Referendum
Costituzionale
le ragioni del NO
Alfonso Celotto
L’autore
Alfonso Celotto
Ordinario di diritto costituzionale
nella Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università degli studi
“Roma tre”.
Dottore di ricerca in Diritto
costituzionale e diritto pubblico
generale nell’Università degli
studi “La Sapienza” di Roma.
è visiting professor della
U.B.A. - Universidad de Buenos
Aires; dell’ Università
di Varsavia e dell’Università
Mc Gill di Montreal.
è stato Capo di gabinetto dei
ministri Barca e Trigilia e Capo
ufficio legislativo dei ministri
Bonino, Calderoli e Guidi.
Non si può votare
al Referendum
Costituzionale
per simpatia
o per sentito dire
La Costituzione è una cosa seria:
dobbiamo andare a votare capendo
quello che scegliamo.
Deve essere un voto consapevole.
La Costituzione stabilisce le linee
fondamentali del funzionamento
dello Stato. Perciò, le
Costituzioni sono approvate
con un ampio consenso politico
e sono destinate a durare nel
tempo. Non a caso, lo Stato
Italiano ne ha avute soltanto
due: lo Statuto albertino del 1848
e la Costituzione repubblicana
del 1947.
Ovviamente le Costituzioni
possono essere modificate, per
essere aggiornate rispetto al
modello di società. La nostra
Costituzione è stata modificata
poco. Soltanto 15 volte, con
interventi specifici e puntuali
(istituzione della Regione
Molise, abolizione della pena
di morte, riammissione dei
discendenti maschi di casa
Savoia). La modifica più ampia
è avvenuta fra il 1999 e il 2001,
con la riforma del sistema delle
autonomie (“Titolo V”): una
modifica che aveva avviato
l’Italia verso un modello quasi
federale, ma che ora viene
criticata da tutti come poco
funzionante e anzi peggiore
rispetto alle previsioni originarie.
Ora ci troviamo ad esaminare
una riforma molto ampia.
Si propone di modificare 38
articoli della parte II (quella
sull’ordinamento della
Repubblica, che in tutto
contiene 84 articoli); poi si
aggiungono 16 modifiche
ritenute consequenziali e di
coordinamento; e ancora 5
pagine di disposizioni transitorie
e finali (per ben 2300 parole).
Ho esaminato la riforma in
maniera semplice. Evitando
frasi lunghe, subordinate
e parole in “giuridichese”.
Una prima parte riguarda il
metodo della riforma. Una
seconda i singoli punti che
vengono modificati.
Sono preoccupato
di questa riforma.
Soprattutto perché mi
sembra frettolosa e
confusa.
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
Si passa da un bicameralismo perfetto a un “quasi”
bicameralismo che non semplifica e non velocizza.
Si nomina un Senato poco rappresentativo e di basso livello.
Si modifica la ripartizione delle competenze fra Stato
e Regioni, ma senza risolvere alla radice il problema dei
conflitti e dei contenziosi.
Si eliminano garanzie (come, il quorum – cioè il numero
di voti necessario – per l’elezione del Presidente della
Repubblica).
Si introducono una serie di altre modifiche
(eliminazione del CNEL e delle Province, modifica
del quorum per i referendum, limiti al decretolegge), senza considerare come possano funzionare
tutte insieme.
Manca un disegno complessivo: ad esempio, non si
comprende se vogliamo essere centralisti o autonomisti (si
diminuiscono le competenze regionali, si eliminano le province
e contemporaneamente si crea il Senato delle autonomie).
In pratica, si riscrive profondamente l’organizzazione dello
Stato italiano, con molte incertezze: tante modifiche
poco pensate, messe assieme un po’ a caso e che – da
studioso – creano ancora più confusione.
4
5
Sommario
A. Costituzione di tutti e Costituzione di parte.
6
B. Il referendum nella revisione costituzionale.
6
C. Il linguaggio della Costituzione 8
D. E’ una riforma che funziona?
8
1. Il nuovo bicameralismo. 10
2. La composizione del nuovo Senato
11
3. Il procedimento legislativo 13
4. Il controllo preventivo sulle leggi elettorali
16
5. Il quorum del referendum abrogativo.
17
6. I limiti al decreto-legge.
18
7. L’elezione del Presidente della Repubblica.
19
8. Abrogazione del CNEL.
20
9. Abolizione delle Province.
20
10. Le ulteriori forme di autonomia speciale.
21
11. Il riparto di competenze fra Stato e Regioni.
22
12. L’equilibrio fra uomini e donne nella rappresentanza.23
13. La composizione della Corte costituzionale.
24
14. Altre modifiche
25
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
A.
Costituzione
di tutti
e costituzione
di parte.
6
Le Costituzioni non rientrano nel programma politico di una
maggioranza.
Fin dall’antica Grecia, la Costituzione è stata vista come un insieme
di regole fondamentali sottratte alla disponibilità del potere politico:
la Costituzione non è un atto politico, ma piuttosto un limite al
potere politico, e - come tale – va condivisa e approvata da ampie
maggioranze. La Costituzione italiana del 1947 è in ciò emblematica,
avendo messo d’accordo le tre ideologie presenti in Assemblea
Costituente (cattolici, comunisti, liberali) ed essendo così rimasta la
Costituzione “di tutti” per 70 anni.
Invece questa riforma costituzionale è stata portata avanti
come parte del programma di maggioranza del governo Renzi. Al
punto che le opposizioni hanno abbandonato l’aula al momento
del voto finale in Parlamento (alla Camera il 12 aprile 2016 hanno
votato soltanto 368 deputati su 630, con 361 voti favorevoli).
Abbassare la Costituzione ad enunciazione delle regole “di parte”
vuole dire svilirla, trasformarla in regola di alcuni; in tal modo, le
viene sottratto quel carattere “solenne” di Legge fondamentale,
superiore alle contingenze della politica.
La Costituzione non deve essere un campo
di battaglia politico, le riforme costituzionali
non devono essere “di destra” o “di sinistra”,
ma piuttosto “buone” o “cattive”, in quanto –
comunque – riforme di tutti.
Andare a votare sulla Costituzione “di Renzi e della Boschi” è già è in
sé sbagliato.
B.
Il referendum
nella revisione
costituzionale.
E non è certo il voto al referendum popolare a poter rendere la
nuova Costituzione “di tutti”. Infatti non è un referendum che serve
a trasformare tutti i cittadini in piccoli Costituenti: ma soltanto
a ratificare una scelta parlamentare che non ha raggiunto una
maggioranza politica adeguata.
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
7
Infatti l’art. 138 della Costituzione prevede che normalmente il
Parlamento approvi le riforme costituzionali con maggioranze
molto alte (due terzi dei componenti). Soltanto in mancanza
di questa ampia condivisione politica, si può richiedere un
referendum popolare. Così la democrazia diretta integra la
democrazia rappresentativa.
Tuttavia, nell’idea dei Costituenti, il meccanismo dell’art. 138 Cost.
serviva alle revisioni e non alle riforme. La differenza è molto
importante: le revisioni sono modifiche specifiche e puntuali; le
riforme, invece, modificazioni ampie.
Non è un caso che i tre precedenti tentativi di grande riforma
istituzionale siano stati attivati mediante lo strumento delle
Commissioni Bicamerali (Bozzi nel 1985; De Mita – Iotti nel 1992;
D’Alema nel 1997).
E che comunque questi tentativi furono criticati da coloro che
avrebbero preferito una apposita Assemblea Costituente, per
accrescere la democraticità della procedura. Ecco che quando si
utilizza l’art. 138 per una riforma, come in questo caso, si froda lo
spirito della Costituzione. Ma si rende molto complicato anche il
voto popolare.
I cittadini sono normalmente chiamati a votare
su scelte chiare e comprensibili: Monarchia o
Repubblica; divorzio sì o no. Non certo su 50
modifiche, minuziose, differenziate e molto
tecniche.
Il voto popolare del prossimo autunno sarà difficile anche per
questo motivo. Saremo costretti a votare in blocco su Senato,
bicameralismo, procedimento legislativo, Regioni, referendum,
CNEL, Province senza poter esprimere una opinione avveduta. Tutto
NO o tutto SI.
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
C.
Il linguaggio
della
Costituzione
8
Per cercare di votare in modo consapevole al prossimo referendum
occorre superare anche un grande ostacolo linguistico. Questa riforma
è stata scritta in “giuridichese”, come una qualsiasi legge, dimenticando
che le Costituzioni parlano direttamente al popolo e perciò debbono
essere comprensibili a tutti. Non solo agli addetti ai lavori.
I Costituenti del 1947 fecero lo sforzo di non usare mai frasi che
superassero le 20 parole, utilizzando per oltre il 90% del testo
parole di uso comune. Non a caso la Costituzione venne affissa
per tutto il 1948 in tutti i Comuni. Per essere letta e capita da un
popolo di gente semplice.
Il testo che andiamo ora a esaminare è difficile
da capire anche per gli addetti ai lavori, come
ci si accorge dalla lettura degli articoli che
riportiamo a seguire.
Frasi lunghe, contorte, piene di rinvii oscuri. Ricordiamo, ad es.,
che l’attuale articolo 70 della Costituzione, sul potere legislativo, si
compone di 9 parole. Quello della riforma di 409!
D.
É una riforma
che funziona?
La domanda fondamentale che ci si deve porre prima di ogni riforma
è quella sulla valutazione di come funzionerà. Valutazione che manca
completamente nel nostro caso.
Si modifica il Senato, si cambia il procedimento legislativo, si
stabilisce una nuova ripartizione di competenze fra Stato e Regioni
senza aver valutato seriamente se queste modifiche, tutte assieme,
funzioneranno meglio o peggio delle disposizioni attuali.
9
Il nuovo Senato lavorerà bene? Il bicameralismo “zoppo” consentirà
una adeguata rappresentanza degli enti territoriali? Il nuovo
procedimento legislativo sarà più efficiente? Il nuovo riparto di
competenze fra Stato e Regioni consentirà certezze ed eviterà nuovi
eccessi di contenzioso? I limiti al decreto-legge saranno realmente
efficaci? Un referendum abrogativo con un quorum flessibile sarà
uno strumento utile di democrazia diretta? Il sindacato preventivo
sulla legge elettorale rappresenterà una garanzia ulteriore o
trasformerà la Corte costituzionale in una istanza solo politica?
Abolire le province rappresenta la scelta corretta per la nuova
articolazione dello Stato (o bisognava ripensare a numero delle
Regioni e dei comuni)? Ha senso consentire alle Regioni a statuto
speciale e alle Province autonome il “privilegio” di farsi applicare
il nuovo modello solo a seguito di una riforma dei propri statuti (o
non era piuttosto l’occasione per ripensare al significato attuale
delle Autonomie speciali)? Nessuno lo sa. Nessuno se lo è chiesto,
trascurando ogni analisi di “fattibilità”.
É molto azzardato approvare una riforma di
quasi un terzo della Costituzione senza sapere
se e come funzionerà il nuovo modello.
Del resto, assai spesso le riforme approvate senza uno studio serio
di “fattibilità” funzionano peggio del testo originario: è il caso delle
revisioni alla immunità parlamentare (art. 68) alle leggi di amnistia e
indulto (art. 79) e al sistema regionale (c.d. Titolo V).
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
1.
Il nuovo
bicameralismo
10
Art. 55 - La Camera dei deputati è titolare del rapporto di fiducia con il
Governo ed esercita la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa
e quella di controllo dell’operato del Governo.
Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita
funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica.
Concorre all’esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le
modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all’esercizio delle funzioni di
raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione
europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione
degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea. Valuta le
politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche amministrazioni e verifica
l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Concorre ad
esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti
dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato.
I Costituenti del 1947 avevano pensato a un bicameralismo di garanzia.
Nel senso di affiancare a due Camere sostanzialmente uguali, per
evitare che qualcuno potesse impadronirsi facilmente del potere.
Negli anni abbiamo spesso addebitato a questo bicameralismo
“perfetto” la colpa delle lentezze e delle inefficienze. Ora si propone
un modello “quasi” bicamerale. La Camera dei deputati è eletta
direttamente dal popolo e svolge le funzioni politiche: dà la fiducia al
governo, ha competenza legislativa generale, può disporre inchieste
su ogni materia.
Vi si affianca un “Senatino”, piccolo nei componenti, ma grande nelle
competenze. Un Senato che rappresenta le istituzioni territoriali,
il raccordo con l’Europa, di controllo sulle politiche pubbliche, di
garanzia sulle nomine, ma ancora bicamerale.
Sono tante competenze, un po’ mescolate alla rinfusa, che rischiano
di non chiarire il ruolo del Senato e di lasciare un modello comunque
lento e complicato. Infatti il Senato resta bicamerale: non solo in
quanto ha competenza sulla approvazione di un ampio catalogo
di leggi, ma anche perché può comunque chiedere di riesaminare
qualsiasi disegno di legge approvato dalla Camera.
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
11
A ben vedere è una riforma che non convince. Soprattutto perché
non garantisce un sistema più rapido e funzionale. Ma anche
perché non assicura il collegamento reale con le regioni e gli enti
territoriali e quindi non risolve i conflitti e le incertezze.
Nell’attuale quadro, sarebbe stato molto più semplice eliminare il
Senato per passare ad un modello monocamerale. Più semplice e
rapido. Affidando la rappresentanza degli enti territoriali ad organi
amministrativi, come la Conferenza Stato-Regioni (che comunque
manteniamo in vita).
2.
La composizione
del nuovo Senato
Art. 57. – Il Senato della Repubblica è composto da novantacinque
senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori
che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica.
I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di
Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri
componenti e, nella misura di uno per ciascuno, tra i sindaci dei Comuni
dei rispettivi territori.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a due;
ciascuna delle Province autonome di Trento e di Bolzano ne ha due.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni si effettua [...] in proporzione alla
loro popolazione [...].
La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle
istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti, in conformità alle scelte
espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo
dei medesimi organi [...].
Art. 63 - Il regolamento stabilisce in quali casi l’elezione o la nomina alle
cariche negli organi del Senato della Repubblica possono essere limitate
in ragione dell’esercizio di funzioni di governo regionali o locali.
Il Senato passerebbe da 315 a 100 senatori, non eletti direttamente dal
popolo, ma dai Consigli regionali. Saranno senatori senza indennità
parlamentare (art. 69), ma che avranno l’immunità parlamentare
come i deputati (art. 68 Cost.)
I 100 comprendono 74 consiglieri regionali e 21 sindaci. Ma dovranno
essere consiglieri e sindaci senza rilevanti responsabilità di governo
a livello locale.
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
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Così andranno in Senato sindaci di piccoli comuni e consiglieri
regionali di seconda fila. Non ci saranno i sindaci di Roma e di Milano,
ma quelli di Frascati e di Rho (per fare un esempio); non ci saranno
Maroni e Zingaretti, ma consiglieri regionali secondari. Come è stato
efficacemente detto, avremo un Senato di “sfigati”. Poco esperti
nella gestione del modello politico e facilmente attirabili dalle
“sirene” degli interessi e delle lobby.
Sarà un Senato più debole e più permeabile agli
interessi. Che rischia di diventare la Camera del
“ricatto politico”.
In quanto basta che alcune Regioni si accordino per allungare i
tempi di una procedura legislativa e tenere “in scacco” il Governo
e la Camera. Senza che si possa più utilizzare la questione di fiducia
come bacchetta magica per sveltire le decisioni, visto che il Senato
non ha più legame fiduciario.
I 95 senatori eletti inoltre renderebbero più evidente la sperequazione
nella rappresentanza dei territori. Infatti, 8 Regioni e le 2 Province
autonome hanno soltanto due senatori. Mentre Lombardia, Lazio,
Campania, Piemonte Sicilia e Veneto raggiungono metà senatori.
Rispetto al Senato attuale sarebbero penalizzate soprattutto le Regioni
“medie”, che verrebbero ad essere equiparate alle “piccole” Valle ‘Aosta
e Molise. Mentre l’incidenza delle “grandi” diviene più vistosa.
Questo non sarà il Senato delle Regioni, ma di
alcune Regioni.
Contraddittorio è anche come saranno ripartiti in ciascuna regione i
seggi fra maggioranza e opposizione. Nel testo costituzionale leggiamo
prima che l’elezione avverrà “con metodo proporzionale”; poi che
sarà “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati
consiglieri”. Ma come si farà a rispettare proporzionalmente le scelte
degli elettori se ben 10 fra Regioni e Province dovranno designare
soltanto 1 consigliere? Sarà di maggioranza o di opposizione?
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
13
Altro punto che desta perplessità è la mancanza di collegamento fra
i senatori e i governi regionali. Nei senati davvero federali siedono, di
volta in volta, i rappresentanti dei governi regionali, a seconda delle
materie in discussione. Così nel Bundesrat tedesco vanno – di volta
in volta - i governatori delle regioni e gli assessori delle materie.
Da noi, invece, andrebbero consiglieri regionali. Rappresentanti
politici e non di governo. E a loro sarebbero mescolati 21 sindaci,
che invece sono organi di governo. Un gran pasticcio, che non
garantisce alcuna reale rappresentanza dei territori. E rischia
di rendere il Senato facilmente influenzabile dagli interessi della
politica o dei gruppi.
Art. 59 - Il Presidente della Repubblica può nominare senatori cittadini
che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale,
scientifico, artistico e letterario. Tali senatori durano in carica sette anni e
non possono essere nuovamente nominati.
Avremmo poi cinque senatori, nominati dal Presidente della Repubblica
non più a vita, ma per 7 anni. Si tratterebbe di una svista pericolosa.
I senatori a vita dovevano essere una forma di rappresentanza della
società e della cultura, per arricchire il pluralismo. Ma erano solo 5
su 315, incidendo per 1% sul totale. Ora invece diventano molto più
influenti, rappresentando il 5% dei senatori. E con il rischio
che avendo una scadenza a 7 anni possano essere facilmente
“orientati”, soprattutto quando saranno vicini alla scadenza del
loro mandato. è la conferma della scarsa rappresentatività del
nuovo Senato.
3.
Il procedimento
legislativo
Art. 70. – La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle
due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi
costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni
costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i
referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo
71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale,
gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città
metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei
Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini
della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della
normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina
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i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui
all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto
comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma,
117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma,
122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con
oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in
forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.
Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati.
Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è
immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci
giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di
esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può
deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei
deputati si pronuncia in via definitiva [...].
La riforma supera il bicameralismo perfetto e, quindi, afferma che
in via generale tutte le leggi dovrebbero essere approvate soltanto
dalla Camera dei deputati.
Dovrebbe essere una importante
semplificazione. Ma così non è.
Innanzitutto perché si prevede anche che le leggi più importanti siano
sempre e comunque necessariamente bicamerali. Come accade per
la ventina di tipi di leggi principali, elencati quasi tutti nell’art. 70
Cost. Ma, soprattutto, in quanto il Senato, su richiesta di un terzo
dei componenti, può comunque richiedere di esaminare qualsiasi
legge. Quindi tutte le leggi possono restare bicamerali su semplice
richiesta del Senato. In pratica, resteremmo un sistema quasibicamerale, anzi bicamerale a richiesta del Senato. Semplificazione
ed efficienza non sono certo garantiti.
Art. 72. – Ogni disegno di legge di cui all’articolo 70, primo comma,
presentato ad una Camera, è, secondo le norme del suo regolamento,
esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva
articolo per articolo e con votazione finale.
Ogni altro disegno di legge è presentato alla Camera dei deputati e, secondo
le norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla
Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale.
15
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
Il nuovo procedimento legislativo dovrebbe essere più agevole e
veloce. Invece, nel tentativo di differenziare il ruolo del Senato da
quello della Camera, si rischiano molte complicazioni.
Infatti, esistono una decina di procedimenti bicamerali diversi con
un ruolo particolare del Senato:
a) Le leggi necessariamente
bicamerali (art. 70);
b) Le leggi su cui c’è richiesta
di riesame del Senato
(art. 70, 3° comma);
c) Le leggi di attuazione dell’art.
117, 4° comma Cost. (su cui
la Camera può dissentire dal
Senato solo a maggioranza
assoluta dei componenti);
d) Le leggi di bilancio
(su cui il Senato si pronuncia
entro 15 giorni);
e) Le leggi su cui il Senato
chiede alla Camera
di pronunciarsi
(art. 71, 2° comma);
f) Le leggi indicate come
essenziali all’attuazione
del programma di governo
(che hanno una procedura
accelerata; art. 72);
g) Le leggi di conversione
dei decreti-legge
(con procedura a tempi
prefissati; art. 77 e 74);
h) Le leggi di ratifica dei
Trattati di appartenenza
all’Unione europea
(art. 80);
i) Le leggi di attribuzione
di nuove forme di autonomia
speciale (approvate da
entrambe le Camere
sulla base di intesa con la
Regione interessata; art. 116);
j) Le leggi che intervengono
in materia regionale
per tutela dell’unità
giuridica o economica
della Repubblica o per
la tutela dell’interesse
nazionale (su proposta
del Governo; art. 117).
Il rischio non è solo di confusione, ma anche di conflitti. Non a caso, nel
nuovo art. 70 si prevede che “I Presidenti delle Camere decidono, d’intesa
tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le
norme dei rispettivi regolamenti”. Ma c’è sempre la possibilità che i
conflitti si inaspriscano e finiscano alla Corte costituzionale. Allungando
i tempi del procedimento legislativo.
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
16
Art. 72 - Esclusi i casi di cui all’articolo 70, primo comma, e, in ogni caso,
le leggi in materia elettorale, le leggi di autorizzazione alla ratifica dei
trattati internazionali e le leggi di cui agli articoli 79 e 81, sesto comma, il
Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque
giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per
l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine
del giorno e sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera dei
deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazione. In tali casi,
i termini di cui all’articolo 70, terzo comma, sono ridotti della metà. Il
termine può essere differito di non oltre quindici giorni, in relazione ai
tempi di esame da parte della Commissione nonché alla complessità del
disegno di legge. Il regolamento della Camera dei deputati stabilisce le
modalità e i limiti del procedimento, anche con riferimento all’omogeneità
del disegno di legge.
Per sveltire il procedimento legislativo, viene assicurata al Governo
una “corsia preferenziale”. Se un disegno di legge è “indicato come
essenziale per l’attuazione del programma di governo”, il Governo
stesso può richiedere un esame accelerato, per arrivare ad una
approvazione finale entro 70 giorni. In questo modo, si offre al Governo
la possibilità di superare la tradizionale lentezza del procedimento
legislativo ordinario. Ma si rischia di comprimere eccessivamente le
iniziative legislative delle opposizioni, per cui non è possibile questo
esame accelerato.
4.
Il controllo
preventivo sulle
leggi elettorali.
Art. 73 - Le leggi che disciplinano l’elezione dei membri della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica possono essere sottoposte, prima
della loro promulgazione, al giudizio preventivo di legittimità costituzionale
da parte della Corte costituzionale, su ricorso motivato presentato da
almeno un quarto dei componenti della Camera dei deputati o da almeno
un terzo dei componenti del Senato della Repubblica entro dieci giorni
dall’approvazione della legge, prima dei quali la legge non può essere
promulgata. La Corte costituzionale si pronuncia entro il termine di trenta
giorni e, fino ad allora, resta sospeso il termine per la promulgazione della
legge. In caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale, la legge non
può essere promulgata.
I Costituenti scelsero di arricchire il sistema delle garanzie con una
Corte costituzionale. Normalmente i giudici applicano le leggi. La
Corte costituzionale ha, invece, il compito speciale di giudicare le
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Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
leggi, per verificare se siano conformi alla Costituzione. Si tratta di
un modo per garantire che la Costituzione sia rispettata da tutti,
anche dal Parlamento quanto emana le leggi. Il controllo sulle leggi
si effettua in maniera successiva, cioè su leggi già in vigore. Sono
i singoli giudici, nel corso dei processi, a trasmettere alla Corte i
dubbi sulla costituzionalità delle leggi che si trovano ad applicare.
In questo modo la Corte costituzionale opera un giudizio tecnico
sulle leggi, valutando anche il modo in cui siano applicate. Ora invece
si affiderebbe alla Corte anche una forma di sindacato preventivo,
cioè su leggi non ancora in vigore. Si tratta della possibilità per le
minoranze parlamentari di impugnare la legge elettorale, prima che
entri in vigore. Questa modifica – nei fatti - è stata suggerita dalle
difficoltà con cui si era portato alla Corte costituzionale il giudizio
sul c.d. Porcellum. Ma, a ben vedere, rappresenta una profonda
modificazione del ruolo della Corte costituzionale.
Nel giudizio sulle leggi elettorali la Corte si pronuncerebbe prima che
la legge entri in vigore. In questo modo decide a ridosso del Parlamento
e assume le vesti di organo politico, quasi una terza Camera.
Serviva davvero per la sola legge elettorale modificare la natura
della Corte costituzionale?
5.
Il quorum
del referendum
abrogativo.
Art. 75 - La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato
alla votazione la maggioranza degli aventi diritto o, se avanzata da
ottocentomila elettori, la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni
della Camera dei deputati, e se è raggiunta la maggioranza dei voti
validamente espressi.
Il referendum abrogativo rappresenta il più importante
strumento di democrazia diretta. Cioè, è l’ipotesi principale in
cui il popolo viene chiamato a decidere direttamente. Dopo
le memorabili battaglie su divorzio e aborto, nei decenni, il
referendum abrogativo ha perso molto del suo significato.
Non solo in quanto sono state proposti una cinquantina di
referendum, anche su materie di scarso interesse popolare.
Ma soprattutto perché il referendum prevede un significativo
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
18
sbarramento di validità: devono votare almeno la meta degli aventi
diritto. Considerando che ormai in Italia quasi il 30% della popolazione
non vota mai, la battaglia referendaria non viene condotta fra i SI
e i NO. Ma piuttosto fra i SI e gli astenuti: perché coloro che non
vogliono l’abrogazione della legge è molto più facile che chiedano ai
propri elettori di non andare a votare. Visto che partono con almeno
il 30% di vantaggio (gli astenuti abituali).
Il nuovo art. 75 prova a correggere questa disfunzione. Prevedendo
che se il referendum sia stato chiesto da 800.000 elettori, il quorum
di validità si calcola sui votanti delle ultime elezioni politiche (nel
2013, il 72,25%). Si tratta di un aggiustamento significativo, anche se
il problema della effettiva partecipazione dei cittadini è molto più
grave, in anni nei quali cresce sempre di più la disaffezione verso la
politica. E non basta certo la correzione del quorum del referendum
abrogativo per risolverlo.
6.
I limiti al
decreto-legge.
Art. 77 - Il Governo non può, mediante provvedimenti provvisori con forza
di legge: disciplinare le materie indicate nell’articolo 72, quinto comma, con
esclusione, per la materia elettorale, della disciplina dell’organizzazione
del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni; reiterare
disposizioni adottate con decreti non convertiti in legge e regolare i
rapporti giuridici sorti sulla base dei medesimi; ripristinare l’efficacia di
norme di legge o di atti aventi forza di legge che la Corte costituzionale ha
dichiarato illegittimi per vizi non attinenti al procedimento.
I decreti recano misure di immediata applicazione e di contenuto specifico,
omogeneo e corrispondente al titolo.[...]
Nel corso dell’esame dei disegni di legge di conversione dei decreti non possono
essere approvate disposizioni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto. Tradizionalmente il decreto-legge rappresenta un atto eccezionale,
con cui il Governo si “auto-assume” la potestà legislativa al fine
di fronteggiare calamità, problemi di ordine pubblico, emergenze
finanziarie. A partire dagli anni ’70, invece è diventato una specie
di “iniziativa legislativa rinforzata”, facendo molto comodo ai
governi avere una legge che entrava subito in vigore e su cui il
Parlamento doveva pronunciarsi entro 60 giorni. Così, gran parte dei
provvedimenti più importanti negli ultimi 40 anni è stato adottato
con decreto-legge.
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Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
Ora si porrebbero ai decreti tutta una serie di limiti: si esclude
che possano intervenire in una serie di materie (elettorale,
costituzionale, di delega, etc.) e si richiede che abbiano misure di
immediata applicazione e omogenee.
Si tratta di limiti assolutamente giustificati, anche perché
recepiscono gli orientamenti della Corte costituzionale.
Tuttavia, il nuovo testo non interviene sul vero grimaldello con
cui negli anni si è abusato del decreto-legge. I “casi straordinari di
necessità e di urgenza”. Questa è la formula con cui si individuano
in generale i casi in cui il Governo può adottare decreti-legge. E di
questa si è fatta un amplissimo abuso, valutandola in chiave politica
e non giuridica.
Nella riforma non si cerca in alcun modo di circoscrivere questa forma, quindi
non si elimina il rischio che il Governo continui ad emanane decreti-legge
in casi nei quali necessità ed urgenza siano soltanto politici.
7.
L’elezione del
Presidente
della Repubblica
Art. 83 - … Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti
dell’assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre
quinti dei votanti
Davvero preoccupante è l’abbassamento delle soglie per l’elezione
del Presidente della Repubblica.
Attualmente, il Presidente è eletto dal Parlamento in seduta comune
a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è
sufficiente la maggioranza assoluta. Tali maggioranze vanno calcolate
sui 630 deputati, 315 senatori, più i senatori a vita e i delegati regionali.
In pratica, un collegio di più di 1000 votanti. Con la riforma, verrebbero
meno i delegati regionali, per cui voterebbero 730 fra deputati
e senatori. Per i primi tre scrutini si resta a due/terzi degli aventi
diritto: cioè 487 voti. Poi si passa ai tre/quinti: 438 voti almeno.
Sarebbero soglie comunque “di garanzia”, considerando che il partito
che vince le elezioni alla Camera, con il premio di maggioranza del
c.d. Italicum, arriva a 340 seggi. Quindi è praticamente impossibile
che scelga il Presidente senza accordi con altri partiti.
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
20
Ma dal settimo scrutinio è davvero inspiegabile che la soglia passi ai
tre/quinti dei votanti e non più degli aventi diritto. Va ricordato che
nelle elezioni degli organi di garanzia si considera la maggioranza
sugli aventi diritto al voto e non sui presenti. In quanto la effettiva
presenza può essere condizionata da fattori casuali (ad esempio,
nei quattro scrutini per la elezione del Presidente Mattarella erano
presenti da 953 a 995 votanti, su 1009 aventi diritto). Infatti i tre/
quinti degli aventi diritto su 730 sono sempre 487 voti. Senza che a
nulla rilevi quanti dei 730 sono presenti quel giorno.
Quando invece si passa a considerare i tre/quinti dei votanti, diviene
rilevante se in aula quel giorno del voto ci siano 700, 600 o 500 fra
deputati e senatori.
Con il rischio che potrebbero bastare anche 300 voti per eleggere il
Presidente della Repubblica. E sarebbe il Presidente di un solo partito.
Davvero non va bene.
8.
Abrogazione
del CNEL
Nelle intenzioni dei Costituenti, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del
Lavoro doveva rappresentare la “terza Camera”. Infatti doveva essere
l’Assemblea dei rappresentanti delle forze produttive, affiancando il
lavoro del Parlamento in materia economica e sociale.
Nei 70 anni di vita repubblicana, il CNEL non ha mai assunto il suo ruolo
e, negli ultimi anni, è anzi diventato il “capro espiatorio” degli sprechi e
dei costi inutili della politica. Forse anche con eccessiva severità.
Ad ogni modo, oggi si abrogherebbe l’art. 99 Cost e, così il CNEL. Anche
se va considerato che l’abolizione del CNEL poteva avvenire con legge
ordinaria, eliminando l’organo senza toccare il testo costituzionale.
9.
Abolizione
delle Province
In verità le Province, altro “capro espiatorio” dei costi della politica,
sono già state abrogate a febbraio 2014, con la “legge Delrio”.
Eppure, in Italia le province continuano ad esistere: le più grandi
sono state trasformate in Città metropolitane (Roma, Milano,
Napoli, etc.) e le altre sono diventate enti “di secondo livello”, con
competenze di programmazione. Ora, cancellare le Province anche
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Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
dalla Costituzione assumerebbe un valore simbolico, anche se non
scioglierebbe il nodo della Amministrazione territoriale in Italia.
Come ben sappiamo, noi siamo affezionati ai nostri 8000 comuni.
Alcuni molto piccoli. Mentre le Regioni, create proprio dalla Assemblea
Costituente, non hanno mai davvero svolto il proprio ruolo di “piccoli
stati federati”. Ed anzi ora sono additate da molti come il vero centro
degli sprechi (consideriamo che le Regioni hanno come competenza
principale la Sanità, con una spesa totale di 160 miliardi di euro annui,
che rappresenta i 2/3 del bilancio di ogni regione).
La semplice abolizione costituzionale delle
Province non serve, quindi, a dare un nuovo
assetto congruo alla nostra amministrazione
sul territorio. I comuni sono troppo piccoli. Le
regioni troppo ampie.
Una riforma seria deve pensare ad un assetto territoriale più
funzionale ed efficiente.
10.
Le ulteriori
riforme
di autonomia
speciale
Art. 116 - Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti
le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere l), limitatamente
all’organizzazione della giustizia di pace, m), limitatamente alle
disposizioni generali e comuni per le politiche sociali, n), o), limitatamente
alle politiche attive del lavoro e all’istruzione e formazione professionale,
q), limitatamente al commercio con l’estero, s) e u), limitatamente al
governo del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge
dello Stato, …. purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le
entrate e le spese del proprio bilancio. …
La Costituzione - accanto alle Regioni ordinarie - aveva istituito
cinque Regioni a Statuto speciale, per ragioni storiche, linguistiche
e territoriali. Con la riforma costituzionale del 2001 si era previsto
che altre Regioni potessero chiedere forme di autonomia speciale e
più ampia. Questa autonomia non è mai stata concessa, fino ad ora.
Ora, si modificherebbe l’art. 116 per limitare gli ambiti in cui
riconoscere forme di autonomia speciale, comunque specificando
che devono essere Regioni in equilibrio di bilancio.
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
22
Non si comprende quale utilità possano avere queste forme speciali
di autonomia regionale, in un quadro in cui la tendenza generale è
verso un ritorno a competenze statali.
11.
Il riparto
di competenze
fra Stato
e Regioni
Art. 117 - Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie[...].
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di [...] nonché in ogni
materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato.
Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie
non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela
dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela
dell’interesse nazionale.
I Costituenti aveva scelto un modello di stato accentrato, con le Regioni
ordinarie che avevano soltanto poteri legislativi di integrazione rispetto
ai principi fissati dallo Stato (“competenza concorrente”).
Con la riforma costituzionale del 2001 (“Titolo V”) si era pensato di
orientare l’Italia verso il federalismo, con un riconoscimento forte
di competenze alle Regioni, anche in campo legislativo. É stata una
“rivoluzione copernicana”, ponendo le Regioni al centro del sistema: si
è previsto che tutte le materie legislative spettano alle Regioni, salvo
un elenco di materie principali di competenza “esclusiva dello Stato” e
un altro elenco di materie a “competenza concorrente” (in cui lo Stato
fissa i principi e le Regioni il dettaglio).
Tuttavia l’applicazione di questa riforma non ha funzionato. Le
Regioni si sono mostrate deboli e la ripartizione di competenze ha
creato molti conflitti. Risolti dalla Corte costituzionale quasi sempre
a favore dello Stato.
Ora si proporrebbe una correzione:
• Ampliando l’elenco delle competenze legislative esclusive dello
Stato (tutte le materie principali: ad es., politica estera, ordine
pubblico, immigrazione; difesa, moneta, sistema tributario;
giurisdizione e cosi via);
• Eliminando la competenza concorrente;
• Concentrando la competenza regionale su una serie di materie
spesso marginali (pianificazione del territorio, programmazione
23
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, promozione dello
sviluppo economico locale; organizzazione in ambito regionale
dei servizi alle imprese; etc.);
• Consentendo in via generale allo Stato di intervenire su qualsiasi
materia a tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica,
(interesse nazionale).
Sembra una riforma parziale e incompleta. Se il tentativo verso il
federalismo del 2001 non ha funzionato, non si capisce perché ora
dovrebbe funzionare meglio un federalismo attenuato.
In fondo, sarebbe stato molto più semplice tornare al modello originario
della Costituzione. Con competenze accentrate sullo Stato e poche
materie di dettaglio affidate alle Regioni. Era molto più semplice e
affidabile tornare ad un modello che aveva operato bene.
12.
L’equilibrio fra
uomini
e donne nella
rappresentanza.
Art. 55 - Le leggi che stabiliscono le modalità di elezione delle Camere
promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.
Art. 122 - La legge della Repubblica stabilisce altresì i princìpi fondamentali
per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza.
Le pari opportunità fra uomini e donne e il pari accesso alle cariche
pubbliche sono un principio sacrosanto. Giustamente i Costituenti
lo riconobbero sia nell’art. 3 (divieto di discriminazioni in base al
sesso) sia nell’art. 51 Cost. (“Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro
sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in
condizioni di eguaglianza”). Nei decenni il tema è spesso tornato di
moda e così è stato ribadito altre due volte in Costituzione:
- nel 2001, aggiungendo un comma all’art. 117 Cost. “Le leggi regionali
rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e
delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono
la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”;
- ancora nel 2003, inserendo una frase all’art. 51: “A tale fine la
Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità
tra donne e uomini”.
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
24
Così, oggi, in Costituzione è già sancito
quattro volte che bisogna garantire il pari
accesso delle donne alla vita pubblica e alle
cariche elettive.
Perché si sente il bisogno di scriverlo una quinta e una sesta volta?
La ridondanza giuridica (cioè ripetere più volte le stesse cose nelle
leggi) è quanto meno inutile, se non dannosa (indebolendo il principio
già affermato e rendendolo uno slogan sbiadito).
13.
La composizione
della Corte
Costituzionale
Art. 135 - La Corte costituzionale è composta da quindici giudici, dei
quali un terzo nominati dal Presidente della Repubblica, un terzo dalle
supreme magistrature ordinaria ed amministrative, tre dalla Camera dei
deputati e due dal Senato della Repubblica
Attualmente cinque dei giudici della Corte costituzionale sono
nominati dal Parlamento in seduta comune. Nel testo di riforma, si
attribuirebbero tre giudici alla Camera e due al Senato (comunque
lasciando ferme le maggioranze speciali per l’elezione: due/terzi o
tre/quinti dei componenti).
Viene da chiedersi se risulta utile questa differenziazione o se
comunque non era più semplice lasciare la nomina al Parlamento
in seduta comune, come continua ad avvenire per l’elezione del
Presidente della Repubblica e di una parte dei componenti del
Consiglio Superiore della Magistratura (CSM).
Affidare direttamente l’elezione di giudici
costituzionali al Senato può avere senso in
un sistema nel quale il Senato sia davvero
rappresentativo dei territori. Meno in un
modello in cui questa rappresentanza sembra
vaga e sbiadita.
25
14.
Altre modifiche
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
Accanto a queste innovazioni principali, ci sarebbero una quindicina
di modifiche minori, come:
a) assegnazione dei deputati eletti all’estero soltanto alla Camera dei
deputati (art. 48);
b) riconoscimento parlamentare dei diritti delle minoranze e dello
statuto delle opposizioni (art. 64);
c) assegnazione della indennità parlamentare solo ai deputati (art. 69);
d)innalzamento a 150.000 del numero delle firme necessarie a
presentare una proposta di legge popolare e garanzia di esame
parlamentare (art. 71);
e) previsione di nuove forme di referendum propositivi e d’indirizzo
(art. 71);
f) competenza soltanto alla Camera per la delibera dello stato di guerra,
per le leggi di amnistia e indulto, per la ratifica dei trattati internazionali
e il ricorso all’indebitamento statale (artt. 78, 79, 80 e 81);
g) potere per il Senato di disporre inchieste soltanto su materie
“concernenti le autonomie territoriali”, restando il potere generale
alla Camera (art. 82);
h) funzioni di supplenza del Presidente della Repubblica assegnate al
Presidente della Camera (e non più a quello del Senato – art. 86);
i) potere di scioglimento anticipato soltanto della Camera da parte
del Presidente della Repubblica (art. 88);
j) delibera soltanto della Camera per mettere in stato di accusa il
Presidente della repubblica e i ministri (art. 96);
k) previsione che i pubblici uffici siano organizzati in maniera da
assicurare non solo buon andamento e imparzialità, ma anche “la
trasparenza dell’amministrazione”
l) esercizio delle funzioni amministrative in modo da assicurare la
semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, secondo
criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori (art. 118);
m)previsione che tributi ed entrate proprie di Comuni, Città
metropolitane e Regioni siano sufficienti ad assicurare “il
finanziamento integrale delle funzioni pubbliche” (art. 119);
n) parere del Senato sullo scioglimento anticipato dei Consigli
regionali (art. 126)
C’è, poi, una lunga serie di disposizioni transitorie e finali
(art. 39 e 40 della legge di riforma), alcune comunque
significative, come le regole per la elezione del primo
Senato, la permanenza in carica degli attuali senatori a
vita quali membri in soprannumero del nuovo Senato,
la facoltà riconosciuta alle Regioni e Province a Statuto
speciale di applicare la riforma solo dopo la revisione
dei propri statuti, il divieto di corrispondere rimborsi ai
gruppi politici nei Consigli regionali.
Si tratta di modifiche connesse alle riforme principali o
che aggiungono innovazioni minori. Resta comunque
la perplessità che non ci si è chiesti su come
possano interagire tutte queste innovazioni nel
funzionamento complessivo.
è un po’ come se – per usare una metafora semplice si volesse preparare una pasta al forno aggiungendo
vari condimenti (carni, pesci, verdure, formaggi),
senza valutare prima gli abbinamenti fra i sapori.
Ne viene fuori un gran pasticcio che renderà il
funzionamento del nostro Stato ancora più confuso e
incerto. Non ce lo possiamo permettere.
Per un voto consapevole
al Referendum costituzionale
Io voterò NO.
Consapevolmente.