate), hanno preso coscienza del problema solo dopo il matrimonio.
Cinque di loro hanno incontrato i primi problemi durante il viaggio di nozze quando, dopo un fidanzamento senza
rapporti sessuali, hanno trovato impossibile avere un’attività sessuale.
Tabella 6. Quando la donna vaginismica si è accorta di esserlo
Durante i primi rapporti
Praticando igiene intima profonda
Dopo il matrimonio
18
1
6
Delle sei donne che hanno scoperto il loro problema dopo il matrimonio due hanno convissuto col vaginismo cinque,
dieci anni, mentre il caso emblematico è rappresentato da una donna che ha confessato di aver affrontato il problema
dopo ben 19 anni di matrimonio.
La seconda domanda (Appendice B 2) vuole indagare sulla reazione intervenuta nel momento in cui le donne hanno
raggiunto la consapevolezza che qualcosa non permetteva loro di avere una vita sessuale normale. Quali emozioni, quali
paure sono emerse da quel momento?
Le risposte riportate sono significative:“…mi è cascato il mondo addosso…”,“…cercavo di far finta di niente, ignoravo
il problema…”,“…ero sorpresa e credevo che il tempo avrebbe risolto tutto…”,“…inventavo delle scuse: dicevo di non
essere convinta di volere un rapporto e di conseguenza di non riuscirci; ma era tutta una bugia…”,”…mi sentivo
diversa e stupida: perché tutte riuscivano a fare l’amore e io no?…”
A questo punto si è chiesto loro di descrivere brevemente il comportamento adottato nell’immediato. (Appendice B 3)
Molte donne, dopo la frustrazione dei primi rapporti deludenti, hanno rinunciato ad avere un’intimità col proprio
partner.
Il vissuto iniziale che accomuna un po’ tutte è proprio la sorpresa, l’incredulità. L’ideale di un rapporto sessuale
piacevole e sereno si scontra con una realtà molto diversa: il rapporto per loro è doloroso, praticamente impossibile e
inizialmente nessuna di loro sa darsi una risposta, una ragione a di tutto ciò.
Purtroppo pochissime donne hanno una persona a cui confidare una difficoltà così intima e dolorosa. Delle donne
intervistate solo due hanno avuto la forza di confidarsi con una altra persona. Quasi tutte hanno tenuto celato dolore e
senso di frustrazione all’interno della coppia.
Tutte le donne intervistate si ritrovano sorprese e confuse, il vuoto che si “materializza”davanti a loro blocca ogni
iniziativa e la maggior parte di esse si limita ad aspettare sperando che il tempo risolva tutto.
Le risposte fornite dalle donne fanno emergere chiaramente il doloroso vissuto di questo periodo:
La signora E.M.: “…ho vissuto per molto tempo nell’angoscia e con la convinzione di essere affetta da patologie
anatomiche. Di essere una donna inadeguata…”,“…incapace di vivere il mio corpo e di farlo vivere agli altri…”
La donna vaginismica si sente incapace, malata, menomata. Il livello di autostima quasi si azzera: non riuscendo a
controllare il proprio corpo e non riuscendo a vivere le relazioni intime come vorrebbe, si sente monca.
Il pensiero ricorrente è il senso di solitudine. Molte volte interviene anche un pesante senso di colpa verso il partner.
Non riescono ad accettare il loro corpo provando disgusto e disprezzo per i propri genitali.
Diventano ansiose, spaventate: “…era come che ci fosse un muro lì…” .”…era come dovermi tuffare da un trampolino,
ma non riuscivo a farlo perché era veramente troppo alto…”.
Solo l’idea di avere un rapporto diventa un incubo. Spesso è un dolore che purtroppo le donne affrontano da sole, in
pochi casi il loro compagno è disposto ad accompagnarle.
Con l’inizio dell’attività sessuale per 18 donne è giunto il momento della consapevolezza del problema.
E’ invece il desiderio di maternità, desiderio che una donna vaginismica molte volte allontana da se in quanto
considerato irraggiungibile, che ha spinto L.F. a cercare una soluzione.
L.F. racconta: ”…quando mi chiedevano perché non avessimo un figlio mi sentivo morire dentro…”.
Capita troppo spesso che il vissuto negativo di una donna vaginismica sia amplificato dal fatto che il problema venga
riferito solo ed unicamente alla donna.
Le soluzioni proposte si limitano spesso a tecniche di rilassamento sottovalutando il vero problema: la paura. Che non
può essere ignorata dalla donna vaginismica.
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Sempre L.F. dice: ”…lui ha cercato di penetrarmi e mi sono sentita come se mi trovassi di fronte ad uno sconosciuto,
ho sentito un dolore fortissimo, una paura folle ma lui non era affatto uno sconosciuto, era mio marito…”.
E’ la paura del dolore, la paura della penetrazione, la paura di accogliere dentro di se qualcosa che potrebbe provocare
lesioni.
È stato chiesti a queste donne se conoscessero la causa del loro vaginismo (Appendice B 6).
Le 25 donne intervistate dopo una percorso di terapia psico-comportamentale più o meno lungo, sono riuscite ad
individuare la ragione che potrebbe aver originato il vaginismo nella loro storia.
Il 20% delle donne intervistate (corrispondente a 5 donne), ha attribuito l’inizio di tutto ad informazioni sbagliate.
Vissuti negativi riguardanti il sesso, la gravidanza e anche il parto, tramandati da madre a figlia o da persone con un
ruolo importante nell’infanzia e nell’adolescenza di colei che poi sarebbe diventata una donna. Il 28% delle donne
intervistate invece (corrispondente a sette donne) ha attribuito la causa di tutto ad un’educazione molto rigida,
addirittura fobica riguardante il sesso e la sessualità.
La signora L.M. dice: “…mia madre mi ha lucchettato il cervello…”. In questo caso l’educazione familiare ha avuto un
ruolo determinante nell’insorgere della patologia.
A volte il genitore tramite un’educazione rigida tende ad assumere un atteggiamento estremamente protettivo, verso la
propria figlia, nei confronti del mondo esterno considerato pericoloso perché con valori diversi dai propri. Quello che
manca in questi casi è la possibilità di vivere il proprio percorso con le modalità, i tempi e la caratteristiche proprie di
ciascuna donna.
Anche l’impreparazione ha giocato un ruolo importante nella genesi del problema: due donne intervistate dicono di aver
avuto i loro primi rapporti pensando di essere pronte e consapevoli. In realtà, si sono rese conto di essere estremamente
impreparate. Non sapendo come affrontare la situazione il panico ha avuto il sopravvento, creando un blocco
psicologico difficile poi da gestire.
F.D. e L.S. si sono rese conto che il vaginismo era insorto proprio perché il loro cuore voleva avere rapporti ma la loro
mente, la loro coscienza, non permettevano loro di fare qualcosa che era stato definito come estremamente sbagliato.
Non riuscivano a controllare il loro corpo come avrebbero voluto, desideravano avere un rapporto con la persona amata
ma la convinzione di far qualcosa di sbagliato creava un freno al loro comportamento.
Un’altra donna intervistata ha individuato l’origine del problema proprio nel proprio partner. Era proprio il compagno al
suo fianco che inconsciamente le provocava questa chiusura alla sessualità e al sesso. Con un nuovo compagno la
patologia è scomparsa ed ha potuto avere una normale vita sessuale.
“…le prime difficoltà incontrate sono diventate per me fobie…” dice C.G. La prima volta doveva essere tutto perfetto e
naturale ma non lo è stato. Non sempre è così anche in condizioni di assenza di patologie, ma C.G. ha trasformato
piccoli ostacoli in vere e proprie paure.
La presenza del dolore trasforma l’atto sessuale da fonte di piacere in fonte di dolore.
La sopravvalutazione del dolore e della paura del dolore è stata la causa che ha scatenato il vaginismo in sette delle
donne intervistate. La sensazione dolorosa, inaspettata che queste donne hanno provato le ha sconcertate. La paura di
poter ritrovare lo stesso dolore, o addirittura uno più grande durante ogni rapporto, ha causato l’insorgenza del
vaginismo.
Una donna intervistata (R.M.) ha riconosciuto come origine del suo problema la prima visita ginecologica subita. Dice:
”…mi sono ritrovata due dita in vagina senza che questa mi avesse avvertita, ho sentito un fastidio fortissimo che poi è
diventato dolore…”.
D.D. ha voluto descrivere i pensieri che ogni volta la portavano a bloccarsi: “…ogni volta che eravamo li per fare
l’amore la mia testa iniziava a vagare tra mille pensieri e l’immagine che continuava a balenarmi nella mente era solo
quella della penetrazione che di li a poco sarebbe avvenuta…riuscivo a pensare solo a quello e il terrore che quella
cosa che entrava dentro di me mi potesse provocare dolore mi bloccava letteralmente…”
Molte rimandano ad esperienze vissute da bambine: cadute con conseguenze traumatiche gravi, ma soprattutto
esperienze negative subite durante l’infanzia o l’adolescenza.
Una donna ritrova la causa del suo vaginismo proprio nel periodo della sua infanzia. Una famiglia nella quale il senso
della maternità è molto scarso la conduce ad un rifiuto della maternità stessa e, in quanto atto intimamente legato ad
essa, anche del rapporto sessuale.
A.D. dice: “…credevo di averlo rimosso ed invece non era vero…”. Parla del ricordo di una tentata violenza da parte di
un familiare. Il dolore legato a quell’episodio si è palesato anni dopo con un vaginismo quando la donna credeva di
averlo accantonato per sempre.
Si è posta particolare attenzione, con l’ultima domanda del questionario (Appendice B 7) al comportamento del
personale sanitario incontrato nel loro percorso.
Solamente 6 donne su 25 sono rimaste molto soddisfatte del personale che le ha aiutate. Esse hanno incontrato subito
persone qualificate che le hanno indirizzate verso specialisti adeguati.
Purtroppo 6 su 25 non sono molte. Infatti tutte le altre donne hanno affrontato un percorso difficile e lungo sia per le
definizione di una diagnosi sia per la corretta risoluzione del vaginismo, ma soprattutto perché il personale incontrato si
è rivelato poco o per nulla competente in materia.
Le frasi raccolte sono molto simili: “…nessuno capiva cosa avessi…”, “…ho girato a vuoto per un bel po’ prima di
arrivare dalla persona giusta…”, “…ho aspettato anni prima di sentire la parola vaginismo, una parola per il mio
problema…”.”…sapevano solo utilizzare la terapia della pacca sulla spalla…”.
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Questo è un problema molto diffuso, che ha allungato il periodo di difficoltà delle donne intervistate. I medici che
hanno incontrato, spesso hanno banalizzato il problema facendo perdere tempo prezioso a donne e a coppie che avevano
bisogno prima di tutto di un aiuto. A causa di ciò infatti, R.M. racconta, che col passare del tempo il rapporto di coppia
si è talmente deteriorato fino ad arrivare al divorzio. Risolto il problema R.M. ha saputo ricostruirsi una nuova vita
anche se dopo molti anni.
TERZA RICERCA
SCOPO
Analisi delle conoscenze e del comportamento del personale ostetrico nel trattamento della donna vaginismica
CAMPIONE
Il campione della ricerca è composto da 55 ostetriche che esercitano la professione presso la Clinica Mangiagalli
della Fondazione Cà Granda Policlinico Ospedale Maggiore di Milano.
MATERIALI E METODI
È stato utilizzato un questionario in forma cartacea composto da 6 domande a risposta multipla e 6 domande aperte.
Il questionario è suddiviso in tre parti. La prima riguarda la conoscenza del vaginismo e la relativa terapia, la seconda la
conoscenza di disturbi sessuali in generale e la terza vuole analizzare il vissuto ed il comportamento dell’ostetrica
davanti ad una donna vaginismica.
È stata garantita la privacy poiché il questionario non riporta dati identificativi.
Il questionario è stato consegnato personalmente alle ostetriche che si sono rese disponibili alla compilazione. La
maggior parte dei questionari è stata compilata ed immediatamente restituita mentre alcune ostetriche, per questioni
organizzative di lavoro, hanno riconsegnato il questionario il giorno seguente.
RISULTATI
Nel periodo compreso tra il 28 settembre e il 25 ottobre 2009 sono stati raccolti 55 questionari. 4 questionari, 2
settimane dopo la consegna, non sono stati restituiti.
Le ostetriche coinvolte hanno un’età compresa tra i 25 e i 64 anni. Tutte le ostetriche intervistate hanno sentito parlare
di vaginismo e solo due, pur avendone sentito parlare, non sono state in grado di definirlo. Di seguito la definizione di
vaginismo riportata da Plaut M., Graziottin A. e Heaton J. (2004)6: “Spasmo involontario ricorrente o persistente della
muscolatura del terzo vaginale inferiore che interferisce con la penetrazione vaginale, associato o meno a un variabile
grado di fobia della penetrazione.” 49 ostetriche hanno definito il disturbo in modo diverso ma nessuna delle ostetriche
intervistate ha saputo dare una definizione corretta e completa del vaginismo anche se si sono avvicinate di molto a
quella esatta. La ricerca ha anche cercato di individuare quale, secondo le ostetriche, potesse essere la causa
dell’insorgenza del vaginismo. I dati raccolti dimostrano che la maggior parte delle professioniste intervistate individua
quale concausa l’elemento psicologico. Bisogna però porre attenzione. Dire che il vaginismo è solo un “problema di
testa” è sbagliato. Si cade nell’errore di molti medici che visitando la donna le rispondono: “Qui non c’è nulla signora, è
tutto nella sua testa!”. Non c’è errore più grande che negare alla donna il suo vissuto. Lei prova dolore fisico che esiste
oggettivamente e non è solo nella sua testa.
Per quanto riguarda il trattamento terapeutico utile per risolvere il disturbo sessuale il personale ostetrico ha indicato
diverse opzioni. L’unico caso in cui è stata indicato che non si cura e scompare da solo, è stato giustificato dall’ostetrica
in modo preciso. La donna assistita, in travaglio di parto, non aveva seguito alcuna terapia per superare il vaginismo, in
quanto affetta da un vaginismo di primo-secondo grado che permetteva quindi la penetrazione. L’ostetrica che ha
successivamente incontrato la donna in puerperio ha constatato, assieme alla paziente, che il vaginismo era scomparso
dopo il parto. Nel caso in questione il vaginismo non è “scomparso da solo”, senza alcuna cura, al contrario a fungere
da terapia è stato proprio il parto.
In tutti gli altri casi le risposte fornite sono state corrette anche se a volte incomplete.
C’è una parte del personale ostetrico che non riesce a comprendere fino in fondo il disagio della donna e davanti al suo
comportamento, considerato esagerato ed infantile, provano irritazione.
Paura ed ansia intervengono quando si hanno dubbi inerenti la gestione della situazione e di conseguenza sopraggiunge
il timore di compiere errori.
Da aggiungere sono anche perplessità, sensazione di impotenza e il senso di tenerezza nei confronti della donna.
Le difficoltà maggiori sono state per lo più legate all’impossibilità di eseguire visite vaginali alla donna in travaglio di
parto o durante un Pap test.
Creare un ambiente di fiducia e di buona comunicazione per alcune è stato molto faticoso poiché si sono trovate di
fronte ad una donna terrorizzata dall’ambiente nonché dall’esplorazione vaginale e con poca fiducia nel personale
sanitario. In questi casi le ostetriche intervistate affermano che il percorso che le ha portate ad acquisire la complicità
della donna è stato lungo ma che, una volta superato l’ostacolo, l’assistenza è stata fantastica.
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Una delle ostetriche intervistate confessa che la difficoltà nel creare un rapporto di fiducia con la donna era dovuta
all’incomprensione. L’ostetrica in particolare ammette di non esser riuscita a capire la donna, a comprendere il suo
dolore e il suo rifiuto a qualsiasi contatto con gli organi genitali.
Un’altra invece descrive molto bene il suo sentimento di rabbia. Rabbia nei confronti di quel disturbo che teneva la
donna come incatenata. Avrebbe voluto aiutarla ma non sapeva come e cosa fare, di conseguenza il sentimento di
impotenza ha avuto predominio.
Altri esempi di situazioni difficoltose sono state eseguire, per esempio, una lavanda dei genitali esterni o posizionare un
catetere. Situazioni di normalità in un reparto di ginecologia o in sala parto ma che si tramutano in momenti difficili sia
per la donna che per l’operatore.
Come sono state superate queste difficoltà?
Pazienza, rassicurazione, sostegno, comprensione sono le parole che più ricorrono nelle frasi riportate.
Per quanto riguarda il personale di sala parto la conduzione dell’assistenza è stata per tutte molto simile. Quando hanno
compreso di essere davanti ad una donna vaginismica hanno deciso di limitare le visite vaginali in travaglio al periodo
espulsivo. Un accorgimento adottato è stato quello di evitare che altri componenti del personale sanitario entrassero nel
box parto troppo spesso. Si è insomma cercato di mettere a proprio agio la paziente e creare quell’empatia
fondamentale per l’assistenza.
Una delle ostetriche intervistate ha suggerito alla donna un travaglio di parto meno doloroso attraverso l’esecuzione
dell’epidurale.
Due delle ostetriche intervistate hanno voluto descrivere dettagliatamente un momento della loro assistenza.
In sala parto durante un travaglio di parto: “per fare un’esplorazione vaginale prima di tutto appoggiavo le dita a livello
dei genitali esterni in modo da far accettare alla donna l’idea e il contatto di una mano estranea. Solo dopo il consenso a
procedere della donna, passavo al contatto con l’introito vaginale senza penetrazione. Dopo qualche minuto passavo poi
ad una lieve penetrazione vaginale prima di una falange e poi piano piano del dito.“
Questo metodo di approccio all’esplorazione vaginale ha permesso all’ostetrica di visitare la partoriente e ha rafforzato
la fiducia della donna nei confronti dell’operatrice che così facendo si è dimostrata paziente, disposta a rispettare i
sentimenti ed il vissuto della donna.
Un’altra in puerperio ha voluto descrivere la lavanda dei genitali esterni ad una donna vaginismica: “Questa donna non
riusciva ad accettare il contatto di una mano estranea sui suoi genitali. La lavanda poteva essere fatta solo se le si
permetteva di afferrare il mio polso come se la donna avesse bisogno di assumere il controllo dei miei gesti.”
Contenimento della paure e ascolto sono altre due frasi riportate spesso nei questionari.
Un’ostetrica ha voluto sottolineare che è importante non colpevolizzare la donna. Riporta, nel suo questionario, il
comportamento di alcuni medici che, interessati per lo più al tempo, e non alla paziente, si lamentano del
comportamento della donna sminuendone il problema.
In alcuni casi però, le ostetriche intervistate hanno adottato un atteggiamento che non ha messo a proprio agio la donna
e di conseguenza non ha agevolato il loro lavoro. Una di loro, parlando di una lavanda dei genitali esterni, dichiara che
è importante far capire alla donna che gli interventi che si fanno “si devono fare”. E’ la donna quindi, che deve forzare
se stessa e sopportare perché “è per il suo bene”.
Un altro comportamento poco corretto è stato tenuto durante l’esecuzione di un tampone vaginale. L’ostetrica
intervistata è convinta che con una paziente vaginismica non sia necessario perder tempo per far abituare la donna al
contatto: “prima si fa meglio è”. Senza neppure avvisare la paziente esegue il tampone, in modo, secondo lei da non
permettere alla donna di pensare alla penetrazione e quindi di contrarre i muscoli perineali. Questo comportamento non
tiene conto, però, che lo spasmo muscolare avviene in modo del tutto involontario e causa più danno che beneficio.
CONCLUSIONI
Il vaginismo può condizionare la vita. Rende una donna triste, incapace di gioire e di vivere i momenti più belli della
propria sessualità e non solo di questa.
Il vaginismo non può essere considerato solo una disfunzione sessuale ma un vero e proprio “stile di vita” che la donna
si ritrova costretta a seguire anche se il suo desiderio è estremamente diverso.
Il dolore che prova, non solo quello fisico, la costringono a rinchiudersi in se stessa. Questo disturbo influenza tutta la
persona, il rapporto col proprio corpo, la visione di se stessa e di conseguenza condiziona il proprio essere assieme agli
altri e quindi il rapporto col partner e quello con familiari e amici.
Incatena la donna alla paura della penetrazione, al terrore di mostrare se stessa. La lega al sentimento di inadeguatezza e
delusione che insorge dopo l’ennesimo tentativo di rapporto andato male.
La lega a quel finto sorriso stampato sulle labbra quando gli amici parlano di sesso mentre la sola cosa che lei sa
veramente è che non riesce a viverlo.
Ma da tutto questo si può guarire, anzi non solo si può, ma si deve guarire!
Il primo ostacolo da superare è l’ignoranza che circonda i disturbi della sfera sessuale.
Infatti il 66,09% della popolazione intervistata (tabella 9) non sa cosa sia il vaginismo e questo trova conferma dal fatto
che tutte le 25 donne che hanno sofferto di vaginismo non hanno saputo riconoscere il problema.
Assieme a loro anche il personale sanitario non è stato in grado di identificare immediatamente il disturbo. Ciò ha
notevolmente allungato i tempi di guarigione.
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Ma qual è il ruolo che l’ostetrica può rivestire? Quali sono i luoghi nei quali potrà incontrare una donna vaginismica?
Certo, è possibile incontrarla in ambulatorio per un Pap test ma, quale donna terrorizzata dalla penetrazione, si presenta
volontariamente a fare un esame come un Pap test?
Il luogo più frequente potrebbe essere la sala parto. In questo ambito le inibizioni devono cadere per lasciar spazio ad
una nuova nascita.
È in questo frangente che la donna vaginismica si scontra con il suo blocco psicologico. Scontro che potrebbe essere
particolarmente traumatico nel caso di un vaginismo di primo o secondo grado che, avendo reso possibile seppur
doloroso, il rapporto sessuale, ha celato il problema fino al momento del parto o poco prima.
La donna vaginismica trova difficile abbandonarsi con serenità alla miriade di emozioni, di sensazioni fisiche che la
donna normalmente vive durante il momento del parto.
La donna vaginismica, non riesce a “perder la testa” come non riusciva a farlo durante il rapporto sessuale.
Il corpo femminile è quanto di più adatto al parto esista in natura. Tutti i mutamenti fisiologici che intervengono per
permettere la nascita del neonato non rappresentano un problema per la donna vaginismica.
Non si parla, infatti, di una patologia anatomica, fisica ma di un blocco psicologico profondo. La donna durante il
travaglio ed il parto affronta cambiamenti enormi: il cambiamento corporeo, il passaggio dall’essere figlia al divenire
madre, la paura del dolore fino al timore di morire durante il parto.
La donna vaginismica, con il suo comportamento estremamente razionale ha l’esigenza di avere sotto controllo tutto ciò
che la riguarda e trova molto difficile accettare l’intrusione del personale sanitario.
L’ostetrica ha il delicato ma insostituibile ruolo di accompagnarla in questo percorso di presa di coscienza e di
accettazione. La soluzione al vaginismo non deve e non può essere trovata in sala parto ma senza dubbio questo è un
momento di inizio nel processo di guarigione.
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