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5 settembre 2012
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Florovivaismo
Cacciatori di piante
Mario Margheriti
La ricerca di nuove specie vegetali
è quanto mai attuale: le strategie
dei moderni esploratori botanici.
L’osservazione, lo studio e la raccolta di specie vegetali
hanno sempre accompagnato il cammino dell’uomo la
cui attenzione, inizialmente rivolta alle piante commestibili e medicinali, fu in seguito ampliata a quelle utili a
fini cosmetici e, in ultimo, alle ornamentali.
L’interesse per le piante ornamentali ebbe inizio nel Rinascimento, ma esplose nel diciottesimo secolo, grazie
allo sviluppo delle esplorazioni e dei commerci con Paesi lontani. Botanici, giardinieri, missionari, diplomatici
e uomini d’avventura – su incarico di sovrani e nobili, e,
in epoche successive, di orti botanici, università e grandi vivai – cominciarono a introdurre in Europa un numero sempre maggiore di specie esotiche. Grazie a questo esercito di “cacciatori botanici”, che non esitarono
ad affrontare viaggi disagevoli e pericoli d’ogni genere,
molte specie originarie di tutti i continenti sono diventate presenze comuni nei giardini italiani. Ancora oggi
università e centri di ricerca (quali i Kew Gardens di
Londra) organizzano spedizioni botaniche alla ricerca di
specie sconosciute ovvero delle specie originarie di
piante già conosciute, da utilizzare per migliorare la rusticità dei cloni perché più robuste rispetto alle piante
riprodotte per lungo tempo nei vivai. Tuttavia, accanto
ai cacciatori di piante odierni, che ancora battono palmo a palmo altopiani, montagne e giungle, sono da annoverare anche i vivaisti curiosi e profondamente appassionati del proprio mestiere, alla costante ricerca di
novità vegetali da introdurre in coltivazione. Quando,
nel 1978, ho fondato quello che oggi è il gruppo florovivaistico Torsanlorenzo (che attualmente vanta 17 aziende di produzione e commercializzazione, situate in Italia e all’estero, e un catalogo che comprende oltre 5.700
varietà di specie arboree, arbustive ed erbacee) ho subito pensato a ricercare nuove specie sia attraverso viaggi
sia tramite cataloghi di vivai stranieri e il confronto con
paesaggisti e appassionati, in particolare olandesi, inglesi e australiani.
La miniera australiana
Le piante australiane – la flora locale annovera circa
18.000 specie per la maggior parte ancora sconosciute
al mercato europeo – sono particolarmente interessanti
dal momento che possiedono buone potenzialità di adattamento al clima mediterraneo. Come i cisti, i cipressi, le fillireee, i mirti, i corbezzoli e tutte le altre
piante tipiche della macchia mediterranea, le australiane presentano un fogliame coriaceo, capace di riflettere
i raggi solari, un’alta concentrazione di oli essenziali che
riducono l’evapotraspirazione e radici ramificate in grado di trovare l’acqua sia in profondità sia in superficie.
Sono caratterizzate da una buona rusticità e un’estrema
resistenza nei confronti della radiazione luminosa diretta, del caldo, dell’aridità, del vento e della salsedine. Inoltre, al pari delle piante mediterranee, quelle australiane tendono ad avere un portamento compatto, motivo per il quale non richiedono potature frequenti. Si
tratta, quindi, di piante con limitate esigenze idriche e
manutentive, adatte a climi caldi e asciutti, giardini delle seconde case, verde pubblico in situazioni difficili.
Alcune, resistenti alla salsedine, possono essere utilizzate con successo per stabilizzare le dune.
L’introduzione di nuove piante
Nel ventunesimo secolo la ricerca varietale non è certo
terminata. Attraverso i cataloghi, ormai disponibili anche via internet, individuiamo le specie più interessanti
e promettenti. Per ciascuna di queste acquistiamo non
meno di 1.000 semi con i quali iniziamo la coltivazione
e verifichiamo la risposta al nuovo ambiente. Dopo la
germinazione, le giovani piante sono suddivise in grup-
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censis e relative varietà sono alberi sempreverdi dalle
foglie coriacee, di colore verde argenteo, e dai fiori spettacolari, simili a piumini rossi (si veda
l’immagine). Altri generi di origine
australiana di particolare interesse
sono Acacia, Banksia, Brachyglottis, Dodonaea, Kunzea, Myoporum, Pittosporum e Senna.
L’ultima introduzione in ordine di
tempo – a testimonianza dell’incessante lavoro di ricerca dei nostri
vivai – è Swainsona formosa (nella
fotografia una piantina in vaso), un
arbusto della steppa australiana dai
fiori di colore rosso: dalla semina
del settembre 2011 abbiamo ottenuto circa 200 piante delle quali
stiamo studiando l’adattabilità al
clima e le migliori tecniche colturali.
pi da sottoporre a condizioni colturali diverse in modo
da valutarne la resistenza a fattori
quali il freddo, il caldo, la siccità e
le malattie. In questo modo, in genere dopo due o tre anni dalla semina, il vivaio può avviare la riproduzione
agamica
della
specie/varietà.
Un altro aspetto importante di cui
teniamo conto nella selezione delle
piante da introdurre è l’epoca di
fioritura. In Italia, infatti, si richiedono soprattutto piante in grado di
fiorire fra aprile e giugno e, quindi,
in settembre: la fioritura estiva non
interessa dal momento che coincide con il periodo feriale.
Individuate le specie migliori, ricerchiamo le cultivar e gli ibridi
più interessanti e, contemporaneamente, estendiamo
l’indagine all’intera famiglia in modo da verificare se
questa comprenda altre specie meritevoli.
Novità da tutti i continenti
Oltre alle piante australiane e neozelandesi, l’interesse è
rivolto alle specie sudafricane, la
maggior parte delle quali sono subtropicali e, quindi, adatte a molti
nostri ambienti più meridionali.
Dal momento che provengono da
una terra in cui la stagione invernale è asciutta, si tratta di piante
caratterizzate da foglie coriacee,
buona resistenza al freddo e
un’estrema tolleranza a climi caldi
e secchi. Alcuni interessanti esempi
sono costituiti da Tarchonanthus
camphoratus, un cespuglio dalle
foglie persistenti di colore grigioverde che emanano un forte odore
di canfora; Sutherlandia frutescens, dai luminosi fiori papilionacei, resistente sia alla siccità sia al
gelo; Burchellia bubalina, conosciuta come melograno africano per l’aspetto dei frutti
commestibili. Vi sono alberi dalle fioriture curiose quali
Bauhinia galpinii, Erythrina sp., Sparrmannia africana, il tiglio africano, Balusanthus speciosus, chiamato
“glicine arboreo” per gli spettacolari mazzi di fiori viola.
Molte di queste specie sudafricane hanno notevoli po-
Alcuni esempi
Dal 1978 a oggi, ho introdotto in
Italia circa 300 specie di origine australiana o neozelandese, molte delle quali sono state successivamente
diffuse anche all’estero. Tra le prime
piante esotiche introdotte ricordo il
genere Callistemon che, grazie alle
infiorescenze a scovolino di colore
rosso fuoco, alle foglie appuntite e
al-l’estrema resistenza alla siccità,
ha conquistato rapidamente il mercato. Tempo dopo, il medesimo percorso è stato seguito anche da Chamelaucium uncinatum, arbusto dal
fogliame sottile, soprannominato
wax flowers, ossia “fiori di cera”,
per l’aspetto particolare delle sue
corolle: una specie inizialmente
sconosciuta che ora viene offerta addirittura dalla grande distribuzione organizzata e della quale esistono numerose varietà, caratterizzate da fiori di colore rosa,
bianco e porpora.
Metrosideros è un genere che riscuote un crescente successo: M. excelsa, M. collina, M. robusta, M. kermade-
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tenzialità, oltre che per il bacino del Mediterraneo, anche per il medio oriente, un mercato interessante e in
espansione per le imprese vivaistiche.
Negli ultimi dieci anni abbiamo valutato e messo in
produzione molte graminacee ornamentali, estremamente decorative, resistenti al secco e alla salinità. Inoltre, abbiamo introdotto svariate specie tropicali, adatte
a climi caldi e umidi, quali Millingtonia hortensis –
molto usato in India come alberatura stradale – e oltre
120 specie e varietà di palme e assimilate, quali Yucca,
Musa e Strelitzia, provenienti tutto il mondo. Le palme
– nonostante l’interesse nei loro confronti sia leggermente scemato a causa della diffusione del punteruolo
rosso – sono un forte elemento di connotazione del paesaggio grazie alla loro altezza e alla forma svettante. In
passato, probabilmente, vi è stato un uso eccessivo di
palme al punto che si è assistito a una banalizzazione
del paesaggio. Tuttavia, a seguito della distruzione di
questo patrimonio vegetale dovuta al punteruolo rosso,
nel paesaggio mediterraneo sono tornati lecci, querce e
altre specie caratteristiche.
cancellato il nome delle specie e varietà, contribuendo
all’appiattimento del sapere botanico e ha abbassato i
prezzi mettendo in difficoltà molti operatori. Inoltre,
richiede continue novità che vengono “bruciate” rapidamente, una dopo l’altra. In passato, una nuova specie
o varietà durava almeno dieci anni, oggi dopo un anno è
sorpassata e sostituita, anche perché, in poco tempo, il
mercato ne è invaso, grazie a tecniche di riproduzione
che permettono di ottenere una grande quantità di individui in poco tempo. Di conseguenza, introdurre e mettere in produzione nuove specie/varietà è un investimento sempre più rischioso: a fronte del grande lavoro
necessario per la ricerca, la sperimentazione, la propagazione, la coltivazione e la cartellinatura, non vi è certezza che, una volta pronta a essere commercializzata, la
specie/varietà possa interessare ancora al mercato. Non
solo, con l’avvento della grande distribuzione, le piante
sono “consumate” in quantità maggiori ma… nel modo
sbagliato: troppo potate, brachizzate, concimate, sono
allevate per essere adatte al rapido consumo ma non al
giardino. Sono quindi peggiorate nell’aspetto, più deboli, pressoché impossibili da acclimatare e prive della
“nobiltà” che dovrebbero avere. A cominciare dalle specie da esterno, quali azalee, ortensie, gardenie e, da ultimo, Duranta sp., Stephanotis sp. e passiflore, che sono invece vendute per l’appartamento, dove inevitabilmente muoiono, avvalorando così l’idea che si tratti di
articoli “usa e getta” e non di beni preziosi di cui prendersi cura nel tempo. Questo è ciò che richiede il mercato moderno e, spesso, i produttori sono costretti ad assecondarlo.
I problemi del mercato contemporaneo
Negli anni settanta del secolo scorso si percepiva un
grande e sincero entusiasmo verso il mondo vegetale e i
giardini. Tutte le principali testate – L’Espresso, La Repubblica, Il Sole 24 Ore – e non soltanto quelle di settore parlavano di paesaggio e lo facevano attraverso personaggi del calibro di Ippolito Pizzetti, Guido Piacenza e
Paolo Pejrone. Era l’epoca in cui Joan Tesei, con voli di
linea dall’Inghilterra, portava in Italia le rose antiche,
allora una novità assoluta. C’era una ricerca continua
per ciò che era nuovo e sconosciuto, un fermento, una
sana rivalità tra vivaisti che rendeva le nuove specie e
varietà molto preziose.
Oggi, questo interesse appare appiattito: si parla ancora
di piante e giardini, ma in modo superficiale. Il giardino, perlomeno nella maggior parte dei casi, è diventato
uno status symbol da esibire per mostrare la propria
ricchezza e non un bene speciale e personale da amare,
conoscere e crescere. Le piante sono ormai vendute anche al supermercato, in grande quantità, e nessuno conosce più il nome della varietà: sono indicate soltanto
con il colore. Che senso ha, allora, avere in catalogo 50
varietà di camelie, se il mercato ne richiede soltanto una
a fiore rosso, una a fiore rosa e una a fiore bianco?
Buona parte del mercato è in mano alla grande distribuzione e alle sue regole con diversi risvolti negativi: ha
Guardare avanti
È importante tornare a scrivere e a parlare di verde come negli anni settanta del secolo scorso. Occorre fare
cultura, aldilà degli interessi commerciali immediati.
Per questo motivo, ho ideato il Premio internazionale di
paesaggismo Torsanlorenzo, rivolto ai più importanti
professionisti del settore di tutto il mondo, e il Premio
Prestigio, dedicato a chi contribuisce allo sviluppo della
conoscenza e della cultura del verde e a promuovere politiche territoriali e ambientali. Per entrambi, la prossima edizione sarà nel maggio 2013.
Mario Margheriti, fondatore del gruppo florovivaistico Torsanlorenzo.
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