NASCITA DI UN METAGENERE - GLI AMBIENTI

NASCITA DI UN METAGENERE - GLI AMBIENTI
I
n apertura di un ciclo di incontri dedicati a
cinema e jazz, è doveroso proporre alcune
immagini tratte dal documentario di Barbara
Koepple Wild Man Blues (1997), che ripercorre le
tappe di una tournè che Woody Allen ha intrapreso alcuni anni fa in Europa insieme alla New
Orleans Jazz Band, nella quale si esibisce come
clarinettista.
La figura del filmaker newyorkese è emblematica
e rappresenta l'esemplificazione migliore del connubio fra queste due forme artistiche che hanno
così profondamente segnato il XX secolo. Attore,
regista, jazzista
dilettante ma di
buona
qualità
Woody
Allen,
come vedremo
meglio in seguito,
ha sempre dichiarato in molte sue
opere, il suo spassionato amore per
la musica afroamericana, utilizzandola in molte
colonne sonore di
suoi film.
Le origini
Chaplin. In questo tipo di film doveva essere predominante la spontaneità del gesto; non dare mai
l'impressione che le azioni fossero premeditate.
Un cinema, cioè, dell'istantaneità e dell'immediatezza, due parole spesso utilizzate a proposito del
jazz.
È tuttavia con l'avvento del sonoro che il connubio
diventa più stretto.
Il 6 ottobre 1927 ha luogo la prima de Il cantante
di jazz (The Jazz Singer) di Alan Crosland. Un
minuto e venti secondi di monologo del protagonista, permette al
cinema di fare
ufficialmente il
salto dall'era del
muto a quella del
parlato. E il titolo
dell'opera è un
omaggio
alla
musica più popolare del momento.
Jazz e cinema
sono ufficialmente uniti, anche se
di jazz in questo
film non vi è traccia. È, in realtà, la
storia di un cantante ebreo figlio
di un rabbino che,
per la passione dello spettacolo, si allontana dalla
casa paterna e dalla propria religione, per poi ravvicinarvisi per assistere il padre morente.
Il cosiddetto cantante di jazz è quindi un bianco
che si esibisce con la faccia dipinta di nerofumo e
un parrucchino di lana crespa in testa, a scimmiottare un artista di colore, come nella miglior tradizione dei minstrel show, spettacoli in voga agli
inizi del secolo in cui bianchi truccati da nigger
parodiavano, spesso in maniera razzista, gli spettacoli dei nero-americani.
Woody Allen in concerto
Fin dai tempi del
muto il cinema ha attinto dalla musica jazz. Molti
musicisti hanno improvvisato di fronte allo scorrere delle immagini sullo schermo. È quindi possibile affermare che il jazz è stata una delle prime
manifestazioni sonore del cinema, per lo meno
negli Stati uniti.
Nella sua autobiografia il famoso pianista Fats
Waller ricorda di aver iniziato a suonare il piano
davanti ai film muti, seguendo con un occhio lo
svilupparsi della storia e improvvisando sullo strumento la musica che meglio sembrava adattarsi
alle immagini. Stessa cosa hanno fatto numerosissimi altri interpreti, fra i quali, negli anni Venti,
Count Basie, prima nella sua città natale Red
Bank, poi a Kansas City, e Louis Armstrong.
È facile immaginare come doveva influenzare il
suono dei musicisti il ritmo frenetico delle slapstick comedy di Harold Lloyd o di Charlie
Ben altra cosa è Alleluja! (Hallelujah!, 1929),
primo film sonoro realizzato da King Vidor per la
Metro Goldwin Mayer e recitato da un all black
cast. È un ritratto tenero e affettuoso di una
comunità di colore che lavora i campi coltivando
cotone nel sud degli Stati uniti. La musica diviene
1
delle origini, del
quale Louis Armstrong, che proprio da lì proveniva, era fra i maggiori esponenti.
Tuttavia i pareri a
tal proposito sono
alquanto discordanti. In alcune
interviste a vecchi
artisti neri raccolte
A destra: locandina del film Alleluja! di King Vidor;
dallo studioso e critico musicale Leonard Feather, emerge che la musica che si suonamezzo espressivo fondamentale nei momenti di
va a New Orleans era suonata anche in altre città
gioia o di tristezza che la vita riserva loro.
degli Usa, come Baltimora, Memphis o la stessa
Vidor, analizzando momenti e luoghi tipici delle
Chicago. Secondo altre testimonianze, quale ad
giornate dei raccoglitori di cotone e accompaesempio quella autorevole del pianista James P.
gnandole con i canti profani (blues) o religiosi
Johnson, non si suonava, in altri posti, una musica
(spiritual) realizza, così come avrebbe fatto
paragonabile a quella delle orchestre jazz attive a
Vincente Minnelli molti anni dopo con Due cuori
New Orleans o sui battelli che solcavano il
in cielo (Cabin In The Sky,1943), l'omaggio più
Mississippi. Secondo queste tesi a New York o in
serio e appassionato del cinema bianco al mondo
altre città del nord si suonava una musica più vicinero anche se, visto con gli occhi di adesso, il film
na al ragtime che al blues.
non è scevro da luoghi comuni. Inoltre Vidor, pur
In ogni caso l'importanza che la città dell'ex coloattratto da questo tipo di musica per il dinamismo
nia francese ebbe sullo sviluppo del jazz è fuor
che sprigiona, non riesce a non accostare il jazz
discussione.
(versione profana degli spiritual) al male, al
Ma cos'era New Orleans alla fine del XIX secolo?
demonio che prende possesso del corpo del protaUna città che in meno di cento anni aveva visto
gonista, sino alla redenzione finale che arriverà
una forte espansione, con una modificazione
passando attraverso morte e prigionia.
sostanziale della propria composizione sociale e
In ogni caso Alleluja! ci porta direttamente alle
delle proprie tradizioni. Schiavi neri provenienti
origini del jazz, ai canti di lavoro e a quelli relida Haiti che avevano introdotto i riti voodoo; i loro
giosi. A tutta quella musica, cioè, senza la quale il
padroni, con il gusto per lo sfarzo e la ricchezza.
jazz non sarebbe esistito.
Dall'Europa, mercanti, coloni e emigranti provenienti da vari paesi, soprattutto dall'Italia. Le razze
New Orleans
È consuetudine ritenere che il jazz sia
nato sulle rive del Mississippi, a New
Orleans, dove sin dalla fine dell'800 erano
confluiti e si erano mescolati tutti gli elementi di quella musica che del jazz erano
stati i presupposti. D'altronde nella città
della Louisiana erano arrivati in massa i
pionieri, a partire da Buddy Bolden, considerato un po' il capostipite dei solisti di
jazz. E sempre da lì erano partiti i musicisti che avrebbero fatto grande il jazz prima
a Chicago e poi a New York e Kansas City.
Senza dubbio New Orleans fu una fucina
di grandi talenti del primo jazz, quello Il cantante di Jazz
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si mischiarono e crebbe notevolmente la comunità
creola. Insomma, una gran miscellanea di razze,
culture e religioni con modi di vita e comportamentali diversi.
In particolare i cattolici che, rispetto ai protestanti, mantenevano verso gli schiavi neri un atteggiamento più duro e autoritario ma permettevano a
questi ultimi di mantenere le proprie tradizioni, i
loro riti e le loro credenze. Questo fu il motivo per
il quale, in Louisiana, rimasero ben vivi costumi e
linguaggi musicali di origine africana.
Saloon, orchestre da strada - le cosiddette brass
band - e bordelli del quartiere a luci rosse di
Storyville sono i luoghi ove si esibivano gli artisti.
Fra gli altri Louis Armstrong, Jelly Roll Morton,
Sidney Bechet, Kid Ory, Joe King Oliver.
In Pretty Baby, primo e non completamente riuscito film americano di Louis Malle, viene descritta, attraverso gli occhi di una bambina iniziata al
sesso, proprio la vita di prostitute e musicisti nei
casini di inizio secolo.
Il 12 novembre 1917 i postriboli di Storyville
vengono ufficialmente chiusi per ordine del
Comando della Marina degli Stati uniti, preoccu-
pato per le risse e gli omicidi che sempre più frequentemente vedevano come vittime i marinai
americani.
Puttane e protettori, camerieri, cuochi e sguatteri,
musicisti che lavoravano nel quartiere si trovarono, improvvisamente, senza lavoro e senza un
posto dove stare. Alcuni musicisti trovarono
impiego sui battelli che solcavano il grande fiume,
il Mississippi. Altri, la maggior parte, si trasferirono al nord, soprattutto a Chicago, così come è
descritto anche in Pretty Baby.
Una stagione era finita per sempre. Molte altre
sarebbero cominciate.
Un film storiograficamente importante, in quanto
rievoca, ripercorrendola schematicamente, la storia del jazz nei suoi passaggi da New Orleans a
Chicago e poi a New York, è La città del jazz
(New Orleans, 1947) di Arthur Lubin.
Il film, che si apre nella città del delta, si dipana in
una banale love story fra una giovane cantante lirica figlia della ricca borghesia cittadina e un
biscazziere. La ragazza, che mostra un deciso interesse per i nuovi ritmi sincopati, non esita a
Louis Armstrong
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immergersi nella realtà dei locali di Storyville in
cui suonano i musicisti di colore, descritti come
una sorta di girone infernale dal quale le giovani di
buona famiglia dovrebbero stare alla larga.
È tuttavia fonte di
interesse, nel film,
la partecipazione
dei maggiori musicisti del tempo,
quali
Louis
Armstrong (nella
versione italiana il
nomignolo
Satchmo viene cambiato in Sambo,
termine con il
quale erano chiamati un po' spregiativamente i neri),
Kid Ory, Billie
Holiday, qui alla
sua unica apparizione cinematografica,
Woody
Hermann. E il film
termina
proprio
sulle immagini del
trionfo dell'orchestra del compositore bianco, sotto gli
sguardi ammirati
dei musicisti neri,
quasi a sancire la
superiorità del jazz
suonato dai bianchi
su quello interpretato dai neri. In
un'epoca in cui il
bebop irrompeva
prepotentemente
Dall’alto in basso:
nel panorama jazziBillie Holiday; Kid Ory;
stico e culturale, il
Bix Beiderbecke
cinema continuava
a raccontare la propria versione edulcorata della storia, nonostante i
musicisti neri si fossero ormai affermati.
za dei musicisti neri e dove l'unico fine è quello di
celebrare il cinema, lo spettacolo, l'America.
Unica, tardiva, eccezione è St. Louis Blues (1959)
di Allen Reisner, che racconta la vita del compositore di colore Willam Christopher Handy, con Nat
King Cole, Cab Calloway e Ella Fitzgerald.
In ogni caso è fuor di dubbio che il jazz, trasferitosi e impiantatosi stabilmente a Chicago vide
emergere, accanto a talentuosi musicisti di colore
emigrati dalla Louisiana, tutta una serie di artisti
anche di notevole spessore dalla pelle chiara.
Soprattutto, per la prima volta, neri e bianchi si
trovarono a suonare negli stessi gruppi. Artisti
bianchi del calibro di Pee Wee Russell, Eddie
Condon, Mezz Mezzrow e, soprattutto, Bix
Beiderbecke, iniziarono proprio nella Città del
Vento, come viene chiamata la metropoli posta
sulle rive del Lago Michigan, una carriera che, per
alcuni, sarebbe stata strepitosa, per altri, come
appunto Beiderbecke, si sarebbe conclusa tragicamente.
Ma Chicago negli anni Venti non era solo musica,
La criminalità organizzata in bande che si spartivano palmo a palmo il territorio cittadino raggiunse livelli incontrollabili, ciò grazie al Volstead Act,
la legge che proibì il consumo di alcolici in tutti
gli Stati uniti. Il jazz non poteva sfuggire a questa
situazione. Gli artisti si trovarono a suonare nei
locati gestiti o controllati dai gangster e, in alcuni
casi, come ad esempio i New Orleans Rhytm
Kings un'orchestra di musicisti bianchi provenienti da New Orleans, sotto la loro diretta protezione.
Nel capolavoro di Billy Wilder A qualcuno piace
caldo (Some Like It Hot, 1959), viene descritta con
toni da commedia brillante, la vita dei suonatori
jazz nella Chicago di quegli anni presi in mezzo,
spesso incolpevolmente, nella guerra fra gang
rivali.
A New York!
Quasi contemporaneamente il jazz fece la sua
comparsa a New York al seguito della grande
immigrazione che, negli anni dal 1914 al 1920,
portò dagli stati del sud decine di migliaia di neri
che, a poco a poco, si stabilirono nel quartiere di
Harlem.
I sentimenti della popolazione di colore erano
divisi, in quegli anni, fra il desiderio di emancipazione da una condizione di povertà, dimenticando
le proprie origini e una realtà di miseria alla quale,
inesorabilmente, venivano quotidianamente con-
Nei jazz film quello della superiorità della musica
e dei jazzisti bianchi sui loro colleghi afroamericani è un tema dominante, almeno per quanto
riguarda gli anni '40 e '50, dove prevale uno stile
hollywoodiano in cui spicca la quasi totale assen4
estrazione classica che, nel 1922, controllava una ventina di orchestre.
In realtà quello di Whiteman era un tentativo di addolcire le sonorità aspre e
discordanti della musica dei vari
Armstrong, Morton, Oliver, con i suoni
ben più snobistici derivati dalla musica
colta europea. Ebbe inizio un equivoco
che sarebbe continuato per decenni,
coinvolgendo musicisti anche più quotati di Whiteman, sia bianchi, come
Stan Kenton, sia di colore, come John
Lewis e il suo Modern Jazz Quartet.
Nonostante ciò i musicisti neri non si
lasciarono deviare dalla strada intrapresa a Chicago dagli uomini arrivati da
New Orleans. Nei locali di Harlem si
esibirono e divennero grandi artisti che
avrebbero fatto la storia del jazz. Count
Basie, James P. Johnson, Willie "The
Lyon" Smith, Louis Armstrong (che
faceva la spola fra Chicago e la
"Grande Mela"), Fats Waller, furono
solo alcuni fra i jazzisti che sarebbero
diventati famosi in tutto il mondo. A
questi se ne aggiunsero altri come
Coleman Hawkins e, soprattutto, Duke
Ellington che dal Cotton Club spiccò il
volo per intraprendere una carriera stellare che lo avrebbe portato a esibirsi di fronte a
platee di tutto il mondo.
Il Cotton Club era un locale di Harlem posto fra la
Lenox Avenue e la 142a strada. Riservato a un
pubblico bianco ma animato esclusivamente da
artisti di colore, era stato rilevato nel 1922 da
Owney Madden, un gangster da poco uscito da
Sing Sing.
Il Cotton Club divenne ben presto un locale dove
le ingioiellate signore della buona borghesia bianca andavano ad ascoltare la "musica dei negri".
Negri che raramente potevano accedervi come
spettatori e quando ciò accadeva, ad esempio nel
caso di celebrità, dovevano comunque accontentarsi di posti defilati.
A questo famoso locale Francis Ford Coppola
dedicò un film intitolato per l'appunto Cotton Club
(The Cotton Club, 1984), con Richard Gere che
interpreta la parte di un cornettista (e che suona
davvero lo strumento) che si esibisce, unico bianco fra musicisti neri, nel celebre locale.
Accuratissime sono le ricostruzioni d'epoca, con
Marylin Monroe
dannati.
In questo contesto il blues era uno dei pochi strumenti validi per alleviare lo squallido grigiore
giornaliero e grandi cantanti come Mamie Smith
furoreggiarono e divennero le beniamine degli
abitanti del quartiere-ghetto. La follia collettiva
per il blues, tuttavia, scemò nel giro di pochi anni
anche se, ovviamente, questa musica, non scomparve.
Scomparvero, invece, tutta una serie di orchestrine bianche che erano nate in quel periodo e che
suonavano un falso jazz, sulla falsa riga della ben
più quotata Original Dixieland Jazz Band, sfruttandone soprattutto gli aspetti divertenti e gli effetti da spettacolo di varietà. Ben presto a New York
nacquero le grandi orchestre capeggiate da artisti
sia di colore che bianchi. Fra i primi, il più quotato era Fletcher Henderson, arrivato nel 1920 dalla
Georgia.
Tuttavia, al pari di altri capi orchestra, Henderson
non era molto noto al grande pubblico bianco. Il
jazz per molti era soprattutto la musica da ballo
che faceva Paul Whiteman, un musicista bianco di
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le musiche di Fats Waller, Louis Armstrong, Duke
Ellington e Cab Calloway, che interpreta se stesso
cantando Minnie The Moocher.
Il film si sviluppa lungo tre linee drammatiche. La
prima segue le vicissitudini della comunità nera,
umile e derelitta alla quale il Cotton Club apre le
porte solamente in qualità di animali da palcoscenico. La seconda e la terza seguono, rispettivamente, le gesta del gangster locale e del cornettista interpretato da Gere.
Cotton Club è un film corale dove grande importanza assume il contorno di caratterizzazioni e di
grandi attori che interpretano parti secondarie
(uno su tutti Julian Beck, fondatore del Living
Theater, nella parte di un guardaspalle), oppure
alla presenza di sosia di alcune celebrità dell'epoca come Chaplin, James Cagney, Gloria Swanson,
ecc.
verà la vita sconvolta dalla cantante del locale
(Virginia Mayo) che farà attirare su di lui e sui colleghi le attenzioni e le ire della mafia locale. Gli
studiosi verranno così a conoscenze con le gioie
che può procurare la musica jazz.
Di notevole, nel film, le musiche interpretate da
Louis Armstrong, Charlie Barnet, Lionel
Hampton, Tommy Dorsey, mentre uno dei professori è interpretato dal compositore e capo orchestra Benny Goodman.
Kansas City
La Grande Depressione del 1929, che
portò gli Stati uniti
d'America sull'orlo del
fallimento, ebbe ripercussioni
negative
anche sul mondo del
jazz.
I locali delle grandi Tom Pendergast, boss
città, da New York a incontrastato di Kansas City
Chicago, entrarono in negli anni ‘20
crisi e migliaia di musicisti si trovarono da un giorno all'altro disoccupati. A New York, soprattutto, dove molti artisti si
erano trasferiti provenienti da Chicago, città che
iniziava a scontare le conseguenze dell'amministrazione corrotta del suo sindaco Big Bill
Thompson, legato a filo doppio con Al Capone.
L'era d'oro del jazz chicagoano era per sempre terminata. I maggiori musicisti, da Gene Krupa a
Eddie Condon, da Benny Goodman a Bud
Freeman, si ritrovarono in Times Square a New
York, cercando di sbarcare il lunario alla meno
peggio.
Ma se la situazione per i bianchi era grama, per i
musicisti neri era addirittura disperata, aggravata da difficoltà legate ai sempre presenti
pregiudizi razziali. Molti artisti di colore finirono per abbandonare l'attività dedicandosi ad
altro, come, ad esempio, Kid Ory, finito ad
allevare galline, o Sidney Bechet, che aprì
un'umile bottega a Harlem.
Altri film trattarono, sia in maniera brillante, sia in
forma più drammatica, i rapporti fra jazz e malavita. Fra i primi un film di Howard Hawks, Venere
e il professore (A Song Is Born, 1948), un musical
con Danny Kaye e Virginia Mayo, rifacimento di
un precedente film dello stesso Hawks, Colpo di
fulmine (Ball Of Fire, 1942).
Mentre in Colpo di fulmine alcuni professori vorrebbero apprendere lo slang parlato dalla mala
(memorabile l'assolo di batteria che Gene Krupa
interpreta davanti a Barbara Stanwyck utilizzando
come bacchette due fiammiferi e la scatoletta
come tamburo), in Venere e il professore un gruppo di studiosi sono impegnati nella realizzazione
di una nuova enciclopedia. Arrivati a dover commentare la voce "jazz", uno di loro, Danny Kaye,
decide di immergersi nella realtà dei night-club
per meglio apprendere tutto quello che possa tornare utile per la compilazione dell'opera. Si tro-
Ma se il jazz era in declino nelle grandi città
dell'est, non lo era nel sud ovest e, in particolare a Kansas City nel Missouri, dove prosperava proprio nel momento in cui stava declinando altrove. Ciò fu possibile grazie a due
fattori. Alla posizione geografica strategica
Una scena di Kansas City, di Robert Altman
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della città che le aveva permesso di diventare il
maggior centro commerciale del sud ovest e al
particolare clima instaurato a quel tempo da Tom
Pendergast, politicante locale e boss incontrastato,
possessore del potere politico e controllore di ogni
sorta di racket, da quello degli alcolici a quello dei
locali notturni.
L'aria che si respirava a Kansas City è descritta nel
film di Robert Altman Kansas City (1996) nel
quale alcuni musicisti di oggi, fra cui James Carter
e Joshua Redman rendono omaggio a Count Basie
e alle jam sessions nelle quali Coleman Hawkins
sfidava Lester Young in vere sax battles.
Kansas City è una straordinaria ricostruzione degli
ambienti e di un'epoca di grande maturità per la
musica nera, anticipatrice della rivoluzione linguistica che, di lì a una decina di anni, sarebbe stata
introdotta con il bebop.
Proprio le jam sessions erano un fattore caratterizzante la vita musicale della città del Missouri. I
migliori suonatori dell'epoca si confrontarono in
interminabili sfide all'ultima nota. Negli anni fra
il 1933 e il 1936 era facile incontrare Lester
Young, Coleman Hawkins, Ben Webster, Charlie
Parker, allora giovanissimo, la pianista e arrangiatrice Mary Lou Williams. Spesso questi "monumenti" della musica afroamericana venivano svegliati in piena notte e chiamati per risolvere sfide
difficili.
dalle rivolte che, ogni tanto, scoppiavano nei ghetti e che videro il culmine negli anni della guerra,
come testimoniano i tumulti di Harlem e Detroit
del 1943.
Il bebop: la riscoperta delle proprie origini
L'"era dello swing" finì con la guerra, negli studio
ove si registravano i V-disc, i dischi prodotti esclusivamente per i soldati al fronte e che permisero
agli europei di scoprire e capire il jazz. Ma se un
certo mondo legato al puro divertimento stava inesorabilmente scomparendo (le orchestre swing
battevano i loro ultimi colpi suonando per i soldati che tornavano dal fronte a guerra finita, come
descritto nelle scene iniziali di New York, New
York (id., Martin Scorsese, 1977), non stava di
certo morendo il jazz, pronto a ripresentarsi sotto
altre vesti, più dure, di rottura, di riscoperta delle
proprie origini da parte dei musicisti afroamericani. Stava nascendo il bebop, che fece la sua prima
comparsa ufficiale nei locali della 52a Strada di
New York nel 1944.
A tal proposito Woody Herman, raccontando una
sua esperienza all'Onyx Club ad ascoltare il quintetto di Dizzy Gillespie e Oscar Pettiford, ebbe a
dire: "Appena fummo entrati, quei tipi afferrarono
i loro strumenti e si misero a suonare quella loro
roba folle. Uno si interrompeva improvvisamente,
un altro cominciava a suonare senza una ragione al
mondo. Noi non avremmo mai saputo dire quando
un assolo avrebbe dovuto cominciare o terminare.
Poi tutti quanti smisero di suonare e se ne andarono dal podio. Ci spaventarono".
Con il finire della cosiddetta "era Pendergast", il
jazz a Kansas City scomparve quasi del tutto, per
rifiorire a New York contemporaneamente al New
Deal instaurato dal nuovo presidente Franklin
Delano Roosevelt. Era giunto il momento di
abbandonarsi al divertimento. Nacque lo swing,
una musica adatta al ballo, alla festa.
Bianchi e neri erano tutti accomunati nel realizzare una musica il cui scopo era quello di far dimenticare i giorni cupi della depressione.
Gli appartenenti a entrambe le razze si accalcavano sulle piste da ballo per ascoltare la medesima
musica.
Questo non voleva certo dire che la discriminazione razziale era superata. I neri che si stiravano e si
impomatavano i capelli o i jazzisti di colore che
vestivano eleganti marsine, non erano un omaggio
alla superiorità dei bianchi bensì, piuttosto, un
fenomeno di mimetismo necessario per sopravvivere in una società che continuava a tenere i neri
nelle stanze di servizio.
Che il fuoco covasse sotto la cenere è dimostrato
I prodromi di questa "rivoluzione" musicale erano
riscontrabili già da alcuni anni. In particolare in un
locale newyorkese, il Minton's Playhouse, dove
sin dal 1940 si ritrovavano a suonare musicisti
allora sconosciuti ma che sarebbero diventati
estremamente famosi di lì a qualche anno. Basti
ricordare, fra gli altri, Thelonious Monk, Kenny
Clarke, Charlie Christian, Dizzy Gillespie, Bud
Powell e Charlie Parker detto Bird, che stupì tutti
per il tipo di musica che era in grado di suonare.
Certo il bebop non ebbe vita facile. Accanto ai
suoi ammiratori, vi erano anche numerosi detrattori. Tra questi molti musicisti della vecchia guardia, come Louis Armstrong, che vedevano nel
nuovo modello musicale semplicemente un modo
per fare, come disse lo stesso Satchmo, dell'esibizionismo malizioso.
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Una intensa immagine del sassofonista Dexter Gordon
In realtà non era così. Il bop, come presto venne
chiamato, voleva essere non più una musica da
ballo, bensì una musica da ascoltare, lontana dalle
logiche dell'industria musicale. Una musica intrinsecamente africana. Il movimento bopper, infatti,
non fu solamente rivoluzionario nella musica;
ebbe anche implicazioni di carattere sociologico e
culturale nella vita dei giovani neri, permettendo
loro di ritrovare un'identità e una dignità che la
loro razza aveva perduto. Anche per questo molti
giovani abbracciarono la fede islamica, modificando il proprio nome, così come successe nei
successivi anni '60 con il movimento delle Black
Panther. Era una maniera questa per sentirsi più
legati alla madre Africa.
Il bebop permise al jazz di assumere, da quel
momento, una connotazione di musica "dotta".
Tuttavia, dopo i primi anni di curiosità, questa
musica entrò in crisi e i loro esponenti, fatte,
pochissime eccezioni, come ad esempio Dizzy
Gillespie, conducevano una vita di miseria, anche
a causa delle droghe pesanti delle quali molti di
essi abusavano. Furono in molti a morirne o a
accusare pesanti conseguenze. Charlie Parker
morirà a soli trentacinque anni; l'eroina si portò
via Fats Navarro, considerato una delle migliori
trombe bopper; Tadd Dameron finì in manicomio
per molti anni, così come il pianista Bud Powell
che entrò e uscì più volte dalle cliniche psichiatriche.
Proprio la figura di Bud Powell è l'ispiratrice di
'Round Midnight - A mezzanotte circa ('Round
Midnight, 1986) del regista francese Bertrand
Tavernier.
Ambientato a Parigi, a cavallo fra la fine degli
anni '50 e l'inizio degli anni '60 il film, attraverso
il personaggio immaginario di Dale Turner (splendidamente interpretato da Dexter Gordon) e della
sua amicizia con Francis Borier (a sua volta ispirato alla figura di Francis Paudras, biografo e
amico di Powell), offre uno spaccato della cultura
e dell'ambiente parigino e di come questo abbia
assorbito il jazz proveniente da oltre oceano.
Grazie alle immagini e, soprattutto, alla splendida
colonna sonora che il pianista Herbie Hancock ha
realizzato rielaborando famosi standard, Tavernier
celebra un'epoca trattandola in maniera romantica,
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con grande pathos, ma mai con retorica. Anche per
questo, a quasi vent'anni dalla sua uscita nelle
sale, 'Round Midnight resta uno dei migliori jazz
film mai realizzati, opera importante per conoscere e apprezzare il jazz.
della sua scarsa immediatezza di recepimento
della melodia.
Ma dopo il raffreddamento il jazz tornò a “riscaldarsi”. Accadde così che al cool jazz seguì un
risveglio del jazz nero.
Nomi nuovi salirono alla ribalta del panorama jazzistico. Artisti quali il trombettista Clifford
Brown, i batteristi Art Blakey e Max Roach, il sassofonista Sonny Rollins, il pianista Horace Silver,
furono i fautori di una stagione che, partendo dal
bop, sviluppò una musica più aggressiva, magari
più semplice, ma che riscopriva i caratteri delle
fonti, rivalutava le caratteristiche fondamentali
del jazz, come l'improvvisazione, l'impeto ritmico,
il senso del blues.
In poche parole, i neri stavano riprendendo in
mano la loro musica, così come sarebbe successo
qualche anno più tardi con Charles Mingus, John
Coltrane, Max Roach, che realizzò la Freedom
Now Suite, un tributo alla lotta di liberazione del
popolo afroamericano e veicolo di protesta e di
richiesta di giustizia .
Così come accadde con il movimento delle Black
Panthers e il free jazz o, meglio, la free music,
come prefivano chiamarla i vari artisti che, negli
anni '60, la realizzarono e, fra i quali, ricordiamo
Ornette Coleman, Archie Shepp, Albert Ayler,
Don Cherry.
Dal bebop al free jazz
Con la fine del bebop il jazz, allo scopo di addolcire il suono, per così dire, si raffreddò. Nacque
così il cool jazz che dalle rive dell'Atlantico, con
le esperienze significative di Lennie Tristano, di
Woody Herman e la sua orchestra nella quale militavano, fra gli altri, Jimmy Giuffre e Stan Getz, di
Dave Brubeck, Miles Davis e Gil Evans, si trasferì
sul Pacifico dove si sviluppò la cosiddetta "scuola
californiana" che vide concretizzarsi le esperienze
importanti di Shorty Rogers, Shelly Manne e,
soprattutto, Gerry Mulligan e il suo quartetto nel
quale alla tromba si esibiva Chet Baker.
L'esperienza del cool jazz durò poco; verso la fine
degli anni '50 molti musicisti rimasti a Los
Angeles si lasciarono assorbire dall'anonimato
degli studi di incisione o di registrazione annessi
agli stabilimenti cinematografici.
Il jazz, bianco e saggio, diventò una musica alla
moda nella Hollywood di quegli anni, dando un
particolare colore alle musiche da film, facendo,
cioè, quello che non aveva fatto il bebop a causa
9
I PROTAGONISTI
BIOGRAFIE REALI E IMMAGINARIE NEL JAZZ
C
ome già accennato in precedenza, con gli
anni Quaranta e Cinquanta il cinema hollywoodiano, nostalgico di una mitizzata
epoca d'oro, si reinventa la storia del jazz, moltiplicandone le biografie romanzate.
La biopic, o biografia musicale, non limitata solamente al jazz, tende a rendere epiche le figure di
cantanti, ballerini, musicisti. Nell'ambito della
musica jazz, il risultato è oscillante fra opere che,
in quanto realizzate da abili cineasti quali furono,
ad esempio, Michael Curtiz o Anthony Mann,
risultano narrativamente pregevoli e prodotti che
rientrano fra i peggiori modelli del cinema di
Hollywood, con cronache romanzate e scontato
happy end finale.
Dalla parte dei bianchi
La figura di Al Jolson (l'attore bianco che portò
sullo schermo la macchietta del negro ne Il cantante di jazz, è celebrata da Henri Levin in Jolson
Sings Again (1943), da Alfred E. Green in The
Jolson Story (1946) e nel remake omonimo del
film di Alan Crosland, realizzato da Michael
Curtiz nel 1953.
Ma sono soprattutto le vite dei
grandi direttori
d'orchestra
a
rendere popolare il film biografico.
Benny
Goodman,
Glenn Miller,
Gene
Krupa,
Red Nichols,
sono solo alcuni
dei jazzmen più
in voga in quel
periodo
che
Locandina del film Il re del jazz
hanno avuto l'onore di vedere la
loro vita narrata sullo schermo, anche se, nella
maggior parte dei casi, il risultato è piuttosto
mediocre.
Ne Il re del jazz (The Benny Goodman Story,
1956) di Valentine Davies, viene ripercorsa la vita
del band leader Benny Goodman dall'adolescenza
10
e dalla giovinezza, dove viene musicalmente
instradato da Kid Ory, vecchio grande del jazz di
New Orleans, sino ai trionfi alla Carnegie Hall,
tempio della musica lirica che apre al nuovo sound
americano.
Proprio il concerto newyorkese è forse il momento migliore del film, tutto sommato mediocre e
privo di mordente, ravvivato, si fa per dire, dalla
love story fra il protagonista e la futura moglie.
Sullo schermo si susseguono i pezzi che la band di
Goodman realizzò in quella serata, a partire da
Shine con uno stupendo
assolo di Harry James alla
tromba, passando per i virtuosismi
di Lionel
Hampton al vibrafono, per
finire con Sing, sing, sing,
scatenato assolo di Gene
Krupa alla batteria.
Nel film Benny Goodman è
interpretato da Steve Allen,
allora popolare conduttore
di talk show televisivi,
mentre Ellis, la fidanzata, è
interpretata da Donna Reed.
Le sequenze musicali in cui Locandina del film
Steve Allen suona sono Chimere
doppiate al clarinetto dallo
stesso Goodman, mentre i componenti della band,
Hampton, Krupa, Teddy Wilson, appaiono nella
parte di se stessi.
Di livello superiore appaiono Chimere (The Young
Man With A Horn, 1950), realizzato da Michael
Curtiz e La storia di Glenn Miller (The Glenn
Miller Story, 1954) di Anthony Mann.
In Chimere il protagonista, ribattezzato per l'occasione Rick Martin, interpretato da Kirk Douglas,
si autodistrugge con l'alcol a causa di una donna
(Lauren Bacall). Ispirato alla breve e dannata vita
di Bix Beiderbecke, giovane e talentuoso cornettista di Davenport, Iowa, non ne ricalca fedelmente
la storia. In Chimere Rick Martin viene descritto
come un orfano mentre Bix non lo era; ad accomunare i due personaggi è la dipendenza dal whisky che portò Bix alla morte a causa di una polmonite che aveva minato il suo fisico debilitato. In
Chimere, invece, è d'obbligo il lieto fine: il prota-
gonista, ormai in preda all'alcolismo, vaga solo
per la città. La polmonite che lo colpisce non lo
porterà alla morte ma, grazie all'affetto e al
conforto degli amici, una volta guarito ritornerà in
sé, più uomo e, quindi, secondo Curtiz, musicista
migliore, meno geniale ma più equilibrato.
Bello e, jazzisticamente parlando, più riuscito, è il
momento in cui viene presentato allo spettatore il
panorama variegato delle sale da ballo, dei locali
alla moda dove si esibiscono le big band, o i locali fumosi dove i jazzisti si esibiscono per un pubblico meno esclusivo.
Nel film c'è un forte richiamo al noir, non inteso
come film poliziesco o thriller, bensì come film
d'ambientazione, dove il protagonista si perde nei
bassifondi di Chicago in preda all'alcol a causa di
una dark lady, Lauren Bacall, pronta a corrompere la purezza del protagonista, contrapposta all'amica cantante che lo aiuterà nel ritrovare la propria dignità e che nel film è interpretata da Doris
Day, considerata allora la fidanzatina d'America,
immagine della brava ragazza nell'immaginario
collettivo.
Nel film la tromba di Kirk Douglas è quella di
Harry James, anche se lo stesso Douglas aveva
preso lezioni di tromba per tre mesi, al fine di
impostare correttamente il movimento delle dita e
la posizione delle labbra sullo strumento, così
come avrebbe fatto vent'anni dopo Robert De Niro
per New York, New York.
Più recentemente alla vita di Beiderbecke si è ispirato il nostro Pupi Avati che, nel 1991, ha realizzato Bix - Un'ipotesi leggendaria. Avati, che in
gioventù era stato, a livello dilettantistico, un
discreto e appassionato jazzista (ricorderà tali trascorsi nel film per la Tv Jazz Band, 1978), si lascia
trasportare dall'entusiasmo, realizzando, però, un
film freddo e spesso noioso. Attraverso tutta una
serie di flashback, ci viene mostrata la vita di Bix
a partire dai contrasti con la famiglia che lo portano a disertare l'università per andare a sentire suonare i New Orleans Rhytm Kings, alla nascita
della band dei Wolverines, dove iniziò la sua carriera e nella quale divenne famoso, sino alla tragica fine, avvenuta il 6 agosto 1931.
Le musiche del film sono state curate da Lino
Patruno che suona il banjo e che si è affidato, per
gli arrangiamenti, a Bob Wilber, già impegnato nel
Cotton Club di Coppola.
Come si può capire, il jazz film americano degli
11
anni Cinquanta era propenso a esaltare soprattutto
le gesta di musicisti bianchi. Ciò è dimostrato
anche da altre pellicole, quali Ritmo diabolico
(The Gene Krupa Story, 1959) di Don Weis, incentrata sulla vita del batterista Gene Krupa; I cinque
penny (The Five Pennies, 1958), di Melville
Shavelson, biografia del trombettista bianco Red
Nichols, e il già citato La storia di Glenn Miller,
di Anthony Mann, nel quale si ritrovano, accanto
a James Stewart che interpreta la parte del protagonista, gli stessi Krupa e Nichols, insieme a
Benny Goodman.
Il film ripercorre in maniera rigorosa e precisa la
vita del grande compositore morto nel 1944 precipitando con un aereo nella Manica mentre da
Londra si dirigeva a Parigi per suonare nella città
liberata dai tedeschi. Commedia e buoni sentimenti si intrecciano in un film che ricorda un'opera di Frank Capra, grazie anche alla presenza di
James Stewart, uno dei suoi attori prediletti.
Dal punto di vista
più propriamente
jazzistico, è da
antologia
la
sequenza nella
quale per festeggiare le nozze fra
Miller e Helen,
interpretata da
June Allyson, gli L’attore James Stewart nei panni
amici trascinano del direttore d’orchestra Glenn
Miller
la coppia in un
locale di Harlem
dove sul palco suona Louis Armstrong che li coinvolge in una scatenata jam session.
Altre biografie musicali vennero realizzate in quegli anni, perpetuando spesso lo schematismo di cui
si è già detto in precedenza. Alle pellicole già
menzionate va aggiunta I favolosi Dorsey (1947),
di A. W. Green, che rende omaggio alla figura dei
fratelli Dorsey, Jimmy e Tommy, rispettivamente
clarinettista e trombonista, che diressero insieme
una grande orchestra avvalendosi, per gli arrangiamenti, del giovane Glenn Miller. Nel film a
loro dedicato, i due fratelli, idea che ha fatto la fortuna del film, interpretano sé stessi.
Da ricordare ancora La donna del gangster (1951)
di Leslie Kardos e Tempo di furore (Peter Kelly's
Blues, 1995) di Jack Webb, due esempi di biografie immaginare.
Una parziale svolta alla celebrazione del jazz
bianco la si ha nel 1958 con l'uscita di Saint Louis
Blues (St. Louis Blues) diretto da Allen Reisner e
ispirato alla vita del compositore di blues tradizionali William Christopher Handy, interpretato dall'allora famosissimo Nat "King" Cole. Il film non
è privo della solita retorica hollywoodiana che
considera il blues la musica del demonio e chi la
suona perduto e condannato a scontare i propri
peccati. Nel caso di Handy la punizione divina
sarà rappresentata dalla cecità, seppur temporanea
cosicché, una volta riacquistata la vista, potrà
scontare le proprie colpe dedicando il proprio
talento alla musica sacra e assecondando, così, i
desideri del padre, pastore della chiesa episcopale.
Nonostante ciò il film risulta interessante per alcuni motivi. Innanzi tutto per le splendide interpretazioni di Ella Fitzgerald (qui nella parte di sé stessa) e di Mahalia Jackson come corista nel coro
della chiesa del pastore. Poi l'alternanza fra sacro
e profano, la musica gospel e quella blues, descrivono in maniera particolarmente efficace la base
culturale da cui è originata la musica afroamericana. Da questo punto di vista sono splendide le
interpretazioni dei gospel e dei canti di lavoro.
Infine, nonostante il lieto fine, il film si permette
un breve insegnamento sulla musica nera, definendo il blues come l'unico, vero, contributo dell'arte statunitense nel mondo.
Il jazz film contemporaneo
Per avere una significativa
svolta nel jazz film, bisognerà
attendere gli anni Settanta.
Dopo alcune pellicole biografiche, o pseudo biografiche,
piuttosto deludenti, fra le quali
La signora del blues (Lady
Sings The Blues, 1972) di
Sidney J. Furie, sulla vita di
Billie Holiday (per altro ottimamente interpretata dalla
cantante Diana Ross, al suo
esordio sullo schermo), escono
nel 1977 due opere fra loro
assai lontane ma entrambe preludio al jazz film contemporaneo. Si tratta di Passing
Through, di Larry Clark e New
Sean Penn
nella parte di
Emmett Ray in
Accordi e disaccordi di Woody
Allen
12
York, New York di Martin Scorsese, considerato
uno dei suoi migliori lungometraggi.
Quest'ultima è la storia immaginaria di una coppia
di jazzisti bianchi, il sassofonista Jimmy Doyle,
interpretato da Robert De Niro e la cantante
Francine Evans, interpretata da Liza Minnelli. Il
film ne segue le vicende dalla fine della Seconda
guerra mondiale e per circa un ventennio. I due,
con le loro scelte agli antipodi, rappresentano il
diverso modo di concepire il jazz. Da un lato (De
Niro) la ricerca e l'impegno, che portano necessariamente all'emarginazione (tutto ciò rappresenta
il bebop, cioè il nuovo modo di intendere la musica jazz), dall'altro (Minnelli) la scelta di realizzare
una musica più commerciale, pienamente inserita
nello show business dell'industria discografica e
del musical.
In realtà Scorsese, raccontando le vite di Jimmy e
Francine, non si discosta molto dai suoi film precedenti, Mean Street e Taxi Driver. Al pari di questi, New York, New York non è altro che una dolente ballad dove a emergere è la solitudine dei due
personaggi che non riescono a vivere al di fuori
della finzione del palcoscenico.
New York, New York, pur non essendo propriamente un musical (i dialoghi non avvengono mai
in chiave musicale), al musical allude, soprattutto
per quanto riguarda le coreografie, per alcuni dettagli scenografici quali, ad esempio, le scene in cui
oltre due ore di film.
Accordi e disaccordi è invece la ricostruzione in
forma semi-documentaristica della vita dell'immaginario chitarrista swing Emmet Ray, ottimamente interpretato da Sean Penn che ne fa un personaggio vanesio, sbruffone, insicuro e geniale, considerato il più grande chitarrista jazz del mondo
"se solo non fosse esistito Django Reinhardt".
Film malinconico e molto umoristico, è una riflessione del destino dell'eterno secondo, scritto da
Woody Allen ispirandosi alla Strada di Fellini,
soprattutto per la presenza della figura di Hattie, la
silenziosissima moglie di Ray, che ricorda molto
la Gelsomina interpretata da Giulietta Masina.
Nel film Sean Penn, che ha comunque preso lezioni di arpeggio alla chitarra, è doppiato da Howard
Alden.
Una scena di Mo’ better blues, di Spike Lee
compaiono alcune big band, per le atmosfere notturne o, ancora, per l'omaggio che Scorsese rende
a Judy Garland, riprendendo la figlia Liza
Minnelli quando canta inquadrata dal riflettore
nello studio deserto.
De Niro, che aveva studiato sax per tre mesi prima Documentare il jazz
di interpretare il film, è doppiato da George Auld,
che compare nel film anche come direttore d'or- Se Accordi e disaccordi è una fiction che utilizza,
chestra.
in parte, le tecniche tipiche del documentario, svariati sono i documentari che, a partire dagli anni
Del filone "biografie immaginarie" sono state rea- Settanta, hanno analizzato generi e personaggi
lizzate varie opere. Fra le più significative, oltre tipici del jazz.
New York, New York, vanno ricordate Mo' Better Tralasciamo gli svariati documentari relativi a
Blues (id., 1990) del regista nero Spike Lee e concerti e festival, citando solamente Jazz In A
Accordi e disaccordi (Sweet and Lowdown, 1999) Summer Day (Bruce Stern, 1959), cronaca di un'edi Woody Allen.
dizione del Festival di Newport. L'inizio è assai
Nel primo Spike Lee che, fra l'altro, è figlio di un spettacolare con la macchina da presa che filma le
jazzista, descrive e analizza attraverso la vita di acque del porto della cittadina atlantica ingrandenBleek Gilliam, immaginario trombettista di colo- dole sino al dettaglio per creare astratti arabeschi,
re, la vita della comunità nera newyorkese.
allargandosi poi sul palco sul quale si esibisce il
Lee, che si ritaglia la parte dell'impresario di sassofonista Jimmy Giuffre.
Bleek, rende in maniera estremamente sobria e Jammin The Blues è, invece, un cortometraggio
credibile, senza mitizzarla, la vita di un jazzista, realizzato nel 1944 dal fotografo di origine albadi un individuo attraverso la sua ascesa e la suc- nese Gijon Mili. Capolavoro assoluto nella storia
cessiva caduta. Nel film, molto amaro e dramma- del jazz film, è girato in un bianco e nero che non
tico, Bleek smetterà di suonare dopo che, per lascia spazio alle tonalità intermedie, prediligendo
difendere l'amico impresario, due "gorilla" gli chiaroscuri molto netti. Riprende una jam session
spaccano la bocca.
con il sassofonista Lester Young, mettendo in
Mo' Better Blues è un'opera che affronta molti scena un sestetto a cui si aggiunge una cantante e
temi cari al regista, come la vita nel quartiere di poi un altro sassofono. Grazie al lavoro del regista
Brooklin, i rapporti all'interno della famiglia, le questo film, precursore dei moderni video clip è
dinamiche di coppia, la cultura afroamericana.
un tentativo riuscito di restituire tutto il calore del
La colonna sonora è composta da Bill Lee, padre blues, la vera essenza della musica afroamericana.
di Spike, Frank Foster e Branford Marsalis, che
doppia Denzel Washington. Si avvale, inoltre, di Per quanto riguarda il documentario vero e pronumerosi brani di Miles Davis, Charles Mingus, prio, è possibile distinguere, grossolanamente, due
Cannonball Adderley e John Coltrane, fra cui il filoni principali. Nel primo possono essere comsuo A Love Supreme, che ritorna spesso durante le presi tutti quei documentari che prendono in con13
siderazione il blues sia come fenomeno corale,
legato al filo della memoria, alla ricerca delle proprie radici, sia come analisi dei legami che possono intercorrere fra una musica, una città e la
comunità di colore che la abita.
Il primo è il caso, ad esempio, di Mississippi
Blues, film del 1985 realizzato da Robert Parrish,
un vecchio regista che fra l'altro, è stato anche
montatore dei film di John Ford, e Bertrand
Tavernier, il noto regista francese autore del già
citato 'Round Midnight.
Mississippi Blues può essere a tutti gli effetti considerato la biografia di una comunità, quella di
colore, che abita gli stati del profondo sud degli
Stati uniti, il Mississippi in particolare. I due filmaker ci raccontano, percorrendo con un vecchio
gippone i luoghi dove il blues è nato e si è sviluppato, come in queste zone esista ancora una comunità afroamericana che, come un tempo, canta i
negro-spirituals o i rural-blues.
Il secondo caso è quello di Chicago Blues (1971)
di Harley Cokliss in cui, attraverso una carrellata
di immagini che illustrano la città e una serie di
esibizioni dal vivo di famosi musicisti quali
Buddy Guy, Muddy Waters, Johnnie Lewis e altri,
viene evidenziato il legame intercorrente fra il
blues e la "città del vento". In questo film, Cokliss,
escludendo di proposito dalle inquadrature i bianchi, propone Chicago quale simbolo dell'identità
della gente di colore.
Scorsese che, nel 2003, proclamato dal Congresso
americano "anno del blues", ha prodotto una serie
di sette film documentari diretti ognuno da un
regista diverso. A partecipare al progetto sono stati
Wim Wenders con The blues-l'anima di un uomo
(The Blues-The Soul of a Man), per la verità in
parte fiction, cioè ricostruito; lo stesso Martin
Scorsese con Dal Mali al Mississippi (From Mali
To Mississippi); Marc Levin con Godfathers and
Sons; Mike Figgis che ha realizzato Red, White &
Blues; Richard Pearce, regista di The Road To
Memphis; Charles Burnett con Warming by the
Devil's Fire e, infine, Clint Eastwood con il suo
Piano Blues.
Il secondo filone di film a stampo documentaristico prende in considerazione l'aspetto biografico di
personaggi famosi della musica jazz. Molte sono
le monografie sui grandi del jazz. Memories of
Duke (1980) di Gary Keyes, sulla vita di Duke
Ellington; The Long Night of Lady Day (John
Jeremey, 1984), su Billie Holiday; The Coltrane
Legacy (Burrill Crohn, 1985) e Saxophone
Colossus (Robert Mugge, 1986) incentrati, rispettivamente, sulle figure di John Coltrane e Sonny
Rollins.
Ma più di tutti appaiono significativi tre documentari che, in ordine cronologico sono Notes
From a Jazz Survivor (1982) di Don McGlynn,
sulla tormentata vita dell'altosassofonista californiano Art Pepper, che ebbe la vita segnata dalle
Sempre al blues si è ispirato di recente Martin malattie e da un lungo periodo passato in prigione
per una rapina a
mano
armato
compiuta
allo
scopo di procurarsi i soldi per la
dose giornaliera.
Thelonious Monk
- Straight No
Chaser che la
regista Charlotte
Zwerin ha realizzato nel 1988 allo
scopo di documentare la vita del
grande pianista
bopper utilizzando, intercalandone
le immagini con
quelle da lei giraChet Baker
te, un filmato di
14
Bird
Thelonious
Monk
repertorio realizzato nel 1968 dai fratelli Michael
e Christian Blackwood durante la prima tournée
internazionale di Monk e del suo gruppo.
Il risultato è assolutamente apprezzabile, tanto che
il New York Daily News lo ha definito "il più bel
documentario sul jazz mai girato", con due scene
emblematiche che danno il senso della lotta interiore di Thelonious Monk. Nella prima, Monk passeggia per le strade di New York e, a un passante
che lo riconosce, dice "Sai, sarò occupato. Andrò
dappertutto… ma sai non so che cosa farò qui",
quasi a significare come l'indecisione delle proprie
scelte fosse sintomo di un forte dissidio interiore.
Nella seconda scena il sassofonista Charlie Rouse
chiede a Monk delucidazioni su quale nota suonare. Il pianista, fissando lo spartito, gli risponde:
"Una di quelle che sono qui, puoi suonare una di
queste", cioè la libertà più assoluta come unica
regola da seguire. Thelonoius Monk quindi come
bopper fra i più radicali e quasi anticipatore del
free jazz.
Infine Let's Get Lost, uscito nel 1989 e realizzato
dal fotografo Bruce Weber sulla figura del trombettista Chet Baker. È un appassionato e sincero
ritratto di una delle figure più sensibili, poetiche e
tragiche della musica jazz.
Lo stesso Baker acconsentì alla realizzazione di
questo documentario, le cui riprese iniziarono nel
1985. Ma la morte improvvisa del trombettista,
avvenuta nel 1988 in circostanze mai completamente chiarite (disgrazia? suicidio? omicidio?)
obbligò il regista a rivedere completamente il
senso dell'opera e la sua sostanza: da omaggio a
un personaggio assai popolare e amato dal pubblico, il film ne è diventato il doloroso commiato.
L'opera di Weber è girata in uno splendido bianco
e nero che esalta la drammaticità del personaggio,
un uomo malato, debole, sfortunato che, nonostante tutto, nonostante la droga che gli aveva scavato il volto, non aveva mai perso la voglia di
vivere.
Genio. È questa la prima cosa che viene alla
mente pensando a Charlie Parker. Parola indubbiamente inflazionata, soprattutto quando si parla
di grandi artisti, ma in questo caso appropriata,
poichè Charlie Parker è stato davvero un genio
nel suo campo, come pochi altri. Fu quello che,
più di tutti, all'epoca della "rivoluzione bopper",
cambiò la musica jazz, reinventandone la sintassi,
rivoluzionando il modo di suonare e di concepire
questa musica.
A questo personaggio, fondamentale per il jazz
moderno, Clint Eastwood ha dedicato uno dei suoi
film migliori: Bird (1988), dal nomignolo con cui
Parker era chiamato.
Attraverso questo film bellissimo, Eastwood,
grande appassionato di jazz, racconta in ordine
non cronologico la vita del grande altosassofonista, morto a soli trentaquattro anni con il corpo
minato dall'alcol e dalla droga.
La bravura del regista californiano sta nell'indagare dall'interno un personaggio così tormentato, in
bilico fra normalità e schizofrenia, evitando accuratamente qualsiasi cliché di genere e riuscendo a
mantenere tutto il film, che dura quasi tre ore, su
binari di estrema rigorosità, senza nulla concedere
al pathos.
Ne risulta il ritratto di un uomo sempre in lotta,
soprattutto con se stesso. Intransigente nei confronti del
prossimo
(significativo, sotto
questo
punto di
vista,
il
rapporto
con
il
trombettista e amico
Red Rodney, che
riesce
a
distogliere
dall'uso
dell’eroina) ma assolutamente incapace
di controllarsi, arri- Locandina del film Bird di Clint
Eastwood
15
vando a una vera e propria autodistruzione.
Nonostante la bellezza di quest'opera, all'uscita
sugli schermi non furono risparmiate critiche al
film, soprattutto per quanto riguardava la colonna
sonora. Eastwood, nel concepire il film, aveva
pensato di estrapolare gli assoli di Parker, ripulendoli e rimasterizzandoli, reincidendoli successivamente con un accompagnamento del tutto nuovo,
realizzato per l'occasione dal direttore musicale
Lennie Niehaus. Molti puristi del genere storsero
il naso e non lesinarono critiche anche aspre,
nonostante il risultato finale fosse eccezionale, per
niente travisante dell'estetica parkeriana. Come
ebbe a scrivere Leonard Feather, "Lennie Niehaus
16
ha la sua parte di merito per una colonna sonora
che è un autentico miracolo tecnologico. (…) è
come se Bird fosse ancora fra noi, registrando con
musicisti d'oggi nella tecnologia digitale d'oggi"
(Musica Jazz, luglio 1988).
Fra i musicisti che hanno "accompagnato" gli
assoli di Parker per il soundtrack, nomi altisonanti del jazz, quali i vecchi Ray Brown e Red
Rodney, che suonarono veramente con Bird. Fra i
giovani, Jon Faddis, Walter Davis jr., John Guerin,
Monty Alexander.
Ad interpretare Charlie Parker un intenso e appropriato Forest Whitaker che si meritò il premio per
la miglior interpretazione al Festival di Cannes.
MUSICHE DA FILM - LE COLONNE SONORE
L
e note che accompagnano la scena del sontuoso picnic in Quarto potere (Citizen
Kane, 1941) di Orson Welles, sottolineano
in maniera assai efficace la violenta disputa che
sancisce la rottura fra Charles e Susan Kane.
Si tratta di un brano jazz composto da Bernard
Herrmann e suonato da musicisti neri, ispirato
direttamente allo stile jungle, cioè quello stile
inventato da Duke Ellington, in cui le percussioni
rimandano idealmente ai tamburi e alle sonorità
africane.
L'energia e il vigore ritmico del pezzo viene qui
utilizzato per evidenziare, per contrasto, la vanità
vedere con esso.
È il caso de L'uomo dal braccio d'oro (The Man
With The Golden Arm, 1955), solido dramma firmato dal regista di origine austriaca Otto
Preminger, tratto dall'omonimo romanzo di
Nelson Algren e interpretato da Frank Sinatra e
Kim Novak.
Nel film, ambientato nella Chicago degli anni '50,
Sinatra interpreta la parte di un batterista costretto
ad accudire la moglie che si finge invalida.
L'amicizia di una ballerina gli permetterà di uscire dal tunnel della droga. Il film, realizzato in un
bel bianco e nero, illustra realisticamente il problema della dipendenza dalla droga, strettamente
connessa con la malavita organizzata.
L'orchestra in cui Sinatra va a provare è quella del
jazzista Shorty Rogers.
La colonna sonora, composta da Elmer Bernstein,
è concepita come una musica urbana, a volte dissonante, che non rifiuta le innovazioni ritmiche
del jazz moderno. Per la prima volta il jazz rappresenta l'asse portante della colonna sonora di un
film. Inoltre la bontà della musica è dimostrata
dal fatto che la partitura di Bernstein divenne,
nella sua versione integrale, il primo successo
commerciale discografico.
Jazz in noir
e il ridicolo dello sfarzoso banchetto e dei suoi frequentatori. In questo caso i musicisti appaiono
come i soli a essere realmente vitali fra personaggi vivi soltanto in apparenza.
Tutta la musica di Quarto potere segna una rottura estetica con il decennio appena terminato.
Bisognerà, però, attendere gli anni successivi
affinché il jazz divenga parte integrante di film
che raccontano storie che poco o nulla hanno a che
17
Con il lungometraggio di Preminger il jazz diventa musica da film, in particolare per quanto riguarda il genere noir o poliziesco che, fino ad allora, lo
aveva utilizzato solo in casi particolari per singole
scene e mai come tema conduttore di tutta l'opera.
Ne Il grande sonno (The Big Sleep, 1946), che
Howard Hawks realizzò a partire dal romanzo
omonimo di Raymond Chandler, con Humphrey
Bogart a interpretare il detective privato Philip
Marlowe, il jazz è suonato nella casa da giuoco
ove Lauren Bacall, accompagnata dall'orchestra di
Stan Kenton, canta And Her Tears Flowed Like
Wine.
In Giungla d'asfalto (The Asphalt Jungle, 1950) di
John Huston, un juke-box diffonde qualche nota
swing che rompe il silenzio dato dalla quasi totale
assenza di colonna sonora, che caratterizza buona
parte del film.
Bisognerà però attendere la fine degli anni '50 per-
ché il jazz entri a
far parte integrante della colonna
sonora dei polizieschi.
Rapina a mano armata di Stanley
Kubrik
In questo periodo
molti musicisti,
per la maggior
parte
bianchi,
fanno carriera a
Hollywood. È il
caso, ad esempio,
del trombettista e
compositore Harry James, che firmerà le musiche
di alcuni film con
Jerry Lewis.
Tutta una corrente del jazz viene direttamente
associata al cinema: il movimento della West
Coast, che si sviluppò sulla costa californiana a
cavallo fra gli anni '50 e '60, esprimendo una
musica, il cool jazz, seducente, lontana dagli echi
di rivolta caratterizzanti il bebop, e che, proprio
per questi motivi, si affermò a Hollywood.
Molti furono i musicisti westcoaster che si dedicarono alle musiche da film. Per fare solo alcuni
nomi basti ricordare personaggi quali il già citato
Shorty Rogers, il batterista Shelly Mann, Jimmy
Giuffre, Pete Rugolo, Benny Carter e Red
Mitchell, primo contrabbassista dell'orchestra
della Metro Goldwyn Mayer.
Il jazz non era solo più un elemento di decoro, non
aveva più bisogno di essere una diretta conseguenza delle immagini che raccontavano storie
ambientate nel mondo del jazz. Era diventato a
tutti gli effetti un elemento del linguaggio cinematografico.
Tra i molti film d'autore dove più serrato è il rapporto fra atmosfera e poetica noir e il crime jazz,
vanno sicuramente menzionati Rapina a mano
armata (The Killing, 1958) firmato dal maestro
Stanley Kubrik, che si avvale delle musiche di
Gerald Fried; Piombo rovente (Sweet Smell of
Success, 1957), con la regia di Alexander
Mackendrick e le musiche di Elmer Bernstein; il
capolavoro di Orson Welles L'infernale Quinlan
(Touch of Evil, 1958), con la colonna sonora di
Henry Mancini; Non voglio morire (I Want To
Live, 1958) e Strategia di una rapina (Odds
18
Against Tomorrow, 1959), entrambi diretti da
Robert Wise, il primo con le musiche di Johnny
Mandel e la partecipazione del quartetto di Gerry
Mulligan, il secondo con la colonna sonora scritta
e diretta da John Lewis, leader del Modern Jazz
Quartet.
Sempre nel 1959 Otto Preminger affidò la colonna sonora di Anatomia di un omicidio (Anatomy of
a Murder) a Duke Ellington, uno dei più grandi
compositori che la storia del jazz abbia mai conosciuto. Nella sua autobiografia, il regista affermò
di essere stato felicissimo di poter beneficiare
della presenza di Ellington sul set. Osservando la
progressione del girato e discutendo quotidianamente della musica, il compositore, ci dice
Preminger, "divenne parte integrante del film".
Qui Ellington gioca sul contrasto fra orchestra e
solisti. Una batteria e la tromba di Cat Anderson
rispondono alle violente tensioni armoniche dei
riffs. Tensioni che, dopo la sequenza iniziale, a
poco a poco si addolciscono, con la tromba che
viene progressivamente sostituita dalle sonorità
meno aggressive di un clarinetto, poi dalla morbidezza del sax baritono, per finire con l'intimità del
piano suonato da Ellington stesso e con l'orchestra
che diviene, via via, sempre più discreta.
Nel film vi è anche un cameo in cui il grande compositore suona a quattro mani con James Stewart
che, nel film, interpreta il protagonista, l'avvocato Biegler.
In Anatomia di un omicidio la musica non si limita a essere solo colonna sonora, ma gioca un ruolo
importante nella drammaturgia, sottolineando
sempre, con maggiore o minore intensità a seconda dei momenti, il legame che si instaura fra l'avvocato e la sua cliente, interpretata da Lee
Remick.
Con gli anni
Sessanta, e
con compositori
del
calibro di
H e n r y
Mancini,
Lalo Schifrin, Dave
Grusin,
Lennie Niehaus, Quincy Jones, le
Paolo Ferrari e Tino Buazzelli rispettivamente nella parte di Archie Goodwin e
Nero Wolfe, i due detective nati dalla
penna di Rex Stout
atmosfere del cinema poliziesco diventano sempre più dure, con i personaggi, spesso solitari, che
tentano di sopravvivere in città diventate glaciali,
livide. Tutto questo è sottolineato da una musica
che diventa sempre più "urbana", con gli ottoni a
realizzare ritmi sincopati che sottolineano il caos
regnante.
Ciò si evidenzia soprattutto nei polizieschi televisivi che iniziano a essere realizzati negli Stati uniti
verso la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei
Una scena de Una storia milanese, di Eriprando Visconti
Sessanta (Baretta, Johnny Staccato - con John
Cassavetes - Peter Gunn, Richard Diamond) ed è
esemplificato dalla musica di Nunzio Rotondo
suonata sui titoli di testa del Nero Wolfe televisivo, serie di polizieschi italiani diretti da Giuliana
Berlinguer dove i protagonisti sono il pachidermico detective newyorkese e il suo braccio destro
Archie Goodwin, creati dalla fantasia di Rex Stout
e interpretati, rispettivamente, da Tino Buazzelli e
Paolo Ferrari.
so da sconfinare, spesso, in risultati assai banali.
In Italia il grande utilizzo di colonne sonore di
natura jazzistica o para jazzistica realizzate da vari
musicisti, Piccioni, Rustichelli, Trovajoli, ha prodotto risultati a volte indisponenti, come nel caso
delle musiche della versione italiana del film di
Jean-Luc Godard Il disprezzo (Le mépris, 1963)
in cui le bellissime musiche classiche della versione originale sono state sostituite, per volere del
produttore Carlo Ponti, da una brutta colonna
sonora jazzeggiante che snatura completamente il
senso delle immagini.
Tuttavia anche in Italia non mancano esempi pregevoli di musiche jazz per film, realizzate da
valenti musicisti. È il caso, ad esempio, di Piero
Umiliani, che realizzò le colonne sonore di numerose commedie all'italiana fra le quali quelle de I
soliti ignoti (1958) e L'audace colpo dei soliti
ignoti (1961) entrambi di Mario Monicelli; di
Urlatori alla sbarra (1958) di Lucio Fulci e di
Smog (1962) di Franco Rossi, con la presenza in
tutti della tromba solistica di Chet Baker che, nel
film di Fulci, compare anche come attore accanto
a Mina e Celentano.
In quel periodo molti jazzisti, americani e non,
collaborarono con registi italiani. Per fare alcuni
esempi: John Lewis, compose le musiche di Una
storia milanese (1962), film di Eriprando Visconti
che, ambientato in una Milano nebbiosa, ritrae la
borghesia cittadina in maniera lucida e spietata;
Giorgio Gaslini che realizza le musiche del capolavoro di Michelangelo Antonioni La notte (1961).
Curioso è poi il caso di Pier Paolo Pasolini che nel
suo Vangelo secondo Matteo (1964) accosta alle
Infine, nel 1967, Qincy Jones realizza le musiche
de La calda notte dell'ispettore Tibbs (In the Heat
of the Night) di Norman Jewison, un poliziesco
efficace per l'ambientazione, l'atmosfera, il trattamento dei temi razziali. Tratto dal romanzo di
John Ball il film, vincitore di cinque premi Oscar,
è ottimamente interpretato da Sidney Poitier e Rod
Steiger.
In Italia
L'uso del jazz negli anni Sessanta è stato così este19
Maria Schneider e Marlon Brando in una scena de
Ultimo tango a Parigi, di Bernardo Bertolucci
musiche di Bach degli spiritual, mentre Bernardo
Bertolucci costruisce il suo Ultimo tango a Parigi
(1972) sulle struggenti note del sax di Gato
Barbieri, affermato compositore jazz argentino.
In alcuni casi poi, a causa di disaccordi, il produttore obbligò il regista a cambiare la colonna
sonora prescelta, come accadde ad esempio per il
Todo modo di Elio Petri (1976), dove le musiche
di Charles Mingus vennero rifiutate e edite esclusivamente su vinile.
Colonne sonore e incisioni originali
Spesso, soprattutto in film rievocativi di determinati momenti storici, molti registi hanno fatto
ricorso a vecchie incisioni, caratteristiche di quella precisa epoca temporale.
È una soluzione adottata spesso da Bob Fosse che
in Lenny, film del 1974 che ripercorre la tormentata e drammatica esistenza del cabarettista Lenny
Bruce, interpretato da Dustin Hoffmann, utilizza
brani originali hardbop.
Altro regista che, in alcuni casi, ha fatto ricorso a
incisioni originali come colonna sonora è stato
Louis Malle che, dopo il grande successo ottenuto
con Ascensore per il patibolo (che meglio analizzeremo nel prossimo capitolo) con la colonna
sonora appositamente creata da Miles Davis, farà
ricorso al jazz in Soffio al cuore (Le souffle au
coeur, 1971) utilizzando brani di Charlie Parker e
in Cognome e nome Lacombe Lucien (Lacombe
Lucien, 1974) con il sound "swingeggiante" di
Django Rheinardt, Stephan Grappelli e del loro
Hot Club de France; oltre al già citato Pretty Baby
e la musica di New Orleans.
Ma è stato soprattutto Woody Allen a fare costante ricorso a brani strumentali e vocali americani
degli anni '50, come, ad esempio, in Manhattan
(1979), una delle opere più significative del regista newyorkese, nella quale le vicende, narrate in
uno splendido bianco e nero, sono accompagnate
dalle musiche di George Gershwin (indimenticabile la sequenza della corsa sulle note di Rapsodia
in blue).
Oggi
Da quando per la prima volta il rock venne utilizzato come musica da film (era il 1955 e Rock
20
Around The Clock accompagnava i titoli di testa
de Il seme della violenza (Blakboard Jungle) di
Richard Brooks, con Glenn Ford e Sidney Poitier),
il jazz venne piano piano spodestato, per quanto
riguarda le colonne sonore, nelle preferenze di
molti filmaker. Ma, come abbiamo visto, non
venne di certo abbandonato.
Negli ultimi vent'anni si è avuto un ritorno alla
musica afroamericana e non sono pochi gli esempi di opere cinematografiche che hanno fatto
ricorso a essa.
Oltre ai già citati film di Spike Lee, ai quali va
aggiunta l'opera di esordio, Lola Darling (1986),
vanno ricordati, per le
loro colonne
sonore, realizzate da musicisti di grande
spessore,
Oggetti smarriti (1980) di
Giuseppe
Bertolucci e Il
grande cocomero (1993)
di Francesca
Archibugi,
entrambi con
le musiche di
Enrico Rava;
Jack Johnson
(William
C l a y t o n , Ornette Coleman
1972) e Il
posto caldo
(Dennis Hopper, 1990), con le colonne sonore realizzate da Miles Davis; Yeelen dell'africano
Souleymane Cissé, Max, mon amour (1986) del
giapponese Oshima e Io e il vento (Une histoire de
vent, 1988) di Joris Ivens, tutti con l'accompagnamento sonoro del polistrumentista francese
Michel Portal.
Del 1990 è il sovietico Taxi blues di Pavel Lungin,
ambientato nella Mosca della perestrojka, storia di
un'amicizia fra un taxista e un sassofonista jazz.
Da menzionare ancora I favolosi Baker (The
Fabulous Baker Boys), film di Steven Kloves del
1989, con i fratelli Jeff e Beau Bridges che interpretano proprio due fratelli jazzisti che vedono il
loro sodalizio spezzato dall'arrivo di una cantante,
la bella Michelle Pfeiffer, che nel film si esibisce
dal vivo mentre i Bridges sono doppiati al piano
da Dave Grusin che ha curato anche la direzione
musicale.
Infine, dal punto di vista delle colonne sonore "in
jazz", fra le opere più significative, vi è Il pasto
nudo (Naked Lunch, 1992) di David Cronemberg,
ispirato ai libri e alla vita di uno dei padri della
21
beat generation, William Burroughs. Qui le musiche sono di Howard Shore e Ornette Coleman, e
proprio il tenorsassofonista texano riesce a realizzare stupendi assoli che creano un'amalgama perfetta fra le visoni allucinate del personaggio e le
note rabbiose dello strumento.
IMPROVVISAZIONI E DINT ORNI
I
l punto fondamentale del rapporto fra cinema e
jazz è, indubbiamente, quello dell'improvvisazione. Un concetto che nel jazz è considerato
irrinunciabile e che nel cinema ha trovato alcuni
cineasti - non molti in realtà - che ne hanno fatto
uno dei cardini su cui imperniare la loro opera.
È il caso di alcuni registi americani antihollywoodiani fra i quali il più conosciuto dal grande pubblico è John Cassavetes.
Ombre è un film sulla crisi esistenziale di una gioventù che si trascina disperatamente alla ricerca di
una propria identità al di fuori del ghetto. Un ghetto metaforico che accoglie tutti, neri e bianchi,
senza far distinzioni fra reietti e piccolo-borghesi,
quali in fondo sono Ben, Hugh, Lelia e i loro
amici.
John Cassavetes nasce a New York il 9 dicembre
1929 da genitori di origine greca. Esordisce nel
Ombre
"Il film che avete visto è interamente improvvisato". È la dicitura che campeggia al termine del
primo film diretto da Cassavetes: Ombre
(Shadows, 1959/60). Girato inizialmente in 16
mm e poi in 35 mm, venne realizzato con una
troupe ridotta all'osso e con gli attori che improvvisavano su una sorta di copione-canovaccio
approssimativo e modificabile a seconda delle circostanze. Descrive, nella Manhattan degli anni
'50, le vite quotidiane di Ben, Hugh e Lelia,
rispettivamente fratelli e sorella, neri ma con
diverse sfumature del colore della pelle i ragazzi,
quasi bianca la donna.
Ben, trombettista dilettante, si trascina fra coetanei bianchi trascorrendo le sue giornate al bar.
Hugh, cantante jazz non particolarmente dotato, è
alle prese con impresari che lo vogliono incastrare
per spettacoli insulsi. Lelia, che ha la pelle chiara
e si muove all'interno degli ambienti intellettuali
cittadini, verrà lasciata dall'uomo che l'ha sedotta
non appena questi scopre che la donna è nera.
Tutti e tre sono alla ricerca della loro identità.
Del film esisteva una prima sceneggiatura che
oggi risulta smarrita e che lo stesso Cassavetes
ripudiò in quanto non completamente convinto
del risultato. Il regista la riscrisse, inserendo nella
versione definitiva solamente alcune delle scene
originali.
L'opera prima del Cassavetes regista è una sorta di
manifesto del New American Cinema che può
essere idealmente collegato alla Nouvelle vague
francese e, per certi versi, al free cinema britannico, per i temi trattati, per il modo di girare con la
macchina da presa estremamente mobile, per il
montaggio nervoso, per la scelta della colonna
sonora.
22
In alto e al centro: sequenze tratte da Shadows; in basso:
un immagine del regista John Cassavetes
cinema come comprimario in alcuni film, sino ad
arrivare a interpretare Nel fango della prateria
(The Edge of the City, 1957), suo primo film
come protagonista, al fianco di Sidney Poitier e
con la regia di Martin Ritt.
Ombre è un film che può essere annoverato fra
quelli realizzati dai giovani filmaker che gravitavano attorno al New American Cinema Group
(anche se Cassavetes non ne firmò mai il manifesto), fondato nel 1960 da Jonas Mekas, un esule
di origine lituana, per convogliare in un progetto
comune i fermenti dei cineasti indipendenti
newyorkesi attivi nel decennio precedente.
Questo gruppo di registi propugnava un cinema
anticonformista, a basso costo e slegato dalle grosse major hollywoodiane. Un cinema che, come
stava accadendo in Francia, si ribellava al vecchio
cinema ufficiale e condizionato.
Il trio è, invece, la chiave di lettura del film di
Cassavetes. Le tre sfumature della pelle di Ben,
Hugh e Lelia, che si confrontano in tre modi differenti con il razzismo. E il trio lo si ritrova spesso nel film, come quando i fratelli e la sorella sono
insieme o quando Ben e i suoi amici cercano di
sedurre le tre donne al bar.
In ogni momento del film la musica di Mingus è
pronta a sottolinearne le scene. Delle trentacinque
sequenze che compongono l'opera, solo sette sono
prive di musica. Addirittura è possibile associare
ciascun strumento a un personaggio. Così, idealmente, Lelia è il sassofono e il sassofono accompagna le azioni e le emozioni della donna. Ben è il
contrabbasso che lo scorta nel suo vagabondare
lungo le strade della metropoli. Infine Tony, il
fidanzato bianco di Lelia, è la batteria, strumento
che interviene durante l'abbraccio di Tony a Lelia
e, successivamente, durante il tentativo di riappaOmbre divenne un'opera di riferimento per tutta cificazione dell'uomo.
l'area dell'avanguardia grazie, anche, alla splendida colonna sonora realizzata da Charles Mingus e È possibile, quindi affermare che, se esiste un film
suonata, oltre che dallo stesso contrabbassista, da così profondamente intrecciato con il jazz, questo
Shafi Hadi al sassofono.
è sicuramente Shadows, tanto che lo si potrebbe
considerare come un'opera dove suoni e immagini
In Ombre, la questione dell'improvvisazione è si amalgamano fra loro per realizzare una lunga
fondamentale. Anche senza voler credere comple- suite dai toni a volte accesi, a volte morbidamentamente alla didascalia finale del film - come è te pastosi, così come vengono rappresentati gli
stato detto, una sorta di copione esisteva - sono stati d'animo dei personaggi.
illuminanti le parole che ebbe a dire lo stesso
Cassavetes: "Per me improvvisazione vuole dire Ascensore per il patibolo
che esiste una tale spontaneità nel lavoro, che si
potrebbe credere che questo non è stato prepara- Nel 1957 Louis Malle realizza Ascensore per il
to".
patibolo (Ascenseur pour l'echafaud), anticipando
E del jazz, che fa dell'improvvisazione la sua i temi e il modo di fare film dei cineasti della
ragione d'essere, Ombre sembra metterne in scena Nouvelle vague francese.
le rappresentazioni classiche.
Si tratta di un opera noir in cui una donna, Jeanne
Nelle varie interazioni fra i personaggi, i tre fra- Moreau, sorta di dark lady, vaga per la notte paritelli, i fidanzati di Lelia, l'amico di Hugh, è possi- gina alla ricerca dell'amante che ha appena ucciso
bile scorgere le figure tipiche del jazz: l'assolo, il il di lei marito ma nella fuga è rimasto bloccato
duo, il trio.
nell'ascensore del palazzo deserto. Questa condiL'assolo, rappresentato dalla marcia di Ben in zione offrirà all'assassino un alibi per l'omicidio di
apertura di film o, alla fine, quando il film si un altro uomo commesso da due giovani che si
chiude sulla camminata solitaria dello stesso Ben, erano appropriati della sua macchina e dei suoi
con la musica di Mingus a contrappuntarne il lento documenti, ma lo condannerà inesorabilmente per
procedere, ombra fra le ombre, nella notte l'uccisione del marito dell'amante.
newyorkese.
In questo film Malle anticipa, per certi versi, quelIl duo è possibile ritrovarlo in svariate sequenze. lo che i vari Truffaut, Godard, Rivette, Rhomer e
Quando Lelia è fra le braccia dei suoi due fidan- altri, tutti critici cinematografici prima ancora che
zati, prima Tony, poi Davey; oppure quando Lelia registi, andavano teorizzando sui Cahiers de cinéaccompagna Hugh alla stazione o, ancora quando ma e, di lì a poco, avrebbero messo in pratica nei
Hugh è in compagnia dell'amico Rupert.
loro film. Rifiuto di lavorare in studio, utilizzo di
23
ripetutamente le musiche direttamente davanti allo
scorrere delle immagini sullo schermo. Si trattava
a tutti gli effetti di improvvisazione, in una condizione per certi versi assimilabile a quella del cinema muto.
Mai prima d'allora una musica era stata così strettamente legata a un lungometraggio e mai una
colonna sonora aveva contribuito a rendere un
film oggetto di culto per i cinefili di tutto il
mondo, determinando, forse, un'evoluzione della
musica del grande trombettista.
Nuovo cinema
Miles Davis
camere leggere per poter operare in strada fra la
gente, suono in presa diretta.
L'uscita del film di Malle suscitò un notevole interesse, tanto che sui Cahiers se ne discusse a lungo
e animatamente, tendendo a fare una distinzione
fra piano narrativo, legato al genere e quindi, dal
loro punto di vista, meno interessante, e piano linguistico.
A tal proposito Rhomer scrive: "Se la narrazione
spesso zoppica, la lingua invece è salda. Ciò che
va messo in rilievo - mimica, gesto, oggetto - è
messo in rilievo con precisione, senza troppa volgarità" (Cahiers de cinéma, n. 80, febbraio 1958).
E Georges Sadoul, grande critico e esperto di cinema paragona il film al Condannato a morte è fuggito di Robert Bresson, del quale Malle era stato
un collaboratore e al quale Malle sicuramente si è
ispirato.
Sta di fatto che Ascensore per il patibolo, pur con
tutti i suoi limiti, divenne ben presto un film di
culto. A ciò contribuì non poco la colonna sonora,
di grande intensità, realizzata appositamente da
Miles Davis che, narra la leggenda, improvvisò
direttamente sulle scene del film. Effettivamente
le cose andarono più o meno così, con il quintetto,
composto oltre che da Davis, da Pierre Michelot al
basso, Barney Wilen al sax tenore, René Urtregen
al piano e Kenny Clarke alla batteria, provarono
24
Nouvelle vague francese, free cinema britannico,
cinema indipendente americano. A cavallo degli
anni Cinquanta e Sessanta, nuovi fermenti scuotevano il mondo un po' imbalsamato del cinema
classico, di quel cinema che i giovani registi legati ai Cahiers definivano sprezzantemente cinéma
de papa. Fecero irruzione nuovi stili, nuove concezioni stilistiche, slegate dai vecchi cliché utilizzati dai registi in auge sino ad allora.
I nuovi modi di fare cinema in Europa e in
America erano espressione di quel fermento intellettuale giovanile caratterizzante i primi anni
Sessanta e che sfociò nel Sessantotto.
Normale che i nuovi autori facessero ampio ricorso al jazz, una musica che in quel periodo era
diventata sempre più espressione del disagio
sociale della gente nera americana.
Di fronte a questa rivoluzione dell'arte cinematografica, alcuni vecchi autori tentarono di adeguarsi. È il caso, in Francia, di Marcel Carné, autore in
passato di grandi film quali Il porto delle nebbie,
Alba tragica, Amanti perduti, che tenta la carta
giovanilista realizzando Peccatori in blue jeans
(Les Tricheurs, 1958) nel quale viene descritta la
vita dei giovani sbandati nel quartiere intellettuale
parigino di Saint Germain des Prés. Il film, non
completamente riuscito, fu oggetto di aspre critiche da parte dei "ragazzi" dei Cahiers.
Effettivamente Carné eccede in immagini troppo
stereotipate della gioventù cittadina di quel tempo
(i blue jeans, i dischi, le corse in macchina), senza
approfondire il ritratto d'ambiente ma preferendo
concentrarsi sui temi a lui cari, quali quelli tragici
legati al destino. Tuttavia il film è meritevole d'attenzione, soprattutto per la sua bella colonna sonora, composta da brani originali di Dizzy Gillespie,
Roy Eldridge Coleman Hawkins, Stan Getz e altri.
Fino all'ultimo respiro
Nel 1960 Jean-Luc Godard, su soggetto di
François Truffaut, realizza Fino all'ultimo respiro
(A bout de souffle), film simbolo della Nouvelle
vague.
In questo film, omaggio evidente ai noir hollywoodiani, Godard ricerca la spontaneità nel
modo di recitare, nelle riprese, nella fotografia.
Alla sua uscita creò sconcerto per le numerose trasgressioni alle regole linguistiche e stilistiche fino
ad allora normalmente utilizzate: sguardo in macchina, raccordi "sbagliati", tempi morti. Godard
introdusse nel cinema il concetto di "disordine"
che caratterizzerà tutta la sua produzione.
Il giovane regista francese si affida, per la colonna
sonora, al pianista Martial Solal, già autore delle
musiche de Le jene del quarto potere (Deux hommes dans Manhattan) di Jean-Pierre Melville,
altro poliziesco che deve molto ai film di genere
americani. In Fino all'ultimo respiro la colonna
sonora è caratterizzata da due motivi principali,
che ritornano per tutto il film. Uno è associato
all'azione, al pericolo; l'altro all'amore, ai senti-
Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg in una scena di Fino
all’ultimo respiro, di Jean-Luc Godard
menti più intimi.
Nei film di Godard le dissonanze e le discordanze
della storia sconcertano lo spettatore, così come
avevano creato perplessità le discontinuità melodico-ritmiche degli assoli di Charlie Parker. Ma,
come in Parker, la destrutturazione del tema è
solamente apparente, nascondendo un'organizzazione coerente che, però è necessario decriptare.
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Jeanne
Moreau
Eva
Negli stessi anni Joseph Losey, un regista statunitense costretto a emigrare in Inghilterra perché
tacciato di attività antiamericane e per questo finito nelle famigerate liste del senatore McCarthy,
realizza, nel 1962, Eva (Eve), con Stanley Baker,
Jeanne Moreau e Virna Lisi.
Ambientato a Venezia, il film è la storia di un
uomo, uno scrittore che ha raggiunto la notorietà
grazie a un plagio, diviso fra due donne, la moglie
e una prostituta di lusso.
In un'intervista rilasciata al periodico Jazz
Magazin nel maggio 1964, Losey afferma che il
jazz in Eva era per lui il punto chiave del film.
Nelle sue intenzioni originarie, il tema dell'uomo
avrebbe dovuto essere rappresentato dalle musiche di Miles Davis mentre quello della prostituta,
da Billie Holiday.
Sfortunatamente delle ventidue composizioni
scelte dal regista, fu possibile inserirne solo due.
Di fatti, nel film, Jeanne Moreau si muove alla
musica di Willow Weep For Me e di Loveless
Love, interpretate da Billie Holiday. Il produttore
aveva invece rifiutato di acquistare i diritti per le
musiche di Miles Davis. Losey si dovette, quindi,
rassegnare a chiedere un blues a Michel Legrand
(Adam et Eve, cantato da Tony Middleton) autore,
per altro, della colonna sonora.
Nonostante gli sforzi di Legrand di rispettare il
modello voluto dal regista, la colonna sonora
risulta assai penalizzata dall'assenza di Miles
Davis.
Tutti i brani di Billie Holiday sono trattati in
maniera splendida, mettendo a nudo non solo il
corpo, ma anche l'anima di Jeanne Moreau, come
avviene nella scena in cui, dopo essersi rifugiata in
una casa in seguito a un violento temporale, la
donna si sveste al suono della voce della cantante
afroamericana. Per contro la colonna sonora di
Legrand sembra limitarsi a illustrare le immagini,
schiacciata com'è dalla voce della grande cantante
e dalla regia di Losey.
A sinistra: Jean Rouch; a destra: Jaques Rivette
Improvvisazioni
Il caso di Ombre e di altri film di John Cassavetes
(Volti, ad esempio, un film che il regista di origine
greca realizzò nel 1968), dopo una parentesi hollywoodiana) sono l'esemplificazione di quanto
un'opera cinematografica possa essere impregnata
di jazz, tanto da poterla equiparare a una jam session. Questo indipendentemente dal fatto che la
colonna sonora sia o non sia di natura jazzistica,
tant'è che possono essere considerati jazz film
opere in cui non viene fatto alcun ricorso al jazz.
È il caso di Io, un nero - Treichville (Moi, un noir
- Treichville, 1958) del regista e etnografo francese Jean Rouch che lavorò molto nel continente
africano. Via di mezzo tra fiction e documentario,
Io, un nero è il ritratto di un gruppo di adolescenti venuti dal Niger per cercare fortuna a
Treichville, un sobborgo di Abidjan, in Costa
d'Avorio. Tutti hanno adottato soprannomi mutuati dal cinema hollywoodiano: Edward G.
Robinson, Dorothy Lamour, Tarzan, Eddie
Constantine. Un regista bianco che filma dei neri
che giocano a fingersi attori bianchi americani in
una grande città nera africana, in una terra colonizzata dai bianchi. Questo incontro fra cinema e
cultura africana evoca il ritorno alle sorgenti del
jazz.
Ma, come detto, di jazz nel film non vi è traccia.
26
Semplicemente Rouch, guadagnatasi la fiducia
della troupe, coglie i comportamenti dei personaggi nel momento in cui questi si svelano, lascia
libero sfogo alla creatività e alla fantasia degli
attori che improvvisano proprio come se si trattasse di una jam session. Rouch permette alla storia
di crearsi autonomamente davanti alla macchina
da presa.
Stesso discorso vale per un altro regista, anch'esso
francese, anch'esso, come Jean Rouch, appartenente a quella fucina di talenti che fu la nouvelle
vague. Come Godard, anche Jacques Rivette ha
continuato prepotentemente, per tutta la sua carriera, a sperimentare, difendendo e esaltanto sempre il ruolo dell'improvvisazione nella creazione
filmica.
Tutti i film di Rivette, a partire da Paris nous
appartient, suo primo lungometraggio girato fra il
1958 e il 1960 fra mille traversie, fino ai casi più
eclatanti de L'amour fou (1967) o Out 1 - Noli me
tangere (1970/71) sono stati dei laboratori, esperimenti collettivi di recitazione che, senza far ricorso al jazz, rimandano comunque alla musica afroamericana per i principi ispiratori delle sue opere.
Unico caso in cui il regista francese fa espressamente ricorso al jazz è Merry-Go-Round, sorta di
crime-story del 1977. Qui Rivette si affida a due
jazzmen del calibro di Barre Phillips al contrabbasso e John Surman al clarinetto basso, inserendo i loro interventi in alternanza alle scene del film
nelle quali i personaggi sono legati da misteriosi
eventi che si susseguono secondo un meccanismo
"circolare", come in una giostra (non a caso il titolo del film significa, in inglese, proprio giostra,
carosello).
Avanguardia
Il fermento culturale che si avvertiva negli anni
Sessanta a New York portò a tutta una serie di
interessantissime esperienze che andavano dai
film del New American Cinema Group guidato da
Jonas Mekas, alle opere di Andy Warhol e della
sua Factory, agli happening teatrali del Living
Theatre guidato da Julian Beck e Edith Malina.
Proprio da una piece teatrale del Living, Shirley
Clarke, una delle registe sperimentali più famose,
ricavò The Connection (1960), film incentrato sul
tema della droga, dove la musica del quartetto di
Jackie McLean che improvvisa attendendo uno
spacciatore, evidenzia gli effetti devastanti dell'e- mischiano in un grido di protesta non solo per le
roina.
condizioni degli afroamericani ma anche dei neri
sudafricani, costretti a condizioni di vita degraMa in agitazione, seppur con motivazioni diverse, danti da un governo e da una società profondain quegli anni era anche la comunità nera che, mente razzista e soverchiante.
come abbiamo visto, fece delle graffianti e disar- Proprio la suite di Max Roach è visualizzata sullo
moniche sonorità del free jazz, uno strumento per schermo da Gianni Amico, regista ligure al di
esprimere la propria voglia di libertà, di giustizia e fuori dei grandi circuiti commerciali, che realizza
di riscoperta delle proprie origini e tradizioni.
nel 1964 un cortometraggio di montaggio dal titoMolti musicisti divennero alfieri di questa musica, lo We insist! Suite per la libertà subito, dove le
a partire da Ornette Coleman che nel 1960 regi- immagini si succedono sullo schermo a formare
strò una pietra miliare del nuovo jazz, intitolata, un trittico suddiviso nei temi "preghiera, protesta,
per l'appunto, Free jazz. Altri diedero vita a com- pace" che mette in evidenza, con grande impatto
posizioni con chiari contenuti politici e sociali, emotivo, da un lato lo sfruttamento e la violenza a
come Max Roach e la sua Freedom Suite Now, cui erano sottoposti i neri, dall'altro la bellezza e la
nella quale il dolore e la rabbia per una condizio- dolcezza di un popolo che stava tentando faticosane di sfruttamento e di sopraffazione sociale si mente di emergere da secoli di oppressione.
27
I BRANI PROIETTATI NEL CORSO DELLE SERATE SONO TRATTI
DA:
Accordi e disaccordi (Sweet And Lowdown). Regia di Woody Allen. Con Sean Penn,
Samantha Norton, Anthony LaPaglia, Uma Thurman. 1999.
Anatomia di un omicidio (Anatomy Of A Murder). Regia di Otto Preminger. Con James
Stewart, Ben Gazzara, Lee Remick, George C. Scott. 1959.
Alleluja! (Hallelujah!). Regia di King Vidor. Con Daniel L. Haynes, Nina Mae
McKinney, William E. Fountaine, Harry Gray, Fannie Belle DeKnight. 1929.
A qualcuno piace caldo (Some Like It Hot). Regia di Billy Wilder. Con Marilyn
Monroe, Jack Lemmon, Tony Curtis, George Raft, Pat O'Brien, Joe E. Brown. 1959.
Ascensore per il patibolo (Ascenseur pour l'échafaud). Regia di Louis Malle. Con
Jeanne Moreau, Maurice Ronet, Georges Poujouly. 1957.
Bird. Regia di Clint Eastwood. Con Forest Whitaker, Diane Venora, Michael Zelniker.
1988.
Casablanca. regia di Michael Curtiz. Con Humphrey Bogart, Ingrid Bergman, Paul
Henreid, Claude Rains, Peter Lorre, Conrad Veidt. 1942.
Chimere (The Young Man With A Horne). Regia di Michael Curtiz. Con Kirk Douglas,
Lauren Bacall, Doris Day, Hoagy Carmichael. 1950.
Cotton Club (The Cotton Club). Regia di Francis Ford Coppola. Con Richard Gere,
Diane Lane, Gregory Hines, Bob Hoskins, Nicolas Cage, Joe Dallesandro, Julian Beck.
1984.
Eva (Eve). regia di Joseph Losey. Con Jeanne Moreau, Stanley Baker, Virna Lisi,
Giorgio Albertazzi, Lisa Gastoni. 1962.
Fino all’ultimo respiro (A bout de souffle). Regia di Jean-Luc Godard. Con Jean-Paul
Belmondo, Jean Seberg, Daniel Boulanger, Jean-Pierre Melville. 1960.
Kansas City. Regia di Robert Altman. Con Jennifer Jason Leigh, Miranda Richardson,
Harry Belafonte, Michael Murphy, Dermot Mulroney, Steve Buscemi. 1996.
Giungla d’asfalto (The Asphalt Jungle). Regia di John Huston. Con Sterling Hayden,
Sam Jaffe, Louis Calhern, Jean Hagen, Marilyn Monroe. 1950.
Gli aristogatti (The Aristocats). Regia di Wolfgang Reitherman. 1970.
Il cantante di jazz (The Jazz Singer). Regia di Alan Crosland. Con Al Jolson, Warner
Oland, May McAvoy. 1927.
Il grande sonno (The Big Sleep). Regia di Howard Hawks. Con Humphrey Bogart,
Lauren Bacall, Martha Vickers, John Ridgely, Dorothy Malone. 1946.
Il pasto nudo (Naked Lunch). Regia di David Cronemberg. Con Peter Weller, Judy
Davis, Ian Holm, Julian Sands, Roy Scheider. 1992.
Il re del jazz (The Benny Goodman Story). Regia di Valentine Davies. Con Steve Allen,
Donna Reed, Herbert Anderson, Sammy Davis Sr., Harry James, Lionel Hampton, Gene
Krupa. 1956.
Io un nero - Treichville (Moi un noir - Treichville). Regia di Jean Rouch. con Oumarou
Ganda, Petit Touré, Alassane Maiga, Amadou Demba. 1958.
I soliti ignoti. Regia di Mario Monicelli. Con Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni,
Renato Salvatori, Totò, Carla Gravina, Claudia Cardinale, Tiberio Murgia, Capannelle,
Memmo Carotenuto, Lella Fabrizi. 1958.
La città del jazz (New Orleans). Regia di Arthur Lubin. Con Arturo De Córdova, Louis
28
Armstrong, Billie Holiday, Dorothy Patrick, Irene Rich. 1947.
La storia di Glenn Miller (The Glen Miller Story). Regia di Anthony Mann. Con James
Stewart, June Allyson, Charles Drake, George Tobias, Harry Morgan, Frances Langford,
Louis Armstrong, Gene Krupa. 1954.
Let’s Get Lost.Regia di Bruce Weber. 1989.
L’uomo dal braccio d’oro (The man With The Golden Arm). Regia di Otto Preminger.
Con Frank Sinatra, Eleanor Parker, Kim Novak, Arnold Stang, Robert Strauss. 1955.
Merry-Go-Round. Regia di Jacques Rivette. Con Joe Dallesandro, Maria Schneider.
1977.
Mo’ Better Blues. Regia di Spike Lee. Con Denzel Washington, Spike Lee, Joie Lee,
Cynda Williams, Wesley Snipes, John Turturro. 1990.
Mississippi Blues. Regia di Robert Parrish e Bertrand Tavernier. 1985.
Nero Wolfe (telefilm). Regia di Giuliana Berlinguer. Con Tino Buazzelli, Paolo Ferrari.
1969-71.
New York New York. Regia di Martin Scorsese. Con Liza Minnelli, Robert De Niro,
Lionel Stander, Georgie Auld, Diahnne Abbott, Barry Primus. 1977.
Non voglio morire (I Want To Live). Regia di Robert Wise. Con Susan Hayward, Simon
Oakland, Theodore Bikel. 1958.
Ombre (Shadows). Regia di John Cassavetes. Con Lelia Goldoni, Ben Carruthers, Hugh
Hurd, Anthony Ray. 1959-60.
Peccatori in blue-jeans (Les Tricheurs). Regia di Marcel Carné. Con Pascale Petit,
Jacques Charrier, Andréa Parisy, Laurent Terzieff, Roland Lesaffre, Denise Vernac, JeanPaul Belmondo. 1958.
Pretty Baby. Regia di Louis Malle. Con Keith Carradine, Susan Sarandon, Brooke
Shields. 1978.
Quarto potere (Citizen Kane). Regia di Orson Welles. Con Orson Welles, Joseph
Cotten, Dorothy Comingore, Everett Sloane, Alan Ladd. 1941.
Rapina a mano armata (The Killing). Regia di Stanley Kubrik. Con Sterling Hayden,
Coleen Gray, Marie Windsor, Elisha Cook Jr., Vince Edwards, Ted de Corsi. 1958.
‘Round Midnight - A mezzanotte circa (‘Round Midnight). Regia di Bertrand Tavernier.
Con Dexter Gordon, François Cluzet, Gabrielle Hacker, Sandra Reaves-Phillips, Lonette
McKee, Herbie Hancock. 1986.
Soffio al cuore (Le souffle au coeur). Regia di Louis Malle. Con Benoît Ferreux, Lea
Massari, Daniel Gélin, Michael Lonsdale, Ave Ninchi. 1971.
Thelonious Monk: Straight No Chaser. regia di Charlotte Zwerin. 1988.
Ultimo tango a Parigi. Regia di Bernardo Bertolucci. Con Marlon Brando, Maria
Schneider, Jean-Pierre Léaud, Massimo Girotti. 1972.
Una storia milanese. Regia di Eriprando Visconti. Con Danièle Gaubert, Romolo Valli,
Enrico Thibault, Lucilla Morlacchi, Regina Bianchi. 1962.
Venere e il professore (A song Is Born). Regia di Howard Hawks. Con Danny Kaye,
Virginia Mayo, Steve Cochran, Benny Goodman, Louis Armstrong, Tommy Dorsey,
Charlie Barnet, Lionel Hampton. 1948.
We insist! Suite per la libertà subito. Regia di Gianni Amico. 1964.
Wild Man Blues Regia di Woody Allen. Con Woody Allen e la New Orleans Jazz Band.
1997.
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