LA CRITICA POST-FILOSOFICA DELLA RELIGIONE:
FEUERBACH, MARX, NIETZSCHE, FREUD
di Pierangelo Sequeri (Docente di Teologia fondamentale - Facoltà teologica dell’Italia Settedionale)
Premessa
La critica della religione prende con questi autori la forma di una
interpretazione della coscienza religiosa come falsa coscienza.
La falsità qui denunciata non indica però la semplice inesistenza di ciò a cui le
idee della religione intendono riferirsi (Dio, l'aldilà, l'anima ecc.). Denota
piuttosto il fatto che la coscienza religiosa rappresenta il fraintendimento della
realtà dalla quale dipende la stessa proiezione trascendente.
La coscienza religiosa appare così definita genealogicamente come:
a) prodotto di una realtà diversa dalla coscienza, ma interamente descritta
nella realtà dell'uomo;
b) proiezione di una scissione dell'esperienza che approda all'immaginazione
di un mondo separato e differente da quello reale;
c) compensazione di uno stato di disagio non realmente compreso nella sua
radice.
La critica della religione inaugurata da quelli che sono stati anche chiamati
"maestri del sospetto", ha l'ambizione di svolgersi anche come
"interpretazione autentica" della coscienza religiosa: impegnandosi a
dimostrare che in realtà la coscienza religiosa è tutt'altro rispetto a quello che
crede di essere. Questa critica ha portata talmente radicale, che essa si è
sviluppata anche come critica generale della coscienza: teorizza infatti che, in
generale, l'uomo non è come alla sua coscienza spontanea sembra di essere.
La critica va a colpire così l'idea ingenua che l'uomo ha di sé, in quanto egli si
rappresenta erroneamente a partire dalle sue idee invece che interpretarle a
partire dalla realtà che produce.
L'idea di Dio come proiezione del sentimento dell'umano
Ludwig Feuerbach (1804- 1872) prende le mosse dalla filosofia di Hegel, che
egli ritiene la definitiva esplicitazione filosofica del fraintendimento religioso
dell'uomo. Egli accusa infatti la filosofia di Hegel di non essere affatto un modo
critico di pensare la religione, ma piuttosto la continuazione teologica del suo
errore: aggravato dalla sua trasformazione in filosofia, cioè in verità razionale.
In Hegel infatti Dio, lo Spirito, la Coscienza, sono l'unica realtà assoluta, e la
storia umana è solo un momento transitorio e funzionale della sua
realizzazione (lo schema però influenzerà lo stesso Feuerbach, che manterrà
questo modello applicandolo però alla realizzazione della "natura umana"). Per
Feuerbach invece la religione, «per lo meno la religione cristiana», non è
nient'altro che fantasia mitica di quello che è in realtà «l'insieme dei rapporti
dell'uomo con se stesso». Nella religione l'uomo riflette se stesso e le sue
proprie qualità, ma le immagina come attributi di un Altro ("Dio"). Perciò la
religione, e con essa anche tutta la filosofia e la cultura che l'hanno assorbita,
va smascherata come teologia illusoria e interpretata come antropologia
capovolta. Riportando cioè i concetti teologici al loro oggetto reale, che sono i
rapporti dell'uomo con se stesso, con gli altri, con la natura materiale.
La religione come riflesso dell'alienazione umana e come anestetico
sociale
Proprio qui prende le mosse Karl Marx (1818- 1883), il quale si propone di
sviluppare la prospettiva della critica, ma superando e anzi criticando l'ingenuità del suo ateismo. Rimane vero che «la critica della religione è il
presupposto di ogni critica». Ma essa, in quanto critica filosofica della forma
ideale della religione, approda pur sempre a un'astrazione teorica. Il fatto è,
contrariamente a quanto pensa Feuerbach, che la religione non sorge
spontaneamente dal cuore dell'uomo come rivestimento mitico della grandezza
del suo sentimento di sé. Secondo Marx, la coscienza religiosa è il prodotto e la
spia di una oppressione reale, oggettiva, esterna che l'uomo subisce fino ad
esserne indotto a sperare da un Altro e per un'altra vita ciò che dispera di
ottenere da sé e in questa vita reale. La religione ha naturalmente interesse a
mantenere questo stato di soggezione, perché è in esso che il bisogno della
religione si rinforza. Obiettivamente complici di questo interesse "ecclesiastico"
sono tutti quei sistemi di potere che legittimano l'oppressione dell'essere
umano attraverso una organizzazione del "diritto" che la protegge e la
favorisce.
La critica antropologica della religione (Manoscritti filosofici, 1844) deve
dunque proseguire come critica politica (introduzione alla Critica della filosofia
del Diritto di Hegel, 1843-1844). La "scoperta" dello stretto legame fra il
sistema produttivo-economico e lo sviluppo della cultura ideale impone di
superare anche la critica politica della religione, nella direzione appunto di una
critica della struttura economica; funzionale al sistema della alienazione (il
primo libro de Il capitale, 1867). Dato il profondo legarne della religione con
l'alienazione, e data la radice ultimamente socio-econornica della alienazione, il
superamento della religione comporta la trasformazione del sistema
socio-econornico. Anzi, è necessario che si produca in tal modo la fine della
religione, giacché la sua semplice rimozione filosofica e politica, oltre che
lasciare intatto il sistema, toglie all'uomo alienato il suo pur illusorio anestetico.
L'ambiguità di questo approdo è stata per altro messa in luce proprio dalla
dialettica interna dei diversi marxismi teorici, i quali, dopo essere stati
polarizzati dall'irrigidimento sul profilo della critica economica dell'alienazione,
sono ritornati a frequentare l'istanza di una filosofia dell'uomo più adeguata
all'ermeneutica critica dell'esperienza religiosa. Della quale è addirittura
investigata la funzione di apertura ad una prospettiva di senso irriducibile alla
semplice produzione di idee alienate (R. Garaudy, E. Bloch, L. Kolakowki).
Mentre appare sempre più improbabile, agli occhi della stessa sociologia critica,
l'intrinseca connessione fra trasformazione sociale e semplice estinzione della
religione.
La religione come assolutizzazione morale della volontà di potenza La
critica della religione procede con Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900)
attraverso lo smascheramento della «volontà di potenza» che sta alla radice di
ogni idea di verità assoluta e di ogni sistema morale. La sua critica alla
coscienza religiosa come coscienza falsa dei valori morali prende la forma
radicale di una critica rivolta alla residua struttura teologica dello stesso
pensiero antropocentrico: che si esprime nella assolutizzazione degli ideali (dei
"valori") della filosofia, della scienza, della cultura (Umano, troppo umano,
1878). La novità di Nietzsche sta nella convinzione che il «nichilismo» prodotto
dalla sostituzione della verità con la volontà di potenza si rivolta ormai contro
la stessa religione che se ne serve.
Una morale dispotica e una verità imposta finiscono infatti per logorare ogni
valore e ogni ideale, riducendolo a «niente». Anche «Dio è morto» orinai, e il
cielo della ricompensa ottenuta mediante la rassegnazione alla sofferenza
voluta dall'alto «ci è caduto sulla testa». L'intero mondo dei valori che la
religione ha sostenuto e il cristianesimo ha esaltato presso gli ignari va
sgretolandosi: nulla ha più un senso assoluto, trascendente, definitivo. Vale a
dire che nessuna realtà e nessun significato ha più senso in se stesso: un
senso può essere affermato solo volontaristicamente, e fatto valere cori la
forza della propria capacità di imporsi (Così parlò Zarathustra, 1883;
Genealogia della morale, 1887; La volontà di potenza, 1887).
La tesi propositiva di Nietzsche è appunto quella di stravolgere contro la
religione la «volontà di potenza»: adattandola alle risorse più vitali e più
creative dell'uomo, e diffondendo uno spirito dionisiaco della trasgressione,
una cultura della forza e della bellezza degli impulsi vitali, una visione
radicalmente estetica della libertà e dell'espressività dell'umano. L'obiettivo di
quest'opera destabilizzante nei confronti della religione e dei suoi veri valori
regolativi (senso di colpa, mortificazione, penitenza, spirito di sacrificio,
obbedienza servile, viltà di fronte alla morte) è l'imposizione del modello di un
uomo «superiore» alla mediocrità dell'umanesimo cristiano-borghese.
La concentrazione della critica religiosa operata da Nietzsche ha incominciato
ad esprimere proprio in questo ultimo scorcio del nostro secolo tutte le sue
virtualità. Ma proprio nel momento in cui è stata fatta oggetto di ripresa e di
approfondimento, è venuta in luce anche l'estrema difficoltà di una stia univoca
interpretazione. La ragione ultima delle difficoltà è affine a quella sollevata
dalla critica economica della religione abbozzata da Marx. Anche qui infatti
quello che è indicato come il principio della alienazione (la «volontà di
potenza») vale simultaneamente come principio della sua cura.
La religione come riflesso nevrotico: parricidio e regressione infantile
Una questione di «cura», anzi di vera e propria «terapia» è precisamente la
critica della religione nella prospettiva psicoanalitica di Sigmund Freud
(1856-1939). La vita ideale e morale della coscienza è infatti sempre
riconducibile, secondo Freud, a processi di sublimazione (idealizzazione,
spiritualizzazione) o a strategie di rassicurazione guidate dall'inconscio. In
questo modo l'essere umano cerca protezione dall'angoscia della morte e più
larga soddisfazione del desiderio. Negli scritti dell'ultimo periodo, nei quali
pone a tema la genesi e il significato storico della religione, Freud ha ben
presente il quesito cruciale per ogni moderna teorica critica della funzione
compensativa della religione. Come accade che l'atteggiamento religioso
continui ad avere un grande influsso, nella vita degli individui, anche al di là di
un rigoroso legame confessionale e di una assidua pratica cultuale?
La risposta di Freud è duplice. Le migliori e più vaste possibilità di
soddisfacimento dei bisogni in una società evoluta si pagano con la rinuncia
all'i immediato soddisfacimento delle pulsioni, e con la maggiore sicurezza
indotta dalla maggiore indipendenza. In questo contesto, che ripete
l'esperienza adolescenziale e traumatica del distacco dalla protezione del
«padre» (che l'inconscio vive come «parricidio»), la religione appare come
rassicurante
regressione
infantile.
Ritornare
bambini,
passivamente
abbandonati fra le braccia del padre «celeste», e ammettere di essere
peccatori che desiderano riguadagnare l'affetto perduto e la protezione,
rappresenta pertanto una possibilità permanente di fronteggiare la frustrazione
delle pulsioni primarie e l'angoscia di morte (Introduzione alla psicanalisi, Il
disagio della civiltà, 1927).
D'altro canto, l'illusione della compensazione religiosa, priva di reale riscontro,
riesce a sopravvivere in quanto la stia inconsistenza è mascherata dalla sua
larga diffusione sociale. In una cultura non ancora scientificamente compiuta,
la permanenza della religione come moderata «nevrosi collettiva», è
certamente preferibile al suo acutizzarsi conie «nevrosi individuale». Rimane il
fatto che la speranza di ripetere l'esperienza infantile «in altri rapporti» è
destinata alla frustrazione (insicurezza ossessiva e senso di colpa). E questo
alimenta nell'individuo un meccanismo patologico innescato proprio dalla
compensazione religiosa. L’analisi delle componenti propriamente psichiche di
questa esperienza assolve dunque una funzione culturale preventiva e,
all'occorrenza, individualmente terapeutica (Totem e tabù, 1913; L’avvenire di
un’illusione, 1927; L'uomo Mosè e la religione monoteistica 1934-1938).
Proprio su questo punto, però, la continuazione della critica freudiana ha
mostrato la difficoltà di una interpretazione che cerca di formulare una teoria
generale della religione in riferimento a presupposti che sono sottratti alla sfera
della coscienza medesima. Essa infatti deve ancora una volta decidere se e
come la stessa teoria di quella critica possa resistere alla pressione di ciò che
sfugge al controllo della coscienza. A maggior ragione, se un tale elemento è
individuato nella base organica della pulsione erotica (invece che, ad esempio,
in una più globale apertura, già simbolicamente orientata, alla realizzazione del
sé individuale - G. Jung).
Critica della religione o antropologia dell'uomo malato? Confronto
critico e interesse comune nel dialogo con la critica post-filosofica
della religione
Gli elementi problematici che sono comuni all'ermeneutica di queste forme
della critica alla religione appaiono oggi con maggiore chiarezza.
a) Anzitutto, il presupposto che í contenuti della coscienza religiosa non
possono corrispondere alla realtà alla quale intendono riferirsi. Quella realtà
infatti è scientificamente improponibile e indimostrabile. Devono dunque
riferirsi ad altro. Il presupposto pone naturalmente il problema, ormai del resto
saldamente
inquadrato,
della
riducibilità
dell'umano
al
profilo
positivisticamente accertabile della sua realtà e della esperienza.
b) In secondo luogo, data la base anti-idealistica, naturalistica (o più
francamente materialistica) di quella critica, il principio della religione deve
essere cercato nell'ordine della realtà esterno all’orizzonte metafisico e ideale
della coscienza. Con il grave problema, naturalmente, di comprendere il
significato e il valore di questa sfera soggettiva e personale dell'umano, alla
quale appartiene anche la giustificazione dell'istanza di rapporti più degni
dell'uomo. La riconduzione dell'esperienza cosciente dell'uomo a un principio
sostanzialmente anonimo che la trascende (il sentimento vitale, la struttura
economica, la volontà di potenza, la pulsione erotica) non appare adeguata alla
qualità dell'esperienza che deve spiegare e interpretare.
c) Infine, la critica alla religione come falsa coscienza, deriva dalla convinzione
di un legarne profondamente organico, fra la coscienza religiosa e una cultura
antropologica che è oggetto di polemica, in quanto ritenuta alienante e
contraria all’emancipazione dell'umano. La diagnosi si riferisce largamente
perciò alle forme culturali e pratiche di un determinato sistema di idee e di
comportamenti che evidenzia inaccettabili prevaricazioni dell'umano: della sua
dignità, della sua libertà, della sua integrità. Proprio in quest'ultimo motivo va
individuata la possibilità di un fruttuoso confronto critico, che rimane attuale al
di là dei limiti delle teorie. La critica della religione fondata sull'osservazione di
quel nesso ideologico e sociale, ove sia disposta a rinunciare al pregiudizio
teorico di indebite generalizzazioni, deve infatti rimanere pur sempre aperta
alla possibilità di un'esperienza capace di sottrarsi all'interpretazione riduttiva
motivata da quella ambigua collisione. L'apprezzabilità di questo diverso profilo
dipende perciò anche dalla disponibilità all'autocritica riflessa e fattiva della
religione storica.
(in GIBELLINI R- GILLINI G - ROTA SCALABRINI P - ZATTONI M., Alternativa. Corso di
Religione Cattolica per la Scuola secondaria superiore. Triennio, Queriniana,
Brescia 1997, 349-354).