Marianela. A cura di Laura Silvestri

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BARATARIA
Collana diretta da Laura Dolfi
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Benito Pérez Galdós
Marianela
a cura di Laura Silvestri
Liguori Editore
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Titolo originale: Marianela.
© Editorial Castalia, 2000.
Liguori Editore
Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA
http://www.liguori.it/
© 2012 by Liguori Editore, S.r.l.
Tutti i diritti sono riservati
Prima edizione italiana Maggio 2012
Pérez Galdós, Benito :
Marianela/Benito Pérez Galdós
Barataria
Napoli : Liguori, 2012
ISBN-13 978 - 88 - 207 - 5460 - 0
1. Letteratura spagnola
II. Collana III. Serie
2. Romanzo dell’800 spagnolo
I. Titolo
Aggiornamenti:
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17 16 15 14 13 12
8 7 6 5 4 3 2 1 0
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Indice
1 Introduzione
La fortuna di Marianela 1; Gli inizi 4; Una nuova
letteratura 10; Il viaggio di scoperta 14; Il romanzo
sperimentale 20; Gli occhi velati 25; L’aura 28; Quale
bellezza? 33; Lo sguardo che uccide 36; La realtà e le
sue sorprese 39; Alle origini dell’intolleranza 40.
45 Bibliografia
49 Criteri di edizione e traduzione
Marianela
54 I. Perdido
55 I. Perduto
66 II. Guiado
67 II. Guidato
84 III. Un diálogo que servirá de exposición
85 III. Un dialogo che servirà da spiegazione
100 IV. La familia de piedra
101 IV. La famiglia di pietra
122 V. Trabajo. Paisaje. Figura
123 V. Lavoro. Paesaggio. Figure
VII
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136 VI. Tonterías
137 VI. Sciocchezze
150 VII. Más tonterías
151 VII. Ancora sciocchezze
166 VIII. Prosiguen las tonterías
167 VIII. Continuano le sciocchezze
184 IX. Los Golfines
185 IX. I Golfín
208 X. Historia de dos hijos del pueblo
209 X. Storia di due figli del popolo
218 XI. El patriarca de Aldeacorba
219 XI. Il patriarca di Aldeacorba
234 XII. El doctor Celipín
235 XII. Il dottor Celipín
244 XIII. Entre dos cestas
245 XIII. Tra due ceste
254 XIV. De cómo la Virgen María se apareció a Nela
255 XIV. Di come la Vergine Maria apparve alla
Nela
272 XV. Los tres
273 XV. I tre
284 XVI. La promesa
285 XVI. La promessa
294 XVII. Fugitiva y meditabunda
295 XVII. Fuggitiva e meditabonda
VIII
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312 XVIII. La Nela se decide a partir
313 XVIII. La Nela si decide a partire
324 XIX. Domesticación
325 XIX. Addomesticamento
350 XX. El Nuevo Mundo
351 XX. Il Nuovo Mondo
368 XXI. Los ojos matan
369 XXI. Gli occhi uccidono
402 XXII. Adiós
403 XXII. Addio
408 Commento
IX
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Introduzione
La fortuna di Marianela
Si racconta che una sera del 1900, mentre si trovava a
Parigi, Benito Pérez Galdós (1843-1920) sia entrato nel
caffé dove erano soliti incontrarsi i più importanti letterati francesi. Voleva assistere alla riunione senza farsi
notare, ma ben presto si rese conto con meraviglia che
tutti quei celebri scrittori conoscevano e apprezzavano
la sua opera. Mentre lo salutavano ed elogiavano, arrivò
Oscar Wilde che chiese a uno degli astanti: “Può per
favore presentarmi al famoso autore di Marianela?”
Vero o no che sia l’aneddoto, certo è che quest’opera ha sempre riscosso grande successo tanto in
patria quanto all’estero. Pubblicata nel 1878, in Spagna fu apprezzata anche da chi aveva disapprovato i
primi romanzi dell’autore, per le idee progressiste che
professavano, e, nel giro di pochissimi anni, valicò i
confini nazionali per essere trasposta nelle principali
lingue europee: nel 1880 fu tradotta in italiano1, poi in
inglese e infine in francese e tedesco2. In seguito il libro
1
La prima traduzione italiana è quella di G. De Michelis,
Tipografia Mareggiani, Bologna 1880. Seguirà la traduzione
ridotta di E. Gemignani, Sonzogno, Milano 1940, ristampata
nel 1951.
2
Le traduzioni sono di C. Bell, American Book, New York
1883; A. Germond de Lavigne, Hachette, Paris 1884; E.
Plücher, Breslan, Auterhaltungsblat 1888. Nello stesso anno
della traduzione tedesca ce ne sarà un’altra francese (di J.
1
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fu adattato per il cinema e trasformato in musica: in
Spagna ispirò, oltre a Benito Perojo, la cui versione del
1940 vinse l’anno successivo il festival del cinema di Venezia, anche Angelino Fons nel 1972. Ma nel frattempo,
nel 1955, c’era stata la trasposizione cinematografica
dell’argentino Julio Porter e, nel 1957, in Costa Rica,
era stata rappresentata l’opera del compositore Benjamin Gutiérrez Sáenz, su libretto di Roberto Paniagua.
Inoltre, nel 1960, Marianela era stato usato dallo psicanalista Angélo Hesnard (fondatore della prima Società
Psicanalitica di Parigi) ne L’oeuvre et l’esprit de Freud et
son importance dans le monde modern per esemplificare il
processo di autodistruzione in cui il malato, non riuscendo a risolvere i suoi problemi, si lascia morire, come
fa appunto la protagonista del romanzo3.
Lo stesso Galdós ebbe una particolare predilezione
per Marianela, uno dei suoi pochi romanzi che rileggeva frequentemente, riempiendone ogni volta i fogli
con dettagliate note ai margini. Per molti anni sperò
che fosse portato sulla scena e quando questo accadde
nel 1917, per merito dei fratelli Serafín e Joaquín Álvarez Quintero, la sera della prima, nell’udire la voce di
Margarita Xirgu, l’attrice che impersonava Marianela,
scoppiò in lacrime.
Questa reazione è stata spiegata con il fatto che
l’autore pare avesse trasferito nel personaggio, che dà
il titolo al romanzo, un suo antico e mai dimenticato
amore di gioventù4. Ma Marianela è molto più di una
Lugol, Noviot, Paris 1888) cui seguiranno altre tre traduzioni
inglesi di: H. W. Lester, McClurg &Co, Chigago 1892; M.
Wharton, Digly & Long, London 1893 e E. Grey, American
Book, New York 1902.
3
Citato da M. C. Petit, Personnages féminins de Benito Pérez
Galdós, Les Belles Lettres, Paris 1972, p. 87.
4
In realtà l’argomento (quello di un’anima grande e bella
rinchiusa in un corpo sgraziato) era stato un motivo molto
diffuso tra i romantici. Già Clarín, in un articolo scritto al-
2
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commovente storia sentimentale. Da un lato, infatti,
racconta l’idillio di Pablo (un ragazzo cieco dalla nascita che recupera la vista grazie all’intervento di un
medico geniale), con la protagonista, una ragazza orfana, cagionevole di salute e ritardata nello sviluppo, la
cui unica ragione di vita è accompagnare Pablo e che
muore di disperazione quando questi, dopo l’operazione, si innamora di Florentina. E, dall’altro, denuncia la
deplorevole situazione delle classi umili – all’epoca “il
problema sociale” per antonomasia –, sottolinea i limiti
della scienza e, delineando il contrasto tra le idee sulla
bellezza e la loro verifica percettiva, affronta la spinosa
questione della differenza (e delle contaminazioni) tra
realtà e immaginazione. Inoltre, se oltre al contenuto
consideriamo pure la struttura del romanzo, possiamo
vedere come esso costituisca un punto fondamentale
del poliedrico realismo dell’autore5. Ma andiamo con
ordine.
l’apparizione di Marianela, aveva notato la somiglianza con la
Mignon del Wilhelm Meister di Goethe. Ma, come sottolinea
José F. Montesinos (Galdós I, Castalia, Madrid 1968, p. 238),
il romanzo tedesco non è stato la fonte dell’opera di Galdós,
bensì solo una “suggestione”. Inoltre, per Louise Blanco (Origin and History of the Plot of “Marianela”, in “Hispania”, XLVII,
1965, pp. 463-467) Marianela deriverebbe da uno dei Contes
de la Veillée di Charles Nodier del 1875.
5
Considerato il romanziere per antonomasia dell’800 spagnolo, Galdós si ispirò ai maggiori scrittori europei, da Balzac
a Dickens fino a Tolstoi, raccogliendo però anche la grande
lezione di Cervantes e non disdegnando neppure le tecniche
dei feuilleton. Di qui che considerarlo un scrittore “realista” sia
molto riduttivo, tanto più che scrisse anche numerosi racconti
fantastici (cfr. B. Pérez Galdós, Racconti fantastici, ed. di M. R.
Alfani, Donzelli, Roma 2006). Ciò che ammirava era infatti
quel particolare tipo di realismo, che percorre tutta la letteratura spagnola da La Celestina al Chisciotte, passando per il
Lazarillo de Tormes: quello cioè che tende a dare una “visione
totalizzante della realtà”. Cfr. B. Pérez Galdós, Prólogo, a la
segunda edición de L. Alas, La Regenta, ed. de G. Sobejano,
3
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Gli inizi
Come egli stesso racconta nell’autobiografia, Galdós
intraprese la sua attività di romanziere principalmente
per cercare di rimediare a quella feroce e ostinata intolleranza le cui nefaste conseguenze aveva avuto modo di
osservare direttamente, durante i moti precursori della
rivoluzione del 18686. Così comincia a scrivere, prima,
gli Episodios nacionales, romanzi storici in cui ripercorre
le vicende recenti del paese, con il proposito di cercare
nel passato prossimo l’errore che impediva alla nazione
di progredire alla pari con quelle europee7 e, poi, le
Noguer, Barcelona 1976, pp. 45-63; F. Ayala, Sobre el realismo
en literatura con referencia a Galdós, in Id., Experiencia e invención, Gredos, Madrid 1960, pp. 171-203.
6
Detta anche “la Gloriosa”, fu quella che, per la prima
volta nella storia della Spagna, portò al potere la borghesia.
Proprio perché si stava preparando un cambiamento politico
radicale, gli anni precedenti furono pieni di lotte appassionate
e di repressioni sanguinose. Quella a cui si riferisce Galdós riguarda la sollevazione dei sergenti della caserma di San Gil, a
Madrid, la notte di San Daniele il 25 aprile del 1866 e il feroce
castigo che ne seguì: “Madrid era un infierno. A la caída de
la tarde, cuando pudimos salir de casa vimos los despojos de
la hecatombe y el rastro sangriento de la revolución vencida.
Como espectáculo tristísimo, el más trágico y siniestro que
he visto en mi vida, mencionaré el paso de los sargentos de
artillería llevados al patíbulo en coche, de dos en dos por la
calle de Alcalá arriba, para fusilarlos en la antigua plaza de
toros. Transido de dolor, los vi pasar en compañía de otros
amigos. No tuve valor para seguir la fúnebre traílla hasta el
lugar del suplicio, y corrí a mi casa, tratando de buscar alivio
en mis amados libros y en los dramas imaginarios que nos
embelesan más que los reales”, B. Pérez Galdós, Memorias de
un desmemoriado, in Id., Obras completas (ed. de F. C. Sainz de
Robles), Aguilar, Madrid, 1961, vol. VI, p. 1655.
7
La rivoluzione del ‘68, che aveva anche segnato un periodo di sviluppo tecnico ed economico, durò molto poco
dato che nel 1874 venne restaurata la monarchia borbonica.
Figlio spirituale di questa rivoluzione e membro della classe
4
Estratto della pubblicazione
novelas contemporáneas, romanzi tout court in cui inventa
delle situazioni atte a proporre un tipo di società in
grado di cambiare e aprirsi al futuro8.
Ma affinché il processo di “psicoterapia nacional”9
potesse compiersi, per prima cosa bisognava cercare
là dove si trovava “la nación desnuda y entregada a sí
misma obrando por su proprio impulso”10. Ecco allora
che i suoi primi romanzi (da lui stesso chiamati novelas de la primera época) si svolgono in luoghi che, pur
con nomi inventati, rappresentano l’intera provincia
spagnola: tutti quei paesi e piccole città che, vivendo
sociale che l’aveva promossa, Galdós ne condivideva pienamente gli ideali: liberalismo politico ed economico, fede
nell’educazione e nel progresso scientifico, antimilitarismo e
anticlericalismo. Per questo, la sua missione sarà quella di essere sia l’araldo letterario della borghesia, sia il suo storiografo
e cronista. E per questo, i quarantasei Episodios abbracciano il
periodo che vede l’ascesa di questa classe sociale: si dividono
infatti in cinque serie che vanno dalla battaglia di Trafalgar
(1805) alla Restaurazione (1874).
8
Del resto, come ha dimostrato György Lukcás (Teoria
del romanzo storico, Einaudi, Torino 1970), solo lo sviluppo
del romanzo sociale rende possibile il romanzo storico e,
d’altra parte, solo il romanzo storico può elevare il romanzo
sociale all’altezza di un’autentica storia dei costumi. Galdós,
comunque, non si dedicò esclusivamente al romanzo ma, a
partire dal 1892, scrisse anche numerose opere teatrali: alcune
tratte dai suoi romanzi, altre create ad hoc. Di fatto, proprio il
teatro era stata la sua prima grande passione, come scrive egli
stesso nell’autobiografia: “Mi vocación literaria se iniciaba con
el prurito dramático, y si mis días se me iban en flanear por
las calles, invertía parte de las noches en emborronar dramas
y comedias” (B. Pérez Galdós, Memorias de un desmemoriado,
cit., p. 1665).
9
L’espressione è di Stephen Gilman (Galdós y el arte de la
novela europea [1867-1887], Taurus, Madrid 1985, p. 61) per
indicare che l’intento dell’autore era quello di far capire agli
spagnoli la loro storia in modo che, una volta intesa, sapessero
che cosa dovevano rifiutare e cosa invece conservare.
10
B. Pérez Galdós, La segunda casaca, citato ivi, p. 78.
5
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ancora fortemente immersi nella tradizione, offrivano
l’opportunità di sviscerare a fondo il problema.
Non è un caso che in Doña Perfecta (1876) il tragitto
compiuto da Pepe Rey (un giovane ingegnere che ha
studiato all’estero ed è venuto dalla capitale per sposare
Rosario, figlia della sorella di suo padre, Perfecta Polentinos) dalla stazione di Villahorrenda fino a Orbajosa,
dove si svolgerà l’azione, venga chiamato Un viaje por el
corazón de España, quasi a voler indicare la scoperta di
un universo sconosciuto. Del resto, il viaggio è la forma
naturale di organizzare la conoscenza del mondo, un
modo di rivelarlo11. E la prima sorpresa del viaggiatore è constatare il contrasto tra le “palabras hermosas”
e una “realidad prosaica y miserable”12, che riguarda
tanto i luoghi quanto i personaggi13.
Fin dall’inizio, infatti, tutti gli abitanti, capeggiati
dalla stessa Perfecta e dal canonico Inocencio Penitenciario, si schierano contro il nuovo arrivato, le cui
idee liberali e progressiste sono viste come una pianta
malefica che bisogna a tutti i costi estirpare. Di conseguenza, dopo un crescendo di scontri, Rey viene ucciso
per ordine di Perfecta. Ciò significa che lo spirito reazionario vigente a Orbajosa non è tanto una normale
forma di resistenza alle novità, quanto una mentalità
da tempi dell’Inquisizione.
Se Rey definisce la città “un país de hielo”14 è perché qui il tempo sembra essersi fermato, congelando
i gusti e i valori di una società che appare decrepita
11
Si veda a questo proposito R. Gullón, Técnicas de Galdós,
Taurus, Madrid 1980, p. 29.
12
B. Pérez Galdós, Doña Perfecta, Cátedra, Madrid 1984,
p. 74.
13
Nel gioco di parole mediante il quale ogni nome (sia di
luogo che di persona) nasconde, inganna e tradisce, Ricardo
Cardona ha visto “la estructura esencial de la novela” (Introducción, ivi, p. 42) .
14
B. Pérez Galdós, Doña Perfecta, cit., p. 87.
6
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in tutte le sue manifestazioni. A Orbajosa, infatti, si
pensa, si parla e si agisce come se si fosse ancora nei
Secoli d’Oro o addirittura nel Medio Evo: per questo,
Perfecta progetta l’omicidio di Rey negli stessi termini
che hanno accompagnato la Reconquista15, ed è per lo
stesso motivo che i suoi concittadini si autodefiniscono castellanos viejos, quasi fossero i diretti discendenti
dell’antica casta che, per la sua lunga appartenenza al
credo cattolico, aveva costituito la base e il fulcro dell’identità nazionale16.
Come ai tempi in cui la limpieza de sangre era il
valore assoluto che sanciva la differenza insanabile tra
‘noi’ e ‘gli altri’, anche ora, a Orbajosa, il cattolicesimo
è un concetto difensivo e patriottico che serve soprattutto a impedire l’accesso a una percezione della realtà
diversa da quella dominante. Anche ora, qui esiste una
strettissima (e primitiva) relazione tra società e religione; ed è proprio la religione la causa dello spirito di
sopraffazione che dilaga nella città: uno spirito talmente
nefasto da contaminare chiunque abbia la disavventura
di trovarvisi esposto. E a conferma di ciò, la stessa
vittima, Pepe Rey (che per ripicca al rifiuto di Perfecta
15
Nei riguardi del nipote dice infatti: “hay que defenderse
de todos ellos, porque todos son uno, y uno es todos; hay
que atacarles en conjunto, y no con palizas al volver de una
esquina, sino como atacaban nuestros abuelos a los moros”
(ivi, p. 249).
16
Dopo l’editto del 1492, che obbligava ebrei e musulmani
all’esilio o alla conversione forzata, la società si divise in due
gruppi: i cristianos viejos, coloro che erano cattolici da sempre
e i cristianos nuevos, i convertiti che proprio per aver abiurato
la loro antica fede erano considerati con sospetto e quindi
emarginati. A loro si riferivano gli statuti della limpieza de
sangre che li escludeva dalla maggior parte degli impieghi
pubblici e dalle alte cariche religiose. E a questo proposito
vale la pena ricordare che una delle primissime opere drammatiche scritte, ma mai pubblicate, da Galdós si intitolava
proprio La expulsión de los moriscos.
7
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di acconsentire al matrimonio ha progettato di rapire
Rosario), in una lettera al padre confessa di non essere
tanto diverso dai suoi nemici:
a usted puedo decirle que soy un miserable, porque
es un miserable quien carece de aquella poderosa fuerza moral contra sí mismo, que castiga las
pasiones y somete la vida al duro régimen de la
conciencia […] he tenido la debilidad de abandonarme a una ira loca, poniéndome al bajo nivel de
mis detractores […] Lo que más amarga mi vida
es haber empleado la ficción, el engaño y bajos disimulos. ¡Yo que era la verdad misma! He perdido
mi hechura17.
Presentato dal narratore come un uomo di scienza, amante della verità soprattutto, una volta inserito
nel ginepraio di Orbajosa, Rey si dimostra un positivista irriducibile, incapace di capire le ragioni degli altri
e di vedere oltre i limiti ristretti dei propri modelli di
riferimento. Ciò che emerge dal romanzo, infatti, è che
la malattia mortale – il fanatismo che ha dato vita alle
‘due Spagne’ sempre in lotta tra loro – riguarda tutti
e non una sola delle fazioni in lizza. Non stupisce,
quindi, che il romanzo si chiuda con la frase: “Esto
se acabó. Es cuanto por ahora podemos decir de las
personas que parecen buenas y no lo son”18, quasi
che l’autore, saturo di tanta violenza, avesse voluto
voltare pagina e chiudere, almeno per il momento, la
questione19.
Questa interpretazione sarebbe suffragata dal fatto
che la frase di chiusura appartiene all’autore implicito
17
B. Pérez Galdós, Doña Perfecta, cit., pp. 105-106.
Ivi, p. 295.
19
Per l’analisi in questo senso di Doña Perfecta, cfr. il mio
articolo Galdós e la sapienza dell’incertezza, in “La Torre di
Babele”, 5, 2007-2008, pp. 45-54.
18
8
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e non ai due narratori che si dividono il racconto della storia: uno anonimo, che parla in terza persona e
per ben trentun capitoli, e l’altro, interno alla vicenda,
Cayetano Polentinos (cognato di Perfecta e storico di
Orbajosa), cui spetta il compito di tirare le fila della narrazione con cinque lettere destinate a un amico
di Madrid. La presenza dei due narratori, invece di
essere garanzia di imparzialità, crea solo ambiguità e
confusione dato che, in ciascuno dei due discorsi, ogni
parola dà adito a mille illazioni e incongruenze, facendo
nascere il sospetto che il doppio sguardo sia solo un
espediente per nascondere, dietro un’apparente obiettività, la visione tendenziosa dell’autore. Ovvero: la sua
tesi su il fanatismo come parte costitutiva dell’essenza
ispanica.
In realtà, il punto di vista di Polentinos (lo storico)
non informa solo la parte finale del romanzo, ma anche quella iniziale, diventando il motivo ispiratore del
racconto del primo narratore (il romanziere). E non
poteva essere che così in quanto Galdós pare abbia
scritto Doña Perfecta nel bel mezzo della stesura de La
segunda casaca, il terzo degli Episodios della seconda
serie, incentrato sulla lotta tra liberali e assolutisti, durante il regno di Fernando VII20. Non stupisce quindi
che il romanzo rifletta la stessa violenza di cui è intrisa
la storia nazionale.
Potremo pensare allora che sia la presa di coscienza della propria incapacità a distinguere tra il ruolo di
storico e quello di romanziere (finzionalizzati appunto
nei due narratori) a indurlo a chiudere bruscamente
il discorso sul fanatismo collettivo, facendo palesare
la possibilità di riprenderlo in futuro. Non è escluso,
infatti, che il riferimento a “las personas que parecen
buenas y no lo son” riguardi non solo il comportamento
20
Cfr. S. Gilman, Galdós y el arte…, cit., pp. 78-79.
9
Estratto della pubblicazione
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dei personaggi, ma anche la propria attività di scrittura.
Come se, dopo essersi reso conto che l’aver fatto derivare la storia romanzesca dalla historia rerum gestarum
lo aveva inevitabilmente invischiato negli stessi meccanismi di manipolazione e sopraffazione che voleva
denunciare21, avesse deciso di aggirare il problema e
affrontarlo in altro modo.
Una nuova letteratura
Già nel secondo romanzo, Gloria (1877), incentrato
sull’amore impossibile tra una cattolica e un ebreo, c’è
un tentativo di cambiamento sia per quanto riguarda
il contenuto, sia per quanto riguarda la forma22. Tuttavia, sarà Marianela a segnare la svolta. A partire da
qui, infatti, invece di cercare le colpe e le responsabilità del manifestarsi del fanatismo e della violenza,
l’autore tenterà di scoprire le condizioni che li hanno
determinati23.
21
Fabio Dei (Descrivere, interpretare, testimoniare la violenza,
in Id. [ed.], Antropologia della violenza, Moltemi, Roma 2006,
pp. 3-56) mostra che molto spesso parlare della violenza
(fornirne i dettagli, elencare le cifre delle vittime, stilare repertori di atrocità) non solo è parte integrante della cultura
della morte, ma è proprio ciò che permette a questa cultura
di funzionare.
22
Qui la denuncia del fanatismo religioso non riguarda solo
la Spagna e il cattolicesimo, ma tutti i paesi (il protagonista
infatti è inglese) e tutte le religioni che, convinte tutte di essere in possesso della verità, si oppongono le une alle altre,
rendendo impossibile ogni forma di comprensione e tolleranza. Comunque, anche se la narrazione, affidata a un solo
narratore onnisciente, è più facile da seguire, ciò che rovina
il romanzo è il susseguirsi di peripezie, spesso esagerate, e la
forzata dialettica (cfr. J. F. Montesinos, Galdós, cit., p. 239).
23
Nel percorrere l’opera di Galdós ci si può rendere conto
di come ogni testo rappresenti la fase di una ricerca continua,
10
Estratto della pubblicazione
Per prima cosa, in Marianela il racconto è affidato
a un unico narratore che, al contrario di quelli di Doña
Perfecta, dimostra di avere sempre il pieno controllo del
proprio discorso24. A volte si affaccia alla narrazione
con interventi metaletterari, ora per affermare la verosimiglianza del mondo narrato (“Ya se ve que estamos
en el Norte de España”25), ora per denunciarne il carattere finzionale (“Lo que hablaron ¿merecerá capítulo
aparte? Por si acaso, se lo daremos”, p. 82). La funzione
narrativa tesa a mediare il mondo dell’invenzione con
quello della realtà si fa ancora più esplicita alla fine
svolta attraverso molteplici e convergenti linee di sviluppo
tese, dapprima, a indagare i mali della nazione e, poi, a offrirne il rimedio (cfr. il mio articolo, Etica ed estetica del vero
in Galdós, in “Rassegna Iberistica”, 43, 1992, pp. 17-28). Per
questo è sbagliato considerare, come spesso fa la critica, i romanzi della prima epoca staccati dagli altri, quasi fossero una
cosa a se stante. E Marianela lo dimostra in quanto non solo
rimanda continuamente a Doña Perfecta, ma è intimamente
legata anche a Gloria che si svolge a Ficóbriga, un paese che,
per trovarsi poco lontano da Socartes, viene spesso nominato.
D’altro canto, Celipín, un personaggio di Marianela, ritornerà in altre opere e sarà il protagonista di un romanzo della
seconda epoca, El Doctor Centeno del 1883.
24
Se è l’autore a inventare il mondo possibile, è il narratore a
dirigerlo e regolarlo nel senso che è lui a stabilire come fondare
la convenzione di finzionalità, in base alla quale il lettore può
distinguere il vero dal falso all’interno della finzione (cfr. W.
D. Mignolo, Teoría del texto e intepretación de textos, UNAM,
México 1966). In Doña Perfecta ciò non avviene perché entrambi i narratori si mostrano incapaci di controllare la verità
di quello che dicono: Polentinos, sempre assorto nei suoi
pensieri, non partecipa mai direttamente agli avvenimenti e,
quindi, nel momento in cui deve riferire su di essi, è costretto
a ricorrere al sentito dire, e lo stesso fa il narratore che spesso
mostra di essere solo un portavoce inattendibile. Cfr. il mio
articolo, Galdós e la sapienza dell’incertezza, cit.
25
B. Pérez Galdós, Marianela, infra, p. 54. D’ora in avanti
il numero delle pagine delle citazioni riguardanti questo romanzo appariranno direttamente nel testo.
11
Estratto della pubblicazione
Estratto distribuito da Biblet
dell’ultimo capitolo, in cui viene dichiarato che scopo
dell’opera è correggere le false informazioni diffuse dal
Times, dopo che Florentina ha fatto costruire una tomba
fastosa per Marianela:
«Lo que más sorprende en Aldeacorba es el espléndido sepulcro erigido en el cementerio sobre
la tumba de una ilustre joven, célebre en aquel país
por su hermosura. Doña Mariquita Manuela Téllez
perteneció a una de las familias más nobles y acaudaladas de Cantabria: la familia de Téllez Girón y de
Trastamara. De un carácter espiritual, poético y algo
caprichoso, tuvo el antojo (take a fancy) de andar
por los caminos tocando la guitarra y cantando odas
de Calderón, y se vestía de andrajos para confundirse con la turba de mendigos, buscones, trovadores,
toreros, frailes, hidalgos, gitanos y muleteros, que en
las kermesas forman esa abigarrada plebe española
que subsiste y subsistirá siempre, independiente y
pintoresca, a pesar de los rails y de los periódicos
que han empezado a introducirse en la Península
Occidental. El abad de Villamojada lloraba hablándonos de los caprichos, de las virtudes y de la belleza
de la aristocrática ricahembra, la cual sabía presentarse en los saraos, fiestas y cañas de Madrid con el
porte (deportment) más aristocrático. Es incalculable
el número de bellos romanceros, sonetos y madrigales
compuestos en honor de esta gentil doncella por
todos los poetas españoles».
Bastóme leer esto para comprender que los dignos
reporters habían visto visiones. Traté de averiguar
la verdad y de la verdad que averigüé resultó este
libro (pp. 405-406).
Nell’invitare il lettore a misurare la distanza tra il
proprio racconto e l’articolo del Times, che considera
il vistoso monumento come la prova evidente dell’avvenenza, della ricchezza e dell’originalità di Marianela,
il narratore rimanda alla letteratura costumbrista dell’epoca: quella che, compiacendosi di descrivere am12
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