NASCITA DI UN METAGENERE - GLI AMBIENTI I n apertura di un ciclo di incontri dedicati a cinema e jazz, è doveroso proporre alcune immagini tratte dal documentario di Barbara Koepple Wild Man Blues (1997), che ripercorre le tappe di una tournè che Woody Allen ha intrapreso alcuni anni fa in Europa insieme alla New Orleans Jazz Band, nella quale si esibisce come clarinettista. La figura del filmaker newyorkese è emblematica e rappresenta l'esemplificazione migliore del connubio fra queste due forme artistiche che hanno così profondamente segnato il XX secolo. Attore, regista, jazzista dilettante ma di buona qualità Woody Allen, come vedremo meglio in seguito, ha sempre dichiarato in molte sue opere, il suo spassionato amore per la musica afroamericana, utilizzandola in molte colonne sonore di suoi film. Le origini Chaplin. In questo tipo di film doveva essere predominante la spontaneità del gesto; non dare mai l'impressione che le azioni fossero premeditate. Un cinema, cioè, dell'istantaneità e dell'immediatezza, due parole spesso utilizzate a proposito del jazz. È tuttavia con l'avvento del sonoro che il connubio diventa più stretto. Il 6 ottobre 1927 ha luogo la prima de Il cantante di jazz (The Jazz Singer) di Alan Crosland. Un minuto e venti secondi di monologo del protagonista, permette al cinema di fare ufficialmente il salto dall'era del muto a quella del parlato. E il titolo dell'opera è un omaggio alla musica più popolare del momento. Jazz e cinema sono ufficialmente uniti, anche se di jazz in questo film non vi è traccia. È, in realtà, la storia di un cantante ebreo figlio di un rabbino che, per la passione dello spettacolo, si allontana dalla casa paterna e dalla propria religione, per poi ravvicinarvisi per assistere il padre morente. Il cosiddetto cantante di jazz è quindi un bianco che si esibisce con la faccia dipinta di nerofumo e un parrucchino di lana crespa in testa, a scimmiottare un artista di colore, come nella miglior tradizione dei minstrel show, spettacoli in voga agli inizi del secolo in cui bianchi truccati da nigger parodiavano, spesso in maniera razzista, gli spettacoli dei nero-americani. Woody Allen in concerto Fin dai tempi del muto il cinema ha attinto dalla musica jazz. Molti musicisti hanno improvvisato di fronte allo scorrere delle immagini sullo schermo. È quindi possibile affermare che il jazz è stata una delle prime manifestazioni sonore del cinema, per lo meno negli Stati uniti. Nella sua autobiografia il famoso pianista Fats Waller ricorda di aver iniziato a suonare il piano davanti ai film muti, seguendo con un occhio lo svilupparsi della storia e improvvisando sullo strumento la musica che meglio sembrava adattarsi alle immagini. Stessa cosa hanno fatto numerosissimi altri interpreti, fra i quali, negli anni Venti, Count Basie, prima nella sua città natale Red Bank, poi a Kansas City, e Louis Armstrong. È facile immaginare come doveva influenzare il suono dei musicisti il ritmo frenetico delle slapstick comedy di Harold Lloyd o di Charlie Ben altra cosa è Alleluja! (Hallelujah!, 1929), primo film sonoro realizzato da King Vidor per la Metro Goldwin Mayer e recitato da un all black cast. È un ritratto tenero e affettuoso di una comunità di colore che lavora i campi coltivando cotone nel sud degli Stati uniti. La musica diviene 1 delle origini, del quale Louis Armstrong, che proprio da lì proveniva, era fra i maggiori esponenti. Tuttavia i pareri a tal proposito sono alquanto discordanti. In alcune interviste a vecchi artisti neri raccolte A destra: locandina del film Alleluja! di King Vidor; dallo studioso e critico musicale Leonard Feather, emerge che la musica che si suonamezzo espressivo fondamentale nei momenti di va a New Orleans era suonata anche in altre città gioia o di tristezza che la vita riserva loro. degli Usa, come Baltimora, Memphis o la stessa Vidor, analizzando momenti e luoghi tipici delle Chicago. Secondo altre testimonianze, quale ad giornate dei raccoglitori di cotone e accompaesempio quella autorevole del pianista James P. gnandole con i canti profani (blues) o religiosi Johnson, non si suonava, in altri posti, una musica (spiritual) realizza, così come avrebbe fatto paragonabile a quella delle orchestre jazz attive a Vincente Minnelli molti anni dopo con Due cuori New Orleans o sui battelli che solcavano il in cielo (Cabin In The Sky,1943), l'omaggio più Mississippi. Secondo queste tesi a New York o in serio e appassionato del cinema bianco al mondo altre città del nord si suonava una musica più vicinero anche se, visto con gli occhi di adesso, il film na al ragtime che al blues. non è scevro da luoghi comuni. Inoltre Vidor, pur In ogni caso l'importanza che la città dell'ex coloattratto da questo tipo di musica per il dinamismo nia francese ebbe sullo sviluppo del jazz è fuor che sprigiona, non riesce a non accostare il jazz discussione. (versione profana degli spiritual) al male, al Ma cos'era New Orleans alla fine del XIX secolo? demonio che prende possesso del corpo del protaUna città che in meno di cento anni aveva visto gonista, sino alla redenzione finale che arriverà una forte espansione, con una modificazione passando attraverso morte e prigionia. sostanziale della propria composizione sociale e In ogni caso Alleluja! ci porta direttamente alle delle proprie tradizioni. Schiavi neri provenienti origini del jazz, ai canti di lavoro e a quelli relida Haiti che avevano introdotto i riti voodoo; i loro giosi. A tutta quella musica, cioè, senza la quale il padroni, con il gusto per lo sfarzo e la ricchezza. jazz non sarebbe esistito. Dall'Europa, mercanti, coloni e emigranti provenienti da vari paesi, soprattutto dall'Italia. Le razze New Orleans È consuetudine ritenere che il jazz sia nato sulle rive del Mississippi, a New Orleans, dove sin dalla fine dell'800 erano confluiti e si erano mescolati tutti gli elementi di quella musica che del jazz erano stati i presupposti. D'altronde nella città della Louisiana erano arrivati in massa i pionieri, a partire da Buddy Bolden, considerato un po' il capostipite dei solisti di jazz. E sempre da lì erano partiti i musicisti che avrebbero fatto grande il jazz prima a Chicago e poi a New York e Kansas City. Senza dubbio New Orleans fu una fucina di grandi talenti del primo jazz, quello Il cantante di Jazz 2 si mischiarono e crebbe notevolmente la comunità creola. Insomma, una gran miscellanea di razze, culture e religioni con modi di vita e comportamentali diversi. In particolare i cattolici che, rispetto ai protestanti, mantenevano verso gli schiavi neri un atteggiamento più duro e autoritario ma permettevano a questi ultimi di mantenere le proprie tradizioni, i loro riti e le loro credenze. Questo fu il motivo per il quale, in Louisiana, rimasero ben vivi costumi e linguaggi musicali di origine africana. Saloon, orchestre da strada - le cosiddette brass band - e bordelli del quartiere a luci rosse di Storyville sono i luoghi ove si esibivano gli artisti. Fra gli altri Louis Armstrong, Jelly Roll Morton, Sidney Bechet, Kid Ory, Joe King Oliver. In Pretty Baby, primo e non completamente riuscito film americano di Louis Malle, viene descritta, attraverso gli occhi di una bambina iniziata al sesso, proprio la vita di prostitute e musicisti nei casini di inizio secolo. Il 12 novembre 1917 i postriboli di Storyville vengono ufficialmente chiusi per ordine del Comando della Marina degli Stati uniti, preoccu- pato per le risse e gli omicidi che sempre più frequentemente vedevano come vittime i marinai americani. Puttane e protettori, camerieri, cuochi e sguatteri, musicisti che lavoravano nel quartiere si trovarono, improvvisamente, senza lavoro e senza un posto dove stare. Alcuni musicisti trovarono impiego sui battelli che solcavano il grande fiume, il Mississippi. Altri, la maggior parte, si trasferirono al nord, soprattutto a Chicago, così come è descritto anche in Pretty Baby. Una stagione era finita per sempre. Molte altre sarebbero cominciate. Un film storiograficamente importante, in quanto rievoca, ripercorrendola schematicamente, la storia del jazz nei suoi passaggi da New Orleans a Chicago e poi a New York, è La città del jazz (New Orleans, 1947) di Arthur Lubin. Il film, che si apre nella città del delta, si dipana in una banale love story fra una giovane cantante lirica figlia della ricca borghesia cittadina e un biscazziere. La ragazza, che mostra un deciso interesse per i nuovi ritmi sincopati, non esita a Louis Armstrong 3 immergersi nella realtà dei locali di Storyville in cui suonano i musicisti di colore, descritti come una sorta di girone infernale dal quale le giovani di buona famiglia dovrebbero stare alla larga. È tuttavia fonte di interesse, nel film, la partecipazione dei maggiori musicisti del tempo, quali Louis Armstrong (nella versione italiana il nomignolo Satchmo viene cambiato in Sambo, termine con il quale erano chiamati un po' spregiativamente i neri), Kid Ory, Billie Holiday, qui alla sua unica apparizione cinematografica, Woody Hermann. E il film termina proprio sulle immagini del trionfo dell'orchestra del compositore bianco, sotto gli sguardi ammirati dei musicisti neri, quasi a sancire la superiorità del jazz suonato dai bianchi su quello interpretato dai neri. In un'epoca in cui il bebop irrompeva prepotentemente Dall’alto in basso: nel panorama jazziBillie Holiday; Kid Ory; stico e culturale, il Bix Beiderbecke cinema continuava a raccontare la propria versione edulcorata della storia, nonostante i musicisti neri si fossero ormai affermati. za dei musicisti neri e dove l'unico fine è quello di celebrare il cinema, lo spettacolo, l'America. Unica, tardiva, eccezione è St. Louis Blues (1959) di Allen Reisner, che racconta la vita del compositore di colore Willam Christopher Handy, con Nat King Cole, Cab Calloway e Ella Fitzgerald. In ogni caso è fuor di dubbio che il jazz, trasferitosi e impiantatosi stabilmente a Chicago vide emergere, accanto a talentuosi musicisti di colore emigrati dalla Louisiana, tutta una serie di artisti anche di notevole spessore dalla pelle chiara. Soprattutto, per la prima volta, neri e bianchi si trovarono a suonare negli stessi gruppi. Artisti bianchi del calibro di Pee Wee Russell, Eddie Condon, Mezz Mezzrow e, soprattutto, Bix Beiderbecke, iniziarono proprio nella Città del Vento, come viene chiamata la metropoli posta sulle rive del Lago Michigan, una carriera che, per alcuni, sarebbe stata strepitosa, per altri, come appunto Beiderbecke, si sarebbe conclusa tragicamente. Ma Chicago negli anni Venti non era solo musica, La criminalità organizzata in bande che si spartivano palmo a palmo il territorio cittadino raggiunse livelli incontrollabili, ciò grazie al Volstead Act, la legge che proibì il consumo di alcolici in tutti gli Stati uniti. Il jazz non poteva sfuggire a questa situazione. Gli artisti si trovarono a suonare nei locati gestiti o controllati dai gangster e, in alcuni casi, come ad esempio i New Orleans Rhytm Kings un'orchestra di musicisti bianchi provenienti da New Orleans, sotto la loro diretta protezione. Nel capolavoro di Billy Wilder A qualcuno piace caldo (Some Like It Hot, 1959), viene descritta con toni da commedia brillante, la vita dei suonatori jazz nella Chicago di quegli anni presi in mezzo, spesso incolpevolmente, nella guerra fra gang rivali. A New York! Quasi contemporaneamente il jazz fece la sua comparsa a New York al seguito della grande immigrazione che, negli anni dal 1914 al 1920, portò dagli stati del sud decine di migliaia di neri che, a poco a poco, si stabilirono nel quartiere di Harlem. I sentimenti della popolazione di colore erano divisi, in quegli anni, fra il desiderio di emancipazione da una condizione di povertà, dimenticando le proprie origini e una realtà di miseria alla quale, inesorabilmente, venivano quotidianamente con- Nei jazz film quello della superiorità della musica e dei jazzisti bianchi sui loro colleghi afroamericani è un tema dominante, almeno per quanto riguarda gli anni '40 e '50, dove prevale uno stile hollywoodiano in cui spicca la quasi totale assen4 estrazione classica che, nel 1922, controllava una ventina di orchestre. In realtà quello di Whiteman era un tentativo di addolcire le sonorità aspre e discordanti della musica dei vari Armstrong, Morton, Oliver, con i suoni ben più snobistici derivati dalla musica colta europea. Ebbe inizio un equivoco che sarebbe continuato per decenni, coinvolgendo musicisti anche più quotati di Whiteman, sia bianchi, come Stan Kenton, sia di colore, come John Lewis e il suo Modern Jazz Quartet. Nonostante ciò i musicisti neri non si lasciarono deviare dalla strada intrapresa a Chicago dagli uomini arrivati da New Orleans. Nei locali di Harlem si esibirono e divennero grandi artisti che avrebbero fatto la storia del jazz. Count Basie, James P. Johnson, Willie "The Lyon" Smith, Louis Armstrong (che faceva la spola fra Chicago e la "Grande Mela"), Fats Waller, furono solo alcuni fra i jazzisti che sarebbero diventati famosi in tutto il mondo. A questi se ne aggiunsero altri come Coleman Hawkins e, soprattutto, Duke Ellington che dal Cotton Club spiccò il volo per intraprendere una carriera stellare che lo avrebbe portato a esibirsi di fronte a platee di tutto il mondo. Il Cotton Club era un locale di Harlem posto fra la Lenox Avenue e la 142a strada. Riservato a un pubblico bianco ma animato esclusivamente da artisti di colore, era stato rilevato nel 1922 da Owney Madden, un gangster da poco uscito da Sing Sing. Il Cotton Club divenne ben presto un locale dove le ingioiellate signore della buona borghesia bianca andavano ad ascoltare la "musica dei negri". Negri che raramente potevano accedervi come spettatori e quando ciò accadeva, ad esempio nel caso di celebrità, dovevano comunque accontentarsi di posti defilati. A questo famoso locale Francis Ford Coppola dedicò un film intitolato per l'appunto Cotton Club (The Cotton Club, 1984), con Richard Gere che interpreta la parte di un cornettista (e che suona davvero lo strumento) che si esibisce, unico bianco fra musicisti neri, nel celebre locale. Accuratissime sono le ricostruzioni d'epoca, con Marylin Monroe dannati. In questo contesto il blues era uno dei pochi strumenti validi per alleviare lo squallido grigiore giornaliero e grandi cantanti come Mamie Smith furoreggiarono e divennero le beniamine degli abitanti del quartiere-ghetto. La follia collettiva per il blues, tuttavia, scemò nel giro di pochi anni anche se, ovviamente, questa musica, non scomparve. Scomparvero, invece, tutta una serie di orchestrine bianche che erano nate in quel periodo e che suonavano un falso jazz, sulla falsa riga della ben più quotata Original Dixieland Jazz Band, sfruttandone soprattutto gli aspetti divertenti e gli effetti da spettacolo di varietà. Ben presto a New York nacquero le grandi orchestre capeggiate da artisti sia di colore che bianchi. Fra i primi, il più quotato era Fletcher Henderson, arrivato nel 1920 dalla Georgia. Tuttavia, al pari di altri capi orchestra, Henderson non era molto noto al grande pubblico bianco. Il jazz per molti era soprattutto la musica da ballo che faceva Paul Whiteman, un musicista bianco di 5 le musiche di Fats Waller, Louis Armstrong, Duke Ellington e Cab Calloway, che interpreta se stesso cantando Minnie The Moocher. Il film si sviluppa lungo tre linee drammatiche. La prima segue le vicissitudini della comunità nera, umile e derelitta alla quale il Cotton Club apre le porte solamente in qualità di animali da palcoscenico. La seconda e la terza seguono, rispettivamente, le gesta del gangster locale e del cornettista interpretato da Gere. Cotton Club è un film corale dove grande importanza assume il contorno di caratterizzazioni e di grandi attori che interpretano parti secondarie (uno su tutti Julian Beck, fondatore del Living Theater, nella parte di un guardaspalle), oppure alla presenza di sosia di alcune celebrità dell'epoca come Chaplin, James Cagney, Gloria Swanson, ecc. verà la vita sconvolta dalla cantante del locale (Virginia Mayo) che farà attirare su di lui e sui colleghi le attenzioni e le ire della mafia locale. Gli studiosi verranno così a conoscenze con le gioie che può procurare la musica jazz. Di notevole, nel film, le musiche interpretate da Louis Armstrong, Charlie Barnet, Lionel Hampton, Tommy Dorsey, mentre uno dei professori è interpretato dal compositore e capo orchestra Benny Goodman. Kansas City La Grande Depressione del 1929, che portò gli Stati uniti d'America sull'orlo del fallimento, ebbe ripercussioni negative anche sul mondo del jazz. I locali delle grandi Tom Pendergast, boss città, da New York a incontrastato di Kansas City Chicago, entrarono in negli anni ‘20 crisi e migliaia di musicisti si trovarono da un giorno all'altro disoccupati. A New York, soprattutto, dove molti artisti si erano trasferiti provenienti da Chicago, città che iniziava a scontare le conseguenze dell'amministrazione corrotta del suo sindaco Big Bill Thompson, legato a filo doppio con Al Capone. L'era d'oro del jazz chicagoano era per sempre terminata. I maggiori musicisti, da Gene Krupa a Eddie Condon, da Benny Goodman a Bud Freeman, si ritrovarono in Times Square a New York, cercando di sbarcare il lunario alla meno peggio. Ma se la situazione per i bianchi era grama, per i musicisti neri era addirittura disperata, aggravata da difficoltà legate ai sempre presenti pregiudizi razziali. Molti artisti di colore finirono per abbandonare l'attività dedicandosi ad altro, come, ad esempio, Kid Ory, finito ad allevare galline, o Sidney Bechet, che aprì un'umile bottega a Harlem. Altri film trattarono, sia in maniera brillante, sia in forma più drammatica, i rapporti fra jazz e malavita. Fra i primi un film di Howard Hawks, Venere e il professore (A Song Is Born, 1948), un musical con Danny Kaye e Virginia Mayo, rifacimento di un precedente film dello stesso Hawks, Colpo di fulmine (Ball Of Fire, 1942). Mentre in Colpo di fulmine alcuni professori vorrebbero apprendere lo slang parlato dalla mala (memorabile l'assolo di batteria che Gene Krupa interpreta davanti a Barbara Stanwyck utilizzando come bacchette due fiammiferi e la scatoletta come tamburo), in Venere e il professore un gruppo di studiosi sono impegnati nella realizzazione di una nuova enciclopedia. Arrivati a dover commentare la voce "jazz", uno di loro, Danny Kaye, decide di immergersi nella realtà dei night-club per meglio apprendere tutto quello che possa tornare utile per la compilazione dell'opera. Si tro- Ma se il jazz era in declino nelle grandi città dell'est, non lo era nel sud ovest e, in particolare a Kansas City nel Missouri, dove prosperava proprio nel momento in cui stava declinando altrove. Ciò fu possibile grazie a due fattori. Alla posizione geografica strategica Una scena di Kansas City, di Robert Altman 6 della città che le aveva permesso di diventare il maggior centro commerciale del sud ovest e al particolare clima instaurato a quel tempo da Tom Pendergast, politicante locale e boss incontrastato, possessore del potere politico e controllore di ogni sorta di racket, da quello degli alcolici a quello dei locali notturni. L'aria che si respirava a Kansas City è descritta nel film di Robert Altman Kansas City (1996) nel quale alcuni musicisti di oggi, fra cui James Carter e Joshua Redman rendono omaggio a Count Basie e alle jam sessions nelle quali Coleman Hawkins sfidava Lester Young in vere sax battles. Kansas City è una straordinaria ricostruzione degli ambienti e di un'epoca di grande maturità per la musica nera, anticipatrice della rivoluzione linguistica che, di lì a una decina di anni, sarebbe stata introdotta con il bebop. Proprio le jam sessions erano un fattore caratterizzante la vita musicale della città del Missouri. I migliori suonatori dell'epoca si confrontarono in interminabili sfide all'ultima nota. Negli anni fra il 1933 e il 1936 era facile incontrare Lester Young, Coleman Hawkins, Ben Webster, Charlie Parker, allora giovanissimo, la pianista e arrangiatrice Mary Lou Williams. Spesso questi "monumenti" della musica afroamericana venivano svegliati in piena notte e chiamati per risolvere sfide difficili. dalle rivolte che, ogni tanto, scoppiavano nei ghetti e che videro il culmine negli anni della guerra, come testimoniano i tumulti di Harlem e Detroit del 1943. Il bebop: la riscoperta delle proprie origini L'"era dello swing" finì con la guerra, negli studio ove si registravano i V-disc, i dischi prodotti esclusivamente per i soldati al fronte e che permisero agli europei di scoprire e capire il jazz. Ma se un certo mondo legato al puro divertimento stava inesorabilmente scomparendo (le orchestre swing battevano i loro ultimi colpi suonando per i soldati che tornavano dal fronte a guerra finita, come descritto nelle scene iniziali di New York, New York (id., Martin Scorsese, 1977), non stava di certo morendo il jazz, pronto a ripresentarsi sotto altre vesti, più dure, di rottura, di riscoperta delle proprie origini da parte dei musicisti afroamericani. Stava nascendo il bebop, che fece la sua prima comparsa ufficiale nei locali della 52a Strada di New York nel 1944. A tal proposito Woody Herman, raccontando una sua esperienza all'Onyx Club ad ascoltare il quintetto di Dizzy Gillespie e Oscar Pettiford, ebbe a dire: "Appena fummo entrati, quei tipi afferrarono i loro strumenti e si misero a suonare quella loro roba folle. Uno si interrompeva improvvisamente, un altro cominciava a suonare senza una ragione al mondo. Noi non avremmo mai saputo dire quando un assolo avrebbe dovuto cominciare o terminare. Poi tutti quanti smisero di suonare e se ne andarono dal podio. Ci spaventarono". Con il finire della cosiddetta "era Pendergast", il jazz a Kansas City scomparve quasi del tutto, per rifiorire a New York contemporaneamente al New Deal instaurato dal nuovo presidente Franklin Delano Roosevelt. Era giunto il momento di abbandonarsi al divertimento. Nacque lo swing, una musica adatta al ballo, alla festa. Bianchi e neri erano tutti accomunati nel realizzare una musica il cui scopo era quello di far dimenticare i giorni cupi della depressione. Gli appartenenti a entrambe le razze si accalcavano sulle piste da ballo per ascoltare la medesima musica. Questo non voleva certo dire che la discriminazione razziale era superata. I neri che si stiravano e si impomatavano i capelli o i jazzisti di colore che vestivano eleganti marsine, non erano un omaggio alla superiorità dei bianchi bensì, piuttosto, un fenomeno di mimetismo necessario per sopravvivere in una società che continuava a tenere i neri nelle stanze di servizio. Che il fuoco covasse sotto la cenere è dimostrato I prodromi di questa "rivoluzione" musicale erano riscontrabili già da alcuni anni. In particolare in un locale newyorkese, il Minton's Playhouse, dove sin dal 1940 si ritrovavano a suonare musicisti allora sconosciuti ma che sarebbero diventati estremamente famosi di lì a qualche anno. Basti ricordare, fra gli altri, Thelonious Monk, Kenny Clarke, Charlie Christian, Dizzy Gillespie, Bud Powell e Charlie Parker detto Bird, che stupì tutti per il tipo di musica che era in grado di suonare. Certo il bebop non ebbe vita facile. Accanto ai suoi ammiratori, vi erano anche numerosi detrattori. Tra questi molti musicisti della vecchia guardia, come Louis Armstrong, che vedevano nel nuovo modello musicale semplicemente un modo per fare, come disse lo stesso Satchmo, dell'esibizionismo malizioso. 7 Una intensa immagine del sassofonista Dexter Gordon In realtà non era così. Il bop, come presto venne chiamato, voleva essere non più una musica da ballo, bensì una musica da ascoltare, lontana dalle logiche dell'industria musicale. Una musica intrinsecamente africana. Il movimento bopper, infatti, non fu solamente rivoluzionario nella musica; ebbe anche implicazioni di carattere sociologico e culturale nella vita dei giovani neri, permettendo loro di ritrovare un'identità e una dignità che la loro razza aveva perduto. Anche per questo molti giovani abbracciarono la fede islamica, modificando il proprio nome, così come successe nei successivi anni '60 con il movimento delle Black Panther. Era una maniera questa per sentirsi più legati alla madre Africa. Il bebop permise al jazz di assumere, da quel momento, una connotazione di musica "dotta". Tuttavia, dopo i primi anni di curiosità, questa musica entrò in crisi e i loro esponenti, fatte, pochissime eccezioni, come ad esempio Dizzy Gillespie, conducevano una vita di miseria, anche a causa delle droghe pesanti delle quali molti di essi abusavano. Furono in molti a morirne o a accusare pesanti conseguenze. Charlie Parker morirà a soli trentacinque anni; l'eroina si portò via Fats Navarro, considerato una delle migliori trombe bopper; Tadd Dameron finì in manicomio per molti anni, così come il pianista Bud Powell che entrò e uscì più volte dalle cliniche psichiatriche. Proprio la figura di Bud Powell è l'ispiratrice di 'Round Midnight - A mezzanotte circa ('Round Midnight, 1986) del regista francese Bertrand Tavernier. Ambientato a Parigi, a cavallo fra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60 il film, attraverso il personaggio immaginario di Dale Turner (splendidamente interpretato da Dexter Gordon) e della sua amicizia con Francis Borier (a sua volta ispirato alla figura di Francis Paudras, biografo e amico di Powell), offre uno spaccato della cultura e dell'ambiente parigino e di come questo abbia assorbito il jazz proveniente da oltre oceano. Grazie alle immagini e, soprattutto, alla splendida colonna sonora che il pianista Herbie Hancock ha realizzato rielaborando famosi standard, Tavernier celebra un'epoca trattandola in maniera romantica, 8 con grande pathos, ma mai con retorica. Anche per questo, a quasi vent'anni dalla sua uscita nelle sale, 'Round Midnight resta uno dei migliori jazz film mai realizzati, opera importante per conoscere e apprezzare il jazz. della sua scarsa immediatezza di recepimento della melodia. Ma dopo il raffreddamento il jazz tornò a “riscaldarsi”. Accadde così che al cool jazz seguì un risveglio del jazz nero. Nomi nuovi salirono alla ribalta del panorama jazzistico. Artisti quali il trombettista Clifford Brown, i batteristi Art Blakey e Max Roach, il sassofonista Sonny Rollins, il pianista Horace Silver, furono i fautori di una stagione che, partendo dal bop, sviluppò una musica più aggressiva, magari più semplice, ma che riscopriva i caratteri delle fonti, rivalutava le caratteristiche fondamentali del jazz, come l'improvvisazione, l'impeto ritmico, il senso del blues. In poche parole, i neri stavano riprendendo in mano la loro musica, così come sarebbe successo qualche anno più tardi con Charles Mingus, John Coltrane, Max Roach, che realizzò la Freedom Now Suite, un tributo alla lotta di liberazione del popolo afroamericano e veicolo di protesta e di richiesta di giustizia . Così come accadde con il movimento delle Black Panthers e il free jazz o, meglio, la free music, come prefivano chiamarla i vari artisti che, negli anni '60, la realizzarono e, fra i quali, ricordiamo Ornette Coleman, Archie Shepp, Albert Ayler, Don Cherry. Dal bebop al free jazz Con la fine del bebop il jazz, allo scopo di addolcire il suono, per così dire, si raffreddò. Nacque così il cool jazz che dalle rive dell'Atlantico, con le esperienze significative di Lennie Tristano, di Woody Herman e la sua orchestra nella quale militavano, fra gli altri, Jimmy Giuffre e Stan Getz, di Dave Brubeck, Miles Davis e Gil Evans, si trasferì sul Pacifico dove si sviluppò la cosiddetta "scuola californiana" che vide concretizzarsi le esperienze importanti di Shorty Rogers, Shelly Manne e, soprattutto, Gerry Mulligan e il suo quartetto nel quale alla tromba si esibiva Chet Baker. L'esperienza del cool jazz durò poco; verso la fine degli anni '50 molti musicisti rimasti a Los Angeles si lasciarono assorbire dall'anonimato degli studi di incisione o di registrazione annessi agli stabilimenti cinematografici. Il jazz, bianco e saggio, diventò una musica alla moda nella Hollywood di quegli anni, dando un particolare colore alle musiche da film, facendo, cioè, quello che non aveva fatto il bebop a causa 9 I PROTAGONISTI BIOGRAFIE REALI E IMMAGINARIE NEL JAZZ C ome già accennato in precedenza, con gli anni Quaranta e Cinquanta il cinema hollywoodiano, nostalgico di una mitizzata epoca d'oro, si reinventa la storia del jazz, moltiplicandone le biografie romanzate. La biopic, o biografia musicale, non limitata solamente al jazz, tende a rendere epiche le figure di cantanti, ballerini, musicisti. Nell'ambito della musica jazz, il risultato è oscillante fra opere che, in quanto realizzate da abili cineasti quali furono, ad esempio, Michael Curtiz o Anthony Mann, risultano narrativamente pregevoli e prodotti che rientrano fra i peggiori modelli del cinema di Hollywood, con cronache romanzate e scontato happy end finale. Dalla parte dei bianchi La figura di Al Jolson (l'attore bianco che portò sullo schermo la macchietta del negro ne Il cantante di jazz, è celebrata da Henri Levin in Jolson Sings Again (1943), da Alfred E. Green in The Jolson Story (1946) e nel remake omonimo del film di Alan Crosland, realizzato da Michael Curtiz nel 1953. Ma sono soprattutto le vite dei grandi direttori d'orchestra a rendere popolare il film biografico. Benny Goodman, Glenn Miller, Gene Krupa, Red Nichols, sono solo alcuni dei jazzmen più in voga in quel periodo che Locandina del film Il re del jazz hanno avuto l'onore di vedere la loro vita narrata sullo schermo, anche se, nella maggior parte dei casi, il risultato è piuttosto mediocre. Ne Il re del jazz (The Benny Goodman Story, 1956) di Valentine Davies, viene ripercorsa la vita del band leader Benny Goodman dall'adolescenza 10 e dalla giovinezza, dove viene musicalmente instradato da Kid Ory, vecchio grande del jazz di New Orleans, sino ai trionfi alla Carnegie Hall, tempio della musica lirica che apre al nuovo sound americano. Proprio il concerto newyorkese è forse il momento migliore del film, tutto sommato mediocre e privo di mordente, ravvivato, si fa per dire, dalla love story fra il protagonista e la futura moglie. Sullo schermo si susseguono i pezzi che la band di Goodman realizzò in quella serata, a partire da Shine con uno stupendo assolo di Harry James alla tromba, passando per i virtuosismi di Lionel Hampton al vibrafono, per finire con Sing, sing, sing, scatenato assolo di Gene Krupa alla batteria. Nel film Benny Goodman è interpretato da Steve Allen, allora popolare conduttore di talk show televisivi, mentre Ellis, la fidanzata, è interpretata da Donna Reed. Le sequenze musicali in cui Locandina del film Steve Allen suona sono Chimere doppiate al clarinetto dallo stesso Goodman, mentre i componenti della band, Hampton, Krupa, Teddy Wilson, appaiono nella parte di se stessi. Di livello superiore appaiono Chimere (The Young Man With A Horn, 1950), realizzato da Michael Curtiz e La storia di Glenn Miller (The Glenn Miller Story, 1954) di Anthony Mann. In Chimere il protagonista, ribattezzato per l'occasione Rick Martin, interpretato da Kirk Douglas, si autodistrugge con l'alcol a causa di una donna (Lauren Bacall). Ispirato alla breve e dannata vita di Bix Beiderbecke, giovane e talentuoso cornettista di Davenport, Iowa, non ne ricalca fedelmente la storia. In Chimere Rick Martin viene descritto come un orfano mentre Bix non lo era; ad accomunare i due personaggi è la dipendenza dal whisky che portò Bix alla morte a causa di una polmonite che aveva minato il suo fisico debilitato. In Chimere, invece, è d'obbligo il lieto fine: il prota- gonista, ormai in preda all'alcolismo, vaga solo per la città. La polmonite che lo colpisce non lo porterà alla morte ma, grazie all'affetto e al conforto degli amici, una volta guarito ritornerà in sé, più uomo e, quindi, secondo Curtiz, musicista migliore, meno geniale ma più equilibrato. Bello e, jazzisticamente parlando, più riuscito, è il momento in cui viene presentato allo spettatore il panorama variegato delle sale da ballo, dei locali alla moda dove si esibiscono le big band, o i locali fumosi dove i jazzisti si esibiscono per un pubblico meno esclusivo. Nel film c'è un forte richiamo al noir, non inteso come film poliziesco o thriller, bensì come film d'ambientazione, dove il protagonista si perde nei bassifondi di Chicago in preda all'alcol a causa di una dark lady, Lauren Bacall, pronta a corrompere la purezza del protagonista, contrapposta all'amica cantante che lo aiuterà nel ritrovare la propria dignità e che nel film è interpretata da Doris Day, considerata allora la fidanzatina d'America, immagine della brava ragazza nell'immaginario collettivo. Nel film la tromba di Kirk Douglas è quella di Harry James, anche se lo stesso Douglas aveva preso lezioni di tromba per tre mesi, al fine di impostare correttamente il movimento delle dita e la posizione delle labbra sullo strumento, così come avrebbe fatto vent'anni dopo Robert De Niro per New York, New York. Più recentemente alla vita di Beiderbecke si è ispirato il nostro Pupi Avati che, nel 1991, ha realizzato Bix - Un'ipotesi leggendaria. Avati, che in gioventù era stato, a livello dilettantistico, un discreto e appassionato jazzista (ricorderà tali trascorsi nel film per la Tv Jazz Band, 1978), si lascia trasportare dall'entusiasmo, realizzando, però, un film freddo e spesso noioso. Attraverso tutta una serie di flashback, ci viene mostrata la vita di Bix a partire dai contrasti con la famiglia che lo portano a disertare l'università per andare a sentire suonare i New Orleans Rhytm Kings, alla nascita della band dei Wolverines, dove iniziò la sua carriera e nella quale divenne famoso, sino alla tragica fine, avvenuta il 6 agosto 1931. Le musiche del film sono state curate da Lino Patruno che suona il banjo e che si è affidato, per gli arrangiamenti, a Bob Wilber, già impegnato nel Cotton Club di Coppola. Come si può capire, il jazz film americano degli 11 anni Cinquanta era propenso a esaltare soprattutto le gesta di musicisti bianchi. Ciò è dimostrato anche da altre pellicole, quali Ritmo diabolico (The Gene Krupa Story, 1959) di Don Weis, incentrata sulla vita del batterista Gene Krupa; I cinque penny (The Five Pennies, 1958), di Melville Shavelson, biografia del trombettista bianco Red Nichols, e il già citato La storia di Glenn Miller, di Anthony Mann, nel quale si ritrovano, accanto a James Stewart che interpreta la parte del protagonista, gli stessi Krupa e Nichols, insieme a Benny Goodman. Il film ripercorre in maniera rigorosa e precisa la vita del grande compositore morto nel 1944 precipitando con un aereo nella Manica mentre da Londra si dirigeva a Parigi per suonare nella città liberata dai tedeschi. Commedia e buoni sentimenti si intrecciano in un film che ricorda un'opera di Frank Capra, grazie anche alla presenza di James Stewart, uno dei suoi attori prediletti. Dal punto di vista più propriamente jazzistico, è da antologia la sequenza nella quale per festeggiare le nozze fra Miller e Helen, interpretata da June Allyson, gli L’attore James Stewart nei panni amici trascinano del direttore d’orchestra Glenn Miller la coppia in un locale di Harlem dove sul palco suona Louis Armstrong che li coinvolge in una scatenata jam session. Altre biografie musicali vennero realizzate in quegli anni, perpetuando spesso lo schematismo di cui si è già detto in precedenza. Alle pellicole già menzionate va aggiunta I favolosi Dorsey (1947), di A. W. Green, che rende omaggio alla figura dei fratelli Dorsey, Jimmy e Tommy, rispettivamente clarinettista e trombonista, che diressero insieme una grande orchestra avvalendosi, per gli arrangiamenti, del giovane Glenn Miller. Nel film a loro dedicato, i due fratelli, idea che ha fatto la fortuna del film, interpretano sé stessi. Da ricordare ancora La donna del gangster (1951) di Leslie Kardos e Tempo di furore (Peter Kelly's Blues, 1995) di Jack Webb, due esempi di biografie immaginare. Una parziale svolta alla celebrazione del jazz bianco la si ha nel 1958 con l'uscita di Saint Louis Blues (St. Louis Blues) diretto da Allen Reisner e ispirato alla vita del compositore di blues tradizionali William Christopher Handy, interpretato dall'allora famosissimo Nat "King" Cole. Il film non è privo della solita retorica hollywoodiana che considera il blues la musica del demonio e chi la suona perduto e condannato a scontare i propri peccati. Nel caso di Handy la punizione divina sarà rappresentata dalla cecità, seppur temporanea cosicché, una volta riacquistata la vista, potrà scontare le proprie colpe dedicando il proprio talento alla musica sacra e assecondando, così, i desideri del padre, pastore della chiesa episcopale. Nonostante ciò il film risulta interessante per alcuni motivi. Innanzi tutto per le splendide interpretazioni di Ella Fitzgerald (qui nella parte di sé stessa) e di Mahalia Jackson come corista nel coro della chiesa del pastore. Poi l'alternanza fra sacro e profano, la musica gospel e quella blues, descrivono in maniera particolarmente efficace la base culturale da cui è originata la musica afroamericana. Da questo punto di vista sono splendide le interpretazioni dei gospel e dei canti di lavoro. Infine, nonostante il lieto fine, il film si permette un breve insegnamento sulla musica nera, definendo il blues come l'unico, vero, contributo dell'arte statunitense nel mondo. Il jazz film contemporaneo Per avere una significativa svolta nel jazz film, bisognerà attendere gli anni Settanta. Dopo alcune pellicole biografiche, o pseudo biografiche, piuttosto deludenti, fra le quali La signora del blues (Lady Sings The Blues, 1972) di Sidney J. Furie, sulla vita di Billie Holiday (per altro ottimamente interpretata dalla cantante Diana Ross, al suo esordio sullo schermo), escono nel 1977 due opere fra loro assai lontane ma entrambe preludio al jazz film contemporaneo. Si tratta di Passing Through, di Larry Clark e New Sean Penn nella parte di Emmett Ray in Accordi e disaccordi di Woody Allen 12 York, New York di Martin Scorsese, considerato uno dei suoi migliori lungometraggi. Quest'ultima è la storia immaginaria di una coppia di jazzisti bianchi, il sassofonista Jimmy Doyle, interpretato da Robert De Niro e la cantante Francine Evans, interpretata da Liza Minnelli. Il film ne segue le vicende dalla fine della Seconda guerra mondiale e per circa un ventennio. I due, con le loro scelte agli antipodi, rappresentano il diverso modo di concepire il jazz. Da un lato (De Niro) la ricerca e l'impegno, che portano necessariamente all'emarginazione (tutto ciò rappresenta il bebop, cioè il nuovo modo di intendere la musica jazz), dall'altro (Minnelli) la scelta di realizzare una musica più commerciale, pienamente inserita nello show business dell'industria discografica e del musical. In realtà Scorsese, raccontando le vite di Jimmy e Francine, non si discosta molto dai suoi film precedenti, Mean Street e Taxi Driver. Al pari di questi, New York, New York non è altro che una dolente ballad dove a emergere è la solitudine dei due personaggi che non riescono a vivere al di fuori della finzione del palcoscenico. New York, New York, pur non essendo propriamente un musical (i dialoghi non avvengono mai in chiave musicale), al musical allude, soprattutto per quanto riguarda le coreografie, per alcuni dettagli scenografici quali, ad esempio, le scene in cui oltre due ore di film. Accordi e disaccordi è invece la ricostruzione in forma semi-documentaristica della vita dell'immaginario chitarrista swing Emmet Ray, ottimamente interpretato da Sean Penn che ne fa un personaggio vanesio, sbruffone, insicuro e geniale, considerato il più grande chitarrista jazz del mondo "se solo non fosse esistito Django Reinhardt". Film malinconico e molto umoristico, è una riflessione del destino dell'eterno secondo, scritto da Woody Allen ispirandosi alla Strada di Fellini, soprattutto per la presenza della figura di Hattie, la silenziosissima moglie di Ray, che ricorda molto la Gelsomina interpretata da Giulietta Masina. Nel film Sean Penn, che ha comunque preso lezioni di arpeggio alla chitarra, è doppiato da Howard Alden. Una scena di Mo’ better blues, di Spike Lee compaiono alcune big band, per le atmosfere notturne o, ancora, per l'omaggio che Scorsese rende a Judy Garland, riprendendo la figlia Liza Minnelli quando canta inquadrata dal riflettore nello studio deserto. De Niro, che aveva studiato sax per tre mesi prima Documentare il jazz di interpretare il film, è doppiato da George Auld, che compare nel film anche come direttore d'or- Se Accordi e disaccordi è una fiction che utilizza, chestra. in parte, le tecniche tipiche del documentario, svariati sono i documentari che, a partire dagli anni Del filone "biografie immaginarie" sono state rea- Settanta, hanno analizzato generi e personaggi lizzate varie opere. Fra le più significative, oltre tipici del jazz. New York, New York, vanno ricordate Mo' Better Tralasciamo gli svariati documentari relativi a Blues (id., 1990) del regista nero Spike Lee e concerti e festival, citando solamente Jazz In A Accordi e disaccordi (Sweet and Lowdown, 1999) Summer Day (Bruce Stern, 1959), cronaca di un'edi Woody Allen. dizione del Festival di Newport. L'inizio è assai Nel primo Spike Lee che, fra l'altro, è figlio di un spettacolare con la macchina da presa che filma le jazzista, descrive e analizza attraverso la vita di acque del porto della cittadina atlantica ingrandenBleek Gilliam, immaginario trombettista di colo- dole sino al dettaglio per creare astratti arabeschi, re, la vita della comunità nera newyorkese. allargandosi poi sul palco sul quale si esibisce il Lee, che si ritaglia la parte dell'impresario di sassofonista Jimmy Giuffre. Bleek, rende in maniera estremamente sobria e Jammin The Blues è, invece, un cortometraggio credibile, senza mitizzarla, la vita di un jazzista, realizzato nel 1944 dal fotografo di origine albadi un individuo attraverso la sua ascesa e la suc- nese Gijon Mili. Capolavoro assoluto nella storia cessiva caduta. Nel film, molto amaro e dramma- del jazz film, è girato in un bianco e nero che non tico, Bleek smetterà di suonare dopo che, per lascia spazio alle tonalità intermedie, prediligendo difendere l'amico impresario, due "gorilla" gli chiaroscuri molto netti. Riprende una jam session spaccano la bocca. con il sassofonista Lester Young, mettendo in Mo' Better Blues è un'opera che affronta molti scena un sestetto a cui si aggiunge una cantante e temi cari al regista, come la vita nel quartiere di poi un altro sassofono. Grazie al lavoro del regista Brooklin, i rapporti all'interno della famiglia, le questo film, precursore dei moderni video clip è dinamiche di coppia, la cultura afroamericana. un tentativo riuscito di restituire tutto il calore del La colonna sonora è composta da Bill Lee, padre blues, la vera essenza della musica afroamericana. di Spike, Frank Foster e Branford Marsalis, che doppia Denzel Washington. Si avvale, inoltre, di Per quanto riguarda il documentario vero e pronumerosi brani di Miles Davis, Charles Mingus, prio, è possibile distinguere, grossolanamente, due Cannonball Adderley e John Coltrane, fra cui il filoni principali. Nel primo possono essere comsuo A Love Supreme, che ritorna spesso durante le presi tutti quei documentari che prendono in con13 siderazione il blues sia come fenomeno corale, legato al filo della memoria, alla ricerca delle proprie radici, sia come analisi dei legami che possono intercorrere fra una musica, una città e la comunità di colore che la abita. Il primo è il caso, ad esempio, di Mississippi Blues, film del 1985 realizzato da Robert Parrish, un vecchio regista che fra l'altro, è stato anche montatore dei film di John Ford, e Bertrand Tavernier, il noto regista francese autore del già citato 'Round Midnight. Mississippi Blues può essere a tutti gli effetti considerato la biografia di una comunità, quella di colore, che abita gli stati del profondo sud degli Stati uniti, il Mississippi in particolare. I due filmaker ci raccontano, percorrendo con un vecchio gippone i luoghi dove il blues è nato e si è sviluppato, come in queste zone esista ancora una comunità afroamericana che, come un tempo, canta i negro-spirituals o i rural-blues. Il secondo caso è quello di Chicago Blues (1971) di Harley Cokliss in cui, attraverso una carrellata di immagini che illustrano la città e una serie di esibizioni dal vivo di famosi musicisti quali Buddy Guy, Muddy Waters, Johnnie Lewis e altri, viene evidenziato il legame intercorrente fra il blues e la "città del vento". In questo film, Cokliss, escludendo di proposito dalle inquadrature i bianchi, propone Chicago quale simbolo dell'identità della gente di colore. Scorsese che, nel 2003, proclamato dal Congresso americano "anno del blues", ha prodotto una serie di sette film documentari diretti ognuno da un regista diverso. A partecipare al progetto sono stati Wim Wenders con The blues-l'anima di un uomo (The Blues-The Soul of a Man), per la verità in parte fiction, cioè ricostruito; lo stesso Martin Scorsese con Dal Mali al Mississippi (From Mali To Mississippi); Marc Levin con Godfathers and Sons; Mike Figgis che ha realizzato Red, White & Blues; Richard Pearce, regista di The Road To Memphis; Charles Burnett con Warming by the Devil's Fire e, infine, Clint Eastwood con il suo Piano Blues. Il secondo filone di film a stampo documentaristico prende in considerazione l'aspetto biografico di personaggi famosi della musica jazz. Molte sono le monografie sui grandi del jazz. Memories of Duke (1980) di Gary Keyes, sulla vita di Duke Ellington; The Long Night of Lady Day (John Jeremey, 1984), su Billie Holiday; The Coltrane Legacy (Burrill Crohn, 1985) e Saxophone Colossus (Robert Mugge, 1986) incentrati, rispettivamente, sulle figure di John Coltrane e Sonny Rollins. Ma più di tutti appaiono significativi tre documentari che, in ordine cronologico sono Notes From a Jazz Survivor (1982) di Don McGlynn, sulla tormentata vita dell'altosassofonista californiano Art Pepper, che ebbe la vita segnata dalle Sempre al blues si è ispirato di recente Martin malattie e da un lungo periodo passato in prigione per una rapina a mano armato compiuta allo scopo di procurarsi i soldi per la dose giornaliera. Thelonious Monk - Straight No Chaser che la regista Charlotte Zwerin ha realizzato nel 1988 allo scopo di documentare la vita del grande pianista bopper utilizzando, intercalandone le immagini con quelle da lei giraChet Baker te, un filmato di 14 Bird Thelonious Monk repertorio realizzato nel 1968 dai fratelli Michael e Christian Blackwood durante la prima tournée internazionale di Monk e del suo gruppo. Il risultato è assolutamente apprezzabile, tanto che il New York Daily News lo ha definito "il più bel documentario sul jazz mai girato", con due scene emblematiche che danno il senso della lotta interiore di Thelonious Monk. Nella prima, Monk passeggia per le strade di New York e, a un passante che lo riconosce, dice "Sai, sarò occupato. Andrò dappertutto… ma sai non so che cosa farò qui", quasi a significare come l'indecisione delle proprie scelte fosse sintomo di un forte dissidio interiore. Nella seconda scena il sassofonista Charlie Rouse chiede a Monk delucidazioni su quale nota suonare. Il pianista, fissando lo spartito, gli risponde: "Una di quelle che sono qui, puoi suonare una di queste", cioè la libertà più assoluta come unica regola da seguire. Thelonoius Monk quindi come bopper fra i più radicali e quasi anticipatore del free jazz. Infine Let's Get Lost, uscito nel 1989 e realizzato dal fotografo Bruce Weber sulla figura del trombettista Chet Baker. È un appassionato e sincero ritratto di una delle figure più sensibili, poetiche e tragiche della musica jazz. Lo stesso Baker acconsentì alla realizzazione di questo documentario, le cui riprese iniziarono nel 1985. Ma la morte improvvisa del trombettista, avvenuta nel 1988 in circostanze mai completamente chiarite (disgrazia? suicidio? omicidio?) obbligò il regista a rivedere completamente il senso dell'opera e la sua sostanza: da omaggio a un personaggio assai popolare e amato dal pubblico, il film ne è diventato il doloroso commiato. L'opera di Weber è girata in uno splendido bianco e nero che esalta la drammaticità del personaggio, un uomo malato, debole, sfortunato che, nonostante tutto, nonostante la droga che gli aveva scavato il volto, non aveva mai perso la voglia di vivere. Genio. È questa la prima cosa che viene alla mente pensando a Charlie Parker. Parola indubbiamente inflazionata, soprattutto quando si parla di grandi artisti, ma in questo caso appropriata, poichè Charlie Parker è stato davvero un genio nel suo campo, come pochi altri. Fu quello che, più di tutti, all'epoca della "rivoluzione bopper", cambiò la musica jazz, reinventandone la sintassi, rivoluzionando il modo di suonare e di concepire questa musica. A questo personaggio, fondamentale per il jazz moderno, Clint Eastwood ha dedicato uno dei suoi film migliori: Bird (1988), dal nomignolo con cui Parker era chiamato. Attraverso questo film bellissimo, Eastwood, grande appassionato di jazz, racconta in ordine non cronologico la vita del grande altosassofonista, morto a soli trentaquattro anni con il corpo minato dall'alcol e dalla droga. La bravura del regista californiano sta nell'indagare dall'interno un personaggio così tormentato, in bilico fra normalità e schizofrenia, evitando accuratamente qualsiasi cliché di genere e riuscendo a mantenere tutto il film, che dura quasi tre ore, su binari di estrema rigorosità, senza nulla concedere al pathos. Ne risulta il ritratto di un uomo sempre in lotta, soprattutto con se stesso. Intransigente nei confronti del prossimo (significativo, sotto questo punto di vista, il rapporto con il trombettista e amico Red Rodney, che riesce a distogliere dall'uso dell’eroina) ma assolutamente incapace di controllarsi, arri- Locandina del film Bird di Clint Eastwood 15 vando a una vera e propria autodistruzione. Nonostante la bellezza di quest'opera, all'uscita sugli schermi non furono risparmiate critiche al film, soprattutto per quanto riguardava la colonna sonora. Eastwood, nel concepire il film, aveva pensato di estrapolare gli assoli di Parker, ripulendoli e rimasterizzandoli, reincidendoli successivamente con un accompagnamento del tutto nuovo, realizzato per l'occasione dal direttore musicale Lennie Niehaus. Molti puristi del genere storsero il naso e non lesinarono critiche anche aspre, nonostante il risultato finale fosse eccezionale, per niente travisante dell'estetica parkeriana. Come ebbe a scrivere Leonard Feather, "Lennie Niehaus 16 ha la sua parte di merito per una colonna sonora che è un autentico miracolo tecnologico. (…) è come se Bird fosse ancora fra noi, registrando con musicisti d'oggi nella tecnologia digitale d'oggi" (Musica Jazz, luglio 1988). Fra i musicisti che hanno "accompagnato" gli assoli di Parker per il soundtrack, nomi altisonanti del jazz, quali i vecchi Ray Brown e Red Rodney, che suonarono veramente con Bird. Fra i giovani, Jon Faddis, Walter Davis jr., John Guerin, Monty Alexander. Ad interpretare Charlie Parker un intenso e appropriato Forest Whitaker che si meritò il premio per la miglior interpretazione al Festival di Cannes. MUSICHE DA FILM - LE COLONNE SONORE L e note che accompagnano la scena del sontuoso picnic in Quarto potere (Citizen Kane, 1941) di Orson Welles, sottolineano in maniera assai efficace la violenta disputa che sancisce la rottura fra Charles e Susan Kane. Si tratta di un brano jazz composto da Bernard Herrmann e suonato da musicisti neri, ispirato direttamente allo stile jungle, cioè quello stile inventato da Duke Ellington, in cui le percussioni rimandano idealmente ai tamburi e alle sonorità africane. L'energia e il vigore ritmico del pezzo viene qui utilizzato per evidenziare, per contrasto, la vanità vedere con esso. È il caso de L'uomo dal braccio d'oro (The Man With The Golden Arm, 1955), solido dramma firmato dal regista di origine austriaca Otto Preminger, tratto dall'omonimo romanzo di Nelson Algren e interpretato da Frank Sinatra e Kim Novak. Nel film, ambientato nella Chicago degli anni '50, Sinatra interpreta la parte di un batterista costretto ad accudire la moglie che si finge invalida. L'amicizia di una ballerina gli permetterà di uscire dal tunnel della droga. Il film, realizzato in un bel bianco e nero, illustra realisticamente il problema della dipendenza dalla droga, strettamente connessa con la malavita organizzata. L'orchestra in cui Sinatra va a provare è quella del jazzista Shorty Rogers. La colonna sonora, composta da Elmer Bernstein, è concepita come una musica urbana, a volte dissonante, che non rifiuta le innovazioni ritmiche del jazz moderno. Per la prima volta il jazz rappresenta l'asse portante della colonna sonora di un film. Inoltre la bontà della musica è dimostrata dal fatto che la partitura di Bernstein divenne, nella sua versione integrale, il primo successo commerciale discografico. Jazz in noir e il ridicolo dello sfarzoso banchetto e dei suoi frequentatori. In questo caso i musicisti appaiono come i soli a essere realmente vitali fra personaggi vivi soltanto in apparenza. Tutta la musica di Quarto potere segna una rottura estetica con il decennio appena terminato. Bisognerà, però, attendere gli anni successivi affinché il jazz divenga parte integrante di film che raccontano storie che poco o nulla hanno a che 17 Con il lungometraggio di Preminger il jazz diventa musica da film, in particolare per quanto riguarda il genere noir o poliziesco che, fino ad allora, lo aveva utilizzato solo in casi particolari per singole scene e mai come tema conduttore di tutta l'opera. Ne Il grande sonno (The Big Sleep, 1946), che Howard Hawks realizzò a partire dal romanzo omonimo di Raymond Chandler, con Humphrey Bogart a interpretare il detective privato Philip Marlowe, il jazz è suonato nella casa da giuoco ove Lauren Bacall, accompagnata dall'orchestra di Stan Kenton, canta And Her Tears Flowed Like Wine. In Giungla d'asfalto (The Asphalt Jungle, 1950) di John Huston, un juke-box diffonde qualche nota swing che rompe il silenzio dato dalla quasi totale assenza di colonna sonora, che caratterizza buona parte del film. Bisognerà però attendere la fine degli anni '50 per- ché il jazz entri a far parte integrante della colonna sonora dei polizieschi. Rapina a mano armata di Stanley Kubrik In questo periodo molti musicisti, per la maggior parte bianchi, fanno carriera a Hollywood. È il caso, ad esempio, del trombettista e compositore Harry James, che firmerà le musiche di alcuni film con Jerry Lewis. Tutta una corrente del jazz viene direttamente associata al cinema: il movimento della West Coast, che si sviluppò sulla costa californiana a cavallo fra gli anni '50 e '60, esprimendo una musica, il cool jazz, seducente, lontana dagli echi di rivolta caratterizzanti il bebop, e che, proprio per questi motivi, si affermò a Hollywood. Molti furono i musicisti westcoaster che si dedicarono alle musiche da film. Per fare solo alcuni nomi basti ricordare personaggi quali il già citato Shorty Rogers, il batterista Shelly Mann, Jimmy Giuffre, Pete Rugolo, Benny Carter e Red Mitchell, primo contrabbassista dell'orchestra della Metro Goldwyn Mayer. Il jazz non era solo più un elemento di decoro, non aveva più bisogno di essere una diretta conseguenza delle immagini che raccontavano storie ambientate nel mondo del jazz. Era diventato a tutti gli effetti un elemento del linguaggio cinematografico. Tra i molti film d'autore dove più serrato è il rapporto fra atmosfera e poetica noir e il crime jazz, vanno sicuramente menzionati Rapina a mano armata (The Killing, 1958) firmato dal maestro Stanley Kubrik, che si avvale delle musiche di Gerald Fried; Piombo rovente (Sweet Smell of Success, 1957), con la regia di Alexander Mackendrick e le musiche di Elmer Bernstein; il capolavoro di Orson Welles L'infernale Quinlan (Touch of Evil, 1958), con la colonna sonora di Henry Mancini; Non voglio morire (I Want To Live, 1958) e Strategia di una rapina (Odds 18 Against Tomorrow, 1959), entrambi diretti da Robert Wise, il primo con le musiche di Johnny Mandel e la partecipazione del quartetto di Gerry Mulligan, il secondo con la colonna sonora scritta e diretta da John Lewis, leader del Modern Jazz Quartet. Sempre nel 1959 Otto Preminger affidò la colonna sonora di Anatomia di un omicidio (Anatomy of a Murder) a Duke Ellington, uno dei più grandi compositori che la storia del jazz abbia mai conosciuto. Nella sua autobiografia, il regista affermò di essere stato felicissimo di poter beneficiare della presenza di Ellington sul set. Osservando la progressione del girato e discutendo quotidianamente della musica, il compositore, ci dice Preminger, "divenne parte integrante del film". Qui Ellington gioca sul contrasto fra orchestra e solisti. Una batteria e la tromba di Cat Anderson rispondono alle violente tensioni armoniche dei riffs. Tensioni che, dopo la sequenza iniziale, a poco a poco si addolciscono, con la tromba che viene progressivamente sostituita dalle sonorità meno aggressive di un clarinetto, poi dalla morbidezza del sax baritono, per finire con l'intimità del piano suonato da Ellington stesso e con l'orchestra che diviene, via via, sempre più discreta. Nel film vi è anche un cameo in cui il grande compositore suona a quattro mani con James Stewart che, nel film, interpreta il protagonista, l'avvocato Biegler. In Anatomia di un omicidio la musica non si limita a essere solo colonna sonora, ma gioca un ruolo importante nella drammaturgia, sottolineando sempre, con maggiore o minore intensità a seconda dei momenti, il legame che si instaura fra l'avvocato e la sua cliente, interpretata da Lee Remick. Con gli anni Sessanta, e con compositori del calibro di H e n r y Mancini, Lalo Schifrin, Dave Grusin, Lennie Niehaus, Quincy Jones, le Paolo Ferrari e Tino Buazzelli rispettivamente nella parte di Archie Goodwin e Nero Wolfe, i due detective nati dalla penna di Rex Stout atmosfere del cinema poliziesco diventano sempre più dure, con i personaggi, spesso solitari, che tentano di sopravvivere in città diventate glaciali, livide. Tutto questo è sottolineato da una musica che diventa sempre più "urbana", con gli ottoni a realizzare ritmi sincopati che sottolineano il caos regnante. Ciò si evidenzia soprattutto nei polizieschi televisivi che iniziano a essere realizzati negli Stati uniti verso la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei Una scena de Una storia milanese, di Eriprando Visconti Sessanta (Baretta, Johnny Staccato - con John Cassavetes - Peter Gunn, Richard Diamond) ed è esemplificato dalla musica di Nunzio Rotondo suonata sui titoli di testa del Nero Wolfe televisivo, serie di polizieschi italiani diretti da Giuliana Berlinguer dove i protagonisti sono il pachidermico detective newyorkese e il suo braccio destro Archie Goodwin, creati dalla fantasia di Rex Stout e interpretati, rispettivamente, da Tino Buazzelli e Paolo Ferrari. so da sconfinare, spesso, in risultati assai banali. In Italia il grande utilizzo di colonne sonore di natura jazzistica o para jazzistica realizzate da vari musicisti, Piccioni, Rustichelli, Trovajoli, ha prodotto risultati a volte indisponenti, come nel caso delle musiche della versione italiana del film di Jean-Luc Godard Il disprezzo (Le mépris, 1963) in cui le bellissime musiche classiche della versione originale sono state sostituite, per volere del produttore Carlo Ponti, da una brutta colonna sonora jazzeggiante che snatura completamente il senso delle immagini. Tuttavia anche in Italia non mancano esempi pregevoli di musiche jazz per film, realizzate da valenti musicisti. È il caso, ad esempio, di Piero Umiliani, che realizzò le colonne sonore di numerose commedie all'italiana fra le quali quelle de I soliti ignoti (1958) e L'audace colpo dei soliti ignoti (1961) entrambi di Mario Monicelli; di Urlatori alla sbarra (1958) di Lucio Fulci e di Smog (1962) di Franco Rossi, con la presenza in tutti della tromba solistica di Chet Baker che, nel film di Fulci, compare anche come attore accanto a Mina e Celentano. In quel periodo molti jazzisti, americani e non, collaborarono con registi italiani. Per fare alcuni esempi: John Lewis, compose le musiche di Una storia milanese (1962), film di Eriprando Visconti che, ambientato in una Milano nebbiosa, ritrae la borghesia cittadina in maniera lucida e spietata; Giorgio Gaslini che realizza le musiche del capolavoro di Michelangelo Antonioni La notte (1961). Curioso è poi il caso di Pier Paolo Pasolini che nel suo Vangelo secondo Matteo (1964) accosta alle Infine, nel 1967, Qincy Jones realizza le musiche de La calda notte dell'ispettore Tibbs (In the Heat of the Night) di Norman Jewison, un poliziesco efficace per l'ambientazione, l'atmosfera, il trattamento dei temi razziali. Tratto dal romanzo di John Ball il film, vincitore di cinque premi Oscar, è ottimamente interpretato da Sidney Poitier e Rod Steiger. In Italia L'uso del jazz negli anni Sessanta è stato così este19 Maria Schneider e Marlon Brando in una scena de Ultimo tango a Parigi, di Bernardo Bertolucci musiche di Bach degli spiritual, mentre Bernardo Bertolucci costruisce il suo Ultimo tango a Parigi (1972) sulle struggenti note del sax di Gato Barbieri, affermato compositore jazz argentino. In alcuni casi poi, a causa di disaccordi, il produttore obbligò il regista a cambiare la colonna sonora prescelta, come accadde ad esempio per il Todo modo di Elio Petri (1976), dove le musiche di Charles Mingus vennero rifiutate e edite esclusivamente su vinile. Colonne sonore e incisioni originali Spesso, soprattutto in film rievocativi di determinati momenti storici, molti registi hanno fatto ricorso a vecchie incisioni, caratteristiche di quella precisa epoca temporale. È una soluzione adottata spesso da Bob Fosse che in Lenny, film del 1974 che ripercorre la tormentata e drammatica esistenza del cabarettista Lenny Bruce, interpretato da Dustin Hoffmann, utilizza brani originali hardbop. Altro regista che, in alcuni casi, ha fatto ricorso a incisioni originali come colonna sonora è stato Louis Malle che, dopo il grande successo ottenuto con Ascensore per il patibolo (che meglio analizzeremo nel prossimo capitolo) con la colonna sonora appositamente creata da Miles Davis, farà ricorso al jazz in Soffio al cuore (Le souffle au coeur, 1971) utilizzando brani di Charlie Parker e in Cognome e nome Lacombe Lucien (Lacombe Lucien, 1974) con il sound "swingeggiante" di Django Rheinardt, Stephan Grappelli e del loro Hot Club de France; oltre al già citato Pretty Baby e la musica di New Orleans. Ma è stato soprattutto Woody Allen a fare costante ricorso a brani strumentali e vocali americani degli anni '50, come, ad esempio, in Manhattan (1979), una delle opere più significative del regista newyorkese, nella quale le vicende, narrate in uno splendido bianco e nero, sono accompagnate dalle musiche di George Gershwin (indimenticabile la sequenza della corsa sulle note di Rapsodia in blue). Oggi Da quando per la prima volta il rock venne utilizzato come musica da film (era il 1955 e Rock 20 Around The Clock accompagnava i titoli di testa de Il seme della violenza (Blakboard Jungle) di Richard Brooks, con Glenn Ford e Sidney Poitier), il jazz venne piano piano spodestato, per quanto riguarda le colonne sonore, nelle preferenze di molti filmaker. Ma, come abbiamo visto, non venne di certo abbandonato. Negli ultimi vent'anni si è avuto un ritorno alla musica afroamericana e non sono pochi gli esempi di opere cinematografiche che hanno fatto ricorso a essa. Oltre ai già citati film di Spike Lee, ai quali va aggiunta l'opera di esordio, Lola Darling (1986), vanno ricordati, per le loro colonne sonore, realizzate da musicisti di grande spessore, Oggetti smarriti (1980) di Giuseppe Bertolucci e Il grande cocomero (1993) di Francesca Archibugi, entrambi con le musiche di Enrico Rava; Jack Johnson (William C l a y t o n , Ornette Coleman 1972) e Il posto caldo (Dennis Hopper, 1990), con le colonne sonore realizzate da Miles Davis; Yeelen dell'africano Souleymane Cissé, Max, mon amour (1986) del giapponese Oshima e Io e il vento (Une histoire de vent, 1988) di Joris Ivens, tutti con l'accompagnamento sonoro del polistrumentista francese Michel Portal. Del 1990 è il sovietico Taxi blues di Pavel Lungin, ambientato nella Mosca della perestrojka, storia di un'amicizia fra un taxista e un sassofonista jazz. Da menzionare ancora I favolosi Baker (The Fabulous Baker Boys), film di Steven Kloves del 1989, con i fratelli Jeff e Beau Bridges che interpretano proprio due fratelli jazzisti che vedono il loro sodalizio spezzato dall'arrivo di una cantante, la bella Michelle Pfeiffer, che nel film si esibisce dal vivo mentre i Bridges sono doppiati al piano da Dave Grusin che ha curato anche la direzione musicale. Infine, dal punto di vista delle colonne sonore "in jazz", fra le opere più significative, vi è Il pasto nudo (Naked Lunch, 1992) di David Cronemberg, ispirato ai libri e alla vita di uno dei padri della 21 beat generation, William Burroughs. Qui le musiche sono di Howard Shore e Ornette Coleman, e proprio il tenorsassofonista texano riesce a realizzare stupendi assoli che creano un'amalgama perfetta fra le visoni allucinate del personaggio e le note rabbiose dello strumento. IMPROVVISAZIONI E DINT ORNI I l punto fondamentale del rapporto fra cinema e jazz è, indubbiamente, quello dell'improvvisazione. Un concetto che nel jazz è considerato irrinunciabile e che nel cinema ha trovato alcuni cineasti - non molti in realtà - che ne hanno fatto uno dei cardini su cui imperniare la loro opera. È il caso di alcuni registi americani antihollywoodiani fra i quali il più conosciuto dal grande pubblico è John Cassavetes. Ombre è un film sulla crisi esistenziale di una gioventù che si trascina disperatamente alla ricerca di una propria identità al di fuori del ghetto. Un ghetto metaforico che accoglie tutti, neri e bianchi, senza far distinzioni fra reietti e piccolo-borghesi, quali in fondo sono Ben, Hugh, Lelia e i loro amici. John Cassavetes nasce a New York il 9 dicembre 1929 da genitori di origine greca. Esordisce nel Ombre "Il film che avete visto è interamente improvvisato". È la dicitura che campeggia al termine del primo film diretto da Cassavetes: Ombre (Shadows, 1959/60). Girato inizialmente in 16 mm e poi in 35 mm, venne realizzato con una troupe ridotta all'osso e con gli attori che improvvisavano su una sorta di copione-canovaccio approssimativo e modificabile a seconda delle circostanze. Descrive, nella Manhattan degli anni '50, le vite quotidiane di Ben, Hugh e Lelia, rispettivamente fratelli e sorella, neri ma con diverse sfumature del colore della pelle i ragazzi, quasi bianca la donna. Ben, trombettista dilettante, si trascina fra coetanei bianchi trascorrendo le sue giornate al bar. Hugh, cantante jazz non particolarmente dotato, è alle prese con impresari che lo vogliono incastrare per spettacoli insulsi. Lelia, che ha la pelle chiara e si muove all'interno degli ambienti intellettuali cittadini, verrà lasciata dall'uomo che l'ha sedotta non appena questi scopre che la donna è nera. Tutti e tre sono alla ricerca della loro identità. Del film esisteva una prima sceneggiatura che oggi risulta smarrita e che lo stesso Cassavetes ripudiò in quanto non completamente convinto del risultato. Il regista la riscrisse, inserendo nella versione definitiva solamente alcune delle scene originali. L'opera prima del Cassavetes regista è una sorta di manifesto del New American Cinema che può essere idealmente collegato alla Nouvelle vague francese e, per certi versi, al free cinema britannico, per i temi trattati, per il modo di girare con la macchina da presa estremamente mobile, per il montaggio nervoso, per la scelta della colonna sonora. 22 In alto e al centro: sequenze tratte da Shadows; in basso: un immagine del regista John Cassavetes cinema come comprimario in alcuni film, sino ad arrivare a interpretare Nel fango della prateria (The Edge of the City, 1957), suo primo film come protagonista, al fianco di Sidney Poitier e con la regia di Martin Ritt. Ombre è un film che può essere annoverato fra quelli realizzati dai giovani filmaker che gravitavano attorno al New American Cinema Group (anche se Cassavetes non ne firmò mai il manifesto), fondato nel 1960 da Jonas Mekas, un esule di origine lituana, per convogliare in un progetto comune i fermenti dei cineasti indipendenti newyorkesi attivi nel decennio precedente. Questo gruppo di registi propugnava un cinema anticonformista, a basso costo e slegato dalle grosse major hollywoodiane. Un cinema che, come stava accadendo in Francia, si ribellava al vecchio cinema ufficiale e condizionato. Il trio è, invece, la chiave di lettura del film di Cassavetes. Le tre sfumature della pelle di Ben, Hugh e Lelia, che si confrontano in tre modi differenti con il razzismo. E il trio lo si ritrova spesso nel film, come quando i fratelli e la sorella sono insieme o quando Ben e i suoi amici cercano di sedurre le tre donne al bar. In ogni momento del film la musica di Mingus è pronta a sottolinearne le scene. Delle trentacinque sequenze che compongono l'opera, solo sette sono prive di musica. Addirittura è possibile associare ciascun strumento a un personaggio. Così, idealmente, Lelia è il sassofono e il sassofono accompagna le azioni e le emozioni della donna. Ben è il contrabbasso che lo scorta nel suo vagabondare lungo le strade della metropoli. Infine Tony, il fidanzato bianco di Lelia, è la batteria, strumento che interviene durante l'abbraccio di Tony a Lelia e, successivamente, durante il tentativo di riappaOmbre divenne un'opera di riferimento per tutta cificazione dell'uomo. l'area dell'avanguardia grazie, anche, alla splendida colonna sonora realizzata da Charles Mingus e È possibile, quindi affermare che, se esiste un film suonata, oltre che dallo stesso contrabbassista, da così profondamente intrecciato con il jazz, questo Shafi Hadi al sassofono. è sicuramente Shadows, tanto che lo si potrebbe considerare come un'opera dove suoni e immagini In Ombre, la questione dell'improvvisazione è si amalgamano fra loro per realizzare una lunga fondamentale. Anche senza voler credere comple- suite dai toni a volte accesi, a volte morbidamentamente alla didascalia finale del film - come è te pastosi, così come vengono rappresentati gli stato detto, una sorta di copione esisteva - sono stati d'animo dei personaggi. illuminanti le parole che ebbe a dire lo stesso Cassavetes: "Per me improvvisazione vuole dire Ascensore per il patibolo che esiste una tale spontaneità nel lavoro, che si potrebbe credere che questo non è stato prepara- Nel 1957 Louis Malle realizza Ascensore per il to". patibolo (Ascenseur pour l'echafaud), anticipando E del jazz, che fa dell'improvvisazione la sua i temi e il modo di fare film dei cineasti della ragione d'essere, Ombre sembra metterne in scena Nouvelle vague francese. le rappresentazioni classiche. Si tratta di un opera noir in cui una donna, Jeanne Nelle varie interazioni fra i personaggi, i tre fra- Moreau, sorta di dark lady, vaga per la notte paritelli, i fidanzati di Lelia, l'amico di Hugh, è possi- gina alla ricerca dell'amante che ha appena ucciso bile scorgere le figure tipiche del jazz: l'assolo, il il di lei marito ma nella fuga è rimasto bloccato duo, il trio. nell'ascensore del palazzo deserto. Questa condiL'assolo, rappresentato dalla marcia di Ben in zione offrirà all'assassino un alibi per l'omicidio di apertura di film o, alla fine, quando il film si un altro uomo commesso da due giovani che si chiude sulla camminata solitaria dello stesso Ben, erano appropriati della sua macchina e dei suoi con la musica di Mingus a contrappuntarne il lento documenti, ma lo condannerà inesorabilmente per procedere, ombra fra le ombre, nella notte l'uccisione del marito dell'amante. newyorkese. In questo film Malle anticipa, per certi versi, quelIl duo è possibile ritrovarlo in svariate sequenze. lo che i vari Truffaut, Godard, Rivette, Rhomer e Quando Lelia è fra le braccia dei suoi due fidan- altri, tutti critici cinematografici prima ancora che zati, prima Tony, poi Davey; oppure quando Lelia registi, andavano teorizzando sui Cahiers de cinéaccompagna Hugh alla stazione o, ancora quando ma e, di lì a poco, avrebbero messo in pratica nei Hugh è in compagnia dell'amico Rupert. loro film. Rifiuto di lavorare in studio, utilizzo di 23 ripetutamente le musiche direttamente davanti allo scorrere delle immagini sullo schermo. Si trattava a tutti gli effetti di improvvisazione, in una condizione per certi versi assimilabile a quella del cinema muto. Mai prima d'allora una musica era stata così strettamente legata a un lungometraggio e mai una colonna sonora aveva contribuito a rendere un film oggetto di culto per i cinefili di tutto il mondo, determinando, forse, un'evoluzione della musica del grande trombettista. Nuovo cinema Miles Davis camere leggere per poter operare in strada fra la gente, suono in presa diretta. L'uscita del film di Malle suscitò un notevole interesse, tanto che sui Cahiers se ne discusse a lungo e animatamente, tendendo a fare una distinzione fra piano narrativo, legato al genere e quindi, dal loro punto di vista, meno interessante, e piano linguistico. A tal proposito Rhomer scrive: "Se la narrazione spesso zoppica, la lingua invece è salda. Ciò che va messo in rilievo - mimica, gesto, oggetto - è messo in rilievo con precisione, senza troppa volgarità" (Cahiers de cinéma, n. 80, febbraio 1958). E Georges Sadoul, grande critico e esperto di cinema paragona il film al Condannato a morte è fuggito di Robert Bresson, del quale Malle era stato un collaboratore e al quale Malle sicuramente si è ispirato. Sta di fatto che Ascensore per il patibolo, pur con tutti i suoi limiti, divenne ben presto un film di culto. A ciò contribuì non poco la colonna sonora, di grande intensità, realizzata appositamente da Miles Davis che, narra la leggenda, improvvisò direttamente sulle scene del film. Effettivamente le cose andarono più o meno così, con il quintetto, composto oltre che da Davis, da Pierre Michelot al basso, Barney Wilen al sax tenore, René Urtregen al piano e Kenny Clarke alla batteria, provarono 24 Nouvelle vague francese, free cinema britannico, cinema indipendente americano. A cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, nuovi fermenti scuotevano il mondo un po' imbalsamato del cinema classico, di quel cinema che i giovani registi legati ai Cahiers definivano sprezzantemente cinéma de papa. Fecero irruzione nuovi stili, nuove concezioni stilistiche, slegate dai vecchi cliché utilizzati dai registi in auge sino ad allora. I nuovi modi di fare cinema in Europa e in America erano espressione di quel fermento intellettuale giovanile caratterizzante i primi anni Sessanta e che sfociò nel Sessantotto. Normale che i nuovi autori facessero ampio ricorso al jazz, una musica che in quel periodo era diventata sempre più espressione del disagio sociale della gente nera americana. Di fronte a questa rivoluzione dell'arte cinematografica, alcuni vecchi autori tentarono di adeguarsi. È il caso, in Francia, di Marcel Carné, autore in passato di grandi film quali Il porto delle nebbie, Alba tragica, Amanti perduti, che tenta la carta giovanilista realizzando Peccatori in blue jeans (Les Tricheurs, 1958) nel quale viene descritta la vita dei giovani sbandati nel quartiere intellettuale parigino di Saint Germain des Prés. Il film, non completamente riuscito, fu oggetto di aspre critiche da parte dei "ragazzi" dei Cahiers. Effettivamente Carné eccede in immagini troppo stereotipate della gioventù cittadina di quel tempo (i blue jeans, i dischi, le corse in macchina), senza approfondire il ritratto d'ambiente ma preferendo concentrarsi sui temi a lui cari, quali quelli tragici legati al destino. Tuttavia il film è meritevole d'attenzione, soprattutto per la sua bella colonna sonora, composta da brani originali di Dizzy Gillespie, Roy Eldridge Coleman Hawkins, Stan Getz e altri. Fino all'ultimo respiro Nel 1960 Jean-Luc Godard, su soggetto di François Truffaut, realizza Fino all'ultimo respiro (A bout de souffle), film simbolo della Nouvelle vague. In questo film, omaggio evidente ai noir hollywoodiani, Godard ricerca la spontaneità nel modo di recitare, nelle riprese, nella fotografia. Alla sua uscita creò sconcerto per le numerose trasgressioni alle regole linguistiche e stilistiche fino ad allora normalmente utilizzate: sguardo in macchina, raccordi "sbagliati", tempi morti. Godard introdusse nel cinema il concetto di "disordine" che caratterizzerà tutta la sua produzione. Il giovane regista francese si affida, per la colonna sonora, al pianista Martial Solal, già autore delle musiche de Le jene del quarto potere (Deux hommes dans Manhattan) di Jean-Pierre Melville, altro poliziesco che deve molto ai film di genere americani. In Fino all'ultimo respiro la colonna sonora è caratterizzata da due motivi principali, che ritornano per tutto il film. Uno è associato all'azione, al pericolo; l'altro all'amore, ai senti- Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg in una scena di Fino all’ultimo respiro, di Jean-Luc Godard menti più intimi. Nei film di Godard le dissonanze e le discordanze della storia sconcertano lo spettatore, così come avevano creato perplessità le discontinuità melodico-ritmiche degli assoli di Charlie Parker. Ma, come in Parker, la destrutturazione del tema è solamente apparente, nascondendo un'organizzazione coerente che, però è necessario decriptare. 25 Jeanne Moreau Eva Negli stessi anni Joseph Losey, un regista statunitense costretto a emigrare in Inghilterra perché tacciato di attività antiamericane e per questo finito nelle famigerate liste del senatore McCarthy, realizza, nel 1962, Eva (Eve), con Stanley Baker, Jeanne Moreau e Virna Lisi. Ambientato a Venezia, il film è la storia di un uomo, uno scrittore che ha raggiunto la notorietà grazie a un plagio, diviso fra due donne, la moglie e una prostituta di lusso. In un'intervista rilasciata al periodico Jazz Magazin nel maggio 1964, Losey afferma che il jazz in Eva era per lui il punto chiave del film. Nelle sue intenzioni originarie, il tema dell'uomo avrebbe dovuto essere rappresentato dalle musiche di Miles Davis mentre quello della prostituta, da Billie Holiday. Sfortunatamente delle ventidue composizioni scelte dal regista, fu possibile inserirne solo due. Di fatti, nel film, Jeanne Moreau si muove alla musica di Willow Weep For Me e di Loveless Love, interpretate da Billie Holiday. Il produttore aveva invece rifiutato di acquistare i diritti per le musiche di Miles Davis. Losey si dovette, quindi, rassegnare a chiedere un blues a Michel Legrand (Adam et Eve, cantato da Tony Middleton) autore, per altro, della colonna sonora. Nonostante gli sforzi di Legrand di rispettare il modello voluto dal regista, la colonna sonora risulta assai penalizzata dall'assenza di Miles Davis. Tutti i brani di Billie Holiday sono trattati in maniera splendida, mettendo a nudo non solo il corpo, ma anche l'anima di Jeanne Moreau, come avviene nella scena in cui, dopo essersi rifugiata in una casa in seguito a un violento temporale, la donna si sveste al suono della voce della cantante afroamericana. Per contro la colonna sonora di Legrand sembra limitarsi a illustrare le immagini, schiacciata com'è dalla voce della grande cantante e dalla regia di Losey. A sinistra: Jean Rouch; a destra: Jaques Rivette Improvvisazioni Il caso di Ombre e di altri film di John Cassavetes (Volti, ad esempio, un film che il regista di origine greca realizzò nel 1968), dopo una parentesi hollywoodiana) sono l'esemplificazione di quanto un'opera cinematografica possa essere impregnata di jazz, tanto da poterla equiparare a una jam session. Questo indipendentemente dal fatto che la colonna sonora sia o non sia di natura jazzistica, tant'è che possono essere considerati jazz film opere in cui non viene fatto alcun ricorso al jazz. È il caso di Io, un nero - Treichville (Moi, un noir - Treichville, 1958) del regista e etnografo francese Jean Rouch che lavorò molto nel continente africano. Via di mezzo tra fiction e documentario, Io, un nero è il ritratto di un gruppo di adolescenti venuti dal Niger per cercare fortuna a Treichville, un sobborgo di Abidjan, in Costa d'Avorio. Tutti hanno adottato soprannomi mutuati dal cinema hollywoodiano: Edward G. Robinson, Dorothy Lamour, Tarzan, Eddie Constantine. Un regista bianco che filma dei neri che giocano a fingersi attori bianchi americani in una grande città nera africana, in una terra colonizzata dai bianchi. Questo incontro fra cinema e cultura africana evoca il ritorno alle sorgenti del jazz. Ma, come detto, di jazz nel film non vi è traccia. 26 Semplicemente Rouch, guadagnatasi la fiducia della troupe, coglie i comportamenti dei personaggi nel momento in cui questi si svelano, lascia libero sfogo alla creatività e alla fantasia degli attori che improvvisano proprio come se si trattasse di una jam session. Rouch permette alla storia di crearsi autonomamente davanti alla macchina da presa. Stesso discorso vale per un altro regista, anch'esso francese, anch'esso, come Jean Rouch, appartenente a quella fucina di talenti che fu la nouvelle vague. Come Godard, anche Jacques Rivette ha continuato prepotentemente, per tutta la sua carriera, a sperimentare, difendendo e esaltanto sempre il ruolo dell'improvvisazione nella creazione filmica. Tutti i film di Rivette, a partire da Paris nous appartient, suo primo lungometraggio girato fra il 1958 e il 1960 fra mille traversie, fino ai casi più eclatanti de L'amour fou (1967) o Out 1 - Noli me tangere (1970/71) sono stati dei laboratori, esperimenti collettivi di recitazione che, senza far ricorso al jazz, rimandano comunque alla musica afroamericana per i principi ispiratori delle sue opere. Unico caso in cui il regista francese fa espressamente ricorso al jazz è Merry-Go-Round, sorta di crime-story del 1977. Qui Rivette si affida a due jazzmen del calibro di Barre Phillips al contrabbasso e John Surman al clarinetto basso, inserendo i loro interventi in alternanza alle scene del film nelle quali i personaggi sono legati da misteriosi eventi che si susseguono secondo un meccanismo "circolare", come in una giostra (non a caso il titolo del film significa, in inglese, proprio giostra, carosello). Avanguardia Il fermento culturale che si avvertiva negli anni Sessanta a New York portò a tutta una serie di interessantissime esperienze che andavano dai film del New American Cinema Group guidato da Jonas Mekas, alle opere di Andy Warhol e della sua Factory, agli happening teatrali del Living Theatre guidato da Julian Beck e Edith Malina. Proprio da una piece teatrale del Living, Shirley Clarke, una delle registe sperimentali più famose, ricavò The Connection (1960), film incentrato sul tema della droga, dove la musica del quartetto di Jackie McLean che improvvisa attendendo uno spacciatore, evidenzia gli effetti devastanti dell'e- mischiano in un grido di protesta non solo per le roina. condizioni degli afroamericani ma anche dei neri sudafricani, costretti a condizioni di vita degraMa in agitazione, seppur con motivazioni diverse, danti da un governo e da una società profondain quegli anni era anche la comunità nera che, mente razzista e soverchiante. come abbiamo visto, fece delle graffianti e disar- Proprio la suite di Max Roach è visualizzata sullo moniche sonorità del free jazz, uno strumento per schermo da Gianni Amico, regista ligure al di esprimere la propria voglia di libertà, di giustizia e fuori dei grandi circuiti commerciali, che realizza di riscoperta delle proprie origini e tradizioni. nel 1964 un cortometraggio di montaggio dal titoMolti musicisti divennero alfieri di questa musica, lo We insist! Suite per la libertà subito, dove le a partire da Ornette Coleman che nel 1960 regi- immagini si succedono sullo schermo a formare strò una pietra miliare del nuovo jazz, intitolata, un trittico suddiviso nei temi "preghiera, protesta, per l'appunto, Free jazz. Altri diedero vita a com- pace" che mette in evidenza, con grande impatto posizioni con chiari contenuti politici e sociali, emotivo, da un lato lo sfruttamento e la violenza a come Max Roach e la sua Freedom Suite Now, cui erano sottoposti i neri, dall'altro la bellezza e la nella quale il dolore e la rabbia per una condizio- dolcezza di un popolo che stava tentando faticosane di sfruttamento e di sopraffazione sociale si mente di emergere da secoli di oppressione. 27 I BRANI PROIETTATI NEL CORSO DELLE SERATE SONO TRATTI DA: Accordi e disaccordi (Sweet And Lowdown). Regia di Woody Allen. Con Sean Penn, Samantha Norton, Anthony LaPaglia, Uma Thurman. 1999. Anatomia di un omicidio (Anatomy Of A Murder). Regia di Otto Preminger. Con James Stewart, Ben Gazzara, Lee Remick, George C. Scott. 1959. Alleluja! (Hallelujah!). Regia di King Vidor. Con Daniel L. Haynes, Nina Mae McKinney, William E. Fountaine, Harry Gray, Fannie Belle DeKnight. 1929. A qualcuno piace caldo (Some Like It Hot). Regia di Billy Wilder. Con Marilyn Monroe, Jack Lemmon, Tony Curtis, George Raft, Pat O'Brien, Joe E. Brown. 1959. Ascensore per il patibolo (Ascenseur pour l'échafaud). Regia di Louis Malle. Con Jeanne Moreau, Maurice Ronet, Georges Poujouly. 1957. Bird. Regia di Clint Eastwood. Con Forest Whitaker, Diane Venora, Michael Zelniker. 1988. Casablanca. regia di Michael Curtiz. Con Humphrey Bogart, Ingrid Bergman, Paul Henreid, Claude Rains, Peter Lorre, Conrad Veidt. 1942. Chimere (The Young Man With A Horne). Regia di Michael Curtiz. Con Kirk Douglas, Lauren Bacall, Doris Day, Hoagy Carmichael. 1950. Cotton Club (The Cotton Club). Regia di Francis Ford Coppola. Con Richard Gere, Diane Lane, Gregory Hines, Bob Hoskins, Nicolas Cage, Joe Dallesandro, Julian Beck. 1984. Eva (Eve). regia di Joseph Losey. Con Jeanne Moreau, Stanley Baker, Virna Lisi, Giorgio Albertazzi, Lisa Gastoni. 1962. Fino all’ultimo respiro (A bout de souffle). Regia di Jean-Luc Godard. Con Jean-Paul Belmondo, Jean Seberg, Daniel Boulanger, Jean-Pierre Melville. 1960. Kansas City. Regia di Robert Altman. Con Jennifer Jason Leigh, Miranda Richardson, Harry Belafonte, Michael Murphy, Dermot Mulroney, Steve Buscemi. 1996. Giungla d’asfalto (The Asphalt Jungle). Regia di John Huston. Con Sterling Hayden, Sam Jaffe, Louis Calhern, Jean Hagen, Marilyn Monroe. 1950. Gli aristogatti (The Aristocats). Regia di Wolfgang Reitherman. 1970. Il cantante di jazz (The Jazz Singer). Regia di Alan Crosland. Con Al Jolson, Warner Oland, May McAvoy. 1927. Il grande sonno (The Big Sleep). Regia di Howard Hawks. Con Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Martha Vickers, John Ridgely, Dorothy Malone. 1946. Il pasto nudo (Naked Lunch). Regia di David Cronemberg. Con Peter Weller, Judy Davis, Ian Holm, Julian Sands, Roy Scheider. 1992. Il re del jazz (The Benny Goodman Story). Regia di Valentine Davies. Con Steve Allen, Donna Reed, Herbert Anderson, Sammy Davis Sr., Harry James, Lionel Hampton, Gene Krupa. 1956. Io un nero - Treichville (Moi un noir - Treichville). Regia di Jean Rouch. con Oumarou Ganda, Petit Touré, Alassane Maiga, Amadou Demba. 1958. I soliti ignoti. Regia di Mario Monicelli. Con Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Totò, Carla Gravina, Claudia Cardinale, Tiberio Murgia, Capannelle, Memmo Carotenuto, Lella Fabrizi. 1958. La città del jazz (New Orleans). Regia di Arthur Lubin. Con Arturo De Córdova, Louis 28 Armstrong, Billie Holiday, Dorothy Patrick, Irene Rich. 1947. La storia di Glenn Miller (The Glen Miller Story). Regia di Anthony Mann. Con James Stewart, June Allyson, Charles Drake, George Tobias, Harry Morgan, Frances Langford, Louis Armstrong, Gene Krupa. 1954. Let’s Get Lost.Regia di Bruce Weber. 1989. L’uomo dal braccio d’oro (The man With The Golden Arm). Regia di Otto Preminger. Con Frank Sinatra, Eleanor Parker, Kim Novak, Arnold Stang, Robert Strauss. 1955. Merry-Go-Round. Regia di Jacques Rivette. Con Joe Dallesandro, Maria Schneider. 1977. Mo’ Better Blues. Regia di Spike Lee. Con Denzel Washington, Spike Lee, Joie Lee, Cynda Williams, Wesley Snipes, John Turturro. 1990. Mississippi Blues. Regia di Robert Parrish e Bertrand Tavernier. 1985. Nero Wolfe (telefilm). Regia di Giuliana Berlinguer. Con Tino Buazzelli, Paolo Ferrari. 1969-71. New York New York. Regia di Martin Scorsese. Con Liza Minnelli, Robert De Niro, Lionel Stander, Georgie Auld, Diahnne Abbott, Barry Primus. 1977. Non voglio morire (I Want To Live). Regia di Robert Wise. Con Susan Hayward, Simon Oakland, Theodore Bikel. 1958. Ombre (Shadows). Regia di John Cassavetes. Con Lelia Goldoni, Ben Carruthers, Hugh Hurd, Anthony Ray. 1959-60. Peccatori in blue-jeans (Les Tricheurs). Regia di Marcel Carné. Con Pascale Petit, Jacques Charrier, Andréa Parisy, Laurent Terzieff, Roland Lesaffre, Denise Vernac, JeanPaul Belmondo. 1958. Pretty Baby. Regia di Louis Malle. Con Keith Carradine, Susan Sarandon, Brooke Shields. 1978. Quarto potere (Citizen Kane). Regia di Orson Welles. Con Orson Welles, Joseph Cotten, Dorothy Comingore, Everett Sloane, Alan Ladd. 1941. Rapina a mano armata (The Killing). Regia di Stanley Kubrik. Con Sterling Hayden, Coleen Gray, Marie Windsor, Elisha Cook Jr., Vince Edwards, Ted de Corsi. 1958. ‘Round Midnight - A mezzanotte circa (‘Round Midnight). Regia di Bertrand Tavernier. Con Dexter Gordon, François Cluzet, Gabrielle Hacker, Sandra Reaves-Phillips, Lonette McKee, Herbie Hancock. 1986. Soffio al cuore (Le souffle au coeur). Regia di Louis Malle. Con Benoît Ferreux, Lea Massari, Daniel Gélin, Michael Lonsdale, Ave Ninchi. 1971. Thelonious Monk: Straight No Chaser. regia di Charlotte Zwerin. 1988. Ultimo tango a Parigi. Regia di Bernardo Bertolucci. Con Marlon Brando, Maria Schneider, Jean-Pierre Léaud, Massimo Girotti. 1972. Una storia milanese. Regia di Eriprando Visconti. Con Danièle Gaubert, Romolo Valli, Enrico Thibault, Lucilla Morlacchi, Regina Bianchi. 1962. Venere e il professore (A song Is Born). Regia di Howard Hawks. Con Danny Kaye, Virginia Mayo, Steve Cochran, Benny Goodman, Louis Armstrong, Tommy Dorsey, Charlie Barnet, Lionel Hampton. 1948. We insist! Suite per la libertà subito. Regia di Gianni Amico. 1964. Wild Man Blues Regia di Woody Allen. Con Woody Allen e la New Orleans Jazz Band. 1997. 29