copertura delle recessioni gengivali dopo innesto di connettivo con

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AGGIORNAMENTO PROFESSIONALE
PROFESSIONAL UPDATING
Arnaldo Marzotti
Maurizio Maggioni
Paolo Cremona
Simone Grandini*
COPERTURA DELLE RECESSIONI GENGIVALI
DOPO INNESTO DI CONNETTIVO
CON TECNICHE DI LEMBO BILAMINARE
Liberi professionisti
*Università degli Studi di Siena
Cattedra di Endodonzia Clinica
Professore supplente
TREATMENT OF GINGIVAL RECESSIONS
AFTER CONNECTIVE TISSUE GRAFT
WITH BILAMINAR FLAP TECHNIQUES
RIASSUNTO
PAROLE CHIAVE
Scopo del lavoro. Lo scopo di questa indagine è verificare la predicibilità degli
interventi a lembo, con innesto connettivale libero, per la ricopertura di
recessioni radicolari.
Materiali e metodi. Gli autori esaminano i risultati, a sei mesi dall’intervento
chirurgico, in un gruppo di 32 casi di recessione tissutale periradicolare, trattati
con innesto connettivale al di sotto di un tunnel a tasca vestibolare o di un
lembo bilaminare da spostare coronalmente.
Risultati e conclusioni. Gli autori confermano la predicibilità degli esiti
postchirurgici di tale tecnica, osservando come la ricopertura radicolare sia
buona e così l’estetica conseguente e la soddisfazione dei pazienti. Si
chiedono, inoltre, se gli attacchi neoformati siano funzionalmente validi per
garantire risultato nel tempo e osservano come, in ogni caso, ci sia un notevole
recupero di gengiva propria rispetto alla situazione di partenza.
Recessione gengivale, lembo
bilaminare, innesto connettivale,
esito in guarigione predicabile.
ABSTRACT
KEY WORDS
Aim of the work. The aim of this study is to assess the predictability of flap
techniques with connective tissue graft for treating gingival recessions.
Materials and methods. The authors analyse the results at 6 months after surgery
in a group of 32 cases with periradicular tissue recession treated by connective
tissue graft below a vestibular pocket tunnel or a bilaminar flap to be coronally
positioned.
Results and conclusions. The authors confirm the predictability of postsurgical
results obtained by this technique, observing the eventful radicular covering, as
well as the esthetic result and the patients’ satisfaction. They also wonder if the
newly formed attachments are functionally acceptable for assuring a good result
over time and they underline that, in any case,, there is a significant gingival
recovery compared with the initial situation.
Gingival recession, bilaminar flap,
connective tissue graft.
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INTRODUZIONE
L’impiego di tecniche di chirurgia
parodontale resettiva incontra sempre minori consensi, anche se i meccanismi di guarigione sono prevedibili e stabili, proprio per l’inestetismo che si viene a creare come
conseguenza del rimodellamento
dei tessuti duri e del riposizionamento apicale di quelli molli.
L’attività chirurgica, quindi, si rivolge prevalentemente a tecniche
di rigenerazione tissutale, con cui
risolvere atteggiamenti disfunzionali e problemi di natura estetica.
Al di fuori di poche eccezioni, la
paradontologia operativa resettiva
non è più accettata.
Diviene preminente la correzione di
difetti estetici e, tra questi, la necessità di ricreare papille e di ricoprire scoperture radicolari impone
atteggiamenti chirurgici particolari.
L’allungamento clinico della corona
dei denti, i cui tessuti duri e molli hanno subito una recessione, deriva
dall’usura o dallo spostamento apicale, rispetto alla giunzione smaltocemento, dei tessuti stessi; in tutti
questi casi, l’osso vestibolare che ha
subito la recessione è perso senza
possibilità di recupero.
Il fenotipo gengivale determina le
modalità della recessione, nel senso che, se preesiste una banda di
gengiva propria spessa e poco festonata, presumibilmente si realizza una recessione larga che
mantiene una buona altezza di
tessuto cheratinizzato residuo. Nel
caso in cui il parodonto sia sottile e
festonato, è facile che la recessione sia stretta e dolente alle sollecitazioni meccaniche e che sia andata perduta interamente la gengiva
presistente.
L’eziopatogenesi delle scoperture radicolari è sempre la conseguenza di
un processo flogistico acuto, con la
caratteristica di riacutizzarsi in modo
episodico, innestandosi su precedenti
di natura meccanica o meno.
Ne consegue una migrazione della
mucosa orale a sostituire epitelio e
connettivo distrutti, anche se il punto di partenza del processo è diverso a seconda della causa iniziale che la provoca; nelle recessioni
di natura microbica, la distruzione
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inizia sempre dall’epitelio sulculare; nelle lesioni di origine meccanica, la recessione inizia dai tessuti
confinanti con la mucosa orale per
migrare poi verso l’interno.
Riassorbimento tissutale da edentulia contigua alla scopertura, cause
di natura pre e postortodonzia, spazzolamento scorretto dei denti, presenza di inserzioni mucose, traumatismo occlusale, oltre a episodi
flogistici iniziali e concomitanti, sono le cause più frequenti delle recessioni. Va tenuto presente che ogni mancanza grave di tessuto di
sostegno, anche nella zona interprossimale, condiziona l’inefficacia
della chirurgia di riparazione; per la
IV Classe della classificazione delle recensioni di Miller, non è prevedibile
alcun risultato. Dal punto di vista funzionale, la recessione tissutale spesso è causa di ipersensibilità radicolare, con ostacolo conseguente alle
manovre di rimozione della placca.
Dal punto di vista estetico, invece,
oltre all’aspetto più lungo del dente, è spesso presente un’alterazione
di colore del cemento esposto. Il contrasto cromatico, poi, indotto dalla
presenza di tessuto cheratinizzato
intorno a denti vicino ai quali uno o
più elementi sono circondati da
mucosa non specializzata, spesso altera significativamente la qualità estetica della zona.
La chirurgia parodontale dei tessuti molli che bisogna effettuare,
quindi, si rivolge prevalentemente
a necessità rigenerative, utilizzando tecniche che datano anni ottanta, anche se rivisitate e migliorate. Non c’è nulla di nuovo nelle
pubblicazioni di oggi più predicibile in termini di successo. Bisogna
chiedersi il perché.
Le ottimizzazioni delle tecniche, il
disegno rivisitato dei lembi di apertura e di richiusura, l’utilizzo di
materiali di sutura ideali sono, probabilmente, la risposta al quesito di
prima. Anche i tessuti selezionati
per realizzare l’innesto dovranno
possedere caratteristiche cromatiche analoghe a quelle della gengiva di partenza.
Gli innesti subepiteliali bilaminari rappresentano la tecnica che offre maggiori probabilità di successo nella ricopertura; a nostro avviso, i lembi li-
beri di gengiva e di tessuto alloplastico non garantiscono una predicibilità certa. Ancora, le tecniche bilaminari che prevedono interventi per
la rigenerazione tissutale protetta da
sistemi barriera sortiscono effetti
non sempre analoghi ai precedenti,
per cui si possono ritenere, sempre
a nostro avviso, un’inutile esibizione di preziosismo tecnicistico, per
lo meno nelle recessioni di dimensioni inferiori ai 5 mm.
L’esito di guarigione di una qualunque delle numerose tecniche di
ricopertura deve, in ogni caso,
prevedere, in assenza di fenomeni
flogistici residui, l’esistenza di una
valida banda di gengiva propria
che copra la giunzione smalto-cemento, un sondaggio nei limiti, un
riassetto istologico che replichi le
condizioni di integrità.
Gli interrogativi che ci si deve porre, a questo punto, riguardano la
possibilità che la mucosa intorno alla recessione, in seguito all’innesto connettivale, possa trasformarsi
in tessuto privilegiato intorno alla
scopertura e che, di conseguenza,
le caratteristiche istologiche degli
attacchi neoformati garantiscano
l’efficacia funzionale del sistema.
In una pubblicazione di qualche anno fa, avevamo accertato, negli innesti alloplastici, che, istologicamente, l’apparato di attacco che si
riforma non è quasi mai connettivale, in sintonia con la bibliografia
più accreditata; Harris (1) riporta
conclusioni analoghe, anche se riferisce che le tecniche che impiegano membrane sembrano meno
efficaci nell’indurre ricopertura, per
recessioni inferiori a 5 mm, soprattutto per la frequente esposizione della barriera. A questo proposito, è da verificare anche se l’utilizzo di queste tecniche, che prevedono l’interposizione della membrana tra le due fasi del lembo bilaminare, possa consentire la trasformazione della mucosa orale, intorno alla recessione, in gengiva
propria, tenendo presente che Harris (2, 3) di recente ha messo in evidenza come le tecniche che utilizzano sistemi barriera non inducano modificazioni della quantità di
tessuto gengivale cheratinizzato rispetto alla situazione di partenza.
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MATERIALI E METODI
Sono state trattate 32 recessioni
gengivali di I e II Classe di Miller in
31 pazienti di età compresa fra 26
e 62 anni. Di questi, 23 sono donne, delle quali una aveva 62 anni,
mentre le altre non superavano i 40.
Tutti rispondevano a requisiti di
selezione ben precisi:
■ non fumatori;
■ esenti da malattie intercorrenti;
■ non malattie dismetaboliche;
■ profondità della recessione superiore a 3 mm;
■ assenza di parodontopatia interprossimale concomitante;
■ dislocazione prevalente dei siti
da operare nell’arcata superiore;
■ indice di placca molto basso.
Ogni paziente ha continuato a mantenere le sue abitudini alimentari,
lavorative e di spazzolamento dopo una motivazione e una seduta di
igiene orale. In tutti i casi la zona da
operare è stata levigata; è stata utilizzata clorexidina allo 0,2% per alcuni giorni prima e per 15 giorni do-
po l’intervento; è stata assunta amoxicillina un’ora e mezza prima
dell’intervento e per 7 giorni dopo
alla dose di 50 mg/Kg.
Ogni recessione è stata misurata
con sonda parodontale nelle due
dimensioni sul piano frontale; il sondaggio è stato effettuato in sei punti, intorno al dente (fig.1).
È stata misurata la banda di gengiva
propria residua ed è stato attribuito
ad ognuno dei casi un atteggiamento
anatomico di appartenenza per
quanto attiene al tipo di tessuto parodontale, segnalando nella cartella
l’esistenza di abitudini viziate, malposizioni dentali, frenuli, esistenza
di restauri compositi e protesici di
metallo o impianti.
Lo studio dei casi trattati ha previsto la documentazione fotografica prima, dopo 15 giorni, dopo un
mese, dopo 3 mesi e dopo 6 mesi;
nessuna analisi statistica è stata eseguita, ritenendo esiguo il numero di interventi e, comunque, più
utile una completa documentazione fotografica, oltre a frequenti
controlli clinici.
TECNICHE CHIRURGICHE
Tutti i casi sono stati eseguiti dallo
stesso operatore ed è stata effettuata anestesia locale con vasocostrittore 1:80000 vestibolarmente
e lingualmente, oltre che nella sede di prelievo. Tutte le superfici radicolari esposte sono state levigate con curette di Gracey.
4 casi sono stati innestati con tecnica a tunnel secondo Raetzke (4)
solamente con una incisione soprasulculare a manicotto vestibolare (fig. 2). In tutti gli altri casi si è
sollevato un lembo trapezoidale, a
spessore parziale, con una incisione intrasulculare che continua a sezionare le papille mesiale e distale
dei denti vicini, risparmiando, di
queste, una porzione coronale analoga alla misura della recessione, rispetto alla giunzione smaltocemento (fig. 3). Le parti residue
delle papille sono state disepitelizzate. Due incisioni verticali, divergenti tra loro, sono state eseguite,
a partire dalle zone più mesiali e distali dei denti contigui (fig. 4). I
Fig. 1.
Fig. 2.
Fig. 3.
Fig. 4.
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prelievi sono stati eseguiti dopo aver sondato lo spessore del tessuto palatino, in zone posteriori, realizzando una finestra a 3 lati, da
poter richiudere perfettamente
(figg.5, 6 e 7).
Lo spessore del connettivo prelevato, liberato dal tessuto adiposo,
è risultato, mediamente, di 2-3 mm;
in ogni caso, il tessuto è stato lasciato in fisiologica per 10 minuti,
perché si potesse compiere una
contrazione volumetrica primaria.
Negli innesti a tunnel (5, 6), il prelievo, trazionato da un filo di sutu-
ra riassorbibile 5/0, dopo essere stato intascato con cautela, viene posizionato in modo corretto e suturato con punto a materassaio e fionda vestibolare (figg. 8 e 9).
La manovra di adattamento del lembo libero richiede alcuni minuti, ma,
una volta posizionato, l’innesto è
stabile e si lascia suturare con facilità.
Il prelievo nella tecnica del lembo a
ritenzione del periostio (7, 8) viene
suturato con filo 5/0 riassorbibile
sintetico a punti staccati; la posizione che assume è esuberante ri-
Fig. 5.
spetto alla ricopertura necessaria
e oltrepassa sempre la giunzione
smalto-cemento coronalmente.
La dissenzione apicale del lembo
con forbici libera lo stesso dal periostio, rendendolo trazionabile coronalmente a ricoprire la zona innestata. Punti staccati di seta 4/0
assicurano stabilità al tessuto spostato coronale (figg. 10, 11 e 12).
Nessun condizionamento radicolare è stato eseguito e nessun materiale barriera è stato impiegato. In
tutti i casi, è stato posizionato vestibolarmente impacco chirurgico
Fig. 6.
Fig. 7.
Fig. 8.
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Fig. 9.
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Fig. 10.
Fig. 11.
Fig. 12.
e non è stato applicato ghiaccio, con
l’intento di non diminuire l’apporto ematico iniziale al prelievo connettivale.
PERIODO POSTCHIRURGICO
Controlli sono stati effettuati per
i 15 giorni successivi all’intervento, per verificare la placca, la stabilità dell’impacco, l’edema e il dolore.
Le suture sono state rimosse dopo 2 settimane; le ferite sono state deterse con acqua ossigenata
10 vol. ed è stato ripristinato lo
spazzolamento della zona operata. Nessun paziente ha lamentato
dolore né sanguinamento nella zona di prelievo (9). Le visite di controllo sono state programmate settimanalmente per un mese, poi, ogni 2 settimane per i primi 3 mesi
successivi. Un richiamo è stato fatto al sesto mese. Documentazione fotografica è stata effettuata
ad ogni controllo, per seguire,
anche visivamente, l’evoluzione
del meccanismo di guarigione
postchirurgica. Nella cartella paradontale sono stati annotati gli
aumenti di tessuto cheratinizzato,
l’aspetto esteriore della zona, il suo
colore, i valori del sondaggio effettuati dopo 3 mesi dall’intervento.
RISULTATI
Nella fase preoperatoria sono stati raccolti i dati attinenti al sito dentale delle recessioni, all’ampiezza
della scopertura, alla quantità di
gengiva cheratinizzata e al sondaggio iniziale. In tutti i casi il sito
dentale da operare è riferito al mascellare, l’ampiezza delle recessioni non è mai inferiore a 3,5 mm, la
quantità di gengiva propria non supera 0,6 mm e il sondaggio iniziale non va oltre 2,8 mm. In 28 casi,
la ricopertura è stata totale, con
piena soddisfazione dei pazienti
(figg. 13, 14, 15, 16 e 17); in 2 casi, per recessioni iniziali superiori
a 6 mm, la recessione residua è stata di 1 mm (figg. 18 e 19); in altri 2
pazienti, portatori di corona me-
tallo-ceramica sul dente interessato e con recessione iniziale superiore a 4 mm, è residuata una
scopertura, dopo 6 mesi di circa 1
mm. È interessante notare che tutti i casi in cui si è riscontrata recessione residua sono stati trattati con la tecnica dell’innesto sotto
il tunnel vestibolare. La quantità
di gengiva propria, a 6 mesi, è risultata significativamente aumentata (10) rispetto alla misurazione
di partenza e, nel caso in cui la copertura non è risultata completa,
tale aumento sussiste in proporzioni analoghe (da 1,8 a 4,2 mm).
Il sondaggio iniziale della scopertura è sempre stato nella norma,
tranne in quei casi in cui, per la totale assenza di gengiva propria in
fase di pretrattamento, si poteva
presupporre di sondare una pseudotasca della mucosa non specializzata che contornava la recessione, in cui, ovviamente, manca
ogni forma di attacco efficace. La
fase postchirurgica della tecnica a
tunnel, dopo un mese, mette in
evidenza un aspetto clinico molto
buono, con tessuti ordinati e ma-
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Fig. 13.
Fig. 14.
Fig. 15.
Fig. 16.
Fig. 17.
Fig. 18.
Fig. 19.
Fig. 20.
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turi, mentre, dopo chirurgia con
lembo riposizionato coronale, i tessuti, per i primi 3 mesi, appaiono
spesso esuberanti e meno maturi.
Il sondaggio a 6 mesi è stato sempre nella norma. L’estetica dei siti
è risultata, in ogni caso, ottimale,
senza discromie rispetto ai tessuti vicini e senza nessuna tendenza
clinica alla recidiva della scopertura. Anche dopo un lungo periodo
di maturazione postchirurgica dei
lembi spostati coronali, le incisioni verticali si intravedono e rappresentano un in estetismo considerevole (fig. 20). Per eliminare
le incisioni di scarico e il conseguente deficit estetico si deve pensare di estendere l’incisione primaria a più denti contigui, per poter poi trazionare coronalmente il
lembo sopra l’innesto.
DISCUSSIONI E CONSIDERAZIONI
CONCLUSIVE
Appare evidente la totale prevedibilità della chirurgia che utilizza il
lembo a spessore parziale rispetto a quella che prevede la preparazione di un tunnel; la soddisfazione dei pazienti deriva dai risultati, oltre che dalla mancanza di dolore postopeatorio e di complicanze.
Nel caso preesista un restauro protesico, come in uno dei casi trattati, il risultato finale risente, probabilmente, dell’azione di corpo estraneo indotta dal bordo del manufatto.
Il sondaggio, dopo maturazione dei
lembi, contenuto nei limiti di norma, fa presupporre la neoformazione postchirurgica di sistemi di
attacco connettivale.
A parte la correzione delle manovre di errato spazzolamento e la lucidatura dei restauri compositi,
non si è provveduto ad eliminare
altre implicazioni possibili di interesse radicolare, per cui rimane
da verificare la tenuta, nel tempo,
degli effetti postchirurgici a carico dei denti trattati.
L’aumento del tessuto cheratinizzato, conseguente all’innesto connettivale, fa ben sperare in questo senso.
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