Lezione 2 Cenni di meccanica quantistica

Lezione 2
Cenni di meccanica quantistica
Fisica dello Stato Solido
Fisica per la Bioingegneria
http://www2.de.unifi.it/Fisica/Bruzzi/fss.html
Lezione n.2 Cenni di meccanica quantistica- M. Bruzzi
Laurea magistrale in Ingegneria Elettronica
1
Sommario
1.
2.
3.
4.
5.
Introduzione - Funzioni d’onda e densità di probabilità
Equazione di Schroedinger
Operatori in meccanica quantistica
Principi della meccanica quantistica
Esempi di calcolo dell’equazione di Schroedinger
a) particella libera;
b) particella in buca di potenziale monodimensionale;
c) particella in buca di potenziale tridimensionale;
d) oscillatore armonico;
e) atomo ad un solo elettrone: numero quantico principale,
quantizzazione del momento angolare, quantizzazione spaziale ed
effetto Zeeman, quantizzazione di Spin ed esperimento di Stern-Gerlach.
7. Gradino di potenziale
8. Penetrazione di una barriera: effetto Tunnel
Approfondimenti
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Laurea magistrale in Ingegneria
Abbiamo visto come all’inizio del novecento vengano formulati, a partire da nuove evidenze sperimentali,
nuovi concetti come la quantizzazione dell’energia, l’interazione della radiazione con la materia spiegata in
termini di emissione/assorbimento di fotoni, il principio di indeterminazione di Heisenberg, che ci impone di
rinunciare ad una descrizione dettagliata del moto delle particelle atomiche nel senso della meccanica
classica. A seguito di queste evidenze, un nuovo formalismo, la meccanica quantistica, viene sviluppato
negli anni 20 principalmente dai fisici Louis de Broglie, Max Born, Paul Dirac, Erwin Schrodinger, Werner
Heisenberg.
1. Funzione d’onda e densità di probabilità
Il principio di indeterminazione di Heisenberg ci mostra come non sia
possibile parlare in senso stretto di traiettoria della particella atomica. In figura
mostriamo la traiettoria della particella nel caso (a) classico e (b) quantistico
nello spazio delle fasi (cioè nel diagramma momento vs. posizione). Nel caso
quantistico la posizione e il momento sono legati dalla relazione ∆x∆p ~h e
quindi la traiettoria risulta allargata sulla banda (∆x,∆p). Come descrivere
allora il moto della particella? Si utilizza il concetto di “onda o campo di
materia”: la particella presente in una certa regione dello spazio viene
considerata come un’onda, indicata come φ. Sappiamo che l’intensità di
un’onda è proporzionale al quadrato del suo modulo, quindi l’intensità di
questo campo di materia sarà dato appunto da |φ(x,y,z)|2. Poiché il campo di
materia descrive il moto della particella, possiamo dire quindi che le regioni
dello spazio in cui è più probabile trovare la particella sono quelle in cui
|φ(x,y,z)|2 è maggiore.
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Ad esempio, qui mostriamo la funzione d’onda di una particella confinata nella regione
tra A e B lungo x, sotto è riportata la relativa distribuzione |φ(x)|2.
La probabilità di trovare la particella
descritta dalla funzione d’onda φ(x)
nell’intervallo dx intorno al punto x è
|φ(x)|2dx. |φ(x)|2 è una probabilità
per unità di lunghezza o “ densità di
probabilità “. La probabilità di
trovare la particella nella regione
finita V dello spazio è:
PV = ∫ φ ( x, y, z ) dxdydz
2
V
Poiché la particella deve comunque trovarsi in qualche luogo dello spazio, se
estendiamo l’integrale allo spazio intero otteniamo la condizione di
normalizzazione:
2
PV = ∫tutto φ ( x, y, z ) dxdydz = 1
lo
spazio
essa comporta che la funzione φ(x,y,z) abbia alcune caratteristiche fondamentali
(per esempio, φ deve diminuire rapidamente al crescere di x,y,z in modo che
l’integrale su tutto lo spazio possa essere finito).
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2. Equazione di Schrödinger
Nel 1926 Erwin Schroedinger formula la seguente equazione:
 h2 2

∂ψ (r , t )
 −

∇ + U (r , t ) ψ (r , t ) = ih
∂t
 2m

(*)
Si verifica che, se U è indipendente dal tempo ma dipende solo dalle coordinate
spaziali:
U(r,t) = U(r) = U(x,y,z),
è sempre possibile separare la dipendenza temporale della funzione d’onda da
quella spaziale:
ε
ψ (r , t ) = e
−i t
h
φ (r )
dove φ(r) dipende solo dalle coordinate spaziali.
Sostituendo nella (*) questa espressione otteniamo l’equazione:
 h2 2

 −
∇ + U φ = εφ
 2m

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Metodo della separazione delle variabili
L’equazione di Schroedinger è in tre dimensioni, essa può però essere spesso
ridotta a un numero minore di dimensioni. Se : U(x,y,z) = U1(x) + U2(y) + U3(z)
allora le soluzioni sono del tipo: φ(x,y,z) = φ1(x) φ2(y) φ3(z).
Sostituendo φ ed U nell’equazione di Schroedinger otteniamo :



1  h2 ∂2
1  h2 ∂2
1  h2 ∂2
 −




φ3 ( z ) = ε
+
U
(
x
)
φ
(
x
)
+
−
+
U
(
y
)
φ
(
y
)
+
−
+
U
(
z
)
1
1
2
2
3
2
2
2




φ1 ( x)  2m ∂x
φ2 ( y )  2m ∂y
φ3 ( z )  2m ∂z



Ogni termine del primo membro è funzione di una sola coordinata, x, y, o z,
mentre nel secondo membro abbiamo il termine indipendente ε. Il solo modo
per soddisfare questa equazione è che ciascuno dei tre termini del primo
membro sia uguale ad una costante εi ( i = 1,2,3) tale che: ε1 + ε2 + ε3 = ε.
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Come risultato otteniamo tre equazioni
monodimensionali, molto più semplici
da risolvere.
→
 h2 d 2

 −
+ U 1 ( x ) φ1 ( x ) = E1φ1 ( x )
 2 m dx

 h2
 −
 2m
 h2
 −
 2m

d2
+ U 2 ( y ) φ 2 ( y ) = E 2φ 2 ( y )
dy


d2
+ U 3 ( z ) φ3 ( z ) = E3φ3 ( z )
dz

Se poi U(x,y,z) = U1(x) il sistema si riduce ad una sola equazione
monodimensionale in x. Le soluzioni per la funzione d’onda e le energie per
le altre due dimensioni y e z sono quelle della particella libera:
iky ikz
φ ( x, y, z ) = φ1 ( x) Ay Az e e
;
E = E1 +
(
h 2 k y2 + k z2
)
2m
Dove Ay ed Az sono le costanti di normalizzazione per le soluzioni dell’onda
piana nelle direzioni y e z.
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3. Operatori in meccanica quantistica
In termini matematici diciamo che l’espressione H
h2 2
=−
∇ + U ( x, y , z )
2m
è un operatore che, quando agisce su una funzione φ(x,y,z), produce una nuova
funzione come risultato di una serie di operazioni esplicitamente contenute nella
definizione di H. In particolare, possiamo riscrivere l’equazione di Schrödinger
come:
Hφ ( x, y, z ) = εφ ( x, y, z )
(*)
Cioè l’effetto di H su φ(x,y,z) è quello di moltiplicare φ(x,y,z) per ε. Ovviamente, in
generale, quando H opera su una funzione arbitraria il risultato non è
necessariamente la stessa φ(x,y,z) moltiplicata per una costante. Le funzioni che
soddisfano la (*) sono chiamate autofunzioni dell’operatore H ed i valori ε
corrispondenti autovalori dell’operatore.
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Esempio
Indicare quale delle seguenti funzioni sono autofunzioni per l’operatore
d/dx: φa = eikx; φb = eαx; φc = sen(kx) ed eventualmente indicarne
l’autovalore. Si ripeta l’esercizio per l’operatore d2/dx2.
Soluzione. Le funzioni indicate sono autofunzioni per l’operatore d/dx se si
puo’ scrivere dφ/dx = aφ con a = autovalore. Otteniamo che φa e φb sono
autofunzioni con autovalori rispettivamente ik ed α, mentre φc non lo è.
Invece si verifica che tutte e tre sono autofunzioni per l’operatore d2/dx2
con autovalori:-k2, α2, -k2.
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Proprietà degli operatori - Operatori Hermitiani
Per ogni operatore A ci sono in generale una serie di autovalori a1,a2,a3.. ed una
serie di autofunzioni associate φ1, φ2, φ3, … Inoltre possono esistere più
autofunzioni corrispondenti allo stesso autovalore, in tal caso l’autovalore
è detto degenere. Nella meccanica quantistica gli operatori che rappresentano
osservabili fisiche sono hermitiani ( dal nome del matematico francese Hermite).
Questi operatori soddisfano la condizione :
∫ φ * Aφ dV = ∫ [φ A]*φ dV
1
2
1
2
Per tutte le funzioni φ1 e φ2 che soddisfano le condizioni al contorno richieste, la
notazione φ* indica il complesso coniugato di φ. Si può dimostrare che gli
autovalori degli operatori hermitiani sono reali e le loro autofunzioni sono
ortogonali, cioè:
∫
φ *φ j dV = δ ij
tutto
i
lo
spazio
Dove φi(x) φj(x) sono autofunzioni che appartengono agli autovalori ai, aj di A.
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4. Principi della meccanica quantistica
Da quanto abbiamo finora esposto, possiamo generalizzare i seguenti principi:
1. Ad ogni grandezza fisica A(r,p), che è funzione della posizione e del momento di
una particella, corrisponde un operatore quantistico ottenuto effettuando la
sostituzione:
p → −i h ∇
2. I soli valori possibili che possono essere ottenuti quando si misura la grandezza
fisica A(r,p) sono gli autovalori dell’operatore quantistico : A( r ,−ih∇ )
Grandezza fisica
Nella tabella sotto
sono
riportati
gli
operatori quantistici
di alcune grandezze
fisiche.
Definizione classica
Posizione
r
Momento
p
Momento
angolare
rxp
Energia cinetica
p2
2m
Energia totale
Operatore Quantistico
p2
+UP
2m
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r
− ih∇
− ih r x∇
h2 2
−
∇
2m
h2 2
−
∇ +U p
2m
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Tramite questi principi possiamo determinare i valori di ogni grandezza fisica A. Il
secondo principio si esprime nella forma matematica:
A(r ,−ih∇)ψ = aψ
Se a1,a2,a3 ,.. sono i soli risultati della misura di A, le autofunzioni φ1, φ2,φ3,..
descrivono gli stati possibili del sistema, per quanto riguarda la grandezza fisica A. Se
il sistema è in uno stato descritto dalla funzione φ, che non è nessuna delle
soluzioni φn, espandendo la funzione φ nei termini delle autofunzioni φn dell’operatore
A otteniamo:
φ = c1φ1 + c2φ2 + c3φ3 + c4φ4 ..... + cnφn = ∑ cnφn
n
e poichè le funzioni φn sono ortogonali allora vale:
cn = ∫ φn * φdV
Il set delle φi forma un set completo, cioè può costruire qualunque stato.
3. Quando lo stato del sistema corrisponde alla funzione d’onda φ(r), la probabilità
di ottenere il valore an come risultato della misura della grandezza A(r,p) è data da
|cn|2, con :
cn = ∫ φn * φdV
e φn autofunzione dell’operatore A corrispondente all’autovalore an.
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Perciò in accordo con il terzo principio, quando una funzione φ non è un
autofunzione di A non possiamo conoscere il risultato esatto di A: se
effettuiamo misure differenti otterremo valori diversi, ciascuno con una certa
probabilità. In generale possiamo parlare di valore di aspettazione medio di
A nello stato descritto da φ. Come corollario al terzo principio si può
dimostrare che:
La media del valore di aspettazione di una grandezza fisica A(r,p) quando lo
stato del sistema corrisponde alla funzione φ(r) è
φ * AφdV
∫
< A >=
.
∫ φ *φdV
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5. Esempi di calcolo dell’equazione di Schroedinger
1. Particella libera
h2 2
∇ φ ( x, y, z ) = Eφ ( x, y, z )
In questo caso U = U(x) = 0, l’equazione diviene: −
2m
h 2 ∂ 2φ ( x, y, z )
−
= Eφ ( x, y, z )
in una dimensione:
2m
∂x 2
p2
Per una particella libera vale: E =
2m
Quindi:
e:
p = hk
h 2 k 2 e l’equazione diviene: ∂ 2φ 2
+k φ =0
E=
2
∂
x
2m
equazione di un’onda stazionaria di lunghezza d’onda : λ =
2π
k
L’equazione ammette soluzioni del tipo: φ+ ( x) = eikx ; φ− ( x) = e −ikx
La prima rappresenta una particella che si muove in verso positivo rispetto
all’orientamento dell’asse x, l’altra in direzione opposta. La soluzione generale
Può essere scritta come combinazione lineare delle due soluzioni:
φ ( x) = Aeikx + Be −ikx
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Questa funzione non corrisponde ad una direzione preferenziale di moto,
essendo la sovrapposizione di due soluzioni per moto nelle direzioni positiva e
negativa. E’ infatti la stessa situazione delle onde stazionarie ( per esempio una
corda che vibra tra due estremi fissati). Notiamo inoltre che:
2
φ ( x) = φ * ( x)φ ( x) α eikx e −ikx = 1
Il fatto che |φ(x)|2 sia costante indica che la probabilità di trovare la particella è la
stessa in ogni punto. Questo è in accordo con il principio di indeterminazione di
Heisenberg dato che l’onda eikx ha ∆p = 0 e quindi ∆x →∞. Per avere
informazioni riguardo la posizione della particella ∆x deve essere finito, il che è
ottenibile sovrapponendo onde A(k)eikx con valori di k in un dominio ∆k, cioè un
pacchetto d’onda. Tale pacchetto può essere espresso come:
φ ( x) = ∫ A(k )e dk
ikx
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2. Particella in buca di potenziale
∞
Pensiamo ad un potenziale rettangolare del tipo di figura
(potential box). Avremo U(x) = 0 per 0< x < a e U(x) →∞ per
x > a e x < 0. Questo significa che esistono delle forze molto
elevate che costringono la particella a rimanere entro la
buca di potenziale, quindi φ(x) = 0 per x ≥ a e x ≤ 0.
All’interno della buca la particella si muove liberamente dato
che qui Ep(x) = 0, quindi in questa regione il problema si
riconduce al caso discusso precedentemente:
∂ 2φ
2
+
k
φ =0
2
∂x
con:
k2 =
2mE
;
h2
∞
U
0
a
x
φ ( x) = Aeikx + Be −ikx .
Le condizioni al contorno impongono che:
φ (0) = A + B = 0 → A = − B → φ ( x) = A(eikx − e −ikx ) = 2iAsenkx;
φ ( x = a) = 2iAsen(ka ) = 0 → k = n
π
a
→ p = hk =
πh
a
n.
Quest’ultima espressione indica i valori permessi di momento.
Corrispondentemente, i valori permessi di energia sono dati da:
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p 2 n 2π 2 h 2
E=
=
2m 2ma 2
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I livelli energetici permessi per la particella in buca di potenziale sono:
p 2 n 2π 2h 2
E
=
.
E=
con n= 1, 2, 3, …
2m 2ma 2
E = 16E1
Abbiamo mostrato che l’energia non può 4
assumere un valore arbitrario, ma risulta
quantizzata. Questa situazione avviene in
generale quando l’equazione di Schroedinger
viene risolta per un potenziale che confina la
particella in una regione limitata dello spazio. La
quantizzazione è dovuta al fatto che la
E3= 9E1
funzione d’onda deve sia essere soluzione
dell’equazione di Schroedinger che soddisfare
le condizioni al contorno. Notiamo che l’energia
minima della particella non è zero, ma pari a:
E2= 4E1
E1 =
π 2h 2
2ma
2
.
E1
n=4
n=3
n=2
n=1
Questo deriva dal principio di indeterminazione di
Heisenberg. Infatti poiché l’indeterminazione sulla
posizione è ∆x ~ a e la particella si muove avanti e indietro con momento p, percui ∆p ~2p ,
valendo ∆x∆p ≥ h otteniamo 2ap ≥ h → E ≥ E1. E1 è detta “energia di punto zero”.
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I valori di k permessi per la particella in buca di potenziale sono: k = n
π
.
a
 π x
 n
.
φ
(
x
)
=
Csen
Le funzioni d’onda che corrispondono ai valori di k permessi sono: n
a


con C = 2iA, che infatti corrispondono a onde stazionarie che vibrano con
estremità fisse, per le quali vale:
1
1 1
1
λ = a; a; a;.... a.
2
2 3
n
Le prime tre funzioni
d’onda per una particella
in buca di potenziale e le
corrispondenti densità di
probabilità
sono
mostrate nella figura a
fianco
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Completiamo la discussione determinando la costante C utilizzando la
condizione di normalizzazione:
a
a
nπ x 
2
2
2

dx = 1
φ
(
x
)
dx
=
1
→
C
sen
∫
∫ 
0
0
 a 
nπ x 
1
2


sen
dx
=
∫0  a  2 a
a
Il valore dell’integrale è :
Perciò otteniamo:
C2
1
2
a =1→ C =
.
2
a
le autofunzioni normalizzate sono perciò:
2  nπ x 
.
φn ( x ) =
sen
a  a 
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3. Particella in buca di potenziale tridimensionale
z
Consideriamo ora un particella confinata in una
regione tridimensionale di dimensioni a, b, c come
in figura. Estendendo il ragionamento del caso
precedente, otteniamo:
px =
π hn1
a
py =
π hn2
b
p2
π 2 h 2  n 12 n 22 n 32 
 2 + 2 + 2 
E =
=
2m
2m  a
b
c 
pz =
π hn3
c
b
a
c
y
x
 n 1π x 
 n π y 
 n π z 
 sen  2
 sen  3
 .
a
b
c






φ ( x , y , z ) = Csen 
con n1, n2, n3 interi. Notiamo che l’energia dipende solo dalla somma n12+n22+n32,
perciò tutti gli stati che hanno stesso valore per questa somma hanno stessa
energia ma diversa funzione d’onda. Quando questo succede diciamo che
abbiamo degenerazione dei livelli energetici corrispondenti. L’ordine di
degenerazione di un livello energetico, designato con g, è uguale al numero di
diverse e indipendenti funzioni d’onda soluzione dell’equazione di
Schroedinger per quella energia.
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5. Atomo di idrogeno / atomi ad un solo elettrone
Nel caso dell’elettrone legato al nucleo nell’atomo di idrogeno l’energia potenziale è:
U (r ) = −
e2
4πε 0 r
h2 2
e2
∇ φ−
φ = Eφ
quindi l’equazione di Schroedinger diviene*: −
2m
4πε 0 r
La soluzione di questa equazione è al di là degli scopi di questo corso. Daremo
qui solo alcune indicazioni sul risultato di tale calcolo.
a. Quantizzazione dell’energia
Definiamo costante di Rydberg:
me e 4
1
R∞ = 2 3 = 1.0974 x107
8ε 0 h c
m
Allora i livelli energetici possibili per gli stati stazionari dell’elettrone
dell’atomo di idrogeno sono dati dall’espressione:
R
En = − ∞2 hc
con n = 1,2,3,…
n
ed n è detto numero quantico principale .
* Con m massa ridotta del sistema
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Per un atomo con un unico elettrone legato ad un nucleo con Z protoni:
R∞ hcZ 2
Z2
= −13.6 2 eV .
En = −
n2
n
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b. Quantizzazione del momento angolare L
1. Quantizzazione del modulo di L
Nel caso della particella nella buca di potenziale abbiamo visto che energia e
momento, costanti del moto, sono entrambe quantizzate. In un moto dovuto ad un
campo di forza centrale non solo l’energia, ma anche il momento angolare è
costante del moto: da un’analisi sia teorica che sperimentale si mostra che in
questo caso anche il momento angolare risulta quantizzato.
La quantizzazione sul modulo del momento angolare L si esprime con la relazione:
L2 = l (l + 1)h 2
con l = 0, 1, 2, 3,..,n-1
Quindi: in un campo Coulombiano per ogni valore di n ci sono n valori distinti
possibili per il momento angolare, da l = 0 a l = n-1. I diversi valori di l sono
solitamente designati con lettere s (l=0), p (l=1), d (l=2), f (l=3) e così via. l è
detto numero quantico azimutale.
2. Quantizzazione spaziale
Oltre alla limitazione sul modulo si mostra sperimentalmente (effetto Zeeman)
che esiste una restrizione nella direzione del momento angolare
(quantizzazione spaziale): i valori della componente z del momento angolare Lz,
risultano infatti quantizzati secondo la relazione:
LZ = ml h
con ml = 0, ±1, ±2, ±3, .. ± l
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23
Ovviamente il numero quantico ml non può essere superiore ad l. ml si dice
numero quantico magnetico.
z
z
ml=+1
ml= 0
Lz
ml=-1
L = rxp
l=1
0
r
x
z
ml=+2
ml=+1
ml= 0
ml=-1
ml=-2
l=2
y
p
Quindi per ciascun valore del momento angolare, ci sono 2l+1 valori di ml .
La quantità g = 2l+1 è detta degenerazione essenziale di ogni stato con un determinato
momento angolare. Osserviamo che, se la forza in gioco non è funzione dell’inverso del
quadrato della distanza, quei livelli che hanno lo stesso valore di n ma diverso valore di l
non hanno necessariamente la stessa energia. Se però la forza è comunque centrale,
l’energia non dipende da ml perché l’orientazione dell’orbita è irrilevante.
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24
Effetto Zeeman
Effetto osservato nel 1896 e poi spiegato mediante la quantizzazione spaziale,
percui e.g. una linea spettrale di un atomo a un elettrone diventa un tripletto a causa
della presenza di un campo magnetico. L’elettrone che descrive una orbita circolare
con velocità angolare ω corrisponde ad una spira di corrente:
dq e
e
che può essere vista come un dipolo magnetico
di momento:
e
1
ML = I ⋅ A =
2π
I=
dt
=
T
=
2π
ω
ωπ r 2 = eω r 2
2
Dato che il momento angolare è pari a: L = me vr otteniamo la seguente relazione
tra momento di dipolo magnetico e momento angolare:
e
ML =
L
2me
poiché la carica dell’elettrone è negativa ML e L
sono vettori con stessa direzione e verso opposto.
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e
In generale, si verifica che la relazione
, da noi mostrata
ML =−
L
2me
classicamente, risulta valida anche in
meccanica quantistica per un moto arbitrario con momento angolare L.
La componente z del momento magnetico orbitale risulta:
M Lz = −
con
e
eh
Lz = −
ml = − µ B ml
2me
2me
eh
−5 eV
= magnetone di Bohr.
µB =
= 5.6564 x10
2me
T
Applichiamo ora un campo magnetico B, il sistema acquisisce l’energia magnetica:
e
EB = − M L ⋅ B =
L⋅B
2me
E sul dipolo magnetico agisce il momento della forza magnetica:
M = M L xB = −
e
Lx B
2me
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Laurea magistrale in Ingegneria Elettronica
26
Tale momento fa compiere una precessione del
sistema attorno alla direzione del campo magnetico.
Assumiamo che il campo magnetico sia in direzione z:
EB = − M Lz B = µ B ml B
Questa relazione mostra che l’energia del sistema
assume 2ll+1 valori quantizzati secondo il numero
quantico ml, tutti equispaziati della quantità µBB.
Passaggio da un livello singolo p ad un
tripletto in presenza di campo magnetico
L’effetto non si osserva con un livello s,
perché l = 0 e quindi ml = 0.
Il risultato è una riga spettrale
che si trasforma in un tripletto.
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27
c. Quantizzazione di Spin
Sappiamo che la Terra, contemporaneamente al moto di rivoluzione intorno al sole,
compie un moto rotatorio intorno al suo asse ( in inglese = to spin): il suo momento angolare
totale è somma vettoriale del momento angolare di rivoluzione e di quello di rotazione. In
analogia con questa evidenza possiamo immaginare che l’elettrone legato all’atomo oltre al
moto orbitale “ ruoti su se stesso” e quindi possegga momento angolare di spin. E’ ovvio
che, non avendo l’elettrone struttura interna, non ha senso considerarlo come particella
sferica che ruota su se stessa, tale raffigurazione è comunque un modello valido per la
descrizione di alcuni importanti fenomeni sperimentali.
L’esistenza dello spin elettronico è stata messa in evidenza dall’esperimento di
Stern e Gerlach (1924), l’idea è stata proposta da Uhlenbeck e Goudsmith (1926) per
spiegare tale esperimento ed alcune caratteristiche spettrali degli atomi ad un elettrone. Se
non possiamo calcolare il momento angolare di spin come facciamo per la Terra, comunque,
varrà sempre che, se S è il momento angolare di Spin ed L quello orbitale, il momento
angolare totale dell’elettrone sarà J = S + L. Dato che l’elettrone è una particella carica
lo spin elettronico produrrà un momento di dipolo magnetico MS . Nel semplice modello
di un corpo rigido sferico ruotante su se stesso, la relazione tra MS ed S sarà la stessa che
abbiamo trovato tra ML ed L. In realtà quello che si ha è un po’ diverso:
M S = −gS
gS è detto rapporto giromagnetico dell’elettrone, di valore
sperimentale gS = 2.0024. Il momento di dipolo magnetico di un
elettrone che orbita e ruota è quindi:
M =ML +MS =−
e
S
2me
e
(L + g S S )
2me
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28
Esperimento di Stern- Gerlach
Supponiamo che un fascio di atomi ad un solo elettrone passi attraverso un campo
magnetico non omogeneo. L’effetto di questo campo magnetico sul dipolo magnetico è
quello di esercitare una forza la cui direzione e modulo dipendono dall’orientazione
relativa del campo magnetico e del dipolo (e.g. se il dipolo è orientato parallelamente al
campo B esso tenderà a muoversi nella direzione in cui il campo B cresce , mentre se è
antiparallelo, si muoverà nella direzione in cui il campo B diminuisce). Nell’esperimento di
Stern-Gerlach il campo disomogeneo è ottenuto modificando la forma delle facce dei
poli magnetici, ad esempio in modo che il campo aumenti andando da Sud a Nord.
Se gli atomi a un solo elettrone del fascio sono
nello stato fondamentale ( l = 0 ) hanno
momento angolare orbitale nullo e quindi ML = 0 ,
perciò la deviazione del fascio dipenderà solo
dalla direzione di MS, cioè di quella dello spin
S. Il risultato dell’esperimento è che il fascio che
passa tra i due poli magnetici viene diviso in
due. Questo dimostra che:
Lo spin elettronico può avere solo due
orientazioni relative al campo magnetico:
parallela o antiparallela.
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29
Ricordando che la degenerazione effettiva del momento angolare è g = 2l + 1,
poiché nel caso dello spin g = 2 dobbiamo avere l = ½. Indicando il numero
quantico di spin come s invece che come l ed il numero quantistico
corrispondente alla componente z, Sz , come ms invece che ml avremo:
z
1
s= ;
2
mS = ±
3
S = s (s + 1)h = h 2
4
S z = ms h
2
1
2
2
ms=+½
3
S =
h
2
ms=-½
Concludiamo quindi che per descrivere completamente lo stato di un elettrone in
un campo centrale sono necessari quattro numeri quantici: n, l, ml, ms .
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30
Orbitali atomici
Data la simmetria sferica dell’energia
potenziale atomico l’equazione di
Schroedinger si scrive utilizzando le coordinate sferiche (r,θ,ϕ) e le soluzioni hanno
la forma (metodo di separazione delle variabili): Φ(r,θ,ϕ) = φ1(r)φ2(θ)φ3(ϕ) .
Effettuando la risoluzione si verifica che il fattore radiale risulta dipendere dai numeri
quantici n ed l, mentre il fattore angolare dai numeri quantici l ed m. Inoltre, ogni
orbitale ha quindi la possibilità di contenere due elettroni, data la molteplicità di
spin.
z
θ
Φ(r,θ,ϕ
θ,ϕ)
θ,ϕ)
θ,ϕ = φn,l(r) φl,m(θ,ϕ
θ,ϕ
Fattore radiale
r
Fattore angolare
ϕ
x
y
La probabilità che l’elettrone si trovi nella regione di
spazio tra r ed r + dr è data da:
2
2
dP = Φ dV = Φ 4π r 2 dr
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Orbitali atomici – Fattori radiali e angolari
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32
Nella figura sotto a sinistra mostriamo alcuni esempi di fattori radiali in orbitali atomici,
in quella accanto la conformazone radiale di alcuni orbitali atomici, per vari numeri
quantici n,l
Fattori radiali ϕ(r)
Fattori r2 |ϕ
ϕ (r)|2
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Configurazione elettronica esterna
Configurazione elettronica Struttura elettronica di un atomo od una molecola.
Corrisponde al modo di distribuirsi degli elettroni negli orbitali dell'atomo o della
molecola. E’ particolarmente importante quella della shell più esterna.
Z = Numero atomico
configurazione elettronica esterna
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34
Riempimento orbitali atomici con elettroni
Energia
n=3; l = 1 m = -1; 0 ; 1
n=3; l = 0
3s
3px 3py 3pz
n=2; l = 1 m = -1; 0 ; 1
n=2; l = 0
2px 2py 2pz
2s
n=1; l = 0
1s
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Energia
Riempimento degli orbitali atomici d
n=4; l = 1 m = -1; 0 ; 1
n=3; l = 2 m =-2, -1; 0 ; 1;2
n=4; l = 0
4px 4py 4pz
n=3; l = 1 m = -1; 0 ; 1
4s
n=3; l = 0
3s
3dxy 3dxz 3dyz
3dz2
3dx2-y2
3px 3py 3pz
n=2; l = 1 m = -1; 0 ; 1
n=2; l = 0
2px 2py 2pz
2s
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36
Nota: nei metalli nobili la configurazione più stabile richiede che gli orbitali d
siano pieni. Un elettrone s viene perciò trasferito in un orbitale d.
Cu
Z = 29 4s1 3d10
Ag
Z = 47 5s1 4d10
Au
Z = 79 6s1 5d10 4f 14
In altri metalli invece, quali Cr e Mo, la configurazione più stabile prevede il
trasferimento di elettroni in modo da avere orbitali d semipieni.
Cr
Mo
Z = 24 4s1 3d5
Z = 42 5s1 4d5
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6. Gradino di potenziale
U (x)= 0 per x < 0; U = Uo per x > 0
A. L’energia della particella è minore del gradino : ε < U0
Regione I: U(x) = 0 quindi la particella è libera.
U(x)
Equazione di Schroedinger:
II
I
d 2φ I 2mε
+ 2 φI = 0
2
dx
h
Che dà soluzione:
φI ( x) = Aeikx + Be −ikx
ε
U0
x
O
Dove eikx rappresenta l’onda incidente, e-ikx rappresenta quella riflessa dalla barriera.
d 2φII 2m(ε − U 0 )
+
φII. = 0
regione II. U(x) = U0 con eq. di Schroedinger:
2
2
dx 2
h
(
)
2
m
ε
−
U
d φII
2
0
2
Definendo: α =
,
l’equazione
diviene
:
con
−
α
φII = 0
2
2
h
dx
−α x
Soluzione: φ II ( x) = Ce
per la meccanica classica la particella non potrebbe trovarsi nella regione x > 0,
per la meccanica quantistica c’e’ una probabilità non nulla di trovare la particella
in tale regione.
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Per determinare le costanti A,B,C imponiamo le condizioni al contorno per le regioni I/II,
cioè la continuità della funzione d’onda e della sua derivata prima.
In x = 0:
φ1 = φ2
dφ1 dφ2 , da cui si ha:
=
dx
dx
e
B=
Otteniamo :


(ik + α )A
φ1 ( x) = A e ikx +
Riscrivendo:
φ1 ( x) =
e ± ikx = cos (kx
)±
C=
e
ik − α
ik + α −ikx 
e 
ik − α

A + B = C e ik(A-B) = -α C.
φ2 ( x ) =
e
A
(ik − α )eikx + (ik + α )e −ikx
ik − α
[
i sen (kx
),
si ottiene:
2ikA
ik − α
]
per cui :
2ik
Ae −αx .
ik − α
e dato che vale:
φ1 ( x) =
2ik
α


Acos(kx) − sen(kx)
ik − α 
k

Le funzioni φ1 e φ2 (a meno del termine complesso 2ik/(ik-a) ) sono rappresentate in
figura .
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Osserviamo che più grande è il fattore U0 rispetto all’energia della particella,
più grande è il valore di α e più velocemente la funzione φ2 va a zero per x > 0 .
Nel limite di U0 →∞ la funzione φ2 va a zero e la particella non può penetrare
nella regione II: tutte le particelle vengono riflesse in x = 0.
In questo caso l’espressione di φ1 diviene:
φ1 ( x) = 2iAsen(kx) = Csen(kx)
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Β. L’energia della particella è maggiore del gradino : ε > U0
Classicamente la particella può superare la barriera ed entrare nella regione II, ad
x = 0 soffre di una decelerazione dato che la sua energia cinetica diviene più
piccola.
Dal punto di vista quantistico la soluzione nella regione I è sempre data da:
φ1(x) = Aeikx +Be-ikx,
U(x)
assumendo che parte delle particelle possano
venire riflesse. Per la regione II, definendo:
I
II
U0
2m(ε − U 0 )
k' =
h2
2
x
O
l’equazione di Schroedinger è:
con soluzione φII(x) = Ceik’x
ε
d 2φII
2
+
k
'
φII = 0
2
dx
(rappresenta la particella che viaggia verso destra).
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Applicando le condizioni al contorno a x = 0 abbiamo:
A+ B=C e
k(A-B) = k’C , le cui soluzioni sono :
B=
(k − k ')A
k + k'
k − k ' −ikx 

φI ( x) = A eikx +
e ;
k + k'


C=
2kA
k + k'
φII ( x) =
2k
Aeik 'x .
k + k'
Il fatto che B non sia nullo indica che alcune particelle sono riflesse, un
risultato diverso da quello della meccanica classica.
Questo fenomeno e’ caratteristico dei campi che, nella loro propagazione,
incontrano una regione di discontinuità nelle proprietà fisiche del mezzo: un
fatto ben noto nel caso per esempio di onde elastiche o elettromagnetiche.
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7. Penetrazione di una barriera di potenziale - Effetto Tunnel
Consideriamo la barriera di potenziale di altezza U0 e spessore a.
Per ε<U0 avremo soluzioni del tipo:
φI ( x) = Aeikx + Be −ikx
φII ( x) = Aeαx + Be −αx
U(x)
I
φIII ( x) = A' eik ' x
II
III
U0
ε
O
x
a
Dove k, α e k’ hanno significato dato precedentemente. La forma d’onda è come
in figura . E’ quindi possibile che la particella con energia inferiore a U0 penetri la
barriera (onda φ3).
Applicando le condizioni al contorno a x = 0 ed x = a possiamo determinare i
coefficienti A,B,C,D,A’.
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U(x)
Per ε > U0 la descrizione classica indicherebbe che
tutte le particelle vengono trasmesse oltre la barriera.
In meccanica quantistica invece, come per il gradino
di potenziale, alcune particelle possono essere
riflesse ad x = 0 ed x = a. Quindi le funzioni d’onda
sono:
φI ( x) = Aeikx + Be −ikx
φII ( x) = Ceik ' x + De −ik ' x
I
U0
ε
II
III
x
O
a
φIII ( x) = A' eikx
Applicando le condizioni al contorno a x = 0 ed x = a possiamo determinare i
coefficienti A,B,C,D,A’.
La trasmissione della barriera
valutata come :
T = |A’|2 / |A|2
è
In figura è mostrata in funzione del
rapporto ε/Uo
ε/U0
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Esempio: diodo tunnel
Scoperto da L. Esaki nel 1958 (Ph.D. dissertation work). Come anomalia della
curva I-V di una giunzione p-n in cui tutte e due le regioni n e p sono degeneri. In
questo caso il tunneling può essere analizzato considerando una barriera di
potenziale triangolare.
3a equilibrio
3b tensione diretta : una banda di energia con stati occupati a destra della barriera si
affianca ad una banda di stati non occupati a sinistra. Elettroni possono penetrare la
barriera dal lato n a quello p producendo corrente di tunneling.
3c incrementando la tensione diretta le due bande si assottigliano fino a che l’orlo
della n BC = orlo della p BV. Non ci sono piu’ stati disponibili per gli elettroni: la
corrente di tunneling si riduce a zero.
3d corrente diretta dovuta a diffusione dei maggioritari senza tunneling;
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Approfondimenti
Nell’ esperimento di Young con un fascio di elettroni il passaggio dalla doppia
fenditura produce una figura di interferenza sullo schermo. Problemi:
1) La meccanica quantistica stabilisce soltanto in modo probabilistico il punto in cui
ogni particella colpirà lo schermo, specificando il livello di probabilità alta oppure
bassa, ma non è in grado di esprimere una previsione esatta di dove essa
apparirà sullo schermo.
2) Che cosa succede alle particelle nel percorso che dalla sorgente le porta
allo schermo? Ogni particella è descritta da una funzione d'onda non localizzata,
sembrerebbe interagire con entrambe le fenditure producendo una sorta di
interferenza con se stessa, se la si considera come puntiforme però non può che
attraversare una sola fenditura.
Interpretazione di Copenaghen*
In meccanica quantistica i risultati delle misurazioni di variabili coniugate
sono non deterministici, anche conoscendo tutti i dati iniziali è impossibile
prevedere il risultato di un singolo esperimento. Quindi, le affermazioni
probabilistiche della meccanica quantistica sono irriducibili, nel senso che
non riflettono la nostra conoscenza limitata di qualche variabile nascosta .
Osserviamo che invece nella fisica classica si ricorre alla probabilità anche se
il processo è deterministico, in modo da sopperire a una nostra conoscenza
incompleta dei dati iniziali . Esempio: se conoscessi con precisione l'altezza da cui un dado
viene lanciato, la sua velocità e l'angolo d'inclinazione sarebbe possibile conoscere a priori come
poserà il dado sul tavolo utilizzando le leggi della meccanica.
Domande come: «Dov'era la particella prima che ne misurassi la posizione?»,
sono prive di senso, in quanto la meccanica quantistica studia esclusivamente
quantità osservabili, ottenibili mediante processi di misurazione.
L'atto della misurazione causa il «collasso della funzione d'onda», nel senso
che quest'ultima è costretta dal processo di misurazione ad assumere i valori
di uno a caso dei possibili stati permessi.
* A tutt’oggi maggiormente condivisa fra gli studiosi ed ispirata ai lavori svolti nella capitale danese
da Bohr e Heisenberg attorno al 1927
Obiezioni all'interpretazione di Copenaghen
Einstein: «Dio non gioca a dadi»;
Bohr: "Einstein, smettila di dire a Dio cosa deve fare"
Paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen (EPR): esperimento ideale teso a
evidenziare che se in un sistema quantistico ipotizziamo condizioni quali
realismo, località e completezza, ritenute ragionevolmente vere per qualunque
teoria che descriva la realtà fisica senza contraddire la relatività, giungiamo a
una contraddizione. EPR concludono che la teoria quantistica è incompleta.
Completezza : assenza di variabili nascoste
Località : i processi fisici non possono avere effetto immediato su elementi fisici
di realtà in un altro luogo separato da quello in cui avvengono (in accordo con il
fatto che la velocità della luce (relatività ristretta) è la velocità limite alla quale
può viaggiare un qualunque tipo d'informazione).
Realismo: l’assunto per cui tutti gli oggetti debbono oggettivamente possedere
dei valori preesistenti per ogni possibile misurazione prima che queste
misurazioni vengano effettuate
→ Einstein: «Credi davvero che la luna non sia lì se non la guardi?»
Paradosso EPR
Una sorgente emette coppie di elettroni, uno dei quali viene inviato alla
destinazione A (Alice), l'altro viene inviato alla destinazione B (Bob). Secondo la
meccanica quantistica, possiamo sistemare la sorgente in modo che ciascuna
coppia di elettroni emessi occupi uno stato quantistico detto singoletto di spin,
descritto come sovrapposizione quantistica di due stati, indicati con I e II.
I: l'elettrone A ha spin parallelo all'asse z (+z) e l'elettrone B ha spin antiparallelo (-z).
II: l'elettrone A ha spin -z e l'elettrone B ha spin +z.
Impossibile associare ad uno dei due elettroni nel singoletto di spin uno stato
di spin definito: gli elettroni sono detti entangled, cioè intrecciati.
Alice misura lo spin lungo l'asse ottenendo e.g.: +z; secondo la meccanica
quantistica la funzione d'onda che descrive lo stato di singoletto dei due
elettroni collassa nello stato I, se Bob successivamente misurasse lo spin lungo
l'asse z, otterrebbe -z con una probabilità del 100%. Analogamente, se Alice
misurasse -z, Bob otterrebbe +z, sempre con una probabilità del 100%.
→ una misura eseguita su una parte di un sistema quantistico può propagare
istantaneamente un effetto sul risultato di un'altra misura, eseguita
successivamente su un’altra parte dello stesso sistema, indipendentemente
dalla distanza che separa le due parti → devono esistere variabili
nascoste se si vogliono evitare "paradossali" effetti a distanza istantanei
che contraddicono località e realismo.
Benché proposto originariamente per mettere in luce l'incompletezza della
meccanica quantistica, ulteriori sviluppi teorici e sperimentali hanno portato una
gran parte dei fisici a considerare il paradosso EPR solo un illustre esempio di
come la meccanica quantistica contrasti in modo stridente con le esperienze
quotidiane del mondo macroscopico (per quanto la questione non sia
assolutamente chiusa). In particolare il teorema di Bell (1964) afferma che
nessuna teoria fisica locale e deterministica a variabili nascoste può riprodurre le
predizioni della meccanica quantistica.
Bell ha dimostrato che la condizione di realismo locale impone alcune
modificazioni (restrizioni) nelle correlazioni previste dalla meccanica
quantistica tra i parametri di particelle definite entangled mentre, di
converso, previsioni in completo accordo con la teoria quantistica
implicano la rinuncia ad almeno uno fra determinismo e località.
Tecnologie di frontiera basate su entanglement quantistico:
Crittografia quantistica: si usano particelle entangled per trasmettere segnali
che non possono essere intercettati senza lasciare traccia dell'intercettazione
avvenuta;
Vedere ad esempio: Aspetti di Crittografia Moderna : http://www.clusit.it/download/Q01_web.pdf
Computazione quantistica: si usano stati quantistici intrecciati per eseguire
molti calcoli in parallelo, permettendo velocità che non si possono raggiungere
con i computer classici.
Vedere
ad
esempio:
Introduzione
alla
http://www.bo.imm.cnr.it/users/degliesposti/TIQ.pdf
Teoria
dell'Informazione
Quantistica
: