POMPE
DI
CALORE:
PRINCIPI TEORICI, PROBLEMATICHE
ED APPLICAZIONI
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Pompe di calore
Introduzione
La refrigerazione è il processo con cui si raffreddano ‘materiali’ o
ambienti usando lavoro meccanico solitamente, o energia di altro tipo, per
ottenere un range di temperature compreso tra i -157° e i +4°C.
Temperature più basse vengono raggiunte negli impianti criogenici ( -273°
fino a –157°C). Noi focalizzeremo la nostra attenzione principalmente sui
sistemi che utilizzano la tecnologia della compressione del vapore ed i
principi dell’assorbimento. Si possono suddividere i tipi di refrigerazione
in cinque classi a seconda delle aree di applicazione:
(1) applicazioni domestiche
(2) sistemi commerciali
(3) cold storage & food processing
(4) area industriale (es. liquefazione di gas, raffreddamento di processi
chimici , cristallizzazione)
(5) trasporti
Nel 1991 è stato stimato che l’investimento mondiale annuo per i sistemi
di refrigerazione è stato superiore a 100 miliardi di dollari, e il valore dei
prodotti trattati da questi sistemi, superiore 1000 miliardi di dollari. I cicli
frigoriferi e le pompe di calore sono dal punto di vista fisico e teorico la
stessa cosa, sono dispositivi che prelevano calore da ‘sorgenti’ a bassa
temperatura per darlo a ‘sorgenti’ ad alta temperatura a spese di energia
lavoro. La differenza sta nello scopo e compito che il sistema è chiamato
ad assolvere; i cicli frigoriferi servono a prelevare energia termica da
‘materiali’ a bassa temperatura, e lo scopo è quello di abbassarne il livello
termico sotto quello ambiente o di mantenerlo tale, e cedere calore a più
alta temperatura come ‘scarto’, le pompe di calore servono a sfruttare e
trasferire energia termica (poco pregiata) da più bassa temperatura, senza
lo scopo di abbassarla, a più alta temperatura con lo scopo di scaldare
‘materiali’. Dal punto di vista termodinamico, il calore è energia più
pregiata ad alta temperatura. Per le pompe di calore, la sorgente povera si
trova a temperature relativamente basse, 0°C o anche meno, inoltre queste
permettono di salvaguardare le risorse naturali indipendentemente dal
risparmio economico, perché utilizzano risorse altrimenti disperse. Due
esempi di applicazione possono essere il recupero di calore dalle acque di
raffreddamento al fine di riscaldare ambienti industriali ed il recupero di
2
calore dall’aria fredda esterna per il riscaldamento di piccoli locali come
abitazioni e negozi. L’unità standard di misura della capacità di
refrigerazione è il ‘ton’, e rappresenta il calore che può essere rimosso da
909 kg di acqua per formare ghiaccio in 24 ore; il suo valore è di 3.51 kW
o anche 12.7 MJ/h.
Queste applicazioni risultano vantaggiose dal momento che la quantità di
energia richiesta per il funzionamento della pompa di calore è solo una
piccola parte dell’energia termica fornita. I componenti essenziali delle
pompe di calore sono gli scambiatori di calore attraverso i quali l’energia
estratta è resa disponibile all’utilizzatore. Gli altri sistemi per il pompaggio
del calore hanno in comune per il loro funzionamento la necessità di una
fonte di energia (meccanica, elettrica, ecc.) per poter operare. I cicli
frigoriferi più frequentemente usati sono:
(A) cicli a compressione di vapore nei quali il refrigerante è vaporizzato
e condensato alternativamente ed è compresso in fase vapore
(B) cicli a gas nei quali il refrigerante rimane sempre in fase gas
(C) cicli composti in cascata
(D) cicli ad assorbimento nei quali il refrigerante viene assorbito in un
liquido prima di essere compresso
(E) refrigerazione termoelettrica dove la refrigerazione è prodotta dal
passaggio di corrente elettrica attraverso due diversi materiali.
MATERIALE O
AMBIENTE CALDO
DA RISCALDARE
“POZZO” AD
ambiente ALTA
TEMPERATURA
SCOPO
Q1
CICLO
Q1
CICLO
WORK
Q2
WORK
Q2
SCOPO
“SORGENTE” A
BASSA
TEMPERATURA
MATERIALE O
AMBIENTE FREDDO
DA REFRIGERARE
REFRIGERATORE
POMPA DI CALORE
3
Principi teorici
Sappiamo dalla termodinamica che quando un fluido qualunque percorre
un ciclo di Carnot in senso diretto il fluido riceve una quantità di calore
Q1, ad alta temperatura, maggiore di quella Q2 che esso cede a bassa
temperatura, e la differenza tra i due è trasformata in lavoro meccanico o
di altro tipo disponibile; questo lavoro rappresenta l’exergia dell’energia
termica trasferibile su un gradiente di temperatura, exergia che genera
aumento di entropia per irreversibilità quando dissipata .Se si fa percorrere
un ciclo di Carnot in senso inverso il fluido riceverà a bassa temperatura
una quantità di calore Q2 minore di quella Q1 che cederà ad alta
temperatura ed occorrerà spendere lavoro dato sempre dalla differenza dei
due calori, per invertire il flusso naturale di energia termica, tutto questo in
idealità termodinamica. Il ciclo di Carnot inverso è il più efficiente ciclo
frigorifero e costituisce la base della refrigerazione. Il fluido sarà messo in
comunicazione termica con i materiali da refrigerare a temperatura più
bassa di un T di scambio, e in comunicazione termica con i materiali da
scaldare ad una temperatura più alta di un T sufficiente allo scambio
termico (evidentemente tanto più piccoli saranno i T, tanto più alte
saranno le rese termodinamiche, ma tanto più lento sarà il trasferimento di
calore). Non mi dilungherò ulteriormente su noti concetti di
termodinamica. Si definisce COP (Coefficient of Perfomance) delle
macchine refrigeranti il rapporto:
COPf = Q2 / L
(L = Q1 – Q2
Lavoro speso)
E’ stato dimostrato che il ciclo inverso di Carnot è quello con il massimo
COP tra due temperature prefissate T1 e T2 :
COPf = 1 / ((T1 / T2) –1)
Il ciclo di Carnot è ideale ed irrealizzabile, ma la difficoltà sta soprattutto
nel realizzare le due trasformazioni isoterme. Consideriamo, ad esempio,
di realizzare, il ciclo, con un gas come fluido; ci si può avvicinare, con
relativa facilità, alle due trasformazioni isoentropiche, con una
compressione ed una espansione adiabatiche, quasi reversibili, realizzate
cioè con sistemi poco dissipativi, (infatti è noto che dS sistema = dQ/T
+dSirreversibilità ), ma per ottenere due isoterme durante uno scambio termico
4
dovrò poter regolare la pressione in funzione del calore scambiato e della
velocità di trasporto termico e dunque in funzione di parametri come
coefficienti di scambio, velocità fluidodinamiche ecc., ottenendo funzioni
(P =f(pi)), troppo difficili da seguire nella pratica ( per un gas ideale è ad
esempio P2 =P1exp(-Q21/RT) ).
T
a
b
P costante
c
d
S
ba isoterma
cd isoterma
ac isoentropica
db isoentropica
Esistono, comunque, cicli a gas, essi sono stati i primi, e più semplici, ad
essere stati proposti, come quello basato sulla compressione ed espansione
dell’aria, qui le due isoterme vengono sostituite da isobare, ad esempio, e
ci si allontana volutamente, per comodità costruttive, dal ciclo ideale di
Carnot.
T
Pcostante
a
b
Pcostante
c
d
S
5
Alla luce di quanto detto, sarà più conveniente, allora, impiegare fluidi per
i quali le trasformazioni isoterme siano anche isobare, cioè fluidi bifase
cioè vapori saturi. Adoperando questo tipo di soluzione, nasce il problema
di espandere e comprimere fluidi bifase, in compressori e turbine reali per
i quali i rendimenti calano, in queste condizioni, e le difficoltà costruttive
aumentano. Il rapporto tra il calore reso disponibile ad alta temperatura in
uscita e il lavoro speso per il pompaggio costituisce la misura
fondamentale del rendimento di una pompa di calore, cosi si definisce il
suo Coefficient of Performance:
COPh = Q1 / L
Per un ciclo reversibile sarà:
COPh =1 / (1-(T2 /T1 )
Il legame tra i due COP è:
COPh = COPf +1
Si vede che i COP, e funzionalmente anche i COP dei sistemi reali,
aumentano con la diminuzione della differenza di temperatura, perché
diminuisce il lavoro richiesto al pompaggio del calore.
RENDIMENTI DELLE POMPE DI CALORE NELLE APPLICAZIONI
Maggiore è il COP, sia per i cicli frigoriferi, che per le pompe di calore,
maggiore è la loro efficacia. Valori dell’ordine di 5 o 7 per il COPh sono
possibili con macchine di grandi dimensioni, che operano tra piccole
differenze di temperatura; con macchine piccole, che usano come fonte
termica l’aria esterna, si possono avere valori dell’ordine di 2 o 3.
Sostituendo a T1 e T2 valori tipici di condensazione ed evaporazione (ad
esempio 40°C e 0°C), il COP massimo teorico risulta 7,8 ; ovvero il calore
totale reso disponibile risulta incrementato di 7,8 volte il lavoro di
pompaggio. Questo rapporto spiega da sé l’enorme interesse che le pompe
di calore hanno suscitato, non solo nei periodi iniziali di carenza di energia
a basso costo, ma anche in un secondo momento, quando si è sviluppata
nel mondo la massima attenzione all’ottimizzazione dell’impiego
dell’energia in generale. Le pompe di calore sono sistemi che permettono
di ridurre i consumi energetici, l’inquinamento atmosferico ed i costi per il
riscaldamento di ambienti e processi. Nella pratica, il COP che è di 7,8 a
livello teorico nelle normali applicazioni, si riduce intorno alla metà, o
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anche meno a causa delle inevitabili perdite meccaniche e termiche del
sistema frigorifero. Bisognerà, allora, cercare di sfruttare al meglio tutte le
potenzialità dell’energia termica propria del sistema, operando appropriati
scambi e recuperi termici tra i fluidi di lavoro, al fine di ridurre i gradienti
di temperatura sui quali avvengono i trasferimenti di calore, e non
dissipare exergia. Saranno allora giustificate le spese iniziali in parti come
scambiatori di calore, per rendere economicamente competitive le pompe
di calore, in condizioni di funzionamento, rispetto agli usuali sistemi di
riscaldamento. Il COP può scendere fino a 1,5 o 2 nelle apparecchiature
aria-aria di piccolissima potenzialità, mentre raggiunge il valore di 3 per
quelle dello stesso tipo, a grande potenzialità, e soprattutto con sorgenti a
temperature costanti. Il valore 3 viene generalmente utilizzato come dato
medio per giudicare la convenienza di una pompa di calore residenziale.
Valori superiori, tipo 4 o 5, si ottengono con apparecchi di grande
potenzialità come i gruppi aria-acqua o acqua-acqua. Tra i fattori che
influiscono maggiormente sul COP effettivo, si ha il dimensionamento
degli scambiatori di calore, e lo sporcamento delle batterie che riduce
notevolmente la trasmissione di energia termica. Il COP dato in ambiente
commerciale, dai fabbricanti, si riferisce sempre all’apparecchiatura con
batterie pulite. Confrontando dati realistici di una pompa di calore e di una
caldaia, si ha:
pompa di calore elettrica
 Efficienza di un generatore di energia termoelettrica: 0,4
 Efficienza della distribuzione: 0,9
 Efficienza media della pompa di calore: 4
 Efficienza globale: 1,44
caldaia
 Efficienza media di un boiler: 0,75
Di conseguenza ogni kJ ottenuto con una pompa di calore costa circa 0,7
kJ alla sorgente di energia, mentre ogni kJ ottenuto da una caldaia costa
circa 1,34 kJ alla sorgente di energia.
La caldaia può essere paragonata ad una pompa di calore elettrica, con
COP di circa 2.
Le pompe di calore, parlando in termini energetici, sono efficaci, ma non
sono usate diffusamente. La causa principale è il loro elevato costo
d’impianto a paragone con quello di altri sistemi ormai affermati. Molto
spesso i sistemi alternativi alla pompa di calore, sono meglio conosciuti
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tecnicamente, e sono più a buon mercato, cosicché il risparmio di energia
ottenuto mediante la pompa di calore viene annullato dal maggiore
impegno di capitale, e dai costi di manutenzione, non valutabili con
certezza.
Cicli a compressione di vapore
I cicli a compressione di vapore sono quelli più diffusi in assoluto, e quelli
che in generale, sono più studiati, e che danno rendimenti migliori.
Abbiamo visto come per bene approssimare il ciclo di Carnot conviene
operare con fluidi bifase, questo per poter avere isoterme che siano anche
isobare; cosi, però, come già detto, nasce il problema del loro utilizzo in
compressori e turbine reali che così lavorano male e con pessimi
rendimenti. Si preferisce allora comprimere vapori ‘secchi’, fuori dalla
regione bifase, ed espandere senza recuperare energia meccanica, in
valvole di laminazione o in tubi capillari, ciò rende il ciclo intrinsecamente
irreversibile, dissipando questa energia meccanica e generando un
aumento entropico equivalente ( dLW= TdSirr ). Utilizzando fluidi idonei
l’aumento entropico alla valvola è comunque accettabile, relativamente a
tutte le irreversibilità dell’intero sistema. E’ evidente che se si avesse a
disposizione una turbina ‘conveniente’, a livello costruttivo, economico,
ecc. il lavoro da lei prodotto arrecherebbe un beneficio diminuendo il
lavoro netto necessario al pompaggio del calore.
4
P alta
T
4’
5
1
P bassa
2’ 2
3
s
8
Il vapore viene compresso adiabaticamente da 3 a 4, con conseguente
aumento di temperatura superiore a quello dell’analoga trasformazione
ideale (3 4’), a causa dell’aumento entropico dovuto alle irreversibilità.
Conviene operare, comunque, un breve surriscaldamento del vapore dopo
l’evaporatore, per assicurare di non trasportare liquido al compressore. Il
fluido viene raffreddato da 4 a 5 e condensato da 5 a 1, tutto a pressione
costante, mentre cede calore al materiale da riscaldare. Subisce poi
un’espansione isoentalpica fino alla pressione bassa di funzionamento, che
lo porterebbe in 2’ se fosse anche isoentropica, mentre ci si trova nello
stato 2 dopo espansione reale. Durante l’evaporazione 2-3, il fluido preleva
calore dal materiale a bassa temperatura. Dovendo essere il corpo da
scaldare ad una temperatura inferiore a quella di condensazione T 1,
sebbene di poco, si avranno grosse differenze di temperatura tra fluido e
materiale durante il raffreddamento del vapore secco 4-5 generando
perdita di exergia e aumenti di entropia. Molte delle difficoltà costruttive
associate al ciclo inverso di Carnot, abbiamo visto che possono essere
eliminate vaporizzando completamente e surriscaldando il refrigerante
prima che venga compresso, e sostituendo la turbina con una valvola di
laminazione o con tubi capillari. Un’altra rappresentazione grafica
nell’analisi di questi cicli è quella sul piano pressione-entalpia;
l’espansione 1-2 avviene ad entalpia costante perché il fluido non riceve
calore o lavoro, e sono trascurabili i salti cinetici e potenziali. Per le altre
trasformazioni del ciclo, considerando il sistema a regime, il bilancio
energetico risulta essere:
(Qin- Qout) + (Lin- Lout) = he – hi
P
1
5
2
4
3
h
9
CORPO O AMBIENTE
CALDO
Q51
Q45
1
5
CONDENSATORE
4
VALVOLA
DI
LAMINAZ.
COMPRESSORE
2
EVAPORATORE
3
3-4
Q23
CORPO O
AMBIENTE FREDDO
Avendo a disposizione questi grafici P–h e semplice calcolare i COP
infatti:
COPf =(h3-h2)/(h4-h3)
COPh =(h4-h1)/(h4-h3)
Le macchine a compressione di vapore si sono dimostrate le più adatte sia
nel campo della generale refrigerazione, sia nelle applicazioni delle pompe
di calore. Queste, infatti, riescono a combinare a costi ragionevoli, il
rendimento con la compattezza delle dimensioni e la sicurezza nel
funzionamento. La maggiore importanza che viene attribuita nelle pompe
di calore, al risparmio di energia, fa sì che alcuni componenti, quali gli
scambiatori di calore ed i ventilatori, vengano dimensionati in base a
criteri differenti e specifici. I sistemi di controllo possono, inoltre, essere
molto più complessi nelle installazioni di pompe di calore, poiché piccole
variazioni delle caratteristiche di marcia ottimale, possono portare a
peggioramenti, consistenti, dei rendimenti del sistema. Le proprietà fisiche
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reali dei fluidi refrigeranti, associate alle perdite di pressione nelle
tubazioni ed alle differenze finite di temperatura negli scambiatori,
rendono difficile e complessa una esatta valutazione del rendimento di un
ciclo reale. In un ciclo ideale il vapore che lascia l’evaporatore, come
vapore saturo, entra nel compressore, ma nella pratica e difficile essere
certi del titolo del vapore, così risulta indispensabile , per rendere facile ed
economico il controllo ed il design, surriscaldarlo. Ciò comporterà che le
linee di connessione tra evaporatore e compressore diventino più lunghe, e
le cadute di pressione causate dalle viscosità e dal trasporto di calore tra
ambiente e fluido possono diventare significanti. Il risultato del
surriscaldamento, cioè del calore guadagnato nelle linee di connessione, e
delle cadute di pressione, corrisponde ad un aumento del volume specifico,
e dunque ad un aumento del lavoro richiesto al compressore (infatti sì ha
L= vsdP ). Nella compressione reale il calore entrante per non perfetta
adiabaticità e il lavoro dissipato aumentano la temperatura e dunque il
volume specifico. Sia vs = vs,ideale + vs , allora il lavoro sarà:
L= vs,ideale dP +  vs dP +  TdSirreversibilità
cioè
L= Lideale + ControRecupero + LostWork
Per ovviare al problema risulterà utile, dove economicamente vantaggioso,
raffreddare durante la compressione, ad esempio con un tipico intercooler.
Il calore, comunque, non sottratto qui al vapore, va ad aumentare il calore
di riscaldamento per una pompa di calore, e bisogna valutare il vantaggio
di raffreddare durante compressione. Analogamente, nel ciclo ideale, si
assume che il refrigerante lasci il condensatore come liquido saturo alla
pressione di uscita del compressore. Nei sistemi reali comunque, è
inevitabile avere cadute di pressione, di difficile valutazione, nel
condensatore e nelle linee di connessione compressore-condensatorevalvola. Risulta, allora, difficile avere un sistema di controllo, o progettare
con precisione, in modo da avere liquido saturo all’uscita del
condensatore, e non è peraltro desiderabile inviare il refrigerante alla
valvola di laminazione o al tubo capillare prima di averlo completamente
condensato, perché porterebbe via, non avendola ceduta, energia termica
latente (e anche perché con fluidi bifase si generano forti dissipazioni e si
hanno problemi di erosione dei materiali, ecc.). E’, così, in molti casi
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desiderabile sottoraffreddare il fluido all’uscita del condensatore,
considerando però che a causa del calore sottratto il fluido entra
nell’evaporatore con un’entalpia più bassa e può cosi prelevare più energia
termica dall’ambiente freddo, e servirà a pari COP un maggior lavoro al
compressore. La valvola di laminazione e l’evaporatore sono messi molto
vicini per evitare le spesso grandi perdite di carico del fluido bifase nelle
linee.
Compressore:
Il compressore fornisce l’energia necessaria a far circolare il fluido, ed a
produrre il sostanziale aumento di pressione, indispensabile agli scambi
termici. Infatti, portando il fluido ad alta pressione, se ne aumenta la
temperatura di equilibrio liquido-vapore, ad un livello termico superiore a
quello dell’ambiente caldo da scaldare di un T sufficiente allo scambio
della voluta potenza termica, viceversa, a bassa pressione, la temperatura
di equilibrio del fluido sarà minore di quella dell’ambiente freddo da
raffreddare, di un T sufficiente. Il tipo di fluido refrigerante scelto ed il
campo di variazione delle temperature richiesto nelle applicazioni delle
pompe di calore, conduce a richiedere l'impiego di compressori che
forniscono alte differenze di pressione in relazione a modeste potate.
Te = temperatura
evaporatore
Tb = temperatura
ambiente freddo
Ta = temperatura
ambiente caldo
Tc = temperatura
condensatore
Pc = pressione
condensatore
Pe = pressione
evaporatore
P
Pc
Pe
Te Tb
Ta Tc
T
Vi sono, perciò, alcuni accorgimenti, tecnici e costruttivi, che rendono i
compressori qui usati particolari, come l’alto rapporto di compressione che
occorre per il funzionamento del ciclo. E’ così preferibile, dal punto di
vista dell’affidabilità della macchina, far uso di compressori espressamente
progettati per il funzionamento di pompe di calore piuttosto che di
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compressori già esistenti e progettati per operare nel piccolo campo di
temperatura richiesto per il condizionamento dell’aria o per la
refrigerazione. Dal grafico si intuisce la necessità di grossi rapporti di
compressione.
I tipi di compressore utilizzati sono:
 compressori alternativi a stantuffo ancora molto utilizzati, anche se in
lento declino specialmente per quanto riguarda le piccole e le altissime
potenzialità. Il motore ed il compressore vengono raffreddati dai gas
aspirati poi inviati al condensatore; ciò facilita lo sfruttamento di questa
parte di calore, anche se aumenta il lavoro di compressione dei gas
caldi. Generalmente si usano compressori ermetici o semiermetici; i
compressori aperti sono sconsigliati perché non è possibile utilizzare il
calore di raffreddamento del motore. Per grosse dimensioni, fino a 150
kW di potenza assorbita, i compressori alternativi sono spesso
semiermetici; cioè, anche se motore e compressore sono alloggiati nello
stesso involucro, questo può essere aperto ed il fluido refrigerante non è
versato fuori. Non si ha alcun vantaggio a fornire nelle pompe di calore
un ulteriore raffreddamento al motore dall’esterno, dato che il calore
non asportato aumenta il calore utile di riscaldamento, mentre questo
può sicuramente aumentare il rendimento in applicazioni per il
condizionamento dell’aria; inoltre i costi sono considerevolmente
maggiori di quelli relativi ai monoblocchi ermetici, ma l’accesso per la
manutenzione è più facile per quelli semiermetici.
 Compressori rotativi sono stati usati in complessi monoblocco ermetici
e rispetto alle macchine alternative danno dei vantaggi anche per quanto
riguarda la robustezza. Dal momento che possono operare come pompa
di liquido tollerano tranquillamente tutte le irregolarità che si verificano
nella compressione del vapore. Negli anni passati ai compressori
rotativi furono preferiti quelli alternativi, ma attualmente nuovi sviluppi
nella tecnologia delle pompe di calore renderanno possibile che i motori
rotativi facciano la loro riapparizione nei sistemi a pompa di calore,
negli anni futuri.
 Compressori ad ingranaggi o a vite, per applicazioni che richiedono
grandi potenze variabili (da 300 kW a 2500 kW). Questi compressori
possono sopportare variazioni di potenza di circa il 10% rispetto a
quelle di taratura, le perdite nel rendimento sono trascurabili fino a
riduzioni del 30% della potenza nominale.
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 Turbocompressori o compressori centrifughi, utili fino ad elevate
capacità. In applicazioni che prevedono grandi portate, o per cicli
operativi che richiedono alte velocità di circolazione del refrigerante e
bassi valori di differenza di pressione, vengono spesso usati al posto dei
compressori volumetrici quelli centrifughi. Tali tipi sono disponibili per
potenze da 300 kW a 20 MW e vengono progettati per impieghi nel
campo della refrigerazione. In futuro si potranno prendere
maggiormente in considerazione questi tipi di compressori nel campo
delle pompe di calore nei processi industriali; questi attualmente
vengono, infatti, comunemente usati per la produzione di acqua fredda
in unità monoblocco ermetiche. Compressori centrifughi sono ben adatti
per pompe di calore che prevedono cicli di compressione a più stadi,
infatti, due o più stadi di compressione possono essere ottenuti con
opportune immissioni di gas tra uno stadio e l’altro, nei rotori.
Oggi la scelta del compressore dipende essenzialmente dalla maggior
disponibilità ed economicità di un tipo rispetto all’altro, ma in futuro, la
stretta interdipendenza tra motore, compressore e fluido refrigerante, farà
sì che la scelta più adatta ad ogni particolare applicazione sarà possibile
con qualsiasi combinazione dei tre elementi.
I REFRIGERANTI
Quando si progetta un sistema di refrigerazione, si ha a disposizione una
vasta gamma di fluidi refrigeranti, come i clorofluorocarburi (CFC),
l’ammoniaca, alcuni idrocarburi come propano, etano, etilene, o altri come
anidride carbonica, aria ed acqua. Tra i CFC, l’R-11, l’R-12, l’R-22,
l’R-134a, l’R-502 coprono più del 90% del mercato dei refrigeranti negli
USA. I fluidi refrigeranti possono essere raggruppati in tre categorie
generali: carburi alogenati, idrocarburi, fluidi inorganici. L’etere di
etilene fu il primo refrigerante commercialmente usato nei cicli a
compressione di vapore fin dal 1850, seguito dall’ammoniaca, anidride
carbonica, metilcloruro, di ossido di zolfo, butano, etano, propano,
isobutano, ecc. Il grosso del settore dell’industria fu largamente soddisfatto
dall’ammoniaca, e ancora lo è, nonostante la sua tossicità. Il vantaggio nel
suo utilizzo, rispetto agli altri refrigeranti, è il suo basso costo e la grande
disponibilità, gli alti COPs che hanno i suoi cicli, e dunque le basse spese
energetiche, le proprietà termodinamiche e di trasporto più favorevoli, e
dunque più alti coefficienti di scambio termico, e costi più bassi per gli
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scambiatori di calore. Un’altra qualità dell’ammoniaca che oggi riveste
notevole importanza, è che non arreca danno allo strato di ozono, a
differenza dei CFC. Il maggior svantaggio dell’ammoniaca è la sua
tossicità, che la rende inutilizzabile in settori leggeri del commercio, come
quello domestico. L’ammoniaca è utilizzata soprattutto nella refrigerazione
del cibo (frutta fresca, vegetali, carne, e pesce) di bevande e prodotti del
latte (birra, vino, latte e formaggio) nella produzione di ghiaccio e
nell’industria farmaceutica. E’ da sottolineare che i primi refrigeranti usati
nel settore domestico, come ad esempio diossido di zolfo, metilcloruro,
erano altamente tossici. Incidenti anche mortali, capitati negli anni venti,
generarono la necessità di produrre refrigeranti ‘sicuri’ per usi non sotto
stretto controllo. Il primo che usci dai laboratori di ricerca della General
Motor fu l’R-12 della famiglia dei CFC nel 1928. Il team di ricerca stabilì
essere l’R-12 come il più utilizzabile e sicuro, e chiamò la famiglia dei
CFC ‘freon’. L’alta versatilità dei CFC, e il loro basso costo, li rende
commercialmente molto competitivi, tanto che trovano sbocco in svariati
altri campi dell’industria, ad esempio come solventi. L’R-11 è usato
primariamente nei refrigeratori ad acqua di larga capacità che servono i
sistemi di condizionamento, dell’aria nei palazzi, e trova esteso impiego
nei compressori di tipo centrifugo perché l’alto peso molecolare riduce il
numero delle giranti necessario, per un dato rapporto di compressione.
L’R-12 è usato nei refrigeratori domestici e nei condizionatori degli
autoveicoli, ha un basso calore latente, ma un elevato coefficiente di
effetto refrigerante e non è corrosivo. Questo refrigerante attacca il
magnesio e lo zinco, ma non il rame e le sue leghe e viene soprattutto
usato nei sistemi per raffreddamento, dal momento che riesce a soddisfare
le esigenze di lavoro che coprono un campo di temperature di
evaporazione da –35°C a +10°C. L’R-22 è usato nei condizionatori d’aria
per finestre, per pompe di calore dei centri commerciali e nei sistemi di
refrigerazione della grande industria, ed è in stretta competizione con
l’ammoniaca; ha un elevato coefficiente di effetto refrigerante e bassa
tossicità. Un sostanziale vantaggio di questo refrigerante, rispetto al
precedente, è che il volume di gas da aspirare per frigoria prodotta è molto
minore; ciò significa che un compressore, nelle usuali condizioni di lavoro
di questi sistemi, consentirà di ottenere il 60% circa di frigorie orarie in più
se si usa l’R-22 anziché l’R-12. Un’altra caratteristica dell’R-22 è che a
bassa temperatura può assorbire una maggiore quantità di acqua rispetto ad
altri refrigeranti, prima che si verifichi gelo alle valvole di espansione. Gli
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svantaggi legati all’uso di questo refrigerante sono essenzialmente due. La
miscibilità con l’olio di lubrificazione del motore del compressore, è
completa alle alte temperature che si hanno nel lato di alta pressione
dell’impianto, ed è parziale alle basse temperature, bisognerà dunque
curare particolarmente il ritorno dell’olio al motore (nei confronti dei
lubrificanti però, l’R-22 è pochissimo reattivo e non ne altera le prestazioni
nel lungo utilizzo); inoltre ha una maggiore azione aggressiva come
solvente nei riguardi dei fili smaltati, delle vernici e degli elastomeri usati
nelle guarnizioni. L’R-502 (una miscela azeotropica di R-115 e R-22) è il
refrigerante principalmente usato nei sistemi di refrigerazione
commerciale, come i supermarket poiché permette di raggiungere basse
temperature all’evaporatore operando un singolo stadio di compressione.
Supera alcune delle caratteristiche negative dell’R-22 ma è più costoso e si
ha una minore esperienza nel suo uso; ad esempio rispetto all’R-22 e
usando un compressore di data cilindrata, l’R-502 consente una maggiore
resa, indicativamente del 10% a –40°C, più basse temperature alla mandata
e più bassi rapporti di compressione.
Il problema del buco dell’ozono ha causato una maggior attenzione
nell’industria della refrigerazione e del condizionamento, tanto che oggi i
refrigeranti in uso sono mal visti. E’ stato dimostrato, a metà degli anni
settanta, che i CFC permettono il passaggio delle radiazioni ultraviolette
attraverso l’atmosfera terrestre, distruggendo lo strato protettivo di ozono,
e impediscono alle radiazioni infrarosse di scappare dalla terra e quindi
contribuiscono all’effetto ‘serra’, che causa il riscaldamento terrestre.
Come risultato, l’uso di molti CFC è bandito da molte leggi internazionali.
CFC completamente alogenati, come l’R-11, l’R-12 e l’R-115, arrecano i
maggiori danni allo strato di ozono. I CFC parzialmente alogenati, come
l’R-22, hanno circa il 5% della capacità dell’R-12 di arrecare danno allo
strato di ozono. Refrigeranti che non danneggiano lo strato di ozono e non
contribuiscono all’effetto ‘serra’ sono stati prodotti; ad esempio l’R-12 è
stato sostituito dall’R-134a, prodotto completamente privo di cloro. A
metà degli anni ottanta si capì essere il cloro in composti come CFC e
HCFC, ad arrecare danno all’ozono; la tendenza è così quella di sostituire i
CFC e gli HCFC con gli HFC privi di cloro e con idrocarburi come
propano, o con refrigeranti inorganici come l’ammoniaca.
Due importanti parametri che occorre considerare nella scelta del
refrigerante, sono le due temperature dell’ambiente caldo e freddo, con cui
il ciclo refrigerante scambia calore. Per avere scambio termico ad una
16
velocità ragionevole, dovrà essere mantenuto un T di scambio tra fluido e
materiale di 5-10°C. La pressione più bassa nei cicli frigoriferi si
raggiunge nell’evaporatore, ed è utile che rimanga sempre superiore a
quella atmosferica, per evitare che l’aria possa inquinare il fluido entrando
nel sistema e abbattendone l’efficienza, o provocando fenomeni secondari
come la corrosione. Il refrigerante, così, dovrà avere alle basse temperature
(-20°C) alte tensioni di vapore saturo (1atm o più); l’ammoniaca e l’R134a e possiedono queste caratteristiche. La temperatura nel condensatore
dipenderà da quella del ‘materiale’ che riceverà l’energia termica; basse
temperature, e quindi alti COP, possono essere mantenute se il refrigerante
è raffreddato da acqua, invece che da aria, al condensatore. L’utilizzo del
raffreddamento ad acqua non può economicamente essere giustificato se
non in sistemi di refrigerazione industriale di grande potenzialità.
Temperature e pressioni al condensatore dovranno essere sufficientemente
al di sotto di quelle critiche se si vuole uno scambio termico isotermico. Se
nessun refrigerante ha i requisiti adatti, si possono usare più cicli in serie,
con differenti refrigeranti. Sarà utile un basso volume specifico del vapore
per i refrigeranti impiegati nei compressori alternativi, per rendere minime
le cilindrate, ed un elevato volume specifico nei compressori centrifughi,
per consentire larghi passaggi dei gas ed elevati rendimenti.
Altre caratteristiche desiderabili in un refrigerante sono la non tossicità, la
non corrosività, non infiammabilità e la stabilità chimica. Dovrà avere alta
entalpia di vaporizzazione per minimizzare le portate massiche, un basso
calore specifico in modo da rendere minima la frazione di liquido
evaporata durante l’espansione dalla pressione di condensazione a quella
di evaporazione, essere facilmente reperibile e a basso costo. Nel caso di
pompe di calore, le temperature minime sono considerabilmente più alte di
quelle dei refrigeratori, perché il calore viene estratto da ambienti freddi
‘normali’.
Nomenclatura: la tabella 1 riassume molte delle proprietà di tipi differenti
di refrigeranti, incluso il punto di ebollizione normale, che rappresenta il
range di temperature di refrigerazione entro il quale possono essere meglio
applicati. Per gli idrocarburi alifatici e gli idrocarburi alogenati alifatici
saturi ed insaturi utilizzati come refrigeranti, è stato utilizzato un sistema a
codice numerico che descrive la loro struttura molecolare con l’uso di una
formula generale avente la forma ABCD; A è il numero dei doppi legami,
B il numero di atomi di carbonio meno uno, C rappresenta il numero di
17
atomi di idrogeno più uno e D rappresenta il numero di atomi di fluoro. Il
diclorodifluorometano è chiamato R-12 (R sta per refrigerant); siccome
non ci sono doppi legami A = 0, c’è un solo atomo di carbonio quindi B=0,
non ci sono idrogeni dunque C = 1, ci sono due atomi di fluoro allora D=2,
e R-12 risulta non avendo riportato i due zero. Analogamente il propano è
chiamato R-290. Il cloro presente è determinato per differenza. I
refrigeranti inorganici sono descritti in modo diverso; vengono loro
associati tre numeri, il primo dei quali è 7, con i seguenti due numeri
rappresentanti il peso molecolare. Ad esempio l’ammoniaca è denominata
717, e l’anidride solforosa 764. Le miscele refrigeranti sono divise in due
categorie: azeotropi e zeotropi. La serie refrigerante 500 è classificata
come azeotropo, siccome la composizione del vapore è identica a quella
del liquido ad una data pressione. La serie refrigerante 400 è classificata
come zeotropo, perché le composizioni d’equilibrio del liquido e del
vapore sono differenti, e avvengono cambiamenti di composizione durante
il ciclo. I refrigeranti sono inoltre indicati con una delle sei categorie di
sicurezza secondo ASHRAE Standard 34-94. Il gruppo A1 è classificato
come non infiammabile e non tossico; B1 come non infiammabile e
leggermente tossico; A2 come moderatamente infiammabile e non tossico;
B2 come moderatamente infiammabile e moderatamente tossico; A3 come
altamente infiammabile e non tossico; B3 come altamente infiammabile e
altamente tossico.
Il potenziale di riduzione dell’ozono ODP (Ozone Depletion Potential) di
un refrigerante è la quantità numerica che descrive la diminuzione di
ozono provocata dall’immissione del composto in 1 kg di atmosfera
relativamente alla diminuzione di ozono provocata da una uguale
immissione di CFC-11 ( il CFC-11 avrà convenzionalmente ODP=1).
La combinazione tra la legge di Avogadro (che per tutti i gas ideali, il
volume di una mole è costante), e la legge di Trouton (che il calore latente
per mole va ad approssimare una costante multipla della temperatura
assoluta del cambiamento di fase) sta a significare che per un dato
compressore e per una data temperatura di evaporazione e di
condensazione, non ci saranno grandi variazioni nel rendimento di una
pompa di calore usando i diversi tipi di refrigeranti. In conseguenza di tale
situazione, diventano più importanti, nella scelta del refrigerante, altre
considerazioni, come stabilità chimica, tossicità, costo, entalpia di
evaporazione, ecc...
19
CLASSIFICAZIONE DECISA DA ANSI/ASHRAE 34-1992
A3
A2
A1
INFIAMMABILITÀ
CRESCENTE
B3
B2
B1
TOSSICITÀ CRESCENTE
Schema dei parametri di scelta del refrigerante
OZONE DEPLETION
POTENTIAL
PRESSIONE DI
VAPORE SATURO
GLOBAL WARMING
POTENTIAL
DENSITÀ
TOSSICITÀ
EFFICIENZA
TEORICA DEL CICLO
INFIAMMABILITÀ
CORROSIVITÀ
SCELTA DEL
REPERIBILITA’
REFRIGERANTE
ENTALPIA DI
VAPORIZZAZIONE
COSTO
STABILITA’
CHIMICA
PROPRIETÀ DI
SCAMBIO TERMICO
VOLUMI SPECIFICI
CALORE SPECIFICO
TEMPERATURA E
PRESSIONE CRITICA
Quando si considera la stabilità chimica di un refrigerante, e la sua
compatibilità con gli altri materiali, quali quelli delle tubazioni, degli
scambiatori di calore, delle valvole e delle guarnizioni, è necessario fare
tale esame nello stato di vapore surriscaldato, dal momento che eventuali
problemi di compatibilità sono messi in evidenza alla massima
temperatura di lavoro. I motori dei compressori di tipo ermetico spesso
sono raffreddati dai vapori del refrigerante, in questo caso il vapore deve
avere un’adeguata resistenza elettrica, ed avare caratteristiche di
compatibilità con il materiale impiegato per l’isolamento elettrico. In molti
compressori, poi, la lubrificazione avviene mediante circolazione d’olio a
contatto con il refrigerante: di conseguenza, non soltanto deve essere
verificata la compatibilità tra olio e refrigerante, ma anche il loro grado di
20
miscibilità, poiché una certa quantità d’olio trasportato dal fluido
refrigerante può andare ad influenzare negativamente sia la capacità di
trasferimento di calore da parte del refrigerante, sia la lubrificazione stessa.
Se un fluido refrigerante di tipo alogenato entra in contatto con
dell’umidità, si possono formare delle sostanze corrosive, come ad
esempio l’acido fluoridrico. Per ridurre, quindi, il rischio che una tale
possibilità possa verificarsi in conseguenza ad eventuali perdite nelle
tubazioni, è preferibile scegliere un fluido refrigerante che possa operare
ad una pressione maggiore di quella atmosferica; si evita così che dell’aria
umida possa penetrare nell’impianto.
SISTEMI A POMPA DI CALORE: ALCUNE PROBLEMATICHE
Le pompe di calore sono più costose nell’acquisto e nell’installazione dei
normali sistemi di riscaldamento, ma fanno risparmiare molto nel lungo
utilizzo. Ecco perché, nonostante gli alti costi iniziali, questi sistemi stanno
prendendo piede; circa un terzo delle case costruite fin dal 1984 negli
U.S.A. è riscaldato con pompe di calore. La più comune fonte di energia
per questi sistemi è l’aria (come nei sistemi aria-aria) sebbene siano anche
sfruttati l’acqua e il suolo. Il maggior problema che si ha nello
sfruttamento dell’aria atmosferica, è la brina, che si forma per l’inevitabile
presenza di umidità, appena sotto gli 0°C. L’accumulo di brina nelle
serpentine dell’evaporatore è molto indesiderabile siccome fa cadere
drasticamente lo scambio termico, e quindi l’efficienza del sistema,
interponendo del ghiaccio tra evaporatore ed aria, che oltre tutto può
raggiungere degli spessori tali da occludere il passaggio dell’aria, o in ogni
modo da aumentarne esageratamente le cadute di pressione. Questo
provoca interruzioni periodiche nell’erogazione termica in riscaldamento
(periodi di sbrinamento), sempre necessarie per poter ristabilire il corretto
funzionamento. In alcuni casi, quando si formano piccole quantità di brina
per non eccessiva umidità dell’aria ad esempio, questa è tollerata e anzi
può aumentare i coefficienti di scambio termico grazie alla formazione di
increspature sulla superficie di scambio. Per temperature dell’aria attorno
ai 2-3°C può risultare sufficiente fermare il compressore permettendo così
all’aria stessa di sciogliere la brina. Per temperature dell’aria più basse, per
rimuovere la brina è necessario un metodo con apporto di calore: i due
metodi più comuni sono il riscaldamento elettrico diretto o l’uso dei fluidi
refrigeranti caldi in fase vapore, inoltre per le pompe di calore reversibili,
le serpentine possono essere sbrinate invertendo il flusso termico. Con tutti
i metodi con apporto di calore durante lo sbrinamento si deve arrestare la
21
circolazione dell’aria lungo la serpentina. Lo sbrinamento elettrico fa
generalmente uso di riscaldatori alloggiati nel serpentino dello
scambiatore. Siccome la brina si forma con maggior spessore verso il
fondo della serpentina dell’aria, il riscaldamento viene di solito graduato in
modo che sul fondo si abbia una maggior quantità di calore. La potenza del
riscaldamento è solitamente tale che il compressore debba essere fermato
prima che il riscaldatore venga messo in funzione, per evitare una
eccessiva richiesta combinata di energia elettrica. Una variazione a questo
metodo è quello di far circolare dell’aria riscaldata elettricamente (o in
altri modi), attraverso la serpentina. Nei metodi visti ora, il calore che
serve a sciogliere la brina è fornito dall’esterno. Nello sbrinamento
mediante vapori caldi, la brina è sciolta mediante calore fornito
dall’interno del ciclo, facendo arrivare del refrigerante caldo in fase
gassosa all’evaporatore. Questo metodo usa meno calore per la rimozione
di una data quantità di brina, ed è fatto nei due modi seguenti. Nello
sbrinamento mediante l’inversione del ciclo viene usata una valvola
inserita nel circuito del fluido refrigerante per effettuare uno “switch” tra
evaporatore e condensatore: questo metodo fornisce uno sbrinamento
rapido ed efficiente. Per pompe di calore non appositamente progettate per
poter essere utilizzate con inversione di marcia, l’uso del sistema di
sbrinamento mediante l’inversione del ciclo può creare per il compressore
una più grande richiesta di lavoro rispetto alle normali condizioni di
impiego, ed è quindi preferibile utilizzare o lo sbrinamento elettrico diretto
o un metodo alternativo a gas caldo. Lo sbrinamento mediante gas caldo,
senza inversione del ciclo, può essere ottenuto aprendo una linea che fa da
by-pass al condensatore, fornendo così vapore caldo dal compressore
direttamente all’evaporatore per lo sbrinamento. Trovandosi in condizioni
di temperature estremamente basse, può risultare necessaria l’introduzione
di uno strozzamento addizionale dopo l’evaporatore, in modo da assicurare
una temperatura sufficientemente elevata durante lo sbrinamento. Come
sempre bisogna inserire un qualche dispositivo per evitare il ritorno di
liquido al compressore. Sono stati proposti anche metodi di sbrinamento
mediante il calore latente. Negli impianti frigoriferi il calore prodotto è
normalmente uno scarto, questo può invece essere immagazzinato, in
acqua ad esempio, e poi usato per lo sbrinamento. Per le pompe di calore
l’energia termica prodotta non è per niente uno scarto, così questi metodi
possiedono minore interesse. Una volta scelto il metodo di sbrinamento,
deve essere individuato il sistema di controllo per l’avviamento e l’arresto
22
dell’operazione. Il metodo più semplice è la regolazione a tempo:
sbrinamento per alcuni minuti, ogni una o due ore di funzionamento. Se le
temperature e l’umidità sono relativamente stazionarie, la regolazione a
tempo può essere adeguata, ma se le condizioni sono variabili è necessario
un sistema di regolazione più sofisticato per assicurare il buon
funzionamento ed evitare eccessive operazioni di sbrinamento. Il sistema
più efficace su cui basarsi per il ciclo di sbrinamento è quello che avverte
lo scadimento delle prestazioni o riferendosi ad un aumento di differenza
di temperatura tra serpentina ed aria, o ad un aumento della caduta di
pressione dell’aria attraverso la serpentina, o ad un aumento della potenza
richiesta dal ventilatore.
La scelta del materiale dello scambiatore di calore deve essere fatta con
molta attenzione se questo va ad operare in ambiente corrosivo. Questa
situazione può essere immediatamente accertata in casi limite, ma
problemi inaspettati possono anche derivare ad esempio da sorgenti di
acqua naturale non particolarmente pura, o dalla stessa umidità dell’aria
esterna che potrebbe contenere altri contaminanti. Costruzioni in alluminio
ed in particolare in sue leghe ad elevato contenuto di magnesio, possono
essere maggiormente soggette al rischio di corrosione rispetto a
costruzioni realizzate utilizzando soltanto il rame. Nelle serpentine di
deumidificazione le piccole quantità di contaminante possono essere
concentrate e raccolte nel liquido, in questi casi i rischi di corrosione
devono essere presi seriamente in considerazione. Alcune soluzioni
possibili impiegando materiali non soggetti a corrosione sono, la
realizzazione in tutto rame, acciaio dolce o inox, rivestimento in rame o in
materiali plastici dei serpentini; se il fluido refrigerante utilizzato è
l’ammoniaca, le varie condutture devono necessariamente essere in acciaio
e non in rame che per reazione chimica sarebbe velocemente corroso. Gli
scambiatori di calore in acciaio sono però di più difficile costruzione di
quelli in rame, ed è questa una delle ragioni per cui all’ammoniaca
vengono preferiti altri tipi di refrigeranti.
I sistemi che sfruttano l’acqua come sorgente di calore, spesso utilizzano
acqua di profondità, anche fino ad 80 m, in un range di profondità che va
da 5°c fino a 18°C. Questi non sono soggetti al problema della brina e le
temperature quasi costanti assicurano migliori rendimenti; hanno dunque
più alti COP, ma sono più complessi e necessitano il facile accesso a
grandi bacini d’acqua.
23
Per quanto riguarda il funzionamento dei compressori all’inizio sorsero
grosse problematiche per il ritorno di liquido al compressore, causato
dall’eventuale incompleta evaporazione e surriscaldamento del refrigerante
nell’evaporatore; il problema è particolarmente accentuato al momento
della partenza del gruppo. Un ottimo modo per risolvere il problema
consiste nell’introdurre nel circuito, subito a monte del compressore, un
serbatoio d’accumulo comprendente anche uno scambiatore. Le gocce di
liquido provenienti dall’evaporatore vengono raccolte nel fondo del
serbatoio mentre il compressore aspira dalla parte alta dello stesso, solo
vapore. Il liquido depositato, bolle grazie al calore scambiato con lo
scambiatore, costituito essenzialmente da una derivazione del circuito del
liquido caldo proveniente dal condensatore. C’è spesso il problema che
insieme al liquido, sul fondo, si deposita ed accumula anche dell’olio, e ciò
costituisce un effetto secondario del tutto indesiderato, anche perché
questo non ritorna al compressore a svolgere la lubrificazione. Questo
inconveniente è risolto mediante l’utilizzo di un tubo ricurvo a U come
aspiratore: il vapore viene aspirato sempre dall’alto del serbatoio grazie
all’aspiratore ad U che va poi a pescare il liquido sul fondo tramite un foro
calibrato d’espansione ricavato sulla pancia della U; il liquido viene
dunque espanso tramite il foro, senza più necessita di riscaldamento, e
trascina con se l’olio accumulatosi.
I sistemi che sfruttano il suolo come sorgente di calore sono per ora molto
raramente utilizzati, poiché di difficile costruzione; necessitano di lunghe
tubazioni che si spingano in profondità nel suolo dove le temperature sono
relativamente costanti e non troppo basse, per dare alti COP.
I COP delle pompe di calore variano solitamente tra 1.5 e 4 a seconda dei
sistemi utilizzati e delle temperature degli ambienti. Una nuova classe di
pompe di calore sviluppate recentemente, che usa motori elettrici a
velocità variabile, regolabile secondo le perturbazioni ed i cambiamenti
esterni, può raggiungere COP, in relazione all’utilizzo nell’arco di un
anno, anche doppi rispetto a quelli oggi in uso. Siccome le pompe di calore
ed i sistemi di condizionamento sono essenzialmente la stessa cosa, non
risulta economicamente vantaggioso avere due sistemi separati per
riscaldare e condizionare un ambiente, ma uno solo reversibile. Ciò
implicherà però il giusto progetto e dimensionamento soprattutto del
compressore, che dovrà fornire buoni rendimenti a due regimi d’utilizzo
spesso diversi, e degli scambiatori di calore, che dovranno poter
funzionare sia da condensatore sia da evaporatore, e dunque con portate
24
volumetriche diverse, pressioni diverse, temperature diverse. In inverno la
batteria esterna, a causa della rarefazione provocata dalla bassa pressione
di evaporazione, contiene una carica di refrigerante sensibilmente ridotta
rispetto alla quantità estiva, quando funziona da condensatore. Poiché la
carica totale nel circuito rimane invariata, il refrigerante in esubero viene
trasferito nel condensatore, del quale riduce, in conseguenza dell’aumento
del livello interno del liquido, la superficie di scambio destinata alla
condensazione. Il rischio che si corre in questo caso è l’aumento eccessivo
della pressione di condensazione, con conseguente intervento anticipato
del pressostato di alta. La disparità di carica necessaria nelle due stagioni,
può essere risolta introducendo un circuito addizionale, detto di “storage”,
il quale trattiene il refrigerante in eccesso durante il funzionamento in
pompa di calore.
SISTEMI INNOVATIVI A COMPRESSIONE DI VAPORE
Il ciclo a compressione di vapore semplice è il più diffuso, ed è adeguato
per la maggior parte delle applicazioni; è di facile progetto e costruzione,
economico e affidabile, non necessita di manutenzione. Comunque per le
applicazioni della grande industria, è l’efficienza non la semplicità a
rivestire maggiore importanza; così si ricorre spesso a dei cicli a
compressione di vapore modificati. Molte applicazioni industriali
necessitano temperature relativamente basse, così che la differenza di
temperatura che si viene a creare tra i due ambienti risulta essere eccessiva
per il funzionamento pratico ed efficiente di un singolo ciclo; inoltre
l’eccessiva differenza di pressione implica grandi rapporti di compressione
per il compressore e quindi suoi bassi rendimenti: un modo per risolvere in
modo efficiente il problema è fare ricorso a cicli di refrigerazione in serie.
Dallo schema in figura e dal diagramma T-s per un sistema a due stadi si
intuisce subito il funzionamento e quali sono i vantaggi che ne derivano.
I due cicli sono connessi attraverso uno scambiatore di calore che fa da
evaporatore per il ciclo superiore o di testa, e da condensatore per il ciclo
inferiore o di fondo. Assumendo che lo scambiatore sia ben isolato,
trascurando salti di energia cinetica e potenziale dei fluidi, a regime il
calore ceduto dal fluido nel ciclo di fondo eguaglia il calore assorbito dal
fluido nel ciclo di testa; da un bilancio energetico si ricavano il rapporto
tra le portate dei due cicli e il COP del sistema in cascata.
m'A (h5 –h8) = m'B (h2 –h3)
da cui:
25
(m'A / m'B) = (h2 –h3) / (h5 –h8)
e
COPf,c = m'B (h1 –h4) / [m'A (h6 –h5) + m'B (h2 –h1)]
COPh,c = COPf,c+ 1
T
6
9
7
CICLO
A
2
8
3
5
CICLO
B
1
4
4’
10
10’
S
AMBIENTE
CALDO
CONDENSATORE
CICLO A
COMPRESSORE
SCAMBIATORE
DI
CALORE
COMPRESSORE
CICLO B
EVAPORATORE
AMBIENTE
FREDDO
26
In questo semplice esempio il refrigerante è lo stesso in entrambi i cicli;
non è in ogni modo necessario che lo sia, poiché non c’è nessun
miscelamento nello scambiatore (i due cicli sono chiusi allo scambio di
materia). Si possono allora utilizzare refrigeranti diversi con le
caratteristiche più convenienti, nei singoli cicli. Si deve notare che il
lavoro di compressione diminuisce molto rispetto ad un singolo ciclo
operante tra le stesse temperature degli ambienti caldo e freddo (1-9-7-10),
ed aumenta il calore assorbito a bassa temperatura (il lavoro risparmiato è
rappresentato dall’area 2-9-6-5; il calore assorbito in più è rappresentato
invece dall’area 4-4’-10-10’). Per valutare l’applicabilità di questi sistemi
in serie alle pompe di calore, bisognerà valutare, dal punto di vista
economico, i benefici che derivano dall’aumento del calore assorbito e del
lavoro risparmiato, con il fatto che questo non lo ritroverò in calore utile di
riscaldamento, e con i maggiori costi d’impianto. Solitamente ci si limita a
due cicli in cascata per ragioni economiche, ma in particolari situazioni ed
applicazioni si può arrivare a quattro stadi.
AMBIENTE
CALDO
CONDENSATORE
CICLO A
COMPRESSORE
CAMERA
DI FLASH
COMPRESSORE
CICLO B
EVAPORATORE
AMBIENTE
FREDDO
27
Quando il fluido refrigerante dei cicli di un sistema in cascata è il
medesimo, lo scambiatore tra i vari stadi può essere sostituito da una
camera di miscelazione, in pratica da una camera di flash, di più facile
costruzione di uno scambiatore a due fluidi. Lo scambio termico risulta,
così, di molto migliorato. Questi sistemi sono propriamente detti sistemi
refrigeranti a compressione multistadio. Il refrigerante espande nella
prima valvola di laminazione, ed una parte viene vaporizzata, questo
vapore saturo viene miscelato al vapore surriscaldato proveniente del
compressore del ciclo di fondo, ed insieme compressi in quello del ciclo di
testa, per essere mandati al condensatore. Il liquido saturo della camera di
flash espande attraverso la seconda valvola di laminazione fino alla
pressione bassa dell’evaporatore, dove è vaporizzato.
Nel piano T-s il processo ha una rappresentazione analoga a quella del
caso precedente, ed è facile intuirne i vantaggi rispetto al sistema a singolo
ciclo (minor lavoro speso e maggior calore assorbito). Esistono molti altri
sistemi derivanti dal ciclo semplice a compressione di vapore, ma hanno
interesse soprattutto per cicli refrigeranti, non per le pompe di calore.
SCAMBIATORI DI CALORE NEI CICLI A COMPRESSIONE DI VAPORE
Gli scambiatori di calore sono quei dispositivi attraverso i quali il calore è
trasferito da un fluido all’altro, senza che questi due vengano in contatto
tra loro. Nelle pompe di calore, gli scambiatori vengono impiegati sia per
assorbire il calore e trasmetterlo al refrigerante nell’evaporatore, sia per
cedere il calore nel condensatore. L’evaporatore è quella parte
dell’impianto nella quale avviene l’ebollizione, ed anche l’eventuale
surriscaldamento del refrigerante, con sottrazione di calore dall’ambiente
da raffreddare. Nel condensatore, il calore assorbito nell’evaporatore e
l’equivalente termico del lavoro di compressione, vengono ceduti
all’ambiente da riscaldare, mentre il refrigerante passa dallo stato di
vapore a quello di liquido, eventualmente sottoraffreddato. Nelle pompe di
calore è alquanto difficile mantenere le denominazioni assegnate nel ciclo
refrigerante, a causa dello scambio che avviene tra i compiti svolti di volta
in volta da questi due componenti. E’ quindi il caso di parlare più
genericamente di scambiatori di calore, e di esaminare le problematiche
che insorgono nel cambio di ruoli che avviene nel funzionamento a pompa
di calore. La scelta corretta di uno scambiatore di calore ed il suo
dimensionamento, è senz’altro la parte più importante nel progetto di una
28
pompa di calore efficiente ed economica. La complessa struttura
geometrica degli scambiatori, insieme alle molteplici variazioni che in essi
si verificano nelle condizioni di esercizio, fanno sì che sia praticamente
impossibile dimensionare esattamente lo scambiatore in base a dei soli
principi fisici. Oltre a questi principi teorici, infatti, bisogna tenere conto
dei vari coefficienti empirici, determinabili solo sperimentalmente, da
applicarsi alle relazioni matematiche del trasferimento di calore. Benché
tali coefficienti possano essere correttamente determinati per le geometrie
degli scambiatori di calore disponibili, è difficile ottenere dettagli dai
costruttori che desiderano mantenere la riservatezza e la competitività dei
loro prodotti. Tutti i fenomeni del trasferimento di calore sono descritti in
maniera semplice dall’equazione fondamentale:
q’ = U  S  TS
Per ottenere il massimo flusso di calore assegnato il coefficiente di
scambio U, bisogna naturalmente agire sui valori di S e TS. S viene
spesso aumentato mediante l’uso di estese superfici alettate delle più
svariate forme; TS è reso massimo solitamente impiegando dei circuiti in
controcorrente. L’evaporatore è lo scambiatore più importante del ciclo,
destinato a prelevare la massima quantità di calore possibile dalla sorgente
povera di energia. Due esempi di scambio termico tipicamente incontrati
nelle applicazioni delle pompe di calore sono:
 lo scambio termico tra acqua e fluido refrigerante
 lo scambio termico tra aria e fluido refrigerante
Nel primo caso, scambio acqua-refrigerante, vengono solitamente utilizzati
tre tipi di scambiatori di calore e cioè:
I.
scambiatori a fascio tubiero e mantello in acciaio
II. scambiatori coassiali tubo-in-tubo
III. scambiatori a piastra
Nelle pompe di calore di media e piccola potenza non reversibili si usano,
per la maggior parte, evaporatori a mantello e fascio tubiero, con tubi a U
e piastra unica di estremità, oppure con tubi rettilinei mandrinati a due
piastre di estremità. Nel caso in cui sia il refrigerante a circolare nel
mantello, attraverso il quale vengono fatti passare i tubi di circolazione
dell’acqua, lo scambiatore di calore deve avere un mantello capace di
sostenere le elevate pressioni di esercizio del fluido refrigerante. I
29
vantaggi che derivano dal poter usare, nello scambio di calore, l’estesa
superficie dei vari tubi a contatto con il refrigerante, rimangono sempre
notevoli, ed inoltre si viene ad aumentare l’effetto delle fasi di
evaporazione e condensazione; il sistema inverso, in cui cioè è il
refrigerante a scorrere all’interno dei tubi, è usato soltanto nel caso in cui
si abbiano scambiatori di calore con disposizioni geometriche dei tubi
molto semplici, o in applicazioni in cui vi sia la possibilità che il liquido
possa gelare; in tal caso questo tipo risulta meno soggetto a danni. Questa
disposizione è adottata anche quando il refrigerante è aggressivo verso i
materiali dello scambiatore, dato che i tubi ne restano in contatto in
entrambe le disposizioni. Questi evaporatori sono definiti a “espansione
secca”, vale a dire con alimentazione del refrigerante nei tubi e
circolazione dell’acqua nel mantello. Un buon condensatore deve
permettere una condensazione completa del refrigerante, sottraendo sia il
calore sensibile di surriscaldamento, sia il calore latente di
vaporizzazione, e raffreddare ulteriormente il liquido di qualche grado.
Gli scambiatori a espansione secca, comportano rischi di intasamento,
depositi e incrostazioni interne, di difficoltosa rimozione, nei casi di
utilizzo di acqua in circuito aperto. I condensatori ad acqua del tipo a
pioggia, sono costituiti da un fascio di tubi, entro i quali circola il
refrigerante; l’acqua, effluendo dai fori del distributore, investe il fascio di
tubi e si raccoglie in una vasca sottostante, dalla quale, raffreddata, torna
al distributore. Le pompe di calore di grande potenza utilizzanti, quale
sorgente termica, acqua in circuito aperto, sono invece munite di
evaporatori “allagati” (refrigerante nel mantello), con tubi rettilinei
ripulibili. Gli evaporatori allagati sono, però, soggetti al rischio di
intrappolamento dell’olio, nelle situazioni di prolungato funzionamento a
carico ridotto. I condensatori nelle pompe di calore non reversibili, sono
quasi sempre del tipo a mantello e fascio tubiero con alettatura esterna,
che serve a compensare il coefficiente di scambio del refrigerante
condensante assai modesto, se paragonato con quello assai elevato tra
l’acqua in movimento e la parete interna dei tubi. Per pompe di calore di
piccola potenza, il condensatore normalmente è del tipo coassiale. Per le
pompe di calore reversibili, di potenza media, non è più possibile
l’utilizzo del condensatore a mantello e fascio tubiero, perché esso si
trasformerebbe in un evaporatore allagato nel ciclo inverso, coi problemi
funzionali visti. Quindi, le pompe di calore reversibili di media potenza,
devono mantenere sempre la circolazione del refrigerante all’interno dei
30
tubi, e l’acqua all’esterno. Gli scambiatori a mantello e fascio tubiero
risultano, pertanto, penalizzati nel funzionamento come condensatori,
perché associano una superficie minima, quella interna ai tubi, a un
modesto coefficiente di scambio del refrigerante condensante. Nella realtà
pratica, il condensatore predimensionato come evaporatore, per una
situazione altrettanto critica in termini di scambio, risulta sovraccaricato
dalla potenza termica associata alla compressione del refrigerante. In
sostanza i cicli acqua-acqua di normale impiego, possono utilizzare
condensatori più piccoli rispetto agli evaporatori, sfruttando l’alettatura
esterna dei tubi, che corrisponde mediamente ad un aumento della
superficie di scambio con il refrigerante condensante fino a 3,5 volte
superiore a quella interna dei tubi. Per questo motivo, questi tipi di
scambiatore sono in declino nelle applicazioni delle pompe di calore.
Molto più vantaggiosamente, poiché non presentano differenziazioni nei
flussi dei fluidi, vengono usati gli scambiatori a piastra. Gli evaporatori a
piastre, inoltre, risultano particolarmente indicati per acque contenenti un
alto grado di impurità, che possono essere agevolmente rimosse, poiché
risulta relativamente semplice ripulire questi scambiatori. Un altro fattore
che giustifica la grande diffusione di questo tipo di evaporatore, è la sua
rilevante compattezza rispetto agli evaporatori a fascio tubiero e mantello.
Gli evaporatori di tipo coassiale, a doppio tubo, dove i fluidi vengono fatti
passare in due fasci di tubi separati, ma disposti all’interno dello stesso
involucro, o tubo interno multiplo, possono presentare qualche problema
se per migliorarne lo scambio si eleva troppo la velocità dell’acqua, a
causa delle maggiori perdite di carico che vengono a crearsi.
Gli scambiatori aria-refrigerante sono nella pratica usati per le pompe di
calore reversibili residenziali e commerciali di piccola e media capacità,
per le quali la progettazione segue principalmente la domanda del ciclo di
raffreddamento, nel quale funzionano come condensatori. L’aria, per il
trasferimento di calore, viene di solito fatta circolare in modo forzato,
mediante ventilatori, attraverso delle serpentine alettate. Questi
scambiatori sono inseriti generalmente in piccole celle o in armadi
frigoriferi, e sono formati da tubi di rame alettati in alluminio, contro i
quali, per mezzo di un ventilatore comandato dal motore stesso, viene
forzata l’aria aspirata dall’esterno. Per aumentare il trasferimento di calore
sono usati dei tubi sfalsati ed alette ondulate. Gli evaporatori a secco sono
impiegati anche per capacità più elevate, e richiedono particolare cura
nella sezione di surriscaldamento, per evitare trascinamento di liquido al
31
compressore. Ad esempio se la temperatura di evaporazione è di –2°C, il
refrigerante dovrà essere surriscaldato almeno a +3°C; ciò pone un limite
all’utilizzo normale di queste pompe di calore che richiedono aria almeno
a +5°C per funzionare appropriatamente. Il problema principale per questi
scambiatori è dunque la temperatura di evaporazione, infatti, il diminuire
di questa provoca un vero crollo della resa del sistema, anche a causa della
diminuita densità del vapore aspirato dal compressore.
Cicli a gas
Il principio del loro funzionamento è essenzialmente molto semplice, e si
basa sul fenomeno fisico secondo il quale comprimendo adiabaticamente
un gas lo si riscalda, viceversa espandendolo, lo si raffredda. Per gas ideali
e trasformazioni adiabatiche e reversibili è ben nota la relazione che lega la
pressione alla temperatura:
(T2/T1)=(P2/P1)(K-1)/K
dove k=Cp/Cv. In questi cicli è necessario, e possibile non essendo bifase,
utilizzare una turbina durante l’espansione del gas, per recuperare energia
da sfruttare nella compressione, e per ottenere COP sufficientemente alti.
Questi cicli sono, idealmente, internamente reversibili, perché non hanno
valvole di laminazione o simili. Durante lo scambio termico a pressione
costante, la temperatura del gas varia considerevolmente, dunque le due
trasformazioni non sono isoterme, e ci si allontana dal ciclo ideale di
Carnot inverso.
AMBIENTE
CALDO
SCAMBIATORE DI
CALORE
TURBINA
COMPRESSORE
SCAMBIATORE DI
CALORE
AMBIENTE
FREDDO
32
Per questo motivo, nonostante la presenza della turbina, i COP dei cicli a
gas sono più bassi di quelli dei cicli a compressione di vapore (ad esempio,
in analoghe condizioni di temperatura degli ambienti caldo e freddo, se il
COP del ciclo a vapore è circa 3, quello del ciclo a gas sarà circa 2). A
dispetto dei loro bassi COP i cicli a gas hanno però importanti
caratteristiche, come leggerezza, semplicità costruttiva, e soprattutto fluidi
non tossici, non inquinanti, non corrosivi, ecc., come l’aria.
Pompe di calore ad assorbimento
Un altro sistema di pompaggio del calore, che risulta economicamente
interessante quando c’è una fonte di energia termica poco costosa, o di
scarto, a temperature tra i 100°C e i 200°C, è il ciclo ad assorbimento.
Alcuni esempi di fonti di calore a basso costo sono:
 energia geotermica
 energia solare
 energia di scarto di grandi impianti di cogenerazione e processi a
vapore
 fumi dalle combustioni
 gas naturale o simili se disponibili a prezzi molto bassi
I sistemi ad assorbimento sfruttano l’assorbimento fisico e chimico di un
fluido refrigerante in un fluido di trasporto; i cicli di questo tipo più
utilizzati sono, in primo luogo, quello acqua-ammoniaca, dove
l’ammoniaca è il refrigerante e l’acqua è il fluido di trasporto, ed i sistemi
ad acqua-bromuro di litio e ad acqua-cloruro di litio nei quali l’acqua fa
da refrigerante e la soluzione salina da fluido di trasporto. L’utilizzo di
questi due ultimi cicli è limitato ad applicazioni come il condizionamento
dell’aria, cioè dove le temperature minime sono superiori al punto di
congelamento dell’acqua. Il ciclo ad acqua-ammoniaca fu brevettato già
nel 1859 e, dopo pochi anni, fu largamente usato negli U.S.A. per la
produzione industriale di ghiaccio e la conservazione dei cibi. Per capire i
principi base di questi tipi di pompe di calore, esaminiamo il sistema ad
assorbimento ad acqua-ammoniaca, il cui schema è di validità generale.
Si può notare una forte analogia e somiglianza tra questo ciclo e quello a
compressione di vapore, e si intuisce dallo schema come la diversità stia
33
essenzialmente nel modo scelto per generare la differenza di pressione tra
condensatore ed evaporatore per il refrigerante.
AMBIENTE
A T0
QSOR
RETTIFICATORE
Q0
GENERATORE
CONDENSER
FONTE DI
ENERGIA
TERMICA
QRIG
RIGENERATORE
EVAPORATOR
QL
ASSORBITORE
WORK
POMPA
AMBIENTE
A TL
QASS all’acqua di raffreddamento
BLOCCO DI ASSORBIMENTO
Il compressore è qui sostituito da un complesso sistema ad assorbimento
formato dalle seguenti parti:
 assorbitore
 pompa
 generatore
 rigeneratore
 valvola di laminazione
 rettificatore
Un’importante caratteristica da notare, di questi cicli, è la presenza di una
pompa. Comprimere un gas, a pari P, richiede molto più lavoro che
pompare un liquido, essendo molto diversi i volumi specifici, ed essendo
il lavoro L= vsdP. Sostituire un compressore di vapori, che in cattive
condizioni di funzionamento possono essere saturi e trascinare del liquido
che abbatte il rendimento del compressore stesso, con un blocco ad
assorbimento molto più complesso ed articolato, che sfrutta il facile
pompaggio di liquido e quindi necessita di un basso lavoro meccanico, può
34
essere una soluzione economicamente competitiva. Una volta che la
pressione del vapore del fluido refrigerante è stata aumentata nel processo
ad assorbimento, il refrigerante chiude il solito ciclo condensando nel
condensatore così da rendere disponibile calore all'ambiente ad alta
temperatura, espandendo in una valvola di laminazione, evaporando in
evaporatore e sottraendo calore all'ambiente a bassa temperatura. Vediamo
cosa succede in dettaglio nel blocco di assorbimento: i vapori di
ammoniaca sono assorbiti in acqua, nell'assorbitore. L'assorbimento è di
tipo chimico poiché c'è reazione e il calore di reazione deve essere sottratto
ad esempio con dell'acqua di raffreddamento. L'assorbimento sia chimico,
che fisico, è esotermico; essendo nota dalla termodinamica la relazione
G=H-TS, si vede che tanto più la trasformazione è esotermica, tanto
più l’assorbimento può avvenire spontaneamente e quantitativamente,
rendendo efficiente il sistema e diminuendo a pari portata di refrigerante la
portata di fluido di trasporto necessaria; inoltre l’assorbimento chimico è
più esotermico di quello fisico, e dunque conviene utilizzare fluidi che
reagiscono chimicamente. La quantità di ammoniaca che si dissolve in
acqua è inversamente proporzionale alla temperatura, ed è quindi
necessario raffreddare l'assorbitore e tenere la temperatura il più basso
possibile compatibilmente con disponibilità e costi dei mezzi. La soluzione
ricca in ammoniaca è pompata fino al generatore. Sappiamo che
pompando un liquido non lo si riscalda, a differenza della compressione di
un gas, e dunque se vogliamo che il vapore del refrigerante ad alta
pressione sia ad una temperatura superiore a quella dell'ambiente caldo,
bisognerà progettare bene il sistema in modo da avere il giusto calore di
raffreddamento all'assorbitore e il giusto calore primario fornito al
generatore; si rende inoltre necessaria la presenza di un rigeneratore per
scaldare il fluido che va al generatore con l’energia termica di quello che
va all’assorbitore. Il funzionamento di questi sistemi è basato sul
fenomeno fisico secondo il quale la tensione di vapore di una sostanza può
essere abbassata aggiungendone un’altra, che formi con la prima una
miscela. Una fonte di energia termica riscalda, nel generatore, il fluido di
trasporto che si separa dal refrigerante per desorbimento. I vapori ricchi di
ammoniaca passano in un rettificatore che separa l'acqua e la rimanda al
generatore. I vapori caldi di ammoniaca continuano il ciclo mentre il fluido
di trasporto proveniente dal generatore (acqua povera in ammoniaca) passa
attraverso il rigeneratore e cede calore al fluido di trasporto che va al
generatore riscaldandolo (acqua ricca in ammoniaca), dopo di che viene
35
espanso in una valvola alla pressione dell'assorbitore. Il grosso vantaggio
dei sistemi ad assorbimento è il fatto che necessitano poca energia
meccanica per pompare il liquido; questa energia, infatti, è dell'ordine
dell'1 % dell'energia termica, data al generatore, dalla fonte di calore
esterna, ed è spesso trascurabile nell'analisi del ciclo. Le operazioni di
questi sistemi si basano sul trasferimento di calore da una fonte esterna e
sono per questo classificato come Heat-driver Systems. Le pompe di calore
ad assorbimento sono molto più costose delle pompe a compressione di
vapore, sono più complesse e molto più ingombranti, sono molto meno
efficienti; i sistemi ad assorbimento sono presi in considerazione solo
quando il costo unitario dell'energia termica è decisamente più basso,
soprattutto in una prospettive a lungo termine, dell'energia elettrica. I COP
dei cicli ad assorbimento sono così definiti rispettivamente nel
funzionamento come sistema refrigerante (f) e come pompe di calore (h):
COPf = QL / (QSOR + WPOMPA)  QL / QSOR
COPf = (Q0 + QASS) / (QSOR + WPOMPA)  (Q0 + QASS) / QSOR
E’ importante notare che, se avessi calore d’assorbimento piccolo o nullo, i
COP tenderebbero ad eguagliare quelli dei sistemi a compressione, ma
l’assorbimento ne risulterebbe termodinamicamente molto sfavorito. Se si
assume in prima approssimazione che l’ordine di grandezza dei calori di
condensazione, di evaporazione e di assorbimento sia lo stesso, ne
risultano COP di circa 2. Trascurando il lavoro della pompa e il calore di
assorbimento è facile dimostrare che i COP massimi, ottenuti con cicli e
trasformazioni totalmente reversibili e senza spreco di exergia, sono:
COP'f = (1- T0/TS) (TL/ (T0 - TL))
COP'h = (1- T0/TS) (T0/ (T0 - TL))
COP'f = COP'h + (1- T0/TS)
Dove T0  temperatura ambiente caldo
TL  temperatura ambiente freddo
TS  temperatura fonte di calore
36
Dallo schema s’intuisce il motivo essenziale per il quale non conviene
trasferire direttamente il calore dalla fonte termica a T S all'ambiente caldo
a T0; se si sfrutta la potenzialità chimico-fisica dell'exergia di questo
calore, infatti, è possibile pompare altra energia termica da ambienti freddi
e cedere all'ambiente caldo a T0 sia QL sia l'equivalente termico del lavoro
chimico-fisico. Nella pratica i COP saranno più bassi dei COP' massimi.
Ad esempio, con una fonte termica a TS=120°C, un ambiente freddo a
TL=-10°C e un ambiente caldo a T0=25°C si avranno COP'f1,8 e
COP'h2. I COP dei sistemi reali sono vicini, e anche minori, di uno. Le
pompe di calore monostadio hanno COP che possono raggiungere al
massimo 2, COP maggiori fino a tre si possono ottenere con sistemi
bistadio o multistadio, ma sono sistemi piuttosto complessi e le
applicazioni sono limitate a casi molto particolari.
FONTE
TERMICA A
TS
AMBIENTE
T0
LAVORO CHIMICO-FISICO
MACCHINA
IDEALE
CICLO AD
ASSORBIMENTO
AMBIENTE T0
AMBIENTE
TL
I sistemi di condizionamento dell'aria basati sui cicli ad assorbimento,
chiamati absorption chillers, funzionano meglio quando la fonte di calore
può fornire energia ad alta temperatura e con piccole perdite di
temperatura; tipicamente sono dimensionati per interagire con fonti a
TS=116°C (240°F), e per ogni 6°C persi dalla fonte di calore la loro
capacità di raffreddamento cala di circa il 12,5%. Ad esempio la capacità
di raffreddamento cala del 50% se la temperatura della fonte scende a circa
93°C (200°F), e dunque ci vuole un sistema grande il doppio per avere lo
stesso raffreddamento. I COP nominativi di un absorption chiller a singolo
stadio operante con una fonte termica a 116°C sono circa 0,65-0,7.
37
Bisogna quindi sempre valutare bene, dal punto di vista economico, la
possibilità di fare uso delle pompe ad assorbimento, difficilmente
utilizzabili nelle usuali applicazioni con fonti a temperature sotto i 93°C.
In campo frigorifero è ben conosciuto l’uso dei cicli ad assorbimento
applicati sia in macchine di piccole dimensioni, funzionanti senza
l’impiego di parti meccaniche, sia per impianti di grandi dimensioni, per il
recupero del calore di scarto dei cicli industriali. Abbiamo detto che questi
sistemi hanno rendimenti sensibilmente minori dei cicli a compressione di
vapore, per questo motivo il loro uso in applicazioni di media grandezza è
stato limitato. Il rendimento dei cicli risulta aumentato dall’elevato calore
latente del refrigerante, e più è elevato questo calore, minore è la quantità
di soluzione che deve essere ricircolata, e a pari dimensioni degli
scambiatori, è più completo lo scambio termico. Nella pratica costruttiva
l’intero sistema consiste di due elementi cilindrici sovrapposti; quello
inferiore racchiude l’evaporatore e l’assorbitore, quello superiore
racchiude il generatore e il condensatore. Questa sistemazione raggiunge
due risultati, elimina le connessioni del vapore e, specialmente, separa la
parte ad alta temperatura da quella a bassa temperatura, riducendo le
perdite interne. Per recuperare il calore sviluppato durante l’assorbimento,
e migliorare il COP, l’acqua di raffreddamento dell’assorbitore, che
comunque ha portate relativamente basse, viene inviata al condensatore e
unita alla portata d’acqua principale mandata al condensatore. Una
peculiarità delle pompe di calore ad acqua-ammoniaca, rispetto alle più
semplici ad acqua-bromuro di litio, è che l’acqua è volatile mentre un sale
non lo è; quindi il generatore o è una colonna di distillazione frazionata o
deve essere seguito da un sistema di distillazione per lasciare il
refrigerante il più puro possibile. Inoltre l’uso di ammoniaca come
refrigerante impone l’uso di diverse e maggiori pressioni, fino 2100 kPa
circa, al condensatore. Prendiamo ora in considerazione il sistema ad
assorbimento ad acqua-bromuro di litio, e vediamo, innanzi tutto, i fluidi
con cui lavora ed i vantaggi che ne derivano. L’acqua come fluido
refrigerante offre molte caratteristiche interessanti, è largamente
disponibile, praticamente non costa, non inquina, non è tossica, ecc..
L’acqua ha peraltro un elevato calore latente, circa dieci volte quello
dell’R-22. Un suo inconveniente è che per un utilizzo negli intervalli di
temperatura richiesti dalla climatizzazione ambientale, l’acqua deve
passare attraverso il cambiamento di stato liquido-vapore ad una pressione
assai bassa, 0.9 kPa; l’R-22 in analoghe condizioni lavora ad una pressione
38
di circa 620 kPa. Il bromuro di litio ha grande affinità con l’acqua, la
assorbe e vi si dissolve molto velocemente. Inoltre una soluzione
concentrata di bromuro di litio in acqua è caratterizzata da una bassa
tensione di vapore anche a temperature relativamente alte (ad esempio
40°C). Questo spiega la semplicità costruttiva e l’elevato rendimento di
questi sistemi rispetto a quelli acqua-ammoniaca. La combinazione acquabromuro di litio è ideale in termini di punto di ebollizione, calore
specifico, viscosità e stabilità chimica. Un grosso inconveniente di questi
sistemi è la possibilità che al generatore, a causa di una eccessiva potenza
termica fornita, si concentri troppo la soluzione precipitando il sale ed
incrostando il sistema. Inoltre le soluzioni di questo sale con l’acqua, a
causa della presenza di ioni alogenuri, è corrosiva in presenza di ossigeno,
sarà così necessario aggiungere al fluido di trasporto, degli inibitori
chimici, opportunamente dosati.
ACQUA
PURA
SOLUZIONE
DILUITA
SOLUZIONE
CONCENTRATA
TENSIONE
DI VAPORE
1
2
4
3
TEMPERATURA
L’acqua, che è il refrigerante, condensa alla pressione 1 ed alla
temperatura 1 nel condensatore, evapora alla pressione 2 ed alla
temperatura 2 nell’evaporatore, le pressioni di lavoro impongono anche le
temperature dell’assorbitore e del generatore (con i valori usuali della
pressione all’evaporatore si trova una T3 di circa 40°C ed una T2 di circa
3°C, temperatura assai utile per la climatizzazione). Per la realizzazione
pratica dei processi teorici, la soluzione di bromuro di litio e di acqua è
posta in un recipiente ermeticamente sigillato ed evacuato da tutti i residui
d'aria. Il ciclo inizia con il riscaldamento della soluzione nel generatore e
con la separazione del vapore d'acqua durante l'ebollizione. Il vapore
39
refrigerante compie il solito percorso, dal condensatore, attraverso la
valvola di laminazione, all'evaporatore. La soluzione concentrata passa
attraverso uno scambiatore, il rigeneratore, in controcorrente con quella
diluita, dove cede una importante quantità di calore prima di entrare
nell'assorbitore. Sia nell'assorbitore che nel condensatore l'acqua di
raffreddamento della soluzione e del vapore d'acqua, scorre in apposite
serpentine. I due sistemi ad assorbimento visti fino ad ora, che sono
essenzialmente identici, sono a singolo effetto. Il ciclo acqua-ammoniaca
viene usato per temperature all’evaporatore da +10 a –60°C, quello ad
acqua-bromuro di litio per temperature superiori a 0°C. Le pompe di calore
ad assorbimento utilizzano il calore come energia primaria e non energia
meccanica o elettrica; inoltre i COP complessivi non sono molto attraenti.
Poiché il calore costituisce l'energia utilizzata nel ciclo ad assorbimento, si
possono adottare accorgimenti per recuperare il calore inutilizzato e per
reintrodurlo nel sistema allo scopo di incrementare i COP. Il processo con
il recupero del calore inutilizzato allo scopo di ottenere una migliore
refrigerazione, è conosciuto come ciclo ad assorbimento a doppio effetto.
Nel sistema a doppio effetto il vapore d'acqua generato al primo generatore
non viene mandato subito al condensatore, ma una parte viene inviata sulla
serpentina del secondo generatore dove cede energia termica alla soluzione
a media concentrazione, cedendo calore sensibile e latente. Questa arriva
dal primo generatore, e prima di essere concentrata nel secondo generatore
scalda la soluzione diluita che sta andando al primo generatore, in uno
scambiatore termico di alta temperatura (HHE). Così facendo si riesce a
tenere più alta la temperatura di generazione del vapore e dunque si
diminuisce il gradiente termico tra primo generatore e la fonte di calore
meglio sfruttando l’exergia del flusso termico. I due generatori stanno in
uno stesso contenitore cilindrico ermetico. Parte del vapore comincia così
a condensare prima di essere inviato al condensatore. Se si fosse inviato il
vapore direttamente al condensatore, si sarebbe avuto uno scambio termico
con grandi gradienti di temperatura, essendo il generatore ad una
temperatura più alta del condensatore, e si sarebbe persa exergia del calore
sensibile del vapore. Ora il vapore e l’acqua di condensa sono
completamente condensate dall'acqua di raffreddamento proveniente dal
sistema di raffreddamento dell'assorbitore, dunque il calore utile sarà
quello di condensazione ad alta pressione e quello di assorbimento a bassa
pressione. La soluzione concentrata attraversa un altro scambiatore di
calore di bassa temperatura (LHE), e cede energia termica alla soluzione
40
diluita proveniente dall’assorbitore, dopo la pompa. Vediamo meglio
l’interazione tra i due generatori; il primo, quello iniziale funzionante ad
alta temperatura, verrà denominato HGE. In questo una certa quantità di
acqua, il fluido refrigerante, si separa dalla soluzione in ebollizione e
fluisce al generatore di bassa temperatura detto LGE, dove condensa sulla
serpentina. Insomma il risultato che si raggiunge con stadi a doppio effetto
è quello di perdere il meno possibile energia termica, e soprattutto la sua
exergia. Ciò significa che la quantità di calore necessaria ad un processo di
assorbimento a doppio effetto, a parità di capacità refrigerante o pompante,
è abbastanza ridotta, rispetto ad un sistema a singolo effetto. Il
miglioramento è tale che se si confrontano i valori in gioco con quelli
relativi ad un ciclo a compressione elettrica, tenendo conto delle efficienze
termiche ed elettriche per la produzione di energia elettrica, esistono
piccole differenze tra i due processi. Da questo schema semplificato si può
meglio capirne il funzionamento.
HGE
LGE
HHE
LHE
ABSOSBER
Una valvola di espansione riduce la pressione dal primo corpo cilindrico
contenente i due generatori, che è di circa 103kPa, al secondo corpo
cilindrico contenente il condensatore. A causa della rapida diminuzione di
pressione, parte dell’acqua proveniente dai due generatori passa allo stato
di vapore, poi liquefatto nel condensatore; ecco spiegato il motivo della
necessità di espansione prima del condensatore.
I principi dell’assorbimento restano in sostanza gli stessi per tutta la
gamma delle apparecchiature, sia di grande sia di piccola potenza. Esiste,
in ogni modo, qualche differenza nei metodi adottati dai diversi produttori
per la circolazione dei fluidi di lavoro. Nelle macchine utilizzanti
41
ammoniaca ed acqua, l’ebollizione della soluzione nel generatore causa
una rapida separazione del vapore di ammoniaca; la densità della soluzione
residua, aumenta molto e causa la sua discesa sul fondo del generatore. Da
qui la stessa è indotta a fluire verso l’assorbitore, percorrendo una
serpentina che attraversa il generatore, per un bilanciamento di pressioni.
Nonostante questa differenza di densità tra soluzione ricca e povera, è
necessaria una pompa per poter generare la giusta differenza di pressione
tra evaporatore e condensatore. Il flusso del fluido nella rimanente parte
del ciclo, è ottenuta col solo bilanciamento delle pressioni. Negli
assorbitori ad acqua-LiBr a singolo effetto di piccola potenza, per la
circolazione dei fluidi di lavoro sono adottati due differenti metodi: il
primo non utilizza nessun sistema di pompaggio meccanico, il secondo
utilizza per il movimento della soluzione diluita, una pompa azionata
elettricamente. Entrambi i metodi, utilizzano come prima azione per il
trasferimento del bromuro di litio dal generatore all’assorbitore, il
principio del pompaggio a bolle calde secondo il quale le correnti
convettive, che si muovono verso l’alto attraverso la soluzione in
ebollizione, causano un effetto di sollevamento sotto forma di bolle di
vapore. Il trasporto verso l’alto della soluzione con la separazione del
vapore è strettamente legato all’intensità dell’ebollizione, ed alla densità
del fluido di lavoro.
VAPORE AL CONDENSATORE
VAPORE DALL’EVAPORATORE
SOLUZIONE
CONCENTRATA
RISALITA
BOLLE
SOLUZIONE
DILUITA
42
Questo fenomeno è sufficientemente definibile per una sua utilizzazione
nella costruzione di questi sistemi ad assorbimento. Il flusso naturale della
soluzione di bromuro di litio richiede un opportuno battente, ottenuto per
sollevamento, allo scopo di provvedere alla necessaria forza
gravitazionale; ciò significa che se la temperatura del generatore è
incrementata in funzione delle necessità di progetto, anche l’altezza del
sistema deve essere incrementata, servendo una maggior pressione nel
generatore, e dovendo il fluido ritornare per gravità dall’assorbitore al
generatore. Qualora non fosse possibile ottenere il battente necessario per
un flusso gravitazionale, come nei cicli ad assorbimento di piccola e media
potenza, per vincere la pressione al generatore, si rende necessaria
l’adozione di una pompa. Le macchine ad assorbimento di grossa potenza,
senza eccezioni, utilizzano bromuro di litio ed acqua come fluidi di lavoro.
La costruzione è realizzata con scambiatori a fascio tubiero con tubazioni
di rame che corrono parallelamente da un lato all’altro dello scambiatore;
l’insieme dei tubi è contenuto in un contenitore d’acciaio. Opportune
testate per l’ingresso e l’uscita del fluido sono sistemate alle estremità
dello scambiatore. Poiché le grandi macchine sono caratterizzate da un
disegno orizzontale, quindi con un basso profilo, la relativa configurazione
costringe all’uso di pompe per la soluzione diluita e per il liquido
refrigerante. A volte è necessaria persino una pompa per la circolazione
della soluzione diluita.
In termini di manutenzione, per i sistemi ad assorbimento a litio bromuro
e acqua, sono necessari i seguenti controlli:
 qualità dell’acqua di condensazione, per evitare fenomeni come la
corrosione, le incrostazioni, lo sporcamento.
 Integrità del vuoto
 Equipaggiamenti ausiliari
Per quanto riguarda la qualità dell’acqua, il ciclo con condensazione ad
acqua offre un buon livello di stabilità funzionale. Ciò è dovuto in parte
alle caratteristiche temofisiche dell’acqua. Se viene impiegata una torre
evaporativa, la temperatura dell’acqua di raffreddamento è funzione della
prevalente temperatura di bulbo umido dell’ambiente. Di regola durante le
giornate di massima richiesta di climatizzazione, la temperatura di bulbo
umido è sempre inferiore alla temperatura di bulbo secco. Un corretto
dimensionamento della torre di raffreddamento, che consideri gli intervalli
di temperatura di bulbo umido di esercizio, assicurerà le volute prestazioni
43
del sistema. Le apparecchiature raffreddate ad aria, richiedono il
movimento di una grande quantità d’aria attraverso le serpentine di
scambio termico; bisognerà pertanto tenere conto della rumorosità che ne
deriva. In questo caso il fattore determinante risulterà la temperatura di
bulbo secco, e ciò porterà a ridotte prestazioni durante le giornate con
temperatura ambiente eccedenti quelle di progetto che solitamente non
superano i 35°C, proprio quando le necessità di raffreddamento sono più
accentuate. Nonostante ciò i sistemi raffreddati ad aria, non sono
penalizzati dalle spese di consumo dell’acqua e di controllo per il
mantenimento della qualità dell’acqua richiesta; questo problema c’è per
tutte quelle apparecchiature che utilizzano torri di raffreddamento.
Sebbene l’acqua risulti un vettore termico altamente interessante per via
del suo calore specifico, del suo calore latente e dell’energia richiesta per il
suo pompaggio, essa assorbe una vasta gamma di sostanze minerali e di
sostanze gassose. Offre inoltre condizioni ambientali ideali per la crescita
di alghe e microrganismi. Vanno spesso tenuti in considerazione anche i
solidi sospesi provenienti dall’aria ambiente, o dalla stessa sorgente
dell’acqua. Il risultato della propensione dell’acqua ad essere contaminata
è che il gruppo refrigerante risulta assai esposto alla corrosione, alle
incrostazioni e allo sporcamento delle serpentine dell’assorbitore e del
condensatore. Se ciò si verifica, la macchina può diventare permeabile
all’aria e perdere il vuoto (per corrosione delle serpentine e altre parti),
può inoltre ridurre le prestazioni e l’efficienza per il problema delle perdite
di carico e soprattutto per il decadimento dei coefficienti di scambio
termico (per sporcamento e incrostazioni); questo porterebbe a maggiori
temperature al generatore, diminuendo l’energia termica allontanata dal
sistema, dunque a maggior concentrazione della soluzione, ed al rischio di
cristallizzazione che metterebbe fuori uso la macchina per occlusione dei
passaggi dei fluidi. L’acqua pertanto richiede un trattamento chimico in
ogni sua fase di utilizzo, particolarmente nel circuito di raffreddamento.
Nel caso di impiego in una torre evaporativa, sono essenziali inibitori di
corrosione e di incrostazioni, e prodotti chimici per eliminare i batteri e le
alghe. E’ necessario anche un attento programma di manutenzione per
assicurare che le superfici di scambio termico rimangano pulite, affinchè le
prestazioni del ciclo restino invariate. Il ciclo ad assorbimento a bromuro
di litio si svolge in condizioni di pressione interna alla macchina inferiore
a quella atmosferica (pressione parziale). Di conseguenza il mantenimento
del vuoto richiede una attenzione costante. Con l’aumento della pressione
44
all’interno della macchina diminuiscono proporzionalmente le prestazioni
fino a cessare completamente. Usualmente l’accumularsi di aria o di gas
idrogeno, gas non condensabili, rappresenta la causa di perdita di vuoto
nella macchina. L’aria è dovuta a falle nella sezione ermetica e l’idrogeno
è il risultato della corrosione delle superfici metalliche interne. I gas non
condensabili devono essere rimossi dal circuito del sistema ad
assorbimento periodicamente. La frequenza dell’operazione di
evacuazione dipenderà dal tipo di macchina, dalle sue dimensioni,
dall’intensità del suo utilizzo e dalle condizioni delle parti di cui è
composta, operanti sotto vuoto. Tutti gli assorbitori funzionanti a pressione
parziale, richiedono dunque periodiche evacuazioni di gas ottenute ad
esempio manualmente per mezzo di una pompa a vuoto esterna. Sono
impiegati anche sistemi automatici per la rimozione dei gas dall’area
assorbitore-evaporatore. Nella costruzione di macchine di piccola potenza
è impiegato il dispositivo denominato “cella di palladio”. Il palladio se
portato tra i 200°C e i 250°C permette alle molecole di idrogeno di
attraversarlo facilmente; il passaggio avviene unidirezionalmente sotto la
spinta di pressioni parziali di idrogeno differenti. La cella a palladio è
riscaldata per mazzo di una resistenza elettrica di 30 W alla temperatura
desiderata, ed è installata nel circuito ad assorbimento in modo che
l’idrogeno accumulatosi venga disperso automaticamente nell’atmosfera.
Nelle normali condizioni di esercizio la cella di palladio può espellere fino
a 30 cc di idrogeno per ora. Qualora l’idrogeno sia prodotto in quantità
maggiore, il dispositivo di spurgo automatico non potrà far fronte alle
necessità operative e la macchina andrà fuori esercizio. La produzione di
idrogeno si verifica, come è noto, a seguito di fenomeni di corrosione
dell’acciaio, materiale costituente la macchina. Di conseguenza, per una
lunga durata della stessa, sono talora necessari opportuni interventi di
passivazione delle superfici interne. La soluzione di bromuro di litio alla
presenza di O2 è corrosiva; pertanto se si vuole garantire una sicura e
duratura operatività, risulta essenziale per il fluido di lavoro l’adozione di
inibitori. Tutti i produttori utilizzano componenti ausiliari ermetici, quali
pompe e valvole necessari al normale funzionamento delle
apparecchiature. Alcuni di questi sono smontabili ed accessibili, altri
richiedono per gli interventi il taglio delle parti ermetiche. I motori elettrici
e le pompe devono essere trattati opportunamente per l’integrità dello
statore, dei cuscinetti, e delle sigillature. Le stesse attenzioni devono essere
prestate alle parti meccaniche delle pompe utilizzate nelle sezioni
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sottovuoto. Poiché i sistemi di controllo elettrici di un assorbitore non
differiscono da quelli delle apparecchiature refrigeranti elettriche
tradizionali, non sono necessarie particolari attenzioni. La verifica della
taratura dei termostati, il corretto funzionamento dei relè di potenza e del
programma del microprocessore costituiscono in ogni caso parte del
programma di manutenzione ordinaria.
Per quanto riguarda i sistemi ad assorbimento ad ammoniaca-acqua gli
interventi di manutenzione e di verifica riguardano i seguenti punti:
 Condizioni di sporcamento della batteria alettata condensatoreassorbitore
 Livello e qualità dell’olio della pompa idraulica di azionamento della
pompa di soluzione
 Livello dell’acqua glicolata all’interno del serbatoio evaporatore
 Equipaggiamenti ausiliari
Risulta evidente che un eventuale sporcamento della batteria alettata
condensatore-assorbitore riduce sia lo scambio termico della stessa sia la
portata dell’aria che l’attraversa. Ciò causa di conseguenza una
diminuzione delle prestazioni del sistema. Allo scopo di ovviare a questo
inconveniente le unità sono dotate di un dispositivo di controllo delle
portate dell’aria che provvede all’arresto della macchina in presenza di
eccessivo sporcamento della batteria alettata. Una pulizia preventiva e
periodica, funzione delle condizioni ambientali e delle ore di
funzionamento dell’unità, permette di evitare l’arresto della macchina e di
mantenere le prestazioni ad un livello ottimo. La circolazione della
soluzione ammoniaca-acqua è garantita da una pompa a membrana
azionata dall’alternarsi di cicli di pressione e di scarico creati da una
pompa idraulica. Le operazioni di manutenzione periodica devono
assicurare che il livello dell’olio nel serbatoio della pompa idraulica sia
adeguato e che l’olio stesso sia in buone condizioni.
Poiché il circuito secondario dell’impianto è di tipo aperto, risulta
opportuno procedere ad un controllo periodico del livello del fluido di
scambio termico nel serbatoio dell’evaporatore. Eventuali rabbocchi
devono tener presente la necessità di non ridurre eccessivamente la
concentrazione del glicole, necessario ad evitare congelamenti nella
stagione fredda. Per gli equipaggiamenti ausiliari delle macchine ad
ammoniaca valgono fondamentalmente le stesse considerazioni viste per i
sistemi a bromuro di litio.
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BIBLIOGRAFIA:
 Yanus A. Çengel, Michael A. Boles: Thermodynamics: An Engineering
Approach. McGraw-Hill
 Francis F. Huang: Engineering Thermodynamics: Fundamentals and
Applications. Maxwell Macmillan International Edition.
 Heap R.P.: Pompe di calore Ed. Hoepli
 Kirk, Othmer: Encyclopedia of chemical technology
Ullmann’s :Encyclopedia of industrial chemistry
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