APPUNTI DI ELETTRODINAMICA CLASSICA

APPUNTI DI ELETTRODINAMICA
CLASSICA
Francesco Haardt
25 marzo 2011
Indice
1 INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
1.1 Equazioni di Maxwell statiche . . . . . . . . . . . .
1.2 Legge di Faraday-Neumann-Lenz . . . . . . . . . .
1.2.1 Origine fisica dell’induzione elettromagnetica
1.3 Applicazioni della legge di Faraday . . . . . . . . .
1.3.1 Generatori di corrente continua (DC) . . . .
1.3.2 Generatori di corrente alternata (AC) . . . .
1.4 Autoinduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5 Circuiti RL . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.5.1 Energia magnetica . . . . . . . . . . . . . .
1.5.2 Mutua induzione . . . . . . . . . . . . . . .
1.6 Oscillazioni elettriche . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6.1 Circuito con due componenti in serie . . . .
1.6.2 Circuito RLC . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.6.3 Circuito RLC in AC . . . . . . . . . . . . .
1.7 Equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.7.1 Legge di Maxwell-Ampere . . . . . . . . . .
1.7.2 Equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . .
2 ONDE ELETTROMAGNETICHE
2.1 Equazioni di Maxwell senza sorgenti: onde piane
2.1.1 Onde piane armoniche . . . . . . . . . .
2.1.2 Vettore di Poynting . . . . . . . . . . . .
2.1.3 Polarizzazione delle onde piane . . . . .
2.1.4 Quantità di moto di onde piane . . . . .
2.2 Onde sferiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2
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INDICE
3
3 RADIAZIONE DA CARICHE IN MOTO
3.1 Equazioni di Maxwell con sorgenti:potenziali . .
3.1.1 Gauge di Coulomb . . . . . . . . . . . .
3.1.2 Gauge di Lorentz . . . . . . . . . . . . .
3.2 Carica puntiforme . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2.1 Potenziali ritardati di Lienard–Wiechart
3.2.2 Campi di velocità e di radiazione . . . .
3.2.3 Carica non relativistica . . . . . . . . . .
3.3 Approssimazione di dipolo . . . . . . . . . . . .
3.3.1 Dipolo oscillante armonico . . . . . . . .
3.3.2 Scattering Thomson . . . . . . . . . . .
3.4 Spettro delle onde elettromagnetiche . . . . . .
3.4.1 Spettro del dipolo . . . . . . . . . . . . .
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4 INTERAZIONE RADIAZIONE–MATERIA
4.1 Diffusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.1.1 Diffusione Rayleigh . . . . . . . . . . .
4.1.2 DiffusioneThomson . . . . . . . . . . .
4.2 Dispersione cromatica in un dielettrico . . . .
4.2.1 Idrogeno molecolare . . . . . . . . . . .
4.3 Assorbimento della radiazione . . . . . . . . .
4.4 Elettroni liberi . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.4.1 Conducibilità nei metalli . . . . . . . .
4.4.2 Risonanza . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo 1
INDUZIONE
ELETTROMAGNETICA
1.1
Equazioni di Maxwell statiche
Ricordiamo le equazioni di Maxwell nel caso statico:
∇ · E = ρ/0
∇×E=0
∇·B=0
∇ × B = µ0 J.
(1.1a)
(1.1b)
(1.1c)
(1.1d)
Vogliamo ora estendere le equazioni di Maxwell al caso di cariche in moto.
1.2
Legge di Faraday-Neumann-Lenz
Negli anni 1830–1848, Faraday ed Henry, rilevarono sperimentalmente una
connessione tra fenomeni elettrici e magnetici. Si osservarono infatti i seguenti fenomeni:
1. Si consideri una spira di filo conduttore connessa con un galvanometro
a zero centrale. Quando si avvicina un magnete alla spira, il galvanometro si sposta in una certa direzione mentre se lo si allontana, il
4
1.2. LEGGE DI FARADAY-NEUMANN-LENZ
5
galvanometro rileva un passaggio di corrente in senso opposto al precedente. Si verifica lo stesso fenomeno se è la spira a muoversi rispetto al
magnete oppure se questultimo viene sostituito con un circuito percorso
da corrente.
2. Si consideri una spira connessa ad un galvanometro posta nelle vicinanze di un solenoide inserito in un circuito con un generatore ed un
interruttore T inizialmente aperto. Finchè T è aperto non c’è corrente
indotta nella spira. Quando lo si chiude, il galvanometro registra un
passaggio di corrente in un certo verso. Tale corrente cessa però dopo
poco tempo. Se infine si riapre T, il galvanometro rileva un passaggio
di corrente in senso inverso al precedente. Si conclude quindi che esiste
una corrente indotta tutte le volte che il flusso del campo magnetico
attraverso il circuito varia nel tempo. Nel caso 1 il flusso varia perchè
il campo non è uniforme, nel secondo caso questo succede perchè varia
il campo.
Tali evidenze sperimentali si concretizzano nella legge di induzione elettromagnetica detta anche legge di Faraday-Neumann-Lenz:
dΦ(B)
,
(1.2)
dt
dove Φ(B) è il flusso del campo magnetico, e Ei viene detta f.e.m. indotta .
Considerando un circuito di resistenza R, la corrente indotta sarà quindi
Ei = −
ii = Ei /R.
Notiamo che l’equazione 1.2 implica che
I
Ei = Ei · dl,
cioè, il campo elettrico indotto Ei non è conservativo.
La legge di Faraday può essere espressa in forma locale, utilizzando il
teorema del rotore (o teorema di Kelvin-Stokes). Da
I
Z
Ei · dl =
(∇ × E) · ndΣ
(1.3)
Σ
otteniamo
∇×E=−
∂B
.
∂t
(1.4)
6
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
Legge di Lenz
Una conseguenza immediata della legge di Faraday è data dal segno “−”
che compare nell’equazione 1.2, conseguenza espressa dalla legge di Lenz: la
f.e.m. indotta si oppone alla causa che ha generato il fenomeno.
Ad esempio, con riferimento alla figura 1.1, se si suppone dφ(B)/dt > 0,
la corrente indotta circolerà in modo da generare un campo che si oppone
alla variazione del flusso: la corrente circolerà in senso orario. Al contrario,
se dφ(B)/dt < 0, la corrente indotta circolerà in senso antiorario.
Figura 1.1: Legge di Lenz.
La legge di Lenz non è altro che una conseguenza del principio di conservazione dell’energia.
Legge di Felici
La legge di Felici stabilisce che in una spira di resistenza R in movimento
allinterno di un campo magnetico B fluisce una quantità di carica pari a
|∆Φ|
.
(1.5)
|∆q| =
R
Infatti, applicando la legge di Ohm alla legge di Farady, abbiamo che i =
dq/dt = Ei /R = −[dΦ(B)/dt]/R, cioè dq = −dΦ(B)/R, e quindi |∆q| =
|∆Φ(B)|/R.
1.2. LEGGE DI FARADAY-NEUMANN-LENZ
1.2.1
7
Origine fisica dell’induzione elettromagnetica
Si distinguono i due seguenti casi:
1. Moto di un conduttore in un sistema di riferimento nel quale le sorgenti
del campo magnetico risultano immobili.
2. Circuito fisso e campo magnetico variabile nel tempo.
Nel caso 1 rientrano i seguenti esempi:
• Il flusso varia poichè B non è uniforme.
• Il flusso varia poichè varia la superficie del circuito
• Il flusso varia poichè varia langolo tra B e la normale alla superficie del
circuito.
In tutti questi casi è possibile ricondurre l’induzione elettromagnetica alla
Forza di Lorentz, mentre lo stesso procedimento non può essere effettuato nel
secondo caso (questa asimmetria fù una delle ragioni che spinsero Einstein
a formulare la relatività speciale; si veda la parte del corso sulla relatività).
Facciamo riferimento alla figura 1.2, in cui una barra mobile conduttrice viene
messa in moto all’interno di un campo magnetico perpendicolare al moto.
8
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
Figura 1.2: Dimostrazione della legge di Lenz.
La forza di Lorentz F è data da F = q(v × B). Poichè vale anche F = qE,
abbiamo un campo elettrico E = v × B, che genera una f.e.m. f data da
Z Q
I
Z Q
vB dl =
(v × B)dl =
f = E · dl =
P
P
dx
d
d
d
vBb =
Bb = (Bbx) = (BS) = Φ(B).
dt
dt
dt
dt
1.3
1.3.1
Applicazioni della legge di Faraday
Generatori di corrente continua (DC)
Si consideri l’apparato mostrato in figura 1.2. Ponendo v costante e B uniforme si nota che il flusso del campo nel circuito dipende dallo spostamento
della barretta mobile, per cui
Ei = −
dΦ(B)
= −B b v,
dt
(1.6)
che, utilizzando la legge di Ohm, diviene
ii =
−B b v
,
R
(1.7)
dove R è la resistenza totale del circuito. Quindi, mediante spostamento dellasta mobile, si genera corrente continua, e dunque tale apparato costituisce
un generatore.
Si possono ora portare le seguenti considerazioni:
• Il verso della corrente indotta si deduce dalla legge di Lenz, ovvero i
genera un campo che si oppone al campo esistente.
• A causa della forza di Lorentz, sulla sbarra mobile agisce una forza pari
a
Fm = ii (b × B).
1.3. APPLICAZIONI DELLA LEGGE DI FARADAY
9
Tale forza è in verso opposta alla velocità della barretta e ha modulo
pari a
B 2 b2 v
Fm =
.
R
Questa forza dipende dalla velocità ed è dunque detta forza di attrito
magnetico. Si nota che il principio di conservazione dell’energia è rispettato proprio grazie alla legge di Lenz: se infatti la corrente indotta
circolasse in senso opposto, una piccola velocità iniziale della sbarretta
la porterebbe ad accelerare indefinitamente.
• Il sistema mostrato trasforma energia meccanica in energia elettrica.
Infatti la potenza necessaria a mantenere la corrente ii allinterno del
circuito è data da Pm = i2i R. Per mantenere tale corrente è necessario,
dal punto di vista meccanico, mantenere costante la velocità v. Questo
avviene quando si realizza la condizione di equilibrio Fm = Fext . Quindi
la potenza impiegata per compiere tale operazione è data da Pext =
Fext v = Fm v , e da questo si ricava
Pext =
1.3.2
B 2 b2 v 2
= i2i R = Pm .
R
Generatori di corrente alternata (AC)
Si consideri una spira quadrata di sezione S immersa, come mostrato in
fig. 1.3, in un campo magnetico uniforme e costante nel tempo. Se la spira è
libera di ruotare attorno al proprio asse con frequenza angolare costante ω,
il flusso del campo sarà dato da
Z
Z
B · n dS =
Φ(B) =
S
B cos(θ)dS = BS cos(θ) = BS cos(ωt),
(1.8)
S
avendo notato che l’angolo fra campo e spira varia nel tempo come θ = ωt.
Per la legge di Faraday si ha quindi una forza elettromotrice indotta espressa
dalla relazione:
dΦ(B)
Ei = −
= ωBS sin(ωt).
(1.9)
dt
10
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
La f.e.m. massima è Emax = ωBS, mentre la corrente indotta e la potenza
associate sono
Ei
ωBS
i=
=
sin(ωt)
(1.10a)
R
R
E2
ω2B 2S 2
P = Ei i = max sin2 (ωt) =
sin2 (ωt).
(1.10b)
R
R
È importante definire una potenza media, cioè mediata sul periodo di rotazione della spira. Da < sin2 (ωt) >T = 1/2, si ricava
< P >T =
2
Emax
.
2R
(1.11)
La potenza efficace viene definita come
Emax
Eeff ≡ √ .
2
(1.12)
È evidente che il dispositivo appena descritto è in grado di generare corrente
alternata, con frequenza ν = ω/2π.
Figura 1.3: Generatore di corrente alternata (AC).
1.4. AUTOINDUZIONE
1.4
11
Autoinduzione
Sappiamo che una spira percorsa da corrente genera un campo magnetico B,
il cui flusso attraverso la spira stessa è proporzionale all’intensità di corrente
i:
Φ(B) = L i.
(1.13)
La costante di proporzionalità L viene detta induttanza o coefficiente di autoinduzione, e si misura in Ohm s. Se ora la corrente varia all’interno della
spira, varierà il il flusso del campo magnetico, e quindi in base alla legge di
Farady-Neumann-Lenz si creerà una forza elettromorice autoindotta,
di
dΦ(B)
= −L
dt
dt
dove abbiamo supposto L =costante, qundi una spira rigida.
EL = −
(1.14)
Solenoide toroidale
Consideriamo un solenoide toroidale come mostrato in fig. 1.4, formato da N
spire compatte. Sia R la distanza della faccia interna all’asse del toro stesso.
Consideriamo la sezione rettangolare, di lati a e b. Il campo magnetico è non
nullo solo all’interno delle spire, e sappiamo valere
µ0 N i
,
(1.15)
2πr
dove r è la distanza dall’asse. Il flusso del campo attraverso la sezione
toroidale è quindi
Z R+b
µ0 N 2 ai
R+b
φ(B) = N
B a dr =
ln
,
2π
b
R
B=
da cui
µ0 N 2 a
L=
ln
2π
R+b
.
b
(1.16)
Analogamente, per un solenoide rettilineo infinito, si trova che l’induttanza per unità di lunghezza è data da
L` = µ0 n2 Σ,
(1.17)
dove n è il numero di spire (per unità di lunghezza) e Σ la sezione del
solenoide.
12
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
Figura 1.4: Solenoide toroidale.
1.5
Circuiti RL
Iniziamo ad analizzare il comportamento di un circuito formato da un generatore (che immaginiamo per il momento essere di corrente continua), una
resistenza ed un’induttanza. Sia inoltre presente un interruttore (figura 1.5).
È chiaro che la presenza dell’induttanza impedisce alla corrente di aumentare o diminuire istantaneamente alla chiusura o apertura del circuito. Utilizzando quanto visto precedentemente, possiamo scrivere la legge di Ohm
E + EL = Ri come
E =L
di
+ Ri,
dt
(1.18)
la cui soluzione è
i(t) = Ae−(R/L)t + E/R.
(1.19)
Il termine τ ≡ L/R viene detto costante del circuito ed ha ovviamente le
dimensioni di un tempo. Notiamo che nel limite t → ∞ si ha i → i∞ ≡ E/R,
detto valore di regime. Calcoliamo ora la costante di intergrazione A.
1.5. CIRCUITI RL
13
Chiusura del circuito
In questo caso la condizione iniziale è i(t = 0) = 0, da cui A = −E/R. La
corrente varia nel tempo quindi come
i(t) =
E
(1 − e−t/τ ).
R
(1.20)
La f.e.m. autoindotta sarà quindi
EL (t) = −L
di
= −Ee−t/τ ;
dt
(1.21)
possiamo inoltre definire la quantità iL (t) ≡ i∞ − i(t) = −EL /R, detta extracorrente di chiusura. Per un normale circuito resistivo Ω = 100 Ohm, L =
10−6 Henry, da cui τ = 10−8 s.
Figura 1.5: Circuito RL in serie.
Apertura del circuito
In questo caso la condizione iniziale è i(t = 0) = i∞ . Dobbiamo immaginare
che aprendo il circuito la resistenza effettiva del circuito diventi R0 R.
0
Quindi da i(t) = Ae−(R /L)t + E/R0 ricaviamo A = E/R − E/R0 ' E/R. Cioè
i(t) =
E
E
E −(R/0 L)t
0
e
+ 0 ' e−(R /L)t .
R
R
R
(1.22)
14
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
La corrente decade esponenzialmente con tempo caratteristico τ 0 = L/R0 τ . La f.e.m. autoindotta è
EL (t) = −L
di
R0
0
= Ee−(R /L)t ,
dt
R
(1.23)
che risulta ovviamente essere E per t ' 0. Notiamo che a t ' 0 si ha
iL = E/R0 = i. In concreto, all’apertura del circuito si generano scintille (R0
è la resistenza delle scintille che tengono chiuso il circuito); il fenomeno può
essere distruttivo in caso di curcuiti industriali.
Circuito RL in AC
Prima di proseguire, come utile esercizio consideriamo un circuito RL ora
in corrente alternata. Il generatore fornisce una f.e.m. del tipo E(t) =
E0 cos(ωt), da cui l’equazione di Ohm diviene
L
di
+ Ri = E0 cos(ωt),
dt
che
Indichiamo con i ≡
√ può essere risolta utilizzando quantità immaginarie.
−1 l’unità immaginaria, e definiamo Ẽ = E0 eiωt e Ĩ = Aeiωt , ove A = Beiφ ,
con B e φ reali. Cerchiamo una soluzione del tipo
i(t) = Re(Ĩ) = E0 cos(ωt)
E = Re(Ẽ) = B cos(ωt + φ).
come parte reale della soluzione all’equazione di Ohm complessa
L
dĨ
+ RĨ = Ẽ.
dt
Sostituendo, so ottiene immediatamente
iωLA + RA = E.
Risolvendo per A = Beiφ , qualche semplice passaggio dà
√
B = E0 / R 2 + ω 2 L 2
φ = − arctan(ωL/R).
1.5. CIRCUITI RL
1.5.1
15
Energia magnetica
Possiamo ora analizzare il bilancio energetico di un circuito RL. Questo
ci permetterà di definire una nuova forma di energia associata al campo
magnetico.
Il lavoro compiuto dal generatore per spostare una carica infinitesima dq
è dato da dW = Edq = Eidt. Ricordando che la potenza dW/dt è Ei, usando
eq. 1.18 possiamo scrivere l’equazione di bilancio energetico come
dW = Ri2 dt + Li dt,
(1.26)
dove il primo termine a destra rappresenta il lavoro speso per fare circolare la
corrente (dissipato sotto forma di calore per effetto Joule), mentre il secondo
termine è il lavoro speso contro la f.e.m. autoindotta per portare la corrente
da i a i + di. L’energia totale spesa contro la f.e.m. autoindotta in un tempo
t (assumendo R = 0) è quindi
Z i
1
(1.27)
W =
di Li = Li2 ,
2
0
che dipende solo dal valore iniziale e finale della corrente. In analogia con
un condensatore, possiamo quindi definire l’energia intrinseca della corrente
come
L
(1.28)
UL ≡ i2 .
2
L’energia, nel passaggio da 0 ad i∞ , è quindi UL = L/2 i2∞ .
Abbiamo visto che aprendo il circuito, la corrente passa da i∞ a 0 secondo
eq. 1.22, e quindi sulla resistenza viene speso un lavoro
Z ∞
2 Z ∞
1 E
1
0
0 2
0E
W =
dt R i = R 2
dt e−2(R /L)t = L 2 = Li2∞ ,
R 0
2 R
2
0
come deve essere per la conservazione dell’energia. Quindi possiamo dire che
l’energia intrinseca immagazzinata nell’induttanza si ritrova alla fine dissipata sotto forma di calore sulla resistenza. L’energia intrinseca è legata alla
corrente, cioè localizzata nel circuito. Ma tale energia è estratta dal generatore lavorando contro EL che è legata alla variazione nel tempo del campo
magnetico concatenato al circuito. Alla fine del processo di chiusura si trova,
intorno al circuito, un campo magnetico che prima non esisteva. Durante
16
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
l’apertura, al contrario, EL fornisce energia mantenendo la corrente, e alla
fine del processo il campo magnetico è scomparso. Possiamo quindi affermare che UL , chiamata energia magnetica è legata al campo magnetico B,
analogamente all’energia elettrica legata al campo E.
Consideriamo ad esempio un tratto ` di un solenoide infinito rettilineo.
L’induttanza è data da L` = µ0 n2 Σ (eq. ??); inoltre sappiamo che il campo
magnetico all’interno del solenoide vale B = µ0 ni. Possiamo quindi scrivere
(eq. 1.28)
B2
1
Σ`.
UL = µ0 n2 Σi2 ` =
2
2µ0
Poichè Σ` rappresenta un volume, possiamo definire una densità di energia
magnetica (nel vuoto) come
B2
uB ≡
,
(1.29)
2µ0
che dipende solo dal valore del campo magnetico, e dalla permeabilità magnetica del vuoto. Notiamo che da B = µ0 H abbiamo uB = 1/2µ0 H 2 = 1/2HB.
In generale quindi, in un volume V , l’energia magnetica è data da
Z
B2
dV
UB =
.
(1.30)
2µ0
V
Questa equazione ha validità generale, e non implica la presenza di un circuito
elettrico e della relativa induttanza. Solo in questo caso vale che UB = UL =
1/2Li2 .
Solenoide toroidale
In sezione 1.4 abbiamo visto che in un solenoide toroidale il campo magnetico
è nullo esternamente, mentre all’interno vale B = µ0 N i/(2πr) (eq. 1.15).
Abbiamo quindi da eq. 1.29
uB =
µ0 N 2 i2
.
8π 2 r2
infine, da dV = 2πar dr (si veda fig 1.4), otteniamo
Z R+b
µ0 N 2 ai2
R+b
1
UB =
dV uB =
ln
= Li2 ,
4π
b
2
R
come deve essere.
(1.31)
1.5. CIRCUITI RL
1.5.2
17
Mutua induzione
La definizione di energia magnetica ci permette di affrontare il problema della
mutua induzione in termini quantitativi. Consideriamo due spire percorse da
corrente. Consideriamo il flusso del campo magnetico prodotto dalla prima
spira attraverso la seconda spira di superficie Σ2 , cioè
Z
B1 · n dΣ02 .
Φ12 =
Σ2
Tale flusso sarà evidentemente proporzionale all’intensità di corrente i1 che
circola nella prima spira, cioè Φ12 = M12 i1 , dove il coefficiente M12 racchiude
i fattori geometrici e le proprietà del mezzo. In modo del tutto analogo possiamo scrivere Φ21 = M21 i2 , cosiderando cioè il flusso del campo B2 prodotto
dalla seconda spira attraverso la prima.
Dimostriamo ora che vale M12 = M21 = M , detto quindi coefficiente
di mutua induzione. A livello di f.e.m. indotte evidentemente si ha quindi
E10 = −M di2 /dt e E20 = −M di1 /dt. Consideriamo quanto succede portando
i1 da 0 a i∞ = E1 /R1 , mantenendo nel contempo i2 = 0. Il lavoro speso
dal generatore del primo circuito è U1 = 1/2L1 i21 . Ora portiamo i2 da 0 al
suo valore i∞ = E2 /R2 , tenendo fissa i1 . Il lavoro del secondo generatore
sarà U2 = 1/2L2 i22 , mentre il primo generatore deve lavorare contro la f.e.m.
dovuta alla variazione di i2 , cioè
Z
Z
Z
di2
0
= M21 i1 di2 = M21 i1 i2 .
U21 = − dt E1 i1 = dt M21 i1
dt
L’energia totale spesa è quindi
1
1
W = L1 i21 + L2 i22 + M21 i1 i2 .
2
2
Possiamo a questo punto ripetere il tutto, scambiando il ruolo dei due circuiti,
cioè portando i2 a regime con i1 = 0, e quindi portando i1 a regime tenendo
fissa i2 . Evidentemente l’energia coinvolta deve essere la medesima,
1
1
W = L1 i21 + L2 i22 + M12 i1 i2 ,
2
2
da cui M21 = M12 .
18
1.6
1.6.1
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
Oscillazioni elettriche
Circuito con due componenti in serie
RC
Consideriamo un condensatore carico C collegato in serie ad una resistenza R.
Sia VC la tensione ai capi di C, con valore massimo V0 quando il circuito viene
chiuso. Si ha quindi che VC = q/C = Ri. Derivando quindi rispetto al tempo
si ottiene di/dt = −i/(RC), dove abbiamo usato la relazione i = −dq/dt. La
soluzione è quindi
V0
i(t) = e−t/(RC) .
(1.32)
R
L’energia elettrica immagazzinata in C, UE = CV02 /2, alla chiusura del
circuito viene dissipata in R per effetto Joule.
Figura 1.6: Circuito RC in serie.
LR
Consideriamo un induttore L perscorso da corrente i0 costante, che venga chiuso su una resistenza R. Dalla legge di Faraday-Lenz Ei = −Ldi/dt
ricaviamo cone già visto
i(t) = i0 e−(R/L)t .
(1.33)
1.6. OSCILLAZIONI ELETTRICHE
19
L’energia magnetica immagazzinata in L, UB = Li20 /2, alla chiusura del
circuito viene dissipata su R per effetto Joule.
Figura 1.7: Circuito LR in serie.
LC
Consideriamo ora un condensatore carico C, la cui carica sia q0 e la differenza
di potenziale sia V0 = q0 /C. Al tempo t = 0 viene connesso ad un induttore
L. Al passaggio della corrente i in L compare una f.e.m. autoindotta EL =
−Ldi/dt. La conservazione dell’energia, EC + EL = 0, implica che q/C =
Ldi/dt. Derivando ambo i membri e ponendo i = −dq/dt (corrente positiva
quando la carica in C diminuisce), otteniamo
d2 i
i
+
= 0,
2
dt
LC
(1.34)
i(t) = A sin(ω0 t + φ),
(1.35)
la cui soluzione è della forma
√
con ω0 = 1/ LC. La tensione ai capi del condensatore sarà uguale ed
opposta ad EL :
VC (t) = Aω0 L cos(ω0 t + φ).
(1.36)
20
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
Figura 1.8: Circuito LC in serie.
Si noti come eq. 1.34 rappresenti un oscillatore armonico. Ponendo i = 0
e VC = V0 al tempo iniziale t = 0, si ricava immediatamente φ = 0 e A =
V0 /(ω0 L). Abbiamo quindi
V0
sin(ω0 t)
ω0 L
VC (t) = V0 cos(ω0 t).
i(t) =
(1.37a)
(1.37b)
p
I valori massimi di tensione e corrente sono legati da V0 =
L/Ci0 =
ω
√0 Li0 = i0 /(ω0 C). Il valore massimo della carica è q0 = CV0 = i0 /ω0 =
LCi0 . Notiamo che quando la corrente è massima, la tensione ai capi del
condensatore è nulla, e viceversa. Il sistema è in quadratura di fase.
Il sistema, come già notato, è analogo ad un oscillatore meccanico armonico, dove il ruolo di energia potenziale e cinetica viene svolto dall’energia
elettrica UE associata al condensatore e magentica UB associata all’induttore. Quando VC = V0 abbiamo solo UE = CV02 /2 poichè i = 0 (condensatore
carico). Quando VC = 0 abbiamo solo UB = Li2 /2 (condensatore scarico).
In un istante generico l’energia totale del sistema è
1
1
U (t) = UE (t) + UB (t) = CV02 cos2 (ω0 t) + Li20 sin2 (ω0 t).
2
2
Utilizzando la relazione i0 = V0 /(ω0 L) ricaviamo CV02 = Li20 , da cui
1
1
U (t) = CV02 = Li20 ,
2
2
(1.38)
1.6. OSCILLAZIONI ELETTRICHE
21
costante nel tempo.
1.6.2
Circuito RLC
È evidente a questo punto che l’introduzione di una resistenza R in un circuito
LC agisce come una smorzante dell’oscillatore.
Si immagini che al tempo t = 0 un condensatore carico C venga connesso
in serie ad un induttore L e ad una resistenza R. Alla chiusura del circuito
la corrente i crea una f.e.m. indotta EL = −Ldi/dt. La tensione ai capi di R
non è uguale a quella ai capi di C, poichè deve valere che
di
q
− L = Ri.
C
dt
Utilizzando la definizione di corrente i = −dq/dt si ottiene quindi l’equazione
d2 i R di
i
+
+
= 0,
dt2 L dt LC
(1.39)
che è l’equazione di un oscillatore smorzato. La soluzione è standard ma
laboriosa, e ne omettiamo i dettagli. Si trova che esiste una smorzante della
forma e−γt , con γ = R/(2L), e si possono identificare due casi distinti:
• γ 2 > ω02 : in questo caso non ci sono oscillazioni, la soluzione si dice
sovrasmorzata.
• γ 2 < ω02 : in questo caso, che implica R2 /(4L2 ) < 1/(LC) cioè R2 <
4L/C, la soluzione è ondulatoria, e vale
i(t) = Ae−γt cos(ωt + φ),
(1.40)
dove ω 2 = ω02 − γ 2 = 1/(LC) − R2 /(4L2 ). I valori di ampiezza e fase A
e φ possono essere trovati una volta note le condizioni iniziali.
1.6.3
Circuito RLC in AC
Come visto nella sezione precedente, la presenza di una resistenza implica
la necessità di collegare un generatore al circuito per mantenere nel tempo
22
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
l’oscillazione della corrente. È chiaro che il sistema sarà quindi equivalente ad un oscillatore smorzato forzato, con tutte le conseguenze note (es.,
fenomeni di risonanza). Analizziamo inizialmente il comportamento delle
singole componenti collegate ad un generatore AC che genera una f.e.m.
E = E0 cos(ωt).
R in AC
In questo caso E = E0 cos(ωt) = Ri, cioè
i(t) =
E0
cos(ωt) ≡ i0 cos(ωt).
R
(1.41)
La corrente è in fase con la f.e.m. applicata. Se scriviamo in generale i =
i0 cos(ωt), la tensione ai capi di R vale
VR (t) = Ri = Ri0 cos(ωt) = V0 cos(ωt).
(1.42)
L in AC
L’equazione per la corrente è E − Ldi/dt = 0, che integrata dà
i(t) =
E0
E0
sin(ωt) =
cos(ωt − π/2).
ωL
ωL
(1.43)
Esiste quindi uno sfasamento di π/2 fra corrente e tensione. Se scriviamo
la corrente come i = i0 cos(ωt), poichè la tensione ai capi dell’induttore è
VL = Ldi/dt, otteniamo
VL (t) = −ωLi0 sin(ωt) = ωLi0 cos(ωt + π/2) = V0 cos(ωt + π/2).
(1.44)
La tensione è in anticipo di π/2 sulla corrente.
C in AC
In questo caso vale che E = q/C, da cui, usando dq/dt = i, si ottiene
immediatamente
i(t) = −ωCE0 sin(ωt) = ωCE0 cos(ωt + π/2).
(1.45)
1.6. OSCILLAZIONI ELETTRICHE
23
La corrente è in anticipo rispetto alla f.e.m. applicata. Da i = CdVC /dt, se
i = i0 cos(ωt), otteniamo
VC (t) =
i0
sin(ωt) = V0 cos(ωt − π/2).
ωC
(1.46)
Il termine 1/(ωC) si dice reattanza del circuito.
RLC in AC
Nella discussione precedente abbiamo visto come valga in generale che, nei
massimi, tensione e corrente siano proporzionali, cioè V0 = Zi0 . Z à si dice
impedenza, e, ad esempio, nel caso di puro circuito resistivo coincide con R.
Colleghiamo ora in serie le tre componenti, attaccando un generatore AC che
fornisce una tensione E = E0 cos(ωt + φ). Per conservazione dell’energia deve
essere
E(t) = VR (t) + VL (t) + VC (t).
(1.47)
Utilizzando le eq. 1.42, 1.44 e 1.46, si ottiene l’equazione differenziale
i
d2 i R di
+
+
= E0 cos(ωt + φ),
2
dt
L dt LC
(1.48)
che è l’equazione di un oscillatore forzato smorzato, una cui soluzione è di
tipo oscillatorio con i(t) = i0 cos(ωt), dove
s
2
1
2
E0 = i0 R + ωL −
(1.49a)
ωC
tan φ =
ωL −
R
1
ωC
.
(1.49b)
È possibile quindi instaurare un’oscillazione permanente applicando una f.e.m.
variabile. Lo fase φ dipende dai parametri fisici del circuito.
Impedenza
Dalla definizione di impedenza abbiamo
s
Z=
R2
1
+ ωL −
ωC
2
.
(1.50)
24
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
che ovviamente dipende falla frequenza ω. La corrente è massima
quando Z
√
è minima, e questo si ha per ωL = 1/(ωC), da cui ω = 1/ LC = ω0 . La
frequenza di risonanza coincide con la frequenza propria del circuito LC, in
completa analogia col caso di oscillatore meccanico.
Si hanno ovviamente i fenomeni di risonanza per ω = ω0 . In questo caso
la fase è nulla (eq. 1.49b). È possibile definire la larghezza della risonanza
come
∆ω = R/L = ω2 − ω1 ,
(1.51)
√
dove ω1 e ω2 sono definiti in modo che i(ω1 ) = i(ω2 ) = i(ω0 )/ 2, cioè
ωL − 1/(ωC) = R. Il fattore di merito di un circuito RLC è definito come
Q≡
ω0
L
= ω0 .
ω2 − ω1
R
(1.52)
Per grandi valori di Q la corrente circola solo quando ω ' ω0 , proprietà
utilizzata nella progettazione dei sintonizzatori di segnale.
Notiamo che per ω = 0 non circola corrente, il comportamento è analogo
ad un circuito di tipo C. Per 0 < ω < ω0 e 1/(ωC) > ωL il comportamento
è di un circuito RC in serie, mentre per ω > ω0 e 1/(ωC) < ωL si ha un
circuito RL in serie.
Potenza
La potenza associata al circuito sappiamo essere
P (t) = E(t)i(t).
Sappiamo che E = E0 cos(ωt + φ) e i = i0 cos(ωt), da cui
P (t) = Ei0 cos(ωt + φ) cos(ωt).
(1.53)
Mediando su un periodo si ottiene
Z
1
1
hP iT =
dt P (t) = E0 i0 cos(φ) = Eeff ieff cos φ,
(1.54)
T
2
√
√
dove abbiamo definito Eeff = E0 / 2, e ieff = i0 / 2. Il termine cos φ viene
detto fattore di potenza. Notiamo che φ = π/2 solo se R = 0, cioè il circuito
1.7. EQUAZIONI DI MAXWELL
25
non dissipa potenza. Al contrtario, φ = 0 solo in un circuito puramente
resistivo.
Abbiamo visto che in un circuito RLC in serie possiamo scrivere la relazione E = Zi, che ovviamente varrà anche per le quantità efficaci, cioè
Eeff = Zieff . Utilizzando eq. 1.49b possiamo scrivere
cos φ =
R
,
Z
(1.55)
da cui ricaviamo subito da eq. 1.54
hP iT = Z i2eff R/Z = R i2eff .
(1.56)
Abbiamo quindi dimostrato che, come deve essere, la potenza viene dissipata
solo nella resistenza. Il condensatore e l’induttore (ideali) assorbono e cedono
potenza con hP iT = 0.
1.7
1.7.1
Equazioni di Maxwell
Legge di Maxwell-Ampere
Ricordiamo la legge di Ampere nel vuoto in forma integrale:
I
B · dl = µ0 ic ,
(1.57)
dove abbiamo esplicitamente indicato con la corrente di conduzione come ic .
Analizziamo ora il passaggio di corrente in un circuito in cui sia presente un
condensatore (si veda fig. 1.9). Se applichiamo la legge di Ampere utlizzando
come superficie alternativamente Σ1 o Σ2 otteniamo due risultati diversi: in
Σ2 la corrente entra (attraverso il filo conduttore), ma non esce. In realtà
caricando il condensatore, sull’armatura so ha una variazione di quantità
di carica dq/dt, a cui deve corrispondere una variazione uguale ed opposta
−dq/dt sull’altra armatura, cioè una corrente uscente i = −(−dq/dt) =
dq/dt. Si ha quindi una corrente di spostamento all’interno del condensatore
legata evidentemente alla variazione del campo elettrico:
is = 0
dΦ(E)
.
dt
(1.58)
26
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
Figura 1.9: Corrente di spostamento e legge di Maxwell-Ampere.
Si ha quindi corrente ic lungo il filo, is nel condensatore. Modifichiamo quindi
la legge di Ampere come
I
dΦ(E)
B · dl = µ0 ic + 0
,
(1.59)
dt
detta legge di Maxwell-Ampere. Notiamo che “spostamento non significa
spostamento fisico di cariche.
Se in una regione di spazio non ci sono correnti di conduzione, ma solo una
variazione di flusso del campo elettrico, la legge di Maxell-Ampere diviene
I
dΦ(E)
.
(1.60)
B · dl = µ0 0
dt
Il termine µ0 0 ha le dimensioni di un’inverso del quadrato di una velocità, e
√
si indica c ≡ 1/ µ0 0 detta (per motivi che vedremo nel prossimo capitolo)
velocità della luce (nel vuoto). Ricordiamo la legge di Farady:
I
dΦ(B)
E · dl = −
.
(1.61)
dt
La figura 1.10 mostra la relazione fra direzione e verso dei campi E e B
generati dalla variazione di flusso dei campi stessi.
1.7. EQUAZIONI DI MAXWELL
27
Figura 1.10: Relazione fra campi elettrici e magnetici variabili.
Esempio
Consideriamo un condensatore piano con armature circolari di raggio R,
collegato ad un generatore AC che stabilisce fra le armature stesse un campo
E = E0 sin(ωt).
(1.62)
Calcoliamo il campo indotto B all’interno del condensatore in funzione di r
distanza dall’asse, e la f.e.m. indotta in un solenoide toroidale coassiale alle
armatuare (fig.1.11).
Figura 1.11: Condensatore piano in AC con solenoide toroidale al suo interno.
Su una circonferenza di raggio r coassiale alle armature la circuitazione di
B è 2πrB, poichè per simmetria le linee di campo magnetico possono solo
28
CAPITOLO 1. INDUZIONE ELETTROMAGNETICA
essere circonferenze. Utilizziamo la legge di Maxwell-Ampere:
2πrB = µ0 0
dE
dΦ(E)
= µ0 0 πr2
,
dt
dt
da cui
1
dE
ωE0
B(r) = µ0 0 r
=
r cos(ωt).
(1.63)
2
dt
2c2
Il modulo del campo indotto varia linearmente con r per 0 ≤ r ≤ R. La f.e.m.
indotta nel solenoide, assumendo che la sezione dello stesso sia Σ r2 , è
data da
N Σω 2 E0
dB
=
r sin(ωt),
(1.64)
Ei = −N Σ
dt
2c2
dove N rappresenta il numero di spire.
1.7.2
Equazioni di Maxwell
Possiamo ora riassumere le equazioni di Maxwell con l’introduzione delle leggi
di Faraday e di Maxwell-Ampere:
I
E · n dΣ = q/0
(1.65a)
I
E · dl = −dΦ(B)/dt
(1.65b)
I
B · n dΣ = 0
(1.65c)
I
B · dl = µ0 [i + 0 dΦ(E)/dt].
(1.65d)
che in forma differenziale (locale) diventano
∇ · E = ρ/0
∂B
∇×E=−
∂t
∇·B=0
∂E
∇ × B = µ0 J + 0
.
∂t
(1.66a)
(1.66b)
(1.66c)
(1.66d)
1.7. EQUAZIONI DI MAXWELL
29
La prima esprime la legge di Gauss, la seconda la legge di Faraday, la terza la
non esistenza dei monopoli magnetici, la quarta la legge di Maxwell-Ampere.
L’azione dei campi si manifesta attraverso la forza di Lorentz
F = q0 (E + v × B),
(1.67)
mentre la densità di energia associata ad essi è
1
1 B2
u = 0 E 2 +
.
2
2 µ0
(1.68)
Le equazioni considerate valgono nel vuoto. In un mezzo occorre considerare
le varie relazioni costitutive, D = E e B = µH, dove = 0 r e µ = µ0 µr .
Infine la costante dialettrica e la permeabilità magnetica relative sono legate
al vettori polarizzazione come r = (1 + χe ) e µr = (1 + χm ).
Conservazione della carica
Un primo esempio di utilizzo delle equazioni di Maxwell consiste nel derivare
la legge di conservazione della carica. Applichiamo l’operatore divergenza
all’eqz. di Maxwell-Ampere in forma differenziale, ottenendo (gli operatori
sono lineari negli argomenti)
∂∇ · E
,
∇ · (∇ × B) = µ0 ∇ · J + 0
∂t
da cui
∂ρ
,
∂t
che infine fornisce la legge di conservazione della carica:
0 = µ0 ∇ · J + µ0
∇·J=−
∂ρ
.
∂t
(1.69)
La densità di carica varia in ogni punto dello spazio in cui la divergenza della
corrente non è nulla. Ovviamente l’integrale di volume di eq. 1.69 fornisce la
corrente:
Z
Z
∂
∂q
∇ · JdV = −
ρdV = −
= i.
(1.70)
∂t V
∂t
V
Capitolo 2
ONDE
ELETTROMAGNETICHE
2.1
Equazioni di Maxwell senza sorgenti: onde piane
Consideriamo le equazioni di Maxwell senza sorgenti nel vuoto:
∇·E=0
∇×E=−
(2.1a)
∂B
∂t
∇·B=0
∇ × B = µ0 0
(2.1b)
(2.1c)
∂E
.
∂t
(2.1d)
Esse possono rappresentare una situazione in cui si valutino i campi lontano
dalle sorgenti stesse. Vediamo come una soluzione a queste equazioni siano
le onde piane.
Applicando l’operatore rotore alla (2.1b), e ricordando che per un generico
vettore F si ha ∇2 F = ∇(∇ · F) − ∇ × (∇ × F), otteniamo subito
∇2 E =
1 ∂ 2E
,
c2 ∂t2
30
(2.2)
2.1. EQUAZIONI DI MAXWELL SENZA SORGENTI: ONDE PIANE 31
√
dove c = 1/ µ0 0 ha le dimensioni di una velocità. Un’equazione analoga
può essere facilmente ricavata per il campo B:
1 ∂ 2B
.
(2.3)
c2 ∂t2
√
Più in generale, in un mezzo la velocità è data da v = 1/ µ. Il rapporto
n = c/v > 1 è detto indice di rifrazione del mezzo.
∇2 B =
Equazioni (2.2) e (2.3) sono le ben note equazioni delle onde. Il fatto
che l’onda elettromagnetica (EM) sia soluzione alle equazioni di Maxwell
senza sorgenti non deve sorprenderci. Abbiamo visto come campi magnetici
variabili generino campi magnetici variabili, che a loro volta generano campi
mganetici variabili, e cosı̀ via. La grande differenza rispetto ad ogni altro
fenomeno ondulatorio è che le onde EM non hanno bisogno di un mezzo per
propagare, essendo loro stesse causa ed effetto della propagazione.
Una possibile soluzione alle equazioni di Maxwell senza sorgenti è quindi
l’onda piana, rappresentata da una qualsiasi funzione f (z, t) = f (z ± vt),
avendo assunto propagazione lungo l’asse z. Possiamo quindi scrivere i campi
come
E = Ex (z − vt)êx + Ey (z − vt)êy + Ez (z − vt)êx
B = Bx (z − vt)êx + By (z − vt)êy + Bz (z − vt)êx .
Ora, eqz.(2.1a), poichè le componenti del campo E dipendono solo dalla
coordinata spaziale z (oltre che dal tempo), e che la densità di carica è assunta
esser nulla, ci dice che deve essere Ez = 0. In modo del tutto analogo, da
eqz.(2.1c), troviamo Bz = 0. Abbiamo quindi
E = Ex (z − vt)êx + Ey (z − vt)êy
B = Bx (z − vt)êx + By (z − vt)êy .
Consideriamo ora eqz.(2.1b) in forma esplicita:
−
∂Ex
∂Bx
∂By
∂Ey
êx +
êy = −
êx −
êy ,
∂z
∂z
∂t
∂t
cioè
∂Ey
∂Bx
=
∂z
∂t
∂Ex
∂By
=−
.
∂z
∂t
32
CAPITOLO 2. ONDE ELETTROMAGNETICHE
Facendo ora un cambio di variabile u = z − vt otteniamo
dEy
dBx
= −v
dz
du
dEx
dBy
=v
,
dz
du
che risolte danno
Ey = −vBx + costante
Ex = vBy + costante.
Possiamo porre nulla la costante di integrazione, e ottenere infine
E = Ex êx + Ey êy
Ey
Ex
B = − êx +
êy .
v
v
(2.9a)
(2.9b)
Notiamo subito che, in termini di moduli dei campi, abbiamo
B=
E
.
v
(2.10)
Per la direzione
E · B = 0,
(2.11)
quindi i campi sono perpendicolari, mentre per il verso di propagazione
E × B = EBêz .
(2.12)
E, B, e êz formano una terna destrorsa. È possibile dimostrare che questi
risultati valgono anche nel caso di onde non piane.
È possibile definire un’impedenza relativa alla propagazione
delle onp
√
de EM, come E/H = E/(B/µ) = µvE/E = µ/ µ = µ/, che ha le
dimensioni degli Ohm.
2.1.1
Onde piane armoniche
Sappiamo che per un’onda piana la funzione che descrive, ad esempio, l’ampiezza del campo elettrico come unica proprietà ha che deve essere funzione
dell’argomento z − vt (se l’onda propaga lungo z). Un caso particolare di
2.1. EQUAZIONI DI MAXWELL SENZA SORGENTI: ONDE PIANE 33
onda piana di fodamentale importanza è quello di onda armonica. In questo caso la funzione che rappresenta l’ampiezza del campo è una funzione
sinusoidale dell’argomento z − vt:
Ex = Ax cos(kz − ωt)
Ey = Ay cos(kz − ωt + φ).
(2.13a)
(2.13b)
Le componenti Bx e By possono essere immediatamente ricavate da eqz.(2.9).
Un’onda di questo tipo è, inoltre, monocromatica, cioè le oscillazioni dei campi avvengono ad una sola frequenza ω , detta frequenza angolare o pulsazione.
La quantità k = ω/v si dice numero d’onda. La lunghezza d’onda è definita
come λ = 2π/k, mentre la frequenza temporale, o più semplicemente frequenza è ν = v/λ = ω/2π. Il periodo è infine T = 1/ν. Il termine φ è detto
fase dell’onda. Si può mostrare che un’onda qualsiasi può essere scritta come composizione lineare di onde armoniche monocromatiche. Nel prossimo
capitolo discuteremo brevemente il concetto di spettro delle onde EM, cioè la
scomposizione di un’onda EM nelle sue componenti armoniche.
2.1.2
Vettore di Poynting
Nel capitolo precedente abbiamo visto che alla presenza di un campo elettrico
è possibile associare una densità di energia UE = 0 E 2 /2, cosı̀ come ad un
campo magnetico associamo UB = B 2 /(2µ0 ). Dalla 2.10 è immediato vedere
come UB = UE , da cui l’energia totale associata ad un’onda EM è
U = 0 E 2 .
(2.14)
Consideriamo ora un’onda che propaga lungo z, e valutiamo l’energia
associata ad essa (ai campi E e B) all’interno di un cilindro ideale di sezione
Σ e lunghezza c dt lungo la direzione di propagazione k (vedere fig. 2.1).
34
CAPITOLO 2. ONDE ELETTROMAGNETICHE
Figura 2.1: Energia trasportata da un’onda EM. Vettore di Poynting.
L’energia contenuta entro il volume del cilindro è dW = U Σcdt = 0 E 2 Σcdt,
e quindi la potenza associata all’onda EM è P = dW/dt = 0 E 2 Σc. Possiamo
definire il vettore di Poynting come
S = 0 E 2 c,
(2.15)
dove abbiamo indicato c = c êz (se l’onda propaga lungo z). Il vettore
di Poynting è tale che la potenza trasportata dall’onda EM attraverso una
superficie Σ è il flusso di S attraverso la superficie stessa.
Notiamo che, dalle relazione che legano direzione e verso dei campi, e la
velocità della luce con le costanti 0 e µ0 , possiamo scrivere
S=
1
E × B.
µ0
(2.16)
Direzione e verso del vettore di Poynting coincidono con direzione e verso di
propagazione dell’onda EM.
2.1.3
Polarizzazione delle onde piane
Un’onda piana si dice polarizzata linearmente se il campo elettrico ha un sola
componente, es. Ey (e quindi B = Bx ), e resta sempre parallelo a quest’asse.
2.1. EQUAZIONI DI MAXWELL SENZA SORGENTI: ONDE PIANE 35
Il piano in cui oscilla il campo elettrico (in questo caso il piano yz) viene
detto piano di polarizzazione.
Consideriamo due onde piane di medesima ampiezza E0 polarizzate linearmente e sfasate di π/2. L’onda risultante dalla loro sovrapposizione
sarà:
Ex = E0 sin(kz − ωt)
Ey = E0 sin(kz − ωt + π/2) = E0 cos(kz − ωt),
(2.17a)
(2.17b)
da cui E02 = Ex2 + Ey2 . Un’onda cosı̀ fatta si dice polarizzata circolarmente. I campi ruotano intorno alla direzione di propagazione. Nel caso in cui
le ampiezze non siano uguali (E0x 6= E0y ), la polarizzazione si dice ellittica. Infine, se la variazione del piano di polarizzazione è casuale, l’onda si
dice non polarizzata. Un’onda piana non polarizzata può essere scomposta
nella sovrapposizione di due onde piane polarizzate linearmente con piani di
polarizzazione perpendicolari fra loro.
Intensità
Consideriamo ora un’onda piana armonica (eqz. 2.17). Calcoliamo il valore
medio del modulo del flusso di potenza su un periodo T , quantità che viene
detta intensità dell’onda EM, e indicata con I:
1
2
I ≡ hSiT = 0 chE 2 iT = 0 cE02 = 0 cEeff
.
2
2.1.4
(2.18)
Quantità di moto di onde piane
Le onde EM trasportano energia, fenomeno descritto dal flusso del vettore di
Poynting. Al trasporto di energia sarà necessariamente associata una qunatità di moto, ed una pressione. Consideriamo a riguardo, facendo riferimento
alla fig. 2.1, che sulla superficie Σ siano presenti delle cariche elettriche. La
presenza dei campi produrrà su di esse una forza complessiva data da
F = q(E + vq × B),
(2.19)
dove vq rappresenta la velocità delle cariche sul piano xy, da non confondersi
con la velocità di propagazione dell’onda EM.
36
CAPITOLO 2. ONDE ELETTROMAGNETICHE
Il campo magnetico imporrà alle cariche una forza lungo la direzione z,
data da
E
F = q vq B êz = q vq êz ,
(2.20)
c
da cui, in modulo, q vq E = c F . D’altra parte la potenza trasferita dal campo
elettrico alle cariche è dW/dt = F vq = q vq E, da cui
F =
1 dW
.
c dt
Se ora indichiamo con p il modulo della quantità di moto associata all’onda
EM, da F = dp/dt, abbiamo che
p=
W
.
c
(2.21)
Pressione di radiazione
Da dW/dt = SΣ e p = W/c, notiamo come S/c rappresenti la quantità di
moto per unità di tempo e di superficie, cioè la pressione associata alla radiazione. Dalla definizione di intensità di un’onda piana (eqz. 2.18), vediamo
subito che prad = I/c rappresenta la pressione (media) associata alla radiazione. Se l’onda EM incide su un mezzo totalmente assorbente, la pressione
esercitata dall’onda EM sul mezzo stesso sarà quindi data da prad = I/c. Se
il mezzo è totalmente riflettente, avremo invece prad = 2I/c considerando la
variazione totale della quantità di moto dell’onda riflessa.
2.2
Onde sferiche
Le onde piane sono un’approssimazione valida solo quando si considera una
regione del fronte do’onda piccola rispetto alla effettiva distanza dalla sorgente. Una sorgente puntiforme in realtà genera onde sferiche. Mostriamo
qui che le onde sferiche sono una soluzione all’equazione delle onde (eqz. 2.2
e 2.3) , che come visto sono del tutto equivalenti alle equazioni di Maxwell
in assenza di sorgenti. Per semplicità considereremo onde sferiche di tipo
armonico.
2.2. ONDE SFERICHE
37
Il Laplaciano in coordinate sferiche si scrive:
1 ∂
1
∂
∂
1
∂2
2
2 ∂
∇ = 2
r
+ 2
sin θ
+ 2 2
.
r ∂r
∂r
r sin θ ∂θ
∂θ
r sin θ ∂φ2
Per simmetria deve necessariamente essere E = E(r, t), da cui l’equazione
delle onde diviene
1 ∂ 2E
1 ∂
2 ∂E
r
=
,
(2.22)
r2 ∂r
∂r
c2 ∂t2
con un’analoga equazione valida per B. Se ora poniamo E = E 0 /r, otteniamo
per E 0 la seguente equazione:
∇ 2 E0 =
1 ∂ 2 E0
,
c2 ∂t2
(2.23)
che come visto ha come soluzione generica una funzione del tipo E 0 = f (r −
vt). Una soluzione particolarmente interessante è quella armonica,
E 0 = E0 cos(kr − ωt)
da cui per il campo E otteniamo
E=
E0
cos(kr − ωt),
r
(2.24)
e analoga equazione per il campo magnetico. Si dimostra facilmente che
E × B = EB êr ,
(2.25)
cioè, la propagazione è radiale.
Il vettore di Poynting risulta essere (eqz. 2.16)
1
EB
E02
S= E×B=
êr =
êr .
µ0
µ0
µ0 cr2
(2.26)
Passando all’intensità (eqz. 2.18)
1
I = hSiT =
2
r
0 E02
.
µ0 r 2
(2.27)
Notiamo che il termine 1/r2 assicura la conservazione dell’energia.
Nel caso in cui la propagazione avvenga in un mezzo, alle costanti 0 e
µ0 , vanno sostituite e µ e la relativa velocità di propagazione nel mezzo.
Capitolo 3
RADIAZIONE DA CARICHE
IN MOTO
3.1
Equazioni di Maxwell con sorgenti:potenziali
Le equazioni di Maxwell nel vuoto con sorgenti sono
∇ · E = ρ/0
∂B
∇×E=−
∂t
∇·B=0
∇ × B = µ0 J +
(3.1a)
(3.1b)
(3.1c)
1 ∂E
.
c2 ∂t
(3.1d)
Da (3.1c) deriva che esiste un vettore A tale che
B = ∇ × A,
(3.2)
∂A
= 0.
∇× E+
∂t
(3.3)
da cui (3.1b) diviene
L’ultima equazione implica l’esistenza di un vettore V tale che
E = −∇V −
38
∂A
.
∂t
(3.4)
3.1. EQUAZIONI DI MAXWELL CON SORGENTI:POTENZIALI
39
A viene detto potenziale vettore, mentre V potenziale scalare.
L’equazione (3.1d) può essere riscritta sostituendo ai campi i potenziali,
diventando quindi
∂∇V
∂ 2A
1
− 2 ,
∇ × (∇ × A) = µ0 J + 2 −
c
∂t
∂t
che, osservando che ∇ × (∇× ) = ∇(∇· ) − ∇2 , diventa
1 ∂ 2A
1 ∂V
2
∇ A − 2 2 = −µ0 J + ∇ ∇ · A + 2
.
c ∂t
c ∂t
(3.5)
In modo analogo possiamo riscrivere eq.(3.1a) utilizzando al posto del campo
E la (3.4), ottenendo
∇2 V +
∂(∇ · A)
= −ρ/0 .
∂t
(3.6)
I potenziali non sono univocamente determinati da (2.2) e (2.4). Infatti
si può facilmente dimostrare che scegliendo A0 e V 0 in modo che
A0 = A + ∇Λ
∂Λ
V0 =V −
,
∂t
i campi non cambiano.
3.1.1
Gauge di Coulomb
Le considerazioni precedenti ci dicono che possiamo scegliere A in modo che
valga
∇ · A = 0,
(3.8)
scelta che definisce il gauge di Columb.
In questo caso, la (3.6) diviene l’equazione di Laplace,
∇2 V = −ρ/0 ,
(3.9)
che come soluzione ha il potenziale Coulmbiano che descrive un campo elettrostatico:
Z
1
ρ(x0 , t)
d3 x0 ,
(3.10)
V (x, t) =
4π0 Vol |x − x0 |
dove l’integrale è da intendersi sul volume occupato dalla densità di carica ρ.
40
CAPITOLO 3. RADIAZIONE DA CARICHE IN MOTO
3.1.2
Gauge di Lorentz
Scegliamo ora i potenziali in modo che valga
∇·A+
1 ∂V
= 0,
c2 ∂t
(3.11)
detto gauge di Lortenz. In questo caso la (3.5) diviene
∇2 A −
1 ∂ 2A
= −µ0 J,
c2 ∂t2
(3.12)
∇2 V −
1 ∂ 2V
= −ρ/0 .
c2 ∂t2
(3.13)
mentre la (3.6)
Una soluzione, ad esempio per V , è
Z
1
ρ(x0 , tret )
V (x, t) =
d3 x 0 ,
4π0 Vol |x − x0 |
dove
tret = t −
|x − x0 |
c
(3.14)
(3.15)
è detto tempo ritardato.
L’intervallo di tempo |x − x0 |/c, detto anche light travel time, è il tempo
impiegato dalla luce per andare da x0 ad x. La (3.14) ci dice che il potenziale
nel punto x al tempo t dipende dalla densità di carica nel punto x0 valutata
al tempo ritardato.
Immaginiamo che la sorgente vari su un tempo caratteristico τ . Se si
ha che |x − x0 |/c τ , allora vale tret ' t, e quindi V approssima il caso
Coulombiano. Fisicamente, significa che le cariche si muovono su tempi scala
molto più lunghi del light travel time.
Se al contrario |x − x0 |/c τ , questo significa che il punto x in cui
vogliamo valutare V si trova molto lontano dalla sorgente. Possiamo quindi
porre ρ ' 0, e vedere che la (3.13) diviene la nota soluzione delle onde, una
delle cui soluzioni è l’onda sferica:
V (r, t) =
f (t − r/c)
.
r
(3.16)
3.2. CARICA PUNTIFORME
3.2
3.2.1
41
Carica puntiforme
Potenziali ritardati di Lienard–Wiechart
Consideriamo una carica puntiforme q in moto lungo una traiettoria r =
r0 (t). Sia u(t) = ṙ(t). La posizione della carica lungo la traiettoria è
parametrizzata dal tempo t.
Il moto di q crea una densità di corrente e di carica:
ρ(r, t) = qδ(r − r0 (t))
J(r, t) = qu(t)δ(r − r0 (t)),
(3.17a)
(3.17b)
dove δ è la delta di Dirac.
Vogliamo ora calcolare il potenziale scalare dato dalla (3.14). È evidente
che l’integrale sul volume diviene un integrale sul tempo lungo la traiettoria.
Il potenziale in r al tempo t dipenderà dalla posizione al tempo t0 = t − |r −
r0 (t0 )|/c della carica lungo la traiettoria. Cioè:
Z
δ(t0 − t + |r − r0 (t0 )|/c) 0
q
dt .
(3.18)
V (r, t) =
4π0
|r − r0 (t0 )|
Poniamo ora R(t0 ) = r−r0 (t0 ) (figura 3.1), cioè R(t0 ) = c(t−tret ). Otteniamo
quindi
Z
1
q
δ(t0 − t + R(t0 )/c) dt0 .
(3.19)
V (r, t) =
0
4π0
R(t )
In modo del tutto analogo si trova
Z
q
u(t0 ) 0
δ(t − t + R(t0 )/c) dt0 .
A(r, t) =
4π0 c2
R(t0 )
(3.20)
Definiamo ora t00 = t0 − t + R(t0 )/c, da cui dt00 = dt0 + Ṙ(t0 )/cdt0 . Non
è difficile mostrare che vale Ṙ = −R · u/R. Se poi definiamo il versore
n = R/R, possiamo scrivere che
1 0
00
0
dt = 1 − n(t ) · u(t ) dt0 ,
c
da cui
42
CAPITOLO 3. RADIAZIONE DA CARICHE IN MOTO
Figura 3.1: Moto di una carica puntiforme q. Il valore del potenziale al tempo t nel
punto C di coordinata r non dipende dalla posizione corrente B della carica ma dalla sua
posizione A al tempo ritardato t0 .
q
V (r, t) =
4π0
Z
1
1
δ(t00 ) dt00 .
R(t0 ) [1 − n(t0 ) · u(t0 )/c]
(3.21)
L’integrando è non nullo solo per t00 = 0, cioè per t0 = t − R(t0 )/c, cioè per
t0 = tret . Definendo κ = 1 − n · u/c abbiamo quindi
q
1
4π0 κ(tret )R(tret )
1
qu(tret )
A(r, t) =
,
2
4π0 c κ(tret )R(tret )
V (r, t) =
(3.22a)
(3.22b)
detti potenziali di Lienard–Wiechart. Rispetto al potenziale Coulombiano,
vediamo che abbiamo due differenze fondamentali: la presenza del fattore κ,
che diventa importante per u ' c, e il fatto che le quantità vanno valutate
non al tempo t, ma a tret .
3.2. CARICA PUNTIFORME
3.2.2
43
Campi di velocità e di radiazione
La differenziazione di (3.22a) e (3.22b) per ottenere i campi è semplice ma
lunga. Diamo qui solo il risultato finale:
i
q
(n − β)(1 − β 2 )
q h n
E(r, t) =
×
{(n
−
β)
×
β̇}
+
4π0
κ3 R2
4π0 c k 3 R
(3.23a)
1
B(r, t) = [n × E(r, t)] ,
(3.23b)
c
dove l’accelerazione della carica è u̇ = r̈0 , e abbiamo definito β = u/c (vedere
figura 3.1). Notiamo come il campo B sia ortogonale a E.
Campo di velocità
Il primo termine che forma il campo E varia con la distanza come ∝ 1/R2 .
Poichè per β 1 abbiamo che κ ' 1, questo termine per basse velocità coincide con la legge di Coulomb. Viene detto campo di velocità Evel e generalizza
appunto la legge di Coulomb. La direzione di questa componente è data da
n − β. Ora, sappiamo che R = c(t − tret )n. Nell’intervallo di tempo t − tret
la carica percorre una distanza βc(t − tret ), e quindi la distanza fra il punto
C di coordinata r e la posizione attuale della carica B sarà (n − β)c(t − tret ),
che coincide quindi con la direzione del campo di velocità. In altre parole, il
campo di velocità Evel in C è diretto verso la posizione attuale della carica
B, non verso la posizione al tempo ritardato A.
Campo di radiazione
Il secondo termine del campo E è detto campo di radiazione Erad , varia con
la distanza come ∝ 1/R, ed è sempre perpendicolare ad n (vedere figura 3.1).
Inoltre dipende dall’accelerazione della carica β̇. Per rendersi conto che questo campo rappresenta l’emissione di radiazione (abbiamo quindi il fondamentale risultato che una carica accelerata irraggia, e quindi perde energia),
ragioniamo come segue. Immaginiamo una carica che si muova con velocità
u costante lungo l’asse x, e che al tempo t0 = 0 venga istantaneamente arrestata in x = 0. Chiediamoci quale è il campo elettrico prodotto dalla carica
al tempo t1 > t0 (vedere figura 3.2).
44
CAPITOLO 3. RADIAZIONE DA CARICHE IN MOTO
Figura 3.2: Radiazione emessa da una carica in moto lungo x con velocità u costante, e
istantaneamente arrestata in x = 0 al tempo t0 .
Al tempo t1 fuori da una sfera di raggio r = ct1 il campo è necessariamente
radiale, e punta verso la posizione x = 1 che avrebbe la carica se non si
fosse fermata. Questo perchè l’informazione del suo arresto non si e’ ancora
propagata oltre. Analogamente all’interno della sfera di raggio r = ct1 , il
campo è radiale, ma diretto verso il punto x = 0, posizione reale della carica.
Il campo “dentro e “fuori deve connettersi per conservare il flusso, e quindi
l’energia. Lo spessore della zona di transizione dipende dal tempo (finito)
di decelerazione della carica (spessore infinitesimo se tempo infinitesimo).
La zona di transizione ovviamente propaga verso l’esterno con velocità c.
Nella zona di transizione il campo è trasversale rispetto alla direzione di
propagazione, ed è molto piu’ intenso del campo radiale, poichè le linee di
forza sono più addensate. Il raggio della sfera varia come R, distanza dalla
posizione della carica. Poichè il numero delle linee è costante, cosı̀ come lo
spessore della zona di transizione, il campo radiante all’interno di tale zona
deve andare come ∝ 1/R, per conservare il flusso. Notiamo infine che nel
caso in cui β̇ = 0 si ha solo il campo di velocità.
3.2. CARICA PUNTIFORME
3.2.3
45
Carica non relativistica
Consideriamo il caso particolare in cui si abbia β 1, cioè il caso di carica
non relativistica. In questo caso, dalla (3.23a) vediamo che
Evel ∝ 1/R2
Erad ∝ β̇/Rc,
da cui
Erad
Ru̇
∼ 2.
Evel
c
Consideriamo una carica che oscilla con una data frequenza ν. Allora possiamo dire che u̇ ∼ uν, e quindi che
uR
Erad
Ruν
,
∼ 2 =
Evel
c
cλ
dove λ è la lunghezza dell’oscillazione. Da qui vediamo subito che se R λ,
allora Evel Erad , il contrario se R λ.
Poniamoci ora a R λ, cioè a distanze dalla carica molto maggiori della
lunghezza dell’oscillazione della carica stessa. In questo caso possiamo quindi
scrivere la (3.23) come
q
n × (n × u̇)
4π0 c2
R
1
= [n × Erad ] ,
c
E ' Erad =
(3.25a)
B ' Brad
(3.25b)
i cui moduli sono
q u̇
sin θ
4π0 c2 R
Erad
=
,
c
Erad =
(3.26a)
Brad
(3.26b)
dove θ è l’angolo fra R ed u̇ (vedere figura 3.3).
46
CAPITOLO 3. RADIAZIONE DA CARICHE IN MOTO
Figura 3.3: Distribuzione angolare della radiazione emessa da una carica non relativistica
accelerata.
Formula di Larmor
Consideriamo ora il vettore di Poynting associato al campo di radiazione:
S = c0 E 2 =
q 2 u̇2
sin2 θ.
16π 2 0 R2 c3
(3.27)
Ricordando che S è un flusso di potenza, possiamo scrivere la potenza emessa
per unità di angolo solido dP/dΩ lungo la direzione individuata dal versore
n come
q 2 u̇2
dP
=
sin2 θ,
(3.28)
dΩ
16π 2 0 c3
avendo considerato che l’area infinitesima è dA = R2 dΩ. La potenza totale
(integrata cioà su ogni direzione) risulta essere quindi
Z
q 2 u̇2
dP
P =
dΩ =
,
(3.29)
dΩ
6π0 c3
detta formula di Larmor.
Si noti come P ∝ q 2 e P ∝ u̇2 . Inoltre la (3.28) ci dice che la radiazione
non è isotropa, ma è massima perpendicolarmente alla direzione dell’accelerazione, e nulla parallelamente ad essa. La direzione di Erad è determinata
da u̇ ed n. Si può facilmente mostrare che se l’accelerazione è lineare lungo
una retta, la radiazione emessa è linearmente polarizzata al 100% nel piano
individuato da u̇ ed n (nel caso mostrato in figura 3.3 il piano del foglio).
3.3. APPROSSIMAZIONE DI DIPOLO
3.3
47
Approssimazione di dipolo
Si consideri ora una sorgente formata da molte cariche. Il problema di trovare
i potenziali e quindi i campi ad una data distanza dalla sorgente è complesso, poichè occorre considerare un tempo ritardato diverso per ogni carica,
essendo queste a distanza diversa dal punto r. Esistono però determinate
condizioni in cui le differenze nei tempi ritardati fra le varie cariche possono
essere trascurate.
Sia L la dimensione caratteristica della sorgente (figura 3.4), e τ il suo
tempo di variabilità, cioè il tempo su cui la distribuzione di cariche varia
apprezzabilmente. Se τ L/c, è evidente che le differenze fra tret delle varie
cariche sono trascurabili. La sorgente emetterà radiazione ad una frequenza
caratteristica ν ∼ 1/τ . Quindi la condizione τ L/c diviene c/ν L, cioà
λ L. Le differenze nei tempi ritardati possono essere trascurate quando la
lunghezza d’onda della radiazione è molto maggiore della dimensione della
sorgente.
Figura 3.4: Radiazione da un insieme di cariche.
Proseguendo in questo ragionamento, consideriamo il caso in cui le cariche si
48
CAPITOLO 3. RADIAZIONE DA CARICHE IN MOTO
muovano su orbite di lunghezza ` con velocità u. È chiaro che in questo caso
τ ∼ `/u, e quindi la condizione τ L/c diviene `/u L/c, cioè u/c `/L.
Ora dovendo essere necessariamente ` ≤ L (le orbite non possono essere
più grandi della sorgente!), ricaviamo u c. Cioè possiamo trascurare
le differenze nei tempi ritardati delle varie cariche, quando le cariche sono
non-relativistiche.
Abbiamo quindi per il campo di radiazione
Erad =
X
i
qi n × (n × u̇i )
.
4π0 c2
Ri
(3.30)
Abbiamo visto che se siamo sufficientemente lontani dalla sorgente E ' Erad .
Inoltre in questa situazione possiamo anche porre Ri ' R0 per tutte le cariche
qi , e se definiamo il momento di dipolo
d=
X
qi ri ,
(3.31)
1 n × (n × d̈)
.
4π0 c2
R0
(3.32)
i
possiamo scrivere
Erad =
Il momento di dipolo va valutato al tempo ritardato t = tret , ma va bene un
punto qualsiasi della sorgente. Cioè tutta la sorgente ha il medesimo tempo
ritardato.
La potenza per unità di angolo solido, utilizzando la (3.28), è quindi
dP
d¨2
=
sin2 θ,
dΩ
16π 2 0 c3
(3.33)
mentre quella totale si può scrivere
P =
d¨2
.
6π0 c3
(3.34)
Possiamo concludere dicendo che l’approssimazione di dipolo generalizza ad
un sistema di molte cariche il caso di singola carica non relativistica.
3.3. APPROSSIMAZIONE DI DIPOLO
3.3.1
49
Dipolo oscillante armonico
Come esempio, consideriamo ora un dipolo di carica q oscillante di moto
armonico con frequenza ω. Sia il moto del dipolo x(t) = x0 sin(ωt), da cui
d(t) = qx0 sin(ωt) = d0 sin(ωt). Consideriamo ora tempo ritardato t − r/c.
Abbiamo d(t − r/c) = d0 sin(ωt − ωr/c) = d0 sin(ωt − kr) = −d0 sin(kr − ωt),
con k = ω/c numero d’onda. Dalla (2.26) i moduli dei campi sono quindi
d¨
1 ω 2 d0
Erad =
sin
θ
=
sin(kr − ωt) sin θ,
(3.35a)
4π0 c2 r
4π0 c2 r
Erad
µ0 ω 2 d0
=
sin(kr − ωt) sin θ,
(3.35b)
Brad =
c
4πc r
la potenza totale (eq. 3.34)
ω 4 d20 sin2 (kr − ωt)
,
6π0 c3
che mediata su un periodo risulta essere
P =
hP iT =
3.3.2
ω 4 d20
.
12π0 c3
(3.36)
(3.37)
Scattering Thomson
La diffusione di un’onda elettromagnetica piana da parte di una carica libera
può essere descritta in modo classico come radiazione di dipolo, utilizzando
quanto visto nella sezione precedente per un dipolo oscillante armonico. Il
fenomeno è detto scattering Thomson.
50
CAPITOLO 3. RADIAZIONE DA CARICHE IN MOTO
Figura 3.5:
Scattering Thomson.
elettromagnetica incidente.
Una carica libera risponde ad un’onda
Come prima assunzione, consideriamo che la velocità della carica sia u c.
In questo modo possiamo non considerare l’effetto del campo B. Immaginiamo che l’onda incidente sia linearmente polarizzata (nel piano del foglio,
vedere figura 3.5) che propaga in direzione i (lungo l’asse coordinato x). Consideriamo come carica un elettrone. La forza che l’onda di frequenza ω ed
ampiezza E0 esercita sull’elettrone è
F = mr̈ = ekE0 sin(ωt)
dove k è la direzione del campo E e m la massa della carica e. In risposta
la carica inizia ad oscillare sul piano di polarizzazione, e può esser descritta
come un dipolo oscillante. Abbiamo quindi
e2 E0
k sin(ωt).
d̈ = er̈ =
me
(3.38)
che rappresenta la derivata seconda rispetto al tempo di un dipolo oscillante:
2 e E0
d = er = −
k sin(ωt).
me ω 2
Possiamo quindi usare la (3.33) e la (3.37) e scrivere la potenza per unità di
angolo solido mediata su un periodo come
h
dP
e4 E02
iT =
sin2 θ.
dΩ
32π 2 0 c3 m2e
(3.39)
Ora, ricordando che il vettore di Poynting rappresenta un flusso di potenza, possiamo definire una sezione d’urto differenziale dσ/dΩ attraverso la
relazione seguente:
dP
dσ
h iT = hSiT
.
(3.40)
dΩ
dΩ
Da hSiT = c0 E02 /2 (vettore di Poynting mediato su un periodo), il
confronto con eq.(3.39) porta a
dσ (3.41)
= r02 sin2 θ,
dΩ pol
3.3. APPROSSIMAZIONE DI DIPOLO
51
dove
r0 =
e2
1
4π0 me c2
(3.42)
è chiamato raggio classico dell’elettrone, e vale 2.82 × 10−13 cm. La sezione
d’urto definita da (3.41) è relativa a radiazione polarizzata linearmente, come
abbiamo visto. La sezione d’urto Thomson totale è data da
Z
8π 2
dσ
dΩ =
r ,
(3.43)
σ=
dΩ
3 0
e vale σ = 0.665 × 10−24 cm2 . Si noti come la sezione d’urto Thomson (e
quindi la potenza diffusa) nel caso di un protone sia (me /mp )2 -volte minore,
e quindi in generale trascurabile.
Possiamo generalizzare la nostra discussione per un’onda non polarizzata. Come abbiamo visto precedentemente, un’onda piana non polarizzata
può essere scomposta in due onde polarizzate linearmente, aventi i piani di
polarizzazione perpendicolari fra loro. In relazione alla figura 3.5, possiamo
immaginare l’esistenza di un’altra onda polarizzata su un piano perpendicolare al foglio; quindi il campo elettrico saraà in direzione j. È facile rendersi
conto che per ogni θ nel piano kn, l’angolo fra j, la direzione del campo
elettrico della seconda onda, ed n vale π/2. Possiamo scrivere quindi
dσ 1 dσ(π/2) dσ =
+
dΩ unpol 2
dΩ
dΩ pol
pol
r2
= 0 1 + sin2 θ
2
r2
= 0 1 + cos2 φ ,
2
(3.44a)
(3.44b)
dove φ ≡ π/2 − θ è l’angolo fra la direzione dell’onda incidente e l’onda
diffusa, ed è detto angolo di diffusione o scattering.
Notiamo che la sezione d’urto Thomson ha simmetria “ avanti–indietro
(φ = −φ), e che integrando sull’angolo solido otteniamo la sezione d’urto
totale σunpol = (8π/3)r02 = σpol . Il risultato non deve sorpendere, poichè un
elettrone a riposo non ha una direzione privilegiata.
Infine, si può dimostrare che la radiazione diffusa risulta polarizzata linearmente, con un grado di polarizzazione Π che dipende dall’angolo di
52
CAPITOLO 3. RADIAZIONE DA CARICHE IN MOTO
diffusione φ:
1 − cos2 φ
.
(3.45)
1 + cos2 φ
La radiazione diffusa risulta quindi polarizzata linearmente al 100% per φ =
π/2, mentre è non polarizzata per φ = 0.
Π=
3.4
Spettro delle onde elettromagnetiche
Lo spettro di un segnale variabile è descritto dalla trasformata di Fourier del
segnale stesso. Normalmente si ha a che fare con segnali variabili nel tempo
(come un segnale elettrico, di cui ci occuperemo nel seguito), oppure nello
spazio, come ad esempio una distribuzione di oggetti in un dato volume.
Lo spettro delle onde elettromagnetiche descrive le variazioni temporali
del campo E e B. Chiaramente le variazioni, e quindi gli spettri, sono i
medesimi per i due campi, per cui considereremo solo il campo elettrico.
Come per qualsiasi fenomeno variabile, lo spettro delle variazioni può essere
definito solo su un certo intervallo temporale ∆t, e si può dimostrare che la
risoluzione in frequenza ∆ω è tale che
∆ω ∆t > 1.
(3.46)
Questa diseguaglianza, benchè riconducibile al principio di indeterminazione
di Heisenberg, è valida per ogni teoria ondulatoria dei fenomeni elettromagnetici.
Supponiamo che la radiazione sia un impulso finito nel tempo di modulo
E(t). La sua trafsormata di Fourier è quindi definita come
Z +∞
1
E(t)eiωt dt,
(3.47)
Ê(ω) =
2π −∞
mentre la trasformata inversa è
Z
+∞
E(t) =
Ê(ω)e−iωt dω.
(3.48)
−∞
La quantità Ê è complessa, mentre ovviamente il campo elettrico E deve
essere reale. Quindi si ha che
Ê(−ω) = Ê ∗ (ω),
(3.49)
3.4. SPETTRO DELLE ONDE ELETTROMAGNETICHE
53
ed è quindi possibile eliminare le frequenze negative dalla nostra analisi.
L’energia per unità di tempo per unità di area è, come visto, il vettore di
Poynting,
dW
= c0 E 2 (t),
S=
dtdA
che integrata sul tempo da
Z +∞
dW
= c0
E 2 (t)dt.
(3.50)
dA
−∞
È facile dimostrare che deve valere (Teorema di Parseval):
Z +∞
Z +∞
2
|Ê(ω)|2 dω,
E (t)dt = 2π
−∞
−∞
che, utilizzando la (3.49), diviene
Z
Z +∞
2
E (t)dt = 4π
−∞
+∞
|Ê(ω)|2 dω.
(3.51)
0
Abbiamo quindi che la (3.50) diventa
Z +∞
dW
|Ê(ω)|2 dω,
= 4π0 c
dA
0
(3.52)
e quindi l’energia per unità di area e unità di frequenza associata al campo
elettrico può essere scritta come
dW
= 4π0 c|Ê(ω)|2 .
dAdω
(3.53)
La quantità che interessa è il flusso di potenza, piuttosto che d’energia, per
unità di frequenza. Definire però una energia per unità di tempo (potenza)
vı̀ola la condizione (3.46).
Consideriamo il caso in cui il segnale E(t) si ripeta su di un tempo scala
T . Questo ci permette di scrivere formalmente il flusso di potenza per unità
di frequenza come
dW
1 dW
4π0 c
≡
=
|Ê(ω)|2 .
dAdωdt
T dAdω
T
(3.54)
54
CAPITOLO 3. RADIAZIONE DA CARICHE IN MOTO
Se ora il segnale mantiene le sue proprietà per tutta la sua lunghezza (stazionarietà), possiamo scrivere
dW
|Ê(ω)|2
= 4π0 c lim
.
T →0
dAdωdt
T
(3.55)
L’importante è che le proprietà di E(t) (non le sue variazioni nel tempo!)
cambino su un tempo scala sufficientemente lungo da poter definire una
lunghezza T per cui una risoluzione in frequenza ∆ω ∼ 1/T sia sensata.
La durata T di un impulso determina quindi la sua risoluzione spettrale. Una presenza di una componente sinusoidale fa si che lo spettro sia
concentrato intorno a ω ∼ ω0 (vedere figura 3.6).
Figura 3.6: Segnale elettrico variabile (sinistra) e suo spettro (destra). Nell’esempio in
alto, si consideri che solo le frequenze ω > 0 hanno un significato fisico. Il disegno in basso
mostra un segnale sinusoidale sin(ω0 t) di durata finita T . Lo spettro è concentrato intorno
alla frequenza ω0 . Quale sarebbe lo spettro se il segnale avesse durata infinita?
3.4. SPETTRO DELLE ONDE ELETTROMAGNETICHE
3.4.1
55
Spettro del dipolo
Ricordiamo l’eqz. (3.35a):
d¨
sin θ.
4π0 c2 r
E=
Possiamo scrivere il momento di dipolo d(t) utilizzando la (3.48):
Z +∞
−iωt
ˆ
d(ω)e
dω,
d(t) =
(3.56)
−∞
da cui otteniamo
¨ =−
d(t)
Z
+∞
−iωt
ˆ
ω 2 d(ω)e
dω.
(3.57)
−∞
Questo ci porta al seguente risutato:
Ê(ω) = −
ˆ
ω 2 d(ω)
sin θ,
4π0 c2 r
(3.58)
che lega la trasformata di Fourier del campo elettrico con quella del momento
di dipolo. Lo spettro emesso è legato quindi direttamente alla frequenza di
oscillazione del dipolo. Questo non è vero per particelle relativistiche, come
vedremo in seguito.
Ora possiamo sostituire la (3.58) dentro la (3.53), e ottenere
ˆ2
ω 4 |d|
dW
=
sin2 θ,
dΩdω
4π0 c3
(3.59)
essendo passati da un flusso attraverso dA ad un flusso per unità di angolo
solido dΩ con dA = r2 dΩ. Integrato su tutti gli angoli ci da infine lo spettro
totale del dipolo:
ˆ2
dW
2 |d|
= ω4 3 .
(3.60)
dω
3 0 c
Capitolo 4
INTERAZIONE
RADIAZIONE–MATERIA
4.1
Diffusione
Abbiamo già visto un esempio notevole di interazione fra un’onda elettromagnetica e una particella carica (scattering Thomson). In questo capitolo
vogliamo generalizzare il tipo di interazione andando oltre la semplice carica
libera. Per descrivere la materia utilizzeremo un modello molto semplice di
atomo, e vedremo come i risultati siano in buon accordo con i dati osservativi.
Consideriamo un’onda elettromagnetica piana polarizzata linearmente
come in figura 3.5. Per il campo elettrico abbiamo:
E = E0 cos(ωt)k.
(4.1)
Immaginiamo che l’elettrone (sempre non relativistico) e non sia libero di
oscillare come nel caso di diffusione Thomson, ma sia soggetto ad una forza di
richiamo da parte del nucleo atomico al quale è legato. Molto semplicemente
scriviamo questa forza di richiamo come Fr = −kz. La forza dovuta invece
al campo elettrico (4.1) sarà Fe = −eE0 cos(ωt), da cui l’equazione del moto
per l’elettrone è
eE0
cos(ωt),
(4.2)
z̈ = −ω02 z −
me
p
dove ω0 = k/me è la frequenza associata al legame atomico. L’equazione
descrive un oscillatore forzato, dove la forzante è data dall’onda incidente,
56
4.1. DIFFUSIONE
57
mentre il legame atomico fornisce la frequenza naturale dell’oscillatore. La
soluzione è quindi
z(t) = z0 cos(ωt),
(4.3)
dove l’ampiezza vale
z0 =
eE0
.
me (ω 2 − ω02 )
(4.4)
Possiamo quindi associare al moto dell’elettrone un dipolo oscillante, e utilizzare quindi la formula di Larmor per ottenere la potenza totale diffusa.
L’ampiezza del dipolo sarà
d0 = −e z0 =
4.1.1
e2 E0
.
me (ω02 − ω 2 )
(4.5)
Diffusione Rayleigh
Consideriamo il caso in cui ω0 ω. Questa situazione descrive una situazione in cui la frequenza della radiazione incidente è molto minore della
frequenza associata al legame atomico, cioè una situazione in cui l’elettrone
è effettivamente legato al nucleo. Ricordando che la potenza mediata su un
periodo vale (eqz. 3.37)
ω 4 d20
hP iT =
.
12π0 c3
possiamo scrivere
hP iT =
ω4
e4 E02
.
12π0 c3 m2e ω04
(4.6)
La potenza irraggiata è quindi piccola (∝ (ω/ω0 )4 ), e dipendente dalla lunghezza d’onda incidente (∝ 1/λ4 ). Se consideriamo ad esempio lo spettro
visibile, fra il rosso ed il blu esiste una differenza di circa un fattore 2 nella
lunghezza d’onda, che comporta che la potenza diffusa nel blu sia circa 16
volte maggiore che nel rosso.
4.1.2
DiffusioneThomson
Consideriamo ora il caso in cui ω ω0 . La frequenza associata al legame
è piccola rispetto a quella dell’onda incidente. L’elettrone è quindi come se
58
CAPITOLO 4. INTERAZIONE RADIAZIONE–MATERIA
fosse libero, ed è infatti il caso già visto di diffusione Thomson. Sostituendo
la (4.5) in questo limite nella (3.37) otteniamo subito
hP iT =
1
e4 E02
,
12π0 c3 m2e
(4.7)
che risulta essere indipendente dalla frequenza incidente. Possiamo a questo
punto definire la sezione d’urto totale come
hP iT = hSiT σ,
(4.8)
dove hSiT = c0 E02 /2 è il vettore di Poynting mediato sul periodo. Abbiamo
quindi
σ=
8π 2
r ,
3 0
(4.9)
con r0 , raggio classico dell’elettrone, dato dalla (3.42). Abbiamo quindi riottenuto un risultato già visto.
4.2
Dispersione cromatica in un dielettrico
Consideriamo un’onda elettromagnetica incidente su un mezzo dielettrico (figura 4.1). La legge di Snell ci fornisce una relazione fra gli angoli di incidenza
θi e di rifrazione θr :
sin θi = n sin θr ,
(4.10)
dove n è l’indice di rifrazione. L’angolo di rifrazione dipende dalla frequenza
dell’onda incidente, cioè θr = θr (ν). Quindi abbiamo che n = n(ν), la
dispersione si dice cromatica. Se vale che dn/dν > 0 parleremo di dispersione
naturale. In caso contrario, dn/dν < 0, la dispersione si dice anomala.
4.2. DISPERSIONE CROMATICA IN UN DIELETTRICO
59
Figura 4.1: Dispersione cromatica in un mezzo dielettrico.
Da un punto di vista fenomenologico, nel caso di dispersione naturale si
osserva valere la legge di Cauchy:
n2 (λ) = a +
b
,
λ2
(4.11)
dove a, b sono costanti positive che dipendono dal mezzo dispersore. La legge
di Cauchy può essere riscritta come
n2 (ν) = a +
b 2
ν .
c2
(4.12)
Vogliamo spiegare la legge di Cauchy da un punto di vista microfisico,
utilizzando il modello di dipolo armonico oscillante per le cariche presenti
nel dielettrico. Mostriamo inizialmente che n dipende effettivamente da ν.
√
Sappiamo che n = c/v = r µr , dove r ≡ /0 , e µ0 ≡ µ/µ0 . In un materiale
diamagnetico o paramagnetico possiamo porre µr ' 1 e, scrivendo r ≡ 1+χ,
dobbiamo dimostrare che χ = χ(ν).
Sia ora N il numero di dipoli per unità di volume presenti nel mezzo. Sappiamo che per un mezzo isotropo e lineare possiamo definire una
60
CAPITOLO 4. INTERAZIONE RADIAZIONE–MATERIA
polarizzazione (macroscopica) PM come
PM ≡ 0 χE = N d,
(4.13)
dove d è il momento di un singolo dipolo. Quindi la suscettività elettrica χ
vale
Nd
χ=
.
(4.14)
0 E
Abbiamo visto (eqz. 4.5) che il dipolo, nel nostro modello atomico, vale
d=
e2 E
,
me (ω02 − ω 2 )
(4.15)
con E = E0 cos(ωt). Abbiamo quindi che
χ=
N e2
,
0 me (ω02 − ω 2 )
(4.16)
cioè χ = χ(ω), come volevamo dimostrare.
Poichè χ è adimensionale, la quantità
s
N e2
ωp ≡
0 me
(4.17)
ha le dimensioni di una frequenza, e viene detta frequenza di plasma. Possiamo scrivere quindi
ωp2
.
(4.18)
χ(ω) = 2
ω0 − ω 2
Da r = 1 + χ, e osservando che n2 ' r , abbiamo quindi
n2 = 1 +
ωp2
.
ω02 − ω 2
(4.19)
Consideriamo ora il caso in cui ω0 ∼ ω. Allora al prim’ordine abbiamo
ωp2
ωp2 ωp2 4π 2 c2
ω2
2
n '1+ 2 1+ 2 =1+ 2 + 4 2 ,
(4.20)
ω0
ω0
ω0 ω0 λ
che non è altro che la legge di Cauchy 4.11 una volta che si abbia
a = 1 + (ωp2 /ω02 )
(4.21a)
2 2
(4.21b)
b = 4π c
(ωp2 /ω04 ).
4.3. ASSORBIMENTO DELLA RADIAZIONE
4.2.1
61
Idrogeno molecolare
Consideriamo, come esempio, il caso in cui il mezzo sia H2 . Sperimentalmente
si trova che a P = 1 atm e T = 273 0 K, a = 1+2.721×10−4 e b = 2.11×10−18
m2 . Eliminando ω0 dalle (4.21), otteniamo ωp2 = 4π 2 c2 (a−1)2 /b ' 1.25×1029
rad2 /s2 . Da N = ωp2 0 me /e2 otteniamo quindi N ' 4 × 1025 1/m3 .
Se ora consideriamo P V = nRT nelle stesse condizioni abbiamo V =
22.4 × 10−3 m3 . Ogni molecola di H2 possiede due elettroni, cioè due dipoli.
Quindi N = 2NAv /V ' 5.4 × 1025 1/m3 . Il valore dato dal nostro modello
atomico è quindi in buon accordo con il valore dato dalla termodinamica.
4.3
Assorbimento della radiazione
Consideriamo ora, oltre alla forza dovuta all’onda incidente e a quella di
richiamo che modella il legame atomico, una terza forza Fa = −η ż di tipo
dissipativo, cioè dipendente dalla velocità della carica. Riepilogando
Fe = −eE0 cos(ωt)
Fr = −kz
Fa = −η ż.
(4.22a)
(4.22b)
(4.22c)
Possiamo scrivere l’equazione del moto dell’elettrone quindi come
eE0
cos(ωt),
me
p
dove abbiamo posto γ = η/me , e, ricordiamo, ω0 = k/me .
z̈ + γ ż + ω02 z = −
(4.23)
L’equazione 4.23 è quella di oscillatore armonico di frequenza naturale
ω0 , forzato da una forzante di frequenza ω e smorzato. Il modo più semplice
per risolverla è quella di considerare quantità complesse. Considerando z̃ =
z0 exp (−iωt) e Ẽ = E0 exp (−iωt), si ricava subito
z0 = −
eE0
1
,
2
me (ω0 − ω 2 − iγω)
(4.24)
da confrontare con la 4.4. Come si vede la forza dissipativa introduce uno
sfasamento fra l’oscillazione naturale e la forzante.
62
CAPITOLO 4. INTERAZIONE RADIAZIONE–MATERIA
Possiamo definire un momento di dipolo complesso come
d˜ = −ez̃ = −ez0 e−iωt =
e2 Ẽ
,
me (ω02 − ω 2 − iγω)
(4.25)
ed un polarizzazione macroscopica complessa
P̃M = N d˜ = 0 χẼ,
(4.26)
da cui la suscettività elettrica risulta
χ=
ωp2
,
ω02 − ω 2 − iγω
(4.27)
da confrontare con la 4.18. Da ñ2 = 1 + χ̃, possiamo infine scrivere l’indice
di rifrazione come (si veda eqz. 4.19)
n2 = 1 +
ωp2
.
ω02 − ω 2 − iγω
(4.28)
Se γ 6= 0, l’indice di rifrazione ha quindi un valore complesso. Per capire
cosa questo significhi da un punto di vista fisico (alla fine, le quantitá misurabili devono esser reali!), scriviamo n = n< + i n= . Consideriamo l’onda
che viene diffusa dai dipoli. Possiamo scrivere il modulo del vettore d’onda
come k = ω/v = ωn/c = ω/c(n< + i n= ) = k< + i k= , cioè abbiamo un’onda
con numero d’onda complesso. Se immaginiamo che propaghi lungo, es. la
direzione x, abbiamo quindi
Ẽ = E0 ei(kx−ωt) = E0 e−k= x ei(k< x−ωt) .
(4.29)
Se k= > 0, abbiamo quindi un termine di assorbimento dell’onda lungo la
direzione di propagazione. Il campo elettrico, cioè la parte reale di Ẽ, è
infatti
E = E0 e−k= x cos(k< x − ωt).
(4.30)
Notiamo che la velocità di propagazione è v = ω/k< = c/n< , dove n< è l’usuale indice di rifrazione. Notiamo inoltre che poichè l’intensità della radiazione
è I ∝ E 2 , abbiamo I ∝ E02 exp (−2ω/cn= z) e possiamo quindi definire un
coefficiente di assorbimento (per unità di lunghezza) come
ω
(4.31)
α = 2 n= .
c
Chiaramente 1/α rappresenta il libero cammino medio.
4.4. ELETTRONI LIBERI
4.4
63
Elettroni liberi
Consideriamo ora il caso in cui gli elettroni siano liberi. È quindi il caso di
un metallo o di un plasma. Relativamente al nostro modello descritto dalle
eq. 4.22, abbiamo in questo caso Fr = 0, e quindi anche ω0 = 0. In questo
caso, da (4.28), abbiamo immediatamente
n2 = 1 −
ωp2
.
ω(ω + iγ)
(4.32)
Possiamo individuare due casi limite:
Supponiamo che valga ω γ. È il caso di radiazione incidente di alta
frequenza. In questo caso possiamo scrivere
p 2
ω − ωp2
,
n'
ω
(4.33)
da cui vediamo immediatamente il ruolo giocato dalla frequenza di plasma
ωp . Per frequenze incidenti ω > ωp vediamo che n è reale, per cui non
abbiamo il termine di assorbimento, che come visto è descritto dalla parte
immaginaria dell’indice di rifrazione. Al contrario, per ω < ωp , n è puramente
immaginario. Non si ha quindi alcuna onda che propaga nel mezzo. Abbiamo
cioè il fenomeno della riflessione.
4.4.1
Conducibilità nei metalli
Supponiamo ora che sia ω γ, cioè consideriamo basse frequenze. In questo
caso abbiamo che
ωp2
ωp2
=1+i .
n '1−
iωγ
ωγ
2
(4.34)
Da questa relazione possiamo ricavare un’espressione microfisica basata sull’approssimazione di dipolo per la la conducibilità nei metalli.
64
CAPITOLO 4. INTERAZIONE RADIAZIONE–MATERIA
Iniziamo scrivendo le equazioni di Maxwell per un metallo, cioè imponendo ρ = 0, e considerando ovviamente la presenza di un mezzo:
∇·D=0
∇×E=−
(4.35a)
∂B
∂t
∇·B=0
∇×H=J+
(4.35b)
(4.35c)
∂D
,
∂t
(4.35d)
dove ricordiamo D = E, B = µH, J = σE. σ si chiama conducibilità
elettrica.
Applicando l’operatore rotore alla (4.35c), sostituendo B utlizzando la
(4.35d) e le relazioni costituenti, otteniamo
∇2 E − µσ
∂E
∂ 2E
− µ 2 = 0.
∂t
∂t
(4.36)
Immaginiamo che una soluzione sia un’onda piana lungo la direzione z.
Quindi, da ∇2 = ∂ 2 /∂z 2 , otteniamo
∂E
∂ 2E
∂ 2E
−
µσ
−
µ
= 0,
∂z 2
∂t
∂t2
(4.37)
che, per un’onda Ẽ = E0 exp i(kz − ωt), diviene
−k 2 + µω 2 + iµσω = 0,
da cui otteniamo la relazione di dispersione:
σ
.
k 2 = µω 2 1 + i
ω
Per un metallo diamagnetico o paramegnitico µ ' µ0 , da cui
σ
σ
ω2
2
2
k ' µ0 r 0 ω 1 + i
= 2 r 1 + i
.
ω0 r
c
ω0 r
(4.38)
(4.39)
Ora, sapendo che dalla definizione deve essere k 2 = n2 ω 2 /c2 , abbiamo
σ
2
n = r 1 + i
.
(4.40)
ω0 r
4.4. ELETTRONI LIBERI
65
Confrontando questa equazione con la (4.32), troviamo che r = 1, e esplicitando σ,
N e2
σ=
,
(4.41)
me γ
relazione che lega la conducibilità al coefficiente γ.
4.4.2
Risonanza
Nel nostro modello atomico esisterà, come in ogni oscillatore forzato, il fenomeno della risonanza. Consideriamo a riguardo un matariale diluito, cioè
facciamo in modo che N , e quindi ωp , sia piccolo. In questo caso la forma
generale per l’indice di rifrazione eqz. 4.28,
s
ωp2
n= 1+ 2
,
ω0 − ω 2 − iγω
diviene
n'1+
ωp2
1
,
2 ω02 − ω 2 − iγω
che può essere scritta come
ωp2 (ω02 − ω 2 )
γωωp2
1
1
+i
,
n' 1+
2 (ω02 − ω 2 )2 + γ 2 ω 2
2 (ω02 − ω 2 )2 + γ 2 ω 2
(4.42)
cioè
n = n< + i n= .
(4.43)
Se ω ' ω0 , allora possiamo scrivere ω02 − ω 2 ' 2ω0 (ω0 − ω), e quindi
ωp2
(ω0 − ω)
n< = 1 +
4ω0 (ω0 − ω)2 + γ 2 /4
γωp2
1
n= =
.
8ω0 (ω0 − ω)2 + γ 2 /4
(4.44a)
(4.44b)
Come abbiamo visto, il coefficiente di assorbimento è dato da α = 2(ω/c)n=
(eqz. 4.31). Il massimo di assorbimento si ha nella risonanza:
n= (ω0 ) =
ωp2
,
2ω0 γ
(4.45)
66
CAPITOLO 4. INTERAZIONE RADIAZIONE–MATERIA
ed è facile vedere che la larghezza della risonanza è ∆ω ∼ γ. Infatti
1
n= (ω0 ± γ/2) = n= (ω0 ).
2
(4.46)
La parte relativa alla dispersione è invece legata alla parte reale n< . Per
ω = ω0 abbiamo semplicemente n< = 1. È facile vedere che
ωp2 (ω0 − ω)2 − γ 2 /4
dn<
=
.
dω
4ω0 [(ω0 − ω)2 + γ 2 /4]2
(4.47)
Da cioè ricaviamo che si ha dispersione normale (dn< /dω > 0) per ω <
ω0 − γ/2 e ω > ω0 + γ/2, mentre la dispersione è anomala (dn< /dω < 0)
per ω0 − γ/2 < ω < ω0 + γ/2. Va altresı̀ notato che per ω > ω0 si ha (eqz.
4.44a) n< < 1 che implicherebbe v > c. Questo significa che il nostro modello
semplificato è in contrasto con la relatività speciale.