COMUNE DI SEUI Provincia d'Ogliastra DELIBERAZIONE DELLA GIUNTA COMUNALE Numero 52 del 28-08-14 COPIA Oggetto: Approvazione progetto "Sa.no Genìa – Interazione tra Genealogia, Clinica, epidemiologia e Ricerca" e richiesta finanziamento Assessorato Regionale dell'Igiene e Sanità e dell'Assistenza Sociale - Fondi POR FSE 2014-2020. - L'anno duemilaquattordici il giorno ventotto del mese di agosto, in Seui, Solita sala delle Adunanze, alle ore 08:00, si è riunita la Giunta Comunale nelle persone dei Signori: CANNAS MARCELLO LAI MANUELA GAVIANO RAIMONDO PUDDU MARCELLA Totale presenti n. 3 SINDACO VICESINDACO ASSESSORE ASSESSORE P P P A Totale assenti n. 1 Assiste alla seduta il SEGRETARIO COMUNALE MURGIA MARIA CHIARA. Assume la presidenza CANNAS MARCELLO in qualità di SINDACO. LA GIUNTA MUNICIPALE VISTO il progetto presentato dal Sig. Pino Ledda concernente la ricostruzione genealogica della popolazione e l’analisi della componente genetica delle patologie più diffuse sul territorio; CONSIDERATO che trattasi di un progetto mutidisciplinare “identitario – scientifico – culturale”, che si basa sullo studio capillare della comunità della Barbagia di Seulo (Seui,Ussassai, Sadali, Esterzili e Seulo), della quale si intende ricostruire l’intera vicenda storica attraverso il percorso demograficogenealogico – documentario di ciascuna famiglia; VERIFICATA la volontà degli Amministratori dei Comuni di Ussassai, Sadali, Esterzili e Seulo di aderire al progetto suddetto (ns. prot. n. 3272/2014, 3401/2014, 3676/2014, 3875/2014); CONSIDERATO che il Comune di Seui fungerà da Comune capofila; VISTO il D. lgs. N.267/2000; RITENUTO opportuno provvedere in merito; UNANIME DELIBERA Di approvare il progetto “Sa.no Genìa – Interazione tra Genealogia, Clinica, epidemiologia e Ricerca”; Di richiedere in qualità di Comune capofila il finanziamento del progetto all’Assessorato Regionale dell'Igiene e Sanità e dell'Assistenza Sociale - Fondi POR FSE 2014-2020. Di dare atto che l’aggregazione dei comuni suddetti verrà costituita con atto formale; Di impegnarsi a fornire ulteriore documentazione concernente la proposta progettuale presentata; Di dichiarare la presente deliberazione immediatamente esecutiva. ####### Istruttore Amm.vo Culturale Dr.ssa Cannas Valeria Responsabile dell’Area AA.GG Dr. Cannas Marcello Il presente verbale viene letto, approvato e sottoscritto. IL SINDACO IL SEGRETARIO COMUNALE F.to CANNAS MARCELLO F.to MURGIA MARIA CHIARA L'ASSESSORE ANZIANO F.to LAI MANUELA CERTIFICATO DI PUBBLICAZIONE Della presente deliberazione viene iniziata in data 28/08/2014 la pubblicazione all'Albo Pretorio, per quindici giorni consecutivi. Reg. Aff. n. 306 IL ISTRUTTORE AMMINISTRATIVO F.TO LAI MARIA CARMINE Copia conforme all'originale per uso amministrativo. L' ISTRUTTORE AMMINISTRATIVO LAI MARIA CARMINE PARERE ex art. 49 del D. gs 18.08.2000 n.267, in ordine alla Regolarità tecnica: FAVOREVOLE Data 22/08/2014 IL RESPONSABILE F.TO CANNAS MARCELLO PARERE ex art. 49 del D. gs 18.08.2000 n.267, in ordine alla Regolarità contabile: FAVOREVOLE Data 27/08/2014 IL RESPONSABILE SERVIZIO FINANZIARIO F.TO PODDA TIZIANA Deliberazione della Giunta n. 52 del 28/08/2014 PROGETTO Sa.no Genìa (Sa nostra Genìa) Interazione tra Genealogia, Clinica, Epidemiologia e Ricerca “L’albero genealogico è uno straordinario affresco, un’esplosione di colori che illumina il cammino e la storia di ciascuna famiglia, senza distinzioni di razza, di ceto e di censo. L’albero genealogico è un fantastico libro aperto! Un libro prezioso, dove tutti i protagonisti si riprendono la scena sul palcoscenico della loro esistenza tanto che, se abbiamo la fortuna di saper ascoltare, sfogliandone le ingiallite pagine, ci può capitare di sentirne quasi……la voce ed il respiro!” (Pino Ledda) Il progetto Sa.no Genìa L’esperienza maturata in questi anni non ha fatto altro che rafforzare in noi la convinzione che la Sardegna, grazie alle sue peculiari ed arcaiche caratteristiche geo-morfologiche, storicodemografiche, socio-culturali e linguistiche sia strutturalmente tra le località più adatte al mondo per gli studi genetici (ma non solo), come dimostrano, soprattutto negli ultimi anni, le importanti iniziative intraprese sul territorio da parte di diversi gruppi di ricerca. La maggior parte di questi hanno scelto di incentrare la propria attività limitatamente ad alcune zone geografiche della Sardegna aprioristicamente ritenute più adatte per lo studio che si voleva intraprendere. E’ importante sottolineare, che tutti gli studi fin’ora condotti sul territorio hanno dimostrato che la Sardegna tutta, grazie alle sue peculiarità, rappresenti di fatto nel suo complesso, un unico grande isolato genetico estremamente omogeneo. Un dato che è direttamente confermato dall’analisi della struttura genetica della popolazione e indirettamente dalla complessa situazione epidemiologica dell’Isola che testimonia che gli elevati tassi d’incidenza che oggi si registrano per le varie patologie, in particolare per quelle definite genetiche-multifattoriali, risultano equamente distribuiti sull’intero territorio della Sardegna. E’ proprio l’osservazione attenta di questa particolare distribuzione del complicato quadro epidemiologico regionale, caratterizzato dalla massiccia presenza di patologie (molte delle quali, ancora ad eziologia sconosciuta) determinate dall’interazione di fattori genetici predisponenti e fattori ambientali, che ci ha indotto a ritenere che sia ormai indispensabile realizzare uno studio che coinvolga l’intera popolazione di aree ben definite (isolato genetico modello) della Sardegna. Un “progetto pilota” che abbiamo chiamato Sa.no Genìa (Sa nostra Genìa: ossia la nostra stirpe, le nostre radici) che, partendo proprio dall’osservazione dell’attuale complesso quadro epidemiologico della Sardegna, intende basarsi sullo studio capillare e multidisciplinare dell’intera struttura demografica della popolazione (residente e non) di cinque comunità: Esterzili, Sadali, Seulo, Seui e Ussassai. Cinque piccole comunità per un totale di circa 5000 residenti che nel loro insieme costituiscono quella regione geografica, situata nel cuore della Sardegna, che prende il nome di Barbagia di Seulo. Il presente progetto, nasce sulla base della volontà dell’ASSESSORATO REGIONALE ALLA SANITA’ di voler destinare una parte dei FONDI POR FSE 2014-2020 per uno studio genealogico delle popolazioni da affiancare alla ricerca. Un progetto scientifico proposto attraverso la 4° ATTIVITA’: RICOSTRUZIONE GENEALOGICA DELLA POPOLAZIONE PER L’ANALISI DELLA COMPONENTE GENETICA DELLE PATOLOGIE PIU’ DIFFUSE SUL TERRITORIO. Un progetto che a nostro avviso non potrà essere, naturalmente, esteso a tutte le 377 comunità della Sardegna sia per i costi complessivi che tale lavoro comporterebbe e, soprattutto, perché non tutte le comunità dell’Isola presentano le caratteristiche genetiche adatte per tale studio. E’ proprio sulla base di queste considerazioni che si è deciso di proporre all’Assessorato Regionale competente, la messa a punto di un progetto pilota da realizzarsi nelle cinque comunità che compongono la Barbagia di Seulo che per le loro caratteristiche storico-demografiche (secolare isolamento geografico, alto indice di endogamia e consanguineità), sono senza dubbio tra le più adatte al mondo per questo tipo di studi. Un progetto ambizioso che vuole mettere in evidenza, attraverso la ricostruzione genealogica, tutti i vincoli familiari esistenti tra gli individui al fine di facilitare l’individuazione della componente genetica delle patologie e la distribuzione delle stesse nell’ambito familiare. Grazie alla capillare ricostruzione genealogica della popolazione, inoltre, sarà possibile seguire gli spostamenti degli individui nel tempo e nello spazio. Una funzione, a nostro avviso, fondamentale perché consentirà di mettere in stretta relazione il territorio con le diverse patologie presenti facilitando, di fatto, l’individuazione dei fattori ambientali che intervengono nell’eziopatogenesi delle stesse. Noi siamo convinti che quanto abbiamo cercato di sintetizzare poc’anzi, possa davvero concretizzarsi grazie al nostro progetto che punta alla realizzazione di un’unica grande struttura informatica di base capace di contenere e gestire l’intera popolazione (attuale e passata), unita attraverso le varie generazioni dalla capillare ricostruzione demografico-genealogica, fino a giungere alla creazione di quello che possiamo definire: Albero Genealogico della Barbagia di Seulo. Un lavoro abbastanza impegnativo e complesso che può rappresentare, senza dubbio, un fondamentale ausilio per la comprensione del difficilissimo contesto epidemiologico che si osserva oggi in Sardegna, oltreché uno strumento indispensabile per la ricerca e per la medicina, soprattutto nell’ambito dell’attività di prevenzione. La genealogia Ma che cos’è la genealogia? Per definirla con le parole di uno dei massimi studiosi italiani, è la disciplina che tratta storicamente dei vincoli familiari. La genealogia è una disciplina antichissima (si pensi solo per es. alle discendenze citate nella Bibbia o alla stessa genealogia di Gesù), che indaga e tende a stabilire la derivazione, la discendenza, la ramificazione e l’estinzione delle famiglie e delle stirpi. Anche la genealogia naturalmente, al pari di altre discipline, può presentare delle limitazioni in quanto utilizza dei dati che sono spesso lacunosi, il termine tratta, pertanto, non indica affatto completezza ma solo l’ambito nel quale la disciplina stessa agisce: nulla è mai perfetto, ma tutto deve tendere alla perfezione. Essa è certamente una disciplina minore rispetto ad altre, ma di pari dignità se non di maggior spessore di tante altre, da collocare indubbiamente tra le discipline storiche, quali l’araldica e la biografia, anche se, soprattutto negli ultimi tempi, è uscita dall’ambito strettamente storico rivelandosi validissimo sostegno anche per discipline scientifiche quali la demografia storica, la genetica, la medicina e l’informatica. Il cardine della genealogia è certamente rappresentato dalla famiglia della quale tratta i dati anagrafici di tutti i membri, ricostruendone per quanto possibile l’albero genealogico. L’albero genealogico, come riportano i testi ufficiali di Genetica Medica, fornisce un’immediata visione dei problemi o delle patologie nell’ambito delle famiglie e facilita, generalmente, l’analisi dei modelli di ereditarietà, compresi il range ed il grado di affezione e la variazione tra persone e generazioni. Anche se è necessario (e corretto) dire subito, che le malattie multifattoriali rispetto a quelle monogeniche, non sono facilmente riconoscibili attraverso l’analisi dell’albero genealogico dal momento che sono molti i fattori di suscettibilità che concorrono alla manifestazione patologica. E’ indubbio, però, che la ricostruzione della storia familiare dei soggetti rappresenta di fatto uno strumento fondamentale per indirizzare qualunque studio che agisca nell’ambito della medicina e della ricerca genetica. Sulla base di queste considerazioni appare oltremodo chiaro, che in una popolazione omogenea come quella della Sardegna che presenta determinate peculiarità genetiche (alto tasso di endogamia e consanguineità), grazie alla struttura informatica che abbiamo realizzato e sperimentato, risulterà più facile lo studio e l’identificazione dei fattori di suscettibilità. Probabilmente, siamo proprio noi i soggetti più autorevoli ed accreditati per dimostrare in questo momento, quali enormi potenzialità scientifiche sono realmente emerse dalla stretta interazione multidisciplinare tra la genealogia e le altre discipline. Vogliamo fare in modo, pertanto, che queste potenzialità scientifiche non vengano vanificate ma poste al servizio del bene comune. Le “raccomandazioni”di Francis Collins Uno scienziato di fama mondiale del calibro di Francis S. Collins, il genetista americano che ha guidato il team di ricercatori che hanno sequenziato il genoma umano, nominato nel 2009 da Barack Obama direttore del National Institutes of Health, non perde occasione per sostenere che la medicina del futuro non può prescindere dal mettere l’uomo al centro dei suoi studi ma, soprattutto, non può assolutamente prescindere dalla conoscenza della sua storia familiare. Abbiamo abbastanza chiari i concetti espressi in diverse occasioni da questo scienziato su tale argomento, soprattutto in un articolo apparso qualche tempo fa sul THE NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE dal titolo The Family History - More Important Than Ever. In quest’articolo il prof. Collins, tra le altre cose dice: “Fra le raccomandazioni da perseguire per realizzare un efficace prevenzione non c’è la family history, cioè l’albero genealogico correttamente raccolto con le patologie che vi ricorrono. E’ sicuramente l’approccio più semplice da perseguire anche a livello di cure primarie per un mirato e tempestivo intervento preventivo”. Il Pianeta Sardegna Un laboratorio ideale La Sardegna possiede delle caratteristiche davvero ideali per la ricerca (tutta la ricerca!), rappresentate da un territorio con appena 69 abitanti per km2 (su un totale di 1.673.000), terz’ultima tra tutte le regioni d’Italia meno popolate e dove, in particolare nelle zone interne, per diversi secoli non si registrano rilevanti flussi demografici, meno che mai particolari fenomeni di immigrazione e/o emigrazione. Questa secolare tendenza alla stanzialità, abbinata ad un’accentuata cesura (l’atavica “diffidenza” dei sardi) verso l’esterno, è la principale causa dell’altissimo indice di endogamia registrato, solo fino a pochi decenni fa era mediamente intorno all’80% (ma si è arrivati a toccare picchi del 95%!) e del conseguente inevitabile aumento della consanguineità tra gli individui. Se a tutto questo si aggiunge il ridotto numero di fondatori, con un’unica distribuzione di alleli, ed i vari fattori di selezione (vedi la malaria) si può comprendere perché oggi la popolazione sarda, per questa sua grande omogeneità genetica, rappresenti nell’insieme un modello di isolato genetico unico nel suo genere. In Europa, secondo il grande genetista italiano L.L. Cavalli Sforza, solo i lapponi avrebbero caratteristiche genetiche assimilabili a quelle presenti nei sardi, in quanto entrambi caratterizzati da un lungo periodo di isolamento e da un ridotto numero di fondatori. Una piattaforma epidemiologica Bisogna anche dire, che la popolazione sarda ha da sempre suscitato un notevole interesse in genetica umana sia per la peculiare distribuzione delle diverse varianti genetiche e sia per le numerose malattie su base genetica particolarmente frequenti nell'Isola. La Sardegna si dimostra essere una piattaforma epidemiologica straordinaria che deve essere, al più presto, messa al servizio della medicina e della ricerca di tutto il mondo. Una piattaforma dove è possibile applicare nel modo più efficace possibile tutte le varie branche dell’epidemiologia: descrittiva, analitica, clinica e sperimentale. Crediamo di poter affermare senza paura di essere smentiti, anche in riferimento ai criteri d’applicazione dell’epidemiologia analitica, che probabilmente non esistono al mondo altre popolazioni che dimostrino, come nel caso di quella sarda, di possedere tutte quelle caratteristiche ideali per effettuare efficaci studi di coorte, di caso-controllo e trasversali (o di prevalenza). Caratteristiche genetiche tanto più ideali soprattutto se si considera, per esempio, che l’analisi genetica di una patologia multifattoriale richiede indagini familiari e di popolazione, in associazione con lo studio di larghi campioni, opportunamente raccolti e caratterizzati a livello fenotipico, in un ambito strettamente multidisciplinare. L’eventuale mancanza di replica di un’associazione emersa da una precedente indagine, infatti, può dipendere da un artefatto, un evento casuale, oppure rappresenta un risultato falsamente positivo. Per questo è necessario effettuare una replica di ogni risultato su campioni diversi. Il protocollo raccomandato per questi studi prevede il confronto tra le frequenze alleliche, nei soggetti e nei controlli correlati (preferibilmente un migliaio di casi per campione). Un risultato positivo ottenuto con l’analisi caso-controllo dovrebbe essere verificato analizzando la trasmissione degli alleli dai genitori eterozigoti ai figli affetti e non affetti, oppure, nel caso in cui i genitori non siano disponibili, con l’analisi della frequenza degli alleli nei fratelli non affetti. Risulta chiaro, inoltre, che avere a disposizione l’intero albero genealogico di una popolazione consente una rapida applicazione delle diverse analisi potendo eventualmente suggerire, grazie alla maggiore visibilità del fenomeno, diverse applicazioni che oggi un semplice protocollo magari non riesce ad immaginare. Analogo discorso va fatto per quanto concerne il potenziale applicativo dell’epidemiologia clinica e sperimentale, ma anche per l’applicazione delle diverse tecniche di follow-up (ossia l'insieme degli esami clinici e strumentali periodici da effettuare dopo il trattamento iniziale della malattia). Alcune varianti genetiche particolarmente frequenti in Sardegna sono rare o assenti in altre popolazioni, mentre altre varianti comuni al di fuori della Sardegna sono rare nell'Isola. Queste caratteristiche peculiari si spiegano solo attraverso un isolamento plurimillenario rispetto alle altre popolazioni. Parrebbe del tutto logico, pertanto, che debba essere la Sardegna a rappresentare quel terreno ideale per sviluppare in loco tutte le iniziative più avanzate possibili a corredo della ricerca, della clinica e della farmacologia, per cercare di comprendere l’esatta eziopatogenesi della tante malattie genetiche sia semplici che complesse che presentano un’incidenza tanto elevata in questo territorio e prevedere, nel contempo, l’applicazione e la sperimentazione delle varie cure e delle metodiche di prevenzione. A meno che, come molto spesso, purtroppo, ci capita di osservare, non si vogliano studiare renne, pinguini e licheni all’Equatore e cammelli, coccodrilli ed ulivi al Polo Nord! La Sardegna in generale, in particolare le popolazioni della Barbagia di Seulo, rappresenta quindi, ormai indiscutibilmente, un isolato genetico ideale per la ricerca. Tutta la ricerca! La Barbagia di Seulo è un isolato genetico modello E’ ormai ampiamente dimostrato che lo studio di popolazioni isolate, dove è possibile registrare, insieme all’isolamento geografico e linguistico, un numero ridotto di fondatori, un elevato tasso di endogamia associato a scarsi fenomeni di migrazione ed emigrazione (almeno fino agli ultimi decenni), costituisce uno strumento moderno e valido per lo studio delle basi genetiche delle malattie complesse quali, per esempio, diabete, ipertensione ed osteoporosi. Gli isolati geografici che presentano queste particolari caratteristiche vengono comunemente definiti: isolati genetici. Queste caratteristiche generali fanno sì che un isolato genetico sia caratterizzato da un background genetico abbastanza uniforme dovuto a particolari fenomeni di deriva genetica, in particolare, al cosiddetto effetto fondatore e all’elevata percentuale di endogamia tra la popolazione. Un terreno favorevole per identificare la componente genetica (oggi si conosce poco o nulla) delle malattie comuni, premessa indispensabile per la comprensione dei meccanismi patogenetici, e per la messa in atto di misure preventive e possibili terapie eziologiche. Gli isolati genetici si dimostrano importanti anche per la comprensione dei fattori ambientali più facilmente identificabili a causa dell’habitat comune, le abitudini alimentari, l'attività fisica, il fumo etc. Un isolato genetico e geografico come quello rappresentato dalla Sardegna in generale e dalle cinque comunità della Barbagia di Seulo in particolare, insieme a qualche altra popolazione e/o micro-regioni con simili caratteristiche (tant’è vero che in alcuni casi si è usata la definizione di micro-isolato), costituisce pertanto un prezioso e forse irripetibile terreno di studio per le malattie multifattoriali, essendo potenzialmente in grado di mettere a nudo almeno le componenti genetiche maggiori delle malattie complesse e permettere la conoscenza di molti dei fattori ambientali coinvolti nell’eziopatogenesi. Sono queste le principali motivazioni che hanno indotto diversi ricercatori nel mondo a concentrare, soprattutto negli ultimi anni, la loro attenzione sugli isolati genetici. In Italia un network tra gli isolati genetici Che ci sia un attenzione particolare nei confronti degli isolati genetici lo dimostra il fatto che in Italia, da qualche anno, alcuni ricercatori hanno deciso addirittura di consorziarsi in un network specifico: il Network Italiano sugli Isolati Genetici. L’obiettivo principale di questo network è quello di affrontare i problemi comuni ai progetti di ricerca sugli isolati genetici quali per esempio, sviluppo di piattaforme informatiche comuni, sviluppo di idonei algoritmi, standardizzazione dei criteri diagnostici, gestione di ampie genealogie, analisi epidemiologica, analisi statistica, tipo di genotipizzazione fino ad immaginare la costituzione di un database federato. A questo network, caratterizzato da un forte spirito di collaborazione, partecipano su base volontaria diversi gruppi di ricerca italiani appartenenti a istituzioni pubbliche e private. Attualmente risulta composto dal Progetto Carlantino, dal Progetto Parco Genetico del Cilento e Vallo di Diano, dal Progetto Stoccareddo, dal Progetto Valli Borbera e Spinti e dal Progetto Parco Genetico del Friuli Venezia Giulia. Altri studi sugli isolati genetici sono stati intrapresi di recente in Alto Adige e riguardano alcuni villaggi sparsi in una vallata isolata della Val Martello. In conclusione dobbiamo, nostro malgrado, sottolineare che leggendo i nomi dei vari progetti che partecipano al network italiano, emerge un dato per noi certamente curioso, ossia la constatazione che tra questi non ce n’è uno che riguardi la popolazione della Sardegna, unanimemente ritenuta da tutti i ricercatori al mondo ideale per tali studi. Probabilmente…si tratta di un’ulteriore conferma dell’atavica diffidenza dei sardi e della scarsa propensione nei confronti dei network, una caratteristica che in qualche modo accomuna (forse) anche i ricercatori isolani. La genetica dei Sardi Sono i marcatori del cromosoma Y, ereditati per linea paterna, che consentono la ricostruzione della storia naturale sulla base delle mutazioni via via acquisite. La genetica della popolazione umana sarda consiste nello studio del pool genico degli attuali abitanti dell'Isola con due principali obiettivi. Il primo, ha uno scopo prettamente scientifico e culturale ed è quello di ricostruire la storia naturale della popolazione. Essa consiste nella comprensione dell'entità, dei tempi e delle modalità della fondazione unitamente alle successive o concomitanti dinamiche demografiche ed evolutive. L'altro è, invece, applicativo e ha la finalità di comprendere le cause genetiche di alcune patologie sfruttando alcune peculiarità della popolazione che la rendono di elezione per studi che prevedono l'utilizzo di isolati genetici. Entrambi gli obiettivi sono perseguiti attraverso lo studio molecolare di marcatori del DNA di individui della popolazione mediante un approccio multidisciplinare che vede coinvolti biologi, medici, naturalisti, statistici, bioinformatici, biotecnologi, genealogisti, archeologi, antropologi e paleontologi. Il numero di mutazioni accumulate in regioni cromosomiche non ricombinanti quali sono quelle che riguardano gli alleli della regione non ricombinante del cromosoma Y (NRY) che sono sempre associati a formare aplotipi, così come gli alleli del genoma mitocondriale (mtDNA), due porzioni del genoma che non ricombinano, essendo ereditate con modalità uniparentali, paterna la prima, materna la seconda, è stato impiegato come orologio molecolare. Per aplotipo si intende la combinazione di varianti alleliche lungo un cromosoma o segmento cromosomico contenente loci in linkage disequilibrium, cioè strettamente associati tra loro. L'associazione statistica tra i loci si manifesta in assenza di una ricombinazione tra loro. Aplotipi differenti sono generati da un aplotipo ancestrale per effetto della mutazione ai singoli loci. I prodotti di questo meccanismo evolutivo possono essere correlati attraverso la filogenesi fino a desumere la forma ancestrale dell'aplotipo. Spesso, quando la risoluzione molecolare di un aplotipo è molto elevata, può essere utile raggruppare filogeneticamente aplotipi diversi sulla base di un comune progenitore definendo così un aplogruppo. La popolazione sarda è inquadrata nel gruppo delle popolazioni che fanno riferimento all’aplogruppo I. Struttura genetica della popolazione sarda La struttura genetica dei sardi si caratterizza per la presenza di alta variabilità genetica (o polimorfismo) interindividuale, ma bassa variabilità tra subpopolazioni geografiche o linguistiche. Questa particolarità, che potrebbe confermare l’assenza di una substruttura, rende la popolazione della Sardegna ottimale per lo studio e la comprensione delle cause genetiche di patologie a eziologia ancora ignota, in particolare di quelle malattie autoimmuni quali diabete di tipo 1 e sclerosi multipla, che fanno registrare un’elevata incidenza nella popolazione. Una popolazione geneticamente omogenea che si dimostra un terreno ideale per ottenere una casistica maggiore di individui affetti. La conoscenza dell'assetto genetico di una popolazione, infatti, non solo permette di capire la sua origine, ma diventa essenziale per la ricerca di quei geni coinvolti nella suscettibilità nei confronti di determinate patologie ovvero in tutta una serie di importanti caratteristiche come la risposta ai farmaci o le interazioni con la dieta e con altri fattori presenti dell'ambiente che ci circonda. Aspetti davvero importanti per la ricerca, anche se bisogna riconoscere che la strada da percorrere è abbastanza lunga. La struttura genetica e lo studio delle malattie autoimmuni L'attenzione dei gruppi di ricerca si è concentrata in particolare sullo studio delle malattie autoimmuni comuni in Sardegna quali per esempio, il diabete di tipo 1, la sclerosi multipla e la malattia celiaca, dal momento che è stato accertato che alla base del loro processo eziopatogenetico sono presenti fattori genetici predisponenti. Lo studio delle basi genetiche di una determinata malattia è basato sulle differenze esistenti tra le persone. Nel caso dello studio del diabete, per esempio, è necessario confrontare la sequenza e la frequenza dei geni in persone non diabetiche con quella di pazienti affetti. Con questi studi è possibile identificare quei geni più frequenti nei diabetici che predispongono alla malattia, ma anche quei geni più frequenti nei non diabetici che esercitano un ruolo protettivo. Lo studio del diabete di tipo 1 condotto nella popolazione sarda, ha contribuito alla comprensione delle cause scatenanti la malattia. Alcuni geni che regolano le risposte immunitarie e il processo di riconoscimento della proinsulina come costituente propria dell'organismo, sono stati identificati come fattori chiave nel determinare il rischio di contrarre una malattia autoimmune così frequente in Sardegna com’è il diabete di tipo 1. Alcune forme di questi geni determinano predisposizione, altre protezione. C’è da chiedersi se alcune situazioni ambientali presenti negli ultimi decenni, non abbiano “svegliato” parti apparentemente inattive del nostro genoma che agiscono sui fattori predisponenti o su quelli protettivi o viceversa. Del resto i risultati sorprendenti di un recente studio nell’ambito del progetto ENCODE, hanno dimostrato che la maggior parte del DNA nelle nostre cellule è in qualche modo attiva, mettendo così in discussione l'idea che il genoma sia costituito da geni attivi che codificano proteine, circondati da una gran quantità di geni inattivi, noti come «DNA spazzatura». Inoltre, molte di queste sequenze che non codificano proteine si sovrappongono alle sequenze codificanti proteine. Molte aree che una volta erano ritenute spazzatura, si sono rivelate sequenze regolatrici, che indicano cioè ai geni il modo e il luogo in cui essere attivi. Queste scoperte avranno implicazioni anche nella medicina, in quanto molte mutazioni genetiche associate a patologie si trovano in zone regolatrici. Sappiamo che alcune delle principali varianti di predisposizione sono più frequenti nella popolazione sarda rispetto alle altre popolazioni. Queste varianti sono antiche ed erano già presenti in quegli individui che diverse migliaia di anni fa hanno popolato l'Isola. Sappiamo quindi che le caratteristiche genetiche dei sardi, a seguito di questi eventi iniziali, denominati effetti fondatori, conferiscono un aumentato rischio di contrarre il diabete e altre malattie comuni in Sardegna. L'analisi genetica nell'uomo sta subendo, soprattutto in questi ultimi anni, una fortissima accelerazione dovuta alla conoscenza e decodificazione della sequenza lineare del nostro genoma, offrendo ai genetisti la possibilità di studiare le malattie molto più accuratamente di quanto sia mai accaduto precedentemente. A proposito di genoma e di malattie quali diabete e sclerosi multipla, è ormai dimostrato che nella popolazione sarda sono frequenti alleli di suscettibilità nei confronti di entrambe le patologie. La popolazione sarda si configura adatta per la ricerca di tali alleli attraverso degli studi di associazione estesi a tutto il genoma (Genome Wide Associations-GWA Studies). Una predisposizione ancora più importante se si tiene conto del fatto che proprio il recente ricorso a tale tipo di studi, basati sull’uso di centinaia di migliaia di marcatori polimorfici, ha permesso di incrementare sensibilmente il potere di identificare le varianti di rischio per le malattie multifattoriali. Grazie a tali progressi e alle nuove tecnologie di cui si dispone oggi (sistemi di caratterizzazione molecolare ad alta efficienza e sistemi di calcolo veloci), non si è mai avuta un'opportunità tanto grande di capire la genetica delle malattie. Il contesto sanitario La Sardegna, per le sue peculiarità genetiche dovute in primo luogo al suo secolare isolamento, come affermano in coro i maggiori esperti al mondo di malattie cosiddette autoimmuni (patologie causate dall’alterazione del sistema immunitario che reagisce specificamente verso costituenti normali dell’organismo), si conferma, purtroppo, non solo una delle aree al mondo con la più elevata frequenza di diabete mellito di tipo 1 (T1D), ma presenta anche un elevato rischio per diverse altre malattie complesse autoimmuni quali la sclerosi multipla, la malattia celiaca, la, tiroidite e l’artrite reumatoide, l’APECED, senza dimenticare la massiccia incidenza di molte altre patologie genetiche ereditarie semplici quali la talassemia, la deficienza di G6PD, la malattia di Wilson, o malattie neurodegenerative quali la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), Alzheimer, Parkinson etc. La prevenzione Siamo convinti, che un quadro sanitario abbastanza allarmante come quello che osserviamo oggi in Sardegna, dovrebbe convincere i responsabili della sanità pubblica (ma non solo) a prendere seriamente in considerazione le potenzialità rappresentate dal nostro progetto pilota di ricostruzione demografico-genealogica che, potendo contare su uno strumento informatico già sperimentato (da implementare e perfezionare ulteriormente), avrebbe il grosso vantaggio di mettere a disposizione della ricerca e della sanità uno straordinario database. Uno strumento capace di calcolare in tempo reale, l’eventuale familiarità esistente tra individui diversi in base alla ricostruzione del loro grado di parentela, di riprodurre l’intero pedigree dei soggetti di riferimento affetti (e non) potendo evidenziare la presenza di una determinata patologia e seguirne la diffusione nell’ambito di una o più famiglie nelle varie direzioni, compresi i percorsi patrilineari e matrilineari. E’ del tutto evidente che una struttura informatica munita di questi strumenti d’indagine diventa, non solo fondamentale e indispensabile per gli studi genetici e demografici in genere, ma straordinariamente importante nell’ambito della ricerca, della medicina e della pratica clinica, soprattutto nell’ottica della tanto sbandierata attività di prevenzione. Del resto l’esperienza maturata in questi anni, ci ha insegnato che avere la possibilità di seguire la distribuzione di una malattia lungo l’albero genealogico di una stirpe e/o di un’intera comunità, diventa straordinariamente utile per la comprensione dell’eziopatogenesi, oltrechè, in particolare per quanto riguarda le malattie più diffuse in Sardegna, di quei fattori che sono alla base del complesso fenomeno dell’ereditarietà. Un dato analitico facilmente riscontrabile nel contesto che si osserva oggi in Sardegna, dove l’alto grado di consanguineità tra i coniugi ed il valore medio registrato sull’intero territorio, aumentano la probabilità per le malattie ereditarie semplici e multifattoriali di manifestarsi e favoriscono, pertanto, l’individuazione delle famiglie e dei gruppi a rischio. Gli emigrati: una potenzialità per la ricerca Quando parliamo di valore aggiunto per una regione come la Sardegna non possiamo trascurare di certo quello rappresentato dalle tante migliaia di emigrati sardi sparsi nel mondo. Inoltre, quando si parla della popolazione dei paesi della Barbagia di Seulo, non si può non sottolineare che particolari dinamiche demografiche (fenomeno migratorio interregionale), che hanno caratterizzato gran parte del secolo appena passato, hanno determinato, di fatto, la nascita di grandi comunità ben definite in altre parti della Sardegna. Pensiamo, per esempio, alla vastissima comunità dei “seuesi” a Cagliari che conta, nell’arco di almeno tre generazioni, diverse migliaia di individui, oppure alla grande comunità che riguarda i “seulesi” a Dolianova (si parla di oltre un migliaio di individui) e nell’Iglesiente (in particolare a Domusnovas). Un valore aggiunto che riguarda gli aspetti economici, culturali e identitari di un popolo antico come quello sardo ma che può diventare interessante, e non certo in ultimo, anche per gli aspetti legati alla medicina e alla ricerca scientifica in generale. Importanti, soprattutto, quando si provano ad esaminare malattie come il diabete e la sclerosi multipla o altre malattie importanti che colpiscono la popolazione della Sardegna, patologie che hanno ancora nella maggior parte dei casi, purtroppo, un eziologia largamente sconosciuta. Molte di queste sono anche definite malattie multifattoriali, la cui eziopatogenesi dipende cioè da una complessa interazione tra una componente genetica (predisposizione) e determinanti immunologici ed ambientali. Se solo teniamo conto di quanto sia determinante l’interazione di questi fattori per lo sviluppo o meno di una patologia, ci rendiamo conto anche di quanto possa essere utile lo studio di una popolazione che, pur mantenendo intatte le sue peculiari caratteristiche genetiche, vive fuori e lontano dal contesto ambientale d’origine. Uno studio veramente importante che ci permetterebbe di osservare, per esempio, quale e quanta influenza abbiano eventualmente esercitato nel tempo, gli svariati e differenti fattori ambientali su quelle peculiari caratteristiche genetiche. Pertanto, non è solo la popolazione residente in Sardegna che si dimostra ideale per lo studio di queste malattie, ma può diventare importantissima anche la sua popolazione esterna, ossia quella rappresentata dalla migliaia di emigrati. (secondo recenti stime statistiche sarebbero ben 500.000, quasi un terzo della popolazione residente nell’Isola), di prima seconda e terza generazione sparsi oggi per il mondo. A questa popolazione che ha varcato il mare, naturalmente, si deve aggiungere la vastissima comunità (non meno interessante), che con una certa forzatura, possiamo definire esterna interregionale, originatasi dall’emigrazione che ha caratterizzato gran parte dei paesi della Barbagia di Seulo. Il valore aggiunto rappresentato dalla biodiversità La peculiare biodiversità (sia umana che naturalistica) della Sardegna in genere, e della Barbagia di Seulo in particolare, deve diventare un valore aggiunto per le prospettive di sviluppo dell’intero territorio. La sua posizione al centro della Sardegna può rappresentare il punto di riferimento ideale per gli studi e per la comparazione della biodiversità dell’intera area. La biodiversità dovrebbe rappresentare davvero il cardine di un progetto importantissimo per lo sviluppo economico della Barbagia di Seulo che potrebbe concretizzarsi, per esempio, con la realizzazione di un Centro di Ricerca Interdisciplinare per la sperimentazione delle svariate applicazioni tecnologiche che abbracciano l’intera filiera della ricerca biotecnologica più avanzata, da applicarsi nei campi scientifici più svariati: medicina, agraria, farmacia, veterinaria, scienze naturali e fisiche etc. Applicazioni tecnologiche che consentono lo studio della variabilità genetica di popolazioni animali (uomo incluso), vegetali, e microbiche e la valorizzazione delle risorse naturali mediante caratterizzazione molecolare delle specie che possono essere agevolmente sperimentate grazie ad un territorio ed una popolazione dimostratisi ideali per tutta la ricerca in genere. La Barbagia di Seulo, infatti, rappresenta senza alcun dubbio il contesto ideale per favorire la ricerca in campo biotecnologico e la sperimentazione e lo sfruttamento di possibili applicazioni tecnologiche avanzate mediante la messa a punto di sistemi di diagnosi molecolare di malattie da microrganismi patogeni per l’uomo, gli animali e le piante o dannosi per le derrate alimentari. Un contesto davvero ideale, inoltre, per giungere al perfezionamento di biotecnologie riproduttive per il mantenimento e la diffusione della biodiversità sia animale che vegetale di quelle tante specie oggi a rischio di estinzione. Un contesto con una biodiversità genetica che fa della Barbagia di Seulo uno straordinario laboratorio epidemiologico naturale, ideale per lo studio delle tante malattie che oggi fanno registrare (come vedremo dopo), purtroppo, incidenze elevatissime nella popolazione della Sardegna, in particolare quelle definite genetiche-multifattoriali che si caratterizzano cioè per l’eziopatogenesi complessa legata anche all’autoimmunità, senza dimenticare le malattie rare (molte delle quali, ormai, per l’elevata incidenza non possono più definirsi tali – es. la celiachia, l’artrite reumatoide, la SLA etc.), compreso lo studio della predisposizione genetica per varie neoplasie che sembrano presentare indici d’incidenza maggiori che nelle altre regioni. Un quadro epidemiologico che pur apparendo indubbiamente preoccupante diventa nel contempo, quasi paradossalmente, ideale per favorire la sperimentazione sull’intero territorio di svariati protocolli di prevenzione anche mediante l’applicazione di nuove tecnologie terapiche predittive da abbinare, possibilmente, alla sperimentazione di nuove tecniche per il biorisanamento ambientale di vaste zone degradate per effetto dell'attività umana. L’esperienza di Bolzano L’idea di valorizzare la biodiversità di una regione (l’Alto Adige), è stata attuata a Bolzano con la fondazione nel 1992 dell’EURAC (Accademia Europea di Bolzano). Un innovativo centro di ricerca e di formazione impegnato in 5 differenti aeree scientifiche: Linguistica Applicata, Minoranze e Autonomie, Sviluppo Sostenibile, Management e Cultura d’Impresa, Scienze della Vita. Queste aeree di ricerca comprendono complessivamente ben 11 istituti con un totale di circa 90 addetti. L’attività di ricerca condotta da questi istituti presenta forti legami con il territorio: prendendo spunto dalla realtà locale vengono condotti studi e analisi che si collocano in una più ampia dimensione europea e internazionale. La presenza contemporanea nell’EURAC di linguisti, giuristi, ingegneri, esperti di scienze naturali e genetisti che lavorano a progetti interdisciplinari a diretto contatto con società e imprese, permette la ricerca e la sperimentazione di soluzioni concrete per affrontare problemi di grande attualità. Il diversificato bakground scientifico e la flessibilità dei collaboratori, permette un fattivo approccio multidisciplinare alle vari tematiche della ricerca e rappresenta il vero punto di forza dell’Accademia, in quanto consente di analizzare le diverse sfaccettature che caratterizzano ciascun fenomeno oggetto di studio. A partire dal 2002, l’EURAC, considerato che l’Alto Adige offre ottime condizioni per la scoperta di geni responsabili dell’insorgere di determinate malattie, dopo aver preso atto della nostra esperienza in Sardegna (provando, per la verità, inutilmente anche a stabilire forme di collaborazione diretta), ha deciso di istituire una linea di ricerca per lo studio della genetica sul territorio. La regione, infatti, oltre a presentare un’isola linguistico-culturale con una popolazione relativamente omogenea dal punto di vista genetico, vanta un sistema sanitario piuttosto sviluppato e un archivio genealogico straordinario. L’approccio multidisciplinare intrapreso dall’Istituto di Medicina Genetica comprende una vasta serie di settori: ricerca clinica, epidemiologia genetica, statistica genetica, genetica molecolare, informatica biomedica, storia medica delle Alpi e bioetica. Tutto quanto abbiamo fin’ora cercato di descrivere sembra suggerire, incontestabilmente, che la Sardegna intera, ed alcune zone in particolare, rappresentano a tutti gli effetti, un grande ed unico isolato genetico, un vero e proprio laboratorio naturale… a cielo aperto! Il Progetto Sa.no Genìa e l’emergenza epidemiologica in Sardegna Fin’ora abbiamo cercato di descrivere la validità del nostro progetto a partire dalla sua genesi, provando a dimostrarne l’efficacia, sulla base del background maturato in quest’ultimo decennio. Abbiamo provato a dimostrare, inoltre, che è possibile allargare l’orizzonte di questo progetto fino ad abbracciare l’intera popolazione di un territorio ben definito che nel suo insieme costituisce quello che abbiamo definito: “Pianeta Sardegna”. Una popolazione ed un territorio che dimostrano di avere tutte le caratteristiche strutturali necessarie tali da giustificare un progetto scientifico su vasta scala. D’ora in avanti, prima di entrare nel merito delle varie fasi realizzative, proveremo ad illustrare quali possono essere le motivazioni più importanti che giustificano un simile progetto, certamente impegnativo e dispendioso, e quali possono essere, soprattutto, le eventuali ricadute scientifiche ed economiche per il territorio. Diciamo subito, a scanso di equivoci, che la realizzazione materiale del progetto, pur nella sua innegabile complessità, dovuta in parte anche a dei passaggi burocratici obbligati, è senz’altro fattibile in tempi certi e con la garanzia di ottenere risultati altrettanto indubbi ed attendibili. Abbiamo la fortuna, infatti, di poter disporre di dati preziosissimi pertinenti sia all’anagrafe civile per il periodo 1866-2012 (dati che ci consentono di ricostruire agevolmente 5-6 generazioni), e sia quelli che riguardano la cosiddetta “anagrafe ecclesiastica” che risalgono addirittura ai primi del 1600; dati che, nel loro complesso, consentono una ricostruzione genealogica attendibile che comprende non meno di 15 generazioni. Bisogna sottolineare, però, che mentre i dati dell’anagrafe civile sono pubblici, quelli dell’anagrafe ecclesiastica sono di esclusiva proprietà della Chiesa, ed in quanto tali, potenzialmente più difficili da ottenere. L’argomento relativo alla raccolta e alla gestione dei dati anagrafici e agli archivi, sarà affrontato dettagliatamente nel prossimo capitolo. Riguardo all’interesse e alle possibili ricadute scientifiche ed economiche (fermo restando che un risparmio rappresenta già ad una ricaduta economica) che potrebbero aversi dalla realizzazione di un progetto di questa portata, crediamo sia sufficiente provare a rivolgere uno sguardo attento sull’attuale stato di salute della popolazione della Sardegna. Forse sarebbe opportuno (e serio) che iniziassimo a chiederci se ci sia ancora del tempo da perdere, o se invece l’ormai drammatica situazione epidemiologica, non rappresenti già di per sé un validissimo motivo per intensificare, pianificare e coordinare gli studi sul territorio (puntando possibilmente ad un vero approccio multidisciplinare), per giungere in tempi brevi ad una seria programmazione che metta le basi per un efficace e mirata campagna di prevenzione. Una situazione epidemiologica generale certamente drammatica che può diventare, però, se si riesce a comprendere il valore delle molteplici potenzialità contenute nella nostra proposta progettuale, una straordinaria occasione da perseguire con la prospettiva di ricadute socio-economiche davvero inimmaginabili. Siamo convinti, infatti, che è proprio a partire dall’analisi, certamente superficiale e parziale, che proveremo a fare di alcune delle più importanti patologie, soprattutto riguardo alle complesse manifestazioni patogenetiche che colpiscono la popolazione della Sardegna, che si potranno cogliere le reali potenzialità scientifiche racchiuse nella nostra proposta. Un progetto che, come abbiamo già avuto modo di dire, appare nel complesso impegnativo ed articolato, ma che contiene straordinarie potenzialità applicative sia per gli studi epidemiologici e sia per i progetti di prevenzione sul territorio: potenzialità che già rappresentano, di fatto, un validissimo strumento di valutazione che ne giustifica, a nostro avviso, ampiamente la realizzazione. Le malattie genetico-multifattoriali Quando si fa riferimento alla difficile situazione epidemiologica della Sardegna, non si parla solo di malattie tumorali e di anemia mediterranea, dal momento che si registra la progressiva incidenza di diverse altre patologie di origine genetica, in particolare quelle definite geneticomultifattoriali (dovute cioè all’interazione fra una predisposizione genetica e uno o diversi fattori ambientali), malattie di grande impatto sociale che, soprattutto nel corso degli ultimi anni, sembrano preferire in modo particolare questa regione con percentuali ormai insostenibili e assolutamente non più trascurabili. Alcune di queste, per le loro caratteristiche patogenetiche sono anche definite multifattoriali autoimmuni (diabete mellito di tipo 1, sclerosi multipla, tiroidite di Hashimoto, artrite reumatoide etc.), altre invece vengono definite malattie dismetaboliche (dette anche del ricambio), causate cioè da processi metabolici alterati che determinano l'assimilazione o l'eliminazione di sostanze (es. il diabete). Un quadro epidemiologico assai “variegato” nella sua difficile complessità, dove non si possono certo trascurare anche malattie monogeniche comuni quali la talassemia, la malattia di Wilson o l’APECED. Per quanto concerne l’incidenza della maggior parti di queste malattie, si può tranquillamente affermare che la Sardegna ha ormai superato da tempo il livello di guardia. La costruzione del database demografico-genealogico Dopo aver accennato, veramente a grandi linee, al complesso e difficilissimo quadro epidemiologico in cui si trova la Sardegna, ed aver provato a far comprendere concretamente quali possono essere le enormi potenzialità scientifiche racchiuse nel nostro progetto e nello strumento informatico che intendiamo realizzare, proprio in virtù del sostegno che esso rappresenta per tutto il mondo scientifico oggi impegnato nella medicina e nella ricerca in Sardegna, proviamo ora a vedere che cosa s’intende per database demografico-genealogico e come si realizza materialmente una struttura informatica di questa portata. Definizione e funzioni del database demografico-genealogico Definiamo database demografico-genealogico, una struttura informatica da noi ideata, realizzata e sperimentata costituita dall’insieme dei dati anagrafici di più individui afferenti a un determinato territorio, collegati tra di loro sulla base dei vincoli parentali mediante capillare ricostruzione genealogica, munita di specifico software che consente il miglior utilizzo dei dati compresa l’estrapolazione e la stampa degli alberi genealogici. Ecco perché abbiamo deciso di usare la definizione di database demografico-genealogico. Nel nostro progetto, il database rappresenta il nucleo centrale e/o l’asse portante che, munito di appositi software, dovrà contenere dinamicamente tutta la popolazione della Barbagia di Seulo (la struttura demografica), genealogicamente unita (dentro il database) attraverso i legami parentali a formare gli alberi genealogici (struttura genealogica), che potranno essere visualizzati e/o estrapolati a seconda delle esigenze contingenti. Gli alberi genealogici che, naturalmente, risulteranno più o meno estesi a seconda della diramazione della stirpe che si vorrà evidenziare, potranno essere visualizzati (o eventualmente stampati su cartaceo), sia in senso verticale (seguendo le ascendenze e/o le discendenze), sia in direzione orizzontale da destra a sinistra o viceversa (seguendo le parentele collaterali) mediante la semplice selezione di un individuo potendo, inoltre, decidere il numero delle generazioni che si vogliono esplorare. La funzione principale del database che intendiamo realizzare consiste, pertanto, nella gestione dinamica dei dati anagrafici dell’intera popolazione (dati che dovranno essere raccolti e canalizzati dentro il database), che una volta linkati tra loro costituiranno l’Albero Genealogico della Barbagia di Seulo che sarà messo a completa disposizione, oltreché delle rispettive amministrazioni comunali, anche della ricerca e della medicina. All’interno del database, grazie ai vari applicativi appositamente creati, sarà possibile osservare sia lo sviluppo ed il percorso delle varie patologie (facilitando l’identificazione della loro componente genetica) attraverso le famiglie e le comunità, sia definirne l’incidenza e/o la frequenza sul territorio sulla base degli eventuali spostamenti degli affetti (facilitando l’identificazione della componente ambientale). Uno strumento che potrà rivelarsi fondamentale, soprattutto, nell’attività di prevenzione grazie alla semplificazione della ricerca e individuazione dei soggetti a rischio per determinate malattie, facilitando la definizione di particolari protocolli clinici, la predisposizione di screening mirati e di altre eventuali metodiche che si vorranno applicare sul territorio. L’Archivio dello Stato Civile Iniziamo quindi col vedere quali sono questi registri custoditi, come abbiamo detto in precedenza, c/o ciascun comune: registri di nascita, di matrimonio e di morte (abbiamo deciso di escludere quelli relativi alla cittadinanza in quanto non ritenuti utili per la genealogia). Tutti gli atti che costituiscono questi registri, afferiscono agli Uffici di Stato Civile di ciascun comune, e sono custoditi in un settore apposito che è denominato Archivio dello Stato Civile. Alla fine di ogni anno, tutti i registri formati dagli Uffici di Stato Civile in duplice copia, vengono rispettivamente inviati una copia all'Archivio di Stato Civile, l'altra alla Prefettura. L’Archivio, oltre a custodire i registri ed eseguire tutte le annotazioni derivanti da variazioni dello Stato Civile dei singoli soggetti, rilascia tutte le certificazioni e le copie integrali degli stessi atti, che vengono richieste sia dai cittadini che da altri Enti e/o dalle Forze dell’Ordine. Per costruire un database demografico-genealogico, bisogna, pertanto far ricorso ai dati contenuti nei registri d’anagrafe della popolazione istituiti nel lontano 1866. Lo Stato Civile è in vigore a partire dal 1866 essendo stato istituito in Italia, insieme all’Anagrafe, con il Regio Decreto n. 2026 del 15 novembre 1865; il suo funzionamento e organizzazione furono regolati da alcuni decreti successivi. Esso, è composto di registri nei quali sono annotati in maniera minuziosa e dettagliata, tutti i nomi dei nati, dei morti e di coloro che contraggono matrimonio, oltre a quello di cittadinanza che, come abbiamo già detto, non viene preso in considerazione per la ricostruzione genealogica. Dati registrati con cura che riportano, generalmente, il nome dell’individuo, la data dell’evento, i nomi dei genitori, dei testimoni, la professione, l’indirizzo dove l’evento è avvenuto etc. Dati che, come è facile comprendere, consentono di ricostruire, non solo la genealogia della comunità, ma di evidenziare anche altri importanti aspetti sociali della vita e della storia della stessa. Ciascuna registrazione rappresenta di fatto, solo una piccola tessera di un grande mosaico rappresentato dalla comunità intera. Bisogna anche dire, che tutti questi registri nell’arco degli oltre 150 anni della loro esistenza, hanno subito varie modificazioni strutturali dovute alle naturali dinamiche del processo evolutivo della società italiana. Un processo evolutivo che riflette esattamente il percorso storico di una società civile con le regole e le normative che ne hanno scandito le varie tappe. I registri dello Stato Civile furono istituiti dal Regno d’Italia all’indomani del travagliato processo di unificazione del Paese e dovevano servire ad unire materialmente tutte le regioni intorno ad un unico Stato. Essi hanno rappresentato, pertanto, il trait-d’union tra lo Stato e la periferia. Attraverso l’anagrafe, infatti, i cittadini italiani potevano sentirsi parte integrante dello Stato che, nello stesso tempo, poteva esercitare il controllo sull’intero territorio. Possiamo dire che l’anagrafe ha di fatto rappresentato il mezzo più efficace che ha consentito di realizzare materialmente l’Unità d’Italia. Il susseguirsi delle varie normative statali vigenti (pensiamo, solo per esempio, che in questo lasso di tempo si è passati dal Re alla Repubblica) in materia d’anagrafe e di stato civile, hanno determinato via via delle modifiche (ultimamente la legge sulla privacy), che nel tempo hanno trasformato la struttura dell’atto stesso. Ma ora vediamoli meglio nel dettaglio anche per comprenderne le potenzialità, partendo dai registri di nascita. Registro di nascita In questo registro vengono indicati il nome, il cognome, il sesso del neonato, l’ora della nascita, i nomi dei genitori e spesso la loro professione. Sino a tutta la prima metà del secolo scorso, negli atti di nascita venivano indicati anche i nomi dei nonni, il nome della via (o del rione) in cui il bambino risultava nato, oltre al nome e la professione dei testimoni che ne denunciavano l’evento. Nel registro di nascita, fino agli anni sessanta circa del secolo passato, risultavano annottati solo i nomi dei bambini nati in casa perché che era raro che nascessero (se non per gravi cause di forza maggiore) in ospedale. Adesso la situazione è esattamente rovesciata, dal momento che quelli nati in ospedale, risultano essere la maggioranza pressoché assoluta. Questo fatto, fino a qualche anno fa creava dei veri problemi per così dire identitari, in quanto tutti i nuovi nati risultavano registrati c/o gli uffici anagrafici dei maggiori centri che ospitano i presidi ospedalieri, determinando un anomalo fenomeno demografico che portava questi centri a registrare elevati (e fasulli) indici di natalità e determinando, nel contempo, indici di natalità pressoché uguali a zero nelle comunità d’origine del neonato. Questo problema è stato risolto con il ricorso ad una doppia registrazione dell’atto di nascita, cosicché il bambino, pur risultando nato nel comune dove esiste il presidio ospedaliero, è contestualmente registrato c/o l’anagrafe della comunità di provenienza diventandone parte integrante. La stessa procedura viene utilizzata anche per i bambini (figli d’emigrati) nati all’estero che vengono iscritti nell’anagrafe dei comuni d’origine dei genitori (che godono della doppia cittadinanza), in particolari liste denominate AIRE (Anagrafe Italiana Residenti all’Estero). Registro di matrimonio Nell’atto di matrimonio sono indicati i nomi degli sposi, il loro stato civile, i nomi dei genitori e se si tratta di vedovi anche il nome del coniuge defunto. A partire dal 1972, si annotano solo i nomi e la data di nascita degli sposi. L’annotazione dei matrimoni celebrati con il rito religioso fu possibile solo dopo la firma del Concordato avvenuta nel 1929 tra la Chiesa e lo Stato Italiano. Prima di questa data, infatti, il matrimonio veniva praticamente celebrato due volte: prima in chiesa (generalmente), e successivamente in comune. Il registro dei matrimoni presenta una prima parte dove vengono registrati i matrimoni celebrati nel comune e una seconda parte per la registrazione di quelli celebrati fuori che, solitamente, riguardano almeno uno dei coniugi residente nello stesso comune. Recentemente è stata istituita una terza parte riservata alle annotazioni dei matrimoni avvenuti all’estero, che riguarda tutti coloro che hanno una qualche relazione con il comune, sia diretta (nascita) o indiretta per discendenza (nascita dei genitori). Anche queste annotazioni sono parte integrante dell’AIRE. Registro dei morti In questo registro sono annotate le generalità, lo stato civile ed il sesso del defunto, il nome dell’eventuale coniuge (anche se già deceduto) ed il nome dei testimoni che ne denunciano la morte. Talvolta, tra le annotazioni, si può trovare anche la data di nascita del defunto. Per tutto l’Ottocento ed i primi anni del Novecento spesso si annotava anche la causa generica della morte. Bisogna tener presente, inoltre, che ciascun atto di morte era necessariamente accompagnato dal certificato necroscopico, compilato dal medico (quasi sempre il medico condotto) che ne attestava l’avvenuto decesso, e veniva allegato all’interno del registro. Col tempo, probabilmente ragioni di opportunità operativa, hanno determinato la separazione dei certificati necroscopici dai registri sono stati conservati da un’altra parte. Questa separazione, purtroppo, ha fatto si che parte di questi documenti risulti ormai scomparsa. Molti comuni però, per nostra fortuna, conservano ancora nei loro polverosi archivi una buona parte di questi preziosi certificati. Crediamo risulti abbastanza facile comprendere che sia i certificati necroscopici, così come le annotazioni sui registri di morte, rappresentino una preziosa indicazione clinica ed una, sia pur parziale, traccia epidemiologica, offrendoci talvolta anche delle testimonianza abbastanza insolite circa le cause di morte. Per esempio ci è capitato d’imbatterci in registrazioni di morte che descrivono letteralmente: “morto perché malmenato in campagna da un bue”; oppure: “morto annegato mentre cercava di guadare un ruscello”; o ancora: “trovato morto in campagna a seguito di colpo apoplettico”. Valore storico-sociale-culturale degli archivi comunali Appare abbastanza evidente che le varie registrazioni dell’anagrafe ci permettono, non solo di ricostruire agevolmente la genealogia di un’intera comunità, ma di avere a disposizione diversi altri importantissimi dati demografici e sociologici che caratterizzano la comunità stessa; dati che consentono un’analisi dettagliata dei vari fenomeni (natalità, mortalità, età media di matrimonio, fertilità, longevità, parti gemellari, mestieri, alfabetizzazione etc.). Bisogna dire che gli stessi dati rivestono, inoltre, un grande valore culturale e anche urbanistico in quanto si dimostrano di grande aiuto per la ricostruzione toponomastica degli antichi quartieri e/o rioni, offrendo importanti indicazioni per gli studi di riassetto e recupero funzionale del territorio urbano. Per esperienza personale, dobbiamo anche dire, purtroppo, che molti di questi vecchi registri, soprattutto quelli dello Stato Civile, nella gran parte dei comuni risultano (soprattutto a causa del continuo utilizzo) ridotti in condizioni veramente disastrate. Ed è un vero delitto culturale e antropologico perché questi preziosi manoscritti, talvolta vittime dell’incuria degli stessi operatori, almeno nella loro parte più antica, tra le pagine ingiallite custodiscono l’anima della comunità accompagnata da una straordinaria vitalità e da un fascino irresistibile. Sono pagine che trasudano la dignità della storia personale di ciascun individuo, fino a diventare il compendio di tante piccole storie personali che fanno la storia umana, civile e sociale di ciascuna comunità. Noi crediamo che sia veramente un peccato mortale non intervenire per tempo per salvaguardare questo vero e proprio patrimonio socio-culturale che oggi rischia materialmente l’estinzione. Un patrimonio che con un modesto intervento finanziario potrebbe essere finalmente restaurato, messo in sicurezza (si consideri che alcuni comuni a causa di eventi calamitosi, hanno perduto per sempre i loro archivi anagrafici) e reso fruibile a disposizione della comunità. Naturalmente gli archivi comunali non contengono solo i registri che costituiscono lo Stato Civile, ma tantissimi altri documenti ugualmente importanti e di estremo interesse per i ricercatori. Ci riferiamo, in particolare, ai vecchi registri che compongono l’Archivio della Leva Militare, alle Deliberazioni di Giunta e di Consiglio Comunale, solo per citarne alcuni, che si dimostrano ugualmente importanti per la ricostruzione storico-genealogica-sociale di una comunità. Assai importanti ai fini della ricerca sono, soprattutto, i registri della Leva Militare (spesso presenti per alcuni decenni a partire dalla seconda metà dell’Ottocento), che contengono le registrazioni dei nomi dei coscritti (divisi per coorte di nascita) della comunità, sottoposti a visita medica per la certificazione dell’idoneità al servizio militare. Del coscritto veniva indicato, infatti, oltre al nome e cognome, data di nascita, paternità, peso ed altezza, segni particolari, anche le eventuali patologie riscontrate e l’esito della visita. Crediamo sia del tutto inutile aggiungere nulla circa l’importanza rappresentata da questi registri per la ricerca. La meccanizzazione dell’Archivio dello Stato Civile Ma torniamo a parlare dello Stato Civile che è quello che ci interessa maggiormente per il nostro progetto di ricostruzione demografico-genealogica e che, a nostro avviso, dovrebbe essere al più presto completamente meccanizzato. Un processo ormai indispensabile, che, una volta ultimato, renderebbe più fruibile l’intero servizio, non solo in funzione del nostro progetto, ma soprattutto nell’ottica di una moderna gestione dell’intero apparato della pubblica amministrazione con una ricaduta che sarebbe a totale beneficio delle comunità e dei cittadini. Anche la PA, infatti, con l’obbligo sempre più impellente della riduzione dei costi e con la prospettiva, ormai non più remota, dell’accorpamento dei vari Enti Pubblici, soprattutto dei comuni con meno di 1000 abitanti, avrà la necessita di meccanizzare al più presto tutto il proprio apparato per consentire la rapida trasmissione dei dati dagli uffici periferici (dai comuni più piccoli che verranno accorpati) verso quello che sarà diventato centrale (il comune di riferimento), onde accorciare il più possibile le distanze geografiche sempre più grandi, ed i conseguenti disagi che inevitabilmente si andranno a creare per i cittadini. Solo per avere un’idea delle possibili ricadute negative che questo provvedimento potrà provocare si pensi che solo in Sardegna, sarebbero ben 118 i comuni al di sotto dei 1000 abitanti (su un totale di 377), quelli attualmente interessati. Ricadute assai più negative se si considera l’aggravante che si tratta di comuni che, oltre a soffrire gli effetti deleteri dello spopolamento, si trovano distribuiti su un territorio vastissimo. Pertanto, diventerà più che mai indispensabile meccanizzare tutti i servizi d’anagrafe (compreso lo Stato Civile) dei comuni per consentire il flusso e la centralizzazione dei dati dal momento che è impensabile procedere all’accorpamento di tutti i vari Enti, trasferendo centinaia di tonnellate di documenti cartacei dalla periferia. Documenti importanti che dovranno essere sempre più tutelati e preservati anche nella loro stesura originaria, in quanto rappresentano il cuore pulsante della comunità a cui appartengono e ne testimoniano l’esistenza e l’identità storica. Valori non certo trascurabili, che caratterizzano sia le grandi e sia, soprattutto, le piccole comunità che non potranno certamente essere cancellati con un decreto dello Stato. La necessità di giungere al più presto alla completa meccanizzazione dell’archivio dello Stato Civile, è diventata, pertanto, un esigenza ormai irrinunciabile sia per ragioni tecnico-amministrative (uniformare il servizio), sia per ragioni di bilancio (razionalizzazione della spesa). Il tutto anche alla luce di un provvedimento del ministero competente, che in data 1° luglio 2007 ha dato la possibilità ai comuni di aggiornare i propri archivi storici su supporto informatico e quindi mandare in pensione i vecchi registri cartacei. La Sardegna e la meccanizzazione parziale degli uffici comunali Purtroppo, come accade spesso nel nostro Paese, le buone intenzioni non sempre sono accompagnate dai fondi necessari che ne consentono l’attuazione. In Sardegna, infatti, la maggior parte dei comuni a causa della ristrettezza dei loro bilanci, sono stati costretti a limitare la meccanizzazione dei vari servizi solo all’essenziale. Molte amministrazioni locali, infatti, hanno provveduto (esclusivamente con risorse proprie) a meccanizzare solo quei servizi ritenuti essenziali per garantire la normale gestione corrente degli uffici. La gestione corrente riguarda, in linea di massima, la possibilità di avere in rete tutti quei servizi essenziali, soprattutto Anagrafe e Stato Civile, della popolazione residente (APR) per garantire le diverse certificazioni (talvolta anche online) richieste dagli utenti o da trasmettere agli uffici periferici collegati ed è limitata, solitamente, ad un periodo storico che riguarda solamente gli ultimi 30-40 anni. Questo vuol dire, che buona parte dei documenti a partire dal 1866, sono rimasti fuori da questa meccanizzazione e sono ancora custoditi nei vecchi e polverosi registri. Pertanto, ogni volta che l’impiegato comunale ha la necessità di consultare dei dati anagrafici antecedenti agli ultimi 3-4 decenni (cosa che capita assai frequentemente nella compilazione di pratiche riguardanti atti di successione, eredità, estratti di morte etc.) deve obbligatoriamente, con notevole dispendio di tempo, ricorrere alla consultazione del vecchio cartaceo. Questa parte di documenti rimasta fuori dalla gestione corrente, abbracciando un periodo di tempo abbastanza lungo (dal 1866 al 1970 circa), rappresenta la parte più consistente e generalmente viene definita (compresi i registri dello Stato Civile): parte storica. L’insieme di tutte queste ragioni che abbiamo descritto, che potremo anche definire tecnicoamministrative e/o socio-storico-culturali, sono, a nostro modesto avviso, già di per se sufficienti per capire e giustificare la necessità di un immediato intervento che consenta a tutti i comuni della Sardegna di poter meccanizzare l’intero servizio dello Stato Civile e renderlo fruibile on-line. La completa meccanizzazione è, pertanto, diventata un’esigenza amministrativa (ma non solo) ormai non più rimandabile, tant’è vero che moltissimi comuni italiani hanno già provveduto (o stanno provvedendo) ad informatizzare i loro archivi storici (ivi compreso quello Stato Civile) mediante il ricorso alla digitalizzazione. Un processo che non ha riguardato solo i piccoli comuni ma anche grandi città e addirittura metropoli come Milano. La meccanizzazione dello Stato Civile a Milano L’amministrazione comunale di questa città, che ricordiamoci serve un bacino d’utenza di circa 1.300.000 cittadini (appena poche centinaia di migliaia in meno dell’intera Sardegna), ha provveduto, già da qualche tempo, a sostituire la vecchia documentazione relativa allo Stato Civile (atti di nascita, morte, matrimonio), prima contenuti su microfiches e microfilm. Gli amministratori si son resi conto, infatti, che questi due supporti, oltre a richiedere una gestione estremamente onerosa in termini di personale dedicato, non permettevano di offrire al cittadino la documentazione richiesta in tempi accettabili. Risultava preclusa, inoltre, la possibilità di ottenere certificati in una sede diversa da quella in cui era situato l’archivio centrale. La soluzione al problema è stata trovata grazie all’ausilio di un software (S.Im.A.- Sistema Immagini Atti), creato dalla IBM Software Group, che gestisce l’intera certificazione dello Stato Civile e la produzione dei relativi atti, in forma integrale ed in formato elettronico. Il ricorso a questo sistema, che contiene e gestisce circa 6 milioni di immagini di Stato Civile e circa 3 milioni di immagini di carta d’identità, ha consentito di avere a disposizione in formato elettronico, gli atti di Stato Civile dal 1866 ad oggi. Il livello del servizio offerto ai cittadini risulta notevolmente migliorato, riducendo il tempo medio di attesa da trenta a pochi minuti con una maggiore efficienza media nella gestione delle informazioni. Grazie alla gestione documentale realizzata a livello integrato è ora possibile erogare i certificati oltre che dalla sede centrale anche dai 14 sportelli delle delegazioni decentrate, superando le stringenti limitazioni alla circolazione dei certificati imposta dalla normativa vigente. L’architettura di questo progetto è stata continuamente implementata e adeguata in base alle esigenze via via emerse presso il comune e nei vari servizi gestiti dello Stato Civile, evolvendosi gradualmente nel tempo soprattutto sulla base dei suggerimenti che sono arrivati direttamente dagli utenti. Bisogna sottolineare, che il costo più consistente dell’intera operazione ha riguardato, più che la infrastruttura IT relativa, il lavoro di digitalizzazione dell’immensa mole di documenti cartacei pregressi, si consideri, però, che questa è una spesa una tantum. Il comune di Verona, invece, ha ritenuto di dover curare la digitalizzazione dei Registri dell’Anagrafe Austriaca (1836-1871) per un totale di 40.000 fogli digitalizzati, e di proporli on-line ai propri cittadini. Mentre il comune di Bologna ha pensato bene di ottimizzare l’informatizzazione del proprio Archivio Storico dello Stato Civile, offrendo ai propri cittadini la possibilità di richiedere direttamente al servizio dell’ufficio preposto, uno schema del proprio albero genealogico mediante un rimborso spese da corrispondersi per ogni nominativo contenuto nell’albero stesso. Nel comune di Bergamo, invece, l’esigenza della meccanizzazione dell’Archivio Storico comunale si è associata alla necessità di ottimizzare al meglio gli spazi destinati, tanto che per descriverne il grande vantaggio ottenuto, è stato usato il termine “dematerializzazione”, essendo passati da un totale di 553 metri quadri occupati a …..30 cm! Sicuramente questo processo d’informatizzazione ha comportato per questi comuni uno sforzo finanziario non trascurabile, ma gli evidenti vantaggi ottenuti, soprattutto nel lungo periodo, giustificano abbondantemente l’investimento che, come detto in precedenza, rappresenta in tutti i casi una spesa una tantum. Probabilmente non si tratta solamente di un mero discorso finanziario, ma piuttosto di precise scelte politiche che dimostrano la lungimiranza di alcune amministrazioni; scelte che testimoniano che quanto c’è veramente la consapevolezza e la volontà di ottenere dei benefici, i soldi necessari si trovano comunque. Dalle nostre parti capita di osservare sovente, purtroppo, soprattutto nelle realtà più piccole, che l’amministratore pubblico (forse per mancanza proprio di lungimiranza o per calcoli di bottega) trovi più conveniente e più spendibile in termini di visibilità politica, la realizzazione di una qualsiasi infrastruttura (magari del tutto inutile), piuttosto che adoperarsi per completare la meccanizzazione di servizi essenziali come quelli dell’Anagrafe e dello Stato Civile, erroneamente ritenuti secondari. Probabilmente, siamo di fronte ad un problema che denota una mancanza generalizzata di sensibilità culturale che esigerebbe uno sforzo maggiore da parte di tutti, affinché si possa finalmente comprendere l’importanza di questi interventi. La struttura del database demografico-genealogico Dopo aver parlato dei dati necessari per la costruzione del nostro database demograficogenealogico, ed aver provato ad illustrare alcuni possibili vantaggi procedurali che si possono ottenere per i comuni dalla meccanizzazione del servizio dello Stato Civile (assai significativa appare l’esperienza del comune di Milano), vediamo ora come si assemblano tutti questi dati per realizzare materialmente il database alla base del nostro progetto. Un processo di costruzione che avviene, come abbiamo già avuto modo di dire, mediante il ricorso ai dati anagrafici della popolazione provenienti da due fonti distinte: archivio civile ed ecclesiastico. La necessità di dover ricorrere a due diverse fonti ci ha consigliato di procedere alla progettazione di due database distinti; uno per la gestione dei dati provenienti dai comuni e l’altro per quelli della chiesa. Due database pressoché omologhi sia nella concezione che nella struttura generale, capaci senz’altro di interagire tra loro ma distinti nei contenuti e nelle funzioni, tanto da poter essere realizzati simultaneamente oppure in tempi diversi. Pertanto, abbiamo ritenuto opportuno descrivere separatamente il processo di costruzione dei due database, fasi che solo per convenienza descrittiva, chiameremo fase pubblica e fase ecclesiastica. Così come, sempre per convenienza descrittiva, sulla base della provenienza dei dati, definiremo database demograficogenealogico pubblico il primo e database demografico-genealogico ecclesiastico il secondo. La fase pubblica del database demografico-genealogico Per fase pubblica intendiamo descrivere l’insieme dei procedimenti che iniziano con la raccolta dei dati della popolazione contenuti nei registri dello Stato Civile, per proseguire con il loro trasferimento nel database iniziale, dove, mediante un processo di linkage, saranno uniti tra loro per formare gli alberi genealogici. Entriamo ora nel dettaglio dei diversi processi di questa fase che conduce a realizzare un database che abbiamo definito demografico-genealogico in quanto risulta costituito da due distinte sub-strutture: database demografico e database genealogico. Il database demografico Come è facile intuire dalla definizione, il database demografico gestisce i dati anagrafici della popolazione provenienti dai registri dello Stato Civile dei comuni. Dati che si riferiscono alle nascite, ai morti e ai matrimoni avvenuti nell’arco degli ultimi 150 anni di storia demografica di ciascuna comunità. Il database demografico sarà materialmente costituito solo dai dati relativi alle nascite (dati che possiamo definire “primari”), mentre quelli relativi ai matrimoni ed ai morti (dati “secondari”), pur strettamente collegati al database, saranno contenuti in una struttura separata (facilmente consultabile) in quanto necessari per la costruzione delle genealogie. Abbiamo calcolato che il database demografico relativo ai 5 paesi della Barbagia di Seulo, con i soli dati riferiti alle nascite per il periodo 1866-2013, dovrebbe poter contenere e gestire una mole approssimativa pari a 30 mila. L’esperienza maturata e l’analisi dell’andamento demografico degli ultimi 150 anni in Sardegna, suggeriscono, infatti, che il numero totale della popolazione ora residente debba essere moltiplicato per circa 5-6 volte. Ciascun dato anagrafico contenuto nel database demografico sarà collegato ad un codice identificativo della persona e della comunità di origine. In questo modo si omogeneizzerebbe interamente lo Stato Civile di ciascun comune e si metterebbe a disposizione degli uffici comunali, mediante un collegamento telematico on-line; uno strumento capace di garantire, non solo un servizio efficace ed immediato al cittadino per il rilascio allo sportello dei vari documenti (certificati storici, successioni, eredità, estratti, varie ricerche etc.), ma anche per lo stesso ufficiale d’anagrafe che, sempre per via telematica, potrà operare on-line tutte le annotazioni e le varie procedure richieste dalle normative vigenti. Un database per la gestione dinamica di circa 25 mila dati Si tratterebbe di digitalizzare e rendere on-line, escludendo i dati anagrafici relativi agli ultimi 3-4 decenni gia meccanizzati e disponibili, un totale approssimativo di circa 25 mila dati anagrafici. Questa mole di dati, perlopiù contenuta nei documenti cartacei, una volta digitalizzati ed in parte trascritti (almeno quelli più antichi completamente registrati a mano e per questo forse “illeggibili” anche per i potenti scanner utilizzati per questi lavori), andrebbero immagazzinati all’interno di un server centralizzato per costituire la parte anagrafica del database. Questa porzione di database, che potremo anche definire “parte storica”, andrebbe ad unirsi interfacciandosi, con la porzione d’anagrafe già meccanizzata ora in uso agli uffici anagrafici per costituire il database Anagrafico centrale da mettere a disposizione degli Uffici di Stato Civile dei comuni. Insieme ai dati provenienti dai registri di nascita che andranno a formare il database demografico-genealogico, bisognerà provvedere, inoltre, alla raccolta e alla meccanizzazione anche di quelli contenuti nei registri di morte e di matrimonio. Questo strumento informatico operando bidirezionalmente, risulterà sempre aggiornato in quanto alimentato dal flusso continuo dei dati provenienti (nuove nascite, matrimoni e morte) dai comuni collegati, e potrà essere messo a completa disposizione della P.A. Esso, infatti, grazie ai vari applicativi necessari sia di controllo che gestionali, faciliterà l’attività amministrativa dei vari Enti che già accedono ai dati dei cittadini (altri comuni, servizio sanitario, giudice di pace, Ministero dell’Interno ed altri) gestiti dallo Stato Civile. Cosa che già avviene regolarmente, spesso con il ricorso all’utilizzo del materiale cartaceo, dal momento che i dati meccanizzati, come già detto, riguardano solamente gli ultimi due o tre decenni. Si tratterebbe, pertanto, di procedere alla completa informatizzazione del servizio per consentire al database demografico, mediante accorpamento della parte storica dello Stato Civile con quella degli ultimi 30 o 40 anni, di mettere al servizio della PA l’insieme complessivo dei dati della popolazione con tutti i vantaggi che prima abbiamo provato ad illustrare. Il database genealogico L’insieme dei dati di nascita dell’intera popolazione della Barbagia di Seulo, opportunamente meccanizzati e immagazzinati all’interno del database demografico, mediante un apposito software demografico, saranno pronti per essere uniti tra loro, sempre all’interno del database, a formare gli alberi genealogici. L’insieme complessivo degli alberi genealogici costituirà materialmente il database genealogico e rappresenterà quello che è il nucleo del nostro progetto: l’Albero Genealogico della Barbagia di Seulo. Le due sub-strutture (demografica e genealogica) che costituiscono il database, saranno tra loro opportunamente separate (per motivi tecnici relativi alla sicurezza e alla fruizione) anche se manterranno la possibilità di dialogare per consentire, attraverso il flusso dei nuovi dati, l’aggiornamento automatico degli alberi genealogici. Gli alberi genealogici contenuti all’interno del database genealogico, mediante appositi applicativi (tool), potranno essere estrapolati a seconda delle necessità, e messi a disposizione dei comuni, della sanità pubblica (Servizio Sanitario Regionale), della ricerca, degli studiosi di diverse discipline, degli emigrati ed di tutti gli eventuali altri soggetti che risulteranno regolarmente autorizzati dall’organismo che sarà deputato alla sua gestione. Il database demografico-genealogico pubblico Le due sub-strutture (demografica e genealogica) saranno, pertanto, dinamicamente collegate nelle gestione del flusso dei dati e costituiranno il database demografico-genealogico pubblico che, mediante la dotazione di appositi software e tool informatici, sarà in grado di “dialogare” agevolmente in più direzioni. Vedasi lo schema descrittivo IL DATABASE DEMOGRAFICO-GENEALOGICO PUBBLICO DATI DELLO STATO CIVILE Dati Anagrafici meccanizzati ultimi 30-40 anni Dati digitalizzati dello Stato Civile nascita 1866-2014 COMUNI Ministero dell’Interno (Forze dell’Ordine) Giudice di Pace Nome: Antonio x Anagrafe Sanitaria Medicina di base Sanità Ricerca Comuni Altro Digital Library Le “opportunità” dei fondi UE Del resto non mancano i finanziamenti pubblici destinate alle imprese che intendono investire nelle regioni ritenute “svantaggiate” (per es. i fondi regionali UE nell’ambito della cosiddetta strategia Europa 2020). Probabilmente per attingervi bisogna avere idee chiare e soprattutto progetti concreti, e se ci è consentito, la nostra idea progettuale, modestamente, ci sembra molto concreta e degna della massima attenzione. A proposito di fondi pubblici, c’è da dire che l’Unione Europea, soprattutto per bocca del commissario responsabile alla politica regionale Johannes Hahn, non ha perso l’occasione di sollecitare con forza alcune regioni (tra queste la Sardegna), all’utilizzo dei finanziamenti strutturali a loro destinati. Le regioni italiane, infatti, risultano in Europa tra quelle meno capaci di spendere i soldi a disposizione tanto che rischiano, concretamente, di perdere i fondi loro assegnati. Recentemente il commissario europeo ha diramato una comunicazione che esorta le autorità nazionali e regionali ad elaborare, in tempi celeri, quelle che ha definito “strategie di specializzazione intelligente”, per aiutare le regioni ad identificare i loro principali punti di forza. Riuscire a concentrare le risorse su di un numero limitato di priorità potrebbe garantire, infatti, un uso più efficace dei fondi pubblici e contribuire ad attrarre un maggior numero di investimenti privati. Sulla base di queste continue sollecitazioni, crediamo che bisognerebbe stabilire quale potrebbe essere, allo stato attuale, in base al programma di innovazione della PA l’orientamento della Regione Sardegna e quale eventualmente il margine per un intervento pubblico-privato di grande respiro che possa contenere al suo interno anche il nostro progetto, oltre a prevedere la creazione (o il potenziamento, qualora si decidesse di inserirlo all’interno dell’Osservatorio Epidemiologico Regionale), dell’infrastruttura pubblica a cui affidarne la gestione. Un progetto che con le potenzialità che abbiamo cercato di illustrare, potrebbe rappresentare per la Sardegna una grandissima opportunità di sviluppo e di crescita economica, oltreché un vantaggio inestimabile per la salute generale della sua popolazione. Il potenziale ruolo della Regione Sardegna Dovrebbe essere, a nostro avviso, la Regione Sardegna a patrocinare la digitalizzazione di tutti gli “archivi storici” dello Stato Civile dei 377 comuni della Sardegna, perché, oltre ad essere l’Ente più direttamente interessato e coinvolto, risulterebbe anche il primo beneficiario. Riteniamo, altresì, che non dovrebbe essere difficile far recepire alla Regione Sardegna le enormi potenzialità contenute in un intervento di questo tipo, anche perché ci risulta che il progetto di meccanizzazione è in parte già contemplato tra le fitte pieghe del complesso ed importante programma di egovernment per la modernizzazione della PA, già avviato da qualche anno sul territorio regionale. Un intervento che sarebbe davvero praticabile qualora venisse recepita l’importanza strategica e politica di questo processo di meccanizzazione. Un processo strategico, che potrebbe diventare propedeutico per un progetto generale più ampio, ricco di interessi e motivazioni assai lungimiranti, alcune adeguatamente già rappresentate (storiche, sociali, culturali, identitarie, amministrative etc.) che abbiamo cercato di descrivere in precedenza, ma che risulta fondamentale, soprattutto, di fronte alla necessità di fronteggiare adeguatamente la complessa realtà sanitaria regionale da tutti i punti di vista, in particolare per quello che attiene all’attività di prevenzione sul territorio. Il nostro progetto, infatti, può, e deve diventare, parte integrante di un serio progetto di programmazione che preveda, anche attraverso la meccanizzazione dell’anagrafe civile collegata con quella sanitaria, la realizzazione di un duttile strumento informatico regionale (contenente anche l’intera genealogia della Barbagia di Seulo), capace di dialogare in molteplici direzioni. Allo stato attuale, in base alle direttive del progetto piramidale di integrazione e meccanizzazione di tutto il Sistema Sanitario Regionale, si è provveduto ad uniformare l’anagrafe sanitaria con quella dei comuni della Sardegna. Tutti comuni sardi, infatti, hanno accettato di condividere on-line con l’Assessorato Regionale alla Sanità, i dati dell’archivio corrente della popolazione residente che avevano precedentemente meccanizzato (dati relativi agli ultimi 3-4 decenni), dati che ora, di fatto costituiscono la cosiddetta Anagrafe Sanitaria Regionale. Con la completa meccanizzazione dello Stato Civile dei comuni della Barbagia di Seulo si potrebbe, pertanto, completare, e soprattutto testare, una parte del sistema informatico sanitario regionale che, sviluppato e collegato su base genealogica, potrebbe davvero concorrere a creare nell’immediato futuro uno straordinario database demografico-genealogico regionale. Lo stesso database, qualora fosse messo in relazione, naturalmente con gli opportuni applicativi, con i dati epidemiologici, diventerebbe fondamentale per l’osservazione (grazie agli alberi genealogici) dell’incidenza delle patologie sulla base della familiarità, potendo seguire, inoltre, la distribuzione delle stesse sul territorio. Una struttura informatica di grande valore scientifico, che sarebbe di fondamentale ausilio anche per le dinamiche costitutive ed applicative dei registri epidemiologici regionali che si dovranno obbligatoriamente realizzare al più presto. Ci risulta, che nessuna regione d’Italia sia stata fin’ora capace di dotarsi di uno “strumento scientifico” con queste straordinarie potenzialità, anche perché nessun’altra regione, dimostra di possedere tutte quelle peculiarità che abbiamo illustrato e che rendono davvero unica la Sardegna. La Regione Sardegna, e i comuni della Barbagia di Seulo, qualora riuscissero a cogliere questa grande opportunità, oltre a poter sfruttare direttamente le immense potenzialità del sistema, potrebbe diventare un modello da seguire per molte altre realtà. Il nostro compito, naturalmente, non è quello di entrare nel merito delle scelte politiche della Regione e delle amministrazioni locali, però, dal momento che crediamo ciecamente nella validità del progetto che stiamo proponendo e che vogliamo assolutamente riuscire a portare a compimento, possiamo provare a suggerire quale potrebbe essere la strada da seguire. Probabilmente, mediante precisi accordi di programma con altri enti pubblici e/o privati, si potrebbero davvero trovare le risorse necessarie per realizzare questo grande progetto. Crediamo, per esempio, che non sia fuori luogo la prospettiva di creare una sorta di joint venture tra la Regione Sardegna e altri gruppi pubblici e/o privati che possano garantire, soprattutto nella fase iniziale, un’adeguata capitalizzazione. Sarebbe opportuno riuscire a comprendere che la prospettiva di costituire un sistema d’impresa misto pubblico-privato, potrebbe, per esempio, garantire alla Regione Sardegna da un lato, la certezza di usufruire sul territorio (a costo zero per le sue casse) di tutta una serie di servizi veramente innovativi e di prim’ordine e dall’altro, offrire agli altri soggetti compartecipanti l’opportunità di poter sviluppare, testare, ed eventualmente commercializzare i propri prodotti. Si pensi, solo per fare un esempio concreto, all’eventualità della compartecipazione (idea forse non del tutto remota) di una primaria azienda informatica che “vedesse” nel progetto l’opportunità di sperimentare, sviluppare, testare e commercializzare nuovi software e sistemi operativi veramente innovativi, potendo naturalmente beneficiare della copertura di opportuni copyright, nel settore della medicina e della ricerca. Altre funzioni del database demografico-genealogico Dopo aver fatto queste opportune considerazioni sia sui costi e sia sull’eventuale ruolo della Regione Sardegna e delle amministrazioni nella realizzazione del progetto, e dopo aver illustrato a grandi linee quali possono essere le potenzialità applicative per il settore della ricerca e della sanità, soprattutto in riferimento all’attività di prevenzione sul territorio, oltre alle possibili applicazioni nell’ordinaria attività della PA, vediamo di illustrare altre potenziali funzioni del database. Prima di entrare nel merito di alcune funzioni tecnico-amministrative legate alle normative vigenti in tema di gestione anagrafica dei dati, vogliamo evidenziare quello che potrebbe essere, a nostro avviso, il grande valore sociale rappresentato da una simile struttura informatica, qualora fosse messa al servizio dei cittadini, compresi naturalmente le migliaia di emigrati (compresi quelli presenti sul territorio regionale), per i quali, soprattutto gli alberi genealogici, non possono che rappresentare il fondamentale trait-d’union con le loro famiglie di origine. Gli alberi genealogici, inseriti in una infrastruttura informatica come quella da noi creata, munita di appositi software e, naturalmente, di tutti i possibili sistemi di controllo e di sicurezza, costituirebbero di fatto una struttura dinamica capace di favorire molteplici interazioni tra loro e i tutti cittadini residenti e non. Proviamo a pensare, per esempio, alla grande opportunità per così dire “sociologico-affettiva” che tale struttura offrirebbe agli emigrati, che potrebbero da un lato integrare la struttura genealogica regionale, inserendo i propri dati anagrafici e quelli dei loro discendenti (nati fuori dalla Sardegna o in altri comuni lontani da quello d’origine), avendo, nel contempo, l’opportunità di visualizzare, ed eventualmente estrapolare, i dati genealogici dei loro ascendenti. Pensiamo, soprattutto, agli enormi vantaggi che gli stessi emigrati, potrebbero “offrire” alla medicina e alla ricerca condotta in Sardegna, qualora avessero la possibilità, grazie alla stessa struttura informatica, di mettere a disposizione (mediante apposito questionario sottoscritto), la propria “storia sanitaria”. Un insieme di dati che, una volta immagazzinati e messi a disposizione, diventerebbero fondamentali per la conoscenza dello stato epidemiologico generale della popolazione, sia di quella residente ma anche di quella sviluppatasi al di fuori da quella d’origine. Senza dimenticare le non trascurabili opportunità, che la stessa struttura informatica, potrebbe offrire nel permettere, per esempio, la condivisione di immagini (fotografie, vecchi documenti etc.), racconti e storie personali. Dati che possono essere facilmente contenuti e gestiti da apposite schede interattive che, mediante l’utilizzo di particolari sistemi applicativi, possono essere condivise dinamicamente con lo stesso database. Una mole di dati che può benissimo essere gestita, per esempio, attraverso il ricorso ad un “Hosting Service Provider”. Gli stessi alberi genealogici, una volta estrapolati dal database genealogico centrale, potrebbero essere direttamente affidati in gestione agli stessi comuni d’appartenenza, trovare un apposito spazio all’interno dei loro siti istituzionali utilizzando le attuali infrastrutture della rete telematica che, in Sardegna, fanno capo al portale Comunas. Ogni comune, sarebbe nelle condizioni, pertanto, di possedere e di gestire nel proprio sito (in formato fotografico) tutte le genealogie inerenti la propria comunità. Un “privilegio” importante, che offrirebbe agli stessi una notevole opportunità di “visibilità” dal momento che ogni dato genealogico cliccato dall’utente, grazie ad un apposito codice identificativo, rimanderebbe automaticamente al paese d’origine visualizzandone il sito web. Si potrebbe anche prevedere, nel caso di una richiesta (autorizzata) di rilascio di un albero genealogico da parte di un privato cittadino, di fare in modo di dotare i comuni di appositi software che, oltre a permetterne l’estrapolazione dei dati, possano arrivare a calcolare una commissione (magari sulla base del conteggio dei dati che compongono l’albero richiesto), da corrispondere (una sorta di royalty) alle casse del comune. Un servizio che ci risulta già sperimentato con successo in alcuni comuni d’Italia, primo fra tutti quello di Bologna. Il valore identitario dell’Albero Genealogico Bisogna tener presente, inoltre, che un intervento strutturale di meccanizzazione di questa portata, applicato alla dinamica demografica che ha interessato l’intera popolazione della Barbagia Di Seulo negli ultimi 150 anni, diventerebbe uno straordinario strumento d’indagine capace di consentire approfonditi studi in più direzioni a sostegno delle più svariate discipline quali la demografia, la storia, la sociologia, l’antropologia, la medicina, la statistica, la social network analysis ed altre ancora. Sempre in merito alle potenzialità del progetto che proponiamo, crediamo che non si possa sottovalutare quello che potrebbe essere il vero valore culturale ed identitario, rappresentato da un database (consultabile) che conterebbe i dati anagrafici originali (in formato digitale) dell’intera popolazione, compresi i molti “grandi” e “piccoli personaggi” che hanno dato lustro alla storia, alla cultura e alla civiltà di quest’angolo di Sardegna. Documenti che potrebbero essere, naturalmente previa autorizzazione, riprodotti nella loro stesura originale e custoditi all’interno di quell’immenso patrimonio culturale rappresentato dal sito della Digital Library, attivato qualche anno fa dalla Regione Sardegna. Vantaggi “giuridici” della meccanizzazione dello Stato Civile La meccanizzazione dello Stato Civile rappresenta, un grandissimo vantaggio anche per l’operatività degli uffici comunali, ed in particolar modo per l’espletamento di quelle pratiche amministrative sempre più impegnative, che interessano generalmente tutto il sevizio d’anagrafe, richieste oggigiorno dalla sempre più complessa normativa vigente in materia. Una normativa che, in primis, non poteva non risentire degli effetti dirompenti provocati dai sempre più complessi fenomeni sociali a cui stiamo assistendo in questi anni, in particolare, ai nuovi e grandi fenomeni migratori di massa. Un fenomeno planetario che riguarda ormai tutti i Paesi più poveri del mondo, dove fame e miseria spingono masse sempre più grandi (soprattutto giovani), a cercare lavoro e futuro nei Paesi più ricchi. Non è certo nostra intenzione, in questa sede, addentrarci nell’analisi sociologica di questo complesso fenomeno, possiamo solo osservare che non è certamente nuovo dal momento che si ripresenta ciclicamente, anche se, stavolta, appare abbastanza diverso in quanto riguarda alcuni Paesi che prima si caratterizzavano per un fenomeno migratorio in uscita, tra questi l’Italia, mentre ora registrano il fenomeno inverso. Un fenomeno come sappiamo, considerata anche la crisi economica che non risparmia neanche i Paesi fin’ora considerati più ricchi, abbastanza sentito tanto da indurre diversi governi a “restringere”, anche attraverso la stipula di appositi trattati internazionali, le maglie delle loro frontiere, oltrechè a dotarsi di leggi e normative specifiche per regolamentare e arginare al meglio il fenomeno. La cittadinanza e lo “jure sanguinis” Uno dei problemi più importanti che si registrano in questo contesto, è certamente quello che riguarda l’ottenimento della cittadinanza da parte dei cittadini stranieri presenti nel territorio italiano. Diversi e spesso tortuosi, infatti, sono i percorsi legislativi per l’ottenimento di questo diritto che deve essere richiesto agli uffici anagrafici dei comuni dove si sceglie la dimora. Uno degli iter amministrativi seguito dai cittadini richiedenti riguarda il cosiddetto riconoscimento dello “iure sanguinis”. Il cittadino straniero discendente da emigrato italiano, può rivendicare il possesso della cittadinanza italiana, come dettato dalla Circolare del Ministero dell’Interno K 28.1 del 08/04/1999, facendo riferimento alla normativa dell’attuale legge n° 91/1992, dalla quale si evince che è italiano per nascita il figlio di madre o di padre cittadino del nostro Paese, pertanto ai sensi dall’art. 1 della legge sulla cittadinanza è nato italiano per diritto di sangue. Sulla base di questa normativa, i discendenti dei nostri emigranti, non naturalizzati stranieri, e i cui figli hanno avuto attribuita la cittadinanza alla loro nascita (jure soli) nei Paesi di antica emigrazione, per esempio argentina, brasiliana, canadese, uruguaiana, australiana etc., qualora non sia intervenuta nessuna interruzione nella trasmissione della cittadinanza, risultano in possesso di doppia cittadinanza. Quest’ultima, risulta attribuita per nascita sul suolo straniero e italiana per discendenza paterna fino al giorno 01/01/1948 e successivamente trasmessa anche dalla madre; pertanto possono chiedere, seppure attualmente siano in possesso del passaporto straniero, il riconoscimento della cittadinanza italiana jure sanguinis dalla nascita secondo le indicazioni della citata Circolare K 28.1. Il richiedente deve essere in grado di dimostrare che l’avo emigrato sia deceduto dopo il 17/03/1861 (data della proclamazione del Regno d’Italia) e che non acquistò la cittadinanza del Paese estero di emigrazione anteriormente alla nascita del discendente; deve presentare il relativo atto di nascita, matrimonio e morte, gli atti di nascita e matrimonio dei discendenti in linea retta fino all’atto di nascita del richiedente, nonché attestazione/i (a secondo della loro residenza in un territorio o più territori) rilasciata dall’Autorità italiana competente (Ambasciata/Consolato) del loro Paese di appartenenza dalla quale risulti che né gli ascendenti, né la persona rivendicante il possesso della cittadinanza italiana, vi abbiano mai rinunciato ai sensi dell’art. 7 della legge n° 555/1912 e dell’art. 11 della legge n° 91/1992. Abbiamo voluto analizzare l’iter per l’ottenimento della cittadinanza mediante il ricorso allo jure sanguinis, innanzitutto, per evidenziare la sfilza di documenti che tale procedura richiede, ma anche per provare a comprendere quali saranno le problematiche burocratiche cui dovranno far fronte gli uffici anagrafici distribuiti sull’intero territorio, soprattutto se si tiene in considerazione che gli stessi, vengono continuamente consultati dalle forze dell’ordine per l’espletamento di gran parte dei loro servizi burocratici sul territorio. Diventerà sempre più pressante, d’ora in avanti, l’esigenza generale di meccanizzare tutto il sistema che riguarda l’anagrafe perché appare evidente che questi fenomeni che sono di portata planetaria, finiscono poi, inevitabilmente, per impattare con la burocrazia incanalandosi nei “paludosi” meandri amministrativi che riguardano indistintamente le grandi come le piccole realtà locali e che avranno, pertanto, la necessita di essere collegate in rete tra loro per consentire una rapida trasmissione della documentazione. Regioni come la Sardegna, all’apparenza immuni o poco interessate a questi fenomeni, rivestono invece un ruolo importante perché, essendo state per oltre un secolo “terra d’emigrazione”, hanno in giro per il mondo migliaia e migliaia di persone discendenti dai suoi emigrati. Si prevede, pertanto, che saranno sempre di più le richieste di certificazione anagrafica (soprattutto quelle che riguardano la parte storica), che perverranno agli uffici d’anagrafe dei comuni sardi. Questo è un ulteriore importante motivo che dimostra quanto sia diventata impellente la necessità di procedere alla meccanizzazione dell’intera anagrafe (compreso lo Stato Civile) dei comuni della Sardegna. Non dimentichiamo, inoltre, che la digitalizzazione consentirebbe, soprattutto ai grandi comuni, di riorganizzare gli spazi dei propri uffici, in particolare quelli riservati al pubblico, spesso angusti e poco accoglienti anche a causa della presenza dei grossi, antiestetici e scomodi armadi metallici ora destinati a contenere al proprio interno l’imponente mole di documentazione cartacea. Un meritorio processo “salvaspazio” che consentirebbe, finalmente, la salvaguardia di quel prezioso patrimonio storico-sociale rappresentato dagli antichi registri dello Stato Civile. Le potenzialità del “turismo genealogico” Un altro aspetto importante da non trascurare, indubbiamente collegato al crescente interesse che si registra in questi ultimi anni intorno alla storia della famiglia riguarda le potenzialità insite nel cosiddetto turismo genealogico. Noi crediamo che una realtà come quella della Sardegna non debba trascurare nessuna opportunità di sviluppo, soprattutto se questa può essere in qualche modo correlata con le offerte del settore turistico. Un settore, quello del turismo genealogico (forse ancora non del tutto compreso), che potrebbe avere una sua valenza concreta qualora venisse unito (magari con adeguati “pacchetti” da offrire nella cosiddetta bassa stagione), al già sperimentato turismo congressuale. Una rete capace di catalizzare e coniugare il sempre più crescente interesse del mondo scientifico intorno al peculiare patrimonio genetico dei sardi, con le opportunità offerte dal clima, dall’ambiente, dalla gastronomia, dalle tradizioni e dalla cultura, compresa la rete museale da potenziare e possibilmente mettere in collegamento con i “ricchissimi” archivi storici ed ecclesiastici diffusi su tutto il territorio della Sardegna. Noi crediamo che anche queste potenzialità rappresentino delle opportunità che non debbano essere trascurate, bensì approfondite e pianificate. La ricerca in Italia e in Sardegna Quando si parla di ricerca non si può, in generale, non constatare il ritardo del nostro Paese nelle politiche a sostegno di questo fondamentale settore. Un ritardo cronico e sempre più evidente dovuto, in primo luogo, ad una generale mancanza di prospettiva di lungo e medio periodo. Una mancanza che non riguarda, purtroppo, solo la cosiddetta classe imprenditoriale ma anche la nostra classe dirigente, con conseguenti tagli delle risorse finanziarie destinate a questo settore. Una miopia politico/imprenditoriale che è responsabile del grave ritardo accumulato e che ha portato, inevitabilmente, l’Italia ad occupare gli ultimi posti della graduatoria europea per gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo. Si calcola che gli investimenti in ricerca e sviluppo nel nostro Paese non superino il 0,65% del PIL, contro una media UE dell’1,21%. Le regioni che investono maggiormente in questo fondamentale settore (quasi il 90% del totale della spesa) sono concentrate, come sempre accade, nel Centro-Nord del Paese (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Lazio), mentre il resto delle regioni del Sud (isole comprese) contribuisce solo per una quota del 10,1%. Un dato abbastanza negativo per il nostro Paese che testimonia, ancora una volta, il forte squilibrio esistente tra Nord e Sud, oltre all’assenza di una seria strategia politica complessiva e l’incapacità di cogliere la vera forza innovativa che la ricerca rappresenta per il proprio futuro. E’ molto difficile immaginare, infatti, che una politica che fin’ora s’è dimostrata così distante, possa cambiare strategia e rilanciare in breve tempo il settore e riuscire a diventare un interlocutore credibile nel promuoverne l’incentivazione anche con l’apporto di eventuali capitali privati. Una prospettiva certamente auspicabile soprattutto per il miglioramento delle difficili realtà del Sud Italia anche perché, gli investitori privati, essendo generalmente molto attenti al “calcolo del rischio”, farebbero aumentare la credibilità stessa dell’investimento. Risulta evidente che ci dovrà essere, in primo luogo, un cambio di passo da parte delle istituzioni a cui dovrà seguire l’adeguamento delle attuali normative (sburocratizzare al massimo le procedure) che regolano gli accordi tra pubblico e privato. Sarà necessario prevedere concreti e reali incentivi fiscali per quelle imprese che intendono investire nelle attività di ricerca e di sviluppo, in particolare al Sud; adeguato supporto e attento controllo per quelle iniziative miste pubblico-private che intendessero ricorrere agli incentivi (spesso non utilizzati), messi a disposizione dall’UE per l’innovazione industriale e la ricerca. Noi siamo convinti, infatti, che un maggior coinvolgimento dei capitali privati anche nella ricerca, potrebbe rappresentare una vera opportunità per superare la stagnazione economica in cui sembra finito il Paese. La disponibilità di maggiori investimenti da parte del soggetto privato, dovendo obbligatoriamente far i conti, come detto in precedenza, con la valutazione del rischio comporterebbe, innanzitutto, un preciso ed attento studio del mercato di riferimento che obbligherebbe di fatto a puntare su investimenti che siano in linea con esso e con le esigenze reali di un determinato territorio. Gli orizzonti della ricerca Gli investimenti mirati, eviterebbero in primo luogo le sovrapposizioni e lo spreco di quelle tante risorse che potrebbero essere utilizzate per sostenere e potenziare una solida ricerca di base attraverso un processo d’innovazione industriale che sia compatibile con l’ambiente e con il contesto territoriale. Un investimento mirato e condiviso che eviti le molte e diffuse “cattedrali nel deserto”, ma che punti piuttosto, ad un prodotto innovativo che sia in equilibrio tra la ricerca di base e quella applicata fino a giungere allo sfruttamento economico e commerciale del prodotto finito. La ricerca, infatti, non può permettersi il lusso di chiudersi nei propri laboratori, di essere per così dire fine a se stessa, ma deve sempre coltivare il campo di un ambiente il più possibile adatto alla propria esistenza. E’ necessario, pertanto, “ripensare” un rilancio del settore con nuovi modelli che prevedano un rinnovamento complessivo di tutto il sistema a partire dalla formazione universitaria proseguendo col processo di innovazione industriale, fino ad arrivare alla creazione del prodotto finito da immettere sul mercato. Ecco perché, noi siamo convinti che la ricerca scientifica non sia mai troppa, a patto però che non diventi un esercizio per pochi privati! Con questa provocazione non si vuole certo dire che la ricerca condotta fino a questo momento in Sardegna sia priva di validità o che non abbia raggiunto importanti risultati, dal momento che questi, sono sotto gli occhi di tutti. Saremmo certamente degli ipocriti se negassimo questa evidenza, anche perché, tra l’altro, non abbiamo neanche la patente scientifica per esprimere giudizi di merito tanto severi. Naturalmente bisogna anche dire, che se le cose non vanno bene in questo Paese non è certo per colpa della ricerca, anzi probabilmente è la ricerca (come diversi altri importanti settori), a risentire della generale situazione di crisi in cui siamo precipitati. Questo, però, non ci deve esimere dall’avanzare alcune perplessità circa le modalità di conduzione di almeno gran parte di quegli studi che, fino a questo momento, hanno interessato la Sardegna. Il nostro progetto a sostegno della ricerca Noi siamo davvero convinti che le immense potenzialità, che fin’ora abbiamo cercato di illustrare, racchiuse nel nostro progetto pilota, non appartengano alla fantascienza ma siano effettivamente realizzabili e subito praticabili in tutto od in parte, e che rappresentino per la Barbagia di Seulo in particolare, e per la Sardegna in generale, davvero una grande opportunità. Noi crediamo di essere riusciti a far comprendere quali enormi potenzialità contenga un progetto che prevede la capillare ricostruzione demografico-genealogica di una regione della Sardegna che dimostra delle peculiarità uniche al mondo e che può davvero diventare, soprattutto nell’ambito sanitario e in quello della ricerca, un formidabile esempio da seguire. Crediamo, pertanto, che sia giunto il momento di fare un grande sforzo comune per cercare veramente il modo di far si che queste peculiarità non rappresentino, purtroppo, solo un grandissimo tributo da pagare in termini di salute pubblica, ma che possano invece diventare veramente un valore aggiunto per la crescita economica e culturale di questa regione. Quello che oggi può apparire, forse, solamente un sogno potrebbe divenire realtà qualora si riuscisse a canalizzare i grandi vantaggi scientifici della ricerca in atto oggi in Sardegna, puntando al miglioramento della salute generale della popolazione nell’ottica di una ricaduta economica sul territorio, grazie soprattutto alla concreta valorizzazione dell’indotto che una ricerca simile potrebbe e dovrebbe veramente creare. Le potenzialità ci sono tutte ed il terreno appare abbastanza “fertile”. Le acquisizioni scientifiche degli ultimi decenni, hanno dato un notevole impulso alle conoscenze delle basi biologiche di molte malattie ereditarie e la Sardegna, purtroppo, rappresenta lo scenario ideale per “testare” tali acquisizioni. Del resto, è sotto gli occhi di tutti che il settore della ricerca, quella condotta nell’Isola in particolare, dimostra sempre di più di avere enormi potenzialità applicative in tutte le direzioni. Una precisa conferma di quest’analisi ce la forniscono direttamente gli studi compiuti sul DNA in particolare, che hanno permesso di individuare i difetti molecolari di numerose malattie neuromuscolari, consentendo la messa a punto di test genetici specifici per una conferma diagnostica certa in epoca postnatale e per sfruttare le conoscenze ai fini di una più precisa diagnosi prenatale. Ciò nonostante, risulta ancora numeroso il gruppo delle patologie neuromuscolari per le quali le conoscenze sulle caratteristiche cliniche e le modalità di trasmissione non sono confortate da una certezza molecolare, rendendo gli studi sul DNA tuttora incompleti e approssimativi. Si tratta quindi di incentivare la ricerca anche in questa direzione dal momento che, come abbiamo detto tante volte, in Sardegna esistono tutte le condizioni più favorevoli. Esistono infine molte malattie genetiche definite complesse, probabilmente quelle maggiormente diffuse nella popolazione generale, in particolare in Sardegna, come il diabete, le malattie cardiovascolari, la sclerosi multipla, che sono il frutto dell’interazione di più geni i quali, insieme a fattori ambientali, contribuiscono allo sviluppo della malattia. Per molte di esse non essendo del tutto chiari i fattori patogenetici, al momento, non sono disponibili cure adeguate e tanto meno eventuali test genetici specifici. Un motivo in più per incentivare la ricerca e moltiplicare gli sforzi perché davanti a queste ultime malattie, i pazienti affetti e i loro familiari a rischio hanno diritto alla migliore conoscenza possibile delle basi molecolari della patologia, delle sue modalità di trasmissione e in quale modo tutto ciò si rifletta sulle loro scelte di programmazione di vita e familiare. Tanti validissimi motivi per tenere alta l’attenzione su tali patologie e implementare gli studi sul territorio ed in particolare sulla popolazione della Barbagia di Seulo che si dimostra davvero “ideale”. I limiti prospettici della ricerca Se prendiamo in esame il settore che ci riguarda più direttamente abbiamo potuto osservare che gran parte della ricerca condotta oggi in Sardegna, sembra non volersi accorgere delle straordinarie potenzialità rappresentate da una popolazione che presenta le caratteristiche prima descritte. La ricerca in generale, almeno quella condotta fino ad ora, è risultata avere evidenti limiti prospettici essendosi sviluppata, per cosi dire, solo in senso “verticale” incentrandosi, talvolta con stupidi atteggiamenti autoreferenziali, esclusivamente sullo studio della struttura genetica di una parte limitata della popolazione. Un approccio certamente rispettabile che avrebbe però la necessità, per essere serio fino in fondo, di effettuare un approfondito studio preliminare conoscitivo sugli esseri umani che quella stessa popolazione costituiscono, senza rinunciare aprioristicamente all’ausilio di discipline quali la genealogia e la demografia (soprattutto quella storica), che pur agendo in senso “orizzontale” sulla superficie di un piano apparentemente secondario, diventano propedeutiche per una ricerca seria e mirata. Se ci è consentito ancora il ricorso ad un’altra metafora, diciamo che fin’ora abbiamo assistito al continuo ricorso ad una “trivellazione indiscriminata” senza aver effettuato le necessarie preliminari operazioni per così dire di “carotaggio” sulla superficie, ossia il ricorso a quelle tecniche di sondaggio usate dai geologi, che sono indispensabili per comprendere la costituzione geochimica del terreno che si è deciso di perforare. L’uomo Ma com’è possibile pensare d’intraprendere uno studio qualunque su una comunità umana, prescindendo dalla conoscenza approfondita dell’elemento fondante? Ci si dimentica, o forse presuntuosamente si vuole continuare ad ignorare, che al centro di queste ricerche c’è l’UOMO. A pensarci bene, questo non dovrebbe essere un dettaglio di poco conto, ma è ormai da molto tempo che la ricerca in genere, soprattutto la medicina tradizionale, anche per gli interessi stratosferici che essa catalizza, sembra averci abituati a credere che l’uomo non rappresenti l’elemento principale della sua funzione. Questo constatazione, però, non deve meravigliarci più di tanto dal momento che, per interi secoli, il fulcro centrale della medicina tradizionale è stato indubbiamente la malattia che, nella forma acuta, si poneva come punto focale dell’attenzione, dell’osservazione e dell’intervento. Oggi, forse per caso, ma per fortuna, di fronte a nuovi fenomeni quali sono, per esempio, l’allungamento dell’aspettativa di vita, la comorbilità e, soprattutto, la realtà delle tante malattie croniche, finalmente al centro dell’osservazione scientifica c’è l’uomo, quell’essere umano già idealizzato da Ippocrate sin dai primordi della medicina, con le sue molteplici e complesse relazioni individuali, sociali ed ambientali. D’ora in avanti, la ricerca, la medicina di base e tutti coloro che vi si dedicano, dallo scienziato fino all’ultimo operatore, dovranno sempre considerare che sono il malato e la qualità di vita, e non piuttosto la malattia e la sopravvivenza, il metro che stabilirà la differenza tra umanesimo e tecnologia. L’approccio multidisciplinare Oggi, nella pratica medica il semplice e superficiale ragionamento clinico, ha lasciato il posto ad un complesso esame multidisciplinare che trova i suoi fondamenti direttamente nell’eziopatogenesi stessa che il più delle volte è divenuta multifattoriale. Un nuovo approccio multidisciplinare che riguarda anche la genetica ed altre importanti discipline demo-sociali quali per esempio, solo per citarne alcune, la demografia, la genealogia e la sociologia. Per fortuna, inizia a diffondersi anche nel mondo scientifico, la convinzione che non serve conoscere una malattia se prima non si conosce l’uomo che ne è portatore. Conoscere l’uomo significa centrare il punto di osservazione sulla persona, sia nelle sue parti di funzionamento biologico, sia in quelle legate al funzionamento psichico (intellettivo, cognitivo, emotivo ed affettivo), sia in quelle determinate dal funzionamento adattivo-relazionale o psico-sociale. Apparentemente potrebbe sembrare un’indicazione assai facile da recepire ma la realtà sembra mostrarci una situazione ben diversa, se è vero, come accade oggi nella maggior parte dei casi, che la ricerca, o alcuni suoi importanti settori, continuano a prescindere dall’ausilio e dalla complementarietà di alcune importanti discipline. Noi possiamo solo dire, sulla base della nostra decennale esperienza, che qualsivoglia ricerca, men che meno quella che agisce nel delicato campo della salute umana, se vuole definirsi tale e veramente seria fino in fondo, non possa assolutamente, più prescindere da un nuovo approccio multidisciplinare rapportandosi attivamente e fattivamente con altre discipline, vecchie e nuove: la demografia storica, l’informatica, la storia, la sociologia, la genealogia, l’antropologia, la filosofia, la statistica etc. Discipline ausiliari, spesso considerate secondarie, apparentemente anche distanti e per così dire meno nobili ma che, spesso e volentieri, si rivelano essere utilissime, se non addirittura fondamentali, nel favorire una visione globale del fenomeno che si vuole analizzare. A seguito di queste considerazioni, noi crediamo che sia giunto davvero il momento che anche gli attori della ricerca in Sardegna, debbano sforzarsi di lasciar da parte le divisioni, i pregiudizi di casta ed i notevoli interessi di bottega ed elaborare un serio e condiviso protocollo operativo. Si eviterebbero in questo modo le “trivellazioni” indiscriminate, i doppioni, gli sprechi e anche quei molteplici filoni di ricerca davvero insensati, soprattutto perché finanziati con fondi pubblici, qualche volta quasi ridicoli, ora tanto di moda che fanno “sognare” la scoperta dell’elisir di lunga vita ed altre amenità del genere. A proposito della necessità di affrontare determinate malattie ricorrendo ad un approccio multidisciplinare, il Consiglio Regionale della Sardegna, nell’affrontare il drammatico problema rappresentato dall’incidenza del carcinoma mammario, ha ritenuto addirittura opportuno proporre una legge (proposta N. 284 del 6 maggio 2011), per la costituzione di apposite strutture interforze denominate Breast unit (BU). Si tratta in pratica, di strutture già da tempo sperimentate in altre parti del mondo, che beneficiano dell’apporto costante di un team multidisciplinare di specialisti, dove la donna (più che la malattia) è al centro dell’attenzione essendo seguita in tutte le varie tappe di questa sua difficile esperienza. Vogliamo dire, in sintesi, che ben venga la Breast unit per combattere il carcinoma mammario a patto però, che possa rappresentare un punto di partenza e si avverta, finalmente, anche la necessità di istituire sul territorio altre strutture interforze per affrontare le altre importanti patologie che oggi osserviamo…..anche a prescindere dall’emanazione di leggi apposite. Sembra quantomeno curioso, infatti, osservare che si sia dovuta attendere una decisione (certamente corretta e condivisibile) del legislatore, per determinare che il lavoro di squadra sia diventato una necessità da stabilire per legge e non piuttosto una priorità elementare che è insita nella complessità stessa della manifestazione patologica e delle implicazioni psico-sociali che essa comporta, oltre che suggerita dalla moderna concezione che si dovrebbe avere della stessa. Il nostro auspicio è che, a partire da questa decisione calata dall’alto, si possa realmente prendere in considerazione l’intera situazione sanitaria della Sardegna e che a breve, si possa assistere anche alla costituzione su base regionale di una Diabetes-unit, Multiple Sclerosis-unit, Amyotrophic Lateral Sclerosis-unit, Autoimmune Thiroid Disease-unit e cosi via. Una felice esperienza di attività multidisciplinare Nel campo della medicina soprattutto, sono sempre di più i gruppi al mondo che in questi ultimi decenni, hanno deciso di puntare sulla ricerca multidisciplinare; una ricerca, che vede agire in stretta collaborazione un particolare team di ricercatori, basata sull’utilizzo combinato di dati demografici, medici e sociali che riguardano alcune popolazioni che condividono determinate caratteristiche genetiche e/o patologie. Importanti esperienze in tal senso, sono state state portate avanti da gruppi che operano negli Stati Uniti (Salt Lake City, Houston, Massachusset), oppure in Canada, in particolare nella regione orientale del Quebéc, dove un progetto di ricerca, inizialmente proposto e diretto dal sociologo Gerard Bouchard, sulla popolazione di Saguenay e Charlevoix, iniziato nel lontano 1971, continuamente integrato ed ampliato (ora si estende su un’area di 1,5 milioni di abitanti), prosegue tutt’oggi e vede impegnato un gruppo formato da una sessantina di persone in associazione con l’Università del Québec a Chicoutimi, l’Università Mc Gill di Montréal e l’Università Laval di Quebéc. Studi che, soprattutto quest’ultimo, hanno potuto dimostrare come le particolari condizioni in cui si sono sviluppate queste popolazioni regionali (origini comuni, alta frequenza di matrimoni tra consanguinei, secolare isolamento geografico etc.), abbiano favorito la moltiplicazione di alcune mutazioni relativamente rare, talvolta del tutto sconosciute in altre popolazioni bianche limitrofe. La popolazione canadese, di origine francese, insediatasi in questa particolare regione già a partire dai primi decenni del 1500, presenta diverse malattie distintive, molte recessive ed alcune dominanti, come la tirosinemia, l’atassia spastica di Charlevoix-Saguenay, l’atresia intestinale, l’agenesia del corpo calloso, la malattia di Steinert, la distrofia oculo-faringea, alcune particolari mutazioni della lipoproteina lipasi e dell’ipercolesterolemia familiare. La conferma della diversa struttura genetica e dell’origine e di questa popolazione, è data dal fatto che nelle altre regioni del Quèbec si riscontrano diverse malattie (la malattia di Duchenne, la fenilchetonuria, la talassemia etc.), che hanno una diffusione meno tipica, più vicina alla media generale che si riscontra in molte altre popolazioni di origine europea. Un fattivo esempio di studio multidisciplinare che dura ormai da 40 anni, che ci dimostra quali potenzialità possono offrire alla ricerca e alla medicina, un territorio ed una popolazione isolati da secoli, e soprattutto, quali risultati si possono ottenere quando diverse discipline si trovano sinergicamente impegnate nel raggiungimento di un comune obiettivo. Probabilmente in Sardegna dovremo iniziare a prendere in seria considerazione queste esperienze, perché abbiamo tutte le risorse necessarie (comprese quelle scientifiche) per fare addirittura di più e forse anche di meglio. Pino Ledda