Come funziona la fotocamera digitale Il sensore

Come funziona la fotocamera digitale
Il sensore
In questa sezione vedremo come funziona il sensore di una fotocamera digitale, l'occhio interno
della fotocamera, sia essa una digitale compatta che una reflex, il funzionamento è pressoché lo
stesso. Cercheremo dunque di capire cosa avviene quando la luce che arriva dall'obiettivo colpisce
appunto il sensore e come questo interpreta questo segnale.
Sfateremo inoltre qualche diffuso mito come quelli ad esempio legati alla risoluzione e alla
qualità d'immagine, cercando di capire se questi elementi sono collegati tra loro in maniera diretta.
Come funziona
Il sensore fotoelettrico rappresenta nelle fotocamere digitali quello che la pellicola rappresenta
per le fotocamere tradizionali, il suo funzionamento inoltre può essere paragonato a quello
dell'occhio umano e più precisamente alla quello della retina e dei fotorecettori, i coni e i
bastoncelli.
Allo stesso modo di quanto avviene per l'occhio umano il sensore riceve la luce che arriva
dall'esterno attraverso l'obiettivo e la converte le onde elettromagnetiche in impulsi elettrici
generando un segnale analogico che passa attraverso un amplificatore e successivamente viene
inviato a un convertitore analogico/digitale, che trasforma appunto il segnale in una sequenza di
bit.
Il sensore è formato da milioni di minuscoli elementi chiamati fotositi o fotodiodi (a volte
erroneamente pixel) i quali hanno il compito di interpretare la luce che li colpisce, producendo di
conseguenza delle onde la cui ampiezza è proporzionale all'intensità luminosa di origine. In poche
parole, più è intensa la luce che colpisce il sensore è più forte è il segnale che viene prodotto in
uscita. Questi fotodiodi possono essere equiparati ai bastoncelli dell'occhio umano, in quanto hanno
il compito di percepire la luminosità dell'ambiente e variano la loro sensibilità alla luce.
I fotodiodi tuttavia pur essendo sensibili alla luce, non sono sensibili al colore e, più
precisamente, alle varie frequenze luminose. Ecco che per sopperire a questo problema sulla
superficie del sensore viene applicato un filtro che ha il compito di far passare solo determinate
frequenze di luce, scomponendo i tre colori primari: il rosso, il verde e il blu, allo stesso modo di
quanto avviene nell'occhio grazie ai coni. Questo particolare filtro viene chiamato CFA (color filter
array) o filtro RGB.
Su ogni fotosito dunque arriverà soltanto la luce corrispondente a una specifica frequenza
d'onda.
Osservando l'immagine è possibile vedere come avviene la distribuzione dei colori, 50% verde,
25% rosso e 25% blu, la maggiore quantità di verde deriva dal fatto che in natura è il colore che è
presente in maggiore quantità. Ogni fotodiodo quindi è in grado di fornire informazioni relative a
un solo colore e quindi a 1/3 della reale quantità di frequenze che lo colpisce.
Viene subito da chiedersi allora come faccia la fotocamera a interpretare tutti i colori della
gamma cromatica se ne può leggere solo uno per pixel. La risposta è che la fotocamera elabora i
dati fornitigli dal sensore attraverso dei complessi algoritmi detti di demosaicizzazione, che non
fanno altro che interpolare l'immagine, ovvero assegnano un colore a ogni pixel in base alla lettura
di quelli adiacenti. Ne consegue che i 2/3 dell'immagine generata da una fotocamera sono creati
artificialmente.
Sensore CCD o Cmos?
Occorre conoscere quali sono le due principali tipologie esistenti in commercio e quali sono le
differenze tra i due diversi sistemi.
Nel CCD, acronimo di Charge Coupled Device (dispositivo a carica accoppiata),
l'amplificatore e il convertitore A/D si trovano all'esterno del sensore. I fotositi che compongono la
superficie del sensore sono accoppiati e ciascuno di essi è in grado di traferire la propria carica al
fotosito adiacente. Questo tipo di sensore generalmente garantisce una resa qualitativa
dell'immagine molto elevata e una migliore gestione del rumore. Tuttavia questo tipo di tecnologia
richiede un consumo di energia maggiore rispetto all'altro tipo di sensore.
Spostamento delle cariche tra i
fotositi
Il CMOS, Complementary Metal Oxide Semiconductor, anche in questo tipo di sensore le
cariche si muovono a coppia ed è costituito da uno strato semiconduttore a contatto con uno di
ossido metallico. Questo dispositivo integra i dispositivi che si occupano di amplificare il segnale e
il convertitore A/D sulla superficie del sensore stesso, in corrispondenza dei vari pixel, ciò
comporta una maggiore velocità nei processi di elaborazione e nell'acquisizione delle immagini, con
conseguente risparmio energetico generale. Tutto questo però a discapito del livello qualitivo della
resa d'immagine.
Entrambi i sistemi sono tutt'ora presenti sulle moderne fotocamere digitali, il CMOS è tuttavia
quello più diffuso tra le fotocamere di fascia alta di piccolo formato (Aps-C, FullFrame) in quanto
garantisce una maggiore velocità di elaborazione e a costi di produzione nettamente inferiori
rispetto al precedente. Grazie ai progressi fatti nel campo delle tecnologie elettroniche tuttavia
questi due sistemi vanno sempre di più assomigliandosi per quanto riguarda le prestazioni, è
pertanto difficile dire quale dei due sia il migliore, la qualità di ogni sensore infatti varia da modello
a modello.