Compiti vacanze Natale 1) Leggere la biografia di Voltaire da pag 115 a pag 124 del libro di storia; facoltativo: “Candido” , sempre di Voltaire, reperibile in biblioteca. 2) Preparazione al lavoro di gruppo: studiare le dispense e leggere le modalità del lavoro previsto; ipotizzare i componenti dei gruppi e una possibile divisione degli argomenti; cercare altro materiale attraverso fonti di diverso tipo (Internet, biblioteche, cinema, arte, letteratura….) 2^ MODULO di STORIA – CLASSI QUARTE : modalità lavoro di gruppo Finalità: - consolidare la capacità di “lettura attiva” e di rielaborazione, sulla base di selettori dati - applicare criticamente un modello di analisi (in questo caso per la comprensione di dinamiche socio-politico-istituzionali) - capacità di orientarsi entro una pluralità di fenomeni complessi su scale temporali diverse: l’evento di breve periodo (es: rivoluzione francese), la lunga durata (‘700-‘800) - acquisire dimestichezza con i principali concetti del linguaggio storico-politico moderno Materiale in dispensa (dispense 1 e 2 per tutti; dispensa 3 per il caso inglese): 1) MODELLO di ANALISI dei PROCESSI POLITICI tra SETTECENTO e OTTOCENTO: A 1 B 1 C 1 DA… ASSOLUTISMO LEGITTIMISMO DINASTICO GOVERNO “INDIRETTO” 2 …A (e 1 Vs 2) COSTITUZIONALISMO LIBERALE STATO-NAZIONE 2 GOVERNO “DIRETTO” 2 B2 e C2 favoriscono la nazionalizzazione delle masse Breve spiegazione del MODELLO DI ANALISI: L’anno scorso abbiamo utilizzato un modello di analisi sull’evoluzione dello stato moderno, tratto dallo storico C.Tilly: lo STATO MODERNO come uno spazio il cui centro tende a eliminare i contropoteri, a drenare risorse dalla periferia, ad assumere il monopolio della violenza legittima: una triplice tendenza temporalmente operante sul lunghissimo periodo, almeno dal XVI al XX secolo. All’interno di questa tendenza, ne possiamo individuare un’altra (vedi schema), operante su una scala temporale molto più breve – circa dalla seconda metà del secolo XVIII alla fine del XIX – che utilizziamo come modello di analisi per i principali processi politici in Europa. Possiamo infatti individuare nello STATO MODERNO tre processi politici (A,B,C) in ciascuno dei quali sono compresenti una tendenza a passare da 1... a 2..., e una contrapposizione tra 1... e 2... A) rispetto all’ASSETTO POLITICO-ISTITUZIONALE: 1. Assolutismo, affermatosi tra ‘500 e ‘600: 2. Costituzionalismo liberale, affermatosi concezione per la quale il monarca è sciolto nell’’800 sulla base dell’Illuminismo del ‘700: (absolutus) da qualunque vincolo esterno alla teorizza la divisione del potere dello stato sua volontà, ivi comprese le leggi emanate dai (esecutivo, legislativo, giudiziario) e i suoi limiti suoi predecessori di fronte alla libertà dell’individuo B) rispetto alla FONTE DI LEGITTIMAZIONE, cioè alla derivazione della SOVRANITA’: 1. Legittimismo dinastico: secondo il 2.Stato-nazione: la sovranità appartiene al patrimonialismo, la sovranità appartiene alla popolo-nazione (=comunità di lingua, storia, dinastia regnante, che è legittimata da Dio e tradizioni) e lo stato deve coincidere con essa: dalle tradizioni; perciò essa va restaurata, se se la nazione è dominata da stati sovranazionali, spodestata da una rivoluzione deve lottare per l’indipendenza 1 C) rispetto alle forme e alle dimensioni dell’ INTERVENTO DELLO STATO SULLA SOCIETA’: 1. Governo “indiretto”: fino alla fine del ‘700, lo 2. Governo “diretto”: dall’’800 lo Stato stato si occupa di pochi settori (conduzione della interviene in molti più settori (scuola, assistenza, guerra, giustizia, tasse) e spesso ne affida la trasporti…) e soprattutto estende la sua gestione gestione a organismi privati (appaltatori di tasse, diretta, con apparati sempre più vasti (burocrazia tribunali e altri uffici pubblici, eserciti mercenari...) pubblica, coscrizione di massa nell’esercito…) E’ da sottolineare: - che i modi e le forme di queste tendenze / contrapposizioni si manifestarono diversamente nelle diverse fasi (dal ‘700 e nel corso dell’ ‘800) e nei diversi paesi (vedi dopo, i casi nazionali) - che queste tre tendenze / contrapposizioni spesso interagivano, in alcuni casi rafforzandosi reciprocamente, in altri casi o fasi storiche entrando in contraddizione tra loro; - che l’affermazione dello stato-nazione (B) e del governo “diretto” (C) favorirono quel complesso processo (inclusione delle grandi masse nello stato, estensione alle masse del senso di “identità nazionale”, cioè di appartenenza a una medesima “comunità di destino”) che gli storici definiscono nazionalizzazione delle masse, iniziato nella seconda metà del sec.XIX e poi sviluppatosi in modo molto più ampio nel secolo XX (vedi ultima parte del modulo) 2) LE IDEOLOGIE POLITICHE DELL' OTTOCENTO+ cap.E10 (Nazioni e nazionalismi, pp.414-22) Premessa: i due significati del termine IDEOLOGIA : a) neutro, o "debole": insieme di idee e di valori riguardante l'ordine politico (ovvero, la rappresentazione dei rapporti tra individui, società e stato) con la funzione di guidare i comportamenti collettivi. Oppure: sistema di idee connesse con l'azione, cioè un'interpretazione della realtà (passata, presente, futura) comprendente un programma e una strategia per la sua attuazione, al fine di cambiare - o difendere - l'ordine politico esistente. b) negativo, o "forte": falsa credenza, ovvero concezione che, deliberatamente o meno, rappresenta la realtà in modo mistificato, rovesciato, unilaterale, al di fuori di una analisi pragmatica e/o in funzione di valori /interessi /situazioni di potere particolari da difendere. Qui di seguito ci riferiremo al primo significato sopra indicato Id. LIBERALE: Principale erede della tradizione illuminista francese (soprattutto di Montesquieu e Voltaire) e del giusnaturalismo inglese (Locke), si basa sulla distinzione tra sfera privata (l'individuo nella società) e pubblica (lo stato), e sulla salvaguardia della prima dall'ingerenza della seconda. Il liberalismo crede nel progresso, che può realizzarsi se si sviluppa la libertà individuale in tutti i campi: nell'economia con la proprietà privata; nella società con i "diritti civili" (libertà personale, di opinione e di stampa, religiosa, di associazione, ecc); nella politica con il dibattito delle idee e con il controllo della pubblica opinione sullo stato. Lo stato liberale deve basarsi sulla certezza del diritto (sancito da una costituzione scritta) e sulla divisione dei poteri, in particolare tra governo (potere esecutivo) e parlamento (potere legislativo), quest'ultimo eletto da quanti godono della pienezza dei diritti politici (cioè di voto), in base al censo e/o all'istruzione. [cfr. pag. 241-43] Id. DEMOCRATICA: Erede anch'essa della tradizione illuminista (soprattutto di Rousseau) e dei "Sacri Principi dell''89", tra i quali però mette l'accento sulla egalité, e talora sulla fraternité, mentre l'id. liberale privilegia la liberté. Pertanto le sua idee-forza sono la sovranità popolare e il suffragio universale come espressione degli uguali diritti politici di tutti i cittadini. Soprattutto in Francia – meno in Mazzini, anch’egli uno dei massimi esponenti democratici – si preoccupa di dare contenuti sociali (fraternité) all'uguaglianza politica, fornendo a tutti "pari opportunità" con l'istruzione, la "libertà dal bisogno", l'effettivo esercizio del diritto di voto: sia quello attivo (con l’organizzazione dei partiti, che consentono la partecipazione politica), sia quello passivo (=eleggibilità, possibilità di essere eletti) tramite la retribuzione ai parlamentari. [cfr. p.241-44]. Con l'estensione del suffragio, nel '900, le differenze fra liberalismo e democrazia tenderanno a sfumare, formando una Id. LIBERAL-DEMOCRATICA attraversata da differenze, talora profonde, tra liberal-moderati (o conservatori) e liberal-progressisti (o radicali, o democratici, o "liberal"). 2 Id. REAZIONARIA: Nasce come reazione alla rivoluzione francese, di cui rifiuta i principi essenziali, auspica un ritorno al passato, alla tradizione, ed è contraria all'idea di progresso. Le leggi non devono essere scritte ma consuetudinarie, il "diritto divino" e non la sovranità popolare è alla base del potere statuale, che non può pertanto essere diviso. La società deve basarsi sul principio di autorità, le differenze tra individui (di censo, stato, istruzione) sono "naturali" e non modificabili, quindi le teorie sulla libertà e sull'uguaglianza tra gli uomini sono pericolose. L'Id.R, che in epoche successive assumerà contenuti diversi secondo i differenti contesti, all'inizio dell'Ottocento contrappone alla laicità dello stato la difesa della religione e l'alleanza "trono-altare" come baluardo dell'ordine sociale (es. J.De Maistre). A metà del secolo, un totale rifiuto teorico di tutte le teorie moderne viene espresso dalla Chiesa cattolica col Sillabo di papa Pio IX nel 1864. [cfr.pp.227-28]. Id. RIVOLUZIONARIA: Nell'Ottocento, è un insieme di teorie diverse, accomunate dall'esigenza di dare voce a quel "quarto stato" (il proletariato industriale) che è prodotto e al contempo vittima della industrializzazione: teorie che propugnano la rivoluzione, ovvero la radicale trasformazione dell'ordine esistente, al fine di realizzare la giustizia, intesa come uguaglianza sociale. Tra le diverse correnti, è necessario distinguere le due principali, quella socialista e quella anarchica: a) Id. SOCIALISTA: Si presenta dapprima – come teoria ma anche come forma di organizzazione (cooperativa, sindacale o politica) del proletariato industriale – nelle diverse versioni del cosiddetto socialismo utopistico o "romantico", in Inghilterra (Owen) e in Francia (Fourier, Blanc, Proudhon). Poi si afferma nella versione che avrà maggiore rilievo sia teorico sia politico-organizzativo: il marxismo. Secondo Karl Marx il capitalismo industriale è la più moderna ed efficiente forma di sfruttamento dei produttori (i proletari) da parte dei detentori dei mezzi di produzione (i capitalisti). Nel capitalismo, però, c'è la contraddizione tra l'enorme sviluppo delle forze produttive, reso possibile dall' industrialismo, e l'appropriazione del prodotto sociale da parte di una minoranza sempre più ristretta, la borghesia. Su tale contraddizione potrà fare leva il proletariato, prendendo coscienza del suo sfruttamento e organizzandosi politicamente, al fine di abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione e la divisione in classi. Per fare ciò è necessaria una rivoluzione, che deve abbattere le istituzioni liberali (finzione giuridica dietro cui si cela la dittatura della borghesia), sostituendole con la dittatura del proletariato, via intermedia alla futura società comunista. [cfr. pp.369; 371-375]. Verso la fine del secolo prevale però, soprattutto nel più forte partito socialista europeo, quello tedesco (Spd), una posizione riformista, che tende a eliminare o a rimandare in un futuro indeterminato la prospettiva rivoluzionaria, a favore di un’azione politica tesa a ottenere riforme, soprattutto attraverso le forme elettorale e parlamentare. [cfr.pp.376-77] b) Id. ANARCHICA: Teorizzata dal russo Michail Bakunin, sostiene che l'origine dello sfruttamento e delle ingiustizie sociali non è la classe dei capitalisti, ma lo stato, e con esso la religione. Anche l'ideologia anarchica, come quella marxista, vuole eliminare la proprietà privata, ma tramite una rivoluzione che abolisca ogni forma di autorità statuale, favorendo la libera organizzazione collettiva dei produttori in forme cooperative. L'anarchismo rifiuta la forma organizzativa del partito, e con esso la lotta politica e parlamentare, e punta all'azione insurrezionale diretta delle masse. Più che tra il proletariato di fabbrica, questa ideologia trovò seguito tra le masse contadine, specie nei paesi meno industrializzati come l’Italia e la Spagna. [cfr. pag. 376] Id. SOCIALE CRISTIANA: Basata sull’enciclica Rerum Novarum di papa Leone XIII (1891), vuole fornire alle "questione sociale" soluzioni diverse sia dal liberalismo che dal socialismo, ambedue visti negativamente. Respinge infatti tanto la lotta di classe quanto il primato delle leggi del mercato nel governo dell’economia e dei rapporti sociali. Il salario deve essere regolato secondo il principio etico della "giusta mercede", e lo stato deve intervenire nelle questioni sociali come regolatore e mediatore dei conflitti. Il principio basilare deve essere la solidarietà tra le classi, per cui l'organizzazione ottimale è quella corporativa, ma non si escludono organizzazioni solo operaie, 3 invitando i lavoratori cristiani a organizzarsi in forma sindacale e cooperativa. Tra fine '800 e il '900 nascono su questa base partiti e sindacati di ispirazione cristiana, specie nei paesi di cultura cattolica, trovando consenso soprattutto nel mondo contadino [cfr. pag. 368]. Id. NAZIONALISTA: Nasce nella prima metà dell' '800 dall'idea romantica di Patria come statonazione, secondo cui lo stato deve coincidere con la nazione, intesa come comunità di storia, lingua, tradizioni, etnia (talora anche religione). Da metà ‘800, negli stati europei la "nazionalizzazione delle masse" è il lungo processo che mira ad integrare le masse nello stato, a creare/rafforzare l'identità e il senso di appartenenza nazionale, attraverso molteplici canali: la scolarizzazione e la propaganda mediata dai programmi scolastici, la leva militare, le feste patriottiche e la "invenzione" di molteplici tradizioni... Tra fine '800 e inizio '900, nell'età dell'imperialismo, nasce una nuova id.nazionalista che si basa sul primato del (proprio) stato-nazione, in competizione con gli altri, in una logica di prestigio e di potenza internazionale; per il superiore interesse dello stato-nazione tutti i conflitti interni devono essere disciplinati, soprattutto quelli tra le classi, che vanno armonizzati all'interno di organismi corporativi [cfr. E 10, pp.414-16; e 421-22]. 3) L’ESPANSIONE DELL’ECONOMIA-MONDO EUROPEA E IL PRIMATO BRITANNICO TRA SETTECENTO E OTTOCENTO ALL’INIZIO DEL SETTECENTO: TANTI… MONDI DIVERSI E SEPARATI L’anno scorso ci siamo occupati delle economie-mondo, in particolare di quella europea, che nel Cinquecento e nel Seicento aveva inglobato nella sua periferia le Americhe e aveva incuneato i suoi scali commerciali lungo le coste africane e nell’Oceano Indiano. Abbiamo esaminato in particolare il primato dell’Olanda, che nel Seicento era diventata il centro propulsivo di quell’ economia-mondo in espansione, anche grazie al ruolo svolto dalla Voc, la Compagnia delle Indie olandese che conquistò il monopolio del commercio del pepe e delle spezie nell’Oceano Indiano. All’inizio del Settecento, però, solo le Americhe, in particolare quella centrale e meridionale, avevano subito conseguenze profonde dall’espansione dell’economia-mondo europea, con lo sterminio e l’asservimento dei nativi e l’avvio di flussi migratori dall’Europa che ne trasformarono la popolazione. In Africa gli europei si limitarono a insediare scali commerciali sulle coste, mentre l’interno di quel vastissimo continente rimaneva loro sconosciuto. Dall’inizio del Settecento, però, la tratta degli schiavi assunse dimensioni enormi (6 milioni furono deportati nelle Americhe nel corso del secolo, rispetto a 1,3 milioni del Seicento; a ciò si aggiungeva la tratta praticata, da secoli, dai mercanti arabi attraverso il Sahara), tali da provocare una grave emorragia demografica, e la disgregazione sociale delle comunità di villaggio africane. In Asia, nonostante i metodi molto aggressivi dei portoghesi e poi degli olandesi per inserirsi nei traffici dell’Oceano Indiano, la presenza europea era marginale, rispetto ai grandi flussi di merci che su quell’oceano transitavano fra tre grandi economie-mondo: da est a ovest, quella cinese, quella indiana e quella islamica. Si può dire che quelle tre economie-mondo costituissero insieme una “super – economia-mondo” asiatica, molto più grande e più ricca di quella europea. Una “fotografia del mondo” all’inizio del Settecento ci mostrerebbe in realtà…diversi mondi, cioè popolazioni, economie-mondo, aree di civiltà separate l’una dall’altra, ciascuna con una sua propria storia, poco influenzata dalle altre. Partiamo dai dati demografici. I 2/3 della popolazione mondiale erano concentrati in AREA densità 1750 Asia. Inoltre, la metà di essi erano cinesi (250 milioni), per abit/kmq milioni % cui la Cina contava quasi un terzo dell’umanità. I due Mondo 791 100.0 “giganti” dell’Asia, Cina e India, avevano allora le città più popolose del mondo, le manifatture più sviluppate, i Asia 15 502 63.5 beni di lusso più preziosi e più richiesti dagli europei. Europa 16 163 20.6 La Cina era molto ammirata anche per il suo efficiente Africa 3,5 106 13.4 sistema politico: un impero grande come l’intera Europa, America latina 0,7 16 2.0 ma sotto un solo sovrano, e perciò estraneo alle guerre America nord continue tra stati diversi che dilaniavano l’Europa. 0,1 2 0.3 In India, invece, il grande impero della dinastia Moghul Oceania 0,2 2 0.3 all’inizio del Settecento iniziò a indebolirsi, e a frazionarsi Stima della popolazione del mondo [da A.Golini, in tanti principati di fatto indipendenti (anche per i contrasti 1999, su dati Onu]: etnici e religiosi tra la maggioranza indu e la minoranza musulmana, alla quale appartenevano anche i sovrani Moghul). 4 Più a ovest, la civiltà islamica aveva come centro l’impero turco, un gigante esteso tra Europa, Asia e Africa mediterranea, che nel 1683 era arrivato addirittura ad assediare Vienna. Il prestigio di quell’impero derivava anche dal fatto che il sultano di Istanbul (allora la città più popolosa d’Europa) era non solo il capo politico del suo impero, ma anche, da molti secoli, la suprema autorità religiosa di tutto l’Islam. Dall’inizio del Settecento, però, anche l’impero turco entrò in una profonda decadenza demografica, politico-militare e commerciale, anche perché l’apertura delle rotte atlantiche aveva posto fine al suo tradizionale ruolo di intermediario tra Occidente e Oriente. A parte queste aree, solo l’Europa era densamente popolata. Altrove (come rivela la tabella), su spazi immensi vivevano popolazioni esigue, spesso di allevatori nomadi, talora di raccoglitori-cacciatori: così erano allora l’America del Nord, gran parte di quella del Sud, l’Australia, le immense steppe dell’Asia centrosettentrionale (la Russia asiatica, e in parte quella europea). Per l’Europa, già conosciamo (vedi 1^modulo di cl.3^) la situazione complessiva della società tradizionale europea, fino all’inizio del Settecento: una popolazione con alti tassi di natalità e di mortalità e una vita media attorno ai 30 anni; un'agricoltura dai bassi rendimenti che occupava la stragrande maggioranza della popolazione; bassi tassi di urbanizzazione e una forte separatezza (economica e sociale ma anche culturale) tra città e campagna; difficoltosa circolazione dei beni, a parte quelli di lusso, che erano oggetto dei traffici a lunga distanza. Le stime riportate nella seguente tabella ci consentono di constatare che all’inizio del Settecento l’Europa e il resto del mondo erano più o meno nella stessa situazione, alla pari: mondi separati, dunque, ma sullo stesso livello, per quanto riguarda i principali indicatori socio-economici: il prodotto interno lordo per abitante (che Inizio del secolo XVIII è oggi il principale indice dello sviluppo indicatori : Europa mondo economico di una determinata area); la pil/abitante 170 200 160 - 190 breve durata media della vita; l’alto tasso di durata vita media, in anni 26 - 35 25 - 33 mortalità infantile; l’altissima percentuale di addetti all’agricoltura; il basso rendimento % mortalità infantile 22 - 26 22 - 26 del grano (7-8 chicchi di grano raccolti per % addetti agricoltura 76 - 80 76 - 83 ciascuno seminato); le poche città; il livello rendimento grano 7-8 7-8 molto basso di meccanizzazione (del quale % urbanizzazione 11 - 13 10 - 11 è indizio il consumo irrisorio di ferro). consumo ferro/abitante 1-2 kg 0,5-1,5 kg Dell’Europa, abbiamo già visto anche la Stime tratte da Paul Bairoch, Einaudi, 1999 caratteristica forse più tipica: l’estrema frantumazione politica, ad un tempo causa ed effetto delle frequentissime guerre. Ciò aveva portato, da un lato, a uno sviluppo di tecnologie belliche molto avanzate (come rivelarono le flotte e i cannoni europei nell’Oceano Indiano); dall’altra, a una crescente concentrazione del potere centrale dello stato (vedi 2^modulo di classe 3^). Dal primato olandese a quello britannico, in Europa… Secondo il modello storiografico di Arrighi, il primato all’interno di un’economia-mondo si realizza prima a livello produttivo, poi commerciale, infine (quando è già in declino su questi piani) a livello finanziario, e questa parabola descrive sia il caso olandese (v. l’anno scorso) sia quello britannico. L’Inghilterra cominciò a erodere il primato marittimo olandese già nella seconda metà del Seicento, con leggi (Navigation Acts) che proibivano a navi straniere di trasportare merci nei porti inglesi: leggi che scatenarono due guerre commerciali, vittoriose, contro l’Olanda. Anche nel Settecento l’Inghilterra mosse guerra più volte contro l’Olanda, per consolidare la propria superiorità marittima, ormai acquisita. Ma nel corso del Settecento l’Inghilterra conquistò soprattutto un forte primato produttivo: a) prima con la rivoluzione agronomica che moltiplicò i rendimenti agricoli, sconvolse la società rurale (eliminando la classe dei contadini), e creò forza lavoro a basso costo per le nascenti manifatture; b) poi, nella seconda metà del secolo, con la rivoluzione industriale, trainata dal settore tessile, che consentì all’Inghilterra di diventare, nella prima metà dell’Ottocento, l’”officina del mondo”. Da Hobsbawm sappiamo che alla rivoluzione industriale contribuirono la forza di penetrazione sui mercati esteri, soprattutto coloniali, e la politica governativa, sia con le misure protezionistiche, sia con le guerre e le conquiste. Infatti nel corso del Settecento l’Inghilterra, forte della sua flotta militare, combatté numerose guerre contro l’Olanda, la Spagna e la Francia, vincendole e sottraendo loro colonie. Perfino l’unica guerra perduta, contro le sue colonie americane che diventarono così gli Stati Uniti (1775-83), non la danneggiò economicamente, perché gli Stati agricoli e schiavisti del Sud degli Usa continuarono a fornire cotone alle fabbriche inglesi. Quella guerra portò invece la Francia (che aveva aiutato le colonie inglesi ribelli) al dissesto finanziario, e di lì a poco alla rivoluzione. In seguito, l’Inghilterra trasse vantaggio dalle guerre contro la Francia rivoluzionaria e napoleonica (1792-1815), grazie alle ingenti commesse dello stato alle industrie manifatturiere, siderurgiche e navali. Il successivo periodo 1815-1914 è stato definito, per quanto riguarda la storia europea, il secolo della “pax britannica”. In 100 anni, infatti, ci furono solo 3 anni di guerre tra le potenze europee, contro i 70 anni di guerre del secolo precedente! La pace europea derivò dalla politica dell’equilibrio tra le maggiori potenze, sancito al congresso di Vienna del 1815, ma il regista di quella politica di equilibrio era la Gran Bretagna. 5 L’Inghilterra suscitava l’ammirazione degli altri europei per la modernità del suo sistema produttivo, per la potenza delle sue flotte e per la solidità della sua moneta, ma anche per il suo sistema politico, una monarchia parlamentare di indirizzo liberale, molto stabile e ad un tempo estremamente moderna per quel tempo. Tra il 1848 e il ’49 due leggi abrogarono i dazi protettivi sul grano (Corn Law) e le restrizioni alle flotte commerciali straniere (Navigation Acts), cioè introdussero il libero scambio: con un’economia così forte, infatti, l’Inghilterra poteva permettersi di eliminare ogni freno alle importazioni. Gli effetti furono molti e tutti positivi: senza i dazi, diminuiva il prezzo delle materie prime e dei beni agricoli importati, per cui si abbassava il costo della vita all’interno, e i paesi che esportavano quei beni in Inghilterra potevano disporre di mezzi di pagamento con i quali acquistare i prodotti industriali inglesi. La conseguenza fu che nel successivo ventennio, 1/3 del commercio mondiale transitava per i porti inglesi (!), e molti altri paesi europei imitarono la Gran Bretagna, eliminando le tariffe doganali. Il ventennio 1850-1870 segnò per l’Europa il trionfo del libero scambio, con prezzi stabili o in calo, grande espansione del commercio, monete ancorate alla parità con l’oro, e la sterlina universalmente accettata come la valuta degli scambi internazionali. Però comprenderemo meglio il primato inglese osservandolo non solo nella prospettiva europea, ma anche in quella mondiale. … e nel mondo Nell’Oceano Atlantico, l’Inghilterra controllava il “commercio triangolare” che si svolgeva tra l’Europa, l’Africa e le Americhe, basato sulla terribile tratta degli schiavi, che come sappiamo assunse dimensioni enormi nel corso del Settecento. In cambio di armi e oggetti di scarso valore, i mercanti inglesi compravano nel Golfo di Guinea gli schiavi che poi rivendevano ad alto prezzo nelle Americhe, come forza-lavoro per le piantagioni tropicali di caffè, zucchero e cotone; il triangolo si chiudeva importando nella madrepatria quei prodotti, e tra questi soprattutto il cotone, la materia prima indispensabile alle filande del Lanchshire. Ma fu l’Oceano Indiano, molto più dell’Atlantico, il cuore del primato mondiale britannico. Attorno alla metà del Settecento, l’olandese Voc entrava in un declino definitivo. Nello stesso periodo, la sua omologa inglese, la Compagnia delle Indie Orientali (East Company), cominciò a incunearsi in India, in particolare nel Golfo del Bengala, sfruttando la crescente debolezza dell’impero Moghul e le rivalità tra i vari principati locali. Inizialmente fu una penetrazione soprattutto commerciale, sia pure diversa da quella olandese: gli inglesi puntavano infatti non sul commercio di prodotti di lusso come il pepe e le spezie, ma su quello dei tessuti di cotone, che assicurava profitti più bassi per unità di prodotto, ma volumi di traffico molto più ampi. Inoltre, la East Company affiancò alla penetrazione commerciale la conquista territoriale, e la battaglia vittoriosa di Plassey (1757) pose le basi di un impero, governato dalla East Company per conto della corona britannica, che soppiantò di fatto la dinastia Moghul. Così, i profitti del commercio monopolistico vennero presto superati dalle enormi quantità di denaro ottenute dalla imposizione di tributi all’India coloniale: tasse che arrivarono ad essere due volte più onerose di quelle che i contadini indiani erano abituati a versare alla dinastia Moghul; soprattutto, tasse che servivano non alle spese interne indiane (opere pubbliche), ma che andavano in Inghilterra, direttamente o indirettamente (cioè, nel secondo caso, comprando il tè cinese, molto richiesto dai consumatori britannici). Sul piano finanziario, la grande massa di denaro riscosso in forma di tributi dall’India consentì all’Inghilterra di avere una posizione molto solida: si pensi che verso il 1780 il debito pubblico inglese era pari a quello francese (215 milioni di sterline) ma gli interessi annui pagati erano la metà (7 milioni contro 14), perché la Gran Bretagna era un cliente molto più affidabile per le banche. Pertanto, l’Inghilterra poté finanziare le costosissime guerre contro la Francia rivoluzionaria senza indebitarsi troppo; e poté fare a meno dei prestiti dei banchieri olandesi, arrivando anzi a sostituirsi ad essi, all’inizio dell’Ottocento, cosicché la City di Londra divenne il centro della finanza internazionale. Sul piano commerciale, l’Inghilterra distrusse la florida economia artigianale di tessuti dell’India, fino a trasformare quel paese nel principale mercato di esportazione delle industrie inglesi. La svolta ebbe luogo nel 1813, quando gli interessi dei manifatturieri britannici ottennero dal governo l’abolizione del monopolio della East Company sul commercio con l’India. Da quel momento i tessuti inglesi, coi loro prezzi bassissimi, invasero il mercato indiano e l’India, che fino ad allora non importava tessuti inglesi (anzi, era stata nel Settecento la maggiore esportatrice mondiale nel settore tessile), nel 1860 assorbiva il 31% delle esportazioni britanniche, ed era ormai completamente deindustrializzata. Nel 1857 la East Company venne sciolta, in seguito a una rivolta che dilagò in tutta l’India, e che venne peraltro repressa con estrema ferocia. Il tempo delle compagnie monopolistiche era ormai finito, e il governo dell’India fu affidato a un vicere dotato di vasti poteri. Sul piano militare, l’Inghilterra costituì in India un esercito coloniale, guidato da ufficiali inglesi ma formato da indiani (e pagato con i tributi degli stessi indiani !) che divenne per la Corona britannica una formidabile macchina bellica. Infatti, pur diminuendo molto il numero di soldati inglesi in servizio (dal 5,4% della popolazione nel 1700 all’1,7% nel 1850), l’Inghilterra poté non solo controllare i 200 milioni di sudditi indiani, ma anche condurre un enorme numero di guerre coloniali: dieci solo nel sub-continente indiano, e ben 6 cinquanta, dall’Africa all’Afganistan alla Birmania alla Cina, dal 1803 al 1901. E tutto questo mentre, in Europa, la Gran Bretagna praticava e riusciva ad imporre anche alle altre potenze una politica di pace! Particolarmente infame fu il modo in cui fu assoggettato l’altro gigante dell’Asia, la Cina. Da secoli, gli europei avevano una grande difficoltà nei rapporti commerciali con quel paese: essi infatti non avevano prodotti interessanti per i cinesi, per cui il tè e i prodotti di lusso di quella civiltà, molto richiesti in Occidente, dovevano essere pagati con oro o argento, cosa che determinava una fuoriuscita a senso unico di metalli preziosi verso la Cina. Dopo il 1813 la East Company, espropriata del monopolio commerciale con l’India, intensificò il commercio del tè cinese, pagandolo con una parte delle tasse estorte all’India. Ma poiché questo non bastava, essa si lanciò nel commercio clandestino dell’oppio indiano verso la Cina, che ebbe un aumento vertiginoso. Di fronte ai disastri morali e materiali che ciò provocò nella società cinese, con il dilagare delle fumerie e dei tossicodipendenti, il governo cinese prese provvedimenti per bloccare questo turpe contrabbando. La confisca di un carico di oppio e l’incarcerazione dei contrabbandieri provocò in Gran Bretagna la decisione di muovere guerra alla Cina, approfittando della debolezza politica dell’impero cinese in quel periodo, e della sua inferiorità tecnologica sul piano militare. La marina da guerra britannica, con le sue cannoniere corazzate, vinse facilmente la prima guerra dell’oppio (1839-42). Il trattato di Nanchino che ne seguì fu il primo dei cosiddetti “trattati ineguali” imposti dall’Inghilterra, e dall’Occidente, al millenario impero cinese. Pochi anni dopo, per un futile pretesto, la Gran Bretagna condusse una seconda guerra dell’oppio (1856-58), conclusa con l’occupazione militare di Pechino. Oltre a pagare pesantissime indennità, e a dovere cedere Hong Kong, l’impero cinese dovette liberalizzare il commercio dell’oppio, e accettare trattati commerciali che aprivano il mercato cinese non solo all’Inghilterra, ma anche alle altre potenze occidentali. Così la Cina perse di fatto la sua indipendenza economica, e divenne una semi-colonia. Negli anni settanta dell’Ottocento, l’oppio rappresentava il 43% delle sue importazioni (!), e l’enorme quantità di argento che usciva dal paese per pagare questa droga completava un altro turpe “commercio triangolare”, anch’esso ad esclusivo vantaggio della Gran Bretagna. Infatti l’India, esportando l’oppio, favoriva la fornitura di tè cinese all’Inghilterra; la Cina, consumando l’oppio, facilitava il trasferimento di reddito dall’India all’Inghilterra (in forma di tasse e di acquisto di tessuti di cotone); l’Inghilterra, consumando tè, contribuiva ad aumentare in Cina la richiesta di oppio indiano. Dunque il primato britannico, che in una prospettiva europea appare come il coronamento dei progressi del paese più “civile”, moderno, liberale e pacifista, se osservato in una prospettiva di storia mondiale si rivela fondato su ben altre basi… Il “dorato declino” del primato britannico, in Europa Richiameremo ora una serie di informazioni dal libro di testo (v.1^modulo cl.4^), dandole per note. La “Grande Depressione” (1873-96), avviata dalla rivoluzione dei trasporti navali che mise in ginocchio i produttori agricoli europei, ebbe tre fondamentali conseguenze: 1) l’abbandono del liberismo da parte dei governi europei – con la rilevante eccezione di quello inglese – , e il ritorno a politiche protezionistiche; 2) la corsa delle potenze europee – e in seguito anche degli Usa – alla conquiste di colonie, sia per motivi economici che di prestigio, nel nuovo clima di più accesa competizione internazionale; 3) una profonda trasformazione dei sistemi produttivi, che viene comunemente chiamata “seconda rivoluzione industriale”, caratterizzata da: a) un ruolo molto maggiore della ricerca scientifica e tecnologica applicata alla produzione; b) l’emergere di nuovi “settori strategici” quali la siderurgia, la chimica, l’elettricità e in seguito l’automobile, tutti caratterizzati da grandi dimensioni delle imprese (il “gigantismo industriale”); c) la necessità di grandi investimenti, e quindi di un nuovo rapporto tra capitale finanziario e capitale industriale, cioè tra banche e imprese. Tutti questi elementi concorsero a indebolire il primato britannico. Sul piano politico-militare, la corsa al riarmo e alla conquista di colonie, e la conseguente tensione tra le maggiori potenze europee, cambiarono completamente il quadro delle relazioni internazionali: l’Inghilterra non fu più la sola ad avere un grande impero coloniale, nel mondo; e in Europa, essa non poteva più governare la politica di equilibrio da una posizione “super partes”. Divenne anzi una parte in causa, in particolare nella sfida ingaggiata con la Germania per il riarmo navale. Sul piano produttivo, le conseguenze furono ancora più profonde. Il sistema produttivo britannico, vincente nella prima rivoluzione industriale, era basato sulle aziende familiari (cioè condotte da singoli imprenditori, che ne trasmettevano la proprietà e la gestione ai discendenti), di medie dimensioni, molto specializzate in singoli sotto-settori (ad es. filatura, o tessitura), piuttosto semplici nella gestione interna, non molto avanzate nella ricerca scientifica e tecnologica, con modeste necessità di ricorrere a finanziamenti esterni. La seconda rivoluzione industriale, che partì dalla Germania e dagli Usa, aveva caratteristiche del tutto nuove. Di fronte al calo dei profitti e alla competizione sempre più serrata provocati dalla Grande Depressione, i sistemi produttivi di quei paesi si riorganizzarono cercando di limitare la concorrenza tra le imprese, e per fare questo andarono nella direzione della concentrazione industriale. Germania e Usa adottarono però forme di concentrazione diversa. In Germania prevalse la concentrazione orizzontale, cioè la fusione tra aziende che operavano nello stesso settore, spesso mediante l’assorbimento delle piccole da parte delle più grandi; e ciò 7 si realizzò sotto la regìa politica dello stato, e con un forte intervento del capitale finanziario, cioè delle banche d’affari, che arrivarono a detenere gran parte dei pacchetti azionari delle aziende. Negli Usa, invece, dove l’integrazione orizzontale fu ostacolata da apposite leggi antitrust, prevalse l’integrazione verticale, cioè tra aziende fornitrici e aziende-clienti, per riunire tutte le fasi produttive, dal reperimento della materia prima alla vendita del prodotto finito. Sia nel caso tedesco sia in quello americano, si modificarono anche gli assetti proprietari e di gestione: la proprietà delle imprese era sempre meno detenuta da singole famiglie, come nel modello britannico, e sempre più da società per azioni; e, soprattutto, la proprietà era separata dalla gestione, che veniva affidata a nuove figure, i top-managers, a capo di gerarchie manageriali specializzate nelle diverse funzioni. Nacquero così il management scientifico, e il capitalismo manageriale, che sarebbero diventati dominanti nel corso del Novecento. Pertanto, la Gran Bretagna cessò di essere la maggiore potenza industriale, e dagli anni settanta dell’Ottocento perse terreno di fronte alla crescita imponente dell’industria tedesca e americana. Nel lungo periodo, il modello americano si rivelò la formula più efficace, che finì per scalzare il primato britannico. Nell’immediato, però, la sfida più minacciosa per la Gran Bretagna si rivelò quella portata dal capitalismo tedesco, perché la Germania diventò una pericolosa concorrente anche sul piano politicomilitare, per l’egemonia in Europa. E la sfida militare tra Gran Bretagna e Germania avrebbe poi condotto, nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale. La Gran Bretagna reagì alla perdita del primato produttivo accentuando il ruolo di intermediazione commerciale e, soprattutto, finanziaria. Proprio il periodo tra il 1870 e il 1913 fu quello in cui maggiore fu il ruolo di Londra e della sterlina come perno dell’economia mondiale. Se l’industria inglese languiva, la sua finanza trionfava. I suoi servizi nei campi del commercio, delle spedizioni e delle assicurazioni marittime, delle mediazioni nei pagamenti, degli investimenti e dei prestiti diventarono più che mai indispensabili. Grazie a tutte queste entrate, ad esempio, la crescita del reddito pro-capite in quei decenni fu circa lo stesso in Gran Bretagna e in Germania, anche se la produzione manifatturiera tedesca crebbe di 6 volte, quella inglese solo di 2. E ancora: gli Usa, a differenza della Germania, nei decenni precedenti la prima guerra mondiale raggiunsero e scavalcarono l’Inghilterra sia nella produzione industriale, sia nel reddito totale e procapite; però, l’enorme incremento degli investimenti all’estero inglesi assicurarono alla Gran Bretagna una fetta consistente del reddito americano, sotto forma di dividendi azionari e di interessi sui prestiti, che andarono agli investitori inglesi. Fu la guerra mondiale a spezzare il primato finanziario britannico. ALL’INIZIO DEL NOVECENTO: UN SOLO MONDO, DOMINATO DALL’EUROPA Rifacciamo ora una “fotografia del mondo” all’inizio del Novecento. Non ci appaiono più tanti mondi diversi e in gran parte separati, come duecento anni prima, ma un solo mondo, dominato dall’Europa. Certo, molti aspetti della realtà mondiale non erano ancora chiari. Il declino del primato britannico, iniziato negli ultimi decenni dell’Ottocento, era oscurato dal “dorato autunno” della finanza britannica e dalle dimensioni di un impero senza precedenti nella storia (esteso su un quarto del mondo). Gli Usa non erano più una trascurabile appendice coloniale europea, anzi erano già la prima potenza economica mondiale. Però il “sorpasso” nei confronti del primato britannico non era ancora iniziato, e l’autoisolamento degli Usa, la loro assenza dalla politica mondiale ne sminuiva l’importanza, e lasciava all’Europa il ruolo di padrona del mondo. Guidata dalla Gran Bretagna, l’Europa aveva compiuto in due secoli una formidabile accelerazione, a tutti i livelli. Se iniziamo dalla demografia, notiamo che la popolazione mondiale in 200 anni è raddoppiata, e quella europea è passata da 1/5 a ¼ del totale: AREA 1900 ma l’aumento effettivo fu molto maggiore, se si tiene conto dell’enorme ondata migratoria che popolò di europei le due milioni % Americhe del Sud e l’Australia, di fatto “europeizzandole”. Mondo 1650 100.0 Passiamo agli indicatori economici e sociali, e per farlo Asia 947 57.4 confrontiamo la seconda tabella con quella analoga di p.2: Europa 408 24.1 appare molto netto il passaggio, nell’arco di 200 anni, da Africa 133 8.1 una situazione di sostanziale equilibrio a una situazione di Usa e Canada 82 5.0 forte squilibrio a vantaggio dell’Europa. In due secoli si è America latina 74 4.5 aperta una forbice, che poi ha continuato ad allargarsi nel corso del Novecento (NB: a tal fine sono riportati, per Oceania 6 0.4 confronto, anche i dati relativi al 1980). Già sappiamo che questa forbice, cioè indicatori: Europa mondo lo squilibrio tra l’Europa e il resto del 1900 (1980) 1900 (1980) mondo, fu aperta dalla rivoluzione Pil/abitante 560 (2600) 300 (1100) industriale e dall’imperialismo inglese e poi europeo. Questi due fenomeni, durata vita media, in anni 45 (73) 31 (58) che come abbiamo visto si intrecciarono % mortalità infantile 19 (1,5) 23 (6,1) strettamente, portarono all’inizio del % addetti agricoltura 50 (14) 72 (48) Novecento ad incorporare le altre rendimento grano 14 (36) 8 (19) economie-mondo in un unico sistema- % urbanizzazione consumo ferro/abitante 38 80 kg (67) (400) 16 (39) 25 kg8 (160) mondo sotto l’egemonia europea, o più esattamente occidentale. I tre giganti dell’Asia erano ormai sotto il controllo, diretto o indiretto, dell’Europa, e con essi tutto il continente asiatico, ad eccezione del Giappone. Infatti l’asservimento della Cina alle potenze europee, iniziato con le guerre dell’oppio, si completò nell’anno 1900, quando una rivolta interna fornì alle potenze coloniali l’occasione per un intervento militare congiunto: l’impero cinese diventò così una “semicolonia di tutti”, e alla sua spartizione e spoliazione concorsero anche gli Usa e il Giappone, oltre a tutte le potenze europee. L’India, come ben sappiamo, era il perno dell’impero britannico, che dopo averla totalmente deindustrializzata, a fine Ottocento cominciò a promuoverne un lento e graduale processo di reindustrializzazione e di modernizzazione, pur con molte contraddizioni e tra mille contrasti. Nella civiltà islamica, l’impero turco tra fine Ottocento e inizio Novecento entrò nella fase finale di un declino inarrestabile, che l’avrebbe portato al crollo definitivo nella prima guerra mondiale; e proprio l’instabilità che la crisi di questo impero intercontinentale aprì nei Balcani fu una delle cause della esplosione di quel conflitto. L’Africa, come sappiamo, a partire dal congresso di Berlino del 1878 era stata spartita pressoché totalmente tra le potenze coloniali europee in meno di un ventennio. Finita la tratta degli schiavi, abolita a metà Ottocento, era iniziata l’età del suo sfruttamento coloniale. L’America latina era di fatto, sul piano economico, una periferia dell’Europa, anche se nel corso dell’Ottocento quasi tutti i suoi stati avevano raggiunto l’indipendenza politica. Molto diverso è il caso dell’America del Nord: qui, il Canada apparteneva all’impero britannico, ma gli Stati Uniti erano già diventati la prima potenza economica mondiale, e all’inizio del Novecento avviarono una loro espansione imperialista nel centro-america e nel Pacifico. Ma, come detto sopra, il loro ruolo defilato nella politica mondiale lasciava il primo piano alle potenze europee. Dunque, mai come tra fine Ottocento e inizio Novecento l’Europa appariva trionfante. Come scrive Hobsbawm (1994), la sua civiltà era capitalista nell’economia, liberale nella struttura istituzionale, borghese nell’immagine della classe che deteneva l’egemonia sociale. Era una civiltà che si gloriava dei suoi progressi della scienza, del sapere e dell’istruzione e che credeva nel progresso morale e materiale; era anche profondamente persuasa della sua centralità e superiorità, del suo diritto a dominare il mondo. Ma il rumoroso ottimismo di quell’età, la cosiddetta Belle Epoque, nascondeva il “tintinnare d’armi” che l’avrebbe portata, pochi anni dopo, alla tragedia della prima guerra mondiale, la più spaventosa guerra civile europea della storia. SCHEMA DI SINTESI - Il mondo all’inizio del ‘700: tanti “mondi” diversi e separati, con immensi spazi semidesertici e 4 grandi economie-mondo, corrispondenti ad altrettante aree di civiltà, diverse ma + o - simili come livello di sviluppo: civiltà europea, islamica, indiana, cinese - all’interno dell’economia-mondo europea, il primato britannico stava soppiantando quello olandese, a partire dal commercio marittimo; ma mentre l’Olanda si era solo incuneata alla periferia delle economiemondo asiatiche, l’Inghilterra adottò una politica di controllo territoriale, tramite la East Company, che sottomise l’India; i tributi indiani consentirono di finanziare anche le costose guerre contro la Francia, senza indebitarsi, ed anzi sottraendo all’Olanda anche il primato finanziario - l’Inghilterra, oltre al primato marittimo, e a una serie continua di guerre che nel corso del ‘700 le permisero di espandere i suoi domini coloniali, e di controllare il commercio triangolare atlantico (basato sulla tratta degli schiavi), aveva altri fattori di vantaggio: un sistema politico egemonizzato da un’aristocrazia sensibile agli interessi borghesi una radicale modernizzazione dell’agricoltura in funzione del mercato… un’economia monetaria e un mercato interno su scala nazionale - tutti questi fattori favorirono l’avvio, dalla 2^metà del ‘700, della rivoluzione industriale, con largo anticipo, anzi inizialmente in solitudine, cioè senza concorrenza: 1^fase: fra anni ’70-’80 del ‘700 e 1840: primato del settore tessile, con meccanizzazione prima della filatura poi della tessitura, e creazione del moderno sistema di fabbrica (da cui, crollo del sistema tradizionale della manifattura a domicilio, controllato dai mercanti); 2^ fase: dagli anni ’40, primato del settore ferroviario, mentre l’industrialismo si diffondeva, gradualmente e in tempi e modi diversi, ad altri paesi europei; dagli anni ’50, affermazione del liberismo in GB, adottato per un ventennio da diversi altri paesi europei - sul piano politico, per tutto il secolo 1815-1914 l’Inghilterra fu la principale artefice di una politica di equilibrio e di pace in Europa, che le consentì di impiegare i suoi mezzi militari in un gran numero di guerre coloniali (con risorse umane e finanziarie tratte dall’India): da ciò anche il controllo dell’altro grande “commercio triangolare”, con india e Cina, tramite il graduale asservimento economico della Cina, dalla metà 9 dell’800, e il controllo diretto dell’India, mentre proseguivano gli scambi con le ex colonie americane (Usa, da fine ‘700) - la Grande Depressione (1873-1895), la prima crisi economica moderna, cioè di sovrapproduzione (aumentò l’offerta di manufatti, per l’estendersi dell’industrializzazione, e dei prodotti agricoli, per la rivoluzione dei trasporti che immise sui mercati i cereali extraeuropei), ebbe diverse conseguenze: - ritorno al protezionismo, agricolo e industriale (ad eccezione della GB); - ricerca di mercati alternativi, e di conseguenza l’imperialismo, con la spartizione coloniale dell’Africa (ultimo ventennio ‘800) e di gran parte dell’Asia - emigrazione di massa dall’Europa alle Americhe - profonda ristrutturazione dei sistemi produttivi, ovvero la 2^rivoluzione industriale, che iniziò in Germania e negli Usa nell’ultimo trentennio ‘800, caratterizzata da: gigantismo industriale, nuovo rapporto stato-banche-imprese e scienza-tecnologia, nuovi settori trainanti: fu il passaggio dal capitalismo concorrenziale a quello monopolistico - a inizio ‘900, un unico sistema-mondo dominato dall’Europa, con crescenti tensioni tra le potenze europee, e la GB non più all’avanguardia sul piano industriale, ma più che mai centro nevralgico dell’economia mondiale per gli scambi commerciali e finanziari Temi, materiali e indicazioni di lavoro: § Il caso britannico Rispetto al modello generale di analisi (vedi sopra), questo caso è rilevante soprattutto per A, in particolare per la precocità e la gradualità con cui si affermò il costituzionalismo liberale. Su questo punto, vedi scheda di sintesi (dispensa) su eventi e processi dalla fine del Seicento alla fine dell’Ottocento, e pre-conoscenze dal 1^ modulo. § il caso francese: la rivoluzione francese e la restaurazione, il Quarantotto 1. Dopo avere sintetizzato la situazione della Francia a metà del Settecento (Sez. 2, cap.1.1 e 1.2), analizzate separatamente ciascuna delle tre fasi della Rivoluzione francese: la fase monarchico-costituzionale (cap.1.3-4-5-6, da pag.140 a 148 metà) la fase repubblicana-giacobina (cap.1.7-1.9 metà, da pag.148 metà a 153) la fase dal Termidoro all'ascesa di Napoleone (pp.154-155 e, in breve, 165-167 e 169-179), svolgendo le seguenti operazioni (lavoro di gruppo): § costruite una cronologia ragionata (la sequenza dei 10-12 eventi e processi più significativi) § individuate i principali soggetti collettivi (classi, o gruppi, o partiti) che ebbero un ruolo fondamentale nella fase esaminata § valutate gli eventi/processi alla luce delle tre tendenze/contrapposizioni del modello generale (A1-2, B1-2, C1-2) 2. Sul congresso di Vienna e la Restaurazione (pp.222-223 e le due carte p.223-225), riassumere le scelte di fondo cui si ispirò il congresso di Vienna, e la nuova geografia politica europea 3. Sul 1848 in Francia, analizzare pp.266-67-71(metà) sulla base della seguente variante del modello: A.1 Assolutismo A.2 Costituzionalismo liberale B.1 Legittimismo dinastico B.2 Stato-nazione C.1 Ordine borghese C.2 Rivoluzione sociale § Stato e questione nazionale: il caso degli Stati Uniti Sul periodo dalle origini alla fine del sec.XIX, utilizzare i materiali di seguito indicati per individuare: a. le specificità della storia politica americana b. le contrapposizioni sulle quali si sviluppò la vita politica negli Usa Materiali del manuale: p72-6; 230-32; 388-92 (e/o monografia p. 443-52 sulla frontiera) e doc. di P.Kennedy p.436-37 sull’ ascesa degli Usa § Stato e questione nazionale: il caso tedesco Sulla Germania, dagli anni ’30 alla fine dell’Ottocento, utilizza le parti del manuale a: p.248; 266;273; 333-4;353-6; 395-98 (dagli anni ’30 a fine secolo),per fare le seguenti operazioni: a. costruire una cronologia ragionata; b. valutare come A e B (vedi modello generale) si intrecciarono nel caso tedesco, e con quali effetti sul sistema politico-istituzionale dello stato 10