i d l a v i t s e f a r e v a m i r p Feniarco e Act presentano n. 45 - settembre-dicembre 2014 n. 45 - settembre-dicembre 2014 Rivista quadrimestrale di Feniarco Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali o d n a t n a c a r t n o c n i i s a l o u c s la 2015 e m r e T i n i t a c e t Toscana Mon dossier I CONCORSI CORALI GIANMARTINO DURIGHELLO OLTRE IL MINIMALISMO? PER TRENT’ANNI FENIARCO: LA VOCE DEI CORI internazionale festival per cori scolastici 9•11 aprile scuole elementari e scuole medie (6-13 anni) con il patrocinio di MiBACT Regione Toscana Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme 15•18 aprile scuole superiori (14-19 anni) CHORALDISC Feniarco evento associato a seguici su www.feniarco.it BENEDICTUS DOMINUS POLIFONIA SACRA IN PUGLIA Feniarco presenta o r co T B A L Anno XV n. 45 - settembre-dicembre 2014 Rivista quadrimestrale di Feniarco Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali T po p u l i v s o l r e p à o t i t l t a e r g o o c pr della iovani g e i n i b tra bam T Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Floranna Spreafico, Piero Caraba, Manolo Da Rold, Alessandro Kirschner, Sergio Lella, Ettore Galvani, Mattia Culmone, Gianni Vecchiati, Rossana Paliaga Redazione: via Altan 83/4 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana T Per aggiornamenti seguiteci su www.feniarco.it T o ra l i h C i d e azion d e r a l e tutti a Fe n i a r c o o n a r u aug uovo n o n n a un felice ter PROGETTO APS IDEATO E ORGANIZZATO DA ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 83/4 33078 San Vito al Tagliamento Pn Progetto sperimentale ai sensi dell’art. 12, comma 3, lett. f), legge 7 dicembre 2000, n. 383, realizzato con il contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Anno finanziario 2013. n. 45 - settembre-dicembre 2014 Rivista quadrimestrale di Feniarco Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali DossieR I concorsi corali 2 per dare il meglio di sé un’inchiesta sui concorsi corali in italia Sandro Bergamo 6 voci bianche in… concorso Floranna Spreafico 11 I concorsi di composizione corale Piero Caraba Dossier compositore Gianmartino Durighello portrait 38 IL fabbricante di coristi intervista a fabrizio barchi Sandro Bergamo Attività dell’Associazione 42 un ricco mosaico di voci 13 aneliamo alla bellezza Intervista a gianmartino durighello Manolo Da Rold 19 oltre il minimalismo? uno sguardo analitico su alcune composizioni di gianmartino durighello Alessandro Kirschner salerno festival raggiunge la quinta edizione Pier Filippo Rendina 44 frammenti di note riflessioni a margine del seminario europeo per giovani compositori Mattia Culmone 45 feniarco: per trent’anni la voce dei cori Efisio Blanc 48 orgogliosi di questa realtà Nova et veterA 24 aaron copland in the beginning assemblea feniarco a roma Giorgio Morandi 49 l’europa corale si incontra a barcellona diario di viaggio dall’assemblea eca - europa cantat per coro misto a cappella e mezzosoprano solo Mauro Zuccante cronacA Gianni Vecchiati 52 polifonico di arezzo: una tradizione che scommette sul futuro Choraldisc Rossana Paliaga 57 quando la sfida è un’esigenza 30 benedictus dominus Rossana Paliaga INDICE polifonia sacra in puglia Sergio Lella 60 la missione europea dell’eccellenza corale Rossana Paliaga 64 in memoriam: Pavle merkù (1927-2014) Canto popolarE 34 viaggio nell’etnomusicologia italiana dell’ottocento Rossana Paliaga Ettore Galvani Rubriche 66 Discografia 68 Mondocoro dossIER per dare il meglio di sé un’inchiesta sui concorsi corali in italia Rispetto al dibattito di quindici anni fa, sembra oggi molto ridimensionata la contrapposizione tra i fautori del concorso e suoi negatori per principio. Il concorso è una tappa non obbligata ma auspicata. Il coro non vive per fare concorsi ma è diffusa l’idea che il concorso costituisca un banco di prova, sia un modello di lavoro. Questo il pensiero del direttore lombardo Fabio Triulzi: «Pur non essendo amante dei concorsi, ritengo opportuno, dopo un serio lavoro di sviluppo della tecnica vocale e del repertorio, provare a fare il punto della situazione affidandomi al giudizio di una giuria di concorso». Competitivo, tutto sommato, il direttore lecchese: «Sicuramente un concorso dev’essere affrontato non dico con la possibilità di vincerlo, ma almeno di ottenere buoni risultati». Un’assidua frequentatrice di concorsi, nella doppia veste di giurato e di direttrice del Coro Polifonico di Ruda (Ud) come Fabiana Noro, sostiene: «Mi stimola, innanzitutto, che lo studio finalizzato al concorso sia sempre estremamente accurato; non che, normalmente, non lo sia, ma per il concorso si cerca di curare ogni minimo dettaglio sapendo che tutto verrà analizzato nelle minime sfumature; un concorso è poi ottimo incentivo per preparare repertori nuovi e diversi». Impostazione condivisa anche da molti coristi, come Adalgisa Condoluci, del Coro Giovanile Italiano. Per lei «un concorso è una stazione di arrivo e un traguardo che il coro e il direttore si danno come punto di partenza per il percorso successivo». Anche per Giulia Beatini, corista del Janua Vox «il concorso ha, rispetto al concerto, alcune caratteristiche peculiari: in particolare il tempo relativamente breve per realizzare il frutto di un lavoro lungo dettagliato, scrupoloso e la presenza di persone competenti che esprimeranno il loro giudizio. L’attenzione cresce, si impone un controllo più fermo sulla propria stabilità emotiva e questo col tempo migliora la propria capacità tecnica». Più articolato il giudizio di Andrea Lagomarsino, anch’egli corista del Janua Vox, che, dopo questa fase, vede quella in cui «una volta che il corista ha maturato un gusto e un orientamento estetico, le possibilità offerte da un concorso gli appaiono ristrette rispetto al terreno, più libero sul piano della ricerca artistica, del concerto». Una posizione, per certi versi, coincidente con quella del suo direttore, Roberta Paraninfo, che in fondo vede il concorso come una tappa intermedia, cui far partecipare «un coro da far crescere, cui dare mete e obbiettivi; o anche un coro che non abbia una attività concertistica affermata, da far conoscere». Unanime la convinzione che il concorso sia un luogo privilegiato di incontro, una specie di fiera dove trovi un concentrato di esperienze tali per cui l’ascoltare è non meno importante del cantare: «un momento importante», dice Andrea Lagomasino, «è quello successivo alla propria esecuzione, in cui i coristi, seduti in platea, ascoltano gli altri sul palco. Il corista avrà la possibilità di esercitare pensiero critico sul proprio lavoro artistico e su quello degli altri attraverso il confronto e in questo modo progredire nella 3 formazione di una personale idea estetica e artistica». In fondo, anche per gli organizzatori, chiosa Italo Montiglio, «la motivazione più importante è la promozione e la valorizzazione dell’eccellenza corale». Con queste premesse, non stupisce che vincere un concorso sia una soddisfazione, ma non sia l’obbiettivo: «Nel coro non mi sento mai un arrivato e pertanto accetto e son felice di trovare sempre qualcuno più bravo. Pertanto, vincere un concorso non ha nessuna importanza», dichiara senza timore Giancarlo Rossi, corista del Coro S. Giorgio di Fiorano (Bg). PER DARE IL a cura di Sandro Bergamo A distanza di quasi tre lustri dalla prima inchiesta (n. 2, anno 2000), Choraliter torna sul tema dei concorsi, per capire cosa è cambiato in questo che è un aspetto non secondario del mondo corale. «Il mondo è radicalmente cambiato e la coralità non sfugge a questo mutamento», dice Italo Montiglio, che del Concorso Internazionale Seghizzi di Gorizia è, da decenni, il factotum. «Rispetto al degrado di molti altri settori, mi sento tuttavia di affermare che la qualità media dei cori sia nettamente migliorata». Una visione condivisa anche da Carlo Pedini, presidente del Polifonico di Arezzo, che giudica cambiate «in meglio certamente le capacità organizzative e il livello generale dei concorrenti. In peggio sicuramente le risorse disponibili e le condizioni gestionali. Fino a non troppi anni addietro i soggetti a partecipazione pubblica come il nostro operavano senza troppo badare al bilancio: i passivi venivano automaticamente ripianati dall’Ente di riferimento. Oggi siamo invece chiamati a ripianare i passivi che abbiamo ereditato». Gli fa eco Carmine Catenazzo, che da quattro anni organizza un concorso a Matera: «La principale difficoltà che si incontra è di ordine finanziario. È sempre difficile reperire le risorse necessarie per le semplici spese vive e altrettanto coinvolgere, specie in questo periodo, enti pubblici e privati a sostegno della manifestazione. Il resto viene dopo appetibilità del concorso, location, ecc…». Una formula comunque non in crisi, a detta di Andrea Angelini, promotore del Concorso di Rimini: «Basta sfogliare una rivista specializzata in musica corale internazionale per constatare che ci sono centinaia di festival e di concorsi, anche se non tutti seri, purtroppo. Oggi l’organizzazione di un festival è vista da qualcuno come occasione di business». Ma perché si organizza un concorso? «Nel mio caso», dice Andrea Angelini, «un’assidua presenza internazionale come membro di giuria mi ha portato ad appassionarmi anche alla parte organizzativa. Ho avuto fortuna perché il progetto è risultato interessante per il comune di Rimini che ci ha supportato anche economicamente». Altre volte si approfitta di un vuoto da colmare: «Nel nostro caso», racconta Carmine Catenazzo, «lo si è fatto perché mancava un concorso perché era un evento assente in Basilicata e nelle regioni vicine. Abbiamo voluto arricchire l’offerta culturale del locale attirando l’interesse dei cori verso il territorio e del territorio verso la coralità». Il concorso è una tappa non obbligata ma auspicata. «Piazzarsi bene dà certo soddisfazione, anche solo per il lavoro svolto e diventa incoraggiamento per il futuro. Ma anche questo può spiazzare. Molte volte il direttore non è all’altezza; qualche volta è presuntuoso; troppe volte si accontenta o si rassegna allo strumento che ha in mano». «Nessun risultato positivo o negativo», è il pensiero di Giulia Beatini, «può intaccare lo studio mirato realizzato in vista del concorso e la conseguente crescita personale e del coro. Inoltre, il confronto con le altre realtà corali dovrebbe mettere in moto il senso critico e permettere di valutare il risultato del concorso secondo criteri più oggettivi, al di là dell’appagamento o della delusione derivante dal risultato». Anche Adalgisa Condoluci conferma: «Vincere appaga l’animo nell’immediato, ma ciò che più mi diletta personalmente è lo studio del dettaglio, la meraviglia nell’ascoltare un suono così concentrato durante una prova cruciale, l’orgoglio di far parte di un insieme che sa divenire corpo unico, e sa trasmettere un messaggio con chiarezza e passione. Di sicuro preferisco il “durante” al “dopo”, e sebbene una vittoria ripaghi ogni dossIER per dare il meglio di sé un’inchiesta sui concorsi corali in italia Rispetto al dibattito di quindici anni fa, sembra oggi molto ridimensionata la contrapposizione tra i fautori del concorso e suoi negatori per principio. Il concorso è una tappa non obbligata ma auspicata. Il coro non vive per fare concorsi ma è diffusa l’idea che il concorso costituisca un banco di prova, sia un modello di lavoro. Questo il pensiero del direttore lombardo Fabio Triulzi: «Pur non essendo amante dei concorsi, ritengo opportuno, dopo un serio lavoro di sviluppo della tecnica vocale e del repertorio, provare a fare il punto della situazione affidandomi al giudizio di una giuria di concorso». Competitivo, tutto sommato, il direttore lecchese: «Sicuramente un concorso dev’essere affrontato non dico con la possibilità di vincerlo, ma almeno di ottenere buoni risultati». Un’assidua frequentatrice di concorsi, nella doppia veste di giurato e di direttrice del Coro Polifonico di Ruda (Ud) come Fabiana Noro, sostiene: «Mi stimola, innanzitutto, che lo studio finalizzato al concorso sia sempre estremamente accurato; non che, normalmente, non lo sia, ma per il concorso si cerca di curare ogni minimo dettaglio sapendo che tutto verrà analizzato nelle minime sfumature; un concorso è poi ottimo incentivo per preparare repertori nuovi e diversi». Impostazione condivisa anche da molti coristi, come Adalgisa Condoluci, del Coro Giovanile Italiano. Per lei «un concorso è una stazione di arrivo e un traguardo che il coro e il direttore si danno come punto di partenza per il percorso successivo». Anche per Giulia Beatini, corista del Janua Vox «il concorso ha, rispetto al concerto, alcune caratteristiche peculiari: in particolare il tempo relativamente breve per realizzare il frutto di un lavoro lungo dettagliato, scrupoloso e la presenza di persone competenti che esprimeranno il loro giudizio. L’attenzione cresce, si impone un controllo più fermo sulla propria stabilità emotiva e questo col tempo migliora la propria capacità tecnica». Più articolato il giudizio di Andrea Lagomarsino, anch’egli corista del Janua Vox, che, dopo questa fase, vede quella in cui «una volta che il corista ha maturato un gusto e un orientamento estetico, le possibilità offerte da un concorso gli appaiono ristrette rispetto al terreno, più libero sul piano della ricerca artistica, del concerto». Una posizione, per certi versi, coincidente con quella del suo direttore, Roberta Paraninfo, che in fondo vede il concorso come una tappa intermedia, cui far partecipare «un coro da far crescere, cui dare mete e obbiettivi; o anche un coro che non abbia una attività concertistica affermata, da far conoscere». Unanime la convinzione che il concorso sia un luogo privilegiato di incontro, una specie di fiera dove trovi un concentrato di esperienze tali per cui l’ascoltare è non meno importante del cantare: «un momento importante», dice Andrea Lagomasino, «è quello successivo alla propria esecuzione, in cui i coristi, seduti in platea, ascoltano gli altri sul palco. Il corista avrà la possibilità di esercitare pensiero critico sul proprio lavoro artistico e su quello degli altri attraverso il confronto e in questo modo progredire nella 3 formazione di una personale idea estetica e artistica». In fondo, anche per gli organizzatori, chiosa Italo Montiglio, «la motivazione più importante è la promozione e la valorizzazione dell’eccellenza corale». Con queste premesse, non stupisce che vincere un concorso sia una soddisfazione, ma non sia l’obbiettivo: «Nel coro non mi sento mai un arrivato e pertanto accetto e son felice di trovare sempre qualcuno più bravo. Pertanto, vincere un concorso non ha nessuna importanza», dichiara senza timore Giancarlo Rossi, corista del Coro S. Giorgio di Fiorano (Bg). PER DARE IL a cura di Sandro Bergamo A distanza di quasi tre lustri dalla prima inchiesta (n. 2, anno 2000), Choraliter torna sul tema dei concorsi, per capire cosa è cambiato in questo che è un aspetto non secondario del mondo corale. «Il mondo è radicalmente cambiato e la coralità non sfugge a questo mutamento», dice Italo Montiglio, che del Concorso Internazionale Seghizzi di Gorizia è, da decenni, il factotum. «Rispetto al degrado di molti altri settori, mi sento tuttavia di affermare che la qualità media dei cori sia nettamente migliorata». Una visione condivisa anche da Carlo Pedini, presidente del Polifonico di Arezzo, che giudica cambiate «in meglio certamente le capacità organizzative e il livello generale dei concorrenti. In peggio sicuramente le risorse disponibili e le condizioni gestionali. Fino a non troppi anni addietro i soggetti a partecipazione pubblica come il nostro operavano senza troppo badare al bilancio: i passivi venivano automaticamente ripianati dall’Ente di riferimento. Oggi siamo invece chiamati a ripianare i passivi che abbiamo ereditato». Gli fa eco Carmine Catenazzo, che da quattro anni organizza un concorso a Matera: «La principale difficoltà che si incontra è di ordine finanziario. È sempre difficile reperire le risorse necessarie per le semplici spese vive e altrettanto coinvolgere, specie in questo periodo, enti pubblici e privati a sostegno della manifestazione. Il resto viene dopo appetibilità del concorso, location, ecc…». Una formula comunque non in crisi, a detta di Andrea Angelini, promotore del Concorso di Rimini: «Basta sfogliare una rivista specializzata in musica corale internazionale per constatare che ci sono centinaia di festival e di concorsi, anche se non tutti seri, purtroppo. Oggi l’organizzazione di un festival è vista da qualcuno come occasione di business». Ma perché si organizza un concorso? «Nel mio caso», dice Andrea Angelini, «un’assidua presenza internazionale come membro di giuria mi ha portato ad appassionarmi anche alla parte organizzativa. Ho avuto fortuna perché il progetto è risultato interessante per il comune di Rimini che ci ha supportato anche economicamente». Altre volte si approfitta di un vuoto da colmare: «Nel nostro caso», racconta Carmine Catenazzo, «lo si è fatto perché mancava un concorso perché era un evento assente in Basilicata e nelle regioni vicine. Abbiamo voluto arricchire l’offerta culturale del locale attirando l’interesse dei cori verso il territorio e del territorio verso la coralità». Il concorso è una tappa non obbligata ma auspicata. «Piazzarsi bene dà certo soddisfazione, anche solo per il lavoro svolto e diventa incoraggiamento per il futuro. Ma anche questo può spiazzare. Molte volte il direttore non è all’altezza; qualche volta è presuntuoso; troppe volte si accontenta o si rassegna allo strumento che ha in mano». «Nessun risultato positivo o negativo», è il pensiero di Giulia Beatini, «può intaccare lo studio mirato realizzato in vista del concorso e la conseguente crescita personale e del coro. Inoltre, il confronto con le altre realtà corali dovrebbe mettere in moto il senso critico e permettere di valutare il risultato del concorso secondo criteri più oggettivi, al di là dell’appagamento o della delusione derivante dal risultato». Anche Adalgisa Condoluci conferma: «Vincere appaga l’animo nell’immediato, ma ciò che più mi diletta personalmente è lo studio del dettaglio, la meraviglia nell’ascoltare un suono così concentrato durante una prova cruciale, l’orgoglio di far parte di un insieme che sa divenire corpo unico, e sa trasmettere un messaggio con chiarezza e passione. Di sicuro preferisco il “durante” al “dopo”, e sebbene una vittoria ripaghi ogni dossIER 4 sforzo fisico ed emotivo, amo il confronto più del verdetto». Plaude, dal podio direttoriale, anche Fabiana Noro: «Cercare di raggiungere il massimo, che ovviamente è relativo alla propria formazione e alle sue caratteristiche, è sempre una motivazione che supera tutti gli altri aspetti». Sulla stessa linea anche Silvana Noschese, direttrice salernitana: «mi invoglia a partecipare a un concorso l’avere un obiettivo, una scadenza, un impegno che dia una scadenza precisa allo studio; la possibilità di ascoltare cori altrettanto preparati; esplorare in maniera approfondita repertori diversi; offrire al coro un momento intenso, adrenalinico, dove misurare lo stato dell’arte del proprio gruppo; sapere che per lui sarà un momento di coesione, di autovalutazione, di ascolto». Realistico il pensiero di Roberta Paraninfo: «Le valutazioni negative fanno parte del gioco: iscrivendosi a un concorso si metterà in conto la possibile delusione, che porterà comunque con sé, anch’essa, un gradino di crescita». La sua preoccupazione va invece alle possibili conseguenze: «Il concorso, non deve mettere a repentaglio l’equilibrio del gruppo ma deve essere preso come una fotografia del momento, che nell’istante successivo sarà modificata, come nel naturale svolgersi della vita». Raccolto, senza dubbio, il consenso di Eraclito, la direttrice genovese può dormire sonni tranquilli: il coro, a detta degli intervistati, sa tenersi unito anche nella cattiva sorte. «Se ben condotta dal direttore, la preparazione e la partecipazione ai concorsi, prescindendo dal risultato finale, diventa motivo di consolidamento del legame direttore coro, oltre che coristacorista»; di questo è convinta Adalgisa Condoluci, che prosegue: «Il direttore sa quali parole e quali modi utilizzare per evitare di ledere l’entusiasmo dei coristi». Si stacca dal “coro” Giancarlo Rossi: «Un giudizio negativo poco influirebbe sul rapporto tra il mio coro e il direttore. Il mio pensiero, invece, potrebbe essere più vicino al giudizio della giuria, che sarebbe determinante nella decisione di non continuare il rapporto con questo coro e con questo maestro ma di cercare una scuola migliore». Con la stessa apertura si passa dalla semplice graduatoria al giudizio più articolato espresso dalla giuria, magari nel corso di un colloquio, come previsto da diversi concorsi. «I giudizi li aspetto e voglio tornare a casa con nuove tracce e nuovi spunti sui quali riflettere e crescere: siamo qui per migliorare», dice Silvana Noschese. Da parte loro i giurati sentono questa responsabilità. Secondo il bolognese Daniele Proni, «tendenzialmente, chi desidera un riscontro diretto con la giuria lo fa solitamente per avere indicazioni “positive”, ossia che possano aiutare a ottenere migliori risultati per le performances future». Nel trasmettere il giudizio, riflette Ivan Florjanc, «il giurato deve essere un delicato comunicatore, con doti di empatia intelligente, in particolare con quelli che hanno reso di meno. Dall’altra parte, il modo di vivere il colloquio dipende anche dall’intelligenza autocosciente e dalla maturità emotiva del singolo direttore, consapevole dei limiti suoi e del suo coro. Lo stesso potrebbe valere per il singolo corista e per il coro preso come corpo unico. Le persone creative e innovative, del resto, amano mettersi a confronto. Certamente conosco momenti di tensione avvenuti durante confronti di questo tipo, ma li ho sempre motivati con lo stress da competizione». È il direttore romano Fabrizio Barchi il più problematico tra i giurati: «Se i maestri in concorso sono giovani posso dare una mia opinione probabilmente utile, ma non so veramente La motivazione più importante è la promozione e la valorizzazione dell’eccellenza corale. cosa dire a un collega che ha un blasone internazionale, come mi è successo all’ultima edizione del concorso di Malcesine. Dare suggerimenti a Mario Mora o a Roberta Paraninfo è imbarazzante: magari fanno scelte diverse dalle mie, ma c’è dietro un pensiero musicale profondo a suggerirle. Debbo però ammettere che spesso l’atteggiamento di direttori molto noti è più umile di quello di alcuni direttori in formazione». Dubbi condivisi anche da Carlo Pedini (e infatti il concorso di Arezzo non contempla questi colloqui): «a parte il giudizio sull’esibizione, che comunque risulta dai punteggi ottenuti da ciascun concorrente, ogni altra considerazione dovrebbe tener conto che ogni esecuzione è condizionata da fattori che mutano al mutare delle circostanze. Tentare di dare indicazioni e consigli generalizzati sulla base dell’esito di un giorno di concorso mi sembra difficile e pericoloso. D’altra parte il confronto diretto con gli altri concorrenti resta comunque lo strumento più immediato per dare al direttore e al coro le giuste indicazioni per trarre il massimo vantaggio dall’esperienza vissuta: un confronto in cui il coro e il direttore difficilmente potranno ingannare se stessi sui valori realmente espressi, specie in relazione alle proprie, conosciute, potenzialità». Ma il giudizio è sempre relativo, non ha il valore assoluto di una competizione sportiva, ricorda Andrea Lagomarsino. «Per fare al meglio il suo lavoro la giuria non dovrà limitarsi a dare il voto ad alcuni aspetti dell’esecuzione, ma considerarla in sé, per il suo valore artistico. Esistono concorsi che abbracciano questo spirito e a questi conviene partecipare». Ivan Florjanc è invece alla ricerca di criteri meno personali: «tengo lontane le convinzioni estetiche e poetiche personali: ogni coro e ogni brano stimo cosa a sé. Per questa ragione soffro nell’esigenza di dover esprimere giudizi e non semplicemente condividere opinioni, come succede nei rapporti interpersonali». Ancora più deciso Fabrizio Barchi: «Io starei più attento ad aspetti tecnici (intonazione, vocalità, amalgama, equilibrio…). Vedo invece che c’è la tendenza a dare un eccesso di importanza a quella che chiamerei “l’interpretazione condivisa”: se hai la fortuna di trovare in giuria il maestro che sceglierebbe esattamente il tuo stesso tactus, lo stesso fraseggio, allora sei a cavallo». Difficile, insomma, dare un valore oggettivo al lavoro della giuria, condizionato da mille situazioni. Allora c’è chi preferisce un asettico numero, da consegnate a un segretario che lo sommi a quello degli altri giurati e chi, come Roberta Paraninfo, predilige «di gran lunga i concorsi dove sia possibile comunicare, all’interno del gruppo giudicante, le proprie opinioni, le proprie scelte, i propri dubbi». Un criterio che sancisce il valore di un coro può essere, secondo Daniele Proni, la rotazione delle giurie. Giurie che, spesso, appaiono troppo statiche, quasi un gruppo chiuso. La continuità non è però sempre giudicata negativamente: «Un giurato che ti ha già ascoltato in altri concorsi può valutare se il coro è in miglioramento o meno», dice Fabio Triulzi, che tuttavia auspica che «oltre ai “capisaldi” della coralità italiana onnipresenti ai concorsi, vadano affiancati giovani musicisti/compositori». Equidistante il giudizio di Ivan Florjanc: «È una cosa neutra. La continuità dei giurati può, da una parte, assicurare una stabilità dei parametri e delle misure nei giudizi. In questo caso il singolo coro può orientarsi meglio sui gradini della crescita, misurarsi negli anni e via dicendo, sempre a patto che il gruppo giudicante mantenga i criteri stabili negli anni. La rotazione, al contrario, introduce una certa vivacità scorrevole nelle aspettative, forse, anche un maggior movimento e varietà dei cori partecipanti». In generale però il problema è sentito e, in varia forma, affrontato. Andrea Angelini, per esempio, segue queste linee guida: «Nel nostro caso tendiamo a cambiare quasi completamente la giuria ogni anno, lasciando solo un paio di persone fisse, solamente perché questo, in giuste 5 dosi, assicura la stabilità del concorso. Coloro che hanno già partecipato in giuria conoscono bene come si svolgono le prove e possono, attraverso la loro esperienza, rassicurare i “nuovi arrivati”. Vorrei sottolineare», conclude, «che una giuria formata di grandi nomi rende molto più attrattivo il concorso». Il ricambio è avvertito anche ad Arezzo, come testimonia Carlo Pedini: «la sensazione che un giudizio sempre affidato alle stesse persone potesse portare a qualche rischio di omogeneizzazione un po’ si è avvertita. L’avvicendamento dei giurati nel corso degli anni ha mostrato come non esista un metro unico di giudizio e come il risultato di un concorso, entro certi limiti, può cambiare con giurie diverse. È un fatto che si tratti sempre di giudizi umani e come tali soggetti, ripeto, sempre entro un certo limite, a una possibile oscillazione. Per questo riteniamo auspicabile un continuo ricambio dei giudici, per non rischiare di diventare il concorso dove ci si presenta in un certo modo, si canta in un certo modo, si dirige in un certo modo e via discorrendo. Il ricambio dei giurati è certamente una delle principali condizioni per Ogni esecuzione è condizionata da fattori che mutano al mutare delle circostanze. realizzare un concorso sempre vivo, nuovo e diverso». Pur con tutti questi limiti e queste difficoltà, la formula del concorso non sembra aver perso il suo fascino e la sua attrattiva. È il corista Giancarlo Rossi a dare la sentenza finale di assoluzione: «Se qualcuno mi chiedesse: “Ma perché arrivare fino al concorso?”, ecco la risposta: Perché il concorso è una verifica qualificata di quanto penso come cantore amatoriale, senza grande preparazione musicale ma né cieco né sordo al bello!». dossIER 4 sforzo fisico ed emotivo, amo il confronto più del verdetto». Plaude, dal podio direttoriale, anche Fabiana Noro: «Cercare di raggiungere il massimo, che ovviamente è relativo alla propria formazione e alle sue caratteristiche, è sempre una motivazione che supera tutti gli altri aspetti». Sulla stessa linea anche Silvana Noschese, direttrice salernitana: «mi invoglia a partecipare a un concorso l’avere un obiettivo, una scadenza, un impegno che dia una scadenza precisa allo studio; la possibilità di ascoltare cori altrettanto preparati; esplorare in maniera approfondita repertori diversi; offrire al coro un momento intenso, adrenalinico, dove misurare lo stato dell’arte del proprio gruppo; sapere che per lui sarà un momento di coesione, di autovalutazione, di ascolto». Realistico il pensiero di Roberta Paraninfo: «Le valutazioni negative fanno parte del gioco: iscrivendosi a un concorso si metterà in conto la possibile delusione, che porterà comunque con sé, anch’essa, un gradino di crescita». La sua preoccupazione va invece alle possibili conseguenze: «Il concorso, non deve mettere a repentaglio l’equilibrio del gruppo ma deve essere preso come una fotografia del momento, che nell’istante successivo sarà modificata, come nel naturale svolgersi della vita». Raccolto, senza dubbio, il consenso di Eraclito, la direttrice genovese può dormire sonni tranquilli: il coro, a detta degli intervistati, sa tenersi unito anche nella cattiva sorte. «Se ben condotta dal direttore, la preparazione e la partecipazione ai concorsi, prescindendo dal risultato finale, diventa motivo di consolidamento del legame direttore coro, oltre che coristacorista»; di questo è convinta Adalgisa Condoluci, che prosegue: «Il direttore sa quali parole e quali modi utilizzare per evitare di ledere l’entusiasmo dei coristi». Si stacca dal “coro” Giancarlo Rossi: «Un giudizio negativo poco influirebbe sul rapporto tra il mio coro e il direttore. Il mio pensiero, invece, potrebbe essere più vicino al giudizio della giuria, che sarebbe determinante nella decisione di non continuare il rapporto con questo coro e con questo maestro ma di cercare una scuola migliore». Con la stessa apertura si passa dalla semplice graduatoria al giudizio più articolato espresso dalla giuria, magari nel corso di un colloquio, come previsto da diversi concorsi. «I giudizi li aspetto e voglio tornare a casa con nuove tracce e nuovi spunti sui quali riflettere e crescere: siamo qui per migliorare», dice Silvana Noschese. Da parte loro i giurati sentono questa responsabilità. Secondo il bolognese Daniele Proni, «tendenzialmente, chi desidera un riscontro diretto con la giuria lo fa solitamente per avere indicazioni “positive”, ossia che possano aiutare a ottenere migliori risultati per le performances future». Nel trasmettere il giudizio, riflette Ivan Florjanc, «il giurato deve essere un delicato comunicatore, con doti di empatia intelligente, in particolare con quelli che hanno reso di meno. Dall’altra parte, il modo di vivere il colloquio dipende anche dall’intelligenza autocosciente e dalla maturità emotiva del singolo direttore, consapevole dei limiti suoi e del suo coro. Lo stesso potrebbe valere per il singolo corista e per il coro preso come corpo unico. Le persone creative e innovative, del resto, amano mettersi a confronto. Certamente conosco momenti di tensione avvenuti durante confronti di questo tipo, ma li ho sempre motivati con lo stress da competizione». È il direttore romano Fabrizio Barchi il più problematico tra i giurati: «Se i maestri in concorso sono giovani posso dare una mia opinione probabilmente utile, ma non so veramente La motivazione più importante è la promozione e la valorizzazione dell’eccellenza corale. cosa dire a un collega che ha un blasone internazionale, come mi è successo all’ultima edizione del concorso di Malcesine. Dare suggerimenti a Mario Mora o a Roberta Paraninfo è imbarazzante: magari fanno scelte diverse dalle mie, ma c’è dietro un pensiero musicale profondo a suggerirle. Debbo però ammettere che spesso l’atteggiamento di direttori molto noti è più umile di quello di alcuni direttori in formazione». Dubbi condivisi anche da Carlo Pedini (e infatti il concorso di Arezzo non contempla questi colloqui): «a parte il giudizio sull’esibizione, che comunque risulta dai punteggi ottenuti da ciascun concorrente, ogni altra considerazione dovrebbe tener conto che ogni esecuzione è condizionata da fattori che mutano al mutare delle circostanze. Tentare di dare indicazioni e consigli generalizzati sulla base dell’esito di un giorno di concorso mi sembra difficile e pericoloso. D’altra parte il confronto diretto con gli altri concorrenti resta comunque lo strumento più immediato per dare al direttore e al coro le giuste indicazioni per trarre il massimo vantaggio dall’esperienza vissuta: un confronto in cui il coro e il direttore difficilmente potranno ingannare se stessi sui valori realmente espressi, specie in relazione alle proprie, conosciute, potenzialità». Ma il giudizio è sempre relativo, non ha il valore assoluto di una competizione sportiva, ricorda Andrea Lagomarsino. «Per fare al meglio il suo lavoro la giuria non dovrà limitarsi a dare il voto ad alcuni aspetti dell’esecuzione, ma considerarla in sé, per il suo valore artistico. Esistono concorsi che abbracciano questo spirito e a questi conviene partecipare». Ivan Florjanc è invece alla ricerca di criteri meno personali: «tengo lontane le convinzioni estetiche e poetiche personali: ogni coro e ogni brano stimo cosa a sé. Per questa ragione soffro nell’esigenza di dover esprimere giudizi e non semplicemente condividere opinioni, come succede nei rapporti interpersonali». Ancora più deciso Fabrizio Barchi: «Io starei più attento ad aspetti tecnici (intonazione, vocalità, amalgama, equilibrio…). Vedo invece che c’è la tendenza a dare un eccesso di importanza a quella che chiamerei “l’interpretazione condivisa”: se hai la fortuna di trovare in giuria il maestro che sceglierebbe esattamente il tuo stesso tactus, lo stesso fraseggio, allora sei a cavallo». Difficile, insomma, dare un valore oggettivo al lavoro della giuria, condizionato da mille situazioni. Allora c’è chi preferisce un asettico numero, da consegnate a un segretario che lo sommi a quello degli altri giurati e chi, come Roberta Paraninfo, predilige «di gran lunga i concorsi dove sia possibile comunicare, all’interno del gruppo giudicante, le proprie opinioni, le proprie scelte, i propri dubbi». Un criterio che sancisce il valore di un coro può essere, secondo Daniele Proni, la rotazione delle giurie. Giurie che, spesso, appaiono troppo statiche, quasi un gruppo chiuso. La continuità non è però sempre giudicata negativamente: «Un giurato che ti ha già ascoltato in altri concorsi può valutare se il coro è in miglioramento o meno», dice Fabio Triulzi, che tuttavia auspica che «oltre ai “capisaldi” della coralità italiana onnipresenti ai concorsi, vadano affiancati giovani musicisti/compositori». Equidistante il giudizio di Ivan Florjanc: «È una cosa neutra. La continuità dei giurati può, da una parte, assicurare una stabilità dei parametri e delle misure nei giudizi. In questo caso il singolo coro può orientarsi meglio sui gradini della crescita, misurarsi negli anni e via dicendo, sempre a patto che il gruppo giudicante mantenga i criteri stabili negli anni. La rotazione, al contrario, introduce una certa vivacità scorrevole nelle aspettative, forse, anche un maggior movimento e varietà dei cori partecipanti». In generale però il problema è sentito e, in varia forma, affrontato. Andrea Angelini, per esempio, segue queste linee guida: «Nel nostro caso tendiamo a cambiare quasi completamente la giuria ogni anno, lasciando solo un paio di persone fisse, solamente perché questo, in giuste 5 dosi, assicura la stabilità del concorso. Coloro che hanno già partecipato in giuria conoscono bene come si svolgono le prove e possono, attraverso la loro esperienza, rassicurare i “nuovi arrivati”. Vorrei sottolineare», conclude, «che una giuria formata di grandi nomi rende molto più attrattivo il concorso». Il ricambio è avvertito anche ad Arezzo, come testimonia Carlo Pedini: «la sensazione che un giudizio sempre affidato alle stesse persone potesse portare a qualche rischio di omogeneizzazione un po’ si è avvertita. L’avvicendamento dei giurati nel corso degli anni ha mostrato come non esista un metro unico di giudizio e come il risultato di un concorso, entro certi limiti, può cambiare con giurie diverse. È un fatto che si tratti sempre di giudizi umani e come tali soggetti, ripeto, sempre entro un certo limite, a una possibile oscillazione. Per questo riteniamo auspicabile un continuo ricambio dei giudici, per non rischiare di diventare il concorso dove ci si presenta in un certo modo, si canta in un certo modo, si dirige in un certo modo e via discorrendo. Il ricambio dei giurati è certamente una delle principali condizioni per Ogni esecuzione è condizionata da fattori che mutano al mutare delle circostanze. realizzare un concorso sempre vivo, nuovo e diverso». Pur con tutti questi limiti e queste difficoltà, la formula del concorso non sembra aver perso il suo fascino e la sua attrattiva. È il corista Giancarlo Rossi a dare la sentenza finale di assoluzione: «Se qualcuno mi chiedesse: “Ma perché arrivare fino al concorso?”, ecco la risposta: Perché il concorso è una verifica qualificata di quanto penso come cantore amatoriale, senza grande preparazione musicale ma né cieco né sordo al bello!». dossIER 6 VOCI BIANCHE IN… CONCORSO di Floranna Spreafico direttore dell’associazione musicale licabella di rovagnate È noto come negli ultimi anni la coralità infantile si sia positivamente sviluppata nel nostro Paese, grazie a svariate tipologie di percorsi, promossi sia da associazioni culturali sia da istituzioni scolastiche; percorsi avviati da alcuni anni e che oggi stanno dando buoni risultati, particolarmente in alcune regioni italiane. Ritengo queste esperienze estremamente interessanti per la nostra coralità infantile. Ma parlare di voci bianche oggi implica a mio parere alcune riflessioni e considerazioni che mi hanno portata a operare una distinzione tra ciò che è un coro di voci bianche e ciò che è un coro di bambini. Infatti, le due tipologie si differenziano sia per costituzione, sia per le finalità che si prefiggono e che stanno alla base del loro operato. Nel coro di bambini l’educazione corale rientra nel più vasto campo dell’educazione musicale e viene proposta attraverso metodologie che guidano il bambino all’acquisizione dei fondamentali elementi di questo linguaggio, quali il ritmo, l’educazione dell’orecchio musicale, il coordinamento motorio, la decodificazione e interiorizzazione delle altezze. Partendo da queste premesse, possiamo intendere per coro di bambini una realtà legata in modo particolare a quell’esperienza corale in cui ai piccoli coristi viene data l’opportunità di vivere in un contesto corale di base, come accade all’interno di percorsi di alfabetizzazione musicale attivati anche da alcune scuole: attività di fondamentale importanza – se proposte da insegnanti qualificati – che possono fungere da prerequisiti da cui poter partire per porre solide basi sulle quali costruire competenze e abilità necessarie al giovane corista per far parte di un coro di voci bianche, il cui obiettivo è, a mio parere, la produzione artistica di un certo rilievo. Ed è proprio in questo passaggio che sta, credo, la difficoltà maggiore. Occorre allora cercare di far luce su quali siano gli ostacoli che non rendono sempre naturale la prosecuzione fra queste due realtà. In altri termini: perché molte delle attività corali per bambini non seguono quello che dovrebbe essere il loro naturale sviluppo, cioè la trasformazione in cori di voci bianche? Credo occorra a questo proposito analizzare quale sia il contesto culturale e sonoro che oggi appartiene ai bambini e ai ragazzi, valutare ciò che assorbono musicalmente e acusticamente dal contesto mediatico, quale sia, in ultima analisi, il loro patrimonio vocale e corale. Non è difficile capire perché l’esperienza corale, a un certo punto, per diversi bambini, vada esaurendosi. Ed è in questo contesto che entra in gioco, a mio parere, la fondamentale presenza di direttori di coro non solo qualificati professionalmente, ma fortemente motivati, appassionati sostenitori di questa bellissima realtà e la cui energia possa guidare i giovani coristi nel momento particolarmente delicato della transizione da coro di bambini in coro di voci bianche. Sappiamo bene come un direttore di coro che decida oggi, in Italia, di costituire un coro di voci bianche con finalità artistiche si trovi quasi certamente a dover partire dal nulla. Dovrà armarsi di dosi massicce di pazienza, e, ancora prima di poter avviare una basilare educazione di tipo vocale con i suoi bambini, si troverà a correggere o forse anche a cancellare atteggiamenti vocali errati: quegli atteggiamenti che i bambini assorbono dall’ambiente sonoro distorto in cui sono immersi, pesantemente influenzato anche dal mondo dei mass media che poco rispetto hanno per la voce e più in È noto come negli ultimi anni la coralità infantile si sia positivamente sviluppata nel nostro Paese. generale per il bambino in quanto persona. Così il canto, che dovrebbe essere la forma di espressione più spontanea del bambino fin dalla più tenera età, è troppo spesso guastato da dannosi modelli di riferimento vocale che soprattutto i più piccoli, senza esserne consapevoli, acquisiscono dalla musica cosiddetta di consumo. La conseguenza di tutto ciò è che il canto corale, inteso nella sua dimensione vera e artistica, tende a essere una realtà remota per la maggior parte dei bambini. Credo che alcune delle molle su cui far leva per portare i bambini a esplorare, prendere confidenza e impadronirsi di mondi sonori spesso a loro sconosciuti e lontani dalla loro quotidianità siano il loro bisogno di esprimersi e la vivacità da incanalare che trasmettono cantando, oltre alla positività che acquisiscono attraverso questo linguaggio. È una volta intrapreso e portato avanti questo percorso che un direttore può decidere di partecipare con il suo coro a un concorso. Diverse le motivazioni che possono indurlo a vivere questa esperienza: sappiamo che c’è chi vi si avvicina ritenendo queste occasioni importanti momenti di confronto con altre realtà simili, chi ritiene utile affidarsi al parere di una commissione d’ascolto qualificata, chi ancora desidera far conoscere a livello nazionale o internazionale le proprie scelte di ricerca e repertorio. Presa questa importante decisione molti sono per il direttore di coro gli elementi da valutare attentamente, a partire dall’analisi dei regolamenti e dei bandi dei diversi concorsi, alcuni dei quali prescrivono anche scelte obbligatorie di repertorio, oppure stabiliscono che nell’esecuzione siano inseriti brani appartenenti a diverse e precise epoche storiche, brani a cappella o con accompagnamento strumentale. Trattandosi di coro di voci bianche è fondamentale poi il parametro legato ai limiti di età, che spesso varia a seconda dei concorsi. Normalmente, nei concorsi internazionali vengono considerate voci bianche i coristi la cui età non superi i 16 anni, mentre i concorsi nazionali stabiliscono limiti di età inferiori e normalmente considerano voci bianche i coristi di età compresa entro i 14 o al massimo entro i 15 anni. I regolamenti in molti casi stabiliscono anche un numero minimo e massimo di coristi, norma che può a volte mettere in difficoltà un coro costituito da un numero piuttosto esiguo di voci, che viene di fatto impossibilitato a prendere parte al concorso. Nel caso opposto – cioè quando il coro sia costituito da un numero di coristi maggiore a quello permesso – il direttore sarà costretto a dover selezionare chi portare e chi lasciare a casa, e ciò andrà a scapito della coesione del coro e dell’empatia tra i piccoli cantori. In sintesi, in base alle richieste di repertorio dettate dai regolamenti, va definito il programma da portare al concorso. Si può dire che il concorso cominci proprio da questa scelta, perché è attraverso ciò che il coro eseguirà che dovranno emergere il suo suono, le sue caratteristiche vocali, le sue 7 potenzialità espressive e comunicative. Non solo: è anche attraverso la preparazione a un concorso, e quindi con lo studio dei brani da presentare, che i coristi possono avere l’opportunità di crescere musicalmente, affrontando le composizioni con un lavoro vocale, tecnico ed espressivo particolarmente approfondito. Sono poi da valutare anche le questioni di tipo organizzativo e logistico, come ad esempio la distanza tra la propria sede e quella del concorso, e il momento dell’anno in cui il concorso è previsto. Si deve poi tenere in considerazione che i coristi sono studenti e potrebbero dunque doversi assentare alcuni giorni da scuola per prendere parte alla manifestazione. Sappiamo bene che non tutte le istituzioni scolastiche e non tutti gli insegnanti sono sensibili all’esperienza corale. Le assenze vengono a volte considerate ingiustificate e di ritorno da un concorso corale, magari dopo aver trascorso anche molte ore in viaggio, i coristi qualche volta si ritrovano a dover recuperare verifiche o interrogazioni perse proprio in quei giorni, pur avendo preventivamente avvisato le rispettive scuole del motivo dalla loro assenza. Da ultimo, ma da valutare attentamente, sono anche le questioni di tipo economico, ossia il costo dei mezzi di trasporto e alberghi. Queste cause contingenti, soprattutto negli ultimi anni, in seguito alla crisi economica, hanno forse frenato la partecipazione di qualche coro a questi eventi. Vorrei ora aprire una breve parentesi relativa al livello di preparazione dei cori italiani di voci bianche, rispetto ad alcuni cori europei ed extraeuropei che prendono normalmente parte ai concorsi corali internazionali. Per i nostri cori di voci bianche può non essere semplice trovarsi a competere con cori che sono in grado di esprimere un livello tecnico e vocale altissimo. È ben noto che i componenti di queste realtà provengono molte volte da ottime scuole I percorsi attuati negli ultimi anni hanno portato anche in Italia alla costituzione di validi cori di voci bianche. musicali corali che nel nostro paese purtroppo, salvo rare eccezioni, non esistono. La struttura organizzativa di queste scuole e i piani di studi musicali pluriennali che questi coristi e coriste seguono li portano a conoscere profondamente il linguaggio musicale corale e ad acquisire di conseguenza quegli altissimi livelli artistici che permettono loro di affrontare con disinvoltura composizioni di notevole livello tecnico, per lo più improponibili ai nostri cori. Inoltre, quando si tratta di formazioni totalmente al femminile, la loro vocalità è molto più simile a quella dei nostri cori femminili, essendo in prevalenza formati da ragazze che sfiorano i limiti di età dossIER 6 VOCI BIANCHE IN… CONCORSO di Floranna Spreafico direttore dell’associazione musicale licabella di rovagnate È noto come negli ultimi anni la coralità infantile si sia positivamente sviluppata nel nostro Paese, grazie a svariate tipologie di percorsi, promossi sia da associazioni culturali sia da istituzioni scolastiche; percorsi avviati da alcuni anni e che oggi stanno dando buoni risultati, particolarmente in alcune regioni italiane. Ritengo queste esperienze estremamente interessanti per la nostra coralità infantile. Ma parlare di voci bianche oggi implica a mio parere alcune riflessioni e considerazioni che mi hanno portata a operare una distinzione tra ciò che è un coro di voci bianche e ciò che è un coro di bambini. Infatti, le due tipologie si differenziano sia per costituzione, sia per le finalità che si prefiggono e che stanno alla base del loro operato. Nel coro di bambini l’educazione corale rientra nel più vasto campo dell’educazione musicale e viene proposta attraverso metodologie che guidano il bambino all’acquisizione dei fondamentali elementi di questo linguaggio, quali il ritmo, l’educazione dell’orecchio musicale, il coordinamento motorio, la decodificazione e interiorizzazione delle altezze. Partendo da queste premesse, possiamo intendere per coro di bambini una realtà legata in modo particolare a quell’esperienza corale in cui ai piccoli coristi viene data l’opportunità di vivere in un contesto corale di base, come accade all’interno di percorsi di alfabetizzazione musicale attivati anche da alcune scuole: attività di fondamentale importanza – se proposte da insegnanti qualificati – che possono fungere da prerequisiti da cui poter partire per porre solide basi sulle quali costruire competenze e abilità necessarie al giovane corista per far parte di un coro di voci bianche, il cui obiettivo è, a mio parere, la produzione artistica di un certo rilievo. Ed è proprio in questo passaggio che sta, credo, la difficoltà maggiore. Occorre allora cercare di far luce su quali siano gli ostacoli che non rendono sempre naturale la prosecuzione fra queste due realtà. In altri termini: perché molte delle attività corali per bambini non seguono quello che dovrebbe essere il loro naturale sviluppo, cioè la trasformazione in cori di voci bianche? Credo occorra a questo proposito analizzare quale sia il contesto culturale e sonoro che oggi appartiene ai bambini e ai ragazzi, valutare ciò che assorbono musicalmente e acusticamente dal contesto mediatico, quale sia, in ultima analisi, il loro patrimonio vocale e corale. Non è difficile capire perché l’esperienza corale, a un certo punto, per diversi bambini, vada esaurendosi. Ed è in questo contesto che entra in gioco, a mio parere, la fondamentale presenza di direttori di coro non solo qualificati professionalmente, ma fortemente motivati, appassionati sostenitori di questa bellissima realtà e la cui energia possa guidare i giovani coristi nel momento particolarmente delicato della transizione da coro di bambini in coro di voci bianche. Sappiamo bene come un direttore di coro che decida oggi, in Italia, di costituire un coro di voci bianche con finalità artistiche si trovi quasi certamente a dover partire dal nulla. Dovrà armarsi di dosi massicce di pazienza, e, ancora prima di poter avviare una basilare educazione di tipo vocale con i suoi bambini, si troverà a correggere o forse anche a cancellare atteggiamenti vocali errati: quegli atteggiamenti che i bambini assorbono dall’ambiente sonoro distorto in cui sono immersi, pesantemente influenzato anche dal mondo dei mass media che poco rispetto hanno per la voce e più in È noto come negli ultimi anni la coralità infantile si sia positivamente sviluppata nel nostro Paese. generale per il bambino in quanto persona. Così il canto, che dovrebbe essere la forma di espressione più spontanea del bambino fin dalla più tenera età, è troppo spesso guastato da dannosi modelli di riferimento vocale che soprattutto i più piccoli, senza esserne consapevoli, acquisiscono dalla musica cosiddetta di consumo. La conseguenza di tutto ciò è che il canto corale, inteso nella sua dimensione vera e artistica, tende a essere una realtà remota per la maggior parte dei bambini. Credo che alcune delle molle su cui far leva per portare i bambini a esplorare, prendere confidenza e impadronirsi di mondi sonori spesso a loro sconosciuti e lontani dalla loro quotidianità siano il loro bisogno di esprimersi e la vivacità da incanalare che trasmettono cantando, oltre alla positività che acquisiscono attraverso questo linguaggio. È una volta intrapreso e portato avanti questo percorso che un direttore può decidere di partecipare con il suo coro a un concorso. Diverse le motivazioni che possono indurlo a vivere questa esperienza: sappiamo che c’è chi vi si avvicina ritenendo queste occasioni importanti momenti di confronto con altre realtà simili, chi ritiene utile affidarsi al parere di una commissione d’ascolto qualificata, chi ancora desidera far conoscere a livello nazionale o internazionale le proprie scelte di ricerca e repertorio. Presa questa importante decisione molti sono per il direttore di coro gli elementi da valutare attentamente, a partire dall’analisi dei regolamenti e dei bandi dei diversi concorsi, alcuni dei quali prescrivono anche scelte obbligatorie di repertorio, oppure stabiliscono che nell’esecuzione siano inseriti brani appartenenti a diverse e precise epoche storiche, brani a cappella o con accompagnamento strumentale. Trattandosi di coro di voci bianche è fondamentale poi il parametro legato ai limiti di età, che spesso varia a seconda dei concorsi. Normalmente, nei concorsi internazionali vengono considerate voci bianche i coristi la cui età non superi i 16 anni, mentre i concorsi nazionali stabiliscono limiti di età inferiori e normalmente considerano voci bianche i coristi di età compresa entro i 14 o al massimo entro i 15 anni. I regolamenti in molti casi stabiliscono anche un numero minimo e massimo di coristi, norma che può a volte mettere in difficoltà un coro costituito da un numero piuttosto esiguo di voci, che viene di fatto impossibilitato a prendere parte al concorso. Nel caso opposto – cioè quando il coro sia costituito da un numero di coristi maggiore a quello permesso – il direttore sarà costretto a dover selezionare chi portare e chi lasciare a casa, e ciò andrà a scapito della coesione del coro e dell’empatia tra i piccoli cantori. In sintesi, in base alle richieste di repertorio dettate dai regolamenti, va definito il programma da portare al concorso. Si può dire che il concorso cominci proprio da questa scelta, perché è attraverso ciò che il coro eseguirà che dovranno emergere il suo suono, le sue caratteristiche vocali, le sue 7 potenzialità espressive e comunicative. Non solo: è anche attraverso la preparazione a un concorso, e quindi con lo studio dei brani da presentare, che i coristi possono avere l’opportunità di crescere musicalmente, affrontando le composizioni con un lavoro vocale, tecnico ed espressivo particolarmente approfondito. Sono poi da valutare anche le questioni di tipo organizzativo e logistico, come ad esempio la distanza tra la propria sede e quella del concorso, e il momento dell’anno in cui il concorso è previsto. Si deve poi tenere in considerazione che i coristi sono studenti e potrebbero dunque doversi assentare alcuni giorni da scuola per prendere parte alla manifestazione. Sappiamo bene che non tutte le istituzioni scolastiche e non tutti gli insegnanti sono sensibili all’esperienza corale. Le assenze vengono a volte considerate ingiustificate e di ritorno da un concorso corale, magari dopo aver trascorso anche molte ore in viaggio, i coristi qualche volta si ritrovano a dover recuperare verifiche o interrogazioni perse proprio in quei giorni, pur avendo preventivamente avvisato le rispettive scuole del motivo dalla loro assenza. Da ultimo, ma da valutare attentamente, sono anche le questioni di tipo economico, ossia il costo dei mezzi di trasporto e alberghi. Queste cause contingenti, soprattutto negli ultimi anni, in seguito alla crisi economica, hanno forse frenato la partecipazione di qualche coro a questi eventi. Vorrei ora aprire una breve parentesi relativa al livello di preparazione dei cori italiani di voci bianche, rispetto ad alcuni cori europei ed extraeuropei che prendono normalmente parte ai concorsi corali internazionali. Per i nostri cori di voci bianche può non essere semplice trovarsi a competere con cori che sono in grado di esprimere un livello tecnico e vocale altissimo. È ben noto che i componenti di queste realtà provengono molte volte da ottime scuole I percorsi attuati negli ultimi anni hanno portato anche in Italia alla costituzione di validi cori di voci bianche. musicali corali che nel nostro paese purtroppo, salvo rare eccezioni, non esistono. La struttura organizzativa di queste scuole e i piani di studi musicali pluriennali che questi coristi e coriste seguono li portano a conoscere profondamente il linguaggio musicale corale e ad acquisire di conseguenza quegli altissimi livelli artistici che permettono loro di affrontare con disinvoltura composizioni di notevole livello tecnico, per lo più improponibili ai nostri cori. Inoltre, quando si tratta di formazioni totalmente al femminile, la loro vocalità è molto più simile a quella dei nostri cori femminili, essendo in prevalenza formati da ragazze che sfiorano i limiti di età dossIER 8 consentiti dai concorsi, ossia i sedici anni. Sappiamo bene inoltre come molti dei bambini che hanno avuto la possibilità di formarsi musicalmente in questi contesti divengano da adulti eccellenti professionisti. Un esempio tra tutti: la formazione dei King’s Singers, gruppo vocale maschile oggi famoso in tutto il mondo, i cui componenti hanno iniziato il loro cammino musicale come fanciulli cantori nello storico coro del King’s College di Cambridge. Penso sia importante, a questo proposito, preparare i nostri giovani coristi alla possibilità di incontri di questo tipo, con la proiezione, ad esempio, di video dedicati a queste formazioni, in modo che possano ascoltare con piacere le loro esibizioni e che non debbano esserne in qualche modo intimoriti. Come ho già detto in apertura, i percorsi attuati negli ultimi anni hanno portato anche in Italia alla costituzione di validi cori di voci bianche, che stanno colmando la “distanza” tra le realtà degli altri paesi europei e il nostro. Ciò è merito, per la quasi totalità, dell’eccezionale lavoro, della caparbietà e della sensibilità di associazioni culturali e musicali che, credendo fermamente nel valore pedagogico, culturale e artistico del canto corale, sostengono con grande determinazione lo sviluppo di queste realtà, arginando alcune lacune istituzionali, soprattutto nel settore delicato della musica corale. A questo proposito, personalmente ritengo disarmante e indicativo il fatto che nei piani di studi oggi in vigore in Italia nella scuola secondaria di primo grado a indirizzo musicale, come nei licei musicali, non sia prevista a livello istituzionale e legislativo l’attività corale. I nostri cori di voci bianche sono formati non da bambini e ragazzi che hanno superato una qualche selezione vocale, come spesso avviene all’estero, e che seguono regolari percorsi educativi musicali fin dalla più tenera età, ma da bambini e ragazzi che si avvicinano al coro per il piacere di cantare e che vanno guidati nell’acquisizione di una corretta educazione vocale, fondamento che li porterà ad affrontare con sicurezza il repertorio e ad appassionarsi in modo crescente al canto corale. Ciò deve avvenire nel giro di pochissimi anni, poiché un direttore di coro di voci bianche sa che, a differenza di ciò che avviene con le voci adulte, ha a disposizione solo un esiguo numero di anni per raggiungere questo risultato. Ecco perché ritengo fondamentale la presenza di docenti preparati che sappiano avviare percorsi corali e musicali costruiti su solidi concetti di pedagogia vocale e corale. A tali docenti deve essere dato spazio e libertà perché possano coinvolgere e guidare i loro coristi, con sensibilità e competenza, alla scoperta delle potenzialità dell’espressione corale. Sarà anche necessario tener conto di come i tempi di attenzione dei bambini di oggi siano forse più brevi rispetto a Attraverso queste esperienze i giovani coristi saranno portati a vivere percorsi notevoli, sia dal punto di vista musicale che umano. qualche anno fa, e di come questo elemento debba portare a strutturare le lezioni corali con opportune modalità, senza però rinunciare a un percorso di qualità. Se si considera che generalmente l’educazione corale di un bambino, anche nella migliore delle ipotesi, difficilmente inizia prima dei sei anni, e che a tale età la sua estensione vocale, così come la sua capacità di eseguire musica polifonica, sono certamente limitate, si può capire come le competenze e le abilità che deve acquisire rapidamente siano molte e non di semplice portata, in considerazione anche di un altro fenomeno attuale del nostro tempo: l’abbassamento dell’età in cui oggi si verifica la pubertà e quindi il cambio della voce. Descriverei il cammino che può portare il bambino a divenire un cantore pienamente cosciente del suo ruolo di buon esecutore vocale come un percorso estremamente intenso, concentrato, rapido, di cui la costanza e la determinazione costituiscono gli elementi fondamentali. Da diversi anni mi occupo di coralità, in particolar modo di quella infantile e di cori di voci bianche. Attualmente dirigo, oltre al coro di voci bianche e giovanili I piccoli cantori delle colline di Brianza di Rovagnate, il coro di voci bianche Don Bosco, formazione nata nel 2013 all’interno dell’ics di Costa Masnaga (Lecco), costituita da una trentina di ragazzi della scuola secondaria di primo grado, nata dal progetto “Il coro a scuola: l’educazione vocale e corale nelle giovani voci”. In particolare con I piccoli cantori delle colline di Brianza, formazione nata all’interno dei cori dell’Associazione Musicale Licabella di Rovagnate, di cui sono direttore artistico, ho vissuto in prima persona, in qualità di direttore di coro, l’esperienza della partecipazione a concorsi corali nazionali e internazionali, vincendone alcuni e ottenendo comunque sempre risultati lusinghieri, mentre con il coro di voci bianche Don Bosco ho partecipato a un concorso riservato a cori scolastici, con il risultato che i ragazzi, che mai avevano preso parte a una manifestazione di questo genere, hanno vissuto con emozione l’evento e ne sono usciti fortemente gratificati, con la vittoria riportata nel concorso stesso. Secondo la mia esperienza ritengo la partecipazione a concorsi corali determinante, in primo luogo per far conoscere il coro al di fuori dell’area geografica in cui solitamente opera. Inoltre, il pubblico che segue queste manifestazioni è formato anche da musicisti, da compositori, da esperti del settore. Ciò può favorire la futura partecipazione del coro a eventi corali importanti, nazionali e internazionali, come è stato anche per i miei Piccoli Cantori, e portare a sviluppi – a mio parere – importanti per la crescita umana e musicale di ogni corista e del coro stesso. Attraverso queste esperienze i giovani 9 coristi saranno portati a vivere percorsi notevoli, sia dal punto di vista musicale che umano, catapultati nel mondo corale a trecentosessanta gradi. Occasioni da vivere pienamente, che motivano fortemente il gruppo e contribuiscono ad appassionarli, rendendoli sempre più coscienti e consapevoli delle opportunità e del grande valore del canto corale. Ho vissuto più volte i concorsi corali anche dal punto di vista di chi deve valutare queste realtà, essendo chiamata a far parte delle commissioni giudicatrici. In questa veste ritengo non sia cosa semplice poter cogliere nel giro di pochi minuti l’impegnativo e meticoloso lavoro che sta dietro a ogni esibizione, tenendo conto anche degli inevitabili momenti di tensione e di emozione che ogni competizione genera nei giovani coristi e a volte anche nei direttori. L’esperienza del concorso può essere un valido aiuto nell’intenso percorso che porta i ragazzi alla conquista di importanti obiettivi. Spesso mi è capitato, durante i corsi che sono stata invitata a tenere su tematiche relative alla coralità infantile, rivolti a direttori e insegnanti di cori di bambini o di voci bianche, di dover dare un mio parere rispetto alla positività della partecipazione a concorsi corali per questa fascia di età. In sintesi direi che ritengo i concorsi corali un’esperienza importante e stimolante, a condizione che l’aspetto competitivo non diventi prevalente nel direttore, nei coristi, nelle loro famiglie. Credo debba essere vissuto come un’esperienza di crescita, in primo luogo musicale e culturale, che può dare la possibilità di migliorare la propria preparazione. Credo che il concorso possa essere inteso come dossIER 8 consentiti dai concorsi, ossia i sedici anni. Sappiamo bene inoltre come molti dei bambini che hanno avuto la possibilità di formarsi musicalmente in questi contesti divengano da adulti eccellenti professionisti. Un esempio tra tutti: la formazione dei King’s Singers, gruppo vocale maschile oggi famoso in tutto il mondo, i cui componenti hanno iniziato il loro cammino musicale come fanciulli cantori nello storico coro del King’s College di Cambridge. Penso sia importante, a questo proposito, preparare i nostri giovani coristi alla possibilità di incontri di questo tipo, con la proiezione, ad esempio, di video dedicati a queste formazioni, in modo che possano ascoltare con piacere le loro esibizioni e che non debbano esserne in qualche modo intimoriti. Come ho già detto in apertura, i percorsi attuati negli ultimi anni hanno portato anche in Italia alla costituzione di validi cori di voci bianche, che stanno colmando la “distanza” tra le realtà degli altri paesi europei e il nostro. Ciò è merito, per la quasi totalità, dell’eccezionale lavoro, della caparbietà e della sensibilità di associazioni culturali e musicali che, credendo fermamente nel valore pedagogico, culturale e artistico del canto corale, sostengono con grande determinazione lo sviluppo di queste realtà, arginando alcune lacune istituzionali, soprattutto nel settore delicato della musica corale. A questo proposito, personalmente ritengo disarmante e indicativo il fatto che nei piani di studi oggi in vigore in Italia nella scuola secondaria di primo grado a indirizzo musicale, come nei licei musicali, non sia prevista a livello istituzionale e legislativo l’attività corale. I nostri cori di voci bianche sono formati non da bambini e ragazzi che hanno superato una qualche selezione vocale, come spesso avviene all’estero, e che seguono regolari percorsi educativi musicali fin dalla più tenera età, ma da bambini e ragazzi che si avvicinano al coro per il piacere di cantare e che vanno guidati nell’acquisizione di una corretta educazione vocale, fondamento che li porterà ad affrontare con sicurezza il repertorio e ad appassionarsi in modo crescente al canto corale. Ciò deve avvenire nel giro di pochissimi anni, poiché un direttore di coro di voci bianche sa che, a differenza di ciò che avviene con le voci adulte, ha a disposizione solo un esiguo numero di anni per raggiungere questo risultato. Ecco perché ritengo fondamentale la presenza di docenti preparati che sappiano avviare percorsi corali e musicali costruiti su solidi concetti di pedagogia vocale e corale. A tali docenti deve essere dato spazio e libertà perché possano coinvolgere e guidare i loro coristi, con sensibilità e competenza, alla scoperta delle potenzialità dell’espressione corale. Sarà anche necessario tener conto di come i tempi di attenzione dei bambini di oggi siano forse più brevi rispetto a Attraverso queste esperienze i giovani coristi saranno portati a vivere percorsi notevoli, sia dal punto di vista musicale che umano. qualche anno fa, e di come questo elemento debba portare a strutturare le lezioni corali con opportune modalità, senza però rinunciare a un percorso di qualità. Se si considera che generalmente l’educazione corale di un bambino, anche nella migliore delle ipotesi, difficilmente inizia prima dei sei anni, e che a tale età la sua estensione vocale, così come la sua capacità di eseguire musica polifonica, sono certamente limitate, si può capire come le competenze e le abilità che deve acquisire rapidamente siano molte e non di semplice portata, in considerazione anche di un altro fenomeno attuale del nostro tempo: l’abbassamento dell’età in cui oggi si verifica la pubertà e quindi il cambio della voce. Descriverei il cammino che può portare il bambino a divenire un cantore pienamente cosciente del suo ruolo di buon esecutore vocale come un percorso estremamente intenso, concentrato, rapido, di cui la costanza e la determinazione costituiscono gli elementi fondamentali. Da diversi anni mi occupo di coralità, in particolar modo di quella infantile e di cori di voci bianche. Attualmente dirigo, oltre al coro di voci bianche e giovanili I piccoli cantori delle colline di Brianza di Rovagnate, il coro di voci bianche Don Bosco, formazione nata nel 2013 all’interno dell’ics di Costa Masnaga (Lecco), costituita da una trentina di ragazzi della scuola secondaria di primo grado, nata dal progetto “Il coro a scuola: l’educazione vocale e corale nelle giovani voci”. In particolare con I piccoli cantori delle colline di Brianza, formazione nata all’interno dei cori dell’Associazione Musicale Licabella di Rovagnate, di cui sono direttore artistico, ho vissuto in prima persona, in qualità di direttore di coro, l’esperienza della partecipazione a concorsi corali nazionali e internazionali, vincendone alcuni e ottenendo comunque sempre risultati lusinghieri, mentre con il coro di voci bianche Don Bosco ho partecipato a un concorso riservato a cori scolastici, con il risultato che i ragazzi, che mai avevano preso parte a una manifestazione di questo genere, hanno vissuto con emozione l’evento e ne sono usciti fortemente gratificati, con la vittoria riportata nel concorso stesso. Secondo la mia esperienza ritengo la partecipazione a concorsi corali determinante, in primo luogo per far conoscere il coro al di fuori dell’area geografica in cui solitamente opera. Inoltre, il pubblico che segue queste manifestazioni è formato anche da musicisti, da compositori, da esperti del settore. Ciò può favorire la futura partecipazione del coro a eventi corali importanti, nazionali e internazionali, come è stato anche per i miei Piccoli Cantori, e portare a sviluppi – a mio parere – importanti per la crescita umana e musicale di ogni corista e del coro stesso. Attraverso queste esperienze i giovani 9 coristi saranno portati a vivere percorsi notevoli, sia dal punto di vista musicale che umano, catapultati nel mondo corale a trecentosessanta gradi. Occasioni da vivere pienamente, che motivano fortemente il gruppo e contribuiscono ad appassionarli, rendendoli sempre più coscienti e consapevoli delle opportunità e del grande valore del canto corale. Ho vissuto più volte i concorsi corali anche dal punto di vista di chi deve valutare queste realtà, essendo chiamata a far parte delle commissioni giudicatrici. In questa veste ritengo non sia cosa semplice poter cogliere nel giro di pochi minuti l’impegnativo e meticoloso lavoro che sta dietro a ogni esibizione, tenendo conto anche degli inevitabili momenti di tensione e di emozione che ogni competizione genera nei giovani coristi e a volte anche nei direttori. L’esperienza del concorso può essere un valido aiuto nell’intenso percorso che porta i ragazzi alla conquista di importanti obiettivi. Spesso mi è capitato, durante i corsi che sono stata invitata a tenere su tematiche relative alla coralità infantile, rivolti a direttori e insegnanti di cori di bambini o di voci bianche, di dover dare un mio parere rispetto alla positività della partecipazione a concorsi corali per questa fascia di età. In sintesi direi che ritengo i concorsi corali un’esperienza importante e stimolante, a condizione che l’aspetto competitivo non diventi prevalente nel direttore, nei coristi, nelle loro famiglie. Credo debba essere vissuto come un’esperienza di crescita, in primo luogo musicale e culturale, che può dare la possibilità di migliorare la propria preparazione. Credo che il concorso possa essere inteso come dossIER 10 11 49° CONCORSO NAZIONALE CORALE Trofei «Città di Vittorio Veneto» un’opportunità viva e arricchente, quasi come un premio alle difficoltà concrete della preparazione per i bambini d’oggi, impegnati in mille attività extrascolastiche e non sempre disposti a concentrare la loro attenzione su un linguaggio che richiede costanza, dedizione, tempo e che non dà risultati a breve termine. Credo, infine, che il modo migliore di agire per un direttore che operi con i bambini oggi resti quello di riuscire a trasmettere la grande passione per la musica, di guidarli attraverso questo linguaggio nella loro crescita e di valorizzarli con onestà, cercando di far loro comprendere l’importanza fondamentale dell’impegno, della costanza e della collaborazione. Sono sempre stata convinta che ai ragazzi si possa chiedere molto, perché molto sanno dare; che direttore e coristi crescono insieme, grazie allo scambio continuo di stimoli e ai piccoli risultati quotidianamente raggiunti; che per ogni bambino sia importante scoprire, insieme alla sua vera voce, la musica che è in lui e le grandi potenzialità espressive che essa gli offre. Vorrei concludere con un breve pensiero tratto dalla mia tesi di laurea in musicologia, dedicata alle voci bianche, che ha per titolo Musica nei verdi anni (conseguita al conservatorio di Milano, relatore il maestro Irlando Danieli e correlatore il maestro Giovanni Acciai): «Mi piace pensare a un direttore di coro per bambini come a un esperto intagliatore di legno che nel silenzio nella sua baita di montagna, con calma e con dolcezza, ma senza mai fermarsi, senza scoraggiarsi, senza mai dimenticare da dove è partito e dove vuole arrivare, attimo dopo attimo crea e vede crescere la sua scultura. Non importa quanto tempo occorrerà: il tronco a poco a poco si trasformerà in un’opera d’arte: è così per un pezzo musicale che, appena abbozzato, prova dopo prova esce dal pentagramma e si fa suono e bellezza attraverso le voci, e in particolare attraverso le voci dei bambini; è così per il bambino corista che a poco a poco, proprio nella valorizzazione della propria personalità, diventa una cosa sola con gli altri bambini coristi, fondendo la sua voce e la sua persona per creare e ricreare ogni volta quell’incanto e quella poesia che solo la musica, in particolare la musica corale, sa trasmettere. Meglio ancora se a trasmettercela sono proprio i bambini» [cap. vii, pag. 69]. E anche l’esperienza del concorso, al di là delle classifiche e delle graduatorie, può, a mio parere, essere un valido aiuto, per direttori e coristi, nell’intenso percorso che porta i ragazzi alla conquista di questi importanti obiettivi e a vivere sempre più pienamente e consapevolmente la musica corale. 29-30-31 maggio 2015 Nel quadriennio 2015-2018, in occasione del Centenario della Grande Guerra, il Concorso Nazionale Corale di Vittorio Veneto – città dove si è concluso il primo conflitto mondiale – favorirà occasioni di esecuzione e produzione musicale attraverso l’attivazione di categorie a tema e di premi speciali, coniugando la valorizzazione del patrimonio tradizionale con l’incentivazione di nuove proposte musicali, anche legate alle tematiche della Pace. I concorsi di composizione corale di Piero Caraba compositore e direttore artistico del concorso polifonico di arezzo Concorso per complessi corali (da 12 a 40 componenti) che operano nello spirito amatoriale Categoria A- Musiche originali d’autore Categoria B- Canto polifonico di ispirazione popolare Categoria C - Vocal pop-jazz, gospel e spirituals NEW Categoria D- “Oltre la guerra” NEW Per ciascuna categoria del Concorso sono previsti i seguenti premi: - primo premioEuro 1.500,00 - secondo premioEuro 1.000,00 - terzo premioEuro 500,00 21° GRAN PREMIO “EFREM CASAGRANDE” Domenica 31 maggio 2015 - ore 17 Trofeo e premio di Euro 1.500,00 offerti da Feniarco SCADENZA ISCRIZIONI 16 marzo 2015 Regolamento e modulo d’iscrizione nel sito www.vittorioveneto.gov.it (pagina “Città della musica”) https://www.facebook.com/comunevittorioveneto Segreteria organizzativa: Ufficio Cultura del Comune di Vittorio Veneto Piazza del Popolo, n. 14 - 31029 Vittorio Veneto (TV) tel. 0438-569310 - fax 0438-53966 [email protected] www.vittorioveneto.gov.it Concorrono alla realizzazione delle manifestazioni: Regione del Veneto, Provincia di Treviso, FE.N.I.A.R.CO. (Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali), A.S.A.C. (Associazione Sviluppo Attività Corali del Veneto), Sezione A.N.A. e Coro A.N.A. di Vittorio Veneto. Sul tema dei concorsi di composizione dedicati alla musica corale sarebbe opportuno aprire un dibattito ben più ampio di queste mie brevi riflessioni, allargandolo a differenti tavoli di discussione, in considerazione delle implicazioni che l’argomento comporta, ben più numerose di quanto non appaia a una analisi sommaria. Desidero poi sottolineare che, sebbene alcuni elementi abbiano una valenza generale, è pur vero che le notazioni che seguono sono il frutto di una osservazione della situazione italiana in particolare. pubblicazione o/e esecuzione dei lavori) e i componenti della giuria. Se in denaro, i premi è logico che debbano avere una consistente dignità; l’eventuale pubblicazione dei lavori deve garantire una distribuzione che favorisca la circolazione dei brani (altrimenti a cosa serve pubblicare se poi i pezzi non diventano pubblici?); l’auspicabile esecuzione dei brani vincitori deve ovviamente essere a cura di cori e direttori di livello, e deve avvenire in contesti ufficiali. La composizione della giuria costituisce poi elemento di estrema importanza e delicatezza, dato che è l’emblema stesso del concorso, dichiarando all’esterno quali siano le scelte estetiche, le conoscenze e per certi versi anche le competenze di chi organizza l’evento. Di un giurato non conta solo il valore artistico professionale, ma anche la sua visione della musica nel contesto attuale, e si comprende bene quanto ciò possa andare a determinare e condizionare i risultati di un concorso di composizione. Sappiamo bene quanto, sia i premi che l’invito a questo o quel giurato, alla fine dipendono dalle disponibilità economiche di chi organizza: per offrire le tre tipologie di premi che abbiamo detto e per invitare giurati di livello bisogna disporre di adeguati finanziamenti. Ora, realisticamente, quante associazioni, fondazioni o enti La cosa cui il compositore tiene di più, oltre al premio, è che la propria musica venga eseguita. Due interrogativi Anzitutto un primo interrogativo: a cosa serve un concorso di composizione e perché lo si indice. In quasi tutti i bandi lo scopo dichiarato è incrementare il repertorio nella fattispecie di musica corale, in taluni casi mirando anche a mettere in luce nuovi autori giovani emergenti o comunque ancora poco o per nulla conosciuti. Vengono indetti da enti, fondazioni o associazioni che detengono una tradizione consolidata nel settore, oppure sorgono ex novo per iniziativa di associazioni corali o musicali in genere, lodevoli negli intenti ma non sempre consapevoli di ciò che comporta l’organizzazione di un concorso che garantisca un buon livello di affidabilità e interesse. Secondo interrogativo: quali caratteristiche deve avere un concorso di composizione per apparire immediatamente “serio”. Due gli elementi che vengono in primo luogo considerati: la consistenza e la qualità dei premi (in denaro, possono oggi disporre di mezzi che, al di là delle buone intenzioni, garantiscano il livello di un concorso di composizione corale? La materia prima dei concorsi Veniamo ora a parlare della materia prima che costituisce un concorso di composizione, cioè i lavori presentati e la qualità degli stessi. A questo proposito mi corre l’obbligo di una considerazione derivata anche, ma non solo, dalla mia esperienza in qualità di direttore artistico del Polifonico di Arezzo. È un dato di fatto che le musiche corali contemporanee eseguite nei dossIER 10 11 49° CONCORSO NAZIONALE CORALE Trofei «Città di Vittorio Veneto» un’opportunità viva e arricchente, quasi come un premio alle difficoltà concrete della preparazione per i bambini d’oggi, impegnati in mille attività extrascolastiche e non sempre disposti a concentrare la loro attenzione su un linguaggio che richiede costanza, dedizione, tempo e che non dà risultati a breve termine. Credo, infine, che il modo migliore di agire per un direttore che operi con i bambini oggi resti quello di riuscire a trasmettere la grande passione per la musica, di guidarli attraverso questo linguaggio nella loro crescita e di valorizzarli con onestà, cercando di far loro comprendere l’importanza fondamentale dell’impegno, della costanza e della collaborazione. Sono sempre stata convinta che ai ragazzi si possa chiedere molto, perché molto sanno dare; che direttore e coristi crescono insieme, grazie allo scambio continuo di stimoli e ai piccoli risultati quotidianamente raggiunti; che per ogni bambino sia importante scoprire, insieme alla sua vera voce, la musica che è in lui e le grandi potenzialità espressive che essa gli offre. Vorrei concludere con un breve pensiero tratto dalla mia tesi di laurea in musicologia, dedicata alle voci bianche, che ha per titolo Musica nei verdi anni (conseguita al conservatorio di Milano, relatore il maestro Irlando Danieli e correlatore il maestro Giovanni Acciai): «Mi piace pensare a un direttore di coro per bambini come a un esperto intagliatore di legno che nel silenzio nella sua baita di montagna, con calma e con dolcezza, ma senza mai fermarsi, senza scoraggiarsi, senza mai dimenticare da dove è partito e dove vuole arrivare, attimo dopo attimo crea e vede crescere la sua scultura. Non importa quanto tempo occorrerà: il tronco a poco a poco si trasformerà in un’opera d’arte: è così per un pezzo musicale che, appena abbozzato, prova dopo prova esce dal pentagramma e si fa suono e bellezza attraverso le voci, e in particolare attraverso le voci dei bambini; è così per il bambino corista che a poco a poco, proprio nella valorizzazione della propria personalità, diventa una cosa sola con gli altri bambini coristi, fondendo la sua voce e la sua persona per creare e ricreare ogni volta quell’incanto e quella poesia che solo la musica, in particolare la musica corale, sa trasmettere. Meglio ancora se a trasmettercela sono proprio i bambini» [cap. vii, pag. 69]. E anche l’esperienza del concorso, al di là delle classifiche e delle graduatorie, può, a mio parere, essere un valido aiuto, per direttori e coristi, nell’intenso percorso che porta i ragazzi alla conquista di questi importanti obiettivi e a vivere sempre più pienamente e consapevolmente la musica corale. 29-30-31 maggio 2015 Nel quadriennio 2015-2018, in occasione del Centenario della Grande Guerra, il Concorso Nazionale Corale di Vittorio Veneto – città dove si è concluso il primo conflitto mondiale – favorirà occasioni di esecuzione e produzione musicale attraverso l’attivazione di categorie a tema e di premi speciali, coniugando la valorizzazione del patrimonio tradizionale con l’incentivazione di nuove proposte musicali, anche legate alle tematiche della Pace. I concorsi di composizione corale di Piero Caraba compositore e direttore artistico del concorso polifonico di arezzo Concorso per complessi corali (da 12 a 40 componenti) che operano nello spirito amatoriale Categoria A- Musiche originali d’autore Categoria B- Canto polifonico di ispirazione popolare Categoria C - Vocal pop-jazz, gospel e spirituals NEW Categoria D- “Oltre la guerra” NEW Per ciascuna categoria del Concorso sono previsti i seguenti premi: - primo premioEuro 1.500,00 - secondo premioEuro 1.000,00 - terzo premioEuro 500,00 21° GRAN PREMIO “EFREM CASAGRANDE” Domenica 31 maggio 2015 - ore 17 Trofeo e premio di Euro 1.500,00 offerti da Feniarco SCADENZA ISCRIZIONI 16 marzo 2015 Regolamento e modulo d’iscrizione nel sito www.vittorioveneto.gov.it (pagina “Città della musica”) https://www.facebook.com/comunevittorioveneto Segreteria organizzativa: Ufficio Cultura del Comune di Vittorio Veneto Piazza del Popolo, n. 14 - 31029 Vittorio Veneto (TV) tel. 0438-569310 - fax 0438-53966 [email protected] www.vittorioveneto.gov.it Concorrono alla realizzazione delle manifestazioni: Regione del Veneto, Provincia di Treviso, FE.N.I.A.R.CO. (Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali), A.S.A.C. (Associazione Sviluppo Attività Corali del Veneto), Sezione A.N.A. e Coro A.N.A. di Vittorio Veneto. Sul tema dei concorsi di composizione dedicati alla musica corale sarebbe opportuno aprire un dibattito ben più ampio di queste mie brevi riflessioni, allargandolo a differenti tavoli di discussione, in considerazione delle implicazioni che l’argomento comporta, ben più numerose di quanto non appaia a una analisi sommaria. Desidero poi sottolineare che, sebbene alcuni elementi abbiano una valenza generale, è pur vero che le notazioni che seguono sono il frutto di una osservazione della situazione italiana in particolare. pubblicazione o/e esecuzione dei lavori) e i componenti della giuria. Se in denaro, i premi è logico che debbano avere una consistente dignità; l’eventuale pubblicazione dei lavori deve garantire una distribuzione che favorisca la circolazione dei brani (altrimenti a cosa serve pubblicare se poi i pezzi non diventano pubblici?); l’auspicabile esecuzione dei brani vincitori deve ovviamente essere a cura di cori e direttori di livello, e deve avvenire in contesti ufficiali. La composizione della giuria costituisce poi elemento di estrema importanza e delicatezza, dato che è l’emblema stesso del concorso, dichiarando all’esterno quali siano le scelte estetiche, le conoscenze e per certi versi anche le competenze di chi organizza l’evento. Di un giurato non conta solo il valore artistico professionale, ma anche la sua visione della musica nel contesto attuale, e si comprende bene quanto ciò possa andare a determinare e condizionare i risultati di un concorso di composizione. Sappiamo bene quanto, sia i premi che l’invito a questo o quel giurato, alla fine dipendono dalle disponibilità economiche di chi organizza: per offrire le tre tipologie di premi che abbiamo detto e per invitare giurati di livello bisogna disporre di adeguati finanziamenti. Ora, realisticamente, quante associazioni, fondazioni o enti La cosa cui il compositore tiene di più, oltre al premio, è che la propria musica venga eseguita. Due interrogativi Anzitutto un primo interrogativo: a cosa serve un concorso di composizione e perché lo si indice. In quasi tutti i bandi lo scopo dichiarato è incrementare il repertorio nella fattispecie di musica corale, in taluni casi mirando anche a mettere in luce nuovi autori giovani emergenti o comunque ancora poco o per nulla conosciuti. Vengono indetti da enti, fondazioni o associazioni che detengono una tradizione consolidata nel settore, oppure sorgono ex novo per iniziativa di associazioni corali o musicali in genere, lodevoli negli intenti ma non sempre consapevoli di ciò che comporta l’organizzazione di un concorso che garantisca un buon livello di affidabilità e interesse. Secondo interrogativo: quali caratteristiche deve avere un concorso di composizione per apparire immediatamente “serio”. Due gli elementi che vengono in primo luogo considerati: la consistenza e la qualità dei premi (in denaro, possono oggi disporre di mezzi che, al di là delle buone intenzioni, garantiscano il livello di un concorso di composizione corale? La materia prima dei concorsi Veniamo ora a parlare della materia prima che costituisce un concorso di composizione, cioè i lavori presentati e la qualità degli stessi. A questo proposito mi corre l’obbligo di una considerazione derivata anche, ma non solo, dalla mia esperienza in qualità di direttore artistico del Polifonico di Arezzo. È un dato di fatto che le musiche corali contemporanee eseguite nei 12 concorsi sono sempre più omologate nello stile, nella costruzione e nel linguaggio, con una esasperata ricerca della difficoltà tecnica e dell’effetto che possa suggestionare chi ascolta lasciando poco o spesso nessuno spazio a un semplice ma ispirato momento di musica. Con altre parole diremmo che i brani contemporanei sono spesso costruiti per diventare strumenti con i quali esaltare la bravura tecnica di un coro, ponendo a margine ciò che invece dovrebbe essere il fine e l’essenza di ogni composizione, cioè, semplicemente, la musica. Tale situazione, evidentemente anche per analogia, in gran misura si riscontra identica nel materiale presentato dai concorrenti: omologazione dei linguaggi, esasperazione della tecnica, omologazione persino della notazione musicale, con neologismi grafici, suddivisioni e spazializzazioni delle voci che spesso, quando non sono arte, vanno a colmare le scarse capacità di organizzazione del tessuto connettivo del brano. All’opposto possiamo trovare tra il materiale presentato anche brani scritti con grammatica e sintassi melodico-armonica decisamente inattuale, e ciò potrebbe non essere una nota di demerito se le idee musicali espresse con tali mezzi fossero vive e ricche di interesse. Ma questo non accade quasi mai. tiene di più, oltre al premio in denaro, è che la propria musica venga eseguita e sia dunque ascoltata dal maggior numero possibile di pubblico; c) una cosa è, da parte della giuria, giudicare una composizione solo sulla carta e altro è giudicarla nella resa della viva esecuzione. Considerato tutto ciò il concorso potrebbe svolgersi in due fasi: la prima in cui le composizioni vengono giudicate sulla carta da una giuria (ovviamente competente e qualificata) che opera una selezione e, a seconda delle disponibilità organizzative, ne sceglie un certo numero (almeno da tre in poi); questi brani selezionati vengono affidati per lo studio a uno o più cori, o a un coro laboratorio (anche questo, o questi, ovviamente all’altezza del compito) e in un secondo momento vengono eseguiti in pubblico, alla presenza di una giuria (uguale o altra rispetto alla fase precedente) che va a determinare il brano vincitore o i vincitori del concorso. Altra variante potrebbe essere un premio parallelo determinato dal pubblico, che potrebbe confermare o smentire il verdetto della giuria… È chiaro che tutto ciò comporta uno sforzo organizzativo ed Un concorso di composizione ha per suo scopo primario l’incremento e la diffusione di nuove musiche valide sul piano estetico-esecutivo. Bassissima percentuale di lavori validi Dall’insieme di questi elementi spesso deriva una bassissima percentuale di lavori validi tra quelli presentati. Una delle prove è che molto di frequente non vengono assegnati i primi premi. Ma la conseguenza più grave è un’altra: abbiamo detto che una delle ragioni fondamentali dell’esistenza di un concorso di composizione corale è l’incrementare il repertorio a disposizione; ebbene, quante delle composizioni “vincitrici” di concorsi sono entrate nei repertori dei cori? Quante di queste composizioni, dopo una eventuale “prima esecuzione”, sono state rieseguite (per e con il piacere dei cantori e degli ascoltatori)? Quante copie delle “pubblicazioni” delle opere vincitrici sono state distribuite o addirittura acquistate? Considerate le intuibili risposte a tali quesiti, evidentemente c’è qualcosa che non funziona e che va rivisto se si vuole che i concorsi di composizione acquisiscano o riacquisiscano pienamente la loro ragion d’essere. Possibile nuova formula Una possibile nuova formula che stimoli una crescita di interesse per i concorsi di composizione da parte dei compositori, dei cori e perché no del pubblico, finora lontano da tutto ciò, potrebbe essere la seguente. Teniamo presente che: a) un concorso di composizione ha per suo scopo primario l’incremento e la diffusione di nuove musiche valide sul piano estetico-esecutivo e non solo come esercizio teorico-speculativo; b) la cosa cui il compositore economico maggiore e una programmazione a più lungo termine dell’attività concorsuale, ma i vantaggi sarebbero immediati, primo fra tutti quello di proclamare (o non proclamare) un vincitore dopo aver ascoltato il pezzo, dopo averne valutata praticamente la sua validità musicale e aver percepito l’accoglienza del pubblico; in altre parole aver toccato con mano se il pezzo “funziona” oppure no. Ripeto, non è facile disporre di mezzi e strutture per organizzare un concorso con queste modalità, ma sono convinto sia una delle possibili e necessarie strade da percorrere per rilanciare il settore e rimotivare i compositori, giovani e meno giovani, a cimentarsi nell’ambito della composizione per coro, settore che, in particolare considerazione del panorama italiano, necessita di nuovi repertori ove la musica prevalga sulla suggestione della tecnica. ANELIAMO ALLA BELLEZZA Intervista a giANMARTINO DURIGHELLO a cura di Manolo Da Rold compositore e direttore della corale zumellese Gianmartino Maria Durighello è stato per me, al di là dell’amicizia ormai ventennale, un modello di riferimento musicale e umano. Essere stato allievo prima e amico poi, mi ha permesso di conoscere questo mio conterraneo sotto molteplici aspetti: in lui si sintetizzano perfettamente ispirazione musicale, fede, originalità stilistica e amore per la vita e per il prossimo. Questa intervista mi dà l’opportunità di approfondire alcuni aspetti legati alla sua formazione, ma soprattutto al suo pensiero musicale che forse a qualcuno restano ancora sconosciuti. gianma La versione integrale della presente intervista è pubblicata sul sito www.feniarco.it alla sezione editoria / choraliter Carissimo Gianmartino, il nostro colloquio si divide in due parti: la prima è dedicata alla tua storia di musicista, la seconda al pensiero filosofico e teologico che si cela nella tua produzione musicale. Sei nato in una famiglia di musicisti, tuo padre Martino è un direttore di coro e organista e appassionato di etnomusicologia, ovviamente tutto questo ha favorito la tua precoce crescita artistica. Quali sono state le tue prime esperienze musicali? Certo, l’ambiente familiare è stato indubbiamente importante. Ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ho iniziato presto gli studi musicali. Anzi, agli inizi non ero additato in famiglia come quello che avrebbe studiato musica. Ero incostante e, anziché studiare, componevo canzoncine. Poi le distribuivo a fratelli e genitori e organizzavo un festival domestico al quale non so perché vinceva sempre mia mamma. Amo ricordare la tanta musica d’assieme fatta in famiglia. Con i genitori e i fratelli cantavamo e suonavamo un po’ di tutto. Il mio primo strumento fu… un’armonica a bocca (vinsi anche un concorso del dilettante). E a volte penso che vorrei portarmi proprio l’armonica in Paradiso. Una sedia a dondolo e una armonica a bocca. Soltanto con gli anni del liceo iniziai lo studio del pianoforte. Fu mia mamma a volerlo. Contemporaneamente suonavo in chiesa e anche in un complessino per il quale componevo le mie prime canzoni. Sei stato fondatore e direttore di un coro polifonico per molti anni, attualmente dirigi il coro del conservatorio di Castelfranco Veneto, istituto in cui sei docente. Quanto e come ha influito l’essere direttore di coro nel tuo cammino di compositore? Oh, molto. La musica che ho respirato fin da piccolo era anche tanta musica per coro. La schola cantorum e il coro di mio padre, soprattutto. Non ho mai scritto però per il mio coro, il Nuovo 12 concorsi sono sempre più omologate nello stile, nella costruzione e nel linguaggio, con una esasperata ricerca della difficoltà tecnica e dell’effetto che possa suggestionare chi ascolta lasciando poco o spesso nessuno spazio a un semplice ma ispirato momento di musica. Con altre parole diremmo che i brani contemporanei sono spesso costruiti per diventare strumenti con i quali esaltare la bravura tecnica di un coro, ponendo a margine ciò che invece dovrebbe essere il fine e l’essenza di ogni composizione, cioè, semplicemente, la musica. Tale situazione, evidentemente anche per analogia, in gran misura si riscontra identica nel materiale presentato dai concorrenti: omologazione dei linguaggi, esasperazione della tecnica, omologazione persino della notazione musicale, con neologismi grafici, suddivisioni e spazializzazioni delle voci che spesso, quando non sono arte, vanno a colmare le scarse capacità di organizzazione del tessuto connettivo del brano. All’opposto possiamo trovare tra il materiale presentato anche brani scritti con grammatica e sintassi melodico-armonica decisamente inattuale, e ciò potrebbe non essere una nota di demerito se le idee musicali espresse con tali mezzi fossero vive e ricche di interesse. Ma questo non accade quasi mai. tiene di più, oltre al premio in denaro, è che la propria musica venga eseguita e sia dunque ascoltata dal maggior numero possibile di pubblico; c) una cosa è, da parte della giuria, giudicare una composizione solo sulla carta e altro è giudicarla nella resa della viva esecuzione. Considerato tutto ciò il concorso potrebbe svolgersi in due fasi: la prima in cui le composizioni vengono giudicate sulla carta da una giuria (ovviamente competente e qualificata) che opera una selezione e, a seconda delle disponibilità organizzative, ne sceglie un certo numero (almeno da tre in poi); questi brani selezionati vengono affidati per lo studio a uno o più cori, o a un coro laboratorio (anche questo, o questi, ovviamente all’altezza del compito) e in un secondo momento vengono eseguiti in pubblico, alla presenza di una giuria (uguale o altra rispetto alla fase precedente) che va a determinare il brano vincitore o i vincitori del concorso. Altra variante potrebbe essere un premio parallelo determinato dal pubblico, che potrebbe confermare o smentire il verdetto della giuria… È chiaro che tutto ciò comporta uno sforzo organizzativo ed Un concorso di composizione ha per suo scopo primario l’incremento e la diffusione di nuove musiche valide sul piano estetico-esecutivo. Bassissima percentuale di lavori validi Dall’insieme di questi elementi spesso deriva una bassissima percentuale di lavori validi tra quelli presentati. Una delle prove è che molto di frequente non vengono assegnati i primi premi. Ma la conseguenza più grave è un’altra: abbiamo detto che una delle ragioni fondamentali dell’esistenza di un concorso di composizione corale è l’incrementare il repertorio a disposizione; ebbene, quante delle composizioni “vincitrici” di concorsi sono entrate nei repertori dei cori? Quante di queste composizioni, dopo una eventuale “prima esecuzione”, sono state rieseguite (per e con il piacere dei cantori e degli ascoltatori)? Quante copie delle “pubblicazioni” delle opere vincitrici sono state distribuite o addirittura acquistate? Considerate le intuibili risposte a tali quesiti, evidentemente c’è qualcosa che non funziona e che va rivisto se si vuole che i concorsi di composizione acquisiscano o riacquisiscano pienamente la loro ragion d’essere. Possibile nuova formula Una possibile nuova formula che stimoli una crescita di interesse per i concorsi di composizione da parte dei compositori, dei cori e perché no del pubblico, finora lontano da tutto ciò, potrebbe essere la seguente. Teniamo presente che: a) un concorso di composizione ha per suo scopo primario l’incremento e la diffusione di nuove musiche valide sul piano estetico-esecutivo e non solo come esercizio teorico-speculativo; b) la cosa cui il compositore economico maggiore e una programmazione a più lungo termine dell’attività concorsuale, ma i vantaggi sarebbero immediati, primo fra tutti quello di proclamare (o non proclamare) un vincitore dopo aver ascoltato il pezzo, dopo averne valutata praticamente la sua validità musicale e aver percepito l’accoglienza del pubblico; in altre parole aver toccato con mano se il pezzo “funziona” oppure no. Ripeto, non è facile disporre di mezzi e strutture per organizzare un concorso con queste modalità, ma sono convinto sia una delle possibili e necessarie strade da percorrere per rilanciare il settore e rimotivare i compositori, giovani e meno giovani, a cimentarsi nell’ambito della composizione per coro, settore che, in particolare considerazione del panorama italiano, necessita di nuovi repertori ove la musica prevalga sulla suggestione della tecnica. ANELIAMO ALLA BELLEZZA Intervista a giANMARTINO DURIGHELLO a cura di Manolo Da Rold compositore e direttore della corale zumellese Gianmartino Maria Durighello è stato per me, al di là dell’amicizia ormai ventennale, un modello di riferimento musicale e umano. Essere stato allievo prima e amico poi, mi ha permesso di conoscere questo mio conterraneo sotto molteplici aspetti: in lui si sintetizzano perfettamente ispirazione musicale, fede, originalità stilistica e amore per la vita e per il prossimo. Questa intervista mi dà l’opportunità di approfondire alcuni aspetti legati alla sua formazione, ma soprattutto al suo pensiero musicale che forse a qualcuno restano ancora sconosciuti. gianma La versione integrale della presente intervista è pubblicata sul sito www.feniarco.it alla sezione editoria / choraliter Carissimo Gianmartino, il nostro colloquio si divide in due parti: la prima è dedicata alla tua storia di musicista, la seconda al pensiero filosofico e teologico che si cela nella tua produzione musicale. Sei nato in una famiglia di musicisti, tuo padre Martino è un direttore di coro e organista e appassionato di etnomusicologia, ovviamente tutto questo ha favorito la tua precoce crescita artistica. Quali sono state le tue prime esperienze musicali? Certo, l’ambiente familiare è stato indubbiamente importante. Ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ho iniziato presto gli studi musicali. Anzi, agli inizi non ero additato in famiglia come quello che avrebbe studiato musica. Ero incostante e, anziché studiare, componevo canzoncine. Poi le distribuivo a fratelli e genitori e organizzavo un festival domestico al quale non so perché vinceva sempre mia mamma. Amo ricordare la tanta musica d’assieme fatta in famiglia. Con i genitori e i fratelli cantavamo e suonavamo un po’ di tutto. Il mio primo strumento fu… un’armonica a bocca (vinsi anche un concorso del dilettante). E a volte penso che vorrei portarmi proprio l’armonica in Paradiso. Una sedia a dondolo e una armonica a bocca. Soltanto con gli anni del liceo iniziai lo studio del pianoforte. Fu mia mamma a volerlo. Contemporaneamente suonavo in chiesa e anche in un complessino per il quale componevo le mie prime canzoni. Sei stato fondatore e direttore di un coro polifonico per molti anni, attualmente dirigi il coro del conservatorio di Castelfranco Veneto, istituto in cui sei docente. Quanto e come ha influito l’essere direttore di coro nel tuo cammino di compositore? Oh, molto. La musica che ho respirato fin da piccolo era anche tanta musica per coro. La schola cantorum e il coro di mio padre, soprattutto. Non ho mai scritto però per il mio coro, il Nuovo compositorE 14 Rinascimento. L’ho fatto per i ragazzi del conservatorio, perché mi sono accorto che la cosa piaceva loro e che entrava positivamente nel nostro rapporto. Quanto ha influito l’essere direttore con il mio cammino di compositore? Lo strumento che suoni interagisce con il tuo pensiero. Faccio un esempio. Se per scrivere una lettera scelgo la penna stilografica, piuttosto che la biro o il computer… sarà sempre una lettera diversa, nel contenuto e nello stile, a seconda del mezzo che uso. Figuriamoci in musica. Dirigere un coro e lavorare come insegnante di coro a contatto con centinaia di adolescenti e giovani ha influito certamente sul mio modo di essere, di sentire e di pensare. Non credo sia eccessivo dire che, quando penso, spesso penso in modo… corale. E vorrei poter dire anche che penso… giovane. Speriamo che sia così, almeno un po’. Hai parlato di giovani e adolescenti, mi è capitato recentemente di studiare con i ragazzini del mio coro di voci della bellissima musica da te scritta per questo tipo di organico. Qual è il tuo rapporto con il mondo dei bambini e dei cori voci bianche? Ho lavorato anche con i bambini, ma soprattutto con ragazzi e adolescenti, e amo particolarmente il suono vocale dell’adolescenza. La mia prima attività con bambini e ragazzi è stata, come per molti, quella ludica in campi estivi parrocchiali e in colonie marine. Ne ho ricavato un grande amore per l’esperienza globale e universale che rimane una mia caratteristica. Globale (nel senso di una attività che unisca al canto il gioco, la drammatizzazione, il mimo, dando vita a storie, leggende, fiabe, racconti…) e universale (nel senso di cercare il coinvolgimento di tutti i ragazzi, soprattutto quelli con problematiche di vario tipo). Quando ho iniziato a insegnare alle medie, questo era il mio modo di essere. E, come accennavo, con alcuni di quei ragazzi che sono poi diventati miei amici ho condiviso anche fuori scuola esperienze simili, eravamo guidati dal motto: «In principio c’era l’entusiasmo». O quest’altro: «Teniamo viva la fantasia, per rendere fantastica la vita». Quando sono passato dall’insegnamento alle medie a quello in conservatorio ho pian piano chiuso un rapporto diretto con i bambini, salvo qualche piacevole rimpatriata. Sono stato però invitato a scrivere per cori di voci bianche o giovanili o ancora per le scuole. Penso ai lavori scritti per i ragazzi di Amedeo Scutiero, Cinzia Zanon e altri… E devo dire che uno dei lavori che considero tra i più rappresentativi di me e della mia produzione è proprio un’operina, una leggenda in musica, I monti pallidi. I ragazzi portano in me anche le prime dolorose ferite. Frequentavo il ginnasio quando una mia compagna d’infanzia fu trucidata dal padre. Poi, nei primi quattro anni di insegnamento alle medie, mi morirono quattro ragazzi, in eventi tragici. Quasi come un grido disperato scrissi allora I me mor (Mi muoiono). I ragazzi per me sono anche questo. Il mio primo drammatico incontro con la morte. Scrivi solamente musica corale o ti capita di lavorare per strumenti o ensemble? No, non solo musica corale. Sai, la maggior parte del lavoro si fa su commissione, e la maggior parte delle commissioni mi vengono dal mondo corale. Comunque devo ammettere che la mia produzione cameristica nasce generalmente da precedenti lavori corali. è il coro il primo luogo della mia esperienza compositiva. A volte capita addirittura che il committente mi chieda esplicitamente un brano che faccia riferimento a opere 15 recenti l’inserimento di un mio brano insieme a quelli di altri di autori contemporanei italiani in un programma a cura di Marco Berrini trasmesso dalla Radio Svizzera. Ci sono poi alcune commissioni per eventi particolari che hanno un forte impatto sulla diffusione dell’opera o comunque sul far conoscere un autore. Penso ad esempio alla Messa Audi filia per coro e banda, scritta in occasione dei festeggiamenti per il passaggio di millennio per il coro Gialuth di Lorenzo Benedet, e recentemente riproposta nella riduzione coro e organo da parte del compianto Massimo Nosetti. Penso ancora all’inserimento di un brano in corsi di formazione per direttori. Qui la composizione passa direttamente nella mano del direttore. Sono, infatti, i cori stessi, con le loro esecuzioni, che fanno conoscere un brano. E il brano comincia la sua vita fuori dal cordone ombelicale dell’autore. E la musica se deve diffondersi si diffonde. Ne sei testimone tu stesso, con il tuo coro. Ci sono partiture che “girano” ancora sulla fotocopia del manoscritto originale, nel quale risalta la viva scrittura a matita. corali da lui ascoltate. è il caso ad esempio di Sèfer Torah, per chitarra, inciso da Alberto Mesirca in Ikonostas, Disco d’oro al Pittaluga nel 2007; o le Meditazioni per due fisarmoniche scritte per il duo Dissonance, rivisitazioni di Gaudens Gaudebo e di Dies irae. L’ultimo mio impegno nel campo della musica strumentale è un Concerto per saxofono e orchestra d’archi, Jerushalaim, di prossima esecuzione. Un sogno? Rivisitare i miei motetti più significativi per un piccolo organico cameristico. Sai come la penso: homo faber fortunae suae. Il successo non avviene per caso o per coincidenze fortunate, l’avvenimento importante ha i suoi effetti sul futuro dell’individuo solamente se quanto viene proposto è di qualità. Vorrei sapere quindi, oltre ai riconoscimenti concorsuali, quali siano stati gli eventi che ti hanno portato ad essere così eseguito anche fuori dai confini nazionali? Importante è indubbiamente la pubblicazione e soprattutto l’inserimento di una composizione come brano d’obbligo in concorsi di esecuzione corale o in corsi di formazione. Non finirò mai di ringraziare Giovanni Acciai per aver creduto in me e nella mia musica fin dagli inizi, quando ancora pochi mi conoscevano. Egli ha curato il mio primo volume di Motetti per la Suvini Zerboni con una prefazione che conservo sempre nel cuore, e ha inserito diversi miei brani in vari concorsi corali, come il Festival di Riva del Garda. Avevo da poco vinto il concorso di Loreto per una Messa in occasione del settimo centenario della traslazione della Santa Casa. Non ho partecipato a molti concorsi, cinque in tutto e sempre in circostanze particolari, ma sono stati molto importanti. In particolare l’esecuzione in diretta rai della Messa di Loreto (1995) è stato un evento molto importante. Molti cori erano esteri e da questi sono venute le mie prime commissioni. La trasmissione televisiva e/o radiofonica è chiaramente un’importante occasione di diffusione: tra le più Porti su di te una particolare etichetta, quella di compositore minimalista. Alcune biografie e alcuni critici ti citano sovente come rappresentante della musica minimalista in Italia, condividi questa analisi? Se sì, quali sono le cose che ti accomunano con altri compositori di questa importante corrente di pensiero? Ero in conservatorio, in un momento di pausa, e stavo rileggendo un mio lavoro per organo appena ultimato. Un allievo entra, ascolta e mi dice: «sei anche tu un minimalista?». Fu la prima volta che mi sentii così etichettato. Lo strumento che suoni interagisce con il tuo pensiero. Gianmartino Durighello__________ Compositore, musicologo e didatta, è titolare della cattedra di Esercitazioni Corali presso il Conservatorio A. Steffani di Castelfranco Veneto e insegna Musicologia Sacra, Spiritualità ed Estetica del canto gregoriano e Tecniche di composizione per la Liturgia nel Biennio di specializzazione in Musica Sacra presso lo stesso Istituto. Come compositore ha collaborato con vari enti, musicisti e formazioni corali ed è stato chiamato come docente in masterclass e laboratori di composizione. Alcune sue composizioni sono state premiate in concorsi nazionali e internazionali, trasmesse da rai uno e da emittenti private, scelte come brano d’obbligo in concorsi, inserite come brano di studio in corsi di formazione e specializzazione, e incise. Insegna Musicologia Liturgica e Direzione di Coro presso l’Istituto di Musica per la Liturgia della Diocesi di Padova. Ha pubblicato testi di spiritualità liturgica e lectio divina. Poi, come dici, me la sono vista un po’ dappertutto questa etichetta. Devo ammettere che non sapevo neanche troppo bene cosa significasse il termine minimalismo. Un termine oggi impiegato come un ricettacolo molto ampio, e spesso a sproposito. Non tutta la mia musica può dirsi minimalista in senso stretto, ma devo dire che questa etichetta mi piace e la trovo rispondente a una parte di me e della mia produzione. Sono arrivato a questo per una via diversa da quella che si può immaginare. Non ascoltavo né leggevo musica minimalista. Ripeto: sono gli altri ad avermela poi fatta conoscere. Cercavo un linguaggio che mi fosse proprio, e mi stava stretto quello dell’avanguardia dal quale per un certo senso provenivo. Miravo cioè a un modo di esprimermi che rispondesse a quello che ero, alla mia fede innanzitutto, e a come cercavo e cerco di viverla. Anche se in senso diverso da quello che originariamente il termine voleva significare, mi sento minimalista nella ricerca della sobrietà e della riduzione compositorE 14 Rinascimento. L’ho fatto per i ragazzi del conservatorio, perché mi sono accorto che la cosa piaceva loro e che entrava positivamente nel nostro rapporto. Quanto ha influito l’essere direttore con il mio cammino di compositore? Lo strumento che suoni interagisce con il tuo pensiero. Faccio un esempio. Se per scrivere una lettera scelgo la penna stilografica, piuttosto che la biro o il computer… sarà sempre una lettera diversa, nel contenuto e nello stile, a seconda del mezzo che uso. Figuriamoci in musica. Dirigere un coro e lavorare come insegnante di coro a contatto con centinaia di adolescenti e giovani ha influito certamente sul mio modo di essere, di sentire e di pensare. Non credo sia eccessivo dire che, quando penso, spesso penso in modo… corale. E vorrei poter dire anche che penso… giovane. Speriamo che sia così, almeno un po’. Hai parlato di giovani e adolescenti, mi è capitato recentemente di studiare con i ragazzini del mio coro di voci della bellissima musica da te scritta per questo tipo di organico. Qual è il tuo rapporto con il mondo dei bambini e dei cori voci bianche? Ho lavorato anche con i bambini, ma soprattutto con ragazzi e adolescenti, e amo particolarmente il suono vocale dell’adolescenza. La mia prima attività con bambini e ragazzi è stata, come per molti, quella ludica in campi estivi parrocchiali e in colonie marine. Ne ho ricavato un grande amore per l’esperienza globale e universale che rimane una mia caratteristica. Globale (nel senso di una attività che unisca al canto il gioco, la drammatizzazione, il mimo, dando vita a storie, leggende, fiabe, racconti…) e universale (nel senso di cercare il coinvolgimento di tutti i ragazzi, soprattutto quelli con problematiche di vario tipo). Quando ho iniziato a insegnare alle medie, questo era il mio modo di essere. E, come accennavo, con alcuni di quei ragazzi che sono poi diventati miei amici ho condiviso anche fuori scuola esperienze simili, eravamo guidati dal motto: «In principio c’era l’entusiasmo». O quest’altro: «Teniamo viva la fantasia, per rendere fantastica la vita». Quando sono passato dall’insegnamento alle medie a quello in conservatorio ho pian piano chiuso un rapporto diretto con i bambini, salvo qualche piacevole rimpatriata. Sono stato però invitato a scrivere per cori di voci bianche o giovanili o ancora per le scuole. Penso ai lavori scritti per i ragazzi di Amedeo Scutiero, Cinzia Zanon e altri… E devo dire che uno dei lavori che considero tra i più rappresentativi di me e della mia produzione è proprio un’operina, una leggenda in musica, I monti pallidi. I ragazzi portano in me anche le prime dolorose ferite. Frequentavo il ginnasio quando una mia compagna d’infanzia fu trucidata dal padre. Poi, nei primi quattro anni di insegnamento alle medie, mi morirono quattro ragazzi, in eventi tragici. Quasi come un grido disperato scrissi allora I me mor (Mi muoiono). I ragazzi per me sono anche questo. Il mio primo drammatico incontro con la morte. Scrivi solamente musica corale o ti capita di lavorare per strumenti o ensemble? No, non solo musica corale. Sai, la maggior parte del lavoro si fa su commissione, e la maggior parte delle commissioni mi vengono dal mondo corale. Comunque devo ammettere che la mia produzione cameristica nasce generalmente da precedenti lavori corali. è il coro il primo luogo della mia esperienza compositiva. A volte capita addirittura che il committente mi chieda esplicitamente un brano che faccia riferimento a opere 15 recenti l’inserimento di un mio brano insieme a quelli di altri di autori contemporanei italiani in un programma a cura di Marco Berrini trasmesso dalla Radio Svizzera. Ci sono poi alcune commissioni per eventi particolari che hanno un forte impatto sulla diffusione dell’opera o comunque sul far conoscere un autore. Penso ad esempio alla Messa Audi filia per coro e banda, scritta in occasione dei festeggiamenti per il passaggio di millennio per il coro Gialuth di Lorenzo Benedet, e recentemente riproposta nella riduzione coro e organo da parte del compianto Massimo Nosetti. Penso ancora all’inserimento di un brano in corsi di formazione per direttori. Qui la composizione passa direttamente nella mano del direttore. Sono, infatti, i cori stessi, con le loro esecuzioni, che fanno conoscere un brano. E il brano comincia la sua vita fuori dal cordone ombelicale dell’autore. E la musica se deve diffondersi si diffonde. Ne sei testimone tu stesso, con il tuo coro. Ci sono partiture che “girano” ancora sulla fotocopia del manoscritto originale, nel quale risalta la viva scrittura a matita. corali da lui ascoltate. è il caso ad esempio di Sèfer Torah, per chitarra, inciso da Alberto Mesirca in Ikonostas, Disco d’oro al Pittaluga nel 2007; o le Meditazioni per due fisarmoniche scritte per il duo Dissonance, rivisitazioni di Gaudens Gaudebo e di Dies irae. L’ultimo mio impegno nel campo della musica strumentale è un Concerto per saxofono e orchestra d’archi, Jerushalaim, di prossima esecuzione. Un sogno? Rivisitare i miei motetti più significativi per un piccolo organico cameristico. Sai come la penso: homo faber fortunae suae. Il successo non avviene per caso o per coincidenze fortunate, l’avvenimento importante ha i suoi effetti sul futuro dell’individuo solamente se quanto viene proposto è di qualità. Vorrei sapere quindi, oltre ai riconoscimenti concorsuali, quali siano stati gli eventi che ti hanno portato ad essere così eseguito anche fuori dai confini nazionali? Importante è indubbiamente la pubblicazione e soprattutto l’inserimento di una composizione come brano d’obbligo in concorsi di esecuzione corale o in corsi di formazione. Non finirò mai di ringraziare Giovanni Acciai per aver creduto in me e nella mia musica fin dagli inizi, quando ancora pochi mi conoscevano. Egli ha curato il mio primo volume di Motetti per la Suvini Zerboni con una prefazione che conservo sempre nel cuore, e ha inserito diversi miei brani in vari concorsi corali, come il Festival di Riva del Garda. Avevo da poco vinto il concorso di Loreto per una Messa in occasione del settimo centenario della traslazione della Santa Casa. Non ho partecipato a molti concorsi, cinque in tutto e sempre in circostanze particolari, ma sono stati molto importanti. In particolare l’esecuzione in diretta rai della Messa di Loreto (1995) è stato un evento molto importante. Molti cori erano esteri e da questi sono venute le mie prime commissioni. La trasmissione televisiva e/o radiofonica è chiaramente un’importante occasione di diffusione: tra le più Porti su di te una particolare etichetta, quella di compositore minimalista. Alcune biografie e alcuni critici ti citano sovente come rappresentante della musica minimalista in Italia, condividi questa analisi? Se sì, quali sono le cose che ti accomunano con altri compositori di questa importante corrente di pensiero? Ero in conservatorio, in un momento di pausa, e stavo rileggendo un mio lavoro per organo appena ultimato. Un allievo entra, ascolta e mi dice: «sei anche tu un minimalista?». Fu la prima volta che mi sentii così etichettato. Lo strumento che suoni interagisce con il tuo pensiero. Gianmartino Durighello__________ Compositore, musicologo e didatta, è titolare della cattedra di Esercitazioni Corali presso il Conservatorio A. Steffani di Castelfranco Veneto e insegna Musicologia Sacra, Spiritualità ed Estetica del canto gregoriano e Tecniche di composizione per la Liturgia nel Biennio di specializzazione in Musica Sacra presso lo stesso Istituto. Come compositore ha collaborato con vari enti, musicisti e formazioni corali ed è stato chiamato come docente in masterclass e laboratori di composizione. Alcune sue composizioni sono state premiate in concorsi nazionali e internazionali, trasmesse da rai uno e da emittenti private, scelte come brano d’obbligo in concorsi, inserite come brano di studio in corsi di formazione e specializzazione, e incise. Insegna Musicologia Liturgica e Direzione di Coro presso l’Istituto di Musica per la Liturgia della Diocesi di Padova. Ha pubblicato testi di spiritualità liturgica e lectio divina. Poi, come dici, me la sono vista un po’ dappertutto questa etichetta. Devo ammettere che non sapevo neanche troppo bene cosa significasse il termine minimalismo. Un termine oggi impiegato come un ricettacolo molto ampio, e spesso a sproposito. Non tutta la mia musica può dirsi minimalista in senso stretto, ma devo dire che questa etichetta mi piace e la trovo rispondente a una parte di me e della mia produzione. Sono arrivato a questo per una via diversa da quella che si può immaginare. Non ascoltavo né leggevo musica minimalista. Ripeto: sono gli altri ad avermela poi fatta conoscere. Cercavo un linguaggio che mi fosse proprio, e mi stava stretto quello dell’avanguardia dal quale per un certo senso provenivo. Miravo cioè a un modo di esprimermi che rispondesse a quello che ero, alla mia fede innanzitutto, e a come cercavo e cerco di viverla. Anche se in senso diverso da quello che originariamente il termine voleva significare, mi sento minimalista nella ricerca della sobrietà e della riduzione compositorE 16 17 Catalogo delle opere di Gianmartino Durighello Musica sacra - motetti op. 3Hodie Christus natus est (1981, SABr) op. 9Popule meus (1987, SATB) op. 23 Darnaach viartausonk jaar (1993, SATB) op. 27Popule meus (popolare) (1995, SATB) op. 28Panis angelicus (1995, SATB) op. 29Laudatio Christi (1995, SATB) op. 30 Gaudens gaudebo (1995, SATB) op. 31Trittico Ungarico (1995, SATB): Veni electa, Matyas, Istvan op. 33 Gaudeamus omnes in Domino (1996, SATB) op. 34 Gaudeamus omnes - brevior et facilior (1996, SATB) op. 35Audi filia (1996, SABr) op. 36Beatam me dicent (1996, SSA) op. 37 Graduale cum alleluja (1996, SATB + fisarm) op. 50Rallegriamoci tutti nel Signore (1999, SATB) op. 51Puer natus (1999, SATB) op. 52La Pentecoste (1999, SATB) op. 59Mysteria - I misteri dolorosi (2001, SATB) op. 62 In aeternum cantabo (2002, SATB): In aeternum cantabo, Volo Pater, Video caelos op. 63Magnificat (2002, SSA) op. 67Suscipe me Domine (2003, SATB) op. 71Cor Jesu (2003, SATB + SATB) op. 74Fratres in unum (2003, SSATB) op. 75Fratres in unum - Lectio brevis (2003, SSATB) op. 77Mysteria - I misteri gloriosi (2005, SATB (+) SATB) op. 78 Dies irae (2005, SATB) op. 79Pie Jesu (2005, SATB) op. 80Veni Creator (2005, coro a una voce + 3 strumenti) op. 81Veni Creator (2005, SSAA) op. 83Trittico Ungarico (2007, soli, SATB, quartetto sax, arp, perc) op. 86Sicut novellae olivarum (2008, SA) op. 87Venite ad me (2008, SATB) op. 88Exsulta filia Sion (2009, SSA, fl, cl, org, vlc) op. 89Exsulta filia Sion (2009, SATB, fl, org, vlc) op. 90Exsulta filia Sion (2009, SATB, fl, quartetto d’archi) op. 91Exsulta filia Sion (2009, SSA, fl, quartetto d’archi) op. 92Exsulta filia Sion (2009, SSA, org) op. 93Exsulta filia Sion (2009, SATB, org) op. 94Exsulta filia Sion (2009, SSA) op. 95Exsulta filia Sion (2009, SATB) op. 96Exsulta filia Sion (2009, soprano, org) op. 97Magnificat di Lecceto (2009, SSA, fl, cl, cetra, org, vlc) op. 98Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, fl, cetra, org, vlc) op. 99Magnificat di Lecceto (2009, SSA, org) op. 100Magnificat di Lecceto (2009, SA, org) op. 101Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, org) op. 102Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, orch) op. 103Magnificat di Lecceto (2009, soprano, alto, fisarm) op. 106Misereris omnium (2010, SSA) op. 107Misereris omnium (2010, SATB) op. 111Tamquam Sol a thalamo (2010, TTBB): Preludio ad libitum, Ecce Dominus veniet!, Gloria! Puer natus, Magnum haereditatis mysterium op. 115Trittico De jubilatione (2011, SATB (+) SATB): La Risurrezione, L’Ascensione, L’Assunzione op. 116Ex corde scisso (2011, SSATB) op. 117Ex corde scisso (2011, SSA) op. 118Ex corde scisso (2011, SSATB, org) op. 119Ex corde scisso (2011, SSA, org) op. 121Tu sei sacerdote per sempre (2012, SATB, org) op. 124Ex Corde scisso - Adimpleo (2012, SSA) Musica sacra - messe op. 21Messa in onore della Madonna di Loreto (1992, SATB) op. 49Missa “Audi filia” (1999, SATB, banda) op. 49b Missa “Audi filia” (1999, SATB, org) op. 125Messa “Piccolo Magnificat” 1 o 2 vp (2013, SA, org) op. 126Messa “Piccolo Magnificat” 4 vd (2013, SATB op. SATB, popolo, org) Musica sacra - cantate op. 46Natalis annuntio (1997, soprano, SATB, vibr, arp) op. 58L’annunciazione (2001, soprano, SATB,ob, vibr, arp, org, cb) op. 60Sacrificium laudis (2002, SATB, quartetto d’archi o orch) op. 72Sacrificium laudis - Lectio brevis (2003, SATB, quartetto d’archi o orch) op. 73Sacrificium laudis - Lectio brevis (2003, SATB, fisarm, vl, vlc) op. 113 Nel giardino delle nozze (Il Cantico dei Cantici) (2011, voci recitanti, soli, SATB fl, cl, vla o vlc, fisarm, arp, org) op. 114 Legenda minor (2011, soprano, baritono, SATB, 2fl, 2cl, 2ob, 2fag, perc, org (or archi)) op. 123Contemplatio prima - sopra Sacrificium Laudis (2012, solo, coro, vlc, pf, org) op. 127 Teresa - The smile is a big cloak (2014, cantata, coro femminile, cl, fisa, vlc, piccole perc) Musica profana per coro op. 6Allegria di naufragi (1985, SATB) op. 8The little boy lost (Cantata) (1987, tenore, SATB, vlc, perc) op. 10Soto le tue finestre (1987, SSA) op. 12Marcelina (1989, SATB) op. 13 I me mor (1990, SSAA) op. 32Tutto incomincia a girar (1995, SATB) op. 41 Il Sirio (1996, SATB) op. 42La vole andare a Agna (1996, SATB) op. 43El campanaro (1996, SATB) op. 44El campanil l’è alto (1996, SATB) op. 45La bela violeta (1996, SATB) op. 47 Il granellin di riso (1997, TTBB) op. 55L’anima dei monti (2000, TTBB): Il capretto di Val Guerra, L’anima dei monti, Ammazza ammazza, Dove mansueti pascolavano gli armenti (la Guerra 1915-18) op. 56La mi morosa cara (2000, TTBB) op. 57Se tu fossi una regina (2000, TTBB) op. 61La Tardina (2002, SATB, fisarm, pf) Musica per cori scolastici, voci bianche e giovanili op. 16Napoleon avec ses cents soldats (1990, voci bianche, piccole perc) op. 17 La vera storia dei musicanti di Brema (1991, voci bianche e strumenti) op. 18 Jump down (1991, voci bianche e strumenti) op. 19 Jump down (1991, voci bianche, orch. giovanile) op. 24Ho incontrato un bel cavalier (1994, voci bianche) op. 25Ev’ry body loves (1994, voci bianche, cl, pf, ottoni) op. 26Suite bestiale (1994, voci bianche, orch giovanile) op. 53 I Figli del Sole (1999, voci bianche, pf, piccole perc.): Elba, Soreghina, Cian Bolpin op. 64 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche, strum. Orff) op. 65 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche, orch. giovanile) op. 66 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche, pf) op. 68 Gabbiani (2003, voci bianche, pf) op. 69 Guerra (2003, soprano, coro giovanile, piccole perc, pf) op. 70Storie di una fattoria (2003, voci bianche, pf) op. 76 Il ballo (2003, voci bianche e coro giovanile) op. 84 I tuoi occhi (2007, coro giovanile, fl, piccole perc, pf) op. 85 Il vento è invisibile (2007, voci bianche, pf) op. 108 Dalla vallata della fantasia (2010, SSCBr, claves) Musica da camera - vocale op. 1Cea de Bal (1977, canto, pf) op. 2Actimus in G minor (1981, basso, 2 cl, quartetto d’archi) op. 14 Il piccolo principe - music for (1990, 2 narratori, orch.) op. 15 Il piccolo principe - music for (1990, 2 narratori, pf) op. 105 A te grazie dolcezza mia (2009, voce recitante, vlc) Musica strumentale op. 4 Genesis (1985, quintetto fiati) op. 5 Invocazioni alla Vergine (1985, chit) op. 7 Kronos (1986, fl, ch) op. 11Contrappunto (1988, 2 cb) op. 20Timshel (1991, orch) op. 22Quartetto d’archi (1992, quartetto d’archi) op. 38Nel tempio di Mattia in Buda (1996, 3fl, ob, cl, fag, arp) op. 39Shen (1996, pf) op. 40Meditazioni su “Audi benigne Conditor” (1996, org) op. 48Shen 2 (1997, pf) op. 54 Dialogo (1999, chit, pf) op. 82Sefer Torah (2006, ch) op. 104Offertorio “Inveni Quem diligit anima mea” (2009, fl, cl, cetra, org, vlc) op. 109 Meditazione sopra “Gaudens gaudebo” (2010, 2 fisarm) op. 110 Meditazione sopra “Dies irae” (2010, 2 fisarm) op. 112 L’eserci…zio (2010, arp) op. 120 Meditationes (2011, pf) op. 122 Jerushalaim “The city of peace” (Concerto) (2012, sax, orchestra d’archi) del materiale musicale in funzione espressiva. L’uso della ripetizione ritmico melodica, soprattutto in cellule modali, mi consente di muovermi in una ricerca compositiva che risponde al mio essere «sfociando – come disse un allievo a un corso – in una stasi dinamica o un movimento statico». Devo riconoscere che sono io, desideroso di contemplazione e insieme immerso nell’azione. Cito testualmente da uno dei tuoi libri (Il canto è il mio sacerdozio, Padova, Armelin Musica, 1997): «… se davvero riuscissi, insegnando a cantare, a predisporre i nostri cuori all’Amore, così che fede e carità si fondino e la vita si faccia culto…». Queste parole mi hanno fortemente colpito. Per te, dunque, il “fare musica” è un mezzo, non un fine ultimo. Puoi spiegare questo tuo pensiero? Nel canto e nell’amore è difficile separare il mezzo dal fine. Credo che, nella nostra imperfezione e nei nostri errori, tutti in fondo cerchiamo questo: amare ed essere amati. Credo che la spirale della nostra esistenza stia qui. «è dinamica, sprigiona vita, l’essenza del canto. Strettamente legato alla vita, il canto spinge ad amare, a concepire la vita come amore», scrivo ancora in quel libro. Il canto allena ad amare. Amare ti spinge a cantare, sfocia nel canto. Il fine di tutto credo sia un grande Silenzio nel quale amore e canto si fondono, mezzo e fine si identificano. Un Silenzio frutto melodioso di vite cantate. compositorE 16 17 Catalogo delle opere di Gianmartino Durighello Musica sacra - motetti op. 3Hodie Christus natus est (1981, SABr) op. 9Popule meus (1987, SATB) op. 23 Darnaach viartausonk jaar (1993, SATB) op. 27Popule meus (popolare) (1995, SATB) op. 28Panis angelicus (1995, SATB) op. 29Laudatio Christi (1995, SATB) op. 30 Gaudens gaudebo (1995, SATB) op. 31Trittico Ungarico (1995, SATB): Veni electa, Matyas, Istvan op. 33 Gaudeamus omnes in Domino (1996, SATB) op. 34 Gaudeamus omnes - brevior et facilior (1996, SATB) op. 35Audi filia (1996, SABr) op. 36Beatam me dicent (1996, SSA) op. 37 Graduale cum alleluja (1996, SATB + fisarm) op. 50Rallegriamoci tutti nel Signore (1999, SATB) op. 51Puer natus (1999, SATB) op. 52La Pentecoste (1999, SATB) op. 59Mysteria - I misteri dolorosi (2001, SATB) op. 62 In aeternum cantabo (2002, SATB): In aeternum cantabo, Volo Pater, Video caelos op. 63Magnificat (2002, SSA) op. 67Suscipe me Domine (2003, SATB) op. 71Cor Jesu (2003, SATB + SATB) op. 74Fratres in unum (2003, SSATB) op. 75Fratres in unum - Lectio brevis (2003, SSATB) op. 77Mysteria - I misteri gloriosi (2005, SATB (+) SATB) op. 78 Dies irae (2005, SATB) op. 79Pie Jesu (2005, SATB) op. 80Veni Creator (2005, coro a una voce + 3 strumenti) op. 81Veni Creator (2005, SSAA) op. 83Trittico Ungarico (2007, soli, SATB, quartetto sax, arp, perc) op. 86Sicut novellae olivarum (2008, SA) op. 87Venite ad me (2008, SATB) op. 88Exsulta filia Sion (2009, SSA, fl, cl, org, vlc) op. 89Exsulta filia Sion (2009, SATB, fl, org, vlc) op. 90Exsulta filia Sion (2009, SATB, fl, quartetto d’archi) op. 91Exsulta filia Sion (2009, SSA, fl, quartetto d’archi) op. 92Exsulta filia Sion (2009, SSA, org) op. 93Exsulta filia Sion (2009, SATB, org) op. 94Exsulta filia Sion (2009, SSA) op. 95Exsulta filia Sion (2009, SATB) op. 96Exsulta filia Sion (2009, soprano, org) op. 97Magnificat di Lecceto (2009, SSA, fl, cl, cetra, org, vlc) op. 98Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, fl, cetra, org, vlc) op. 99Magnificat di Lecceto (2009, SSA, org) op. 100Magnificat di Lecceto (2009, SA, org) op. 101Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, org) op. 102Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, orch) op. 103Magnificat di Lecceto (2009, soprano, alto, fisarm) op. 106Misereris omnium (2010, SSA) op. 107Misereris omnium (2010, SATB) op. 111Tamquam Sol a thalamo (2010, TTBB): Preludio ad libitum, Ecce Dominus veniet!, Gloria! Puer natus, Magnum haereditatis mysterium op. 115Trittico De jubilatione (2011, SATB (+) SATB): La Risurrezione, L’Ascensione, L’Assunzione op. 116Ex corde scisso (2011, SSATB) op. 117Ex corde scisso (2011, SSA) op. 118Ex corde scisso (2011, SSATB, org) op. 119Ex corde scisso (2011, SSA, org) op. 121Tu sei sacerdote per sempre (2012, SATB, org) op. 124Ex Corde scisso - Adimpleo (2012, SSA) Musica sacra - messe op. 21Messa in onore della Madonna di Loreto (1992, SATB) op. 49Missa “Audi filia” (1999, SATB, banda) op. 49b Missa “Audi filia” (1999, SATB, org) op. 125Messa “Piccolo Magnificat” 1 o 2 vp (2013, SA, org) op. 126Messa “Piccolo Magnificat” 4 vd (2013, SATB op. SATB, popolo, org) Musica sacra - cantate op. 46Natalis annuntio (1997, soprano, SATB, vibr, arp) op. 58L’annunciazione (2001, soprano, SATB,ob, vibr, arp, org, cb) op. 60Sacrificium laudis (2002, SATB, quartetto d’archi o orch) op. 72Sacrificium laudis - Lectio brevis (2003, SATB, quartetto d’archi o orch) op. 73Sacrificium laudis - Lectio brevis (2003, SATB, fisarm, vl, vlc) op. 113 Nel giardino delle nozze (Il Cantico dei Cantici) (2011, voci recitanti, soli, SATB fl, cl, vla o vlc, fisarm, arp, org) op. 114 Legenda minor (2011, soprano, baritono, SATB, 2fl, 2cl, 2ob, 2fag, perc, org (or archi)) op. 123Contemplatio prima - sopra Sacrificium Laudis (2012, solo, coro, vlc, pf, org) op. 127 Teresa - The smile is a big cloak (2014, cantata, coro femminile, cl, fisa, vlc, piccole perc) Musica profana per coro op. 6Allegria di naufragi (1985, SATB) op. 8The little boy lost (Cantata) (1987, tenore, SATB, vlc, perc) op. 10Soto le tue finestre (1987, SSA) op. 12Marcelina (1989, SATB) op. 13 I me mor (1990, SSAA) op. 32Tutto incomincia a girar (1995, SATB) op. 41 Il Sirio (1996, SATB) op. 42La vole andare a Agna (1996, SATB) op. 43El campanaro (1996, SATB) op. 44El campanil l’è alto (1996, SATB) op. 45La bela violeta (1996, SATB) op. 47 Il granellin di riso (1997, TTBB) op. 55L’anima dei monti (2000, TTBB): Il capretto di Val Guerra, L’anima dei monti, Ammazza ammazza, Dove mansueti pascolavano gli armenti (la Guerra 1915-18) op. 56La mi morosa cara (2000, TTBB) op. 57Se tu fossi una regina (2000, TTBB) op. 61La Tardina (2002, SATB, fisarm, pf) Musica per cori scolastici, voci bianche e giovanili op. 16Napoleon avec ses cents soldats (1990, voci bianche, piccole perc) op. 17 La vera storia dei musicanti di Brema (1991, voci bianche e strumenti) op. 18 Jump down (1991, voci bianche e strumenti) op. 19 Jump down (1991, voci bianche, orch. giovanile) op. 24Ho incontrato un bel cavalier (1994, voci bianche) op. 25Ev’ry body loves (1994, voci bianche, cl, pf, ottoni) op. 26Suite bestiale (1994, voci bianche, orch giovanile) op. 53 I Figli del Sole (1999, voci bianche, pf, piccole perc.): Elba, Soreghina, Cian Bolpin op. 64 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche, strum. Orff) op. 65 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche, orch. giovanile) op. 66 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche, pf) op. 68 Gabbiani (2003, voci bianche, pf) op. 69 Guerra (2003, soprano, coro giovanile, piccole perc, pf) op. 70Storie di una fattoria (2003, voci bianche, pf) op. 76 Il ballo (2003, voci bianche e coro giovanile) op. 84 I tuoi occhi (2007, coro giovanile, fl, piccole perc, pf) op. 85 Il vento è invisibile (2007, voci bianche, pf) op. 108 Dalla vallata della fantasia (2010, SSCBr, claves) Musica da camera - vocale op. 1Cea de Bal (1977, canto, pf) op. 2Actimus in G minor (1981, basso, 2 cl, quartetto d’archi) op. 14 Il piccolo principe - music for (1990, 2 narratori, orch.) op. 15 Il piccolo principe - music for (1990, 2 narratori, pf) op. 105 A te grazie dolcezza mia (2009, voce recitante, vlc) Musica strumentale op. 4 Genesis (1985, quintetto fiati) op. 5 Invocazioni alla Vergine (1985, chit) op. 7 Kronos (1986, fl, ch) op. 11Contrappunto (1988, 2 cb) op. 20Timshel (1991, orch) op. 22Quartetto d’archi (1992, quartetto d’archi) op. 38Nel tempio di Mattia in Buda (1996, 3fl, ob, cl, fag, arp) op. 39Shen (1996, pf) op. 40Meditazioni su “Audi benigne Conditor” (1996, org) op. 48Shen 2 (1997, pf) op. 54 Dialogo (1999, chit, pf) op. 82Sefer Torah (2006, ch) op. 104Offertorio “Inveni Quem diligit anima mea” (2009, fl, cl, cetra, org, vlc) op. 109 Meditazione sopra “Gaudens gaudebo” (2010, 2 fisarm) op. 110 Meditazione sopra “Dies irae” (2010, 2 fisarm) op. 112 L’eserci…zio (2010, arp) op. 120 Meditationes (2011, pf) op. 122 Jerushalaim “The city of peace” (Concerto) (2012, sax, orchestra d’archi) del materiale musicale in funzione espressiva. L’uso della ripetizione ritmico melodica, soprattutto in cellule modali, mi consente di muovermi in una ricerca compositiva che risponde al mio essere «sfociando – come disse un allievo a un corso – in una stasi dinamica o un movimento statico». Devo riconoscere che sono io, desideroso di contemplazione e insieme immerso nell’azione. Cito testualmente da uno dei tuoi libri (Il canto è il mio sacerdozio, Padova, Armelin Musica, 1997): «… se davvero riuscissi, insegnando a cantare, a predisporre i nostri cuori all’Amore, così che fede e carità si fondino e la vita si faccia culto…». Queste parole mi hanno fortemente colpito. Per te, dunque, il “fare musica” è un mezzo, non un fine ultimo. Puoi spiegare questo tuo pensiero? Nel canto e nell’amore è difficile separare il mezzo dal fine. Credo che, nella nostra imperfezione e nei nostri errori, tutti in fondo cerchiamo questo: amare ed essere amati. Credo che la spirale della nostra esistenza stia qui. «è dinamica, sprigiona vita, l’essenza del canto. Strettamente legato alla vita, il canto spinge ad amare, a concepire la vita come amore», scrivo ancora in quel libro. Il canto allena ad amare. Amare ti spinge a cantare, sfocia nel canto. Il fine di tutto credo sia un grande Silenzio nel quale amore e canto si fondono, mezzo e fine si identificano. Un Silenzio frutto melodioso di vite cantate. compositorE 18 Guardo con commozione i grandi santi della carità, Teresa di Calcutta su tutti, ma so di non essere come loro. Nel mio piccolo, però, mi scopro insegnante e comprendo che insegnare a cantare in coro è educare all’amore. Un mondo che canta… Il tuo cammino spirituale corre a braccetto con la tuo essere musicista. Giovanni Maria Rossi nella prefazione al tuo libro che ho appena citato scrive: «Il canto-suono, che è già dentro la persona umana dove lo spirito grida con gemiti inesprimibili, deve sfociare in un atto di “fede vitale”». Secondo te la musica, intesa come anelito alla Bellezza Assoluta, è come imprigionata dentro di noi e sta a noi liberarla per compiere un cammino di fede? Tu sei il felice papà di Benedetta, una adorabile bambina. Bene, quando il bambino è nel grembo della mamma è forse imprigionato? San Paolo paragona la creazione alle doglie del parto. Credo che la nostra esistenza si svolga come in un grembo, il grembo di Dio. Ogni nostro canto esprime lo scalciare del bimbo nel grembo, la sua voglia di venire alla luce. Ogni nostro canto esprime il vagito, il grido del neonato che viene alla luce. Diciamo il nostro disagio, ma anche la nostra volontà di vivere e di essere alimentati alla vita. Ed è per questo che il nostro canto si placa nel silenzio, quando siamo abbracciati al petto della mamma. La musica non è solo anelito, è anche all’origine della Bellezza. Nel racconto della creazione Dio “disse” e il mondo prese vita. E Dio vide che era cosa “bella” (questo il significato letterale). Con il suono della sua voce Dio dà vita alla Bellezza. La nostra musica è sì anelito alla Bellezza vera, ma nello stesso tempo facendo musica noi continuiamo l’opera creatrice di Dio. Aneliamo alla Bellezza generando bellezza. Perché il creato porta in sé l’impronta del suo Creatore. E l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Per questo siamo invitati ad ascoltare il suono che è in noi. Liberarla, la musica, – come tu dici – significa accettare di vivere il dinamismo della creazione. Allora, se è vero che il grembo non è un carcere, è anche vero che grazie alla musica ciò che appare come un carcere può rivelarsi un grembo. Spesso nella tua musica si celano dei significati simbolici che, a quelli che come me amano particolarmente la teologia, si rivelano con gradualità durante lo studio dei tuoi brani; è una sorta di cammino escatologico che prepari volutamente per gli esecutori o il rapporto con il symbolum è una tua fondamentale dimensione spirituale? Sì, il simbolo è una dimensione molto importante per me. Nei miei primi lavori la dimensione simbolica era per lo più limitata al rapporto testo-musica sulla scia della tradizione gregoriana e motettistica. Con il tempo tale dimensione si è fatta molto più presente investendo la composizione fin dalla sua ideazione e divenendone l’elemento caratterizzante, dalla architettura generale al più piccolo tema. Anche se alcuni di questi ultimi lavori possono risultare più semplici e immediati, in realtà sono il frutto di una attenta meditazione. Chi entra nel mio studio nella fase di ideazione si diverte a vedere appesi sui muri fogli di carta da pacco sui quali appunto tutti i miei schemi… è innanzitutto una mia esigenza spirituale. Nella Bibbia è Dio stesso a donare le misure per la costruzione della città santa e del tempio. Così è per la architettura e così è per la musica. La musica abita il suono che Dio stesso ha donato creandoci a sua immagine e somiglianza. Un uccellino mi ha detto che hai iniziato a suonare l’arpa, non sarà forse che nell’iconografica comune è lo strumento privilegiato dagli angeli e quindi non vuoi farti trovare impreparato? Mannaggia. Mi verrebbe da risponderti che… anche gli angeli mangiano fagioli. Ma questo è un altro film (ma gli uccellini non potrebbero limitarsi a volare e cinguettare?). Per l’arpa ho avuto sempre un certo affetto, ed essa è presente, ad esempio, nelle mie due cantate natalizie: Natalis annuntio, scritta per Mauro Zuccante, e L’Annunciazione per Pierluigi Comparin. Il discorso si ricollega alla domanda precedente. Mi sono trovato l’arpa in mano in un corso di formazione liturgica organizzato dalle Figlie della Chiesa di Roma, perché la Ogni nostro canto esprime il vagito, il grido del neonato che viene alla luce. ragazza che avrebbe dovuto suonarla è stata costretta a dare forfait. Da allora l’ho tenuta in mano sempre più spesso fino ad appassionarmi. Ora studio con Alessandra Casarin (che fu mia allieva di coro) e nel mio piccolo cerco di… suonare. Nella lingua ebraica gli strumentisti sono proprio detti “coloro che tengono in mano”. Devo dire che per me, che non ho in curriculum un corso di studi in uno strumento, è molto importante… tenere in mano uno strumento. Ed è sempre musica d’assieme, con gli amici ed ex allievi del Gruppo Ashirà con il quale animiamo liturgie e proponiamo percorsi di Lettura cantata della Parola di Dio, come ad esempio il Cantico dei Cantici. Questo mi riporta alla prima domanda che mi hai fatto. è importante per me far musica pratica, tenere in mano uno strumento, anche se a livello amatoriale. Amatore e dilettante. Essere amatori e dilettanti ci ricorda che la musica è amore. In questo senso i professionisti non dovrebbero mai smettere di essere amatori e dilettanti. Sì, adesso ho due arpe celtiche, che si aggiungono alle mie due zampogne e alle mie armoniche a bocca. Ma, ripeto: in Paradiso porterò l’armonica a bocca. 19 oltre il minimalismo? Uno sguardo analitico su alcune composizioni di Gianmartino Durighello di Alessandro Kirschner compositore e direttore di coro Ricordo bene la prima volta che ho ascoltato una composizione di Gianmartino Durighello: mi trovavo a Vittorio Veneto e avevo appena partecipato al concorso corale in veste di corista del coro del conservatorio Venezze di cui ero studente. Si trattava del Gaudens gaudebo, eseguito magistralmente dal coro Anthem di Monza. Conservo ancora la sensazione di stupore e di coinvolgimento che avevo vissuto: un vortice di crescente entusiasmo e la scoperta che era possibile fare una musica “nuova” a partire da elementi molto semplici. La conoscenza diretta di Gianmartino, avvenuta qualche anno dopo, mi ha permesso di intuire quanto ogni sua composizione si potesse considerare come una sorta di icona rivelatrice di un mondo di suoni che trasudano fede e umanità, andando ben oltre alcuni principi formali comunemente presenti in compositori a lui contemporanei. Volendo focalizzare l’attenzione su alcune sue composizioni corali, la scelta è caduta su tre lavori che possono essere considerati rappresentativi della sua produzione sacra: un frammento da una messa (il Kyrie della Messa in onore della Madonna di Loreto), un mottetto (Veni, electa mea dal Trittico Ungarico) e una sezione da una delle Cantate (Eschaton, ultima parte della Cantata Sacrificium Laudis). Nel sito personale del compositore1 è possibile reperire gli ascolti dei brani in oggetto e la partitura completa della Cantata. La Messa in onore della Madonna di Loreto è invece edita dalle Edizioni Ente Rassegne Musicali “N. S. di Loreto” mentre il Trittico ungarico è edito dalle Edizioni ASAC Veneto nell’antologia Compositori Veneti 2 e dalle Edizioni Suvini Zerboni. La Messa in onore della Madonna di Loreto, scritta nel 1992, è la composizione con cui Durighello si è fatto conoscere sulla scena internazionale: premiata nel Concorso Internazionale dell’Ente Rassegne Musicali “N. S. di Loreto” ha avuto il merito di essere eseguita da compagini corali di alto livello che ne hanno potuto mettere in risalto la bellezza e gli aspetti innovativi in essa contenuti. Tutte le parti dell’ordinarium sono state messe in musica; sarà sufficiente concentrarsi sulla sola analisi del Kyrie (tra l’altro ripreso quasi integralmente nell’Agnus Dei finale) per rendersi conto dell’originalissimo modo di utilizzare il coro – come naturale estensione di una linea melodica – che caratterizza l’intera composizione. Una melodia dal chiaro sapore gregoriano si sviluppa infatti passando dalla voce più grave a quella più acuta in un ambitus di dodicesima, creando inoltre effetti di riverberazione naturale mediante l’utilizzo di note tenute man mano che lo sviluppo procede verso il registro acuto. La linea melodica stessa è fortemente tematica in quanto sono riconoscibili delle strutture intervallari che si ripetono (cfr. elementi a, b, c dell’esempio 1) e moduli scalari semplificati (utilizzo della scala pentatonica per la prima parte della frase, aggiungendo il semitono centrale solo dopo aver raggiunto il vertice melodico). È possibile inoltre notare il chiasma dato dal procedere orizzontale dell’elemento a e la verticalità dell’elemento b. Nell’affidare questa linea melodica al coro, si producono effetti assai suggestivi: dopo l’attacco dei bassi le altre sezioni vanno a sovrapporsi garantendo il procedere melodico e aumentando via via la dinamica complessiva fino ad arrivare al forte in corrispondenza della nota più acuta. La semifrase di risposta, affidata in diminuendo alle sole voci femminili, riconduce ai suoni di partenza creando l’illusione di un modo dorico circoscritto dai suoni la (tenor) e re (finalis). compositorE 18 Guardo con commozione i grandi santi della carità, Teresa di Calcutta su tutti, ma so di non essere come loro. Nel mio piccolo, però, mi scopro insegnante e comprendo che insegnare a cantare in coro è educare all’amore. Un mondo che canta… Il tuo cammino spirituale corre a braccetto con la tuo essere musicista. Giovanni Maria Rossi nella prefazione al tuo libro che ho appena citato scrive: «Il canto-suono, che è già dentro la persona umana dove lo spirito grida con gemiti inesprimibili, deve sfociare in un atto di “fede vitale”». Secondo te la musica, intesa come anelito alla Bellezza Assoluta, è come imprigionata dentro di noi e sta a noi liberarla per compiere un cammino di fede? Tu sei il felice papà di Benedetta, una adorabile bambina. Bene, quando il bambino è nel grembo della mamma è forse imprigionato? San Paolo paragona la creazione alle doglie del parto. Credo che la nostra esistenza si svolga come in un grembo, il grembo di Dio. Ogni nostro canto esprime lo scalciare del bimbo nel grembo, la sua voglia di venire alla luce. Ogni nostro canto esprime il vagito, il grido del neonato che viene alla luce. Diciamo il nostro disagio, ma anche la nostra volontà di vivere e di essere alimentati alla vita. Ed è per questo che il nostro canto si placa nel silenzio, quando siamo abbracciati al petto della mamma. La musica non è solo anelito, è anche all’origine della Bellezza. Nel racconto della creazione Dio “disse” e il mondo prese vita. E Dio vide che era cosa “bella” (questo il significato letterale). Con il suono della sua voce Dio dà vita alla Bellezza. La nostra musica è sì anelito alla Bellezza vera, ma nello stesso tempo facendo musica noi continuiamo l’opera creatrice di Dio. Aneliamo alla Bellezza generando bellezza. Perché il creato porta in sé l’impronta del suo Creatore. E l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Per questo siamo invitati ad ascoltare il suono che è in noi. Liberarla, la musica, – come tu dici – significa accettare di vivere il dinamismo della creazione. Allora, se è vero che il grembo non è un carcere, è anche vero che grazie alla musica ciò che appare come un carcere può rivelarsi un grembo. Spesso nella tua musica si celano dei significati simbolici che, a quelli che come me amano particolarmente la teologia, si rivelano con gradualità durante lo studio dei tuoi brani; è una sorta di cammino escatologico che prepari volutamente per gli esecutori o il rapporto con il symbolum è una tua fondamentale dimensione spirituale? Sì, il simbolo è una dimensione molto importante per me. Nei miei primi lavori la dimensione simbolica era per lo più limitata al rapporto testo-musica sulla scia della tradizione gregoriana e motettistica. Con il tempo tale dimensione si è fatta molto più presente investendo la composizione fin dalla sua ideazione e divenendone l’elemento caratterizzante, dalla architettura generale al più piccolo tema. Anche se alcuni di questi ultimi lavori possono risultare più semplici e immediati, in realtà sono il frutto di una attenta meditazione. Chi entra nel mio studio nella fase di ideazione si diverte a vedere appesi sui muri fogli di carta da pacco sui quali appunto tutti i miei schemi… è innanzitutto una mia esigenza spirituale. Nella Bibbia è Dio stesso a donare le misure per la costruzione della città santa e del tempio. Così è per la architettura e così è per la musica. La musica abita il suono che Dio stesso ha donato creandoci a sua immagine e somiglianza. Un uccellino mi ha detto che hai iniziato a suonare l’arpa, non sarà forse che nell’iconografica comune è lo strumento privilegiato dagli angeli e quindi non vuoi farti trovare impreparato? Mannaggia. Mi verrebbe da risponderti che… anche gli angeli mangiano fagioli. Ma questo è un altro film (ma gli uccellini non potrebbero limitarsi a volare e cinguettare?). Per l’arpa ho avuto sempre un certo affetto, ed essa è presente, ad esempio, nelle mie due cantate natalizie: Natalis annuntio, scritta per Mauro Zuccante, e L’Annunciazione per Pierluigi Comparin. Il discorso si ricollega alla domanda precedente. Mi sono trovato l’arpa in mano in un corso di formazione liturgica organizzato dalle Figlie della Chiesa di Roma, perché la Ogni nostro canto esprime il vagito, il grido del neonato che viene alla luce. ragazza che avrebbe dovuto suonarla è stata costretta a dare forfait. Da allora l’ho tenuta in mano sempre più spesso fino ad appassionarmi. Ora studio con Alessandra Casarin (che fu mia allieva di coro) e nel mio piccolo cerco di… suonare. Nella lingua ebraica gli strumentisti sono proprio detti “coloro che tengono in mano”. Devo dire che per me, che non ho in curriculum un corso di studi in uno strumento, è molto importante… tenere in mano uno strumento. Ed è sempre musica d’assieme, con gli amici ed ex allievi del Gruppo Ashirà con il quale animiamo liturgie e proponiamo percorsi di Lettura cantata della Parola di Dio, come ad esempio il Cantico dei Cantici. Questo mi riporta alla prima domanda che mi hai fatto. è importante per me far musica pratica, tenere in mano uno strumento, anche se a livello amatoriale. Amatore e dilettante. Essere amatori e dilettanti ci ricorda che la musica è amore. In questo senso i professionisti non dovrebbero mai smettere di essere amatori e dilettanti. Sì, adesso ho due arpe celtiche, che si aggiungono alle mie due zampogne e alle mie armoniche a bocca. Ma, ripeto: in Paradiso porterò l’armonica a bocca. 19 oltre il minimalismo? Uno sguardo analitico su alcune composizioni di Gianmartino Durighello di Alessandro Kirschner compositore e direttore di coro Ricordo bene la prima volta che ho ascoltato una composizione di Gianmartino Durighello: mi trovavo a Vittorio Veneto e avevo appena partecipato al concorso corale in veste di corista del coro del conservatorio Venezze di cui ero studente. Si trattava del Gaudens gaudebo, eseguito magistralmente dal coro Anthem di Monza. Conservo ancora la sensazione di stupore e di coinvolgimento che avevo vissuto: un vortice di crescente entusiasmo e la scoperta che era possibile fare una musica “nuova” a partire da elementi molto semplici. La conoscenza diretta di Gianmartino, avvenuta qualche anno dopo, mi ha permesso di intuire quanto ogni sua composizione si potesse considerare come una sorta di icona rivelatrice di un mondo di suoni che trasudano fede e umanità, andando ben oltre alcuni principi formali comunemente presenti in compositori a lui contemporanei. Volendo focalizzare l’attenzione su alcune sue composizioni corali, la scelta è caduta su tre lavori che possono essere considerati rappresentativi della sua produzione sacra: un frammento da una messa (il Kyrie della Messa in onore della Madonna di Loreto), un mottetto (Veni, electa mea dal Trittico Ungarico) e una sezione da una delle Cantate (Eschaton, ultima parte della Cantata Sacrificium Laudis). Nel sito personale del compositore1 è possibile reperire gli ascolti dei brani in oggetto e la partitura completa della Cantata. La Messa in onore della Madonna di Loreto è invece edita dalle Edizioni Ente Rassegne Musicali “N. S. di Loreto” mentre il Trittico ungarico è edito dalle Edizioni ASAC Veneto nell’antologia Compositori Veneti 2 e dalle Edizioni Suvini Zerboni. La Messa in onore della Madonna di Loreto, scritta nel 1992, è la composizione con cui Durighello si è fatto conoscere sulla scena internazionale: premiata nel Concorso Internazionale dell’Ente Rassegne Musicali “N. S. di Loreto” ha avuto il merito di essere eseguita da compagini corali di alto livello che ne hanno potuto mettere in risalto la bellezza e gli aspetti innovativi in essa contenuti. Tutte le parti dell’ordinarium sono state messe in musica; sarà sufficiente concentrarsi sulla sola analisi del Kyrie (tra l’altro ripreso quasi integralmente nell’Agnus Dei finale) per rendersi conto dell’originalissimo modo di utilizzare il coro – come naturale estensione di una linea melodica – che caratterizza l’intera composizione. Una melodia dal chiaro sapore gregoriano si sviluppa infatti passando dalla voce più grave a quella più acuta in un ambitus di dodicesima, creando inoltre effetti di riverberazione naturale mediante l’utilizzo di note tenute man mano che lo sviluppo procede verso il registro acuto. La linea melodica stessa è fortemente tematica in quanto sono riconoscibili delle strutture intervallari che si ripetono (cfr. elementi a, b, c dell’esempio 1) e moduli scalari semplificati (utilizzo della scala pentatonica per la prima parte della frase, aggiungendo il semitono centrale solo dopo aver raggiunto il vertice melodico). È possibile inoltre notare il chiasma dato dal procedere orizzontale dell’elemento a e la verticalità dell’elemento b. Nell’affidare questa linea melodica al coro, si producono effetti assai suggestivi: dopo l’attacco dei bassi le altre sezioni vanno a sovrapporsi garantendo il procedere melodico e aumentando via via la dinamica complessiva fino ad arrivare al forte in corrispondenza della nota più acuta. La semifrase di risposta, affidata in diminuendo alle sole voci femminili, riconduce ai suoni di partenza creando l’illusione di un modo dorico circoscritto dai suoni la (tenor) e re (finalis). compositorE 20 Dal punto di vista esecutivo la difficoltà maggiore consiste proprio nell’uniformità vocale che tutte le sezioni dovranno avere per rendere l’idea di questo flusso melodico che scorre tra una voce e l’altra. Il compositore stesso precisa che ogni attacco di sezione dovrà essere su un “crescendo dal niente” proprio per assicurare la massima continuità dal punto di vista dinamico e timbrico nel procedere melodico. Altro aspetto da curare particolarmente sarà quello dell’intonazione: saranno proprio le note pedale di tutte le sezioni (a distanza di quinta nel tenore e ottava nel contralto) a rinforzare gli armonici che determinano l’effetto di riverberazione che caratterizza l’intera composizione. Il brano prosegue ripetendo l’incipit del Kyrie ma dopo l’entrata del contralto, con un effetto di pedale superiore all’ottava, il soprano espone il tema del Christe. Il materiale melodico è del tutto diverso (una lunga nota tenuta che cede alla seconda inferiore per poi muoversi in un gioco di terze minori e maggiori collegate da un semitono discendente) e questo contrasto dà spunto a un trattamento opposto rispetto all’episodio precedente. Non più una “melodia estesa” ma un processo imitativo in forma di stretto di fuga. L’intento sembra tuttavia essere non tanto quello contrappuntistico, quanto un suggestivo effetto di eco, viste le partenze così ravvicinate. Le durate irregolari degli interventi creano anche interessanti sovrapposizioni tematiche, quasi a ricordare, per pochi istanti, le tecniche di defasaggio di Steve Reich, padre del minimalismo. Lo spostamento modale verso un modo dorico di mi avviene in maniera del tutto spontanea, viceversa l’inserimento del fa bequadro per continuare il “gioco delle terze” nella coda del Christe crea un destabilizzante effetto di falsa relazione proprio al vertice dinamico del pezzo. L’episodio termina con gli stessi suoni pedale (a distanza di quinta e ottava) con cui era terminato il Kyrie. Il Kyrie finale ripropone la situazione iniziale se non per un aggravamento dei primi due suoni in maniera tale da distanziare maggiormente il naturale succedere delle entrate e di conseguenza del procedere melodico complessivo. L’entrata del soprano suggella il pezzo ripercorrendo melodicamente la coda del Christe con piccole differenze fino a stabilizzarsi sulla nota re che finalmente risuona come finalis del modo dorico. Inaspettatamente, sull’ultimo accordo, l’apertura di seconda delle voci estreme provoca una situazione di tre quinte sovrapposte: un’evocazione di suono neutro ma armonicamente risonante come quello delle corde a vuoto del violino. Il mottetto Veni, electa mea. Erzsébet è stato scritto nel 1995, pochi anni dopo la Messa di Loreto, su commissione dell’Università Cattolica di Piliscaba (Ungheria). Assieme ai mottetti Matyas, Beatus vir e Istvan, Lex dei ejus va a formare il Trittico ungarico, una silloge di brani che si presenta come parafrasi dei relativi temi gregoriani. Probabilmente è grazie a queste composizioni che iniziò a farsi strada l’idea di una musica “minimalista”: il materiale tematico viene più volte ripetuto pur inserendo sempre delle varianti melodiche o armoniche.2 In realtà parlare di minimalismo in composizioni del genere potrebbe risultare alquanto riduttivo; naturalmente sono riscontrabili alcuni atteggiamenti riconducibili a questa corrente ma è più evidente un’eredità storica con ben altre radici. In particolare Veni electa mea è costruito su una linea melodica di 16 battute ripetuta 4 volte, in cui a ogni ripetizione viene sovrapposta una nuova voce. Dopo una prima lettura il riferimento si sposta velocemente di sette, otto secoli indietro rispetto a Philipp Glass, fino ad arrivare alle prime forme polifoniche dell’Ars antiqua. Molti sono gli elementi che propendono per questa interpretazione: la ricerca di consonanze di quinta e quarta nelle cadenze, i movimenti per terze, un procedere punctum contra punctum tra le due voci acute, la libertà contrappuntistica delle voci gravi rispetto alle acute… Tutto questo fa avvicinare la composizione a un Discantus isoritmico per le voci femminili e a un Organum melismatico se si considerano anche le voci maschili. Andando a leggere con attenzione la partitura si noterà tuttavia come le sei sezioni di cui si compone il mottetto non sono così rigide come la tabella potrebbe far immaginare: le varie entrate sono preparate da alcuni movimenti melodici che poi diventano tematici (ad esempio il tenore entra alla b. 31 e il basso a b. 48). Una struttura siffatta rende l’ascolto del brano estremamente gratificante: dapprima viene esposto il tema, poi su questo viene sentito un nuovo tema (il discanto) e il precedente prende funzione di basso armonico. L’entrata del tenore trasforma le armonie appena ascoltate e l’interesse aumenta ulteriormente con i cambiamenti armonici evocati dal basso. La memoria dell’ascoltatore è continuamente stimolata con l’aggiunta successiva di nuove linee melodiche, e l’ascolto è appagante per ritorno di elementi già noti. Dopo l’esposizione di tutte le voci, due battute recanti i primi due versetti del Salmo 109 (Dixit Dominus), separano la ripetizione dell’ultimo episodio contrappuntistico. La salmodia utilizza il primo tono come struttura melodica e all’intonazione dei soli tenori rispondono i soprani sostenuti dalle armonie delle altre voci. Complessivamente la struttura ripetitiva del pezzo potrebbe tradire la vocazione escatologica della linea melodica gregoriana che per sua costituzione evita qualsiasi forma di ripetizione. Tuttavia è proprio questa apparente contraddizione che rende così affascinante il pezzo per chi lo esegue e per chi lo ascolta: si ha l’impressione di essere immersi in una “contemporaneità arcaica” in cui le connotazioni stilistiche-temporali si (con)fondono. Vorrei dedicare a questo mottetto un’ultima riflessione analizzando la trasformazione ritmica che l’autore opera per ricavare il tema dall’originale gregoriano. Rispettando quasi alla lettera il contorno melodico (vengono aggiunte un paio di note di passaggio), la trascrizione avviene su un ritmo ternario andando a suggerire uno spiccato carattere di danza, come l’indicazione cantabile in uno sembra proprio suggerire. Tuttavia all’interno di questa suddivisine ternaria è possibile scorgere una ternarietà anche tra le battute, riconducendo quindi l’intera linea melodica a una situazione di tempo perfetto con prolazione maggiore (con un elemento di varietà al termine della frase). Un’ulteriore trascrizione che tenga conto di questa interpretazione ritmica potrebbe essere quella riportata nel prossimo esempio. Questa lettura potrà risultare 21 particolarmente utile per il direttore, dal momento che il tempo ternario in uno è una situazione spesso difficile da gestire. Tra la produzione di cantate sacre di Durighello spicca per originalità e per spessore teologico la cantata Sacrificium Laudis per coro e quartetto d’archi. Scritta nel 2002 per l’Ensemble Couleur Vocale e il suo direttore Roland Demiéville,3 è costituita da cinque quadri chiusi attraverso i quali chi ascolta (e chi esegue) vive una vera e propria catarsi: dal grido primordiale invocato all’inizio della cantata (il titolo del primo quadro è Foné) si giunge a quello rivelatore e riconoscente del quadro conclusivo (…abbiamo ricevuto uno spirito da figli per mezzo del quale gridiamo “Abbà Padre!”). L’ultimo episodio reca il suggestivo titolo Eschaton (superlativo di eschatos quindi “ciò che sta al termine”) che ben esprime l’imperturbabilità e contemporaneamente la necessità a procedere che caratterizza l’intero quadro. In due delle tre sezioni in cui il quadro è sostanzialmente diviso, è presente un’interessante indipendenza tra l’andamento del coro (a valori larghi e rigorosamente sul metro indicato dal tempo) e quello degli archi. Questi ultimi creano, alternandosi, un effetto di carillon con un frammento melodico di cinque suoni consecutivi su uguali valori di croma, determinando quindi uno sfasamento progressivo tra il metro della battuta e quello della percezione melodica. Poche battute più avanti si trova un’analoga situazione, arricchita – rispetto alla situazione precedentemente descritta – da un andamento melodico risultante dalla nota più acuta dell’elemento messo in loop. Ne consegue una scansione ritmica di cinque semicrome di cui l’ultima nota determina l’illusione melodica. Ancora una volta è evidente il contrasto ritmico tra il coro, sul metro della battuta, e l’accompagnamento che potrà ritrovare la situazione iniziale solamente dopo 20 moduli ovvero dopo 5 battute. compositorE 20 Dal punto di vista esecutivo la difficoltà maggiore consiste proprio nell’uniformità vocale che tutte le sezioni dovranno avere per rendere l’idea di questo flusso melodico che scorre tra una voce e l’altra. Il compositore stesso precisa che ogni attacco di sezione dovrà essere su un “crescendo dal niente” proprio per assicurare la massima continuità dal punto di vista dinamico e timbrico nel procedere melodico. Altro aspetto da curare particolarmente sarà quello dell’intonazione: saranno proprio le note pedale di tutte le sezioni (a distanza di quinta nel tenore e ottava nel contralto) a rinforzare gli armonici che determinano l’effetto di riverberazione che caratterizza l’intera composizione. Il brano prosegue ripetendo l’incipit del Kyrie ma dopo l’entrata del contralto, con un effetto di pedale superiore all’ottava, il soprano espone il tema del Christe. Il materiale melodico è del tutto diverso (una lunga nota tenuta che cede alla seconda inferiore per poi muoversi in un gioco di terze minori e maggiori collegate da un semitono discendente) e questo contrasto dà spunto a un trattamento opposto rispetto all’episodio precedente. Non più una “melodia estesa” ma un processo imitativo in forma di stretto di fuga. L’intento sembra tuttavia essere non tanto quello contrappuntistico, quanto un suggestivo effetto di eco, viste le partenze così ravvicinate. Le durate irregolari degli interventi creano anche interessanti sovrapposizioni tematiche, quasi a ricordare, per pochi istanti, le tecniche di defasaggio di Steve Reich, padre del minimalismo. Lo spostamento modale verso un modo dorico di mi avviene in maniera del tutto spontanea, viceversa l’inserimento del fa bequadro per continuare il “gioco delle terze” nella coda del Christe crea un destabilizzante effetto di falsa relazione proprio al vertice dinamico del pezzo. L’episodio termina con gli stessi suoni pedale (a distanza di quinta e ottava) con cui era terminato il Kyrie. Il Kyrie finale ripropone la situazione iniziale se non per un aggravamento dei primi due suoni in maniera tale da distanziare maggiormente il naturale succedere delle entrate e di conseguenza del procedere melodico complessivo. L’entrata del soprano suggella il pezzo ripercorrendo melodicamente la coda del Christe con piccole differenze fino a stabilizzarsi sulla nota re che finalmente risuona come finalis del modo dorico. Inaspettatamente, sull’ultimo accordo, l’apertura di seconda delle voci estreme provoca una situazione di tre quinte sovrapposte: un’evocazione di suono neutro ma armonicamente risonante come quello delle corde a vuoto del violino. Il mottetto Veni, electa mea. Erzsébet è stato scritto nel 1995, pochi anni dopo la Messa di Loreto, su commissione dell’Università Cattolica di Piliscaba (Ungheria). Assieme ai mottetti Matyas, Beatus vir e Istvan, Lex dei ejus va a formare il Trittico ungarico, una silloge di brani che si presenta come parafrasi dei relativi temi gregoriani. Probabilmente è grazie a queste composizioni che iniziò a farsi strada l’idea di una musica “minimalista”: il materiale tematico viene più volte ripetuto pur inserendo sempre delle varianti melodiche o armoniche.2 In realtà parlare di minimalismo in composizioni del genere potrebbe risultare alquanto riduttivo; naturalmente sono riscontrabili alcuni atteggiamenti riconducibili a questa corrente ma è più evidente un’eredità storica con ben altre radici. In particolare Veni electa mea è costruito su una linea melodica di 16 battute ripetuta 4 volte, in cui a ogni ripetizione viene sovrapposta una nuova voce. Dopo una prima lettura il riferimento si sposta velocemente di sette, otto secoli indietro rispetto a Philipp Glass, fino ad arrivare alle prime forme polifoniche dell’Ars antiqua. Molti sono gli elementi che propendono per questa interpretazione: la ricerca di consonanze di quinta e quarta nelle cadenze, i movimenti per terze, un procedere punctum contra punctum tra le due voci acute, la libertà contrappuntistica delle voci gravi rispetto alle acute… Tutto questo fa avvicinare la composizione a un Discantus isoritmico per le voci femminili e a un Organum melismatico se si considerano anche le voci maschili. Andando a leggere con attenzione la partitura si noterà tuttavia come le sei sezioni di cui si compone il mottetto non sono così rigide come la tabella potrebbe far immaginare: le varie entrate sono preparate da alcuni movimenti melodici che poi diventano tematici (ad esempio il tenore entra alla b. 31 e il basso a b. 48). Una struttura siffatta rende l’ascolto del brano estremamente gratificante: dapprima viene esposto il tema, poi su questo viene sentito un nuovo tema (il discanto) e il precedente prende funzione di basso armonico. L’entrata del tenore trasforma le armonie appena ascoltate e l’interesse aumenta ulteriormente con i cambiamenti armonici evocati dal basso. La memoria dell’ascoltatore è continuamente stimolata con l’aggiunta successiva di nuove linee melodiche, e l’ascolto è appagante per ritorno di elementi già noti. Dopo l’esposizione di tutte le voci, due battute recanti i primi due versetti del Salmo 109 (Dixit Dominus), separano la ripetizione dell’ultimo episodio contrappuntistico. La salmodia utilizza il primo tono come struttura melodica e all’intonazione dei soli tenori rispondono i soprani sostenuti dalle armonie delle altre voci. Complessivamente la struttura ripetitiva del pezzo potrebbe tradire la vocazione escatologica della linea melodica gregoriana che per sua costituzione evita qualsiasi forma di ripetizione. Tuttavia è proprio questa apparente contraddizione che rende così affascinante il pezzo per chi lo esegue e per chi lo ascolta: si ha l’impressione di essere immersi in una “contemporaneità arcaica” in cui le connotazioni stilistiche-temporali si (con)fondono. Vorrei dedicare a questo mottetto un’ultima riflessione analizzando la trasformazione ritmica che l’autore opera per ricavare il tema dall’originale gregoriano. Rispettando quasi alla lettera il contorno melodico (vengono aggiunte un paio di note di passaggio), la trascrizione avviene su un ritmo ternario andando a suggerire uno spiccato carattere di danza, come l’indicazione cantabile in uno sembra proprio suggerire. Tuttavia all’interno di questa suddivisine ternaria è possibile scorgere una ternarietà anche tra le battute, riconducendo quindi l’intera linea melodica a una situazione di tempo perfetto con prolazione maggiore (con un elemento di varietà al termine della frase). Un’ulteriore trascrizione che tenga conto di questa interpretazione ritmica potrebbe essere quella riportata nel prossimo esempio. Questa lettura potrà risultare 21 particolarmente utile per il direttore, dal momento che il tempo ternario in uno è una situazione spesso difficile da gestire. Tra la produzione di cantate sacre di Durighello spicca per originalità e per spessore teologico la cantata Sacrificium Laudis per coro e quartetto d’archi. Scritta nel 2002 per l’Ensemble Couleur Vocale e il suo direttore Roland Demiéville,3 è costituita da cinque quadri chiusi attraverso i quali chi ascolta (e chi esegue) vive una vera e propria catarsi: dal grido primordiale invocato all’inizio della cantata (il titolo del primo quadro è Foné) si giunge a quello rivelatore e riconoscente del quadro conclusivo (…abbiamo ricevuto uno spirito da figli per mezzo del quale gridiamo “Abbà Padre!”). L’ultimo episodio reca il suggestivo titolo Eschaton (superlativo di eschatos quindi “ciò che sta al termine”) che ben esprime l’imperturbabilità e contemporaneamente la necessità a procedere che caratterizza l’intero quadro. In due delle tre sezioni in cui il quadro è sostanzialmente diviso, è presente un’interessante indipendenza tra l’andamento del coro (a valori larghi e rigorosamente sul metro indicato dal tempo) e quello degli archi. Questi ultimi creano, alternandosi, un effetto di carillon con un frammento melodico di cinque suoni consecutivi su uguali valori di croma, determinando quindi uno sfasamento progressivo tra il metro della battuta e quello della percezione melodica. Poche battute più avanti si trova un’analoga situazione, arricchita – rispetto alla situazione precedentemente descritta – da un andamento melodico risultante dalla nota più acuta dell’elemento messo in loop. Ne consegue una scansione ritmica di cinque semicrome di cui l’ultima nota determina l’illusione melodica. Ancora una volta è evidente il contrasto ritmico tra il coro, sul metro della battuta, e l’accompagnamento che potrà ritrovare la situazione iniziale solamente dopo 20 moduli ovvero dopo 5 battute. Feniarco in collaborazione con Arcom e con European Choral Association - Europa Cantat presenta 22 È interessante notare come questi due frammenti possano essere considerati anche complementari l’uno all’altro dal punto di vista armonico: il primo comincia utilizzando una scala pentatonica (la b, si b, re b, mi b agli archi con aggiunta del fa nelle parti vocali) che si rivela al termine dell’episodio come un modo eolio di fa, mentre il secondo utilizza solo i suoni fa, do, re aggiungendo la terza maggiore, il la, solo nella cadenza. Si determina quindi progressivamente un passaggio suggestivo: pensando grossolanamente in termini pianistici, dai tasti neri ai tasti bianchi, da un modo eolio a uno ionio luminoso pur epurato dalla tensione dei semitoni. Per metafora potremo quindi dire dalla penombra alla luce, dal canto sommesso alla gioia manifesta. La Cantata termina proprio con questo atteggiamento; la lode alla Trinità viene espressa con una reiterazione più o meno regolare di sequenze armoniche diatoniche che si sviluppano dal procedere per grado congiunto delle parti estreme inizialmente a partire dal suono la per poi spostarsi nelle ultime battute sul re. Moduli ritmico-melodici passano con libertà dagli archi alle voci e viceversa, arricchendo a ogni ripetizione quanto detto precedentemente. Alla luce di quanto visto finora è assai difficile poter classificare l’opera di Durighello semplicemente come “musica minimalista”. Senz’altro ricorrono alcuni elementi caratteristici di questa corrente come la reiterazione di moduli ritmicomelodici, tecniche di defasaggio, e soprattutto la semplificazione del linguaggio musicale in nome di un ascolto più accessibile, tuttavia c’è anche molto altro. Prima di tutto una consapevolezza storica delle forme musicali e dello sviluppo armonico che evoca quella sensazione di “arcaica contemporaneità” descritta precedentemente, e una personale Parlare di minimalismo in composizioni del genere potrebbe risultare alquanto riduttivo. ricerca spirituale che si traduce di volta in volta in una nuova intuizione musicale. Gli elementi minimalistici diventano perciò la cifra comune dell’alternanza tra “stasi dinamica” e “movimento statico” che caratterizza la ricerca contemplativa del credente-musicista. 8 European Academy th for choral conductors Fano/ Italy - 6/ 13 settembre 2015 BACH & SCANDINAVIA la comprensione della musica contemporanea attraverso lo studio delle opere di Bach Docente Note 1. www.gianmartinodurighello.it 2. Nel corso del convegno “Incontri con l’autore” (Mel, 2010) in cui il maestro Durighello era invitato a descrivere il suo mondo compositivo, egli stesso raccontò di come l’etichetta di minimalista che gli era stata assegnata era probabilmente il risultato dell’entusiasmo con cui aveva scoperto la possibilità del “copia-incolla” negli attuali pc. Naturalmente si tratta di una battuta, tuttavia è innegabile che l’utilizzo di determinati strumenti condizioni e direzioni la creatività. 3. http://www.couleurvocale.ch Ragnar Rasmussen (Norvegia) L’Accademia europea è una masterclass professionale aperta ai direttori, che si tiene a Fano, città marchigiana situata sulla costa adriatica del centro Italia. I partecipanti avranno la possibilità di fare pratica di direzione con un coro laboratorio di alto livello, che sarà a loro disposizione per tutta la durata del corso. L’Accademia si conclude con un concerto diretto dai partecipanti stessi. www.feniarco.it in collaborazione con Comune di Fano Coro Polifonico Malatestiano Incontro Internazionale Polifonico Città di Fano informazioni Feniarco - Via Altan, 83/4 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected] Feniarco in collaborazione con Arcom e con European Choral Association - Europa Cantat presenta 22 È interessante notare come questi due frammenti possano essere considerati anche complementari l’uno all’altro dal punto di vista armonico: il primo comincia utilizzando una scala pentatonica (la b, si b, re b, mi b agli archi con aggiunta del fa nelle parti vocali) che si rivela al termine dell’episodio come un modo eolio di fa, mentre il secondo utilizza solo i suoni fa, do, re aggiungendo la terza maggiore, il la, solo nella cadenza. Si determina quindi progressivamente un passaggio suggestivo: pensando grossolanamente in termini pianistici, dai tasti neri ai tasti bianchi, da un modo eolio a uno ionio luminoso pur epurato dalla tensione dei semitoni. Per metafora potremo quindi dire dalla penombra alla luce, dal canto sommesso alla gioia manifesta. La Cantata termina proprio con questo atteggiamento; la lode alla Trinità viene espressa con una reiterazione più o meno regolare di sequenze armoniche diatoniche che si sviluppano dal procedere per grado congiunto delle parti estreme inizialmente a partire dal suono la per poi spostarsi nelle ultime battute sul re. Moduli ritmico-melodici passano con libertà dagli archi alle voci e viceversa, arricchendo a ogni ripetizione quanto detto precedentemente. Alla luce di quanto visto finora è assai difficile poter classificare l’opera di Durighello semplicemente come “musica minimalista”. Senz’altro ricorrono alcuni elementi caratteristici di questa corrente come la reiterazione di moduli ritmicomelodici, tecniche di defasaggio, e soprattutto la semplificazione del linguaggio musicale in nome di un ascolto più accessibile, tuttavia c’è anche molto altro. Prima di tutto una consapevolezza storica delle forme musicali e dello sviluppo armonico che evoca quella sensazione di “arcaica contemporaneità” descritta precedentemente, e una personale Parlare di minimalismo in composizioni del genere potrebbe risultare alquanto riduttivo. ricerca spirituale che si traduce di volta in volta in una nuova intuizione musicale. Gli elementi minimalistici diventano perciò la cifra comune dell’alternanza tra “stasi dinamica” e “movimento statico” che caratterizza la ricerca contemplativa del credente-musicista. 8 European Academy th for choral conductors Fano/ Italy - 6/ 13 settembre 2015 BACH & SCANDINAVIA la comprensione della musica contemporanea attraverso lo studio delle opere di Bach Docente Note 1. www.gianmartinodurighello.it 2. Nel corso del convegno “Incontri con l’autore” (Mel, 2010) in cui il maestro Durighello era invitato a descrivere il suo mondo compositivo, egli stesso raccontò di come l’etichetta di minimalista che gli era stata assegnata era probabilmente il risultato dell’entusiasmo con cui aveva scoperto la possibilità del “copia-incolla” negli attuali pc. Naturalmente si tratta di una battuta, tuttavia è innegabile che l’utilizzo di determinati strumenti condizioni e direzioni la creatività. 3. http://www.couleurvocale.ch Ragnar Rasmussen (Norvegia) L’Accademia europea è una masterclass professionale aperta ai direttori, che si tiene a Fano, città marchigiana situata sulla costa adriatica del centro Italia. I partecipanti avranno la possibilità di fare pratica di direzione con un coro laboratorio di alto livello, che sarà a loro disposizione per tutta la durata del corso. L’Accademia si conclude con un concerto diretto dai partecipanti stessi. www.feniarco.it in collaborazione con Comune di Fano Coro Polifonico Malatestiano Incontro Internazionale Polifonico Città di Fano informazioni Feniarco - Via Altan, 83/4 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected] 24 aaron copland in the beginning per coro misto a cappella e mezzosoprano solo nova et vetera lo stesso autore. Soltanto nel 1979, egli inserì nel catalogo ufficiale delle sue opere queste quattro brevi composizioni, ma con una certa riluttanza. Disse, infatti, Copland: «Considero questi come i lavori di uno studente, influenzato da Moussorgsky, che ho molto ammirato. Ho accettato di pubblicarli per il valore che hanno di soddisfare una certa curiosità – forse alla gente interessa conoscere quello che facevo da studente – ma lo stile non è ancora il mio». Eppure nei Four Motets – stiamo con la Boulanger: lavori deliziosi! – leggiamo alcuni fondamentali punti di contatto con In the Beginning: la scelta di testi biblici, l’organico del coro a cappella, l’eloquente dedica di In the Beginning a Nadia Boulanger. In merito a quest’ultimo punto, riportiamo quanto ebbe a scrivere nel 1950 Copland alla stessa Boulanger: «Reputo il nostro incontro come il più importante della mia vita musicale […] Tutto ciò che ho fatto in seguito è intimamente associato nella mia mente con quei primi anni e con ciò che da allora voi avete rappresentato, in termini d’ispirazione ed esempio». Veniamo ora all’aprile del 1946, all’anno in cui il compositore americano ricevette una commissione dal dipartimento di musica di Harvard, il celebre istituto universitario di Cambridge (Massachusetts), dal quale aveva già ottenuto, nel 1935 e nel 1944, due brevi incarichi d’insegnamento. La commissione s’inseriva nel quadro delle manifestazioni concertistiche organizzate a lato di un convegno di studi di critica musicale, organizzato dal musicologo Arthur Tillman Merritt, docente ad Harvard, esperto di musica rinascimentale e, all’epoca, presidente del dipartimento di musica della stessa università. In particolare, Tillman Merritt chiese a Copland di comporre un pezzo per coro a cappella, su testo in ebraico, di genere sacro o profano, per un concerto corale da tenersi presso la Harvard Memorial Church. Oltre ad Aaron Copland, l’università estese l’invito a Paul Hindemith (un pezzo per coro e ottoni) e a Ralph Vaughan Williams (un pezzo per coro e organo). Copland, sulle prime, cercò di ottenere una commissione diversa da quella di un’opera per coro a cappella. Preferiva stare su un brano di musica da camera. Ma l’organizzazione insistette, in quanto intendeva sostenere la speciale missione della Collegiate Chorale di New York, il coro già incaricato dell’esecuzione del concerto. Si trattava di un complesso vocale di prim’ordine, che si proponeva, tra l’altro, come «strumento e banco di prova per nuove opere corali americane e per stimolare la letteratura corale americana». Fondatore e direttore della Collegiate Chorale era, l’allora trentenne, Robert Shaw (1916-1999). Copland, infine, accettò. «Ho avuto un bel coraggio nell’accettare la commissione per un lavoro corale da presentare al Simposio sulla Critica musicale del maggio 1947, non avendo mai composto un brano per coro di così ampie dimensioni». Messosi al lavoro, Copland rigettò subito l’idea di comporre su 25 un testo in ebraico. Nonostante le sue origini, non aveva familiarità con questa lingua. Pertanto, preferì orientare la sua scelta sulla Genesi I-II:7, nella tradizionale versione inglese di King James. Al termine della composizione di In the Beginning, Copland scrisse a Carlos Chavez, il compositore messicano con il quale aveva stretto, in quegli anni, un solido legame d’amicizia: «Il mio pezzo è concluso – grazie al cielo! … Ero riluttante nell’utilizzazione di un testo biblico, ma non ho potuto trovare niente di più adatto!». Sul piano religioso – ricordiamolo – Copland era fondamentalmente un agnostico. Fatto sta, che Copland si è messo alla prova con la descrizione biblica della creazione universale. Un testo alquanto esteso, che presenta ampia varietà d’immagini, e aaron copland di Mauro Zuccante Aaron Copland (1900-1990). Parliamo del decano dei compositori americani. Parliamo di un musicista che, con le sue opere e le sue attività, ha lasciato un’impronta indelebile nel solco della vita musicale americana del secolo appena passato. Pur essendo ridotta all’osso, la produzione di musica corale di Copland si qualifica per un paio di lavori particolarmente significativi. I Four Motets, del 1921, e, soprattutto, In the Beginning, del 1947. Cito volutamente questi due titoli, in quanto nel primo possiamo cogliere le premesse del secondo, il brano che rappresenta l’oggetto di questo articolo. Copland compose i Four Motets (1. Help Us, O Lord, 2. Sing Ye Praises To Our King, 3. Have Mercy On us, O My Lord, 4. Though, O Jehovah, Abideth Forever), per coro misto a cappella, nel periodo di apprendistato trascorso a Parigi, durante il quale ebbe modo di approfondire lo studio della tradizione musicale europea, ma – mentore Nadia Boulanger – godere anche d’illuminanti aperture verso le più moderne tendenze antiromantiche, che, all’epoca, caratterizzavano gli ambienti musicali e artistici della capitale francese. I Four Motets possono essere considerati l’esito di un compito che la Boulanger era solita sottoporre ai suoi allievi. La celebre insegnante riteneva, infatti, che la composizione di un mottetto costituisse per lo studente un ottimo esercizio. Una prova di equilibrio, da portare a termine con pulizia di stile e attenzione al testo, una prova circoscritta nell’ambito delle restrizioni timbriche e di tessitura, che la scrittura corale a cappella impone. Nadia Boulanger apprezzò il lavoro del suo allievo americano, tanto da curarne personalmente l’esecuzione in ripetute occasioni. Non altrettanto soddisfatto, invece, si manifestò In the Beginning costituisce un punto di riferimento fondamentale della musica corale americana moderna. notevole complessità sul piano teologico. Risultato fu una composizione in un unico movimento, per mezzosoprano solo e coro di voci miste (4-8 voci), di circa 15-18 minuti. Una durata molto significativa nell’ambito della produzione corale a cappella. Un lavoro di notevole impegno sul piano della prestazione tecnico-vocale. Difficile da sostenere. Eppure, un titolo che, oggi, i cori americani all’altezza, immancabilmente vantano tra quelli del loro repertorio. In the Beginning è sostanzialmente suddiviso in sette sezioni. Segue, pari pari, la scansione temporale dei giorni impiegati da Dio per compiere la creazione. Il pezzo ha termine con il settimo versetto del II libro della Genesi, in cui si dice: «E il 24 aaron copland in the beginning per coro misto a cappella e mezzosoprano solo nova et vetera lo stesso autore. Soltanto nel 1979, egli inserì nel catalogo ufficiale delle sue opere queste quattro brevi composizioni, ma con una certa riluttanza. Disse, infatti, Copland: «Considero questi come i lavori di uno studente, influenzato da Moussorgsky, che ho molto ammirato. Ho accettato di pubblicarli per il valore che hanno di soddisfare una certa curiosità – forse alla gente interessa conoscere quello che facevo da studente – ma lo stile non è ancora il mio». Eppure nei Four Motets – stiamo con la Boulanger: lavori deliziosi! – leggiamo alcuni fondamentali punti di contatto con In the Beginning: la scelta di testi biblici, l’organico del coro a cappella, l’eloquente dedica di In the Beginning a Nadia Boulanger. In merito a quest’ultimo punto, riportiamo quanto ebbe a scrivere nel 1950 Copland alla stessa Boulanger: «Reputo il nostro incontro come il più importante della mia vita musicale […] Tutto ciò che ho fatto in seguito è intimamente associato nella mia mente con quei primi anni e con ciò che da allora voi avete rappresentato, in termini d’ispirazione ed esempio». Veniamo ora all’aprile del 1946, all’anno in cui il compositore americano ricevette una commissione dal dipartimento di musica di Harvard, il celebre istituto universitario di Cambridge (Massachusetts), dal quale aveva già ottenuto, nel 1935 e nel 1944, due brevi incarichi d’insegnamento. La commissione s’inseriva nel quadro delle manifestazioni concertistiche organizzate a lato di un convegno di studi di critica musicale, organizzato dal musicologo Arthur Tillman Merritt, docente ad Harvard, esperto di musica rinascimentale e, all’epoca, presidente del dipartimento di musica della stessa università. In particolare, Tillman Merritt chiese a Copland di comporre un pezzo per coro a cappella, su testo in ebraico, di genere sacro o profano, per un concerto corale da tenersi presso la Harvard Memorial Church. Oltre ad Aaron Copland, l’università estese l’invito a Paul Hindemith (un pezzo per coro e ottoni) e a Ralph Vaughan Williams (un pezzo per coro e organo). Copland, sulle prime, cercò di ottenere una commissione diversa da quella di un’opera per coro a cappella. Preferiva stare su un brano di musica da camera. Ma l’organizzazione insistette, in quanto intendeva sostenere la speciale missione della Collegiate Chorale di New York, il coro già incaricato dell’esecuzione del concerto. Si trattava di un complesso vocale di prim’ordine, che si proponeva, tra l’altro, come «strumento e banco di prova per nuove opere corali americane e per stimolare la letteratura corale americana». Fondatore e direttore della Collegiate Chorale era, l’allora trentenne, Robert Shaw (1916-1999). Copland, infine, accettò. «Ho avuto un bel coraggio nell’accettare la commissione per un lavoro corale da presentare al Simposio sulla Critica musicale del maggio 1947, non avendo mai composto un brano per coro di così ampie dimensioni». Messosi al lavoro, Copland rigettò subito l’idea di comporre su 25 un testo in ebraico. Nonostante le sue origini, non aveva familiarità con questa lingua. Pertanto, preferì orientare la sua scelta sulla Genesi I-II:7, nella tradizionale versione inglese di King James. Al termine della composizione di In the Beginning, Copland scrisse a Carlos Chavez, il compositore messicano con il quale aveva stretto, in quegli anni, un solido legame d’amicizia: «Il mio pezzo è concluso – grazie al cielo! … Ero riluttante nell’utilizzazione di un testo biblico, ma non ho potuto trovare niente di più adatto!». Sul piano religioso – ricordiamolo – Copland era fondamentalmente un agnostico. Fatto sta, che Copland si è messo alla prova con la descrizione biblica della creazione universale. Un testo alquanto esteso, che presenta ampia varietà d’immagini, e aaron copland di Mauro Zuccante Aaron Copland (1900-1990). Parliamo del decano dei compositori americani. Parliamo di un musicista che, con le sue opere e le sue attività, ha lasciato un’impronta indelebile nel solco della vita musicale americana del secolo appena passato. Pur essendo ridotta all’osso, la produzione di musica corale di Copland si qualifica per un paio di lavori particolarmente significativi. I Four Motets, del 1921, e, soprattutto, In the Beginning, del 1947. Cito volutamente questi due titoli, in quanto nel primo possiamo cogliere le premesse del secondo, il brano che rappresenta l’oggetto di questo articolo. Copland compose i Four Motets (1. Help Us, O Lord, 2. Sing Ye Praises To Our King, 3. Have Mercy On us, O My Lord, 4. Though, O Jehovah, Abideth Forever), per coro misto a cappella, nel periodo di apprendistato trascorso a Parigi, durante il quale ebbe modo di approfondire lo studio della tradizione musicale europea, ma – mentore Nadia Boulanger – godere anche d’illuminanti aperture verso le più moderne tendenze antiromantiche, che, all’epoca, caratterizzavano gli ambienti musicali e artistici della capitale francese. I Four Motets possono essere considerati l’esito di un compito che la Boulanger era solita sottoporre ai suoi allievi. La celebre insegnante riteneva, infatti, che la composizione di un mottetto costituisse per lo studente un ottimo esercizio. Una prova di equilibrio, da portare a termine con pulizia di stile e attenzione al testo, una prova circoscritta nell’ambito delle restrizioni timbriche e di tessitura, che la scrittura corale a cappella impone. Nadia Boulanger apprezzò il lavoro del suo allievo americano, tanto da curarne personalmente l’esecuzione in ripetute occasioni. Non altrettanto soddisfatto, invece, si manifestò In the Beginning costituisce un punto di riferimento fondamentale della musica corale americana moderna. notevole complessità sul piano teologico. Risultato fu una composizione in un unico movimento, per mezzosoprano solo e coro di voci miste (4-8 voci), di circa 15-18 minuti. Una durata molto significativa nell’ambito della produzione corale a cappella. Un lavoro di notevole impegno sul piano della prestazione tecnico-vocale. Difficile da sostenere. Eppure, un titolo che, oggi, i cori americani all’altezza, immancabilmente vantano tra quelli del loro repertorio. In the Beginning è sostanzialmente suddiviso in sette sezioni. Segue, pari pari, la scansione temporale dei giorni impiegati da Dio per compiere la creazione. Il pezzo ha termine con il settimo versetto del II libro della Genesi, in cui si dice: «E il nova et vetera 26 Terzo giorno. La terra è resa feconda («E Dio disse: “La terra produca germogli…”»). Prima la voce del mezzosoprano e, quindi, quelle del coro dipanano una fluente spirale melodica attorno alle note di una triade, un disegno sempre derivato dal motivo primordiale. Signore Iddio creò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale, e l’uomo divenne un essere vivente». Ciascun giorno inizia con le pronunciazioni del mezzosoprano solista e si chiude con un refrain sillabico e cadenzante del coro, che ripete la formula: «E fu sera e fu mattina, il primo [secondo, terzo, …] giorno». Ogni volta questa formulaimpronta si sposta su un piano tonale più elevato (do bem., re bem., re, mi bem., fa diesis, sol). Un segno degli spostamenti dell’ambito tonale, che si susseguono a più riprese nel pezzo. Spostamenti che, naturalmente, si attuano per giustapposizione e non attraverso graduali passaggi modulanti. Sul prolungamento dell’ultimo accordo di ogni refrain del coro il mezzosoprano riprende la narrazione del giorno successivo. Per la maggior parte del pezzo gli interventi del mezzosoprano si alternano con quelli del coro, il quale reitera e dilata gli spunti melodici della voce solista. Insomma, episodi che si susseguono a riprese, un po’ come nella forma del rondò. Seguiamo, passo passo, l’opera di Aaron Copland. Primo giorno. «In principio Dio creò il cielo e la terra». Il mezzosoprano solista intona un motivo (in stile recitativo – o meglio, com’è indicato in partitura, «In modo gentile, narrativo, come la lettura di una storia familiare e spesso raccontata»), che costituisce lo spunto tematico originario anche degli episodi successivi. Il motivo di apertura (che chiameremo motivo primordiale), così netto e conciso, è emblematico dell’esposizione del materiale melodico tipicamente minimalista di Copland. Quarto giorno. Rapidità di movimento e vivacità d’accenti infiammano la dimensione ritmica, in consonanza con la creazione del sole, della luna e delle stelle («Dio disse: “Ci siano luci nel firmamento del cielo…”»). S’avverte la lezione di Stravinsky e dei ritmi jazzistici. S’accendono, nelle sezioni del coro, bagliori che illuminano lo sfondo. Ha detto lo stesso Copland: «Questo lavoro non incorpora materiali folk o jazz, ma ho usato i ritmi jazz in varie sezioni». Sesto giorno. Dio crea l’uomo a sua somiglianza («E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine…”»). Momento topico, sottolineato dalle voci che si raccolgono in un vigoroso unisono. Fulcro della narrazione, che il compositore intende sottolineare con grande enfasi. Una portentosa e spettacolare scala (in open chords) attraversa l’intera tessitura, dall’estremo acuto a quello grave. Il dominio dell’uomo sulle altre creature è ben raffigurato («…[l’uomo] domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra»). Secondo giorno. La separazione della terra dalle acque («Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento…») è descritta da un movimento di terzine delle voci del coro, divise in un gioco di entrate in stretta imitazione. Si spezza il coro in uno stringato botta e risposta polimetrico, a due a due. È sempre il parametro ritmico a risaltare («E così avvenne»). La fitta trama si conclude con un possente unisono sulle parole «And it was so», altro motto melodico-testuale, dagli ampi intervalli, che ricorre al termine di ogni azione divina. Gradualmente la materia indefinita, sulla quale aleggia lo spirito di Dio, assume fattezza («…E la luce fu», «…E Dio chiamò la luce giorno, e le tenebre notte»). Allo stesso modo, l’espressione musicale prende forma, a partire dalla monodia, al bicinium, al tricinium, fino alla pienezza accordale delle quattro sezioni del coro. 27 Quinto giorno. Ampio pannello corale per la comparsa degli animali («Dio disse: “Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra…”»). Le voci superiori del coro si distendono in un flusso melodico. Ancora un’estensione del motivo primordiale in canone libero. Il basso procede ondeggiando con ampiezza. Sono i primi movimenti delle creature nell’acqua, sulla terra e in cielo. Narra, quindi, il coro il termine della creazione («Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona…»). Settimo giorno. Il giorno del riposo di Dio. In partitura, un’intera battuta di pausa con corona. È la benedizione del sabato («Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere»), liricamente evocata attraverso le note di un sereno, ma fervente corale omoritmico, le cui semplici triadi sono associate secondo una libera consequenzialità di reminiscenza modale. Ancora un intervento – come una cadenza – del mezzosoprano solo, prima dell’apoteosi conclusiva. «Una coda finale in cui tutte le voci sono spinte verso il limite acuto della tessitura, indirizzando la composizione verso un climax che speravo avrebbe ben rappresentato il testo “E l’uomo divenne un essere vivente” in termini musicali». La tensione, infatti, cresce. Le sezioni del coro si moltiplicano, si dividono in otto parti. Il parossismo raggiunge il suo culmine sull’energica e luminosa apertura della triade di mi bemolle che conclude la composizione («… [Dio] soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente»). nova et vetera 26 Terzo giorno. La terra è resa feconda («E Dio disse: “La terra produca germogli…”»). Prima la voce del mezzosoprano e, quindi, quelle del coro dipanano una fluente spirale melodica attorno alle note di una triade, un disegno sempre derivato dal motivo primordiale. Signore Iddio creò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale, e l’uomo divenne un essere vivente». Ciascun giorno inizia con le pronunciazioni del mezzosoprano solista e si chiude con un refrain sillabico e cadenzante del coro, che ripete la formula: «E fu sera e fu mattina, il primo [secondo, terzo, …] giorno». Ogni volta questa formulaimpronta si sposta su un piano tonale più elevato (do bem., re bem., re, mi bem., fa diesis, sol). Un segno degli spostamenti dell’ambito tonale, che si susseguono a più riprese nel pezzo. Spostamenti che, naturalmente, si attuano per giustapposizione e non attraverso graduali passaggi modulanti. Sul prolungamento dell’ultimo accordo di ogni refrain del coro il mezzosoprano riprende la narrazione del giorno successivo. Per la maggior parte del pezzo gli interventi del mezzosoprano si alternano con quelli del coro, il quale reitera e dilata gli spunti melodici della voce solista. Insomma, episodi che si susseguono a riprese, un po’ come nella forma del rondò. Seguiamo, passo passo, l’opera di Aaron Copland. Primo giorno. «In principio Dio creò il cielo e la terra». Il mezzosoprano solista intona un motivo (in stile recitativo – o meglio, com’è indicato in partitura, «In modo gentile, narrativo, come la lettura di una storia familiare e spesso raccontata»), che costituisce lo spunto tematico originario anche degli episodi successivi. Il motivo di apertura (che chiameremo motivo primordiale), così netto e conciso, è emblematico dell’esposizione del materiale melodico tipicamente minimalista di Copland. Quarto giorno. Rapidità di movimento e vivacità d’accenti infiammano la dimensione ritmica, in consonanza con la creazione del sole, della luna e delle stelle («Dio disse: “Ci siano luci nel firmamento del cielo…”»). S’avverte la lezione di Stravinsky e dei ritmi jazzistici. S’accendono, nelle sezioni del coro, bagliori che illuminano lo sfondo. Ha detto lo stesso Copland: «Questo lavoro non incorpora materiali folk o jazz, ma ho usato i ritmi jazz in varie sezioni». Sesto giorno. Dio crea l’uomo a sua somiglianza («E Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine…”»). Momento topico, sottolineato dalle voci che si raccolgono in un vigoroso unisono. Fulcro della narrazione, che il compositore intende sottolineare con grande enfasi. Una portentosa e spettacolare scala (in open chords) attraversa l’intera tessitura, dall’estremo acuto a quello grave. Il dominio dell’uomo sulle altre creature è ben raffigurato («…[l’uomo] domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra»). Secondo giorno. La separazione della terra dalle acque («Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento…») è descritta da un movimento di terzine delle voci del coro, divise in un gioco di entrate in stretta imitazione. Si spezza il coro in uno stringato botta e risposta polimetrico, a due a due. È sempre il parametro ritmico a risaltare («E così avvenne»). La fitta trama si conclude con un possente unisono sulle parole «And it was so», altro motto melodico-testuale, dagli ampi intervalli, che ricorre al termine di ogni azione divina. Gradualmente la materia indefinita, sulla quale aleggia lo spirito di Dio, assume fattezza («…E la luce fu», «…E Dio chiamò la luce giorno, e le tenebre notte»). Allo stesso modo, l’espressione musicale prende forma, a partire dalla monodia, al bicinium, al tricinium, fino alla pienezza accordale delle quattro sezioni del coro. 27 Quinto giorno. Ampio pannello corale per la comparsa degli animali («Dio disse: “Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra…”»). Le voci superiori del coro si distendono in un flusso melodico. Ancora un’estensione del motivo primordiale in canone libero. Il basso procede ondeggiando con ampiezza. Sono i primi movimenti delle creature nell’acqua, sulla terra e in cielo. Narra, quindi, il coro il termine della creazione («Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona…»). Settimo giorno. Il giorno del riposo di Dio. In partitura, un’intera battuta di pausa con corona. È la benedizione del sabato («Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere»), liricamente evocata attraverso le note di un sereno, ma fervente corale omoritmico, le cui semplici triadi sono associate secondo una libera consequenzialità di reminiscenza modale. Ancora un intervento – come una cadenza – del mezzosoprano solo, prima dell’apoteosi conclusiva. «Una coda finale in cui tutte le voci sono spinte verso il limite acuto della tessitura, indirizzando la composizione verso un climax che speravo avrebbe ben rappresentato il testo “E l’uomo divenne un essere vivente” in termini musicali». La tensione, infatti, cresce. Le sezioni del coro si moltiplicano, si dividono in otto parti. Il parossismo raggiunge il suo culmine sull’energica e luminosa apertura della triade di mi bemolle che conclude la composizione («… [Dio] soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente»). 28 In the Beginning, dunque, venne eseguito per la prima volta, presso la Harvard Memorial Church, il 2 maggio 1947. Nel programma del concerto, esso fu preceduto dalla prima esecuzione di La terra di Gian Francesco Malipiero (che, nel frattempo, aveva sostituito Vaughan Williams), una cantata pastorale per coro e organo, su testo tratto dalle Georgiche di Virgilio. A conclusione del programma, fu confermato, invece, il contributo di Paul Hindemith, con la prima assoluta di Apparebit repentina dies, per coro e ottoni. «Bob Shaw ha fatto un ottimo lavoro con il mio nuovo pezzo per coro», scrisse Copland al suo pupillo Leonard Bernstein, subito dopo la prima esecuzione. «Mi è sembrato che molti lo abbiano apprezzato, ma la stampa non se n’è molto interessata». Il solito abbaglio degli esperti, se si considera il consenso che l’opera ha conosciuto in seguito. Robert Shaw, due anni più tardi (1949), sempre alla testa della Collegiate Chorale, diresse, presso la Carnegie Hall, la prima esecuzione newyorkese di In the Beginning. Passarono ancora due anni (1951), prima che Copland medesimo ne dirigesse una suggestiva esecuzione in Israele, sulle sponde del Lago di Galilea. Forse, In the Beginning non è un capolavoro assoluto, ma, di certo, costituisce un punto di riferimento fondamentale della musica corale americana moderna. La maniera attuale assai diffusa – citiamo, per intenderci, quella di epigoni come Morten Lauridsen ed Eric Withacre – deve molto all’azione di sintesi elaborata dal linguaggio musicale di Copland, fusione di folk americano, jazz, tradizione classica e modernismi acquisiti dalla musica europea. Una tendenza estetica caratterizzata da un sound aperto, concepito sulla base di discontinui, ma lenti, cambi dell’orizzonte armonico. Un linguaggio elaborato dal compositore americano al fine di mettere a punto uno stile accessibile (vernacular style). L’insieme di queste specificità sono pienamente contenute e facilmente riconoscibili nella partitura di In the Beginning. La storia di In the Beginning insegna anche che un bravo direttore di coro come Robert Shaw ha saputo impersonare un ruolo di grande stimolo per i compositori americani contemporanei, mettendo a loro disposizione capacità e competenze ai massimi livelli. Requisiti indispensabili, per poter condividere ed esibire al meglio un’idea della musica corale, in grado di interpretare ed esprimere efficacemente l’immaginario di un’intera collettività e di un’epoca. nella programmazione di Padiglione Italia a Expo Milano 2015 Un linguaggio elaborato dal compositore americano al fine di mettere a punto uno stile accessibile. organizzato da 28 In the Beginning, dunque, venne eseguito per la prima volta, presso la Harvard Memorial Church, il 2 maggio 1947. Nel programma del concerto, esso fu preceduto dalla prima esecuzione di La terra di Gian Francesco Malipiero (che, nel frattempo, aveva sostituito Vaughan Williams), una cantata pastorale per coro e organo, su testo tratto dalle Georgiche di Virgilio. A conclusione del programma, fu confermato, invece, il contributo di Paul Hindemith, con la prima assoluta di Apparebit repentina dies, per coro e ottoni. «Bob Shaw ha fatto un ottimo lavoro con il mio nuovo pezzo per coro», scrisse Copland al suo pupillo Leonard Bernstein, subito dopo la prima esecuzione. «Mi è sembrato che molti lo abbiano apprezzato, ma la stampa non se n’è molto interessata». Il solito abbaglio degli esperti, se si considera il consenso che l’opera ha conosciuto in seguito. Robert Shaw, due anni più tardi (1949), sempre alla testa della Collegiate Chorale, diresse, presso la Carnegie Hall, la prima esecuzione newyorkese di In the Beginning. Passarono ancora due anni (1951), prima che Copland medesimo ne dirigesse una suggestiva esecuzione in Israele, sulle sponde del Lago di Galilea. Forse, In the Beginning non è un capolavoro assoluto, ma, di certo, costituisce un punto di riferimento fondamentale della musica corale americana moderna. La maniera attuale assai diffusa – citiamo, per intenderci, quella di epigoni come Morten Lauridsen ed Eric Withacre – deve molto all’azione di sintesi elaborata dal linguaggio musicale di Copland, fusione di folk americano, jazz, tradizione classica e modernismi acquisiti dalla musica europea. Una tendenza estetica caratterizzata da un sound aperto, concepito sulla base di discontinui, ma lenti, cambi dell’orizzonte armonico. Un linguaggio elaborato dal compositore americano al fine di mettere a punto uno stile accessibile (vernacular style). L’insieme di queste specificità sono pienamente contenute e facilmente riconoscibili nella partitura di In the Beginning. La storia di In the Beginning insegna anche che un bravo direttore di coro come Robert Shaw ha saputo impersonare un ruolo di grande stimolo per i compositori americani contemporanei, mettendo a loro disposizione capacità e competenze ai massimi livelli. Requisiti indispensabili, per poter condividere ed esibire al meglio un’idea della musica corale, in grado di interpretare ed esprimere efficacemente l’immaginario di un’intera collettività e di un’epoca. nella programmazione di Padiglione Italia a Expo Milano 2015 Un linguaggio elaborato dal compositore americano al fine di mettere a punto uno stile accessibile. organizzato da choraldisC benedictus dominus POLIFONIA SACRA IN PUGLIA 31 Pomponio Nenna, Responsorii di Natale a quattro voci La prima stesura dell’opera comprendente sia i Responsorii di Natale che quelli di Settimana Santa a quattro voci di Pomponio Nenna, vide la luce grazie all’impulso mecenatistico di Alessandro Miroballo1 marchese di Bracigliano, giovane d’età e di blasone, uomo devoto e compositore dilettante egli stesso, il quale già artefice di altri patrocinii, ne favorì la stampa presso la tipografia del napoletano Sottile nel 1607. Dovettero poi passare altri quindici anni perché Pietro Paolo Riccio, «havendo con l’esperienza di molti anni conosciuto di quanta comodità e soddisfattione siano al mondo questi Responsorij nelle festività della Natività del Signore e della Settimana Santa»2 ne riproponesse, postuma, la ristampa nei tipi di Ottavio Beltrano con l’aggiunta di un libro-parte per il basso continuo al fine di renderne «maggiormente grata, e commoda»2 l’esecuzione agli organisti del tempo. Il primo dei riferimenti alla dedica – in contrasto con il parere di A. Pompilio che la ritiene «un’opera in posizione defilata nella produzione»3 del compositore barese – lascerebbe ipotizzare che nel periodo precedente al 1622 questo lavoro del Nenna abbia invece goduto, seppur circoscritte agli ambiti territoriali nei quali il Riccio operava, di discreta notorietà e ampia diffusione e che abbia ricevuto il lusinghiero apprezzamento del popolo e della comunità ecclesiastica in occasione delle solenni funzioni delle due più importanti festività del calendario liturgico. Il secondo riferimento tende a rimarcare come, dopo i Cento concerti ecclesiastici di Lodovico Da Viadana del 1602, in molta musica sacra dei primi decenni del ’600 la pratica del basso continuo fosse ormai divenuta una consuetudine per i tastieristi e gli organisti dell’epoca permettendo loro di utilizzare, per l’accompagnamento, la parte più grave invece della scomoda partitura con tutte le parti riunite; l’editoria musicale seguì con grande attenzione questa evoluzione presagendo una sicura espansione del mercato: la stessa ristampa dei Responsorii fortemente sostenuta dal Riccio e dedicata al reverendo Padre Tommaso Pucci, organista del Convento Reale di S. Domenico Maggiore a Napoli, fu infatti prodotta con immediato favore dal Beltrano il quale prevedeva una loro capillare diffusione che partendo da quella più rinomata sarebbe terminata alle più periferiche chiese del Regno. preceduti da una Lectio recitata. Nella versione del 1622 a cui questa incisione fa riferimento, sono presenti – soltanto nel Tertio Nocturno – due anziché tre composizioni in “stile di motetto” a cui fanno seguito tre Lodi del Mattutino (Te Deus Laudamus, Benedictus Dominus, Miserere mei) composte da Nenna secondo la prassi dell’alternatim ovvero con la successione di versetti in polifonia e in gregoriano; purtroppo la terza di queste Lodi, il Miserere, è a noi giunta incompleta e quindi inemendabile e pertanto non è compresa in questa incisione. Riguardo alla forma i Responsorii di Natale a quattro voci di Nenna presentano la struttura tipica del mottetto responsoriale gallicano caratterizzata dalle tre sezioni di responso, versetto, repetenda inteso – quest’ultimo – come emistichio conclusivo del responso. Per ciò che concerne gli stili compositivi, negli otto responsori vengono utilizzate in modo equilibrato sia le scritture omofonica che contrappuntistico-imitativa a differenza delle Lodi in cui la pronuncia sillabica dei versi polifonici produce L’Officium In Nativitate Domini È plausibile immaginare che il rito, che si svolge nell’arco temporale a cavallo della mezzanotte di Natale (ad matutinum), fosse articolato in tre distinti momenti (Nocturni) strutturati in maniera identica. Ognuno di questi prevede al suo interno la sequenza cantata Antifona/Salmo ripetuta per tre volte e seguita da un versetto, a cui si aggiungono tre Responsori polifonici 1.A. Pompilio, Prefazione “I madrigali a quattro voci di Pomponio Nenna”, Firenze 1983, p. 21. 2.P. Nenna, estratti dalla dedica dei Responsorii di Natale e di Settimana Santa a quattro voci, Napoli 1622. 3.A. Pompilio, p. 22 I Responsori di Natale danno una precisa idea della levatura stilistica del Nenna evidenziando la sapiente e raffinata competenza da lui raggiunta nella tecnica del contrappunto. benedictus di Sergio Lella Rocco Rodio, Missa Adieu mes amours sex vocibus La messa-parodia, genere praticato tra XV e XVI secolo, è basata sull’elaborazione di un cantus firmus profano o sacro; il Missarum Decem del barese Rocco Rodio è una raccolta di importanza fondamentale per questo genere, a cavallo dei due secoli. Nella Missa Adieu mes amours sex vocibus Rodio rielabora il materiale tematico della celebre chanson di Josquin Desprez, a sua volta frutto di un’elaborazione polifonica dell’omonima melodia popolare, tramandata dal Manuscripte de Bayeux, raccolta di canzoni del periodo medievale dell’area nord-occidentale francese. L’inconfondibile canto fermo pervade e caratterizza gli incipit di tutto l’ordinarium scritto da Rodio, manifestandosi in maniera decisa già nel Kyrie iniziale ove compare per ben quattordici volte nelle sole prime trentotto battute! L’organico della Messa è a sei voci, ma come di consuetudine per oltre un secolo, il registro viene ridotto e ampliato in alcuni momenti: da sei a quattro voci tanto nel Crucifixus (che perde due voci gravi) che nel Benedictus (che perde una voce acuta e una grave), passando invece a un ampliamento a otto voci nell’Agnus Dei (con l’aggiunta di un tenore e di un basso). Riguardo all’Agnus Dei si osserva la fedele adesione di Rodio alle consuetudini formali dell’epoca che prevedevano, a conclusione della Messa, l’utilizzo di raffinate tecniche compositive, quali canoni doppi e tripli, per augmentatione, ecc. Qui l’ultima sezione della Messa si presenta come un’equilibrata costruzione, interessante e suggestiva anche sotto l’aspetto grafico: la linea-tema affidata alla terza voce intesse un canone con la seconda e la quarta secondo ben definiti rapporti (in subdiapente e in diatesseron), si intreccia con un diverso soggetto in canone tra sesta e settima voce, coinvolgendo in ultimo le tre rimanenti parti libere. una sorta di recitativo-omoritmico che, insieme a successioni armoniche semplici, ne fa delle composizioni, per quel tempo, alla portata di cappelle musicali con capacità probabilmente modeste. L’incipit, nella maggioranza delle composizioni a mottetto, è omoritmico e si presenta con figurazioni stereotipate a note larghe o puntate, sulle parole tri- e bi-sillabiche Hodie, Verbum, Sancta, Quem; i soli responsori Beata viscera Maria Note choraldisC benedictus dominus POLIFONIA SACRA IN PUGLIA 31 Pomponio Nenna, Responsorii di Natale a quattro voci La prima stesura dell’opera comprendente sia i Responsorii di Natale che quelli di Settimana Santa a quattro voci di Pomponio Nenna, vide la luce grazie all’impulso mecenatistico di Alessandro Miroballo1 marchese di Bracigliano, giovane d’età e di blasone, uomo devoto e compositore dilettante egli stesso, il quale già artefice di altri patrocinii, ne favorì la stampa presso la tipografia del napoletano Sottile nel 1607. Dovettero poi passare altri quindici anni perché Pietro Paolo Riccio, «havendo con l’esperienza di molti anni conosciuto di quanta comodità e soddisfattione siano al mondo questi Responsorij nelle festività della Natività del Signore e della Settimana Santa»2 ne riproponesse, postuma, la ristampa nei tipi di Ottavio Beltrano con l’aggiunta di un libro-parte per il basso continuo al fine di renderne «maggiormente grata, e commoda»2 l’esecuzione agli organisti del tempo. Il primo dei riferimenti alla dedica – in contrasto con il parere di A. Pompilio che la ritiene «un’opera in posizione defilata nella produzione»3 del compositore barese – lascerebbe ipotizzare che nel periodo precedente al 1622 questo lavoro del Nenna abbia invece goduto, seppur circoscritte agli ambiti territoriali nei quali il Riccio operava, di discreta notorietà e ampia diffusione e che abbia ricevuto il lusinghiero apprezzamento del popolo e della comunità ecclesiastica in occasione delle solenni funzioni delle due più importanti festività del calendario liturgico. Il secondo riferimento tende a rimarcare come, dopo i Cento concerti ecclesiastici di Lodovico Da Viadana del 1602, in molta musica sacra dei primi decenni del ’600 la pratica del basso continuo fosse ormai divenuta una consuetudine per i tastieristi e gli organisti dell’epoca permettendo loro di utilizzare, per l’accompagnamento, la parte più grave invece della scomoda partitura con tutte le parti riunite; l’editoria musicale seguì con grande attenzione questa evoluzione presagendo una sicura espansione del mercato: la stessa ristampa dei Responsorii fortemente sostenuta dal Riccio e dedicata al reverendo Padre Tommaso Pucci, organista del Convento Reale di S. Domenico Maggiore a Napoli, fu infatti prodotta con immediato favore dal Beltrano il quale prevedeva una loro capillare diffusione che partendo da quella più rinomata sarebbe terminata alle più periferiche chiese del Regno. preceduti da una Lectio recitata. Nella versione del 1622 a cui questa incisione fa riferimento, sono presenti – soltanto nel Tertio Nocturno – due anziché tre composizioni in “stile di motetto” a cui fanno seguito tre Lodi del Mattutino (Te Deus Laudamus, Benedictus Dominus, Miserere mei) composte da Nenna secondo la prassi dell’alternatim ovvero con la successione di versetti in polifonia e in gregoriano; purtroppo la terza di queste Lodi, il Miserere, è a noi giunta incompleta e quindi inemendabile e pertanto non è compresa in questa incisione. Riguardo alla forma i Responsorii di Natale a quattro voci di Nenna presentano la struttura tipica del mottetto responsoriale gallicano caratterizzata dalle tre sezioni di responso, versetto, repetenda inteso – quest’ultimo – come emistichio conclusivo del responso. Per ciò che concerne gli stili compositivi, negli otto responsori vengono utilizzate in modo equilibrato sia le scritture omofonica che contrappuntistico-imitativa a differenza delle Lodi in cui la pronuncia sillabica dei versi polifonici produce L’Officium In Nativitate Domini È plausibile immaginare che il rito, che si svolge nell’arco temporale a cavallo della mezzanotte di Natale (ad matutinum), fosse articolato in tre distinti momenti (Nocturni) strutturati in maniera identica. Ognuno di questi prevede al suo interno la sequenza cantata Antifona/Salmo ripetuta per tre volte e seguita da un versetto, a cui si aggiungono tre Responsori polifonici 1.A. Pompilio, Prefazione “I madrigali a quattro voci di Pomponio Nenna”, Firenze 1983, p. 21. 2.P. Nenna, estratti dalla dedica dei Responsorii di Natale e di Settimana Santa a quattro voci, Napoli 1622. 3.A. Pompilio, p. 22 I Responsori di Natale danno una precisa idea della levatura stilistica del Nenna evidenziando la sapiente e raffinata competenza da lui raggiunta nella tecnica del contrappunto. benedictus di Sergio Lella Rocco Rodio, Missa Adieu mes amours sex vocibus La messa-parodia, genere praticato tra XV e XVI secolo, è basata sull’elaborazione di un cantus firmus profano o sacro; il Missarum Decem del barese Rocco Rodio è una raccolta di importanza fondamentale per questo genere, a cavallo dei due secoli. Nella Missa Adieu mes amours sex vocibus Rodio rielabora il materiale tematico della celebre chanson di Josquin Desprez, a sua volta frutto di un’elaborazione polifonica dell’omonima melodia popolare, tramandata dal Manuscripte de Bayeux, raccolta di canzoni del periodo medievale dell’area nord-occidentale francese. L’inconfondibile canto fermo pervade e caratterizza gli incipit di tutto l’ordinarium scritto da Rodio, manifestandosi in maniera decisa già nel Kyrie iniziale ove compare per ben quattordici volte nelle sole prime trentotto battute! L’organico della Messa è a sei voci, ma come di consuetudine per oltre un secolo, il registro viene ridotto e ampliato in alcuni momenti: da sei a quattro voci tanto nel Crucifixus (che perde due voci gravi) che nel Benedictus (che perde una voce acuta e una grave), passando invece a un ampliamento a otto voci nell’Agnus Dei (con l’aggiunta di un tenore e di un basso). Riguardo all’Agnus Dei si osserva la fedele adesione di Rodio alle consuetudini formali dell’epoca che prevedevano, a conclusione della Messa, l’utilizzo di raffinate tecniche compositive, quali canoni doppi e tripli, per augmentatione, ecc. Qui l’ultima sezione della Messa si presenta come un’equilibrata costruzione, interessante e suggestiva anche sotto l’aspetto grafico: la linea-tema affidata alla terza voce intesse un canone con la seconda e la quarta secondo ben definiti rapporti (in subdiapente e in diatesseron), si intreccia con un diverso soggetto in canone tra sesta e settima voce, coinvolgendo in ultimo le tre rimanenti parti libere. una sorta di recitativo-omoritmico che, insieme a successioni armoniche semplici, ne fa delle composizioni, per quel tempo, alla portata di cappelle musicali con capacità probabilmente modeste. L’incipit, nella maggioranza delle composizioni a mottetto, è omoritmico e si presenta con figurazioni stereotipate a note larghe o puntate, sulle parole tri- e bi-sillabiche Hodie, Verbum, Sancta, Quem; i soli responsori Beata viscera Maria Note 32 + notizie> BENEDICTUS DOMINUS Polifonia sacra in Puglia Ensemble Vocale Palazzo Incantato direttore, Sergio Lella Rocco Rodio (Bari c. 1535 - ? dopo 1615) Missa Adieu mes amours sex vocibus 1. 2. 3. 4. 5. Kyrie Gloria Credo Sanctus Agnus Dei 3’33” 4’20” 6’59” 2’17” 2’06” e Beata Dei genitrix esordiscono con una imitazione a entrate distanziate secondo la sequenza a-s-t-b e t-b-a-s e nel rispetto dei rapporti intervallari propri di ciascuna tessitura. Le voci di canto e alto si muovono prevalentemente in un ambito che supera in rari casi l’intervallo di ottava e che si estende per la voce più acuta dal re4 al fa5 e per quella più grave dal sol3 al la4 a seconda del modo. Le voci virili si caratterizzano per una duttilità maggiore in quanto superano più volte l’ambito dell’ottava: il tenore presenta un range re3-fa4, il basso ha i suoi picchi nel mi2-do4. I profili melodici di ciascuna voce si articolano in movimenti intervallari (di seconda, terza, al massimo di quinta) prevalentemente consonanti e non particolarmente distanti fatta eccezione per la voce di basso che per necessità di tipo armonico compie salti anche più ampi. Appare piuttosto episodica la presenza di intervalli dissonanti: quinta diminuita in Hodie nobis caelorum, quarta diminuita in Hodie nobis de caelo e O magnum mysterium; semitono cromatico in Beata Dei genitrix, terza diminuita in O magnum mysterium. Molto meno presenti che nello stile profano, le figure retoriche, compaiono nei Responsorii in due sole situazioni: con una ipotiposi sulla parola descendit (Hodie nobis de caelo) e con ripetute interrogatio con cadenze sospese alla dominante quando il testo presenta un punto di domanda (Quem vidistis pastores). I Responsori di Natale danno una precisa idea della levatura stilistica del Nenna evidenziando la sapiente e raffinata competenza da lui raggiunta nella tecnica del contrappunto; questo si evince dalla maniera fluida e disinvolta con cui le singole linee melodiche si relazionano l’una con l’altra e al tempo stesso si sovrappongono verticalmente in armonie talvolta ardite, accogliendo appieno la caratteristica propria di un’epoca che transitava dal mondo modale a quello tonale. + approfondimenti> + curiosità> + rubriche> + + musica> servizi sui principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA Pomponio Nenna (Bari 1556 - Roma 1608) Responsorii di Natale a quattro voci 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. Hodie nobis caelorum Rex3’04” Hodie nobis de caelo pax 2’24” Quem vidistis pastores 2’32” O magnum mysterium 4’15” Beata Dei genitrix 3’03” Sancta et immaculata virginitas 3’04” Beata viscera Mariae 3’34” Verbum caro factum est 3’04” Te Deum Laudamus8’38” Benedictus Dominus4’47” Pubblicato da Choraliter per gentile concessione di DAD Records e Digressione music srl. Anche per il 2015 rinnova il tuo abbonamento e fai abbonare anche i tuoi amici CHORALITER + ITALIACORI.IT Rivista quadrimestrale della FENIARCO abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 83/4 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it - [email protected] modalità di abbonamento: • sottoscrizione on-line dal sito www.feniarco.it • versamento sul c/c postale IT23T0760112500000011139599 intestato a Feniarco • bonifico bancario sul conto IT90U063406501007404232339S intestato a Feniarco 32 + notizie> BENEDICTUS DOMINUS Polifonia sacra in Puglia Ensemble Vocale Palazzo Incantato direttore, Sergio Lella Rocco Rodio (Bari c. 1535 - ? dopo 1615) Missa Adieu mes amours sex vocibus 1. 2. 3. 4. 5. Kyrie Gloria Credo Sanctus Agnus Dei 3’33” 4’20” 6’59” 2’17” 2’06” e Beata Dei genitrix esordiscono con una imitazione a entrate distanziate secondo la sequenza a-s-t-b e t-b-a-s e nel rispetto dei rapporti intervallari propri di ciascuna tessitura. Le voci di canto e alto si muovono prevalentemente in un ambito che supera in rari casi l’intervallo di ottava e che si estende per la voce più acuta dal re4 al fa5 e per quella più grave dal sol3 al la4 a seconda del modo. Le voci virili si caratterizzano per una duttilità maggiore in quanto superano più volte l’ambito dell’ottava: il tenore presenta un range re3-fa4, il basso ha i suoi picchi nel mi2-do4. I profili melodici di ciascuna voce si articolano in movimenti intervallari (di seconda, terza, al massimo di quinta) prevalentemente consonanti e non particolarmente distanti fatta eccezione per la voce di basso che per necessità di tipo armonico compie salti anche più ampi. Appare piuttosto episodica la presenza di intervalli dissonanti: quinta diminuita in Hodie nobis caelorum, quarta diminuita in Hodie nobis de caelo e O magnum mysterium; semitono cromatico in Beata Dei genitrix, terza diminuita in O magnum mysterium. Molto meno presenti che nello stile profano, le figure retoriche, compaiono nei Responsorii in due sole situazioni: con una ipotiposi sulla parola descendit (Hodie nobis de caelo) e con ripetute interrogatio con cadenze sospese alla dominante quando il testo presenta un punto di domanda (Quem vidistis pastores). I Responsori di Natale danno una precisa idea della levatura stilistica del Nenna evidenziando la sapiente e raffinata competenza da lui raggiunta nella tecnica del contrappunto; questo si evince dalla maniera fluida e disinvolta con cui le singole linee melodiche si relazionano l’una con l’altra e al tempo stesso si sovrappongono verticalmente in armonie talvolta ardite, accogliendo appieno la caratteristica propria di un’epoca che transitava dal mondo modale a quello tonale. + approfondimenti> + curiosità> + rubriche> + + musica> servizi sui principali> avvenimenti corali LA RIVISTA DEL CORISTA Pomponio Nenna (Bari 1556 - Roma 1608) Responsorii di Natale a quattro voci 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. Hodie nobis caelorum Rex3’04” Hodie nobis de caelo pax 2’24” Quem vidistis pastores 2’32” O magnum mysterium 4’15” Beata Dei genitrix 3’03” Sancta et immaculata virginitas 3’04” Beata viscera Mariae 3’34” Verbum caro factum est 3’04” Te Deum Laudamus8’38” Benedictus Dominus4’47” Pubblicato da Choraliter per gentile concessione di DAD Records e Digressione music srl. Anche per il 2015 rinnova il tuo abbonamento e fai abbonare anche i tuoi amici CHORALITER + ITALIACORI.IT Rivista quadrimestrale della FENIARCO abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali Via Altan, 83/4 33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 www.feniarco.it - [email protected] modalità di abbonamento: • sottoscrizione on-line dal sito www.feniarco.it • versamento sul c/c postale IT23T0760112500000011139599 intestato a Feniarco • bonifico bancario sul conto IT90U063406501007404232339S intestato a Feniarco canto popolare 34 Viaggio nell’etnomusicologia italiana dell’Ottocento di Ettore Galvani direttore dell’associazione corale carignanese «È dalla conquista di vedere noi stessi tra gli altri, come un esempio locale delle forme che la vita umana ha assunto localmente, un caso tra i casi, un mondo tra i mondi, che deriva quella apertura mentale senza la quale l’oggettività è autoincensamento e la tolleranza mistificazione» (Clifford Geertz). «L’istituzionalizzazione della comunicazione orale e scritta in diverse società tende comunque a minare alla base la dicotomia tra società “orali” e “letterate”. Diventa sempre più chiaro, per esempio, che tanto nel contesto religioso quanto in quello profano i metodi di apprendimento e di insegnamento fondati rispettivamente sull’oralità oppure sul testo scritto coesistono e interagiscono tra loro. La relativa stabilità della conoscenza in una società dipende in larga misura dal modo in cui questi diversi metodi sono istituzionalizzati e anche dalle mete educative e dai concetti conoscitivi che li accompagnano» (Margaret A. Mills). Quando si parla di etnomusicologia si ha la percezione generale, collocata nell’immaginario collettivo comune, che il tutto si possa risolvere molto velocemente come in un duello virtuale tra una persona che ricorda – canta o recita filastrocche, che riporta a viva memoria modi di dire, proverbi e quant’altro – e un’altra che scrive prendendo in considerazione l’argomento, o meglio reputando più o meno interessante il “soggetto orale” ricordato, in relazione al suo retaggio culturale e storico. L’evoluzione di tale disciplina, per altro ancora in atto, invece, come molte delle dottrine umanistiche di nuova generazione, sia come modello teorico che come campo di indagine, ha il suo focus nello studio delle tradizioni musicali orali, o assimilabili a esse, non contenute nella tradizione colta europea, siano esse europee, extraeuropee, popolari o dotte, con metodi mutuati sia dalla musicologia sia dalle scienze sociali. Alla luce di ciò si può ben comprendere come l’etnomusicologia moderna sia una realtà di studio interdisciplinare che amplia i suoi orizzonti fino ad arrivare agli studi antropologici evolutivi e non limitandosi a quelli esclusivamente storici, politici e musicali propri e connaturati di una determinata etnia. «Società e culture di interesse etnologico – quelle cioè di cui l’etnomusicologia studia forme e comportamenti musicali – si definiscono in base a un rapporto di diversità, di alterità, rispetto alla cultura osservante; sono state tradizionalmente considerate di interesse etnologico le culture un tempo definite, con termine discusso, primitive (società a struttura semplice), oppure le alterità costituite dalle fasce folcloriche all’interno del contesto euro bianco occidentale, o ancora società e culture complesse del vicino, medio ed estremo Oriente. In tutti questi casi, una caratteristica comune è di basare prevalentemente la trasmissione del proprio sapere e del proprio saper-fare sull’oralità piuttosto che sulla scrittura (che, si badi bene, non significa affatto che una tradizione scritta sia necessariamente assente). La memoria, individuale e collettiva, ha in queste società e culture un ruolo preponderante nei processi di creazione, trasmissione e fruizione di prodotti culturali quali quelli musicali. La Quando si parla di etnomusicologia si ha la percezione che il tutto si possa risolvere a un duello virtuale tra una persona che ricorda e un’altra che scrive. trasmissione del sapere (forme, repertori vocali e strumentali, tecniche di esecuzione, costruzione e uso degli strumenti, ecc.) si basa prevalentemente su un passaggio orale o su un’acquisizione di tipo visivo, in ogni caso empirica» (L’altra Musica. Nascita e sviluppo dell’etnomusicologia, E. Giovanatti). Non vi sono notizie certe sull’inizio accademico di tale disciplina prima del grande fervore romantico che approdò in Italia nei primi dell’Ottocento, certo è che una prima scintilla si può attribuire a Jean-Jacques Rousseau quando nel 1768 inserì nel suo Dictionnaire de musique esempi di trascrizioni di melodie finlandesi, svizzere, persiane, cinesi e canadesi. Jean-Jacques Rousseau Prendo spunto dunque da alcuni articoli apparsi su Voglia di Coro, rivista istituzionale dell’Associazione Cori Piemontesi, per illustrare e ripercorrere a grandi passi la storia dell’etnomusicologia italiana, per cercare di far scoprire quali sono stati i personaggi che ne hanno dettato l’evoluzione e quali i principi e gli insegnamenti che ognuno di essi ci ha tramandato attraverso i propri scritti. Innanzi tutto bisogna chiarirsi su cosa è l’etnomusicologia e su quali principi fondamentali si posa tale disciplina umanistica. «Etnomusicologìa: Ramo della musicologia il cui oggetto è l’insieme delle tradizioni musicali che non rientrano nella musica colta europea e che comprendono invece espressioni musicali legate a particolari gruppi etnici o sociali, tramandate principalmente per via orale. La metodologia di ricerca deve tener conto di tre fattori: la peculiarità della trasmissione, la modalità di creazione/esecuzione e i differenti contesti, cioè la funzione» (Treccani.it). Tradotto in lingua corrente si ha come caratteristica fondamentale quella di basare la trasmissione del proprio 35 sapere, e del proprio saper fare, sull’oralità piuttosto che sulla scrittura. La memoria gioca un ruolo fondamentale nei processi di creazione e di diffusione, per cui il trasferimento del sapere è basato su un passaggio bocca/orecchio o su acquisizioni di tipo visivo; i prodotti musicali sono sottomessi alla pratica e alla successiva diffusione e non vivono di vita propria; ogni esecuzione musicale, nel tempo e nello spazio inteso come area geografica, non si configura mai come esatta riproduzione di un modello preesistente ma sovente come elaborazione collettiva di tipo creativo. L’etnomusicologia dunque si può definire come la disciplina che studia le forme e i comportamenti musicali di tradizione orale. Le prime testimonianze attendibili e documentate sull’argomento risalgono ai primi anni del’800 in cui troviamo scorci di cultura popolare inseriti in contesti letterari di alto livello. Due esempi tra tutti: le sei canzonette popolari recanatesi che Giacomo Leopardi riportò nello Zibaldone dal dicembre del 1818 al maggio del 1820, inserite non tanto per un interesse sulla poesia popolare quanto per un interesse letterario su ciò che viene fatto proprio dal volgo; e il Saggio di poesie contadinesche dell’Appennino parmense che Atanasio Basetti e Paolo Oppici pubblicarono nel 1824. Quest’ultimo, più strutturato e organizzato, diede voce a un sentimento che diverrà di molti e che esprimeva con felice candore la «dolce sorpresa» d’aver colto fiori di così «poetica gentilezza» in «tanta rozzità di luogo». Dal 1830 il risveglio accademico su tali studi si fa notare con altre pubblicazioni di carattere filologico tra le quali il Saggio di canti popolari della provincia di Marittima e Campagna che Pietro Ercole Visconti aveva pubblicato a Roma in quello stesso anno, nonché varie recensioni sulla rivista L’Antologia di Gian Pietro Vieusseux a opera di Niccolò Tommaseo. Rivista con periodicità mensile, pubblicata a Firenze dal 1821 al 1831 e supportata da molti intellettuali del tempo, si L’etnomusicologia moderna è una realtà di studio interdisciplinare che amplia i suoi orizzonti fino ad arrivare agli studi antropologici evolutivi. discostò dall’ambito municipalistico per abbracciare i problemi generali della cultura italiana del periodo. Si dovrà aspettare il 1838 per avere i primi studi ufficialmente riconosciuti su tale argomento, come testimonia Ermolao Rubieri nella sua Storia della poesia italiana del 1877: canto popolare 34 Viaggio nell’etnomusicologia italiana dell’Ottocento di Ettore Galvani direttore dell’associazione corale carignanese «È dalla conquista di vedere noi stessi tra gli altri, come un esempio locale delle forme che la vita umana ha assunto localmente, un caso tra i casi, un mondo tra i mondi, che deriva quella apertura mentale senza la quale l’oggettività è autoincensamento e la tolleranza mistificazione» (Clifford Geertz). «L’istituzionalizzazione della comunicazione orale e scritta in diverse società tende comunque a minare alla base la dicotomia tra società “orali” e “letterate”. Diventa sempre più chiaro, per esempio, che tanto nel contesto religioso quanto in quello profano i metodi di apprendimento e di insegnamento fondati rispettivamente sull’oralità oppure sul testo scritto coesistono e interagiscono tra loro. La relativa stabilità della conoscenza in una società dipende in larga misura dal modo in cui questi diversi metodi sono istituzionalizzati e anche dalle mete educative e dai concetti conoscitivi che li accompagnano» (Margaret A. Mills). Quando si parla di etnomusicologia si ha la percezione generale, collocata nell’immaginario collettivo comune, che il tutto si possa risolvere molto velocemente come in un duello virtuale tra una persona che ricorda – canta o recita filastrocche, che riporta a viva memoria modi di dire, proverbi e quant’altro – e un’altra che scrive prendendo in considerazione l’argomento, o meglio reputando più o meno interessante il “soggetto orale” ricordato, in relazione al suo retaggio culturale e storico. L’evoluzione di tale disciplina, per altro ancora in atto, invece, come molte delle dottrine umanistiche di nuova generazione, sia come modello teorico che come campo di indagine, ha il suo focus nello studio delle tradizioni musicali orali, o assimilabili a esse, non contenute nella tradizione colta europea, siano esse europee, extraeuropee, popolari o dotte, con metodi mutuati sia dalla musicologia sia dalle scienze sociali. Alla luce di ciò si può ben comprendere come l’etnomusicologia moderna sia una realtà di studio interdisciplinare che amplia i suoi orizzonti fino ad arrivare agli studi antropologici evolutivi e non limitandosi a quelli esclusivamente storici, politici e musicali propri e connaturati di una determinata etnia. «Società e culture di interesse etnologico – quelle cioè di cui l’etnomusicologia studia forme e comportamenti musicali – si definiscono in base a un rapporto di diversità, di alterità, rispetto alla cultura osservante; sono state tradizionalmente considerate di interesse etnologico le culture un tempo definite, con termine discusso, primitive (società a struttura semplice), oppure le alterità costituite dalle fasce folcloriche all’interno del contesto euro bianco occidentale, o ancora società e culture complesse del vicino, medio ed estremo Oriente. In tutti questi casi, una caratteristica comune è di basare prevalentemente la trasmissione del proprio sapere e del proprio saper-fare sull’oralità piuttosto che sulla scrittura (che, si badi bene, non significa affatto che una tradizione scritta sia necessariamente assente). La memoria, individuale e collettiva, ha in queste società e culture un ruolo preponderante nei processi di creazione, trasmissione e fruizione di prodotti culturali quali quelli musicali. La Quando si parla di etnomusicologia si ha la percezione che il tutto si possa risolvere a un duello virtuale tra una persona che ricorda e un’altra che scrive. trasmissione del sapere (forme, repertori vocali e strumentali, tecniche di esecuzione, costruzione e uso degli strumenti, ecc.) si basa prevalentemente su un passaggio orale o su un’acquisizione di tipo visivo, in ogni caso empirica» (L’altra Musica. Nascita e sviluppo dell’etnomusicologia, E. Giovanatti). Non vi sono notizie certe sull’inizio accademico di tale disciplina prima del grande fervore romantico che approdò in Italia nei primi dell’Ottocento, certo è che una prima scintilla si può attribuire a Jean-Jacques Rousseau quando nel 1768 inserì nel suo Dictionnaire de musique esempi di trascrizioni di melodie finlandesi, svizzere, persiane, cinesi e canadesi. Jean-Jacques Rousseau Prendo spunto dunque da alcuni articoli apparsi su Voglia di Coro, rivista istituzionale dell’Associazione Cori Piemontesi, per illustrare e ripercorrere a grandi passi la storia dell’etnomusicologia italiana, per cercare di far scoprire quali sono stati i personaggi che ne hanno dettato l’evoluzione e quali i principi e gli insegnamenti che ognuno di essi ci ha tramandato attraverso i propri scritti. Innanzi tutto bisogna chiarirsi su cosa è l’etnomusicologia e su quali principi fondamentali si posa tale disciplina umanistica. «Etnomusicologìa: Ramo della musicologia il cui oggetto è l’insieme delle tradizioni musicali che non rientrano nella musica colta europea e che comprendono invece espressioni musicali legate a particolari gruppi etnici o sociali, tramandate principalmente per via orale. La metodologia di ricerca deve tener conto di tre fattori: la peculiarità della trasmissione, la modalità di creazione/esecuzione e i differenti contesti, cioè la funzione» (Treccani.it). Tradotto in lingua corrente si ha come caratteristica fondamentale quella di basare la trasmissione del proprio 35 sapere, e del proprio saper fare, sull’oralità piuttosto che sulla scrittura. La memoria gioca un ruolo fondamentale nei processi di creazione e di diffusione, per cui il trasferimento del sapere è basato su un passaggio bocca/orecchio o su acquisizioni di tipo visivo; i prodotti musicali sono sottomessi alla pratica e alla successiva diffusione e non vivono di vita propria; ogni esecuzione musicale, nel tempo e nello spazio inteso come area geografica, non si configura mai come esatta riproduzione di un modello preesistente ma sovente come elaborazione collettiva di tipo creativo. L’etnomusicologia dunque si può definire come la disciplina che studia le forme e i comportamenti musicali di tradizione orale. Le prime testimonianze attendibili e documentate sull’argomento risalgono ai primi anni del’800 in cui troviamo scorci di cultura popolare inseriti in contesti letterari di alto livello. Due esempi tra tutti: le sei canzonette popolari recanatesi che Giacomo Leopardi riportò nello Zibaldone dal dicembre del 1818 al maggio del 1820, inserite non tanto per un interesse sulla poesia popolare quanto per un interesse letterario su ciò che viene fatto proprio dal volgo; e il Saggio di poesie contadinesche dell’Appennino parmense che Atanasio Basetti e Paolo Oppici pubblicarono nel 1824. Quest’ultimo, più strutturato e organizzato, diede voce a un sentimento che diverrà di molti e che esprimeva con felice candore la «dolce sorpresa» d’aver colto fiori di così «poetica gentilezza» in «tanta rozzità di luogo». Dal 1830 il risveglio accademico su tali studi si fa notare con altre pubblicazioni di carattere filologico tra le quali il Saggio di canti popolari della provincia di Marittima e Campagna che Pietro Ercole Visconti aveva pubblicato a Roma in quello stesso anno, nonché varie recensioni sulla rivista L’Antologia di Gian Pietro Vieusseux a opera di Niccolò Tommaseo. Rivista con periodicità mensile, pubblicata a Firenze dal 1821 al 1831 e supportata da molti intellettuali del tempo, si L’etnomusicologia moderna è una realtà di studio interdisciplinare che amplia i suoi orizzonti fino ad arrivare agli studi antropologici evolutivi. discostò dall’ambito municipalistico per abbracciare i problemi generali della cultura italiana del periodo. Si dovrà aspettare il 1838 per avere i primi studi ufficialmente riconosciuti su tale argomento, come testimonia Ermolao Rubieri nella sua Storia della poesia italiana del 1877: canto popolare 36 Ermolao Rubieri Giuseppe Giusti «[…] Silvo Giannini avendo preparata nel 1838 e pubblicata al principio del 1839 una copiosa raccolta di prose e poesie sotto il titolo La Viola del pensiero, v’inserì 48 bei canti popolari toscani, preceduti da un breve e succoso proemio…». Giornalista di spicco dell’area toscana, vicino al pensiero liberale mazziniano, il Giannini ricoprì incarichi importanti tanto che nel 1845 fu chiamato dall’editore torinese Pomba a dirigere una succursale editoriale a Livorno, che prese il nome di Emporio italo-librario. La sua più importante iniziativa editoriale di questo periodo fu la Viola del pensiero, miscellanea di letteratura e di morale, che egli pubblicò e diresse per tre anni, dal 1839 al 1842, con la collaborazione di alcuni fra i più noti scrittori del tempo, per lo più di scuola romantica, e di intellettuali sensibili agli ideali del Risorgimento tra i quali: Pellico, Giusti, Mazzini, Guerrazzi, Mamiani, Thouar, Niccolini e Mayer. Particolarmente significativo fu il rapporto che egli strinse con Giuseppe Giusti con cui condivise la passione per la poesia popolare cui dedicò un limpido saggio, apparso nel primo numero della Viola, in cui manifestava un approccio diverso da quello evidenziato dal moderatismo toscano nell’ormai annoso dibattito sulla “letteratura per il popolo”, dominato da intenti prevalentemente paternalistici e filantropici, finalizzati alla conoscenza e alla sostanziale conservazione degli equilibri sociali esistenti. Da parte del Giusti vi era sì il desiderio di documentare, attraverso l’analisi dei canti popolari, gli usi e i costumi della gente comune, ma lo studio non andava disgiunto da uno scopo pedagogico e patriottico: «il basso popolo», sosteneva, «è pure gran parte della Nazione» e il canto doveva essere utilizzato come forma espressiva per fargli conoscere «que’ fatti della storia patria, che è per esso sventura ignorare» (Delle poesie popolari, in La viola del pensiero, Livorno 1839, p. 319). La pietra miliare della visione generale sulla nuova disciplina e sui fondamenti della metodologia di ricerca è, senza ombra di dubbio, da attribuire alla prefazione della raccolta delle Vecchie romanze spagnole pubblicata a Bruxelles nel 1837 a opera di Giovanni Berchet. Antesignano per ispirazione agli studi che verranno condotti durante tutto il xix secolo il Berchet, al secolo Riccardo Michelini, concretizzò quel concetto di poesia popolare come poesia per il popolo che aveva enunciato fin dal 1816 nella sua Lettera semiseria di Grisostomo in cui esortava allo studio delle moderne letterature straniere e al rifiuto della vecchia cultura accademica e delle imitazioni dei classici, per una poesia viva, interprete dei sentimenti del popolo, ispirata ai fatti della storia nazionale e alla realtà del proprio tempo, espressa in linguaggio e forme semplici, comprensibili a tutti. La Lettera semiseria, anche se non subito, ebbe il riconoscimento storico di manifesto del romanticismo italiano, e come tale può essere ancora oggi accolta non tanto per l’originalità delle idee e dell’argomentazione, quanto per il calore, l’eloquenza e l’equilibrio che la animano e le conferiscono un valore di discorso illustre e familiare nello stesso tempo. Tali postulati ebbero in seguito larga applicazione nelle antologie di altri illuminati studiosi quali Carrer, Dall’Ongaro, Cantù. Di seguito vi riporto quello che, a mio parere, è il cuore pulsante del pensiero del Berchet. Incastonato nella prefazione del 1837 passa quasi inosservata all’improvvisato lettore, ma se si estrapola e si gusta il leggiadro concatenarsi di suggerimenti e osservazioni, il tutto espresso in una lingua dotta e ricca di poesia, si potrà osservare come il quadro completo dell’etnomusicologia ottocentesca sia mirabilmente narrato. «La poesia popolare, e per tale intendo quella che è direttamente prodotta e non soltanto gradita al popolo, non mette fuori opere materialmente immobili come la poesia d’arte; non le raccomanda, come questa, alla scrittura, ma le affida al canto transitorio, alla parola fugace: cammina, cammina libera e viva e ad ogni passo che fa lascia un vezzo o ne piglia uno nuovo senza per questo cessare d’essere quello ch’ell’era, senza mutare la sembianza che dapprincipio ella assumeva. Sorge uno e trova una canzone; cento l’ascoltano e la ridicono. Le cantilene udite dai suoi parenti, la madre le ricanta ai suoi figliuoli, questi le insegnano ai nipoti. Quando viene l’uomo letterato e se le fa ripetere e le ferma in caratteri scritti, chi può dire per quante bocche sieno già passate quelle cantilene? La canzone è la stessa, quella trovata da quell’uomo primo spartito nella folla; ma qualche particolare di essa o è perduto, o è alterato, o variato, non foss’altro per necessità della labile memoria umana, oppure delle nuove esigenze della lingua parlata. Quindi è che dagli accidenti estrinseci del testo scritto non si può con assoluta certezza conchiudere l’età di una romanza. Al raccoglitore ne è toccata l’ultima compilazione; ma se molte o poche altre compilazioni più o meno variate ne l’abbiano preceduta, chi’l sa?» (Vecchie romanze spagnole recate in italiano da Giovanni Berchet, Società Belgica di libreria - Bruxelles 1837, pag. xvii-xviii). Nella prima frase l’autore vuole mettere in risalto quanto la poesia popolare sia importante sottolineando che per tale si intende «quella che è direttamente prodotta e non soltanto gradita al popolo». Continuando stabilisce i criteri per il riconoscimento di essa elencando alcuni elementi che oggi possono sembrare scontati e palesi ma che per la cultura romantica dell’epoca non lo erano affatto: non appartiene alla poesia dotta, non è una composizione formalmente studiata a tavolino, «ma le affida al canto transitorio, alla parola fugace». A questa affermazione segue la spiegazione, che al giorno d’oggi verrebbe interpretata con l’analisi dell’impianto narrativo e la conseguente affermazione, ormai diventata postulato, che un canto popolare nell’ambito della sua diffusione geografica e temporale, più o meno definita, migra, si modifica in funzione delle aree glottologiche con la quale viene a contatto ed inoltre acquista determinate caratteristiche che definiremo folkloristiche in funzione delle usanze proprie del territorio: «cammina, cammina libera e viva e ad ogni passo che fa lascia un vezzo o ne piglia uno nuovo senza per questo cessare d’essere quello ch’ell’era, senza mutare la sembianza che dapprincipio ella assumeva». Da ciò non può che scaturire l’idea, divenuta poi fondamento dell’etnomusicologia moderna, che il canto popolare durante la sua migrazione muta attraverso la diffusione orale e in tale processo non vi è la certezza che tale riproposta rimanga fedele all’originale, anzi sicuramente assume intonazioni e descrizioni diverse: «Sorge uno e trova una canzone; cento l’ascoltano e la ridicono. Le cantilene udite dai suoi parenti, la madre le ricanta ai suoi figliuoli, questi le insegnano ai nipoti». Da questo punto entrano in scena gli studiosi, coloro che vogliono salvaguardare dall’oblio la cultura contadina da sempre affidata all’oralità. «Quando viene l’uomo letterato e se le fa ripetere e le ferma in caratteri scritti, chi può dire per quante bocche sieno già passate quelle cantilene?». Ed è proprio in questo contesto che si incomincia a capire quanto il canto popolare sia mutevole e permeabile, quanto sia condizionato dagli eventi storici circoscritti e culturali al raggio di azione dei vari informatori e quanto questo condizioni il testo di un canto e la sua struttura: «La canzone 37 Giovanni Berchet è la stessa, quella trovata da quell’uomo primo spartito nella folla; ma qualche particolare di essa o è perduto, o è alterato, o variato, non foss’altro per necessità della labile memoria umana, oppure delle nuove esigenze della lingua parlata». La chiusa del ragionamento, pur rifacendosi a stereotipi di tipo romantico, getta le basi per delle ipotesi di studio importanti che verranno vagliate, approfondite e completate nel corso dei due secoli a seguire. A noi il compito, per chi vorrà farlo, nei modi e nei tempi che ognuno ha a disposizione, di seguire lo sviluppo dello studio di questa disciplina umanistica il più delle volte sconosciuta e straniera al nostro modo di pensare al canto popolare. «Quindi è che dagli accidenti estrinseci del testo scritto non si può con assoluta certezza conchiudere l’età di una romanza. Al raccoglitore ne è toccata l’ultima compilazione; ma se molte o poche altre compilazioni più o meno variate ne l’abbiano preceduta, chi’l sa?». Il viaggio nell’etnomusicologia italiana dell’Ottocento prosegue nel prossimo numero di Choraliter. canto popolare 36 Ermolao Rubieri Giuseppe Giusti «[…] Silvo Giannini avendo preparata nel 1838 e pubblicata al principio del 1839 una copiosa raccolta di prose e poesie sotto il titolo La Viola del pensiero, v’inserì 48 bei canti popolari toscani, preceduti da un breve e succoso proemio…». Giornalista di spicco dell’area toscana, vicino al pensiero liberale mazziniano, il Giannini ricoprì incarichi importanti tanto che nel 1845 fu chiamato dall’editore torinese Pomba a dirigere una succursale editoriale a Livorno, che prese il nome di Emporio italo-librario. La sua più importante iniziativa editoriale di questo periodo fu la Viola del pensiero, miscellanea di letteratura e di morale, che egli pubblicò e diresse per tre anni, dal 1839 al 1842, con la collaborazione di alcuni fra i più noti scrittori del tempo, per lo più di scuola romantica, e di intellettuali sensibili agli ideali del Risorgimento tra i quali: Pellico, Giusti, Mazzini, Guerrazzi, Mamiani, Thouar, Niccolini e Mayer. Particolarmente significativo fu il rapporto che egli strinse con Giuseppe Giusti con cui condivise la passione per la poesia popolare cui dedicò un limpido saggio, apparso nel primo numero della Viola, in cui manifestava un approccio diverso da quello evidenziato dal moderatismo toscano nell’ormai annoso dibattito sulla “letteratura per il popolo”, dominato da intenti prevalentemente paternalistici e filantropici, finalizzati alla conoscenza e alla sostanziale conservazione degli equilibri sociali esistenti. Da parte del Giusti vi era sì il desiderio di documentare, attraverso l’analisi dei canti popolari, gli usi e i costumi della gente comune, ma lo studio non andava disgiunto da uno scopo pedagogico e patriottico: «il basso popolo», sosteneva, «è pure gran parte della Nazione» e il canto doveva essere utilizzato come forma espressiva per fargli conoscere «que’ fatti della storia patria, che è per esso sventura ignorare» (Delle poesie popolari, in La viola del pensiero, Livorno 1839, p. 319). La pietra miliare della visione generale sulla nuova disciplina e sui fondamenti della metodologia di ricerca è, senza ombra di dubbio, da attribuire alla prefazione della raccolta delle Vecchie romanze spagnole pubblicata a Bruxelles nel 1837 a opera di Giovanni Berchet. Antesignano per ispirazione agli studi che verranno condotti durante tutto il xix secolo il Berchet, al secolo Riccardo Michelini, concretizzò quel concetto di poesia popolare come poesia per il popolo che aveva enunciato fin dal 1816 nella sua Lettera semiseria di Grisostomo in cui esortava allo studio delle moderne letterature straniere e al rifiuto della vecchia cultura accademica e delle imitazioni dei classici, per una poesia viva, interprete dei sentimenti del popolo, ispirata ai fatti della storia nazionale e alla realtà del proprio tempo, espressa in linguaggio e forme semplici, comprensibili a tutti. La Lettera semiseria, anche se non subito, ebbe il riconoscimento storico di manifesto del romanticismo italiano, e come tale può essere ancora oggi accolta non tanto per l’originalità delle idee e dell’argomentazione, quanto per il calore, l’eloquenza e l’equilibrio che la animano e le conferiscono un valore di discorso illustre e familiare nello stesso tempo. Tali postulati ebbero in seguito larga applicazione nelle antologie di altri illuminati studiosi quali Carrer, Dall’Ongaro, Cantù. Di seguito vi riporto quello che, a mio parere, è il cuore pulsante del pensiero del Berchet. Incastonato nella prefazione del 1837 passa quasi inosservata all’improvvisato lettore, ma se si estrapola e si gusta il leggiadro concatenarsi di suggerimenti e osservazioni, il tutto espresso in una lingua dotta e ricca di poesia, si potrà osservare come il quadro completo dell’etnomusicologia ottocentesca sia mirabilmente narrato. «La poesia popolare, e per tale intendo quella che è direttamente prodotta e non soltanto gradita al popolo, non mette fuori opere materialmente immobili come la poesia d’arte; non le raccomanda, come questa, alla scrittura, ma le affida al canto transitorio, alla parola fugace: cammina, cammina libera e viva e ad ogni passo che fa lascia un vezzo o ne piglia uno nuovo senza per questo cessare d’essere quello ch’ell’era, senza mutare la sembianza che dapprincipio ella assumeva. Sorge uno e trova una canzone; cento l’ascoltano e la ridicono. Le cantilene udite dai suoi parenti, la madre le ricanta ai suoi figliuoli, questi le insegnano ai nipoti. Quando viene l’uomo letterato e se le fa ripetere e le ferma in caratteri scritti, chi può dire per quante bocche sieno già passate quelle cantilene? La canzone è la stessa, quella trovata da quell’uomo primo spartito nella folla; ma qualche particolare di essa o è perduto, o è alterato, o variato, non foss’altro per necessità della labile memoria umana, oppure delle nuove esigenze della lingua parlata. Quindi è che dagli accidenti estrinseci del testo scritto non si può con assoluta certezza conchiudere l’età di una romanza. Al raccoglitore ne è toccata l’ultima compilazione; ma se molte o poche altre compilazioni più o meno variate ne l’abbiano preceduta, chi’l sa?» (Vecchie romanze spagnole recate in italiano da Giovanni Berchet, Società Belgica di libreria - Bruxelles 1837, pag. xvii-xviii). Nella prima frase l’autore vuole mettere in risalto quanto la poesia popolare sia importante sottolineando che per tale si intende «quella che è direttamente prodotta e non soltanto gradita al popolo». Continuando stabilisce i criteri per il riconoscimento di essa elencando alcuni elementi che oggi possono sembrare scontati e palesi ma che per la cultura romantica dell’epoca non lo erano affatto: non appartiene alla poesia dotta, non è una composizione formalmente studiata a tavolino, «ma le affida al canto transitorio, alla parola fugace». A questa affermazione segue la spiegazione, che al giorno d’oggi verrebbe interpretata con l’analisi dell’impianto narrativo e la conseguente affermazione, ormai diventata postulato, che un canto popolare nell’ambito della sua diffusione geografica e temporale, più o meno definita, migra, si modifica in funzione delle aree glottologiche con la quale viene a contatto ed inoltre acquista determinate caratteristiche che definiremo folkloristiche in funzione delle usanze proprie del territorio: «cammina, cammina libera e viva e ad ogni passo che fa lascia un vezzo o ne piglia uno nuovo senza per questo cessare d’essere quello ch’ell’era, senza mutare la sembianza che dapprincipio ella assumeva». Da ciò non può che scaturire l’idea, divenuta poi fondamento dell’etnomusicologia moderna, che il canto popolare durante la sua migrazione muta attraverso la diffusione orale e in tale processo non vi è la certezza che tale riproposta rimanga fedele all’originale, anzi sicuramente assume intonazioni e descrizioni diverse: «Sorge uno e trova una canzone; cento l’ascoltano e la ridicono. Le cantilene udite dai suoi parenti, la madre le ricanta ai suoi figliuoli, questi le insegnano ai nipoti». Da questo punto entrano in scena gli studiosi, coloro che vogliono salvaguardare dall’oblio la cultura contadina da sempre affidata all’oralità. «Quando viene l’uomo letterato e se le fa ripetere e le ferma in caratteri scritti, chi può dire per quante bocche sieno già passate quelle cantilene?». Ed è proprio in questo contesto che si incomincia a capire quanto il canto popolare sia mutevole e permeabile, quanto sia condizionato dagli eventi storici circoscritti e culturali al raggio di azione dei vari informatori e quanto questo condizioni il testo di un canto e la sua struttura: «La canzone 37 Giovanni Berchet è la stessa, quella trovata da quell’uomo primo spartito nella folla; ma qualche particolare di essa o è perduto, o è alterato, o variato, non foss’altro per necessità della labile memoria umana, oppure delle nuove esigenze della lingua parlata». La chiusa del ragionamento, pur rifacendosi a stereotipi di tipo romantico, getta le basi per delle ipotesi di studio importanti che verranno vagliate, approfondite e completate nel corso dei due secoli a seguire. A noi il compito, per chi vorrà farlo, nei modi e nei tempi che ognuno ha a disposizione, di seguire lo sviluppo dello studio di questa disciplina umanistica il più delle volte sconosciuta e straniera al nostro modo di pensare al canto popolare. «Quindi è che dagli accidenti estrinseci del testo scritto non si può con assoluta certezza conchiudere l’età di una romanza. Al raccoglitore ne è toccata l’ultima compilazione; ma se molte o poche altre compilazioni più o meno variate ne l’abbiano preceduta, chi’l sa?». Il viaggio nell’etnomusicologia italiana dell’Ottocento prosegue nel prossimo numero di Choraliter. portraiT 38 IL FABBRICANTE DI CORISTI intervista a Fabrizio Barchi a cura di Sandro Bergamo Quello che ho sempre invidiato e ammirato in Fabrizio Barchi è la sua capacità di coinvolgere i giovani. Il suo lavoro sta lì a dimostrare che con loro si può cantare e arrivare, senza tante mediazioni, ad attingere in profondità, alle fonti del canto più bello. Ho iniziato subito dopo aver completato gli studi al Pontificio Istituto di Musica Sacra. Avevo avuto maestri come Raffaele Baratta, Giacomo Baroffio, Domenico Bartolucci, Armando Renzi, Eugène Cardine. Maestri affascinanti, che mi hanno trasmesso prima ancora che un sapere, una passione per la musica corale. Uno studio che si accompagna anche alla pratica… Certo: dirigevo già un coro parrocchiale che, al di là della liturgia, svolgeva un’attività concertistica, e ho avuto la possibilità di esordire, abbastanza giovane, nella prestigiosa sala Borromini a Roma, luogo all’epoca di un certo prestigio per gli eventi che ospitava. È stato per caso o per scelta che ti sei avvicinato così ai giovani, frequentando soprattutto l’ambiente scolastico? Un po’ per caso. In parrocchia lavoravo già con un gruppo giovanile. Nel ’94 fummo chiamati a tenere un concerto per un liceo, il Platone, in occasione della consegna dei diplomi. Fummo apprezzati e mi venne proposto di costituire un coro in quell’istituto. L’anno successivo mi venne chiesto di trasferire questa esperienza al liceo Primo Levi e da allora il mio lavoro parte proprio dalle scuole: una vera azione di propaganda della musica corale cercando di attirare ragazzi che spesso ne ignorano l’esistenza e che devo proprio “convertire” al coro, prima ancora di inserirli in un percorso di apprendimento. Ancor oggi, nonostante l’esperienza e l’età “matura”, a settembre mi faccio il giro delle classi di liceo, mi prendo gli sberleffi dei “bulletti” e cerco di portare quei pochi che si lasciano convincere dall’indifferenza verso il coro a un percorso che a volte arriva a palcoscenici internazionali. Da queste esperienze sono nati poi i cori che attualmente dirigo: il coro Musicanova, fondato nel 1999, seppure già attivo, all’epoca, da diversi anni e il coro Eos. Tu privilegi la dimensione del coro giovanile: ragazzi di liceo, studenti universitari. Hai mai fatto esperienza con le voci bianche? E che differenza trovi tra il lavorare con gli uni o con gli altri? In realtà lavoro e ho sempre lavorato anche con le voci bianche, soprattutto a Ostia, dove vivo da 30 anni: lì ho diretto il coro Primavera e ho lavorato all’interno delle scuole elementari. Ultimamente ho passato la mano a miei collaboratori, ma il mondo infantile non mi è estraneo. Spero di possedere quelle capacità che mi consentono di adattarmi a quello che ho davanti: con i bambini privilegio la dimensione del gioco, con i giovani è necessario un approccio più professionale. Come formi i tuoi coristi, dal punto di vista musicale e vocale? È evidente, da quanto ho detto, che i miei coristi partono dal niente, talvolta dall’ignorare perfino cosa sia il coro. Non entrano coristi già preparati: i miei sono, per così dire, coristi “fatti in casa”. Ho gestito da solo, con i miei mezzi, la preparazione vocale dei miei coristi. Poi, col passare degli anni, i coristi più capaci, spesso tali proprio per la lunga esperienza compiuta nel coro, aiutano a trasmettere le competenze ai nuovi arrivati che ancora si muovono con insicurezza. Guai se così non avviene: sono severissimo, fino a interrompere i rapporti ed escludere dal coro quanti assumano atteggiamenti di superiorità o di insofferenza verso i meno capaci ed esperti, dimenticando di quando erano loro bisognosi del sostegno altrui. Credo nel coro solidale, nel coro etico, dove si condivide e si mette a disposizione il proprio sapere, mentre non credo nel coro “a progetto”, che nasce già adulto e muore dopo una stagione. Il coro è una squadra, e come tutte le squadre trova nel confronto un modo per rafforzarsi. Dove vanno i tuoi giovani e come mai il percorso dall’infanzia alla giovinezza non è proseguito nella maturità con cori di adulti? A parte quelli che si distaccano o che si allontano per i motivi detti sopra, ci sono poi mille ragioni che riguardano la vita di ciascuno, i suoi impegni di studio, di lavoro, di famiglia. Tieni conto, inoltre, che non tengo prove serali, ma pomeridiane, possibili finche si è studenti e non più praticabili, in genere, nell’età adulta. 39 Con i tuoi cori partecipi assiduamente ai concorsi, con risultati importanti: nello scorso numero di Choraliter abbiamo dato conto dei numerosi premi ottenuti dal Musicanova al concorso internazionale Seghizzi e in questo della vittoria dell’Eos al nazionale di Arezzo. Cosa rappresenta per te il concorso? La partecipazione a un concorso implica un metodo di lavoro che dovrebbe essere la costante per un coro: lo studio approfondito, la tensione, l’impegno. Le vittorie, poi, aiutano perché ti confermano nella bontà del lavoro svolto, ma anche le sconfitte aiutano, perché ti costringono a interrogarti, a correggere, a migliorare. Certo, se un coro è nato solo per fare i concorsi, la sconfitta lo disperde, ma se il concorso è un momento della sua vita, del suo percorso, anche perdere fa crescere. Il coro è una squadra, e come tutte le squadre trova nel confronto un modo per rafforzarsi. Come scegli il repertorio? Come ti dicevo, in questi anni ho cercato di organizzare il mio lavoro a piramide. Iniziando nelle scuole superiori il repertorio deve concedere molto alla moda del momento o al pop, alla musica leggera ecc. Nei primi anni non sapevo bene come muovermi perché venivo da una formazione classica maturata al Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma. Chiaramente non riesci ad attirare l’attenzione dei giovani scettici sul coro, con la polifonia sacra o profana. Da noi a Roma il canto popolare non è molto sentito per cui ho fatto riemergere il mio antico spirito rockettaro e ho orientato le scelte, almeno quelle destinate ai cori giovanili, chiamiamoli “entry level” verso spiritual, pop e cose accattivanti prese dagli evergreen dei Beatles ecc. Quanto concedi al gusto “giovanile” dei tuoi coristi? Le raccolte soprattutto inglesi e tedesche sono state un valido supporto nei primi anni quando in Italia era veramente difficile trovare materiale. Con il tempo la mia sfida è di far apprezzare ai ragazzi anche altro repertorio, o un pop-jazz più raffinato o anche iniziare con qualche classico e scoprire con sorpresa che i ragazzi restano affascinati soprattutto dal madrigale. Il repertorio dei tuoi cori è molto eclettico: ti ho sentito cantare musica popolare, polifonia antica, contemporaneo, sacro, profano, mi risulta che qualcosa fai anche nel vocal pop. Come motivi questa scelta non specialistica (che mi sento di condividere, eclettico anch’io). Il repertorio rappresenta naturalmente la “pozione magica” con la quale cercare di catturare nuovi adepti soprattutto se giovani delle scuole. Tengo conto dei loro desiderata ma cerco una mediazione tra ciò che ritengo utile e didattico e ciò che strizzi l’occhio a un loro gusto. La difficoltà del brano è sempre leggermente superiore alle loro capacità: spero così di dare subito degli input giusti alla crescita. Per fortuna a inizio anno scolastico la “mira” del concerto di Natale è uno sprone notevole. Utilizzo brani che loro conoscono, magari proposti in qualche accattivante arrangiamento e ciò è di buon effetto. Esaurito però l’entusiasmo iniziale comincia il difficile. Se nel contempo non cresce nei ragazzi quella sana curiosità intellettuale che li porti ad accogliere proposte varie (brano pop, spiritual o villotta), ma restano fermi su posizioni diciamo scettiche nei confronti Fabrizio Barchi_______ Ha esordito come direttore di coro nel 1979 e in quegli stessi anni ha completato la propria preparazione musicale presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma sotto la guida dei maestri Raffaele Baratta, Bonifacio Baroffio, Domenico Bartolucci, Armando Renzi; ha seguito corsi con i maestri Gary Graden, Jurgen Jurgens, Peter Neumann, Francesco Luisi, Adone Zecchi. Nel corso della propria attività ha costituito e diretto cori in ambito associativo e scolastico; attualmente, oltre al coro Eos, dirige il coro di voci bianche della scuola Garrone, il coro Musicanova, il coro giovanile Iride e i cori dei licei Primo Levi ed Enriques di Roma; alla guida di questi gruppi ha ottenuto premi in varie competizioni corali. Già maestro della corale della Basilica di San Paolo fuori le mura, è vice maestro della Cappella Musicale Lateranense, direttore artistico della manifestazione Corali a Roma e titolare della cattedra di Direzione di coro presso il Conservatorio Lorenzo Perosi di Campobasso. Tiene corsi sulla didattica e sulla coralità giovanile per conto di Associazioni corali regionali, di Feniarco, del Provveditorato agli studi e dell’Università; viene frequentemente invitato a far parte di giurie di concorsi corali nazionali e internazionali. Attualmente fa parte del comitato ministeriale per la revisione dei programmi sull’educazione musicale nella scuola. portraiT 38 IL FABBRICANTE DI CORISTI intervista a Fabrizio Barchi a cura di Sandro Bergamo Quello che ho sempre invidiato e ammirato in Fabrizio Barchi è la sua capacità di coinvolgere i giovani. Il suo lavoro sta lì a dimostrare che con loro si può cantare e arrivare, senza tante mediazioni, ad attingere in profondità, alle fonti del canto più bello. Ho iniziato subito dopo aver completato gli studi al Pontificio Istituto di Musica Sacra. Avevo avuto maestri come Raffaele Baratta, Giacomo Baroffio, Domenico Bartolucci, Armando Renzi, Eugène Cardine. Maestri affascinanti, che mi hanno trasmesso prima ancora che un sapere, una passione per la musica corale. Uno studio che si accompagna anche alla pratica… Certo: dirigevo già un coro parrocchiale che, al di là della liturgia, svolgeva un’attività concertistica, e ho avuto la possibilità di esordire, abbastanza giovane, nella prestigiosa sala Borromini a Roma, luogo all’epoca di un certo prestigio per gli eventi che ospitava. È stato per caso o per scelta che ti sei avvicinato così ai giovani, frequentando soprattutto l’ambiente scolastico? Un po’ per caso. In parrocchia lavoravo già con un gruppo giovanile. Nel ’94 fummo chiamati a tenere un concerto per un liceo, il Platone, in occasione della consegna dei diplomi. Fummo apprezzati e mi venne proposto di costituire un coro in quell’istituto. L’anno successivo mi venne chiesto di trasferire questa esperienza al liceo Primo Levi e da allora il mio lavoro parte proprio dalle scuole: una vera azione di propaganda della musica corale cercando di attirare ragazzi che spesso ne ignorano l’esistenza e che devo proprio “convertire” al coro, prima ancora di inserirli in un percorso di apprendimento. Ancor oggi, nonostante l’esperienza e l’età “matura”, a settembre mi faccio il giro delle classi di liceo, mi prendo gli sberleffi dei “bulletti” e cerco di portare quei pochi che si lasciano convincere dall’indifferenza verso il coro a un percorso che a volte arriva a palcoscenici internazionali. Da queste esperienze sono nati poi i cori che attualmente dirigo: il coro Musicanova, fondato nel 1999, seppure già attivo, all’epoca, da diversi anni e il coro Eos. Tu privilegi la dimensione del coro giovanile: ragazzi di liceo, studenti universitari. Hai mai fatto esperienza con le voci bianche? E che differenza trovi tra il lavorare con gli uni o con gli altri? In realtà lavoro e ho sempre lavorato anche con le voci bianche, soprattutto a Ostia, dove vivo da 30 anni: lì ho diretto il coro Primavera e ho lavorato all’interno delle scuole elementari. Ultimamente ho passato la mano a miei collaboratori, ma il mondo infantile non mi è estraneo. Spero di possedere quelle capacità che mi consentono di adattarmi a quello che ho davanti: con i bambini privilegio la dimensione del gioco, con i giovani è necessario un approccio più professionale. Come formi i tuoi coristi, dal punto di vista musicale e vocale? È evidente, da quanto ho detto, che i miei coristi partono dal niente, talvolta dall’ignorare perfino cosa sia il coro. Non entrano coristi già preparati: i miei sono, per così dire, coristi “fatti in casa”. Ho gestito da solo, con i miei mezzi, la preparazione vocale dei miei coristi. Poi, col passare degli anni, i coristi più capaci, spesso tali proprio per la lunga esperienza compiuta nel coro, aiutano a trasmettere le competenze ai nuovi arrivati che ancora si muovono con insicurezza. Guai se così non avviene: sono severissimo, fino a interrompere i rapporti ed escludere dal coro quanti assumano atteggiamenti di superiorità o di insofferenza verso i meno capaci ed esperti, dimenticando di quando erano loro bisognosi del sostegno altrui. Credo nel coro solidale, nel coro etico, dove si condivide e si mette a disposizione il proprio sapere, mentre non credo nel coro “a progetto”, che nasce già adulto e muore dopo una stagione. Il coro è una squadra, e come tutte le squadre trova nel confronto un modo per rafforzarsi. Dove vanno i tuoi giovani e come mai il percorso dall’infanzia alla giovinezza non è proseguito nella maturità con cori di adulti? A parte quelli che si distaccano o che si allontano per i motivi detti sopra, ci sono poi mille ragioni che riguardano la vita di ciascuno, i suoi impegni di studio, di lavoro, di famiglia. Tieni conto, inoltre, che non tengo prove serali, ma pomeridiane, possibili finche si è studenti e non più praticabili, in genere, nell’età adulta. 39 Con i tuoi cori partecipi assiduamente ai concorsi, con risultati importanti: nello scorso numero di Choraliter abbiamo dato conto dei numerosi premi ottenuti dal Musicanova al concorso internazionale Seghizzi e in questo della vittoria dell’Eos al nazionale di Arezzo. Cosa rappresenta per te il concorso? La partecipazione a un concorso implica un metodo di lavoro che dovrebbe essere la costante per un coro: lo studio approfondito, la tensione, l’impegno. Le vittorie, poi, aiutano perché ti confermano nella bontà del lavoro svolto, ma anche le sconfitte aiutano, perché ti costringono a interrogarti, a correggere, a migliorare. Certo, se un coro è nato solo per fare i concorsi, la sconfitta lo disperde, ma se il concorso è un momento della sua vita, del suo percorso, anche perdere fa crescere. Il coro è una squadra, e come tutte le squadre trova nel confronto un modo per rafforzarsi. Come scegli il repertorio? Come ti dicevo, in questi anni ho cercato di organizzare il mio lavoro a piramide. Iniziando nelle scuole superiori il repertorio deve concedere molto alla moda del momento o al pop, alla musica leggera ecc. Nei primi anni non sapevo bene come muovermi perché venivo da una formazione classica maturata al Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma. Chiaramente non riesci ad attirare l’attenzione dei giovani scettici sul coro, con la polifonia sacra o profana. Da noi a Roma il canto popolare non è molto sentito per cui ho fatto riemergere il mio antico spirito rockettaro e ho orientato le scelte, almeno quelle destinate ai cori giovanili, chiamiamoli “entry level” verso spiritual, pop e cose accattivanti prese dagli evergreen dei Beatles ecc. Quanto concedi al gusto “giovanile” dei tuoi coristi? Le raccolte soprattutto inglesi e tedesche sono state un valido supporto nei primi anni quando in Italia era veramente difficile trovare materiale. Con il tempo la mia sfida è di far apprezzare ai ragazzi anche altro repertorio, o un pop-jazz più raffinato o anche iniziare con qualche classico e scoprire con sorpresa che i ragazzi restano affascinati soprattutto dal madrigale. Il repertorio dei tuoi cori è molto eclettico: ti ho sentito cantare musica popolare, polifonia antica, contemporaneo, sacro, profano, mi risulta che qualcosa fai anche nel vocal pop. Come motivi questa scelta non specialistica (che mi sento di condividere, eclettico anch’io). Il repertorio rappresenta naturalmente la “pozione magica” con la quale cercare di catturare nuovi adepti soprattutto se giovani delle scuole. Tengo conto dei loro desiderata ma cerco una mediazione tra ciò che ritengo utile e didattico e ciò che strizzi l’occhio a un loro gusto. La difficoltà del brano è sempre leggermente superiore alle loro capacità: spero così di dare subito degli input giusti alla crescita. Per fortuna a inizio anno scolastico la “mira” del concerto di Natale è uno sprone notevole. Utilizzo brani che loro conoscono, magari proposti in qualche accattivante arrangiamento e ciò è di buon effetto. Esaurito però l’entusiasmo iniziale comincia il difficile. Se nel contempo non cresce nei ragazzi quella sana curiosità intellettuale che li porti ad accogliere proposte varie (brano pop, spiritual o villotta), ma restano fermi su posizioni diciamo scettiche nei confronti Fabrizio Barchi_______ Ha esordito come direttore di coro nel 1979 e in quegli stessi anni ha completato la propria preparazione musicale presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma sotto la guida dei maestri Raffaele Baratta, Bonifacio Baroffio, Domenico Bartolucci, Armando Renzi; ha seguito corsi con i maestri Gary Graden, Jurgen Jurgens, Peter Neumann, Francesco Luisi, Adone Zecchi. Nel corso della propria attività ha costituito e diretto cori in ambito associativo e scolastico; attualmente, oltre al coro Eos, dirige il coro di voci bianche della scuola Garrone, il coro Musicanova, il coro giovanile Iride e i cori dei licei Primo Levi ed Enriques di Roma; alla guida di questi gruppi ha ottenuto premi in varie competizioni corali. Già maestro della corale della Basilica di San Paolo fuori le mura, è vice maestro della Cappella Musicale Lateranense, direttore artistico della manifestazione Corali a Roma e titolare della cattedra di Direzione di coro presso il Conservatorio Lorenzo Perosi di Campobasso. Tiene corsi sulla didattica e sulla coralità giovanile per conto di Associazioni corali regionali, di Feniarco, del Provveditorato agli studi e dell’Università; viene frequentemente invitato a far parte di giurie di concorsi corali nazionali e internazionali. Attualmente fa parte del comitato ministeriale per la revisione dei programmi sull’educazione musicale nella scuola. Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 83/4 tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 - [email protected] - www.feniarco.it 40 x 5x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x1 0 0 0 1 O 5 C R A I i r N o E c i F e del coro, allora potrebbero registrarsi quei cali di presenza che, per quanto fisiologici, mi danno la misura di un parziale fallimento. Credo che questa sia un’attività talmente bella e privilegiata da tutti i punti di vista, musicale e umano, che continuo dopo anni a non comprendere come mai, su una scuola di 1000 allievi, non siamo almeno il 15-20% coloro che aderiscono al coro. Questo per ciò che riguarda i cori scolastici. Per i cori Musicanova, Eos e Iride, ritengo la varietà un imprescindibile punto di forza; anche se la vocazione sul Rinascimento e sulla musica contemporanea è abbastanza spiccata, è divertente e musicalmente stimolante cimentarsi anche in altro. Nel pop-jazz rivivo, come già detto, le mie esperienze giovanili nei complessi da appassionato del rock progressive. Il popolare, invece, non lo amavo molto ed è stato più frutto delle insistenze del compianto maestro Domenico Cieri; l’idea poi di eseguirlo non in forma statica ma teatrale ha stimolato la fantasia anche dei ragazzi che hanno cucito una trama attorno alle raffinate elaborazioni di canti popolari di Colacicchi, Di Piazza, Caraba, restando comunque sempre nella sfera della nostra regione. Quanto ti sei cimentato nel ruolo di compositore? E come vedi l’identificazione dei due ruoli di direttore e compositore nella stessa persona? Ho studiato la composizione senza arrivare al diploma. Come compositore partorisco un brano ogni 4-5 anni ma lo studio della materia mi consente comunque di fare operazioni di adeguamento se necessario. Ho rivisitato diverse cose scritte per organici a voci miste tradizionali e le ho adattate ai cori scolastici, notoriamente scarni nelle voci maschili oppure ho azzardato alcuni adattamenti per coro femminile tratti dal repertorio dei King’s singers. Nel ruolo di compositore non mi vedo molto e i primi tempi ero imbarazzato a “concertare” cose mie. Difficilmente propongo brani miei in concerto ma sono sinceramente contento quando i miei cantori mi chiedono di inserire qualcosa. Credo nel coro solidale, nel coro etico, dove si condivide e si mette a disposizione il proprio sapere. x 5 x 10 0 0 5 5 x 10 0 0 5 10 0 0 5 x 1 x 10 0 0 5 x 0005x1 10 0 0 5 R E P 0 0 5 x 10 0 0 0 5 x 10 d e c o v la 0 0 5 x 10 0 0 5 x 10 0 5 x 10 0 0 0 5 x 10 0 0005x1 10 0 0 5 x 1 0 5 x 10 0 0 0 0 0 5 x 10 5 x 10 0 005x1 5 x 10 0 0 0 5 x 10 0 0 0 0 5 x 10 0 0 0 5 x 10 5 x 10 0 0 5 0 0 5 x 10 0 o c r a i n e f i ella n d o e i i z t a p s s So a nell’apposito gno 10 0 0 5 x x 10 0 0 5 x 10 0 0 5 x 1 0005x ste o s l e firm a o t a v riser i t ) i S d P d e A ( r i e l e a d i c e n So dichiarazio ioni di Promozione D, U C e O z C I a N ci delle Asso i nei modelli 730, U ice fiscale: d o c o r t che trov s o n l nco i a fi a o 6 d 1 n 5 0 indica 4 3 04 920 t i . o c r a i n www.fe x 10 0 5 x 10 Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali 33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 83/4 tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 - [email protected] - www.feniarco.it 40 x 5x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x1 0 0 0 1 O 5 C R A I i r N o E c i F e del coro, allora potrebbero registrarsi quei cali di presenza che, per quanto fisiologici, mi danno la misura di un parziale fallimento. Credo che questa sia un’attività talmente bella e privilegiata da tutti i punti di vista, musicale e umano, che continuo dopo anni a non comprendere come mai, su una scuola di 1000 allievi, non siamo almeno il 15-20% coloro che aderiscono al coro. Questo per ciò che riguarda i cori scolastici. Per i cori Musicanova, Eos e Iride, ritengo la varietà un imprescindibile punto di forza; anche se la vocazione sul Rinascimento e sulla musica contemporanea è abbastanza spiccata, è divertente e musicalmente stimolante cimentarsi anche in altro. Nel pop-jazz rivivo, come già detto, le mie esperienze giovanili nei complessi da appassionato del rock progressive. Il popolare, invece, non lo amavo molto ed è stato più frutto delle insistenze del compianto maestro Domenico Cieri; l’idea poi di eseguirlo non in forma statica ma teatrale ha stimolato la fantasia anche dei ragazzi che hanno cucito una trama attorno alle raffinate elaborazioni di canti popolari di Colacicchi, Di Piazza, Caraba, restando comunque sempre nella sfera della nostra regione. Quanto ti sei cimentato nel ruolo di compositore? E come vedi l’identificazione dei due ruoli di direttore e compositore nella stessa persona? Ho studiato la composizione senza arrivare al diploma. Come compositore partorisco un brano ogni 4-5 anni ma lo studio della materia mi consente comunque di fare operazioni di adeguamento se necessario. Ho rivisitato diverse cose scritte per organici a voci miste tradizionali e le ho adattate ai cori scolastici, notoriamente scarni nelle voci maschili oppure ho azzardato alcuni adattamenti per coro femminile tratti dal repertorio dei King’s singers. Nel ruolo di compositore non mi vedo molto e i primi tempi ero imbarazzato a “concertare” cose mie. Difficilmente propongo brani miei in concerto ma sono sinceramente contento quando i miei cantori mi chiedono di inserire qualcosa. Credo nel coro solidale, nel coro etico, dove si condivide e si mette a disposizione il proprio sapere. x 5 x 10 0 0 5 5 x 10 0 0 5 10 0 0 5 x 1 x 10 0 0 5 x 0005x1 10 0 0 5 R E P 0 0 5 x 10 0 0 0 5 x 10 d e c o v la 0 0 5 x 10 0 0 5 x 10 0 5 x 10 0 0 0 5 x 10 0 0005x1 10 0 0 5 x 1 0 5 x 10 0 0 0 0 0 5 x 10 5 x 10 0 005x1 5 x 10 0 0 0 5 x 10 0 0 0 0 5 x 10 0 0 0 5 x 10 5 x 10 0 0 5 0 0 5 x 10 0 o c r a i n e f i ella n d o e i i z t a p s s So a nell’apposito gno 10 0 0 5 x x 10 0 0 5 x 10 0 0 5 x 1 0005x ste o s l e firm a o t a v riser i t ) i S d P d e A ( r i e l e a d i c e n So dichiarazio ioni di Promozione D, U C e O z C I a N ci delle Asso i nei modelli 730, U ice fiscale: d o c o r t che trov s o n l nco i a fi a o 6 d 1 n 5 0 indica 4 3 04 920 t i . o c r a i n www.fe x 10 0 5 x 10 ASSOCIAZIONE un ricco mosaico di voci Salerno Festival raggiunge la quinta edizione dichiarazione di intenti ad alta voce magari ovviare, attraverso uno stratagemma nemmeno troppo fine, a quel blocco dello scrittore capace di inchiodare una persona davanti a un foglio bianco. La mente, tuttavia, va oltre e si sofferma quasi involontariamente a cogliere una analogia (che sia consapevole? casuale? inconscia?). Nell’anno del suo trentennale, Feniarco ha scelto per sé e si è identificata in un motto, «la voce dei cori», nel quale riconosciamo un pensiero, una volontà politica, un orizzonte strategico di grande ambizione: farsi portavoce di un intero mondo, quello corale italiano, che nella federazione può riconoscersi e può trovare un interlocutore autorevole presso le istituzioni. Non a caso, trent’anni fa – e in maniera sempre crescente nel corso degli anni successivi – la coralità italiana ha sentito l’esigenza di fare sistema, di stringersi attorno a un soggetto che fosse in sé unitario, di fondere le proprie singole voci in un’unica voce, quella, appunto, della federazione nazionale. Un processo analogo, per certi aspetti uguale e contrario, seppur su altra scala, è quello che, a mio avviso, possiamo trovare a Salerno Festival. Qui ciascuno dei cori partecipanti può esprimersi utilizzando la propria unica e irripetibile voce; unica e irripetibile così come lo è ogni coro, che arrivando a Salerno porta con sé il proprio bagaglio fatto di repertori musicali, di esperienze, di tradizioni, di legami umani e sociali, di emozioni. A Salerno, questa pluralità di voci può incontrarsi, può confrontarsi e può dialogare sia al suo interno (da coro a coro) che con l’esterno (dal coro al pubblico e, perché no, viceversa), trovando preziose occasioni di crescita; un dialogo basato sull’ascolto reciproco, sulla condivisione, sull’imparare dal confronto con l’altro da sé che, a differenza di quanto troppo spesso si pensa in una società profondamente individualistica e basata sull’affermazione personale, non è un avversario da battere ma un amico con il 43 quale rapportarsi, magari a volte anche scontrarsi, ma dal quale è comunque sempre possibile – e auspicabile, e necessario – trarre beneficio reciproco. A Salerno, le voci dei cori diventano di anno in anno specchio del movimento corale nazionale, dando prova di coesione e rappresentando lo spaccato di una realtà ricca e in espansione, pur diversificata al suo interno ma unitaria nel suo presentarsi all’esterno come un “grande popolo che canta”. A Salerno, da parte sua Feniarco contraccambia i suoi cori – dai quali, per il tramite delle associazioni regionali, riceve mandato a operare – un ricco mosaico di vo di Pier Filippo Rendina Che dire di un festival come quello di Salerno, giunto quest’anno con successo alla sua quinta edizione, un festival che negli anni ha saputo dimostrarsi solido e vincente, mantenendo salda l’ampia partecipazione di cori da tutta Italia e consolidandosi anche grazie alla felice collaborazione organizzativa tra Feniarco e l’Associazione Regionale Cori Campani? Potrei soffermarmi sui numeri, e parlare dei 38 cori iscritti, dei 1200 partecipanti, dei 21 concerti nella città di Salerno, con le sue chiese, i teatri, i palazzi storici, le via caratteristiche del centro storico, e nel territorio circostante, toccando luoghi come Atrani, Napoli, Angri, Nocera Inferiore, Vietri sul Mare. Potrei elencare i repertori eseguiti, e osservare con piacere come in tre giorni si sia potuta ascoltare musica di ogni genere, dalla polifonia sacra a quella profana, dal popolare al gospel (e non me ne abbiano i cultori di qualsivoglia altro repertorio se non mi soffermo a elencarli tutti!). Potrei descrivere, a chi non la conoscesse, la formula di Salerno Festival, un ricco, articolato e cangiante mosaico fatto di concerti aperitivo, concerti pomeridiani e serali, maratone corali, sante messe cantate, ma anche momenti musicali liberi ed estemporanei – quelli che gli amici campani hanno sagacemente battezzato alcune edizioni fa “Frijenn Cantann” o, per dirlo in altre parole, il “canta e fuggi” – e, per la prima volta quest’anno, una suggestiva parata per le vie della città che ha raccolto nel cuore pulsante di Salerno centinaia e centinaia di coristi. O ancora, e qui mi fermo, potrei cercare di trasmettere a chi sfortunatamente non abbia potuto sinora provare questa esperienza, tutto l’entusiasmo e la gioia di vivere da vicino questo grande evento, di vedere come una città bella e accogliente quale è Salerno, ancor più impreziosita dalle scintillanti “luci d’artista”, possa risuonare con il canto nei suoi luoghi più suggestivi, siano essi istituzionali che informali, quando non addirittura “improvvisati”. Potrei fare tutto questo, e con questa mia A Salerno le voci dei cori diventano di anno in anno specchio del movimento corale nazionale. offrendo loro la possibilità di parlare ciascuno la propria “lingua” e di esprimersi, dando così spazio, anzi ancor più rendendo protagoniste, proprio le “voci dei cori”. Voci che parlano di sé e del proprio vissuto, che veicolano messaggi forti, che dimostrano ancora una volta di avere qualcosa di importante da dire. E non lo fanno solo ai primi di novembre a Salerno, lo fanno ogni giorno, in ogni angolo del nostro paese. ASSOCIAZIONE un ricco mosaico di voci Salerno Festival raggiunge la quinta edizione dichiarazione di intenti ad alta voce magari ovviare, attraverso uno stratagemma nemmeno troppo fine, a quel blocco dello scrittore capace di inchiodare una persona davanti a un foglio bianco. La mente, tuttavia, va oltre e si sofferma quasi involontariamente a cogliere una analogia (che sia consapevole? casuale? inconscia?). Nell’anno del suo trentennale, Feniarco ha scelto per sé e si è identificata in un motto, «la voce dei cori», nel quale riconosciamo un pensiero, una volontà politica, un orizzonte strategico di grande ambizione: farsi portavoce di un intero mondo, quello corale italiano, che nella federazione può riconoscersi e può trovare un interlocutore autorevole presso le istituzioni. Non a caso, trent’anni fa – e in maniera sempre crescente nel corso degli anni successivi – la coralità italiana ha sentito l’esigenza di fare sistema, di stringersi attorno a un soggetto che fosse in sé unitario, di fondere le proprie singole voci in un’unica voce, quella, appunto, della federazione nazionale. Un processo analogo, per certi aspetti uguale e contrario, seppur su altra scala, è quello che, a mio avviso, possiamo trovare a Salerno Festival. Qui ciascuno dei cori partecipanti può esprimersi utilizzando la propria unica e irripetibile voce; unica e irripetibile così come lo è ogni coro, che arrivando a Salerno porta con sé il proprio bagaglio fatto di repertori musicali, di esperienze, di tradizioni, di legami umani e sociali, di emozioni. A Salerno, questa pluralità di voci può incontrarsi, può confrontarsi e può dialogare sia al suo interno (da coro a coro) che con l’esterno (dal coro al pubblico e, perché no, viceversa), trovando preziose occasioni di crescita; un dialogo basato sull’ascolto reciproco, sulla condivisione, sull’imparare dal confronto con l’altro da sé che, a differenza di quanto troppo spesso si pensa in una società profondamente individualistica e basata sull’affermazione personale, non è un avversario da battere ma un amico con il 43 quale rapportarsi, magari a volte anche scontrarsi, ma dal quale è comunque sempre possibile – e auspicabile, e necessario – trarre beneficio reciproco. A Salerno, le voci dei cori diventano di anno in anno specchio del movimento corale nazionale, dando prova di coesione e rappresentando lo spaccato di una realtà ricca e in espansione, pur diversificata al suo interno ma unitaria nel suo presentarsi all’esterno come un “grande popolo che canta”. A Salerno, da parte sua Feniarco contraccambia i suoi cori – dai quali, per il tramite delle associazioni regionali, riceve mandato a operare – un ricco mosaico di vo di Pier Filippo Rendina Che dire di un festival come quello di Salerno, giunto quest’anno con successo alla sua quinta edizione, un festival che negli anni ha saputo dimostrarsi solido e vincente, mantenendo salda l’ampia partecipazione di cori da tutta Italia e consolidandosi anche grazie alla felice collaborazione organizzativa tra Feniarco e l’Associazione Regionale Cori Campani? Potrei soffermarmi sui numeri, e parlare dei 38 cori iscritti, dei 1200 partecipanti, dei 21 concerti nella città di Salerno, con le sue chiese, i teatri, i palazzi storici, le via caratteristiche del centro storico, e nel territorio circostante, toccando luoghi come Atrani, Napoli, Angri, Nocera Inferiore, Vietri sul Mare. Potrei elencare i repertori eseguiti, e osservare con piacere come in tre giorni si sia potuta ascoltare musica di ogni genere, dalla polifonia sacra a quella profana, dal popolare al gospel (e non me ne abbiano i cultori di qualsivoglia altro repertorio se non mi soffermo a elencarli tutti!). Potrei descrivere, a chi non la conoscesse, la formula di Salerno Festival, un ricco, articolato e cangiante mosaico fatto di concerti aperitivo, concerti pomeridiani e serali, maratone corali, sante messe cantate, ma anche momenti musicali liberi ed estemporanei – quelli che gli amici campani hanno sagacemente battezzato alcune edizioni fa “Frijenn Cantann” o, per dirlo in altre parole, il “canta e fuggi” – e, per la prima volta quest’anno, una suggestiva parata per le vie della città che ha raccolto nel cuore pulsante di Salerno centinaia e centinaia di coristi. O ancora, e qui mi fermo, potrei cercare di trasmettere a chi sfortunatamente non abbia potuto sinora provare questa esperienza, tutto l’entusiasmo e la gioia di vivere da vicino questo grande evento, di vedere come una città bella e accogliente quale è Salerno, ancor più impreziosita dalle scintillanti “luci d’artista”, possa risuonare con il canto nei suoi luoghi più suggestivi, siano essi istituzionali che informali, quando non addirittura “improvvisati”. Potrei fare tutto questo, e con questa mia A Salerno le voci dei cori diventano di anno in anno specchio del movimento corale nazionale. offrendo loro la possibilità di parlare ciascuno la propria “lingua” e di esprimersi, dando così spazio, anzi ancor più rendendo protagoniste, proprio le “voci dei cori”. Voci che parlano di sé e del proprio vissuto, che veicolano messaggi forti, che dimostrano ancora una volta di avere qualcosa di importante da dire. E non lo fanno solo ai primi di novembre a Salerno, lo fanno ogni giorno, in ogni angolo del nostro paese. 44 Frammenti di note Riflessioni a margine del seminario europeo per giovani compositori (Aosta, 20-27 luglio 2014) di Mattia Culmone Sono ad Aosta, un’altra volta, per trovare nuovi stimoli, per riflettere, analizzare, ascoltare, conoscere e amare, ancora una volta, il mio lavoro di compositore. Ad Aosta non si va solo per un corso di composizione corale, non si va solo per scrivere un pezzo e sentirlo eseguito da un coro quando ancora l’inchiostro è fresco, non si va solo per potersi confrontare con dei giganti del nostro settore, quali Philip Lawson o Vytautas Mis̆kinis. No, ad Aosta si va per crescere, per essere travolti dagli innumerevoli stimoli che le composizioni dei colleghi ci offrono, si va per confrontarsi e fare il punto sulla situazione, per capire dove stiamo andando, e soprattutto per avere la conferma che, sì, anche oggi, ancora nel 2014, servono nuovi compositori, nuovi brani, nuove idee, che non dobbiamo aver paura, che il movimento corale a livello globale continua a crescere e a svilupparsi, e che ha sempre fame di nuove composizioni. Eh sì, in effetti qualcuno potrebbe chiedersi che senso ha continuare a scrivere musica oggi. Tutto è già stato sperimentato, tutto è già stato sentito, eppure c’è chi ancora ha voglia di mettersi in gioco, di provare qualcosa, attraverso la musica, attraverso la voce dei cori, non vergognandosi di utilizzare linguaggi codificati, stilemi di un passato più o meno vicino, modi di comunicazione semplici ed efficaci, seppur non più originali. La risposta che mi sono dato in questi ultimi mesi, e che ha trovato conferma anche qui ad Aosta, è che ogni buona storia vale la pena di essere raccontata. Così ogni buon brano vale la pena di essere scritto, studiato ed eseguito pensando che il momento dell’esecuzione sarà unico e irripetibile, che attraverso la nostra musica potremmo regalare qualche attimo di leggerezza e serenità, potremmo trasportare chi ci ascolta in una dimensione lontana dalla quotidianità, potremmo raccontare una storia, la nostra storia, attraverso la nostra musica, e rendere un po’ più bella e ricca la nostra vita. Dobbiamo tornare a una forma di artigianato musicale prezioso che abbiamo perduto, riscoprendo la capacità di continuare a produrre nuova musica senza la pretesa che sopravviva per i prossimi secoli, che entri a far parte del grande repertorio, ma mantenendo intatta la coscienza e l’onestà di chi ha qualcosa da dire qui, ora, di chi vuole raccontarsi e regalare un’altra emozione. Per fare questo abbiamo bisogno di fare un fronte comune, di creare sinergie fra compositori e direttori, di facilitare l’accesso e l’esecuzione delle nuove musiche. Ma anche di stimolare il rinnovamento, la curiosità, abbiamo bisogno di smetterla di continuare a cantare sempre lo stesso repertorio, di sentire sempre gli stessi programmi, dobbiamo avere il coraggio di cambiare continuamente, di esplorare in tutte le direzioni, sia che si Ad Aosta si va per crescere, per confrontarsi e fare il punto sulla situazione. tratti di musica popolare, o di polifonie elaborate, o di repertorio corale pop. Anche se si fa fatica, anche se è difficile, sono convinto che sia questa la strada giusta per proseguire, per continuare a infondere vita, per dare e ricevere emozioni attraverso le voci dei nostri coristi e le mani dei nostri maestri. feniarco: per treNt’anni la voce dei cori di Efisio Blanc La poetessa Federica D’Amato nella sua raccolta Avere trent’anni si sofferma sullo sconcerto di chi, al termine della giovinezza, si trova davanti alla necessità di un consuntivo. Tutti abbiamo sperimentato l’importanza di quel personalissimo passaggio obbligato verso l’indipendenza, chiamato “linea d’ombra”. Oggi poi è più difficile di ieri avere trent’anni e tutti sappiamo perché. Anche Feniarco ha sentito l’esigenza di fare un consuntivo dopo i suoi primi trent’anni di vita e lo ha fatto con grande partecipazione e con grande entusiasmo celebrando l’evento con il Feniarco Day, il 23 gennaio scorso a palazzo Altan di San Vito al Tagliamento, nella ricorrenza del giorno dell’anniversario di fondazione, e con i festeggiamenti del 10 ottobre 2014 presso la prestigiosa sede del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo a Roma. L’incontro di Roma, che si è tenuto nella splendida cornice della Sala del Consiglio Nazionale del Ministero, è iniziato poco dopo le 15 di venerdì 10 ottobre, dando così avvio ai festeggiamenti ufficiali del trentennale, alla presenza delle cariche istituzionali della federazione. La platea dei presenti rappresentava in pratica l’intera Italia corale: presente la quasi totalità delle associazioni regionali corali a conferma dello spirito di appartenenza dell’intera federazione e dell’importanza della ricorrenza. Era presente anche il presidente della Südtiroler Chorverband, la federazione dei cori di lingua tedesca della provincia di Bolzano, che ha poi preso la parola esprimendo il proprio plauso per quanto Feniarco ha saputo fare in questi anni. È stato il presidente Sante Fornasier a dare il benvenuto a tutti, a presentare le motivazioni che ci vedevano riuniti in quella sede e quindi a sintetizzare, con l’aiuto dei due vicepresidenti, Vicente Pepe e Gianni Vecchiati, quanto Feniarco ha fatto e ha rappresentato per la coralità amatoriale italiana in questi trent’anni. feniar per tren Anche Feniarco ha sentito l’esigenza di fare un consuntivo dopo i suoi primi trent’anni di vita. 44 Frammenti di note Riflessioni a margine del seminario europeo per giovani compositori (Aosta, 20-27 luglio 2014) di Mattia Culmone Sono ad Aosta, un’altra volta, per trovare nuovi stimoli, per riflettere, analizzare, ascoltare, conoscere e amare, ancora una volta, il mio lavoro di compositore. Ad Aosta non si va solo per un corso di composizione corale, non si va solo per scrivere un pezzo e sentirlo eseguito da un coro quando ancora l’inchiostro è fresco, non si va solo per potersi confrontare con dei giganti del nostro settore, quali Philip Lawson o Vytautas Mis̆kinis. No, ad Aosta si va per crescere, per essere travolti dagli innumerevoli stimoli che le composizioni dei colleghi ci offrono, si va per confrontarsi e fare il punto sulla situazione, per capire dove stiamo andando, e soprattutto per avere la conferma che, sì, anche oggi, ancora nel 2014, servono nuovi compositori, nuovi brani, nuove idee, che non dobbiamo aver paura, che il movimento corale a livello globale continua a crescere e a svilupparsi, e che ha sempre fame di nuove composizioni. Eh sì, in effetti qualcuno potrebbe chiedersi che senso ha continuare a scrivere musica oggi. Tutto è già stato sperimentato, tutto è già stato sentito, eppure c’è chi ancora ha voglia di mettersi in gioco, di provare qualcosa, attraverso la musica, attraverso la voce dei cori, non vergognandosi di utilizzare linguaggi codificati, stilemi di un passato più o meno vicino, modi di comunicazione semplici ed efficaci, seppur non più originali. La risposta che mi sono dato in questi ultimi mesi, e che ha trovato conferma anche qui ad Aosta, è che ogni buona storia vale la pena di essere raccontata. Così ogni buon brano vale la pena di essere scritto, studiato ed eseguito pensando che il momento dell’esecuzione sarà unico e irripetibile, che attraverso la nostra musica potremmo regalare qualche attimo di leggerezza e serenità, potremmo trasportare chi ci ascolta in una dimensione lontana dalla quotidianità, potremmo raccontare una storia, la nostra storia, attraverso la nostra musica, e rendere un po’ più bella e ricca la nostra vita. Dobbiamo tornare a una forma di artigianato musicale prezioso che abbiamo perduto, riscoprendo la capacità di continuare a produrre nuova musica senza la pretesa che sopravviva per i prossimi secoli, che entri a far parte del grande repertorio, ma mantenendo intatta la coscienza e l’onestà di chi ha qualcosa da dire qui, ora, di chi vuole raccontarsi e regalare un’altra emozione. Per fare questo abbiamo bisogno di fare un fronte comune, di creare sinergie fra compositori e direttori, di facilitare l’accesso e l’esecuzione delle nuove musiche. Ma anche di stimolare il rinnovamento, la curiosità, abbiamo bisogno di smetterla di continuare a cantare sempre lo stesso repertorio, di sentire sempre gli stessi programmi, dobbiamo avere il coraggio di cambiare continuamente, di esplorare in tutte le direzioni, sia che si Ad Aosta si va per crescere, per confrontarsi e fare il punto sulla situazione. tratti di musica popolare, o di polifonie elaborate, o di repertorio corale pop. Anche se si fa fatica, anche se è difficile, sono convinto che sia questa la strada giusta per proseguire, per continuare a infondere vita, per dare e ricevere emozioni attraverso le voci dei nostri coristi e le mani dei nostri maestri. feniarco: per treNt’anni la voce dei cori di Efisio Blanc La poetessa Federica D’Amato nella sua raccolta Avere trent’anni si sofferma sullo sconcerto di chi, al termine della giovinezza, si trova davanti alla necessità di un consuntivo. Tutti abbiamo sperimentato l’importanza di quel personalissimo passaggio obbligato verso l’indipendenza, chiamato “linea d’ombra”. Oggi poi è più difficile di ieri avere trent’anni e tutti sappiamo perché. Anche Feniarco ha sentito l’esigenza di fare un consuntivo dopo i suoi primi trent’anni di vita e lo ha fatto con grande partecipazione e con grande entusiasmo celebrando l’evento con il Feniarco Day, il 23 gennaio scorso a palazzo Altan di San Vito al Tagliamento, nella ricorrenza del giorno dell’anniversario di fondazione, e con i festeggiamenti del 10 ottobre 2014 presso la prestigiosa sede del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo a Roma. L’incontro di Roma, che si è tenuto nella splendida cornice della Sala del Consiglio Nazionale del Ministero, è iniziato poco dopo le 15 di venerdì 10 ottobre, dando così avvio ai festeggiamenti ufficiali del trentennale, alla presenza delle cariche istituzionali della federazione. La platea dei presenti rappresentava in pratica l’intera Italia corale: presente la quasi totalità delle associazioni regionali corali a conferma dello spirito di appartenenza dell’intera federazione e dell’importanza della ricorrenza. Era presente anche il presidente della Südtiroler Chorverband, la federazione dei cori di lingua tedesca della provincia di Bolzano, che ha poi preso la parola esprimendo il proprio plauso per quanto Feniarco ha saputo fare in questi anni. È stato il presidente Sante Fornasier a dare il benvenuto a tutti, a presentare le motivazioni che ci vedevano riuniti in quella sede e quindi a sintetizzare, con l’aiuto dei due vicepresidenti, Vicente Pepe e Gianni Vecchiati, quanto Feniarco ha fatto e ha rappresentato per la coralità amatoriale italiana in questi trent’anni. feniar per tren Anche Feniarco ha sentito l’esigenza di fare un consuntivo dopo i suoi primi trent’anni di vita. ASSOCIAZIONE 46 Trent’anni sono anche l’età che racchiude giovinezza e maturità, e i festeggiamenti di Roma hanno messo in evidenza come questi due elementi siano particolarmente presenti, oggi, nella federazione nazionale. Da una parte l’enorme sforzo per sostenere la coralità del futuro attraverso un impegno nella formazione dei quadri dirigenti di domani, attraverso molteplici iniziative che coinvolgono giovani e bambini nell’intento di introdurli nel mondo del canto corale e far loro capire quanto questa esperienza sia arricchente; dall’altra la riconosciuta capacità di mettere a frutto una esperienza organizzativa, progettuale e gestionale che probabilmente trent’anni fa nessuno neanche sospettava. La sintesi fatta dalle cariche istituzionali della federazione hanno evidenziato proprio questo: l’impegno per il futuro nei confronti delle giovani generazioni e la capacità di Feniarco nel coordinamento di oltre 2700 cori, nella proposta di progetti a respiro nazionale, nell’autorevolezza di porsi come partner delle altre federazioni europee. Volendo esemplificare questo itinerario trentennale, possiamo citare, per ogni ambito in cui Feniarco ha operato, uno degli elementi che ci pare più significativo. Nell’ambito della formazione ha investito in modo particolare sulle giovani generazioni e sulla scuola istituendo il Festival di Primavera; così pure ha pensato al futuro organizzando corsi per direttori di coro (Accademia Europea per Direttori di Coro di Fano) e corsi per giovani compositori di musica corale (Seminario Europeo per Giovani Compositori di Aosta). Nell’ambito artistico ha promosso e sostiene il Coro Giovanile Italiano; nell’ambito editoriale pubblica Choraliter, una delle riviste del settore più apprezzate in Italia e all’estero ed è casa editrice di diverse collane di musiche corali fra cui i volumi di Giro Giro Canto, le raccolte per i più piccini. Nell’ambito organizzativo si distingue per il successo ottenuto con il Festival Europa Cantat che si è svolto a Torino nel luglio del 2012. Nell’ambito progettuale può vantare di aver ottenuto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il contributo per la realizzazione di ben 12 progetti (fra i quali si ricorda il lavoro di riflessione sul proprio operato con Feniarco: un primo bilancio… sociale). Certo, questi risultati sono il frutto dell’evoluzione che la federazione ha avuto in questi ultimi anni, ma sono anche frutto di coloro che trent’anni or sono hanno creduto nel valore dell’associazionismo, di quelle prime nove associazioni regionali che hanno saputo rinunciare a parte della loro “sovranità” a favore di un bene comune e di quei presidenti Feniarco che si sono succeduti e che con i loro Consigli di Presidenza hanno avuto la capacità di coagulare le forze, di convincere sulla bontà delle proposte, di realizzare quanto le assemblee sovrane deliberavano. Le presenze istituzionali sono state rappresentate dal senatore Albert Lanièce e dall’onorevole Serena Pellegrino, entrambi membri del neonato intergruppo parlamentare Per la musica e sostenitori della proposta di legge “Disposizioni in materia di valorizzazione dell’espressione musicale e artistica nell’istruzione”. Convincente il loro impegno per la valorizzazione del canto corale (il senatore Lanièce è anche direttore di coro) così come sincera la loro ammissione che quanto il Parlamento prevede per la valorizzazione della musica, e in particolare del canto corale, sia del tutto insufficiente, soprattutto per quanto si riferisce a un investimento sulla scuola e sui giovani. L’onorevole Pellegrino ha messo in evidenza quanto un giorno le aveva espresso Sandro Bergamo, oggi direttore di Choraliter: «le risorse economiche che si mettono a disposizione della cultura sono per lo Stato una spesa e non un investimento…» a sottolineare come anche la musica sia considerata alla stregua di qualcosa che “non rende” (forse elettoralmente?) contrariamente alla costruzione di una strada o di una rete fognaria. Entrambi i personaggi politici hanno convenuto sul fatto che il “movimento corale amatoriale”, anche per l’entità della sua diffusione, oltre che per la sua qualità e per le funzioni che svolge, non può essere trascurato dalla pubblica amministrazione, sia a livello territoriale che a livello nazionale. A nome dei pionieri che trent’anni fa hanno deciso di costituire la federazione è poi intervenuto il maestro Franco Monego all’epoca, come oggi, presidente dell’Usci Lombardia. Del suo breve discorso mi ha colpito la partecipazione con la quale ricordava quei momenti di trent’anni fa e la convinzione nell’aver investito sul mondo corale amatoriale, lui che 47 proviene dal mondo accademico, essendo stato per oltre quarant’anni docente di Musica corale e direzione di coro presso il conservatorio di Milano. Altrettanto importanti sono state le testimonianze dei rappresentanti di quegli enti e di quelle associazioni che hanno collaborato e ancora collaborano con Feniarco in questi trent’anni: dalla Federazione Italiana Pueri Cantores al Forum per l’Educazione Musicale, dalla Fondazione Guido d’Arezzo all’Aiscgre. A suggellare quanto fatto da Feniarco, non potevano mancare i riconoscimenti internazionali, rappresentati a Roma dalla presenza del presidente di Europa Cantat, Gábor Móczár, e dal project manager dell’International Federation for Choral Music (ifcm), l’italiano Francesco Leonardi. Entrambi hanno Giovinezza e maturità sono due elementi particolarmente presenti, oggi, nella federazione nazionale. elogiato la federazione corale italiana, sottolineando come in questi ultimi anni essa rappresenti anche un punto di riferimento per la coralità europea e mondiale, sia per le sue capacità progettuali e organizzative, sia per le personalità amministrative e artistiche che la rappresentano in seno agli organismi internazionali. A degna conclusione di questo intenso pomeriggio, il Coro Giovanile Italiano, sotto la direzione del maestro Lorenzo Donati, ha allietato i presenti con un breve momento musicale: un “assaggio” del bellissimo concerto serale che avrebbe poi presentato nella basilica di San Lorenzo in Lucina. ASSOCIAZIONE 46 Trent’anni sono anche l’età che racchiude giovinezza e maturità, e i festeggiamenti di Roma hanno messo in evidenza come questi due elementi siano particolarmente presenti, oggi, nella federazione nazionale. Da una parte l’enorme sforzo per sostenere la coralità del futuro attraverso un impegno nella formazione dei quadri dirigenti di domani, attraverso molteplici iniziative che coinvolgono giovani e bambini nell’intento di introdurli nel mondo del canto corale e far loro capire quanto questa esperienza sia arricchente; dall’altra la riconosciuta capacità di mettere a frutto una esperienza organizzativa, progettuale e gestionale che probabilmente trent’anni fa nessuno neanche sospettava. La sintesi fatta dalle cariche istituzionali della federazione hanno evidenziato proprio questo: l’impegno per il futuro nei confronti delle giovani generazioni e la capacità di Feniarco nel coordinamento di oltre 2700 cori, nella proposta di progetti a respiro nazionale, nell’autorevolezza di porsi come partner delle altre federazioni europee. Volendo esemplificare questo itinerario trentennale, possiamo citare, per ogni ambito in cui Feniarco ha operato, uno degli elementi che ci pare più significativo. Nell’ambito della formazione ha investito in modo particolare sulle giovani generazioni e sulla scuola istituendo il Festival di Primavera; così pure ha pensato al futuro organizzando corsi per direttori di coro (Accademia Europea per Direttori di Coro di Fano) e corsi per giovani compositori di musica corale (Seminario Europeo per Giovani Compositori di Aosta). Nell’ambito artistico ha promosso e sostiene il Coro Giovanile Italiano; nell’ambito editoriale pubblica Choraliter, una delle riviste del settore più apprezzate in Italia e all’estero ed è casa editrice di diverse collane di musiche corali fra cui i volumi di Giro Giro Canto, le raccolte per i più piccini. Nell’ambito organizzativo si distingue per il successo ottenuto con il Festival Europa Cantat che si è svolto a Torino nel luglio del 2012. Nell’ambito progettuale può vantare di aver ottenuto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il contributo per la realizzazione di ben 12 progetti (fra i quali si ricorda il lavoro di riflessione sul proprio operato con Feniarco: un primo bilancio… sociale). Certo, questi risultati sono il frutto dell’evoluzione che la federazione ha avuto in questi ultimi anni, ma sono anche frutto di coloro che trent’anni or sono hanno creduto nel valore dell’associazionismo, di quelle prime nove associazioni regionali che hanno saputo rinunciare a parte della loro “sovranità” a favore di un bene comune e di quei presidenti Feniarco che si sono succeduti e che con i loro Consigli di Presidenza hanno avuto la capacità di coagulare le forze, di convincere sulla bontà delle proposte, di realizzare quanto le assemblee sovrane deliberavano. Le presenze istituzionali sono state rappresentate dal senatore Albert Lanièce e dall’onorevole Serena Pellegrino, entrambi membri del neonato intergruppo parlamentare Per la musica e sostenitori della proposta di legge “Disposizioni in materia di valorizzazione dell’espressione musicale e artistica nell’istruzione”. Convincente il loro impegno per la valorizzazione del canto corale (il senatore Lanièce è anche direttore di coro) così come sincera la loro ammissione che quanto il Parlamento prevede per la valorizzazione della musica, e in particolare del canto corale, sia del tutto insufficiente, soprattutto per quanto si riferisce a un investimento sulla scuola e sui giovani. L’onorevole Pellegrino ha messo in evidenza quanto un giorno le aveva espresso Sandro Bergamo, oggi direttore di Choraliter: «le risorse economiche che si mettono a disposizione della cultura sono per lo Stato una spesa e non un investimento…» a sottolineare come anche la musica sia considerata alla stregua di qualcosa che “non rende” (forse elettoralmente?) contrariamente alla costruzione di una strada o di una rete fognaria. Entrambi i personaggi politici hanno convenuto sul fatto che il “movimento corale amatoriale”, anche per l’entità della sua diffusione, oltre che per la sua qualità e per le funzioni che svolge, non può essere trascurato dalla pubblica amministrazione, sia a livello territoriale che a livello nazionale. A nome dei pionieri che trent’anni fa hanno deciso di costituire la federazione è poi intervenuto il maestro Franco Monego all’epoca, come oggi, presidente dell’Usci Lombardia. Del suo breve discorso mi ha colpito la partecipazione con la quale ricordava quei momenti di trent’anni fa e la convinzione nell’aver investito sul mondo corale amatoriale, lui che 47 proviene dal mondo accademico, essendo stato per oltre quarant’anni docente di Musica corale e direzione di coro presso il conservatorio di Milano. Altrettanto importanti sono state le testimonianze dei rappresentanti di quegli enti e di quelle associazioni che hanno collaborato e ancora collaborano con Feniarco in questi trent’anni: dalla Federazione Italiana Pueri Cantores al Forum per l’Educazione Musicale, dalla Fondazione Guido d’Arezzo all’Aiscgre. A suggellare quanto fatto da Feniarco, non potevano mancare i riconoscimenti internazionali, rappresentati a Roma dalla presenza del presidente di Europa Cantat, Gábor Móczár, e dal project manager dell’International Federation for Choral Music (ifcm), l’italiano Francesco Leonardi. Entrambi hanno Giovinezza e maturità sono due elementi particolarmente presenti, oggi, nella federazione nazionale. elogiato la federazione corale italiana, sottolineando come in questi ultimi anni essa rappresenti anche un punto di riferimento per la coralità europea e mondiale, sia per le sue capacità progettuali e organizzative, sia per le personalità amministrative e artistiche che la rappresentano in seno agli organismi internazionali. A degna conclusione di questo intenso pomeriggio, il Coro Giovanile Italiano, sotto la direzione del maestro Lorenzo Donati, ha allietato i presenti con un breve momento musicale: un “assaggio” del bellissimo concerto serale che avrebbe poi presentato nella basilica di San Lorenzo in Lucina. ASSOCIAZIONE 48 49 ORGOGLIOSI DI QUESTA REALTÀ Assemblea Feniarco a Roma L’Europa corale si incontra a Barcellona Diario di viaggio dall’assemblea ECA - Europa Cantat di Giorgio Morandi di Gianni Vecchiati Di solito un’assemblea Feniarco comincia con una serena e gioiosa compagnia di almeno una trentina di persone che ti accolgono con amicizia: grandi sorrisi, saluti sonori, strette di mano, abbracci… A Roma lo scorso 11 ottobre no: la vera e propria introduzione all’assemblea autunnale Feniarco 2014 questa volta è stata completamente diversa, ancora più speciale del solito. Il Convegno per il trentennale Feniarco che ha avuto luogo presso il mibact (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) il giorno 10 ottobre (e di cui viene data relazione in altro articolo della presente rivista) è stato un’eccezionale introduzione che ha creato la giusta e bella atmosfera. Voglio ricordare che l’atmosfera è ciò che da sempre caratterizza subito l’ambiente Feniarco, in ogni circostanza. È un’atmosfera che allo stesso tempo trae origine ed è causa della parte sostanziale, cioè dell’attività che dalla federazione viene programmata e realizzata. La misura di questa è stata amplificata nell’entusiasmo incrollabile del presidente Fornasier che nel condurre l’assemblea questa volta era sostenuto – giustamente – anche dalla soddisfazione (nonostante alcune assordanti assenze tra i rappresentanti delle Istituzioni) per il convegno del trentennale appena svolto. Quasi quasi potrebbe sembrare che tutta questa festa per i trent’anni della federazione abbia tolto qualcosa all’importanza dell’assemblea che si è svolta in meno di quattro ore presso la Casa Salesiana del Sacro Cuore (a Roma). Ma può – in qualsiasi modo – essere “meno importante” un’assemblea che si presenta con ben 14 punti all’ordine del giorno, dove si parla di valutazione delle iniziative del 2014, di programmi per il 2015, grandi progetti (Coro Lab e Expo 2015…), dove si promuovono attività internazionali quali il Festival Europa Cantat xix 2015 a Pécs (Ungheria) e il concorso Internazionale per Direttori di Coro di Torino 2015? E restano ancora da ricordare i patrocini e premi per quattro concorsi internazionali, cinque concorsi nazionali, tre concorsi regionali, festival e rassegne internazionali e nazionali (ben sei!) e una decina di eventi fra corsi, seminari, concorsi di composizione e altre manifestazioni. Non essendo opportuno e non volendo doppiare quello che sarà il verbale dell’assemblea che a tempo opportuno sarà consegnato agli aventi diritto e – quindi – sarà proposto all’approvazione della prossima assemblea primaverile che avrà luogo il 14 e 15 marzo 2015 a Campobasso, non resta che ricordare almeno uno degli aspetti più volte sottolineato dal presidente: diversi organi internazionali e nazionali hanno testimoniato esplicitamente il buon lavoro svolto dalla federazione… anche a livello “diplomatico” tramite contatti personali ed epistolari, azioni che, anche in tempo di crisi come quella che perdura quest’anno, hanno portato a buoni risultati concreti anche dal punto di vista del sostegno finanziario ricevuto. E come dimenticare – sia pure telegraficamente – almeno alcuni degli auguri, dei riconoscimenti e degli inviti del presidente? «Abbiamo bisogno di nuove energie creative: cerchiamo in loco i giovani»; «Apprezziamo i grandi risultati artistici, il livello di professionalità raggiunto e, insieme, lo spirito del Coro Giovanile Italiano che ha concluso la sua fase di attività»; «Facciamo i nostri auguri di buon lavoro alla rinnovata Commissione Artistica»; «Auspichiamo la partecipazione di almeno dieci cori italiani al festival Europa Cantat di Pécs dove sarà presente anche il nuovo Coro Giovanile Italiano»; «Quello che siamo l’abbiamo costruito con la passione di tutti, con la passione della federazione e con l’apporto di un eccezionale staff giovanile»; «La scuola è terreno da coltivare; non pensiamo soltanto ai nostri iscritti… Apriamoci!»; «Cantare è sacrificio, ma anche grande opportunità per i nostri cantori»; «Sostenere le eccellenze va bene, ma la federazione deve seguire anche l’ultimo dei cori…»; e per finire… il Presidente ci invita e ci incoraggia tutti: «Siate orgogliosi di questa realtà» e augura: «lo spirito dei trent’anni ci accompagni per il futuro». Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di poter partecipare alle annuali assemblee di Europa Cantat: San Sebastian, Namur, Sofia, Tolosa, Torino, e con piacere ho potuto poi leggerne l’interessante “diario di viaggio” negli articoli di Giorgio Morandi. Quest’anno la sua assenza, dovuta al grave lutto che lo ha privato dell’affetto più caro, avrebbe lasciato i fedeli lettori di Choraliter senza l’atteso resoconto, per cui proverò a farne le veci. Barcellona ci accoglie con temperature settembrine, nonostante sia il 21 novembre, e dopo una passeggiata pomeridiana sulla Rambla con puntata al mercato della Boqueria, attrazione ed esperienza imperdibile per chi visita la città, eccoci al Palau de la Música Catalana, dove ogni delegazione procede a registrarsi. È così anche per la rappresentanza Feniarco, composta dal presidente Sante Fornasier, Vicente Pepe, Marco Fornasier e il sottoscritto, accolta con la solita cordialità e amicizia. Dopo i saluti di rito, il keynote speech – discorso che stabilisce filo conduttore dei successivi momenti dell’assemblea – è affidato Brendan Walsh, musicista e consulente di numerose organizzazioni culturali, che riporta alcune sue esperienze su «come coinvolgere attivamente il nostro pubblico in quanto facciamo e amiamo? Quanti cori riescono realmente a uscire dal circolo di amici e familiari?». La sua ricetta è che occorre “osare”: osare creatività per uscire dalla routine, osare nuovi e inusuali luoghi per le esibizioni, osare coinvolgere persone che condividano i valori del nostro impegno. Come da programma, ci trasferiamo poi nell’auditorium del Petit Palau per “entrare in contatto” con la musica catalana. La Coral Sant Jordi e il Cor Jove Nacional de Catalunya accolgono le delegazioni dei ventinove paesi europei partecipanti, presentando un programma che spazia dal Rinascimento al Contemporaneo spagnolo; entrambe le formazioni offrono esecuzioni di qualità, ma la selezione giovanile catalana mi regala sicuramente maggiori emozioni. La cena al ristorante del Palau conclude la prima giornata dei lavori e la convivialità favorisce come sempre nuove conoscenze e scambi di esperienze. Il giorno seguente, i tempi stretti a disposizione fanno sì che l’Assemblea inizi alle 9; il presidente di European Choral Association - Europa Cantat, Gábor Móczár, rinnova il benvenuto ai convenuti e ringrazia il Moviment Coral Català per l’organizzazione e l’ospitalità. La mattinata scorre veloce tra l’approvazione condivisa dei bilanci, relazioni e interventi. Si percepisce la soddisfazione per quanto fatto, ma è tangibile la preoccupazione per il futuro: la crisi colpisce anche le istituzioni europee e impone riflessioni e scelte, è grande l’attesa per l’approvazione da parte della Commissione Europea del progetto “Choral Upgrade in Europe”, 14 partners e 12 paesi coinvolti, che solo potrà garantire a ECA - Europa Feniarco ha saputo guadagnarsi negli anni stima e rispetto nell’ampio consesso europeo. Cantat le necessarie risorse a quattro anni di nuove iniziative. Il tempo di uno spuntino e ci si avvia al Conservatori Superior del Liceu per la seduta pomeridiana, che si apre con le conclusioni sul progetto europeo voice, giunto ormai a termine, e di cui ha in parte beneficiato Feniarco per l’organizzazione dell’indimenticabile festival di Torino 2012. L’intermezzo musicale è affidato al Cor Infantil Amics de la Uniò che riesce a coinvolgere ed entusiasmare il pubblico con un vero e proprio spettacolo fatto di canti spazializzati e ASSOCIAZIONE 48 49 ORGOGLIOSI DI QUESTA REALTÀ Assemblea Feniarco a Roma L’Europa corale si incontra a Barcellona Diario di viaggio dall’assemblea ECA - Europa Cantat di Giorgio Morandi di Gianni Vecchiati Di solito un’assemblea Feniarco comincia con una serena e gioiosa compagnia di almeno una trentina di persone che ti accolgono con amicizia: grandi sorrisi, saluti sonori, strette di mano, abbracci… A Roma lo scorso 11 ottobre no: la vera e propria introduzione all’assemblea autunnale Feniarco 2014 questa volta è stata completamente diversa, ancora più speciale del solito. Il Convegno per il trentennale Feniarco che ha avuto luogo presso il mibact (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo) il giorno 10 ottobre (e di cui viene data relazione in altro articolo della presente rivista) è stato un’eccezionale introduzione che ha creato la giusta e bella atmosfera. Voglio ricordare che l’atmosfera è ciò che da sempre caratterizza subito l’ambiente Feniarco, in ogni circostanza. È un’atmosfera che allo stesso tempo trae origine ed è causa della parte sostanziale, cioè dell’attività che dalla federazione viene programmata e realizzata. La misura di questa è stata amplificata nell’entusiasmo incrollabile del presidente Fornasier che nel condurre l’assemblea questa volta era sostenuto – giustamente – anche dalla soddisfazione (nonostante alcune assordanti assenze tra i rappresentanti delle Istituzioni) per il convegno del trentennale appena svolto. Quasi quasi potrebbe sembrare che tutta questa festa per i trent’anni della federazione abbia tolto qualcosa all’importanza dell’assemblea che si è svolta in meno di quattro ore presso la Casa Salesiana del Sacro Cuore (a Roma). Ma può – in qualsiasi modo – essere “meno importante” un’assemblea che si presenta con ben 14 punti all’ordine del giorno, dove si parla di valutazione delle iniziative del 2014, di programmi per il 2015, grandi progetti (Coro Lab e Expo 2015…), dove si promuovono attività internazionali quali il Festival Europa Cantat xix 2015 a Pécs (Ungheria) e il concorso Internazionale per Direttori di Coro di Torino 2015? E restano ancora da ricordare i patrocini e premi per quattro concorsi internazionali, cinque concorsi nazionali, tre concorsi regionali, festival e rassegne internazionali e nazionali (ben sei!) e una decina di eventi fra corsi, seminari, concorsi di composizione e altre manifestazioni. Non essendo opportuno e non volendo doppiare quello che sarà il verbale dell’assemblea che a tempo opportuno sarà consegnato agli aventi diritto e – quindi – sarà proposto all’approvazione della prossima assemblea primaverile che avrà luogo il 14 e 15 marzo 2015 a Campobasso, non resta che ricordare almeno uno degli aspetti più volte sottolineato dal presidente: diversi organi internazionali e nazionali hanno testimoniato esplicitamente il buon lavoro svolto dalla federazione… anche a livello “diplomatico” tramite contatti personali ed epistolari, azioni che, anche in tempo di crisi come quella che perdura quest’anno, hanno portato a buoni risultati concreti anche dal punto di vista del sostegno finanziario ricevuto. E come dimenticare – sia pure telegraficamente – almeno alcuni degli auguri, dei riconoscimenti e degli inviti del presidente? «Abbiamo bisogno di nuove energie creative: cerchiamo in loco i giovani»; «Apprezziamo i grandi risultati artistici, il livello di professionalità raggiunto e, insieme, lo spirito del Coro Giovanile Italiano che ha concluso la sua fase di attività»; «Facciamo i nostri auguri di buon lavoro alla rinnovata Commissione Artistica»; «Auspichiamo la partecipazione di almeno dieci cori italiani al festival Europa Cantat di Pécs dove sarà presente anche il nuovo Coro Giovanile Italiano»; «Quello che siamo l’abbiamo costruito con la passione di tutti, con la passione della federazione e con l’apporto di un eccezionale staff giovanile»; «La scuola è terreno da coltivare; non pensiamo soltanto ai nostri iscritti… Apriamoci!»; «Cantare è sacrificio, ma anche grande opportunità per i nostri cantori»; «Sostenere le eccellenze va bene, ma la federazione deve seguire anche l’ultimo dei cori…»; e per finire… il Presidente ci invita e ci incoraggia tutti: «Siate orgogliosi di questa realtà» e augura: «lo spirito dei trent’anni ci accompagni per il futuro». Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di poter partecipare alle annuali assemblee di Europa Cantat: San Sebastian, Namur, Sofia, Tolosa, Torino, e con piacere ho potuto poi leggerne l’interessante “diario di viaggio” negli articoli di Giorgio Morandi. Quest’anno la sua assenza, dovuta al grave lutto che lo ha privato dell’affetto più caro, avrebbe lasciato i fedeli lettori di Choraliter senza l’atteso resoconto, per cui proverò a farne le veci. Barcellona ci accoglie con temperature settembrine, nonostante sia il 21 novembre, e dopo una passeggiata pomeridiana sulla Rambla con puntata al mercato della Boqueria, attrazione ed esperienza imperdibile per chi visita la città, eccoci al Palau de la Música Catalana, dove ogni delegazione procede a registrarsi. È così anche per la rappresentanza Feniarco, composta dal presidente Sante Fornasier, Vicente Pepe, Marco Fornasier e il sottoscritto, accolta con la solita cordialità e amicizia. Dopo i saluti di rito, il keynote speech – discorso che stabilisce filo conduttore dei successivi momenti dell’assemblea – è affidato Brendan Walsh, musicista e consulente di numerose organizzazioni culturali, che riporta alcune sue esperienze su «come coinvolgere attivamente il nostro pubblico in quanto facciamo e amiamo? Quanti cori riescono realmente a uscire dal circolo di amici e familiari?». La sua ricetta è che occorre “osare”: osare creatività per uscire dalla routine, osare nuovi e inusuali luoghi per le esibizioni, osare coinvolgere persone che condividano i valori del nostro impegno. Come da programma, ci trasferiamo poi nell’auditorium del Petit Palau per “entrare in contatto” con la musica catalana. La Coral Sant Jordi e il Cor Jove Nacional de Catalunya accolgono le delegazioni dei ventinove paesi europei partecipanti, presentando un programma che spazia dal Rinascimento al Contemporaneo spagnolo; entrambe le formazioni offrono esecuzioni di qualità, ma la selezione giovanile catalana mi regala sicuramente maggiori emozioni. La cena al ristorante del Palau conclude la prima giornata dei lavori e la convivialità favorisce come sempre nuove conoscenze e scambi di esperienze. Il giorno seguente, i tempi stretti a disposizione fanno sì che l’Assemblea inizi alle 9; il presidente di European Choral Association - Europa Cantat, Gábor Móczár, rinnova il benvenuto ai convenuti e ringrazia il Moviment Coral Català per l’organizzazione e l’ospitalità. La mattinata scorre veloce tra l’approvazione condivisa dei bilanci, relazioni e interventi. Si percepisce la soddisfazione per quanto fatto, ma è tangibile la preoccupazione per il futuro: la crisi colpisce anche le istituzioni europee e impone riflessioni e scelte, è grande l’attesa per l’approvazione da parte della Commissione Europea del progetto “Choral Upgrade in Europe”, 14 partners e 12 paesi coinvolti, che solo potrà garantire a ECA - Europa Feniarco ha saputo guadagnarsi negli anni stima e rispetto nell’ampio consesso europeo. Cantat le necessarie risorse a quattro anni di nuove iniziative. Il tempo di uno spuntino e ci si avvia al Conservatori Superior del Liceu per la seduta pomeridiana, che si apre con le conclusioni sul progetto europeo voice, giunto ormai a termine, e di cui ha in parte beneficiato Feniarco per l’organizzazione dell’indimenticabile festival di Torino 2012. L’intermezzo musicale è affidato al Cor Infantil Amics de la Uniò che riesce a coinvolgere ed entusiasmare il pubblico con un vero e proprio spettacolo fatto di canti spazializzati e 50 movimenti dal sincronismo perfetto. Che peccato dover interrompere per rientrare in aula! Ci si divide per le diverse sessioni: “Open singing come strumento per l’audience development” (processo strategico e dinamico di allargamento e diversificazione del pubblico e di miglioramento delle condizioni complessive di fruizione) con Michael Gohl, guida di tutti gli open singing del festival torinese e di innumerevoli altre manifestazioni; “Audience development oltre il mondo corale” con Arpad Toth, “una nuova visione sull’Eurochoir”. E poi ancora, a seguire, gruppi aperti di lavoro sulle strategie di inserimento (tutti possono cantare, ma siamo sicuri che poi realmente accada?), cori giovanili regionali e nazionali, brainstorming o giro di idee sul futuro, associazioni di cori giovanili e di bambini, l’economia dell’organizzazione corale (riduzione del sostegno pubblico, nuove e positive esperienze per il supporto finanziario dei cori). Le ultime ore trascorrono velocemente tra scambi di idee, ma soprattutto domande. Non ci si consola nel vedere che i problemi di casa nostra sono gli stessi del nostro “vicino”, né è vero che mal comune sia mezzo gaudio. Il mondo corale non si rassegna alle avversità del momento e il confronto può offrire “l’idea o la strategia” giuste per risultare vincenti. La partecipazione attiva al gruppo dimostra ancora una volta quanta vitalità animi i convenuti a Barcellona. E alla fine, dopo una giornata così intensa e interessante, cosa c’è di meglio di un buon concerto! Si ritorna al Petit Palau e sono di scena (è il caso di dirlo) il Cor de Teatre, in una divertente esibizione corale rappresentata comicamente, che raccoglie la standing ovation del pubblico, e la Coral del Scic – l’insieme dei cori del Secretariat de Corals Infantils de Catalunya. La cena conclude la due giorni, tra i saluti e la promessa di ritrovarci nuovamente fra un anno a Helsinky. Non saprei dire quante sensazioni, emozioni, riflessioni animano ognuno di noi dopo questa nuova esperienza, forse non riesco a descrivere nemmeno le mie: la bellezza della città, in questa occasione vista giusto negli spostamenti tra una sede e l’altra, e del tempio della musica capolavoro del modernismo catalano; le voci ascoltate nelle pregevoli esecuzioni corali, giusto intermezzo alle ore di parole… in inglese, e lo sforzo di comprenderne il significato per quanto possibile; le preoccupazioni raccolte per il momento economico e “culturale” che l’Europa tutta attraversa e su come questo influisca sulle attività corali; la conseguente spinta a ricercare nuove espressioni, nuove energie e sinergie; la sorpresa poi di essere accolti e “registrati” da Giulia, una universitaria italiana priva di ogni precedente esperienza corale, in stage di tre mesi nella sede di Europa Cantat a Bonn grazie a una convenzione con l’Università di Bologna. E poi ancora il rispetto goduto da Feniarco in un così ampio consesso europeo; stima e apprezzamento generali che la federazione ha saputo guadagnarsi negli anni con l’impegno e il lavoro, testimoniati dai festival di Primavera, di Salerno, Alpe Adria, di Torino 2012, quest’ultimo menzionato e ricordato più volte in assemblea, sicuramente con una punta di nostalgia; dalla splendida rivista Choraliter, unica nel suo genere nel panorama europeo; dalla presenza nel Board di Europa Cantat di Sante Fornasier, conclusasi con il triennio di europa cantat EUROPA CANTAT XIX Hungary, Pécs 2015 24 July - 2 August Il mondo corale non si rassegna alle avversità del momento. presidenza e oggi con la vicepresidenza di Carlo Pavese. E allora, con una punta di italico orgoglio, mi viene spontaneo pensare che perlomeno nel campo corale i compiti a casa gli italiani li hanno saputi fare… da tempo e bene. Dopo il successo del Festival di T RIN , il Festival Europa Cantat ritorna a PÉCS! Ti aspetta il Festival corale più vivace d’Europa! Lo scorso 21 novembre è mancata all’affetto dei suoi cari Andreina, moglie del nostro redattore Giorgio Morandi. Feniarco e la redazione di Choraliter si uniscono in questo triste momento per esprimere a Giorgio tutto l’affetto e la stima del mondo corale italiano. Il programma e la lista degli atelier si trovano sul sito www.ecpecs2015.hu, per avere la versione cartacea scrivete all’indirizzo email info@ecpecs2015. HUNGARY enjoy the quality Emberi Erőforrások Minisztériuma 50 movimenti dal sincronismo perfetto. Che peccato dover interrompere per rientrare in aula! Ci si divide per le diverse sessioni: “Open singing come strumento per l’audience development” (processo strategico e dinamico di allargamento e diversificazione del pubblico e di miglioramento delle condizioni complessive di fruizione) con Michael Gohl, guida di tutti gli open singing del festival torinese e di innumerevoli altre manifestazioni; “Audience development oltre il mondo corale” con Arpad Toth, “una nuova visione sull’Eurochoir”. E poi ancora, a seguire, gruppi aperti di lavoro sulle strategie di inserimento (tutti possono cantare, ma siamo sicuri che poi realmente accada?), cori giovanili regionali e nazionali, brainstorming o giro di idee sul futuro, associazioni di cori giovanili e di bambini, l’economia dell’organizzazione corale (riduzione del sostegno pubblico, nuove e positive esperienze per il supporto finanziario dei cori). Le ultime ore trascorrono velocemente tra scambi di idee, ma soprattutto domande. Non ci si consola nel vedere che i problemi di casa nostra sono gli stessi del nostro “vicino”, né è vero che mal comune sia mezzo gaudio. Il mondo corale non si rassegna alle avversità del momento e il confronto può offrire “l’idea o la strategia” giuste per risultare vincenti. La partecipazione attiva al gruppo dimostra ancora una volta quanta vitalità animi i convenuti a Barcellona. E alla fine, dopo una giornata così intensa e interessante, cosa c’è di meglio di un buon concerto! Si ritorna al Petit Palau e sono di scena (è il caso di dirlo) il Cor de Teatre, in una divertente esibizione corale rappresentata comicamente, che raccoglie la standing ovation del pubblico, e la Coral del Scic – l’insieme dei cori del Secretariat de Corals Infantils de Catalunya. La cena conclude la due giorni, tra i saluti e la promessa di ritrovarci nuovamente fra un anno a Helsinky. Non saprei dire quante sensazioni, emozioni, riflessioni animano ognuno di noi dopo questa nuova esperienza, forse non riesco a descrivere nemmeno le mie: la bellezza della città, in questa occasione vista giusto negli spostamenti tra una sede e l’altra, e del tempio della musica capolavoro del modernismo catalano; le voci ascoltate nelle pregevoli esecuzioni corali, giusto intermezzo alle ore di parole… in inglese, e lo sforzo di comprenderne il significato per quanto possibile; le preoccupazioni raccolte per il momento economico e “culturale” che l’Europa tutta attraversa e su come questo influisca sulle attività corali; la conseguente spinta a ricercare nuove espressioni, nuove energie e sinergie; la sorpresa poi di essere accolti e “registrati” da Giulia, una universitaria italiana priva di ogni precedente esperienza corale, in stage di tre mesi nella sede di Europa Cantat a Bonn grazie a una convenzione con l’Università di Bologna. E poi ancora il rispetto goduto da Feniarco in un così ampio consesso europeo; stima e apprezzamento generali che la federazione ha saputo guadagnarsi negli anni con l’impegno e il lavoro, testimoniati dai festival di Primavera, di Salerno, Alpe Adria, di Torino 2012, quest’ultimo menzionato e ricordato più volte in assemblea, sicuramente con una punta di nostalgia; dalla splendida rivista Choraliter, unica nel suo genere nel panorama europeo; dalla presenza nel Board di Europa Cantat di Sante Fornasier, conclusasi con il triennio di europa cantat EUROPA CANTAT XIX Hungary, Pécs 2015 24 July - 2 August Il mondo corale non si rassegna alle avversità del momento. presidenza e oggi con la vicepresidenza di Carlo Pavese. E allora, con una punta di italico orgoglio, mi viene spontaneo pensare che perlomeno nel campo corale i compiti a casa gli italiani li hanno saputi fare… da tempo e bene. Dopo il successo del Festival di T RIN , il Festival Europa Cantat ritorna a PÉCS! Ti aspetta il Festival corale più vivace d’Europa! Lo scorso 21 novembre è mancata all’affetto dei suoi cari Andreina, moglie del nostro redattore Giorgio Morandi. Feniarco e la redazione di Choraliter si uniscono in questo triste momento per esprimere a Giorgio tutto l’affetto e la stima del mondo corale italiano. Il programma e la lista degli atelier si trovano sul sito www.ecpecs2015.hu, per avere la versione cartacea scrivete all’indirizzo email info@ecpecs2015. HUNGARY enjoy the quality Emberi Erőforrások Minisztériuma CRONACA 52 POLIFONICO DI AREZZO: UNA TRADIZIONE CHE SCOMMETTE SUL FUTURO Dalla prossima edizione concorso nazionale e internazionale in periodi diversi di Rossana Paliaga Sedici cori partecipanti al 62° concorso internazionale, provenienze molto varie (Croazia, Estonia, Francia, Indonesia, Italia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna, Ungheria e Ucraina), alta qualità e interessanti rivelazioni hanno confermato il rilancio del Polifonico di Arezzo, concorso storico che inizia a raccogliere i frutti di una gestione che cerca la via del futuro di una lunga tradizione. È stata un’edizione intensa, per gli organizzatori non semplice da molti punti di vista. Al di là delle emozioni di una grande gara che si preannunciava tale fin dal programma, all’adrenalina della competizione si è aggiunta inaspettatamente anche quella di inquietudini politiche e umane con le quali la storia ha fatto irruzione nell’isola felice della festa corale. La tensione trattenuta durante le varie fasi della competizione dai coristi ucraini, raggiunti dalle notizie sempre più preoccupanti che in quel periodo arrivavano dal loro paese e tangibili in tutte le fasi del concorso, è esplosa durante la rassegna di musica popolare con un fuori programma nel quale i coristi hanno sentito la necessità di spiegare il proprio disagio, che si è spontaneamente riversato nella commossa intonazione dell’inno nazionale a lato del palco, tra l’abbraccio del pubblico umanamente partecipe e il disagio derivato dalla condivisione diretta di una situazione che fino a quel momento era stata vissuta da molti soltanto attraverso la prudente distanza di schermi televisivi e pagine dei giornali. È stata una scossa che ha costretto organizzatori e partecipanti ad assumere il peso e il significato di messaggi che vanno al di là della competizione corale e ha messo alla prova nei fatti tutte le dichiarazioni di solidarietà e fratellanza che nascono spontaneamente in queste occasioni dall’incontro di persone con vissuti, anche politici e sociali, diversi. La vittoria assoluta di un magnifico coro, l’Oreya di Z̆itomir, dato comunque per favorito da chiunque abbia già avuto modo di conoscere il suo virtuosismo semiprofessionale in altri concorsi, ha così segnato e caratterizzato questa edizione del Polifonico anche oltre l’evento musicale, provocando una riflessione più ampia sul significato profondo di questi confronti internazionali. Gli Oreya non hanno lasciato molte possibilità agli altri cori, portando a casa oltre al Grand Prix anche i primi premi in tutte le categorie alle quali hanno partecipato: programma romantico, programma contemporaneo, gruppi misti, popolare e libero (premio del pubblico). I coristi di Alexander Vatsek sono certamente il gruppo che nessun partecipante vorrebbe incontrare nella propria categoria. Questo coro è uno strumento estremamente sensibile che reagisce con sorprendente capacità di “accelerazione” al minimo gesto, su un’estensione dinamica invidiabilmente ampia ed equilibrata a Conservare le radici è fondamentale, ma c’è bisogno di linfa nuova. ogni livello. La sezione maschile è eccezionale, l’omogeneità dell’ensemble totale. È stata un vero spettacolo l’esibizione nel programma romantico e la magia del suono ha conquistato il pubblico anche del programma contemporaneo. Provando a resistere al fascino del grandioso effetto estetico, emergerebbe il loro punto debole, ovvero la libertà dell’approccio: gli Oreya non sono infatti sempre fedelissimi alla partitura. La loro si potrebbe definire piuttosto come fede nella musica, una religione del suono e della bellezza che anche in questo caso ha colpito nel segno in modo assolutamente unico. La giuria del concorso internazionale, composta da Peter Broadbent, Javier Busto, Luigi Ciuffa, Stojan Kuret, Giovanni Conti, Fabiana Noro e Luigi Marzola, ha avuto il piacere e l’onere di valutare le esibizioni di un’edizione veramente speciale che ha potuto finalmente festeggiare il risultato di un numero di richieste di partecipazione che da molto tempo non si registrava così numeroso. Nel regolamento del concorso la novità di maggiore rilievo è stato il ripristino del brano d’obbligo, richiesto dal 99% delle persone che l’anno scorso hanno partecipato al sondaggio proposto dal concorso su questo tema. Sono stati scelti i brani Lieti fior di Costanzo Festa per i gruppi vocali, Qui laudat Dominum di Hans Leo Hassler per le voci pari, Sagittae potentis acutae di Palestrina per le voci miste. Un gruppo estone e uno francese si sono giocati con gli Oreya la possibilità di conquistare il Grand Prix. La direttrice Ingrid Korvits ha confermato la propria competitività con il gruppo femminile giovanile della scuola superiore di musica di Tallinn, caratterizzato da chiarezza di esposizione e precisione (da segnalare una magnifica interpretazione dell’Ave Maria di Holst), flessibilità vocale, agilità, un bel ventaglio dinamico e smalto sonoro, caratteristiche invidiabili che hanno permesso al coro di ottenere ottimi piazzamenti in tutte le categorie, con un primo premio nelle voci pari. È entrato a sorpresa nella rosa dei candidati al premio più ambito anche un altro complesso femminile, il coro Métaphore del conservatorio di Grenoble, gruppo di grande carattere anche se con qualche durezza, poca compattezza sonora e diverse approssimazioni interpretative, ma che non ha lasciato indifferenti con un bel temperamento e un risultato che ha valorizzato il lavoro della direttrice Maud Hamon-Loisance, che è stata insignita del premio come miglior direttore (quest’anno sarà nuovamente tra i docenti del Festival di Primavera a Montecatini). Merita una menzione particolare la Schola Cantorum Sopianensis di Pécs, coro di grande tradizione diretto da un musicista di grande esperienza come Valér Jobbágy che ha 53 esordito con un bel suono e chiarezza di struttura nella difficile sfida della polifonia rinascimentale con grande organico, confermando in seguito di essere un complesso di grande solidità, con il pregio di un suono omogeneo, delicatezza e vivacità di espressione. Nel concorso internazionale ha offerto ascolti interessanti anche la categoria dei gruppi vocali. Il giovane gruppo misto croato Cappella Odak si è dimostrato vocalmente educato, ma avrebbe potuto aspirare a risultati migliori se non si fosse autolimitato in esecuzioni che hanno messo la sordina a colore e volume del suono. La gara ha coinvolto principalmente due ottimi gruppi vocali sloveni, il sestetto misto Ingenium e il quartetto femminile Gallina, con un notevole vantaggio a favore del primo che ha conquistato la vittoria con il maggior punteggio assoluto di tutte le categorie (per regolamento il risultato non ha dato tuttavia la possibilità di concorrere al Grand Prix in quanto il numero di componenti del gruppo è inferiore a dodici). Morbidezza del suono, musicalità, adesione al testo e capacità di differenziare le caratteristiche stilistiche dei brani, professionalità e sicurezza nell’esibizione sono gli assi nella manica di questo gruppo dalle interessanti prospettive che ha inoltre ampiamente meritato il primo premio nel programma rinascimentale per l’ottimo equilibrio delle voci, l’evidenziazione delle dinamiche interne di brani molto diversi tra di loro, il senso della misura, la vivacità dell’espressione. Il rinascimento è il campo nel quale i gruppi vocali possono avere una marcia in più e gli Ingenium lo hanno dimostrato sbaragliando una concorrenza piuttosto agguerrita. Il gruppo da camera spagnolo Alterum La 31ª edizione del concorso polifonico nazionale si è svolta nel segno del trentennale di Feniarco. Cor di Valladolid si è armato del suono vivace e robusto che lo contraddistingue e di un buon programma (Guerrero, Morales, De Ribera), ma non ha mantenuto la giusta costanza nella tensione interpretativa, seguendo la direzione un po’ frettolosa di Valentin Benavides che ha continuato a spingere il coro verso una corsa poco attenta ai dettagli anche nel repertorio romantico e contemporaneo. Una comprensibile emozione ha tradito invece il gruppo Gallina, penalizzando le coriste con qualche instabilità vocale nella prima prova (stare in quattro davanti alla giuria di un simile concorso è tutt’altro che facile). Le ragazze, che si sono affidate alla direzione artistica di Ana Erc̆ulj, hanno fatto una scelta strategica controcorrente per un gruppo vocale di dimensioni così ridotte, evitando nelle categorie per periodi storici sia il rinascimento che il contemporaneo e scegliendo il romanticismo. Se è vero che questo repertorio ha prodotto CRONACA 52 POLIFONICO DI AREZZO: UNA TRADIZIONE CHE SCOMMETTE SUL FUTURO Dalla prossima edizione concorso nazionale e internazionale in periodi diversi di Rossana Paliaga Sedici cori partecipanti al 62° concorso internazionale, provenienze molto varie (Croazia, Estonia, Francia, Indonesia, Italia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna, Ungheria e Ucraina), alta qualità e interessanti rivelazioni hanno confermato il rilancio del Polifonico di Arezzo, concorso storico che inizia a raccogliere i frutti di una gestione che cerca la via del futuro di una lunga tradizione. È stata un’edizione intensa, per gli organizzatori non semplice da molti punti di vista. Al di là delle emozioni di una grande gara che si preannunciava tale fin dal programma, all’adrenalina della competizione si è aggiunta inaspettatamente anche quella di inquietudini politiche e umane con le quali la storia ha fatto irruzione nell’isola felice della festa corale. La tensione trattenuta durante le varie fasi della competizione dai coristi ucraini, raggiunti dalle notizie sempre più preoccupanti che in quel periodo arrivavano dal loro paese e tangibili in tutte le fasi del concorso, è esplosa durante la rassegna di musica popolare con un fuori programma nel quale i coristi hanno sentito la necessità di spiegare il proprio disagio, che si è spontaneamente riversato nella commossa intonazione dell’inno nazionale a lato del palco, tra l’abbraccio del pubblico umanamente partecipe e il disagio derivato dalla condivisione diretta di una situazione che fino a quel momento era stata vissuta da molti soltanto attraverso la prudente distanza di schermi televisivi e pagine dei giornali. È stata una scossa che ha costretto organizzatori e partecipanti ad assumere il peso e il significato di messaggi che vanno al di là della competizione corale e ha messo alla prova nei fatti tutte le dichiarazioni di solidarietà e fratellanza che nascono spontaneamente in queste occasioni dall’incontro di persone con vissuti, anche politici e sociali, diversi. La vittoria assoluta di un magnifico coro, l’Oreya di Z̆itomir, dato comunque per favorito da chiunque abbia già avuto modo di conoscere il suo virtuosismo semiprofessionale in altri concorsi, ha così segnato e caratterizzato questa edizione del Polifonico anche oltre l’evento musicale, provocando una riflessione più ampia sul significato profondo di questi confronti internazionali. Gli Oreya non hanno lasciato molte possibilità agli altri cori, portando a casa oltre al Grand Prix anche i primi premi in tutte le categorie alle quali hanno partecipato: programma romantico, programma contemporaneo, gruppi misti, popolare e libero (premio del pubblico). I coristi di Alexander Vatsek sono certamente il gruppo che nessun partecipante vorrebbe incontrare nella propria categoria. Questo coro è uno strumento estremamente sensibile che reagisce con sorprendente capacità di “accelerazione” al minimo gesto, su un’estensione dinamica invidiabilmente ampia ed equilibrata a Conservare le radici è fondamentale, ma c’è bisogno di linfa nuova. ogni livello. La sezione maschile è eccezionale, l’omogeneità dell’ensemble totale. È stata un vero spettacolo l’esibizione nel programma romantico e la magia del suono ha conquistato il pubblico anche del programma contemporaneo. Provando a resistere al fascino del grandioso effetto estetico, emergerebbe il loro punto debole, ovvero la libertà dell’approccio: gli Oreya non sono infatti sempre fedelissimi alla partitura. La loro si potrebbe definire piuttosto come fede nella musica, una religione del suono e della bellezza che anche in questo caso ha colpito nel segno in modo assolutamente unico. La giuria del concorso internazionale, composta da Peter Broadbent, Javier Busto, Luigi Ciuffa, Stojan Kuret, Giovanni Conti, Fabiana Noro e Luigi Marzola, ha avuto il piacere e l’onere di valutare le esibizioni di un’edizione veramente speciale che ha potuto finalmente festeggiare il risultato di un numero di richieste di partecipazione che da molto tempo non si registrava così numeroso. Nel regolamento del concorso la novità di maggiore rilievo è stato il ripristino del brano d’obbligo, richiesto dal 99% delle persone che l’anno scorso hanno partecipato al sondaggio proposto dal concorso su questo tema. Sono stati scelti i brani Lieti fior di Costanzo Festa per i gruppi vocali, Qui laudat Dominum di Hans Leo Hassler per le voci pari, Sagittae potentis acutae di Palestrina per le voci miste. Un gruppo estone e uno francese si sono giocati con gli Oreya la possibilità di conquistare il Grand Prix. La direttrice Ingrid Korvits ha confermato la propria competitività con il gruppo femminile giovanile della scuola superiore di musica di Tallinn, caratterizzato da chiarezza di esposizione e precisione (da segnalare una magnifica interpretazione dell’Ave Maria di Holst), flessibilità vocale, agilità, un bel ventaglio dinamico e smalto sonoro, caratteristiche invidiabili che hanno permesso al coro di ottenere ottimi piazzamenti in tutte le categorie, con un primo premio nelle voci pari. È entrato a sorpresa nella rosa dei candidati al premio più ambito anche un altro complesso femminile, il coro Métaphore del conservatorio di Grenoble, gruppo di grande carattere anche se con qualche durezza, poca compattezza sonora e diverse approssimazioni interpretative, ma che non ha lasciato indifferenti con un bel temperamento e un risultato che ha valorizzato il lavoro della direttrice Maud Hamon-Loisance, che è stata insignita del premio come miglior direttore (quest’anno sarà nuovamente tra i docenti del Festival di Primavera a Montecatini). Merita una menzione particolare la Schola Cantorum Sopianensis di Pécs, coro di grande tradizione diretto da un musicista di grande esperienza come Valér Jobbágy che ha 53 esordito con un bel suono e chiarezza di struttura nella difficile sfida della polifonia rinascimentale con grande organico, confermando in seguito di essere un complesso di grande solidità, con il pregio di un suono omogeneo, delicatezza e vivacità di espressione. Nel concorso internazionale ha offerto ascolti interessanti anche la categoria dei gruppi vocali. Il giovane gruppo misto croato Cappella Odak si è dimostrato vocalmente educato, ma avrebbe potuto aspirare a risultati migliori se non si fosse autolimitato in esecuzioni che hanno messo la sordina a colore e volume del suono. La gara ha coinvolto principalmente due ottimi gruppi vocali sloveni, il sestetto misto Ingenium e il quartetto femminile Gallina, con un notevole vantaggio a favore del primo che ha conquistato la vittoria con il maggior punteggio assoluto di tutte le categorie (per regolamento il risultato non ha dato tuttavia la possibilità di concorrere al Grand Prix in quanto il numero di componenti del gruppo è inferiore a dodici). Morbidezza del suono, musicalità, adesione al testo e capacità di differenziare le caratteristiche stilistiche dei brani, professionalità e sicurezza nell’esibizione sono gli assi nella manica di questo gruppo dalle interessanti prospettive che ha inoltre ampiamente meritato il primo premio nel programma rinascimentale per l’ottimo equilibrio delle voci, l’evidenziazione delle dinamiche interne di brani molto diversi tra di loro, il senso della misura, la vivacità dell’espressione. Il rinascimento è il campo nel quale i gruppi vocali possono avere una marcia in più e gli Ingenium lo hanno dimostrato sbaragliando una concorrenza piuttosto agguerrita. Il gruppo da camera spagnolo Alterum La 31ª edizione del concorso polifonico nazionale si è svolta nel segno del trentennale di Feniarco. Cor di Valladolid si è armato del suono vivace e robusto che lo contraddistingue e di un buon programma (Guerrero, Morales, De Ribera), ma non ha mantenuto la giusta costanza nella tensione interpretativa, seguendo la direzione un po’ frettolosa di Valentin Benavides che ha continuato a spingere il coro verso una corsa poco attenta ai dettagli anche nel repertorio romantico e contemporaneo. Una comprensibile emozione ha tradito invece il gruppo Gallina, penalizzando le coriste con qualche instabilità vocale nella prima prova (stare in quattro davanti alla giuria di un simile concorso è tutt’altro che facile). Le ragazze, che si sono affidate alla direzione artistica di Ana Erc̆ulj, hanno fatto una scelta strategica controcorrente per un gruppo vocale di dimensioni così ridotte, evitando nelle categorie per periodi storici sia il rinascimento che il contemporaneo e scegliendo il romanticismo. Se è vero che questo repertorio ha prodotto CRONACA 54 oltre agli effetti delle grandi masse corali anche splendidi e numerosi esempi di intimità cameristica, appare altrettanto idealistico poter mettere a confronto le due dimensioni nello stesso contesto. Il respiro ampio e profondo del romanticismo ha evidenziato alcune sproporzioni interne al gruppo e legate alla non perfetta compatibilità delle voci, ma la scelta non si è rivelata errata, dato che il quartetto si è piazzato al secondo posto, dopo gli Oreya. La categoria dei cori di voci bianche e giovanili ha avuto soltanto due partecipanti, ma capaci di offrire lo spettacolo di una buona competizione con esibizioni molto valide. Dalla scuola corale estone di Musamari ha portato un nuovo esempio di lavoro serio e professionale in campo corale il coro di voci bianche diretto da Tiina Mee che con la grande consapevolezza espressa dalle coriste ha conquistato un secondo premio ex aequo con l’approccio altrettanto professionale del coro Gloria di Z̆itomir in Ucraina, diretto dalla rigorosa Natalija Klimenko. CONCORSO POLIFONICO INTERNAZIONALE 2014 Risultati Premio speciale per il miglior direttore sez. 2-3-4-5 cat. B: Maud Hamon-Loisance, coro Métaphores (Francia) sezione 2 / cori misti 1° premio: Oreya - Zhytomyr (Ucraina) 2° premio: Paragita Student Choir of Universitas Indonesia - Depok (Indonesia) 3° premio: Schola Cantorum Sopianensis - Pécs (Ungheria) sezione 3 / gruppi vocali 1° premio: Ingenium Ensemble - Ljubljana (Slovenia) 2° premio: Gallina Vocal Group - Ljubljana (Slovenia) 3° premio: Paragita Student Choir of Universitas Indonesia - Depok (Indonesia) Il concorso nazionale si è svolto brevemente, con la partecipazione di cinque cori che in mattinata si sono esibiti nelle due categorie competitive (adulti in vari organici e cori di voci bianche) e nel pomeriggio hanno ricevuto le relative valutazioni. Fabrizio Barchi ha portato il coro femminile Eos sul podio, conquistando il primo premio. Festa, Kocsár e Scattolin sono stati gli assi del programma teso tra rinascimento e Novecento, preparato con cura e interpretato all’interno della sonorità controllata e delicata che costituisce la dimensione caratteristica di questo gruppo che ha il pregio della trasparenza e della precisione, ma con poche vibrazioni emotive. Concentrate e attente al gesto del direttore, le coriste romane sono state competitive anche nel concorso internazionale, dove si sono dimostrate all’altezza della prova grazie a un buon programma e un’interpretazione meditata. Nel nazionale le Eos si sono laureate con l’onore di un buon distacco dal secondo classificato, il coro Lux Harmonica di Benedetta Nofri (ottimo esempio dei risultati ottenuti dalla sezione 6 / rassegna per periodi storici Periodo storico A: Ingenium Ensemble (Slovenia) Periodo storico B: premio speciale non assegnato Periodo storico C: Oreya (Ucraina) Periodo storico D: Oreya (Ucraina) sezione 7 / arezzo colors’ prize festival Premio speciale: Oreya (Ucraina) sezione 8 / festival di canto popolare Premio speciale: Oreya (Ucraina) Gran Premio Città Di Arezzo Oreya (Ucraina) CONCORSO POLIFONICO NAZIONALE 2014 Risultati sezione 4 / cori a voci pari 1° premio: Youth Choir Of Tallinn Music High School Tallinn (Estonia) 2° premio: Métaphores, Female Choir of the Conservatoire - Grenoble (Francia) 3° premio ex aequo: Coro Femminile “Francesco Sandi” Feltre (Italia); Coro Femminile Eos - Roma (Italia) sezione 5 / cori a voci bianche 1° premio: non assegnato 2° premio ex aequo: Children’s Choir of Musamari Choral School (Estonia); Children’s Choir Gloria (Ucraina) Categoria B - Polifonia Sez. 1 Cori misti, maschili, femminili, gruppi vocali 1° premio: Coro Femminile Eos 2° premio: Lux Harmonica 3° premio: Coro femminile Francesco Sandi Sez. 2 Cori di voci bianche o giovanili 1° premio: Coro di voci bianche Carminis Cantores 2° premio: non assegnato 3° premio: Coro Piccole Note scuola di direzione aretina) che ha mostrato i pregi e i limiti di una formazione da camera con qualche squilibrio vocale ma una buona ed espressiva aderenza al testo. Si sono classificate terze, ma non sono passate inosservate, le ragazze del coro Francesco Sandi di Feltre, bella rivelazione del concorso sia nel nazionale che nell’internazionale (con una prova ancora più convincente nel secondo). L’ottimo riscontro è stato per il giovane coro (fondato nel 2011) un grande incoraggiamento, come ha rivelato al termine del concorso la direttrice Maria Canton: «Il Polifonico è un concorso al quale ho sempre desiderato partecipare e la preparazione a un evento così importante ha dato grande motivazione e uno slancio speciale alle coriste, con un effetto immediato nella qualità delle prove. Il nostro scopo non era vincere, ma cantare al meglio delle nostre possibilità. Per noi è stata una grande emozione ed è come aver vinto. La cosa nuova per noi è stata cantare musica antica, ovvero il brano d’obbligo, ma abbiamo scoperto che ci piace moltissimo!». I due gruppi femminili italiani hanno conquistato un ottimo terzo posto ex aequo nelle voci pari del concorso internazionale. Le ragazze dell’Eos si sono distinte inoltre con idee valide e ben esposte nella categoria storica rinascimentale e con un buon programma nel contemporaneo (Kostianien, Holst, Nystedt) che sono valsi in entrambi i casi due significativi terzi premi. Sono stati soltanto due i partecipanti della categoria per cori di voci bianche, tra i quali il primo premio è stato assegnato ai Carminis Cantores di Ennio Bertolotti (Puegnago del Garda), che hanno vinto anche il premio Feniarco con un bel volume sonoro e una notevole pulizia dell’unisono su un programma scelto con prudenza. Il secondo premio non è stato assegnato, ma il coro Piccole Note diretto da Benedetta Nofri merita oltre al terzo premio anche la lode per le belle scelte di repertorio che fanno sperimentare ai bambini esperienze nuove e insolite. Il ricco corredo del concorso sono state come sempre l’introduzione con le masterclass e le esibizioni degli allievi 55 della scuola superiore per direttori di coro ma anche le serate concertistiche del Guidoneum festival. Per la serata inaugurale del concorso è stato scelto l’abbinamento del coro residente Vox Cordis di Lorenzo Donati alla voce e all’entusiasmo di Frate Alessandro Brustenghi d’Assisi in un programma dedicato alla memoria di Domenico Bartolucci, mentre le serate all’aperto sono state animate dalle note pop e ironiche del gruppo vocale Anonima Armonisti di Roma. La 31ª edizione del concorso polifonico nazionale si è svolta nel segno del trentennale di Feniarco con una tavola rotonda e un concerto realizzato in collaborazione con l’associazione regionale dei cori toscani. Come sottolineato dal direttore artistico del concorso Piero Caraba, «Feniarco nasce ad Arezzo, era un omaggio dovuto. Abbiamo aperto con una tavola rotonda sull’anniversario per parlare del lavoro di Feniarco, della condivisione di un ideale, della storia della federazione e del suo rapporto con il concorso, ma anche molto concretamente del desiderio di intensificare il rapporto con la Fondazione. In questa occasione abbiamo stabilito di affidare a Feniarco la medaglia della Presidenza della Repubblica Italiana. È stata una riunione importante per consolidare il partenariato e la collaborazione fattiva sul piano del concorso nazionale». Come già confermato anche dal presidente della Fondazione Carlo Pedini, il concorso nazionale dal prossimo anno non si svolgerà in concomitanza con l’internazionale e verrà spostato al mese di novembre. Il Polifonico è un concorso che vuole crescere: quest’anno è stato sottoposto al pubblico un questionario con la richiesta Il Polifonico di Arezzo inizia a raccogliere i frutti di una gestione che cerca la via del futuro di una lunga tradizione. di suggerimenti per le prossime edizioni, perché possa diventare sempre più una manifestazione a misura delle aspettative dei suoi fruitori. Tra le novità del prossimo anno è stata annunciata anche una sezione sul tema dei brani legati alla Grande Guerra (ai quali quest’anno è stata dedicata una mostra). Non è passata inosservata però nemmeno la notizia del ritorno alla sede storica del Teatro Petrarca, atteso da lunghissimo tempo. Termina così «l’errare del Polifonico tra Pieve, Badia, San Francesco e Sant’Ignazio», come ha ribadito l’assessore alla cultura Pasquale Giuseppe Macrì, sempre molto partecipe agli sviluppi del Polifonico: «Il canto mantiene alta la tradizione di civiltà che ci distingue. Questa direzione ha realizzato il disegno affidatole tre anni fa: conservare le radici è fondamentale, ma c’è bisogno di linfa nuova, solo in questo modo si può parlare di sviluppo». CRONACA 54 oltre agli effetti delle grandi masse corali anche splendidi e numerosi esempi di intimità cameristica, appare altrettanto idealistico poter mettere a confronto le due dimensioni nello stesso contesto. Il respiro ampio e profondo del romanticismo ha evidenziato alcune sproporzioni interne al gruppo e legate alla non perfetta compatibilità delle voci, ma la scelta non si è rivelata errata, dato che il quartetto si è piazzato al secondo posto, dopo gli Oreya. La categoria dei cori di voci bianche e giovanili ha avuto soltanto due partecipanti, ma capaci di offrire lo spettacolo di una buona competizione con esibizioni molto valide. Dalla scuola corale estone di Musamari ha portato un nuovo esempio di lavoro serio e professionale in campo corale il coro di voci bianche diretto da Tiina Mee che con la grande consapevolezza espressa dalle coriste ha conquistato un secondo premio ex aequo con l’approccio altrettanto professionale del coro Gloria di Z̆itomir in Ucraina, diretto dalla rigorosa Natalija Klimenko. CONCORSO POLIFONICO INTERNAZIONALE 2014 Risultati Premio speciale per il miglior direttore sez. 2-3-4-5 cat. B: Maud Hamon-Loisance, coro Métaphores (Francia) sezione 2 / cori misti 1° premio: Oreya - Zhytomyr (Ucraina) 2° premio: Paragita Student Choir of Universitas Indonesia - Depok (Indonesia) 3° premio: Schola Cantorum Sopianensis - Pécs (Ungheria) sezione 3 / gruppi vocali 1° premio: Ingenium Ensemble - Ljubljana (Slovenia) 2° premio: Gallina Vocal Group - Ljubljana (Slovenia) 3° premio: Paragita Student Choir of Universitas Indonesia - Depok (Indonesia) Il concorso nazionale si è svolto brevemente, con la partecipazione di cinque cori che in mattinata si sono esibiti nelle due categorie competitive (adulti in vari organici e cori di voci bianche) e nel pomeriggio hanno ricevuto le relative valutazioni. Fabrizio Barchi ha portato il coro femminile Eos sul podio, conquistando il primo premio. Festa, Kocsár e Scattolin sono stati gli assi del programma teso tra rinascimento e Novecento, preparato con cura e interpretato all’interno della sonorità controllata e delicata che costituisce la dimensione caratteristica di questo gruppo che ha il pregio della trasparenza e della precisione, ma con poche vibrazioni emotive. Concentrate e attente al gesto del direttore, le coriste romane sono state competitive anche nel concorso internazionale, dove si sono dimostrate all’altezza della prova grazie a un buon programma e un’interpretazione meditata. Nel nazionale le Eos si sono laureate con l’onore di un buon distacco dal secondo classificato, il coro Lux Harmonica di Benedetta Nofri (ottimo esempio dei risultati ottenuti dalla sezione 6 / rassegna per periodi storici Periodo storico A: Ingenium Ensemble (Slovenia) Periodo storico B: premio speciale non assegnato Periodo storico C: Oreya (Ucraina) Periodo storico D: Oreya (Ucraina) sezione 7 / arezzo colors’ prize festival Premio speciale: Oreya (Ucraina) sezione 8 / festival di canto popolare Premio speciale: Oreya (Ucraina) Gran Premio Città Di Arezzo Oreya (Ucraina) CONCORSO POLIFONICO NAZIONALE 2014 Risultati sezione 4 / cori a voci pari 1° premio: Youth Choir Of Tallinn Music High School Tallinn (Estonia) 2° premio: Métaphores, Female Choir of the Conservatoire - Grenoble (Francia) 3° premio ex aequo: Coro Femminile “Francesco Sandi” Feltre (Italia); Coro Femminile Eos - Roma (Italia) sezione 5 / cori a voci bianche 1° premio: non assegnato 2° premio ex aequo: Children’s Choir of Musamari Choral School (Estonia); Children’s Choir Gloria (Ucraina) Categoria B - Polifonia Sez. 1 Cori misti, maschili, femminili, gruppi vocali 1° premio: Coro Femminile Eos 2° premio: Lux Harmonica 3° premio: Coro femminile Francesco Sandi Sez. 2 Cori di voci bianche o giovanili 1° premio: Coro di voci bianche Carminis Cantores 2° premio: non assegnato 3° premio: Coro Piccole Note scuola di direzione aretina) che ha mostrato i pregi e i limiti di una formazione da camera con qualche squilibrio vocale ma una buona ed espressiva aderenza al testo. Si sono classificate terze, ma non sono passate inosservate, le ragazze del coro Francesco Sandi di Feltre, bella rivelazione del concorso sia nel nazionale che nell’internazionale (con una prova ancora più convincente nel secondo). L’ottimo riscontro è stato per il giovane coro (fondato nel 2011) un grande incoraggiamento, come ha rivelato al termine del concorso la direttrice Maria Canton: «Il Polifonico è un concorso al quale ho sempre desiderato partecipare e la preparazione a un evento così importante ha dato grande motivazione e uno slancio speciale alle coriste, con un effetto immediato nella qualità delle prove. Il nostro scopo non era vincere, ma cantare al meglio delle nostre possibilità. Per noi è stata una grande emozione ed è come aver vinto. La cosa nuova per noi è stata cantare musica antica, ovvero il brano d’obbligo, ma abbiamo scoperto che ci piace moltissimo!». I due gruppi femminili italiani hanno conquistato un ottimo terzo posto ex aequo nelle voci pari del concorso internazionale. Le ragazze dell’Eos si sono distinte inoltre con idee valide e ben esposte nella categoria storica rinascimentale e con un buon programma nel contemporaneo (Kostianien, Holst, Nystedt) che sono valsi in entrambi i casi due significativi terzi premi. Sono stati soltanto due i partecipanti della categoria per cori di voci bianche, tra i quali il primo premio è stato assegnato ai Carminis Cantores di Ennio Bertolotti (Puegnago del Garda), che hanno vinto anche il premio Feniarco con un bel volume sonoro e una notevole pulizia dell’unisono su un programma scelto con prudenza. Il secondo premio non è stato assegnato, ma il coro Piccole Note diretto da Benedetta Nofri merita oltre al terzo premio anche la lode per le belle scelte di repertorio che fanno sperimentare ai bambini esperienze nuove e insolite. Il ricco corredo del concorso sono state come sempre l’introduzione con le masterclass e le esibizioni degli allievi 55 della scuola superiore per direttori di coro ma anche le serate concertistiche del Guidoneum festival. Per la serata inaugurale del concorso è stato scelto l’abbinamento del coro residente Vox Cordis di Lorenzo Donati alla voce e all’entusiasmo di Frate Alessandro Brustenghi d’Assisi in un programma dedicato alla memoria di Domenico Bartolucci, mentre le serate all’aperto sono state animate dalle note pop e ironiche del gruppo vocale Anonima Armonisti di Roma. La 31ª edizione del concorso polifonico nazionale si è svolta nel segno del trentennale di Feniarco con una tavola rotonda e un concerto realizzato in collaborazione con l’associazione regionale dei cori toscani. Come sottolineato dal direttore artistico del concorso Piero Caraba, «Feniarco nasce ad Arezzo, era un omaggio dovuto. Abbiamo aperto con una tavola rotonda sull’anniversario per parlare del lavoro di Feniarco, della condivisione di un ideale, della storia della federazione e del suo rapporto con il concorso, ma anche molto concretamente del desiderio di intensificare il rapporto con la Fondazione. In questa occasione abbiamo stabilito di affidare a Feniarco la medaglia della Presidenza della Repubblica Italiana. È stata una riunione importante per consolidare il partenariato e la collaborazione fattiva sul piano del concorso nazionale». Come già confermato anche dal presidente della Fondazione Carlo Pedini, il concorso nazionale dal prossimo anno non si svolgerà in concomitanza con l’internazionale e verrà spostato al mese di novembre. Il Polifonico è un concorso che vuole crescere: quest’anno è stato sottoposto al pubblico un questionario con la richiesta Il Polifonico di Arezzo inizia a raccogliere i frutti di una gestione che cerca la via del futuro di una lunga tradizione. di suggerimenti per le prossime edizioni, perché possa diventare sempre più una manifestazione a misura delle aspettative dei suoi fruitori. Tra le novità del prossimo anno è stata annunciata anche una sezione sul tema dei brani legati alla Grande Guerra (ai quali quest’anno è stata dedicata una mostra). Non è passata inosservata però nemmeno la notizia del ritorno alla sede storica del Teatro Petrarca, atteso da lunghissimo tempo. Termina così «l’errare del Polifonico tra Pieve, Badia, San Francesco e Sant’Ignazio», come ha ribadito l’assessore alla cultura Pasquale Giuseppe Macrì, sempre molto partecipe agli sviluppi del Polifonico: «Il canto mantiene alta la tradizione di civiltà che ci distingue. Questa direzione ha realizzato il disegno affidatole tre anni fa: conservare le radici è fondamentale, ma c’è bisogno di linfa nuova, solo in questo modo si può parlare di sviluppo». CRONACA 57 QUANDO LA SFIDA È UN’ESIGENZA IL CONCORSO INTERNAZIONALE BÉLA BARTÓK A DEBRECEN di Rossana Paliaga Nella mappa del Gran Premio Europeo è uno dei due baluardi orientali, al limite della vasta pianura pannonica, in un angolo d’Europa tra i confini di Romania e Ucraina. Il concorso Béla Bartók di Debrecen riflette nel carattere la propria posizione geografica (e storica) con caratteristiche esclusive nell’ambito degli altri concorsi della rete: il carattere internazionale e al tempo stesso la distanza creata da una lingua votata a percorsi poco permeabili, la necessità di una formalità di tradizione e lo slancio di momenti in cui la musica è soprattutto incontro, l’interesse per la creazione di contatti all’esterno e la ferma volontà di affermare soprattutto la grande cultura musicale e corale autoctona con una valorizzazione a tutto tondo della musica di autori ungheresi, compito che il concorso ha assunto fin dall’intitolazione. Se partecipare ai concorsi internazionali significa anche entrare a stretto contatto con la cultura e la mentalità del paese ospitante, Debrecen è il luogo ideale. L’attaccamento alla tradizione, il rispetto per gli autori nazionali, la conoscenza della propria letteratura corale e dei criteri esecutivi costituiscono una competenza e un valore tangibilmente condiviso. Tutte le categorie comprendono un brano d’obbligo, rigorosamente di autore ungherese (quest’anno Bartók, Szőnyi, Petrovics, Selmeczi, Orbán, Csemiczky, Vajda) e i cori ungheresi partecipanti presentano programmi che soltanto occasionalmente si discostano dal repertorio nazionale. La seconda caratteristica evidente del concorso è il suo retaggio storico e culturale che si riflette nell’impronta riconoscibile data dagli organizzatori, ovvero l’immagine di una manifestazione che pone la coralità amatoriale in un contesto e in una considerazione che annullano i confini con l’ambito professionale. A Debrecen non ci si chiede quale sia la differenza tra coro amatoriale e professionale; è infatti l’unico dei concorsi della rete ad accogliere anche gruppi di professionisti, perché la sfida imposta dal regolamento li mette sullo stesso piano. Qui i brani che vengono presentati con frequenza in altri contesti competitivi sono il punto di partenza, oltretutto poco o per niente frequentato, perché il concorso di Debrecen, votato esclusivamente alla musica contemporanea scritta dopo la morte di Bartók, è una competizione che richiede la sfida del virtuosismo esecutivo. Aumenta così anche la responsabilità e l’impegno richiesto alla giuria che quest’anno ha alternato nelle categorie i nomi eccellenti di Gary Graden, Javier Busto, Ko Matsushita, Martina Batic̆, del giovane ma già affermatissimo direttore estone Janis Liepins, dell’italiano Felix Resch, inoltre Gyula Fekete, Zsuzsanna Gráf, Zsolt Lászlóffy e Kálmán Strausz a custodi del patrimonio ungherese che, costituendo una parte molto consistente dei brani proposti, necessita di conoscitori specifici a livello di lingua e stile. Il concorso inizia e finisce con un concerto di grande respiro che propone brani in prima esecuzione o grandi opere sinfonico corali (commissionati per l’occasione) rivolti alla valorizzazione di autori nazionali. I tre giorni di competizione sono uno spettacolo di virtuosismo e professionalità del quale i cori partecipanti sono i protagonisti assoluti: sembrano sottolinearlo i pannelli con le grandi foto dei cori e dei membri della giuria che accolgono il visitatore nel centro A Debrecen non ci si chiede quale sia la differenza tra coro amatoriale e professionale. polifunzionale Kőlcsey, dove si svolgono sia i concerti che la competizione, nel grande auditorium che garantisce la perfetta focalizzazione delle esecuzioni. Il concorso non prevede categorie basate sul programma, ma soltanto sull’organico. In ogni categoria (cori giovanili, voci pari, gruppi vocali e cori misti) i gruppi partecipanti possono cimentarsi nella scalata al Grand Prix attraverso semifinali e finali. Il premio più ambito è rimasto quest’anno in casa, con la vittoria dell’ottimo coro femminile Magnificat, diretto dall’energica Valéria Szebellédi. Questo gruppo di Budapest è CRONACA 57 QUANDO LA SFIDA È UN’ESIGENZA IL CONCORSO INTERNAZIONALE BÉLA BARTÓK A DEBRECEN di Rossana Paliaga Nella mappa del Gran Premio Europeo è uno dei due baluardi orientali, al limite della vasta pianura pannonica, in un angolo d’Europa tra i confini di Romania e Ucraina. Il concorso Béla Bartók di Debrecen riflette nel carattere la propria posizione geografica (e storica) con caratteristiche esclusive nell’ambito degli altri concorsi della rete: il carattere internazionale e al tempo stesso la distanza creata da una lingua votata a percorsi poco permeabili, la necessità di una formalità di tradizione e lo slancio di momenti in cui la musica è soprattutto incontro, l’interesse per la creazione di contatti all’esterno e la ferma volontà di affermare soprattutto la grande cultura musicale e corale autoctona con una valorizzazione a tutto tondo della musica di autori ungheresi, compito che il concorso ha assunto fin dall’intitolazione. Se partecipare ai concorsi internazionali significa anche entrare a stretto contatto con la cultura e la mentalità del paese ospitante, Debrecen è il luogo ideale. L’attaccamento alla tradizione, il rispetto per gli autori nazionali, la conoscenza della propria letteratura corale e dei criteri esecutivi costituiscono una competenza e un valore tangibilmente condiviso. Tutte le categorie comprendono un brano d’obbligo, rigorosamente di autore ungherese (quest’anno Bartók, Szőnyi, Petrovics, Selmeczi, Orbán, Csemiczky, Vajda) e i cori ungheresi partecipanti presentano programmi che soltanto occasionalmente si discostano dal repertorio nazionale. La seconda caratteristica evidente del concorso è il suo retaggio storico e culturale che si riflette nell’impronta riconoscibile data dagli organizzatori, ovvero l’immagine di una manifestazione che pone la coralità amatoriale in un contesto e in una considerazione che annullano i confini con l’ambito professionale. A Debrecen non ci si chiede quale sia la differenza tra coro amatoriale e professionale; è infatti l’unico dei concorsi della rete ad accogliere anche gruppi di professionisti, perché la sfida imposta dal regolamento li mette sullo stesso piano. Qui i brani che vengono presentati con frequenza in altri contesti competitivi sono il punto di partenza, oltretutto poco o per niente frequentato, perché il concorso di Debrecen, votato esclusivamente alla musica contemporanea scritta dopo la morte di Bartók, è una competizione che richiede la sfida del virtuosismo esecutivo. Aumenta così anche la responsabilità e l’impegno richiesto alla giuria che quest’anno ha alternato nelle categorie i nomi eccellenti di Gary Graden, Javier Busto, Ko Matsushita, Martina Batic̆, del giovane ma già affermatissimo direttore estone Janis Liepins, dell’italiano Felix Resch, inoltre Gyula Fekete, Zsuzsanna Gráf, Zsolt Lászlóffy e Kálmán Strausz a custodi del patrimonio ungherese che, costituendo una parte molto consistente dei brani proposti, necessita di conoscitori specifici a livello di lingua e stile. Il concorso inizia e finisce con un concerto di grande respiro che propone brani in prima esecuzione o grandi opere sinfonico corali (commissionati per l’occasione) rivolti alla valorizzazione di autori nazionali. I tre giorni di competizione sono uno spettacolo di virtuosismo e professionalità del quale i cori partecipanti sono i protagonisti assoluti: sembrano sottolinearlo i pannelli con le grandi foto dei cori e dei membri della giuria che accolgono il visitatore nel centro A Debrecen non ci si chiede quale sia la differenza tra coro amatoriale e professionale. polifunzionale Kőlcsey, dove si svolgono sia i concerti che la competizione, nel grande auditorium che garantisce la perfetta focalizzazione delle esecuzioni. Il concorso non prevede categorie basate sul programma, ma soltanto sull’organico. In ogni categoria (cori giovanili, voci pari, gruppi vocali e cori misti) i gruppi partecipanti possono cimentarsi nella scalata al Grand Prix attraverso semifinali e finali. Il premio più ambito è rimasto quest’anno in casa, con la vittoria dell’ottimo coro femminile Magnificat, diretto dall’energica Valéria Szebellédi. Questo gruppo di Budapest è CRONACA 58 scritto dopo il 1990. Incoraggiamo anche la composizione di brani nuovi e prevediamo premi speciali per composizioni scritte dopo il 2009. Penso sia un fatto positivo e stimolante per i cori, che possono portare sempre una ventata di novità nei loro repertori, ed è sicuramente un’ottima iniziativa a favore dei compositori. E i vostri “suggerimenti” passano anche attraverso i pezzi d’obbligo. Non soltanto. Per noi sono infatti di estrema importanza anche le commissioni di brani nuovi, una tradizione che si rinnova ogni due anni. La città di Debrecen ha commissionato in questi anni per questa occasione oltre 90 brani nuovi che valorizzano anche compositori meno noti. Per quanto riguarda i pezzi d’obbligo cerchiamo sempre di scegliere brani che possano rimanere nei repertori dei cori anche dopo il concorso. Il concorso Béla Bartók esiste da oltre un cinquantennio e si svolge con cadenza biennale. Quest’anno è arrivato alla xxvi edizione con il suo caratteristico mix di carattere accademico e festa corale, una combinazione nella quale la conservazione della tradizione e la voglia di aggiornarla portano il segno della direzione artistica di Zoltán Pad, che dal 2009 è stato direttore stabile del coro professionale Kodály di Debrecen ed è stato scelto come nuovo direttore del coro della Radiotelevisione ungherese di Budapest. Consapevole della propria responsabilità e dell’eredità del concorso, tiene le fila di tutte le fasi del concorso con dedizione ed entusiasmo, forte di un’eredità molto solida. Questa manifestazione mantiene un rapporto molto forte con la città di Debrecen. György Gulyás, insegnante e direttore, fondatore e direttore di scuole di musica, riorganizzatore del coro Kodály come coro professionale, divenne il promotore principale della fondazione del concorso nel 1961. Alla base di questa tradizione c’è una personalità forte, che ha fatto molto per questa città e in tutti questi anni il concorso è stato sempre supportato dalla municipalità. Una delle caratteristiche specifiche di questo concorso è l’apertura anche ai cori di professionisti. Il confronto tra cori amatoriali e professionali non è sbilanciato perché a questi livelli gli standard sono condivisi. I cori che partecipano sono fondamentalmente amatoriali, ma quando è capitato di avere anche cori professionali, il risultato non è stato per niente scontato, infatti la vittoria è andata a uno dei cori amatoriali. Per la maggior parte dei cori il repertorio contemporaneo è la scelta più diffusa, ma qui le richieste sono più radicali. Al concorso possono essere presentati brani scritti dopo il 26 settembre 1945, anno della morte di Bartók. Inoltre è obbligatorio presentare in ogni categoria almeno un brano Le scelte di repertorio dei cori qui si differenziano molto dai brani di maggiore diffusione nelle altre sedi di importanti competizioni internazionali. Qui solitamente non si trovano programmi di “mainstream”, perché siamo interessati alle grandi sfide, con le quali proviamo a vivere esperienze musicali nuove. Comunque nel concorso ci sono programmi per tutti, il pubblico è diversificato e interessato, le sale sono sempre piene. Abbiamo cori da ogni parte del mondo, con una proposta molto varia. Per il pubblico sono importanti anche le serate del folclore, quando i cori cantano nella propria lingua, spesso con i loro costumi tipici. È un bel modo per stare assieme, come una grande famiglia musicale. Per questo i cori hanno anche la possibilità di incontrare “la città”. Proponiamo ai cori concerti extra, perché ci piace portare la musica a contatto con gli abitanti di Debrecen e dintorni. Per il pubblico è un lungo, festoso weekend di musica e ai cori piace sorprendere le persone con la bellezza del canto anche fuori dall’auditorium. formato da coriste giovani, ma molto preparate, che ai punti ottenuti con un bel suono e un insieme armonioso hanno aggiunto interpretazioni meditate e mai banali. La vittoria permetterà loro di partecipare al prossimo Gran Premio Europeo che si terrà il 30 maggio 2015 a Tours in Francia. I pronostici davano ottime probabilità di vittoria anche al coro Via Nova di Monaco, classificatosi con merito al primo posto tra i cori misti. È stata probabilmente una delusione per il validissimo Florian Helgath e i suoi consapevoli coristi che hanno giocato bene i propri assi nella manica, anche con un buon margine di rischio, interpretando lo spirito del concorso con brani di grande difficoltà. Ha avuto accesso alla gara per il Grand Prix anche il comunicativo coro da camera islandese Melodia di Magnús Ragnarsson, molto noto in patria e forte di diversi solisti, affiatato ma non perfettamente omogeneo, come spesso succede nei gruppi da camera. Il coro si è piazzato al secondo posto dopo il coro misto ceco Cantica Laetitia, con il quale Josef Surovik ha fatto un ottimo lavoro, ottenendo un coro dal suono ben amalgamato nell’intera gamma dinamica, preciso, vivace e particolarmente espressivo. Tra i cori giovanili ha vinto, meritando il passaggio alla gara finale, il coro femminile del ginnasio Ady Endre di Debrecen, dalla disciplina esemplare e preparato con grande cura e serietà da Rita Kerekes, direttrice di temperamento che ha garantito vivacità e pulizia del suono. Merita di essere citato, anche per la sua simpatia, il coro giovanile canadese Cantilon, numeroso, vivace e devoto a una direttrice di polso come Heather Johnson. Hanno partecipato inoltre le ragazze del coro femminile ucraino Yaroslavna, il coro giovanile Sympatti dalla Finlandia, i cori misti dell’Università di tecnologia di Varsavia, Vox Juvenalis dalla Repubblica Ceca e il Sct. Peders Koncertkor dalla Danimarca. Hanno rappresentato l’Ungheria anche il coro femminile Matricanus, il coro da camera Óbudai e il coro della scuola di musica di Santo Stefano a Budapest. Oltre alle esibizioni in concorso, i cori possono scegliere di 59 offrire concerti di beneficenza o di partecipare con il canto alle messe domenicali in chiese cattoliche e riformate, inoltre la cittadinanza viene coinvolta nella promenade di apertura nella piazza principale, ma il “villaggio corale” del concorso è concentrato negli spazi del centro Kőlcsey, dove attorno all’auditorium si raccolgono le bancarelle di artigiani (e salumieri) provenienti da varie località del paese, mentre nel Choir cafè è possibile acquistare materiale musicale, assistere a presentazioni di editori, incontri con compositori e direttori. «Vado a Debrecen a comperare un tacchino…» recita una canzone popolare ungherese, ed è per questo che il concorso ha come simbolo un tacchino stilizzato, riferimento alla tradizione che trova il suo spazio non soltanto nell’attenzione alla letteratura nazionale, ma anche nella spontaneità di due serate di festival popolare che si svolgono all’aperto nell’anfiteatro di Nagyerdő, appena inaugurato e immerso nel verde. Qui la tensione del concorso si è stemperata nei canti del cuore e i coristi hanno potuto concludere la serata ballando al ritmo del rock medievale proposto dal gruppo ospite. La combinazione di sfide del contemporaneo e attaccamento alle proprie radici musicali, che costituisce la sigla del concorso di Debrecen, è uno spunto di riflessione al quale non si è sottratto il giurato italiano del concorso Felix Resch, docente del conservatorio di Bolzano: «Trovo molto apprezzabile la capacità di vivere la tradizione in maniera contemporanea, riuscire a trasmettere la propria storia trasportandola nell’oggi. Questo si riflette chiaramente nell’impostazione del concorso, al quale partecipano tutte le Il concorso Béla Bartók di Debrecen riflette nel carattere la propria posizione geografica e storica. realtà musicali e politiche importanti. Se una manifestazione culturale è organizzata con tanta cura, rispetto, impegno da parte di professionisti del settore, il riscontro delle istituzioni è effettivo. Per quanto riguarda la vocazione al contemporaneo, tendiamo forse a immaginare che una scelta simile possa portare all’allontanamento di un pubblico più vasto, ma è una convinzione sbagliata. Quando la musica contemporanea è fatta bene e con professionalità, viene recepita, ma a questo repertorio è necessario dedicare tanta serietà e passione, quanta ne può dedicare un coro di montagna al proprio. Questo vale per tutti i repertori e se pensiamo alla letteratura meno frequentata di romanticismo e tardo barocco, ci rendiamo conto che c’è ancora tutto un mondo di musica corale da scoprire». CRONACA 58 scritto dopo il 1990. Incoraggiamo anche la composizione di brani nuovi e prevediamo premi speciali per composizioni scritte dopo il 2009. Penso sia un fatto positivo e stimolante per i cori, che possono portare sempre una ventata di novità nei loro repertori, ed è sicuramente un’ottima iniziativa a favore dei compositori. E i vostri “suggerimenti” passano anche attraverso i pezzi d’obbligo. Non soltanto. Per noi sono infatti di estrema importanza anche le commissioni di brani nuovi, una tradizione che si rinnova ogni due anni. La città di Debrecen ha commissionato in questi anni per questa occasione oltre 90 brani nuovi che valorizzano anche compositori meno noti. Per quanto riguarda i pezzi d’obbligo cerchiamo sempre di scegliere brani che possano rimanere nei repertori dei cori anche dopo il concorso. Il concorso Béla Bartók esiste da oltre un cinquantennio e si svolge con cadenza biennale. Quest’anno è arrivato alla xxvi edizione con il suo caratteristico mix di carattere accademico e festa corale, una combinazione nella quale la conservazione della tradizione e la voglia di aggiornarla portano il segno della direzione artistica di Zoltán Pad, che dal 2009 è stato direttore stabile del coro professionale Kodály di Debrecen ed è stato scelto come nuovo direttore del coro della Radiotelevisione ungherese di Budapest. Consapevole della propria responsabilità e dell’eredità del concorso, tiene le fila di tutte le fasi del concorso con dedizione ed entusiasmo, forte di un’eredità molto solida. Questa manifestazione mantiene un rapporto molto forte con la città di Debrecen. György Gulyás, insegnante e direttore, fondatore e direttore di scuole di musica, riorganizzatore del coro Kodály come coro professionale, divenne il promotore principale della fondazione del concorso nel 1961. Alla base di questa tradizione c’è una personalità forte, che ha fatto molto per questa città e in tutti questi anni il concorso è stato sempre supportato dalla municipalità. Una delle caratteristiche specifiche di questo concorso è l’apertura anche ai cori di professionisti. Il confronto tra cori amatoriali e professionali non è sbilanciato perché a questi livelli gli standard sono condivisi. I cori che partecipano sono fondamentalmente amatoriali, ma quando è capitato di avere anche cori professionali, il risultato non è stato per niente scontato, infatti la vittoria è andata a uno dei cori amatoriali. Per la maggior parte dei cori il repertorio contemporaneo è la scelta più diffusa, ma qui le richieste sono più radicali. Al concorso possono essere presentati brani scritti dopo il 26 settembre 1945, anno della morte di Bartók. Inoltre è obbligatorio presentare in ogni categoria almeno un brano Le scelte di repertorio dei cori qui si differenziano molto dai brani di maggiore diffusione nelle altre sedi di importanti competizioni internazionali. Qui solitamente non si trovano programmi di “mainstream”, perché siamo interessati alle grandi sfide, con le quali proviamo a vivere esperienze musicali nuove. Comunque nel concorso ci sono programmi per tutti, il pubblico è diversificato e interessato, le sale sono sempre piene. Abbiamo cori da ogni parte del mondo, con una proposta molto varia. Per il pubblico sono importanti anche le serate del folclore, quando i cori cantano nella propria lingua, spesso con i loro costumi tipici. È un bel modo per stare assieme, come una grande famiglia musicale. Per questo i cori hanno anche la possibilità di incontrare “la città”. Proponiamo ai cori concerti extra, perché ci piace portare la musica a contatto con gli abitanti di Debrecen e dintorni. Per il pubblico è un lungo, festoso weekend di musica e ai cori piace sorprendere le persone con la bellezza del canto anche fuori dall’auditorium. formato da coriste giovani, ma molto preparate, che ai punti ottenuti con un bel suono e un insieme armonioso hanno aggiunto interpretazioni meditate e mai banali. La vittoria permetterà loro di partecipare al prossimo Gran Premio Europeo che si terrà il 30 maggio 2015 a Tours in Francia. I pronostici davano ottime probabilità di vittoria anche al coro Via Nova di Monaco, classificatosi con merito al primo posto tra i cori misti. È stata probabilmente una delusione per il validissimo Florian Helgath e i suoi consapevoli coristi che hanno giocato bene i propri assi nella manica, anche con un buon margine di rischio, interpretando lo spirito del concorso con brani di grande difficoltà. Ha avuto accesso alla gara per il Grand Prix anche il comunicativo coro da camera islandese Melodia di Magnús Ragnarsson, molto noto in patria e forte di diversi solisti, affiatato ma non perfettamente omogeneo, come spesso succede nei gruppi da camera. Il coro si è piazzato al secondo posto dopo il coro misto ceco Cantica Laetitia, con il quale Josef Surovik ha fatto un ottimo lavoro, ottenendo un coro dal suono ben amalgamato nell’intera gamma dinamica, preciso, vivace e particolarmente espressivo. Tra i cori giovanili ha vinto, meritando il passaggio alla gara finale, il coro femminile del ginnasio Ady Endre di Debrecen, dalla disciplina esemplare e preparato con grande cura e serietà da Rita Kerekes, direttrice di temperamento che ha garantito vivacità e pulizia del suono. Merita di essere citato, anche per la sua simpatia, il coro giovanile canadese Cantilon, numeroso, vivace e devoto a una direttrice di polso come Heather Johnson. Hanno partecipato inoltre le ragazze del coro femminile ucraino Yaroslavna, il coro giovanile Sympatti dalla Finlandia, i cori misti dell’Università di tecnologia di Varsavia, Vox Juvenalis dalla Repubblica Ceca e il Sct. Peders Koncertkor dalla Danimarca. Hanno rappresentato l’Ungheria anche il coro femminile Matricanus, il coro da camera Óbudai e il coro della scuola di musica di Santo Stefano a Budapest. Oltre alle esibizioni in concorso, i cori possono scegliere di 59 offrire concerti di beneficenza o di partecipare con il canto alle messe domenicali in chiese cattoliche e riformate, inoltre la cittadinanza viene coinvolta nella promenade di apertura nella piazza principale, ma il “villaggio corale” del concorso è concentrato negli spazi del centro Kőlcsey, dove attorno all’auditorium si raccolgono le bancarelle di artigiani (e salumieri) provenienti da varie località del paese, mentre nel Choir cafè è possibile acquistare materiale musicale, assistere a presentazioni di editori, incontri con compositori e direttori. «Vado a Debrecen a comperare un tacchino…» recita una canzone popolare ungherese, ed è per questo che il concorso ha come simbolo un tacchino stilizzato, riferimento alla tradizione che trova il suo spazio non soltanto nell’attenzione alla letteratura nazionale, ma anche nella spontaneità di due serate di festival popolare che si svolgono all’aperto nell’anfiteatro di Nagyerdő, appena inaugurato e immerso nel verde. Qui la tensione del concorso si è stemperata nei canti del cuore e i coristi hanno potuto concludere la serata ballando al ritmo del rock medievale proposto dal gruppo ospite. La combinazione di sfide del contemporaneo e attaccamento alle proprie radici musicali, che costituisce la sigla del concorso di Debrecen, è uno spunto di riflessione al quale non si è sottratto il giurato italiano del concorso Felix Resch, docente del conservatorio di Bolzano: «Trovo molto apprezzabile la capacità di vivere la tradizione in maniera contemporanea, riuscire a trasmettere la propria storia trasportandola nell’oggi. Questo si riflette chiaramente nell’impostazione del concorso, al quale partecipano tutte le Il concorso Béla Bartók di Debrecen riflette nel carattere la propria posizione geografica e storica. realtà musicali e politiche importanti. Se una manifestazione culturale è organizzata con tanta cura, rispetto, impegno da parte di professionisti del settore, il riscontro delle istituzioni è effettivo. Per quanto riguarda la vocazione al contemporaneo, tendiamo forse a immaginare che una scelta simile possa portare all’allontanamento di un pubblico più vasto, ma è una convinzione sbagliata. Quando la musica contemporanea è fatta bene e con professionalità, viene recepita, ma a questo repertorio è necessario dedicare tanta serietà e passione, quanta ne può dedicare un coro di montagna al proprio. Questo vale per tutti i repertori e se pensiamo alla letteratura meno frequentata di romanticismo e tardo barocco, ci rendiamo conto che c’è ancora tutto un mondo di musica corale da scoprire». CRONACA 60 LA MISSIONE EUROPEA DELL’ECCELLENZA CORALE IL 22° FESTIVAL DES CHOEURS LAURÉATS di Rossana Paliaga Ascoltare musica corale di livello eccellente, con gruppi selezionatissimi provenienti da tutto il mondo, avvolti dalla magia di borghi antichi, dai profumi e dai colori dei mercati provenzali, mescolando all’odore inebriante della lavanda e delle erbe aromatiche le migliori voci dei complessi più rinomati. È questa la proposta intrigante del Festival des choeurs lauréats che unisce nel nome dell’ottima musica corale i pittoreschi dipartimenti della Vaucluse, Drôme, Ardèche e Hautes Alpes. Questo idillio armonioso di natura, cultura e coralità nasce da una pagina scura della storia di quella che oggi è la Città corale europea, Vaison-la-Romaine, dove il canto corale ha dimostrato di essere arte, ma anche fonte di ottimismo, voglia di costruire e ricostruire. Attraverso il festival è partito infatti il rilancio e la ricostruzione, anche morale, dello splendido sito romano e medievale che all’inizio degli anni Novanta è stato colpito da una disastrosa piena del fiume Ouvèze. Municipalità, le forze riunite di coralità nazionale, internazionale e Commissione europea hanno fatto in modo che ventidue anni fa nascesse un festival capace di rispondere con la bellezza allo sconforto che aveva colpito e segnato in maniera indelebile un luogo caratterizzato da un legame forte con la cultura corale. Jacques Delors, Marcel Corneloup e l’allora sindaco di Vaison Claude Haut furono i principali promotori del progetto, che a livello di contenuti si sviluppò in uno stretto legame di partenariato con i concorsi del Grand Prix europeo, i cui vincitori vengono regolarmente invitati a partecipare. Prendendo in prestito una definizione del direttore artistico Christian Balandras, il festival “in-canta” ogni anno nell’ultima settimana di luglio con un intreccio di serate concertistiche che coinvolgono diverse località e alcuni cori ospiti itineranti. Anche quest’anno si è trattato di proposte molto diverse tra di loro: due gruppi vocali e due grandi cori, con programmi tesi tra sacro e profano, antico e contemporaneo, popolare e moderno, con un unico punto in comune, ovvero la certezza di poter ascoltare alcune delle migliori espressioni della coralità europea e mondiale. In questo circuito di concerti il paese di Vaison-laRomaine è l’unico posto dove è possibile assistere alle esibizioni di tutti gli ospiti, nella splendida cornice della cattedrale di Nostra Signora di Nazareth. Il festival è inserito all’interno delle proposte turistiche della regione, una bella idea per abbinare il viaggio nella regione Paca (Provenza-Alpi-Costa Azzurra) alla scoperta dei paesaggi spesso sorprendenti della coralità a cinque stelle. Al festival i cori itineranti si incrociano, incontrano la gente che si trattiene al termine dei concerti per parlare, commentare, scambiare opinioni su tecnica, repertori, semplicemente stare assieme. È un pubblico attento, abituato e affezionato a questi concerti, e i cori ne sono entusiasti. «Lo scopo e il premio maggiore dei grandi concorsi è poter essere invitati a festival come questo», rivela una delle coriste dello Svenska Kammarkören, che si rammarica del fatto che il programma intenso non dia ai coristi molte opportunità per Al festival i cori itineranti si incrociano, incontrano la gente per parlare, commentare, scambiare opinioni. incontrarsi tra di loro, ma loda senza riserve l’organizzazione e la formula che anche per i cori ospiti abbina turismo e concerti in luoghi storici di grande fascino, dove li attende sempre un pubblico caloroso. L’ottimo coro svedese di Simon Phipps (Grand Prix ad Arezzo nel 2010 e Grand Prix Europeo a Il Festival des choeurs lauréats poggia sul lavoro volontario e l’entusiasmo di molti collaboratori collaudati, coordinati da un protagonista autorevole della coralità francese, Christian Balandras, che dal 2008 ricopre il ruolo di direttore artistico e dal 2009 quello di presidente del festival. Con lui abbiamo ricostruito la storia e gli obiettivi di questa importante manifestazione che nasce a stretto contatto, e non potrebbe essere diversamente visto il luogo, con la manifestazione corale più amata dai francesi, le Choralies. All’inizio degli anni ’50 César Geoffray, fondatore di À coeur joie e mio insegnante di direzione, ebbe l’idea di creare in Provenza una grande opportunità di incontro per i coristi. Dopo una serie di sopralluoghi e seguendo il consiglio dell’abate Georges Durand, Vaison venne individuata come un luogo adatto grazie al potenziale del grande spazio dell’anfiteatro romano, capace di accogliere le grandi masse. Nel 1953 sono nate le Choralies, manifestazione triennale rivolta principalmente a gruppi francesi e francofoni. Così nacque anche l’idea di Vaison come città della coralità. Nel settembre del 1992 ci fu però una grande catastrofe, un’esondazione che provocò a Vaison ingenti danni e oltre 40 vittime. Marcel Corneloup era all’epoca presidente di À coeur joie, nazionale e internazionale. Decise di fare qualcosa per aiutare il paese colpito e il suo appello suscitò il riscontro partecipe della coralità mondiale. Jacques Delors, allora presidente della Commissione europea, decise di sostenere lo slancio della comunità corale internazionale e promuovere l’iniziativa di un nuovo festival a Vaison, che conquistò il titolo di città corale europea. Marcel era in contatto con le competizioni del gpe e propose ai vicitori di venire a cantare a Vaison e nelle località della Provenza toccate dal programma del nuovo festival, la cui prima edizione si svolse nel 1993. Ecco spiegato il legame diretto con la rete del Grand Prix. Oggi potremmo ampliare la proposta rivolgendoci a ulteriori prestigiosi concorsi, ma non sarebbe possibile a livello economico. Ogni anno possiamo invitare al massimo tre o quattro gruppi e i cori selezionati devono spesso attendere anche alcuni anni prima di potersi esibire in questo contesto. L’attesa offre tuttavia ai cori il vantaggio di poter organizzare agevolmente il viaggio e trovare gli sponsor necessari. Il festival nasce dalla volontà di À coeur joie, ma la sua gestione è autonoma. Quando è nato il festival, Marcel era al tempo stesso presidente di À coeur joie e del festival, quindi è stato semplice. Poi, quando le due funzioni si sono separate, è rimasta la collaborazione, soprattutto attraverso l’organizzazione delle masterclass internazionali che si svolgono nel centro Escapade che è nato per ospitare eventi corali. La federazione ha quindi uno spazio proprio a Vaison, noi troviamo invece i siti adatti ai concerti dei cori. 61 Portare i concerti su un territorio più ampio significa anche trovare partner affidabili. Per il livello che il festival esprime abbiamo la necessità di collaborare con associazioni serie e ben attrezzate per affiancarci nella coordinazione degli eventi. Ogni anno riceviamo nuove proposte di collaborazione da parte di associazioni musicali e cori, ma anche altri festival ed enti pubblici. Chi ha già partecipato solitamente vuole continuare. Quest’anno abbiamo avuto ad esempio venti richieste di ospitare i nostri eventi, ma solo diciassette concerti a disposizione. Oltre ai concerti abbiamo gli “Incontri con…”, esibizioni più brevi e a ingresso libero che promuovono la conoscenza della musica corale in piccoli borghi. Chi collabora cerca di trovare posti acusticamente adatti. Non prevediamo concerti all’aperto. Il ruolo di Vaison in questa mappa dei concerti è centrale perché tutti i gruppi fanno tappa nella sua storica cattedrale. Andiamo fieri anche della possibilità di organizzare un concerto ad Avignone, in concomitanza con il prestigioso festival. I cori ospiti hanno totale libertà nella scelta del programma? I cori che cantano al festival sono solitamente abituati a preparare programmi da competizione. In questo contesto devono pensare a un programma da festival, immaginato per creare un contatto con il pubblico, ma al di là di questa considerazione, la scelta dei brani è totalmente libera. Può essere musica religiosa o profana, popolare, jazz o un mix di generi diversi. È un festival che attraverso l’eccellenza della proposta può essere un’esperienza formativa per coristi, direttori, pubblico locale e turisti. Chi è il pubblico del festival? «Che bel pubblico!» è la prima cosa che ci dicono i cori che partecipano al festival. Il nostro pubblico è molto rispettoso, ama ascoltare cori eccellenti e coltiva con entusiasmo questa piacevole abitudine. C’è anche chi viaggia di paese in paese per ascoltare i concerti, oppure esperti che si regalano un soggiorno in Provenza per approfittare della vicinanza dei concerti. CRONACA 60 LA MISSIONE EUROPEA DELL’ECCELLENZA CORALE IL 22° FESTIVAL DES CHOEURS LAURÉATS di Rossana Paliaga Ascoltare musica corale di livello eccellente, con gruppi selezionatissimi provenienti da tutto il mondo, avvolti dalla magia di borghi antichi, dai profumi e dai colori dei mercati provenzali, mescolando all’odore inebriante della lavanda e delle erbe aromatiche le migliori voci dei complessi più rinomati. È questa la proposta intrigante del Festival des choeurs lauréats che unisce nel nome dell’ottima musica corale i pittoreschi dipartimenti della Vaucluse, Drôme, Ardèche e Hautes Alpes. Questo idillio armonioso di natura, cultura e coralità nasce da una pagina scura della storia di quella che oggi è la Città corale europea, Vaison-la-Romaine, dove il canto corale ha dimostrato di essere arte, ma anche fonte di ottimismo, voglia di costruire e ricostruire. Attraverso il festival è partito infatti il rilancio e la ricostruzione, anche morale, dello splendido sito romano e medievale che all’inizio degli anni Novanta è stato colpito da una disastrosa piena del fiume Ouvèze. Municipalità, le forze riunite di coralità nazionale, internazionale e Commissione europea hanno fatto in modo che ventidue anni fa nascesse un festival capace di rispondere con la bellezza allo sconforto che aveva colpito e segnato in maniera indelebile un luogo caratterizzato da un legame forte con la cultura corale. Jacques Delors, Marcel Corneloup e l’allora sindaco di Vaison Claude Haut furono i principali promotori del progetto, che a livello di contenuti si sviluppò in uno stretto legame di partenariato con i concorsi del Grand Prix europeo, i cui vincitori vengono regolarmente invitati a partecipare. Prendendo in prestito una definizione del direttore artistico Christian Balandras, il festival “in-canta” ogni anno nell’ultima settimana di luglio con un intreccio di serate concertistiche che coinvolgono diverse località e alcuni cori ospiti itineranti. Anche quest’anno si è trattato di proposte molto diverse tra di loro: due gruppi vocali e due grandi cori, con programmi tesi tra sacro e profano, antico e contemporaneo, popolare e moderno, con un unico punto in comune, ovvero la certezza di poter ascoltare alcune delle migliori espressioni della coralità europea e mondiale. In questo circuito di concerti il paese di Vaison-laRomaine è l’unico posto dove è possibile assistere alle esibizioni di tutti gli ospiti, nella splendida cornice della cattedrale di Nostra Signora di Nazareth. Il festival è inserito all’interno delle proposte turistiche della regione, una bella idea per abbinare il viaggio nella regione Paca (Provenza-Alpi-Costa Azzurra) alla scoperta dei paesaggi spesso sorprendenti della coralità a cinque stelle. Al festival i cori itineranti si incrociano, incontrano la gente che si trattiene al termine dei concerti per parlare, commentare, scambiare opinioni su tecnica, repertori, semplicemente stare assieme. È un pubblico attento, abituato e affezionato a questi concerti, e i cori ne sono entusiasti. «Lo scopo e il premio maggiore dei grandi concorsi è poter essere invitati a festival come questo», rivela una delle coriste dello Svenska Kammarkören, che si rammarica del fatto che il programma intenso non dia ai coristi molte opportunità per Al festival i cori itineranti si incrociano, incontrano la gente per parlare, commentare, scambiare opinioni. incontrarsi tra di loro, ma loda senza riserve l’organizzazione e la formula che anche per i cori ospiti abbina turismo e concerti in luoghi storici di grande fascino, dove li attende sempre un pubblico caloroso. L’ottimo coro svedese di Simon Phipps (Grand Prix ad Arezzo nel 2010 e Grand Prix Europeo a Il Festival des choeurs lauréats poggia sul lavoro volontario e l’entusiasmo di molti collaboratori collaudati, coordinati da un protagonista autorevole della coralità francese, Christian Balandras, che dal 2008 ricopre il ruolo di direttore artistico e dal 2009 quello di presidente del festival. Con lui abbiamo ricostruito la storia e gli obiettivi di questa importante manifestazione che nasce a stretto contatto, e non potrebbe essere diversamente visto il luogo, con la manifestazione corale più amata dai francesi, le Choralies. All’inizio degli anni ’50 César Geoffray, fondatore di À coeur joie e mio insegnante di direzione, ebbe l’idea di creare in Provenza una grande opportunità di incontro per i coristi. Dopo una serie di sopralluoghi e seguendo il consiglio dell’abate Georges Durand, Vaison venne individuata come un luogo adatto grazie al potenziale del grande spazio dell’anfiteatro romano, capace di accogliere le grandi masse. Nel 1953 sono nate le Choralies, manifestazione triennale rivolta principalmente a gruppi francesi e francofoni. Così nacque anche l’idea di Vaison come città della coralità. Nel settembre del 1992 ci fu però una grande catastrofe, un’esondazione che provocò a Vaison ingenti danni e oltre 40 vittime. Marcel Corneloup era all’epoca presidente di À coeur joie, nazionale e internazionale. Decise di fare qualcosa per aiutare il paese colpito e il suo appello suscitò il riscontro partecipe della coralità mondiale. Jacques Delors, allora presidente della Commissione europea, decise di sostenere lo slancio della comunità corale internazionale e promuovere l’iniziativa di un nuovo festival a Vaison, che conquistò il titolo di città corale europea. Marcel era in contatto con le competizioni del gpe e propose ai vicitori di venire a cantare a Vaison e nelle località della Provenza toccate dal programma del nuovo festival, la cui prima edizione si svolse nel 1993. Ecco spiegato il legame diretto con la rete del Grand Prix. Oggi potremmo ampliare la proposta rivolgendoci a ulteriori prestigiosi concorsi, ma non sarebbe possibile a livello economico. Ogni anno possiamo invitare al massimo tre o quattro gruppi e i cori selezionati devono spesso attendere anche alcuni anni prima di potersi esibire in questo contesto. L’attesa offre tuttavia ai cori il vantaggio di poter organizzare agevolmente il viaggio e trovare gli sponsor necessari. Il festival nasce dalla volontà di À coeur joie, ma la sua gestione è autonoma. Quando è nato il festival, Marcel era al tempo stesso presidente di À coeur joie e del festival, quindi è stato semplice. Poi, quando le due funzioni si sono separate, è rimasta la collaborazione, soprattutto attraverso l’organizzazione delle masterclass internazionali che si svolgono nel centro Escapade che è nato per ospitare eventi corali. La federazione ha quindi uno spazio proprio a Vaison, noi troviamo invece i siti adatti ai concerti dei cori. 61 Portare i concerti su un territorio più ampio significa anche trovare partner affidabili. Per il livello che il festival esprime abbiamo la necessità di collaborare con associazioni serie e ben attrezzate per affiancarci nella coordinazione degli eventi. Ogni anno riceviamo nuove proposte di collaborazione da parte di associazioni musicali e cori, ma anche altri festival ed enti pubblici. Chi ha già partecipato solitamente vuole continuare. Quest’anno abbiamo avuto ad esempio venti richieste di ospitare i nostri eventi, ma solo diciassette concerti a disposizione. Oltre ai concerti abbiamo gli “Incontri con…”, esibizioni più brevi e a ingresso libero che promuovono la conoscenza della musica corale in piccoli borghi. Chi collabora cerca di trovare posti acusticamente adatti. Non prevediamo concerti all’aperto. Il ruolo di Vaison in questa mappa dei concerti è centrale perché tutti i gruppi fanno tappa nella sua storica cattedrale. Andiamo fieri anche della possibilità di organizzare un concerto ad Avignone, in concomitanza con il prestigioso festival. I cori ospiti hanno totale libertà nella scelta del programma? I cori che cantano al festival sono solitamente abituati a preparare programmi da competizione. In questo contesto devono pensare a un programma da festival, immaginato per creare un contatto con il pubblico, ma al di là di questa considerazione, la scelta dei brani è totalmente libera. Può essere musica religiosa o profana, popolare, jazz o un mix di generi diversi. È un festival che attraverso l’eccellenza della proposta può essere un’esperienza formativa per coristi, direttori, pubblico locale e turisti. Chi è il pubblico del festival? «Che bel pubblico!» è la prima cosa che ci dicono i cori che partecipano al festival. Il nostro pubblico è molto rispettoso, ama ascoltare cori eccellenti e coltiva con entusiasmo questa piacevole abitudine. C’è anche chi viaggia di paese in paese per ascoltare i concerti, oppure esperti che si regalano un soggiorno in Provenza per approfittare della vicinanza dei concerti. CRONACA 62 Tolosa nel 2011) ha dato modo al pubblico di apprezzare l’abbraccio musicale di un suono armonioso, magistralmente levigato, un programma originale e ben strutturato in gruppi tematici, nel quale è emersa l’affinità particolare del coro con le atmosfere sonore nordiche di Grieg ed Esenvalds. Trasparenza e chiarezza delle strutture musicali sono state valorizzate dalla splendida acustica della cattedrale di Vaison, riempita dalla purezza di accordi di estrema pulizia. Accanto alle conferme di cori di fama, Christian Balandras ha voluto puntare quest’anno anche sulla novità di un gruppo rivelazione ancora poco noto alle grandi platee ma che ha già motivato in modo molto convincente le proprie prospettive e ambizioni. Il sestetto sloveno Ingenium ha collezionato negli ultimi mesi una serie di successi che l’hanno imposto rapidamente all’attenzione internazionale con una serie continua di riconoscimenti, tra i quali due primi premi (e maggiore punteggio assoluto) al Polifonico di Arezzo, seguito da due primi premi al concorso di Tolosa. Forte di un assortimento di voci ideale per compatibilità, il gruppo di giovani (l’età media è 24 anni) e preparatissimi coristi ricerca l’armonia totale, non i contrasti di colore. Gi Ingenium sono un gruppo di impostazione e ispirazione britannica che nasce con l’inclinazione per il rinascimento e si estende a un mix moderno di pop e jazz. Nel suo sviluppo verso modelli anglosassoni deve ancora perfezionare una padronanza più disinvolta dello spazio scenico, ma i suoi continui progressi vanno di pari passo passo con la grande motivazione e l’effetto sul pubblico è già garantito. Professionali, sinceramente appassionati, gli Ingenium hanno tutte le carte in regola per imporsi. Il Festival des choeurs lauréats è stata finora la loro maggiore tournée. Hanno invece qualche anno in più di esperienza sui palcoscenici internazionali i ragazzi del quartetto maschile Quartonal di Amburgo (primo premio di categoria al concorso internazionale di Tolosa nel 2012), totalmente trasversale in quanto a scelte di genere, come ha dimostrato anche il programma molto vario presentato nei ben cinque appuntamenti festivalieri. Dalla Germania è arrivato anche il noto Kammerchor Stuttgart, i cui preparatissimi coristi vengono definiti i “maestri cantori di Stoccarda”. Tournées mondiali e una lunga serie di premi contraddistinguono questo coro che ha offerto in concerto una grande lezione di interpretazione corale con un programma insolito e improntato alla letteratura tedesca. Dopo l’apollinea misura di un approccio al tempo stesso espressivo e controllato a Mendelssohn, i coristi hanno ricordato i trecento anni dalla nascita di Gottfried August Homilius con un affascinante Attraverso il festival è partito il rilancio e la ricostruzione, anche morale, dello splendido sito romano e medievale. omaggio che oltre a valorizzare questo autore poco frequentato ha messo in evidenza la grande musicalità del coro. L’alternanza di romanticismo e contemporaneo è stata uno sfoggio di padronanza della tecnica vocale a tutti i livelli. Per il direttore Frieder Bernius la capacità di essere convincenti nella varietà è infatti l’obiettivo da perseguire, con l’affinamento costante della pratica di diversi stili. L’affermato direttore e il suo coro hanno partecipato al festival con un doppio ruolo, mettendosi anche a disposizione degli allievi della masterlass internazionale di direzione di coro. Questa iniziativa affianca le giornate del festival, integrando il respiro corale di Vaison con la possibilità di studio e approfondimento a contatto con insegnanti di fama internazionale. Perfezionarsi a Vaison, con grandi maestri, nella bella cornice del centro Escapade di À coeur joie e con la possibilità di dedicare le serate all’ascolto di gruppi corali di eccellenza, è evidentemente una proposta estremamente invitante, alla quale ha risposto un gran numero di direttori da tutto il mondo, tra i quali sono stati selezionati ventidue partecipanti, di cui otto scelti per dirigere al concerto di chiusura. Bach, Fasch, Gottwald sono stati gli autori scelti per la masterclass con un progetto ben preciso di Bernius, che ha posto l’attenzione su una lacuna diffusa: «Ci siamo concentrati sull’approccio stilistico al barocco, perché penso ci sia molto bisogno di fare chiarezza su questo tema nel mondo della coralità. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una grande riscoperta e rivalutazione su basi filologiche di questo repertorio, ma questo non è avvenuto in uguale misura nella musica corale a cappella, quindi penso sia importante riportare all’attenzione composizioni poco note. Concentrarsi sulla tecnica è un compito da sviluppare con costanza durante l’anno, non è possibile farlo in pochi giorni 63 di masterclass. Ai corsisti spiego come mi sono sviluppato come direttore, offro spunti di riflessione e qualche idea, ma il resto devono farlo da soli. Mi sono concentrato piuttosto sulla tecnica delle prove, per far capire ai direttori come possono aiutare i coristi senza lunghi discorsi, ma con brevi indicazioni e gesti che sono decisamente più utili. Occorre migliorare la comunicazione non verbale, mostrare la musica nelle mani e nel corpo, non nelle parole. Quattro giorni non sono molti e l’obiettivo di un concerto finale impone un indirizzo preciso. Penso sia stato interessante per i corsisti lavorare con un coro che ha un certo standard e che quindi costringe necessariamente alla ricerca di un livello di comunicazione adeguato. Anche per i miei coristi lavorare al festival come coro laboratorio della masterclass ha offerto l’opportunità di un’esperienza diversa». InCanto Mediterraneo IV Festival Corale Internazionale Milazzo, 12-18 luglio 2015 - Teatro Trifiletti L’associazione corale Cantica Nova, con il Patrocinio di Feniarco e di ARS Cori, promuove e organizza la IV edizione del Festival Corale Internazionale “InCanto Mediterraneo”. Anche in questa quarta edizione è prevista una sezione Rassegna non competitiva nei giorni di domenica 12, martedì 14, giovedì 16 e una sezione Concorso nei giorni di venerdì 17 e sabato 18 luglio 2015 con due diverse categorie di partecipazione: cori ed ensemble vocali (misti/maschili/femminili); cori di voci bianche. Durante lo svolgimento del festival avrà luogo, dal 12 al 16 luglio, la Settimana Cantante Nulla dies sine cantu con la docenza del maestro Maria Luisa Sánchez Carbone. Nella serata conclusiva della rassegna, giovedì 16 luglio, è prevista l’esibizione del coro dei partecipanti. Tutto il periodo del festival sarà animato festosamente da esibizioni non strutturate dei cori iscritti in strade, piazze e vicoli della città. Iscrizioni entro il 31 marzo 2015 Regolamento, schede e modalità di partecipazione sul sito ufficiale del festival: www.festivalincantomediterraneo.it Contatti: Associazione Corale Cantica Nova Via Spiaggia di Ponente, 185 98057 Milazzo (ME) 090 9210774 / 346 0851956/ 339 6689113 / 340 8097736 e-mail: [email protected] CRONACA 62 Tolosa nel 2011) ha dato modo al pubblico di apprezzare l’abbraccio musicale di un suono armonioso, magistralmente levigato, un programma originale e ben strutturato in gruppi tematici, nel quale è emersa l’affinità particolare del coro con le atmosfere sonore nordiche di Grieg ed Esenvalds. Trasparenza e chiarezza delle strutture musicali sono state valorizzate dalla splendida acustica della cattedrale di Vaison, riempita dalla purezza di accordi di estrema pulizia. Accanto alle conferme di cori di fama, Christian Balandras ha voluto puntare quest’anno anche sulla novità di un gruppo rivelazione ancora poco noto alle grandi platee ma che ha già motivato in modo molto convincente le proprie prospettive e ambizioni. Il sestetto sloveno Ingenium ha collezionato negli ultimi mesi una serie di successi che l’hanno imposto rapidamente all’attenzione internazionale con una serie continua di riconoscimenti, tra i quali due primi premi (e maggiore punteggio assoluto) al Polifonico di Arezzo, seguito da due primi premi al concorso di Tolosa. Forte di un assortimento di voci ideale per compatibilità, il gruppo di giovani (l’età media è 24 anni) e preparatissimi coristi ricerca l’armonia totale, non i contrasti di colore. Gi Ingenium sono un gruppo di impostazione e ispirazione britannica che nasce con l’inclinazione per il rinascimento e si estende a un mix moderno di pop e jazz. Nel suo sviluppo verso modelli anglosassoni deve ancora perfezionare una padronanza più disinvolta dello spazio scenico, ma i suoi continui progressi vanno di pari passo passo con la grande motivazione e l’effetto sul pubblico è già garantito. Professionali, sinceramente appassionati, gli Ingenium hanno tutte le carte in regola per imporsi. Il Festival des choeurs lauréats è stata finora la loro maggiore tournée. Hanno invece qualche anno in più di esperienza sui palcoscenici internazionali i ragazzi del quartetto maschile Quartonal di Amburgo (primo premio di categoria al concorso internazionale di Tolosa nel 2012), totalmente trasversale in quanto a scelte di genere, come ha dimostrato anche il programma molto vario presentato nei ben cinque appuntamenti festivalieri. Dalla Germania è arrivato anche il noto Kammerchor Stuttgart, i cui preparatissimi coristi vengono definiti i “maestri cantori di Stoccarda”. Tournées mondiali e una lunga serie di premi contraddistinguono questo coro che ha offerto in concerto una grande lezione di interpretazione corale con un programma insolito e improntato alla letteratura tedesca. Dopo l’apollinea misura di un approccio al tempo stesso espressivo e controllato a Mendelssohn, i coristi hanno ricordato i trecento anni dalla nascita di Gottfried August Homilius con un affascinante Attraverso il festival è partito il rilancio e la ricostruzione, anche morale, dello splendido sito romano e medievale. omaggio che oltre a valorizzare questo autore poco frequentato ha messo in evidenza la grande musicalità del coro. L’alternanza di romanticismo e contemporaneo è stata uno sfoggio di padronanza della tecnica vocale a tutti i livelli. Per il direttore Frieder Bernius la capacità di essere convincenti nella varietà è infatti l’obiettivo da perseguire, con l’affinamento costante della pratica di diversi stili. L’affermato direttore e il suo coro hanno partecipato al festival con un doppio ruolo, mettendosi anche a disposizione degli allievi della masterlass internazionale di direzione di coro. Questa iniziativa affianca le giornate del festival, integrando il respiro corale di Vaison con la possibilità di studio e approfondimento a contatto con insegnanti di fama internazionale. Perfezionarsi a Vaison, con grandi maestri, nella bella cornice del centro Escapade di À coeur joie e con la possibilità di dedicare le serate all’ascolto di gruppi corali di eccellenza, è evidentemente una proposta estremamente invitante, alla quale ha risposto un gran numero di direttori da tutto il mondo, tra i quali sono stati selezionati ventidue partecipanti, di cui otto scelti per dirigere al concerto di chiusura. Bach, Fasch, Gottwald sono stati gli autori scelti per la masterclass con un progetto ben preciso di Bernius, che ha posto l’attenzione su una lacuna diffusa: «Ci siamo concentrati sull’approccio stilistico al barocco, perché penso ci sia molto bisogno di fare chiarezza su questo tema nel mondo della coralità. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una grande riscoperta e rivalutazione su basi filologiche di questo repertorio, ma questo non è avvenuto in uguale misura nella musica corale a cappella, quindi penso sia importante riportare all’attenzione composizioni poco note. Concentrarsi sulla tecnica è un compito da sviluppare con costanza durante l’anno, non è possibile farlo in pochi giorni 63 di masterclass. Ai corsisti spiego come mi sono sviluppato come direttore, offro spunti di riflessione e qualche idea, ma il resto devono farlo da soli. Mi sono concentrato piuttosto sulla tecnica delle prove, per far capire ai direttori come possono aiutare i coristi senza lunghi discorsi, ma con brevi indicazioni e gesti che sono decisamente più utili. Occorre migliorare la comunicazione non verbale, mostrare la musica nelle mani e nel corpo, non nelle parole. Quattro giorni non sono molti e l’obiettivo di un concerto finale impone un indirizzo preciso. Penso sia stato interessante per i corsisti lavorare con un coro che ha un certo standard e che quindi costringe necessariamente alla ricerca di un livello di comunicazione adeguato. Anche per i miei coristi lavorare al festival come coro laboratorio della masterclass ha offerto l’opportunità di un’esperienza diversa». InCanto Mediterraneo IV Festival Corale Internazionale Milazzo, 12-18 luglio 2015 - Teatro Trifiletti L’associazione corale Cantica Nova, con il Patrocinio di Feniarco e di ARS Cori, promuove e organizza la IV edizione del Festival Corale Internazionale “InCanto Mediterraneo”. Anche in questa quarta edizione è prevista una sezione Rassegna non competitiva nei giorni di domenica 12, martedì 14, giovedì 16 e una sezione Concorso nei giorni di venerdì 17 e sabato 18 luglio 2015 con due diverse categorie di partecipazione: cori ed ensemble vocali (misti/maschili/femminili); cori di voci bianche. Durante lo svolgimento del festival avrà luogo, dal 12 al 16 luglio, la Settimana Cantante Nulla dies sine cantu con la docenza del maestro Maria Luisa Sánchez Carbone. Nella serata conclusiva della rassegna, giovedì 16 luglio, è prevista l’esibizione del coro dei partecipanti. Tutto il periodo del festival sarà animato festosamente da esibizioni non strutturate dei cori iscritti in strade, piazze e vicoli della città. Iscrizioni entro il 31 marzo 2015 Regolamento, schede e modalità di partecipazione sul sito ufficiale del festival: www.festivalincantomediterraneo.it Contatti: Associazione Corale Cantica Nova Via Spiaggia di Ponente, 185 98057 Milazzo (ME) 090 9210774 / 346 0851956/ 339 6689113 / 340 8097736 e-mail: [email protected] 64 IN MEMORIAM Pavle Merkù (1927-2014) di Rossana Paliaga Pavle Merkù non provava un particolare interesse per le specializzazioni a senso unico, perché la vita offriva troppi stimoli diversi, troppe occasioni di scoperta e conoscenza, per poterli trascurare senza perseguire l’ideale rinascimentale dell’uomo universale. Per lui, nato a Trieste in una famiglia dove si incrociavano diverse radici etniche, si trattava di una vocazione naturale. Merkù ne aveva compreso immediatamente il privilegio, con una curiosità a tutto tondo e la totale indifferenza verso inutili pregiudizi e preconcetti, di qualsiasi natura essi potessero essere. In famiglia aveva conosciuto l’interesse per la musica, una passione sostenuta da genitori e parenti, tutti strumentisti e appassionati frequentatori di teatri e sale da concerto. Costretto ad abbandonare lo studio del violino per problemi di salute, ha iniziato dopo la guerra a studiare composizione, dapprima con Ivan Grbec, poi con Vito Levi. Da giovanissimo aveva presto acquisito dimestichezza con il grande repertorio sinfonico, cameristico e operistico barocco e romantico, subendo poi in maniera particolare il fascino della Seconda scuola di Vienna, di quella temperie artistica mitteleuropea del primo Novecento nella quale aveva gravitato anche il compositore triestino Marij Kogoj. I circoli elitari e le pose mondane non riscontravano il suo interesse; amava stare con le persone che avevano qualcosa da raccontare, dove esisteva la possibilità di scambiare opinioni, di crescere, imparare, sempre. Amava ascoltare, con una curiosità intellettuale e umana inesauribile: le parole di Luigi Dallapiccola, al quale lo legava un rapporto di amicizia, ma anche il canto dell’anziana testimone della tradizione popolare, i racconti tramandati da generazioni e che parlavano di un mondo e di un legame con il passato, anche molto remoto, che stava scomparendo e del quale con le sue ricerche aveva colto gli ultimi sospiri. Del trattamento della musica popolare sottolineava l’importanza di inventare una nuova funzione per la musica preesistente che viene trapiantata «dal suo ambiente naturale in un ambito colto, lontano dai luoghi e dagli intenti dell’originale». La sua musica era un mondo che comprendeva musica sinfonica, cameristica, di scena, anche l’opera Kac̆ji pastir-La libellula (messa in scena dal Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste) e, ovviamente, la musica corale, con composizioni originali e arrangiamenti di molte melodie popolari. Il linguista e il compositore coesistevano e si integravano nell’ascolto della musicalità e del valore dei testi messi in musica: diverse lingue, diversi dialetti, versi d’autore, dal lirismo di Srec̆ko Kosovel alla giocosa fantasia di Roberto Piumini. A proposito dell’utilizzo di lingue diverse diceva: «Ogni lingua, ogni dialetto ha la propria specifica espressività, una melodia, un ritmo interno. Mi piace in particolar modo scrivere brani in dialetti diversi, attraverso i quali rivedo luoghi, ricordo persone che in quel dialetto mi parlavano o cantavano. Attraverso il mio lavoro ho la possibilità di trasmettere agli altri la ricchezza degli insegnamenti ricevuti». Merkù amava nelle persone il senso dell’umorismo, la capacità di entusiasmarsi, di vivere con libertà di pensiero e desiderio di conoscenza. Linguista di professione, musicista di formazione, pubblicista, saggista (ha scritto 20 libri, di argomento linguistico ed etnomusicologico), ricercatore (sono un documento fondamentale per la storia del Friuli Venezia Giulia le sue ricerche raccolte nel volume Le tradizioni popolari degli sloveni in Italia), redattore di trasmissioni radiofoniche presso la sede rai del Friuli Venezia Giulia, insegnante, nella vita privata coltivava ancora ulteriori interessi. L’interesse per l’unicità dei dialetti sardi lo aveva avvicinato a un mondo mediterraneo che lo ha affascinato moltissimo, lasciando tracce nei suoi studi (ha imparato ben tre dialetti sardi), nella sua musica e nel legame forte con la coralità sarda e i suoi protagonisti, alcuni dei quali lo avevano affettuosamente definito “il marinaio di alta montagna”, riferendosi da una parte alle sue origini, dall’altra alla passione per l’alpinismo. Anche l’opera di Merkù ha superato ampiamente i confini della regione di appartenenza, costituendo un orgoglio particolare per la minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia, alla quale apparteneva. Per il ruolo assunto nella valorizzazione di questo specifico patrimonio linguistico e musicale è stato insignito nel 2014 del maggiore riconoscimento alla carriera esistente in Slovenia: il Premio Pres̆eren. La sua non è mai stata un’appartenenza esclusiva e di carattere chiuso: la dedizione alla tradizione linguistica e musicale della comunità autoctona slovena è stata sempre accompagnata da uno spirito cosmopolita e consapevole della bellezza e del potenziale di una natura sfaccettata. Non avrebbe potuto essere diversamente: Merkù era nato a Trieste nel 1927, da padre sloveno e madre italiana, in una famiglia dove si mescolavano il friulano, il tedesco e ascendenze ceche. Ha studiato tra Italia e Slovenia, all’università di Ljubljana come a quella di Roma. La musica corale ha avuto un posto speciale nei suoi interessi. Della voce umana parlava come dello strumento più completo: «Nella voce mi affascina il fatto che il corpo umano stesso diventi uno strumento e possa essere capace di fare musica e di dare un’anima alla propria espressione senza l’utilizzo di mezzi esterni». 64 IN MEMORIAM Pavle Merkù (1927-2014) di Rossana Paliaga Pavle Merkù non provava un particolare interesse per le specializzazioni a senso unico, perché la vita offriva troppi stimoli diversi, troppe occasioni di scoperta e conoscenza, per poterli trascurare senza perseguire l’ideale rinascimentale dell’uomo universale. Per lui, nato a Trieste in una famiglia dove si incrociavano diverse radici etniche, si trattava di una vocazione naturale. Merkù ne aveva compreso immediatamente il privilegio, con una curiosità a tutto tondo e la totale indifferenza verso inutili pregiudizi e preconcetti, di qualsiasi natura essi potessero essere. In famiglia aveva conosciuto l’interesse per la musica, una passione sostenuta da genitori e parenti, tutti strumentisti e appassionati frequentatori di teatri e sale da concerto. Costretto ad abbandonare lo studio del violino per problemi di salute, ha iniziato dopo la guerra a studiare composizione, dapprima con Ivan Grbec, poi con Vito Levi. Da giovanissimo aveva presto acquisito dimestichezza con il grande repertorio sinfonico, cameristico e operistico barocco e romantico, subendo poi in maniera particolare il fascino della Seconda scuola di Vienna, di quella temperie artistica mitteleuropea del primo Novecento nella quale aveva gravitato anche il compositore triestino Marij Kogoj. I circoli elitari e le pose mondane non riscontravano il suo interesse; amava stare con le persone che avevano qualcosa da raccontare, dove esisteva la possibilità di scambiare opinioni, di crescere, imparare, sempre. Amava ascoltare, con una curiosità intellettuale e umana inesauribile: le parole di Luigi Dallapiccola, al quale lo legava un rapporto di amicizia, ma anche il canto dell’anziana testimone della tradizione popolare, i racconti tramandati da generazioni e che parlavano di un mondo e di un legame con il passato, anche molto remoto, che stava scomparendo e del quale con le sue ricerche aveva colto gli ultimi sospiri. Del trattamento della musica popolare sottolineava l’importanza di inventare una nuova funzione per la musica preesistente che viene trapiantata «dal suo ambiente naturale in un ambito colto, lontano dai luoghi e dagli intenti dell’originale». La sua musica era un mondo che comprendeva musica sinfonica, cameristica, di scena, anche l’opera Kac̆ji pastir-La libellula (messa in scena dal Teatro lirico Giuseppe Verdi di Trieste) e, ovviamente, la musica corale, con composizioni originali e arrangiamenti di molte melodie popolari. Il linguista e il compositore coesistevano e si integravano nell’ascolto della musicalità e del valore dei testi messi in musica: diverse lingue, diversi dialetti, versi d’autore, dal lirismo di Srec̆ko Kosovel alla giocosa fantasia di Roberto Piumini. A proposito dell’utilizzo di lingue diverse diceva: «Ogni lingua, ogni dialetto ha la propria specifica espressività, una melodia, un ritmo interno. Mi piace in particolar modo scrivere brani in dialetti diversi, attraverso i quali rivedo luoghi, ricordo persone che in quel dialetto mi parlavano o cantavano. Attraverso il mio lavoro ho la possibilità di trasmettere agli altri la ricchezza degli insegnamenti ricevuti». Merkù amava nelle persone il senso dell’umorismo, la capacità di entusiasmarsi, di vivere con libertà di pensiero e desiderio di conoscenza. Linguista di professione, musicista di formazione, pubblicista, saggista (ha scritto 20 libri, di argomento linguistico ed etnomusicologico), ricercatore (sono un documento fondamentale per la storia del Friuli Venezia Giulia le sue ricerche raccolte nel volume Le tradizioni popolari degli sloveni in Italia), redattore di trasmissioni radiofoniche presso la sede rai del Friuli Venezia Giulia, insegnante, nella vita privata coltivava ancora ulteriori interessi. L’interesse per l’unicità dei dialetti sardi lo aveva avvicinato a un mondo mediterraneo che lo ha affascinato moltissimo, lasciando tracce nei suoi studi (ha imparato ben tre dialetti sardi), nella sua musica e nel legame forte con la coralità sarda e i suoi protagonisti, alcuni dei quali lo avevano affettuosamente definito “il marinaio di alta montagna”, riferendosi da una parte alle sue origini, dall’altra alla passione per l’alpinismo. Anche l’opera di Merkù ha superato ampiamente i confini della regione di appartenenza, costituendo un orgoglio particolare per la minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia, alla quale apparteneva. Per il ruolo assunto nella valorizzazione di questo specifico patrimonio linguistico e musicale è stato insignito nel 2014 del maggiore riconoscimento alla carriera esistente in Slovenia: il Premio Pres̆eren. La sua non è mai stata un’appartenenza esclusiva e di carattere chiuso: la dedizione alla tradizione linguistica e musicale della comunità autoctona slovena è stata sempre accompagnata da uno spirito cosmopolita e consapevole della bellezza e del potenziale di una natura sfaccettata. Non avrebbe potuto essere diversamente: Merkù era nato a Trieste nel 1927, da padre sloveno e madre italiana, in una famiglia dove si mescolavano il friulano, il tedesco e ascendenze ceche. Ha studiato tra Italia e Slovenia, all’università di Ljubljana come a quella di Roma. La musica corale ha avuto un posto speciale nei suoi interessi. Della voce umana parlava come dello strumento più completo: «Nella voce mi affascina il fatto che il corpo umano stesso diventi uno strumento e possa essere capace di fare musica e di dare un’anima alla propria espressione senza l’utilizzo di mezzi esterni». RUBRICHE 66 DISCOGRAFIA a cura di Mauro Zuccante Paul Mealor, A Tender Light Tenebrae, choir - Nigel Short, dir. CD Decca 001668102, 2011 Ricordate il celebre scambio di battute tra il poeta e il compositore, all’inizio dell’opera Capriccio di Richard Strauss? – Olivier (con voce sommessa, ma con decisione): [in italiano nel libretto] «Prima le parole, dopo la musica!», Flamand (con violenza): «Prima la musica, dopo le parole!». – Insomma, cos’è più importante: la poesia, o la musica? L’antica questione mi è venuta in mente a proposito di A Tender Light, un cd monografico, uscito nel 2011, dedicato alle opere corali del compositore gallese Paul Mealor (1975). Sono composizioni eseguite con grande maestria da Nigel Short (già membro dei King’s Singers), alla guida del formidabile complesso vocale denominato Tenebrae. La raccolta si apre con il madrigale erotico Now sleeps the crimson petal e si chiude con il mottetto spirituale Ubi caritas. Ma c’è qualcosa di bizzarro che assimila i due brani estremi. I testi sono diversi, ma la musica è la stessa! Now sleeps the crimson petal (primo, di un ciclo di quattro madrigali su testi ispirati alla rosa, metafora dell’amore) è stato composto sui versi, carichi di sensualità, del poeta Alfred Tennyson; è stato eseguito per la prima volta in terra scozzese nel 2010. Ubi caritas è, invece, un “sacro adattamento” del precedente brano; è stato eseguito per la prima volta presso la Westminster Abbey, il 29 aprile 2011, durante il matrimonio di Sua altezza reale William, principe di Galles, con Catherine Middleton. Così spiega lo stesso Mealor la singolare connessione tra i due brani: «Avendo ascoltato una registrazione di Now sleeps the crimson petal, Sua altezza reale William, principe di Galles, e Catherine Middleton (ora Loro altezze reali, Il duca e La duchessa di Cambridge), hanno scelto il brano per la celebrazione del loro matrimonio nell’aprile 2011; tuttavia, dopo qualche discussione, si è ritenuto che le parole di Tennyson non fossero appropriate per una funzione religiosa, così ho suggerito di sostituirle con la preghiera cristiana risalente al vi secolo, Ubi caritas. In questo modo è nato il pezzo. Ho cambiato il testo, alzato la tonalità [da si magg. a re bem. magg.] e aggiunto, in chiusura, un frammento originale dell’antica monodia sacra». Tutto qui! Confesso che, prima di leggere le parole di Mealor, avevo pensato a una sofisticata congiuntura tra l’idea di amor sacro e quella di amor profano. Nulla di ciò. Semplice necessitas loci, studiato compromesso. E l’antica questione? Poco importa. Tanto più che non mancano i precedenti. Pare che – ispirato dalla lettura delle Georgiche di Virgilio – Samuel Barber con il celebre Adagio, per orchestra d’archi, abbia voluto descrivere il divenire di un piccolo torrente in un grande fiume. Orbene, il brano è stato in seguito “resettato” dallo stesso compositore in un pezzo corale di natura spirituale. Trasfigurato nello struggente e catartico – tutt’ora applauditissimo – Agnus Dei. E si potrebbero citare altri casi analoghi, passati e moderni. Ma fermiamoci qui. Meglio insomma non azzardare giudizi sull’antica questione e mantenersi sull’impressione generale che suscitano i lavori di Paul Mealor. Comunque, non a caso ho citato Samuel Barber. C’è un filo conduttore che colle- ga la tecnica, lo stile e il gusto di Mealor con il manierato neo­ tradizionalismo del compositore americano. Un filo conduttore a cui si associano i nomi di choral master d’oltreoceano di tendenza, quali quelli di Morten Lauridsen e di Eric Whitacre; e – sulla sponda europea – quelli dello scozzese James MacMillan, del polacco Paweł Łukaszewski e del norvegese Ola Gjeilo; e altri emuli si aggiungano pure. In questa genìa d’autori s’impone come priorità la piacevolezza del sound corale. Il testo-pretesto è relegato in subordine e assoggettato alla suggestione e alla mistica del suono – la vicenda dell’Ubi caritas di Mealor è quindi, nella fattispecie, emblematica. Il linguaggio musicale di Mealor (e “associati”) predilige il tradizionale impianto modal-tonale e gli ambiti diatonici. Uno spazio acustico che la materia sonora ora attraversa con sottigliezza, ora inonda fino al cluster. Naturalmente, determinati effetti di saturazione sono ottenuti attraverso la suddivisione delle sezioni del coro (generalmente fino a 8 parti). Ma il piano armonico rimane ancorato alle successioni tonali fondamentali, speziate, qua e là, da frizioni dissonanti, generate da occasionali linee trasversali. Le armonie poggiano sulle funzionalità verticali basilari (spesso liberamente impiantate nello stato di quarta e sesta), e sono condite da momentanee saporosità, emanate da note aggiunte agli accordi (seconda, quarta, settima, nona). Il flusso sonoro procede per ampie campiture, le cui curvature si modificano con lentezza. Non da ultimo va considerato l’ingrediente di una certa piacevolezza melodica, data dalla ripetizione di motivi facilmente orecchiabili, dalla sovrapposizione di controcanti, e dalla reiterazione di riff piazzati all’apoteosi di un climax (paradigmatico il trascinante passaggio «In Mary, purest Maid…» del iv madrigale, A Spotless Rose). La precedente elencazione enumera un mix di elementi, i quali costituiscono una scrittura corale che, attualmente, gode di largo apprezzamento. Nonostante ciò, lasciate che esprima il mio favore per un brano del cd di Mealor che va in direzione contraria. Mi riferisco al iii madrigale, Upon a bank with roses set about. In esso l’autore adotta una diversa maniera di espressione. Il delicato mormorìo delle acque del ruscello e il tubare delle tortore sono raffigurati, con leggerezza di tocco, da ceselli musicali, che si alternano a spigliate e irregolari scansioni ritmiche. Uno squisito artifizio in punta di pennello! She walks in beauty, sul magnifico testo di Lord Byron, è il pezzo che ispira il titolo della raccolta. La comparazione di opposti tra la bellezza della donna e la notte stellata, suggeriscono al poeta l’espressione «mellow’d to that tender light». Il compositore indugia sulle magiche atmosfere generate dalla «tenera luce», riciclando lo schema del solito appassionato riff cadenzale, già citato a proposito di A Spotless Rose. O vos omnes presenta una commistione di testi in latino, inglese ed ebraico. In testa alla partitura, il compositore cita un verso del Salmo 133, suggello di sensibilità umanitaria, come auspicio per la pace in Terra santa: «Behold how good, and how pleasant it is, for brothers to dwell together in unity» («Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli convivano in uni- 67 tà»). Il brano è timbricamente arricchito da un set di campane tubolari. Dapprima semplici rintocchi s’intervallano alle voci. Ma, alla perorazione «Attendite, attendite… », i rintocchi si moltiplicano, fino a mutare in un massiccio scampanìo. Le parossistiche ripetizioni del Locus iste, ancora una volta, trovano sfogo nel consueto riff catarchico e veemente, in choro pleno. La chiusura è in dissolvenza. Dopo un verso, intonato dalla voce solista, del poeta scozzese Peter Davidson («O flawless hallow, o seamless robe. Lantern of stone, unbroken»), ecco un tocco d’atmosfera: un effetto-campane (Bell-like) sulla parola «Santuario». Salvator mundi combina le parole della preghiera latina con citazioni in inglese dal Vangelo di san Giovanni. Voci soliste cantano il testo latino con virtuosistiche ornamentazioni melodiche, mentre il coro intona il testo evangelico. Alla fine del pezzo, sul dissolversi delle voci, il soprano solista intona, in gallese, le parole di Cristo: «Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi». Tralasciamo l’Ave Maria – forse il pezzo più debole della raccolta – e il retorico Stabat Mater. Segnaliamo invece, in conclusione, la “bonus track” Wherever You Are, disponibile, però, solo in appendice al cd distribuito per il mercato inglese. Paul Mealor (e – mi ripeto – “associati”) è abile nell’accattivarsi il compiacimento dell’orecchio di un ascoltatore medio. Chi meglio di lui poteva confezionare una hit di successo, che ha realizzato – in concomitanza delle feste di fine anno 2011 – un record di vendite nel Regno Unito (oltre mezzo milione di copie in una settimana!)? La storia è questa. Se, come me, siete abituati alle levatacce, senza dubbio conoscete Gareth Malone. Gli altri sappiano che rai 5 (bontà sua, però, appunto, all’alba) ha mandato in onda nei mesi scorsi alcune puntate della serie televisiva prodotta dalla bbc, The Choir. Si tratta di una sorta di reality (non insulso, ma di buon gusto) sul tema della coralità (sic!), in cui il giovane ed eroico “domatore di cori” Gareth Malone (insignito del titolo di Officer of the Order of the British Empire, nel 2012, proprio per il servizio prestato alla causa della musica) si cimenta in imprese al limite del possibile. Ecco alcuni titoli delle puntate: Boys Don’t Sing, Unsung Town, Sing While You Work, The Choir does Sports, The Choir does Comic. Questo programma è veramente encomiabile e fa sprofondare in uno stato di ulteriore vergogna gli italici palinsesti televisivi. Ora, la quarta serie di The Choir è stata dedicata da Malone alla formazione del coro delle mogli dei soldati (Military Wives Choir). Lo stesso Malone si è incaricato della stesura di un testo, in forma di poesia d’amore, ricavato dalle lettere che mogli e fidanzate avevano inviato ai loro compagni impegnati nelle missioni militari in Afghanistan. Quindi, egli ha chiesto a Paul Mealor di metterlo in musica. Così è stata composta ed eseguita dallo stesso coro delle mogli dei militari la canzone Wherever You Are, che ha entusiasmato e commosso il pubblico televisivo inglese, stimato, per la puntata conclusiva, in 2,65 milioni di spettatori. …E poi ci chiediamo da dove viene l’orgoglio britannico. RUBRICHE 66 DISCOGRAFIA a cura di Mauro Zuccante Paul Mealor, A Tender Light Tenebrae, choir - Nigel Short, dir. CD Decca 001668102, 2011 Ricordate il celebre scambio di battute tra il poeta e il compositore, all’inizio dell’opera Capriccio di Richard Strauss? – Olivier (con voce sommessa, ma con decisione): [in italiano nel libretto] «Prima le parole, dopo la musica!», Flamand (con violenza): «Prima la musica, dopo le parole!». – Insomma, cos’è più importante: la poesia, o la musica? L’antica questione mi è venuta in mente a proposito di A Tender Light, un cd monografico, uscito nel 2011, dedicato alle opere corali del compositore gallese Paul Mealor (1975). Sono composizioni eseguite con grande maestria da Nigel Short (già membro dei King’s Singers), alla guida del formidabile complesso vocale denominato Tenebrae. La raccolta si apre con il madrigale erotico Now sleeps the crimson petal e si chiude con il mottetto spirituale Ubi caritas. Ma c’è qualcosa di bizzarro che assimila i due brani estremi. I testi sono diversi, ma la musica è la stessa! Now sleeps the crimson petal (primo, di un ciclo di quattro madrigali su testi ispirati alla rosa, metafora dell’amore) è stato composto sui versi, carichi di sensualità, del poeta Alfred Tennyson; è stato eseguito per la prima volta in terra scozzese nel 2010. Ubi caritas è, invece, un “sacro adattamento” del precedente brano; è stato eseguito per la prima volta presso la Westminster Abbey, il 29 aprile 2011, durante il matrimonio di Sua altezza reale William, principe di Galles, con Catherine Middleton. Così spiega lo stesso Mealor la singolare connessione tra i due brani: «Avendo ascoltato una registrazione di Now sleeps the crimson petal, Sua altezza reale William, principe di Galles, e Catherine Middleton (ora Loro altezze reali, Il duca e La duchessa di Cambridge), hanno scelto il brano per la celebrazione del loro matrimonio nell’aprile 2011; tuttavia, dopo qualche discussione, si è ritenuto che le parole di Tennyson non fossero appropriate per una funzione religiosa, così ho suggerito di sostituirle con la preghiera cristiana risalente al vi secolo, Ubi caritas. In questo modo è nato il pezzo. Ho cambiato il testo, alzato la tonalità [da si magg. a re bem. magg.] e aggiunto, in chiusura, un frammento originale dell’antica monodia sacra». Tutto qui! Confesso che, prima di leggere le parole di Mealor, avevo pensato a una sofisticata congiuntura tra l’idea di amor sacro e quella di amor profano. Nulla di ciò. Semplice necessitas loci, studiato compromesso. E l’antica questione? Poco importa. Tanto più che non mancano i precedenti. Pare che – ispirato dalla lettura delle Georgiche di Virgilio – Samuel Barber con il celebre Adagio, per orchestra d’archi, abbia voluto descrivere il divenire di un piccolo torrente in un grande fiume. Orbene, il brano è stato in seguito “resettato” dallo stesso compositore in un pezzo corale di natura spirituale. Trasfigurato nello struggente e catartico – tutt’ora applauditissimo – Agnus Dei. E si potrebbero citare altri casi analoghi, passati e moderni. Ma fermiamoci qui. Meglio insomma non azzardare giudizi sull’antica questione e mantenersi sull’impressione generale che suscitano i lavori di Paul Mealor. Comunque, non a caso ho citato Samuel Barber. C’è un filo conduttore che colle- ga la tecnica, lo stile e il gusto di Mealor con il manierato neo­ tradizionalismo del compositore americano. Un filo conduttore a cui si associano i nomi di choral master d’oltreoceano di tendenza, quali quelli di Morten Lauridsen e di Eric Whitacre; e – sulla sponda europea – quelli dello scozzese James MacMillan, del polacco Paweł Łukaszewski e del norvegese Ola Gjeilo; e altri emuli si aggiungano pure. In questa genìa d’autori s’impone come priorità la piacevolezza del sound corale. Il testo-pretesto è relegato in subordine e assoggettato alla suggestione e alla mistica del suono – la vicenda dell’Ubi caritas di Mealor è quindi, nella fattispecie, emblematica. Il linguaggio musicale di Mealor (e “associati”) predilige il tradizionale impianto modal-tonale e gli ambiti diatonici. Uno spazio acustico che la materia sonora ora attraversa con sottigliezza, ora inonda fino al cluster. Naturalmente, determinati effetti di saturazione sono ottenuti attraverso la suddivisione delle sezioni del coro (generalmente fino a 8 parti). Ma il piano armonico rimane ancorato alle successioni tonali fondamentali, speziate, qua e là, da frizioni dissonanti, generate da occasionali linee trasversali. Le armonie poggiano sulle funzionalità verticali basilari (spesso liberamente impiantate nello stato di quarta e sesta), e sono condite da momentanee saporosità, emanate da note aggiunte agli accordi (seconda, quarta, settima, nona). Il flusso sonoro procede per ampie campiture, le cui curvature si modificano con lentezza. Non da ultimo va considerato l’ingrediente di una certa piacevolezza melodica, data dalla ripetizione di motivi facilmente orecchiabili, dalla sovrapposizione di controcanti, e dalla reiterazione di riff piazzati all’apoteosi di un climax (paradigmatico il trascinante passaggio «In Mary, purest Maid…» del iv madrigale, A Spotless Rose). La precedente elencazione enumera un mix di elementi, i quali costituiscono una scrittura corale che, attualmente, gode di largo apprezzamento. Nonostante ciò, lasciate che esprima il mio favore per un brano del cd di Mealor che va in direzione contraria. Mi riferisco al iii madrigale, Upon a bank with roses set about. In esso l’autore adotta una diversa maniera di espressione. Il delicato mormorìo delle acque del ruscello e il tubare delle tortore sono raffigurati, con leggerezza di tocco, da ceselli musicali, che si alternano a spigliate e irregolari scansioni ritmiche. Uno squisito artifizio in punta di pennello! She walks in beauty, sul magnifico testo di Lord Byron, è il pezzo che ispira il titolo della raccolta. La comparazione di opposti tra la bellezza della donna e la notte stellata, suggeriscono al poeta l’espressione «mellow’d to that tender light». Il compositore indugia sulle magiche atmosfere generate dalla «tenera luce», riciclando lo schema del solito appassionato riff cadenzale, già citato a proposito di A Spotless Rose. O vos omnes presenta una commistione di testi in latino, inglese ed ebraico. In testa alla partitura, il compositore cita un verso del Salmo 133, suggello di sensibilità umanitaria, come auspicio per la pace in Terra santa: «Behold how good, and how pleasant it is, for brothers to dwell together in unity» («Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli convivano in uni- 67 tà»). Il brano è timbricamente arricchito da un set di campane tubolari. Dapprima semplici rintocchi s’intervallano alle voci. Ma, alla perorazione «Attendite, attendite… », i rintocchi si moltiplicano, fino a mutare in un massiccio scampanìo. Le parossistiche ripetizioni del Locus iste, ancora una volta, trovano sfogo nel consueto riff catarchico e veemente, in choro pleno. La chiusura è in dissolvenza. Dopo un verso, intonato dalla voce solista, del poeta scozzese Peter Davidson («O flawless hallow, o seamless robe. Lantern of stone, unbroken»), ecco un tocco d’atmosfera: un effetto-campane (Bell-like) sulla parola «Santuario». Salvator mundi combina le parole della preghiera latina con citazioni in inglese dal Vangelo di san Giovanni. Voci soliste cantano il testo latino con virtuosistiche ornamentazioni melodiche, mentre il coro intona il testo evangelico. Alla fine del pezzo, sul dissolversi delle voci, il soprano solista intona, in gallese, le parole di Cristo: «Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi». Tralasciamo l’Ave Maria – forse il pezzo più debole della raccolta – e il retorico Stabat Mater. Segnaliamo invece, in conclusione, la “bonus track” Wherever You Are, disponibile, però, solo in appendice al cd distribuito per il mercato inglese. Paul Mealor (e – mi ripeto – “associati”) è abile nell’accattivarsi il compiacimento dell’orecchio di un ascoltatore medio. Chi meglio di lui poteva confezionare una hit di successo, che ha realizzato – in concomitanza delle feste di fine anno 2011 – un record di vendite nel Regno Unito (oltre mezzo milione di copie in una settimana!)? La storia è questa. Se, come me, siete abituati alle levatacce, senza dubbio conoscete Gareth Malone. Gli altri sappiano che rai 5 (bontà sua, però, appunto, all’alba) ha mandato in onda nei mesi scorsi alcune puntate della serie televisiva prodotta dalla bbc, The Choir. Si tratta di una sorta di reality (non insulso, ma di buon gusto) sul tema della coralità (sic!), in cui il giovane ed eroico “domatore di cori” Gareth Malone (insignito del titolo di Officer of the Order of the British Empire, nel 2012, proprio per il servizio prestato alla causa della musica) si cimenta in imprese al limite del possibile. Ecco alcuni titoli delle puntate: Boys Don’t Sing, Unsung Town, Sing While You Work, The Choir does Sports, The Choir does Comic. Questo programma è veramente encomiabile e fa sprofondare in uno stato di ulteriore vergogna gli italici palinsesti televisivi. Ora, la quarta serie di The Choir è stata dedicata da Malone alla formazione del coro delle mogli dei soldati (Military Wives Choir). Lo stesso Malone si è incaricato della stesura di un testo, in forma di poesia d’amore, ricavato dalle lettere che mogli e fidanzate avevano inviato ai loro compagni impegnati nelle missioni militari in Afghanistan. Quindi, egli ha chiesto a Paul Mealor di metterlo in musica. Così è stata composta ed eseguita dallo stesso coro delle mogli dei militari la canzone Wherever You Are, che ha entusiasmato e commosso il pubblico televisivo inglese, stimato, per la puntata conclusiva, in 2,65 milioni di spettatori. …E poi ci chiediamo da dove viene l’orgoglio britannico. RUBRICHE 68 MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi Canta con la voce e con il cuore, con la bocca e con la vita, canta senza stonature, la verità del cuore. Canta come cantano i viandanti: non per cullare l’inerzia, ma per sostenere lo sforzo. Canta e cammina! Se cammini, avanza nel bene, avanza nella fede retta, avanza nella vita pura. Canta senza smarrirti, senza indietreggiare, senza fermarti. Canta e cammina! (Sant’Agostino) «Piove, governo ladro!». «Porca miseria, che caldo che fa oggi!». Non so se l’avete notato: se fa caldo la gente si lamenta, ma se è la pioggia a farla da padrona la gente brontola lo stesso (e non possiamo certo dar torto soprattutto ai colpiti dalle moderne “bombe d’acqua”. Anche Mondocoro è vicina ai colpiti!). Bisognerebbe davvero riuscire a equilibrare le cose, ma… Non ho mai sentito dire se in merito ci sono degli studi in corso. E che c’entra questo con Mondocoro? Beh, mi veniva in mente… La situazione descritta non è forse la stessa che si incontra nell’allestimento di un programma corale? Se il maestro propone solo canto gregoriano molti coristi reclameranno il canto popolare; se presenta brani del varietà alcuni richiederanno pagine classiche! Ma se invece decide per un programma variegato, come potrà conciliare Mozart con Elvis Presley? Questi malcontenti fanno parte della dura vita del direttore di coro. È lui, infatti, a fare il bello e cattivo tempo (…e torna la meteorologia!). Ma, come dice René Char nell’opera di Pierre Boulez: «Bisogna essere l’uomo della pioggia e il bimbo del bel tempo». A tutti i cori italiani, qualsiasi tempo faccia, buona prosecuzione della stagione corale 2014-2015. Con Sant’Agostino: Canta senza smarrirti, senza indietreggiare, senza fermarti. Canta e cammina! Musica per non… cadere a pezzi Il presidente della banca mondiale Felipe Herrara ha raccontato di un piccolissimo villaggio vicino al lago Titicaca in Bolivia, dove egli era andato per uno studio di fattibilità per una diga idroelettrica che veniva proposta in zona. Terminato il soggiorno di lavoro, il suo team si rese conto che non aveva speso tutta la somma prevista dal budget. Poiché il villaggio mancava di tutto, chiamarono a raccolta i capi locali e spiegarono loro che avevano avanzato del danaro. In segno di gratitudine per l’ospitalità e la collaborazione, avrebbero gradito lasciarlo in dono alla comunità. «Quale progetto vorreste che finanziassimo per voi in nome della banca?». Gli anziani del villaggio si appartarono per discutere l’offerta. Dopo soli cinque minuti tornarono: «Noi lo sappiamo cosa fare con il danaro». «Benissimo! Qualsiasi cosa vogliate». «Abbiamo bisogno di nuovi strumenti musicali per la nostra banda». «Forse – rispose il portavoce della banca – non avete capito. Ciò di cui qui avete bisogno sono miglioramenti come l’energia elettrica, acqua potabile, fognature, telefono e telegrafo». Ma gli indiani avevano capito perfettamente. «Nel nostro villaggio – spiegarono gli anziani – tutti sanno suonare uno strumento musicale. La domenica, dopo la messa, noi ci riuniamo tutti per un concerto nel patio della chiesa. Prima facciamo musica tutti insieme. Poi possiamo parlare dei problemi della nostra comunità e di come risolverli. Ma i nostri strumenti sono vecchi e cadono a pezzi. Senza la musica anche noi saremo così». (Tratto da “Gaviotas: un villaggio per reinventare il mondo”, di Alan Weisman) Il Premio Eric Ericson per giovani direttori di coro Il Premio Eric Ericson per giovani direttori di coro di età compresa fra i 20 e i 32 anni fu tenuto per la prima volta nel 2003 e ripetuto poi nel 2006 e 2009. Il repertorio è scelto fra la musica corale occidentale con particolare riferimento alla musica corale svedese. Il vincitore viene premiato con 100.000 Corone Svedesi (11.000 Euro ca.) e con l’invito a dirigere il Coro della Radio Svedese in un programma che viene concordato. La prossima edizione del premio si terrà a Stoccolma dal 18 al 21 febbraio 2016. Maggiori informazioni si possono trovare in www. ericsonchoralcentre.se Eric Gustaf Ericson (1918-2013). Il premio di cui si parla è dedicato a questo grande musicista svedese direttore di coro e influente insegnante corale. Si era laureato nel 1943 al Royal College of Music di Stoccolma ma aveva poi completato i suoi studi all’estero, in Svizzera, Germania, Inghilterra e Stati Uniti. Era famoso per i suoi metodi di insegnamento innovativi e per la vastità e l’eterogeneità del suo repertorio. Fu direttore per oltre 30 anni del coro Orphei Drängar dell’Università di Upsala e del coro della Radio Svedese da lui fondato nel 1951. Fu in questo stesso anno che cominciò a insegnare al Royal College of Music di Stoccolma dove nel 1968, diventato leggendario e figura ispiratrice, gli fu assegnata la cattedra di direzione. Nel 1995 gli fu assegnato il premio Nordic Council Music Prize e due anni più tardi condivise il Polar Music Prize con Bruce Springsteen per i suoi «successi pionieristici come direttore d’orchestra, insegnante, ideatore artistico e ispiratore nella musica corale svedese e internazionale». Nella sua lunga vita ha fondato anche il Coro da Camera Eric Ericson e ha lavorato come direttore ospite di molti complessi famosi. Il 1° gennaio 2007 nel nome di Eric Ericson in Svezia è stata creata una nuova fondazione chiamata Centro Corale Internazionale Eric Ericson avente lo scopo di «promuovere lo sviluppo a lungo termine della musica corale e sostenere chi la pratica, basandosi su prospettive nazionali e internazionali nello spirito di Eric Ericson. La fondazione incoraggia la collaborazione ai più alti livelli e sulla base più estesa del movimento corale, fra compositori ed esecutori, fra l’arte corale e le altre arti. Propone e sostiene anche progetti educativi e di ricerca». Il Premio Eric Ericson per Giovani Direttori di Coro è una delle principali attività di questo Centro Corale Internazionale Eric Ericson. 69 Premio europeo per compositori di musica corale 2014-2015 Il 18 settembre 2014 la giuria dell’European Award for Composers (Premio europeo per compositori di musica corale), composta da Nicola Campogrande (it, Presidente), Ambroz̆ Copi (si), Maria van Nieukerken (nl), Tamara Petjevic (rs) e Kaie Tanner (ee), con la consulenza di Jan Schumacher (de), presidente della Commissione Musicale di European Choral Association - Europa Cantat, ha scelto le composizioni vincenti dell’edizione 2014-15. Il Premio europeo per compositori di musica corale è la continuazione del Premio “Golden Diapason”, già organizzato per molti anni da agec (Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände), ed è stato organizzato per la prima volta dalla European Choral Association - Europa Cantat (eca-ec) nel 2011/2012. Per la seconda edizione le organizzazioni membri di eca-ec nel 2014/15 sono state nuovamente invitate a presentare composizioni per le seguenti tre categorie: (a) coro a cappella, (b) coro accompagnato da un massimo di quattro strumenti, (c) jazz per coro a cappella o coro accompagnato da un massimo di tre strumenti, con un massimo – per ogni organizzazione – di tre opere per ogni categoria. Trentanove composizioni provenienti da 31 compositori sono state presentate al concorso da 11 organizzazioni aderenti di 9 diversi paesi europei, con 26 composizioni in categoria a, 11 nella categoria b e 2 nella categoria c. Nella categoria a (a cappella), la giuria ha scelto una composizione vincente: Missa Brevis (2013) per coro misto, composta da Hans Helsen (Belgio, classe 1989), presentata dall’associazione fiamminga Koor&Stem. Nella categoria b (con strumenti) la giuria non ha scelto un vincitore ma ha deciso una “menzione speciale” per due composizioni: Fairy Ring (2012) per coro femminile e arpa, composta da Maarten Van Ingelgem (Belgio, classe 1976), presentata dall’associazione fiamminga Koor & Stem; Diptychon (2011) per coro femminile e violino, composta da Henrik Colding-Jorgensen (Danimarca, classe 1944), presentata dalla Danish Association for Amateur Music dam. Nella categoria c (jazz), la giuria non ha assegnato nessun premio. La composizione vincitrice sarà eseguita al Festival Europa Cantat xix a Pécs, Ungheria, tra il 24 luglio e il 2 agosto 2015 da uno dei cori ospiti, nella cornice di uno speciale concerto serale. Le partiture che hanno ricevuto dalla giuria una menzione speciale saranno invece offerte ai cori partecipanti al festival per l’esecuzione nei propri concerti. La prossima edizione del Premio europeo per compositori di musica corale sarà organizzata nel 2017 nel quadro del progetto “Choral Upgrade in Europe - taking collective singing to a new level” (“Aggiornamento Corale in Europa – per portare il canto collettivo a un nuovo livello”) e le composizioni vincitrici saranno eseguite al Festival Europa Cantat XX nel 2018. RUBRICHE 68 MONDOCORO a cura di Giorgio Morandi Canta con la voce e con il cuore, con la bocca e con la vita, canta senza stonature, la verità del cuore. Canta come cantano i viandanti: non per cullare l’inerzia, ma per sostenere lo sforzo. Canta e cammina! Se cammini, avanza nel bene, avanza nella fede retta, avanza nella vita pura. Canta senza smarrirti, senza indietreggiare, senza fermarti. Canta e cammina! (Sant’Agostino) «Piove, governo ladro!». «Porca miseria, che caldo che fa oggi!». Non so se l’avete notato: se fa caldo la gente si lamenta, ma se è la pioggia a farla da padrona la gente brontola lo stesso (e non possiamo certo dar torto soprattutto ai colpiti dalle moderne “bombe d’acqua”. Anche Mondocoro è vicina ai colpiti!). Bisognerebbe davvero riuscire a equilibrare le cose, ma… Non ho mai sentito dire se in merito ci sono degli studi in corso. E che c’entra questo con Mondocoro? Beh, mi veniva in mente… La situazione descritta non è forse la stessa che si incontra nell’allestimento di un programma corale? Se il maestro propone solo canto gregoriano molti coristi reclameranno il canto popolare; se presenta brani del varietà alcuni richiederanno pagine classiche! Ma se invece decide per un programma variegato, come potrà conciliare Mozart con Elvis Presley? Questi malcontenti fanno parte della dura vita del direttore di coro. È lui, infatti, a fare il bello e cattivo tempo (…e torna la meteorologia!). Ma, come dice René Char nell’opera di Pierre Boulez: «Bisogna essere l’uomo della pioggia e il bimbo del bel tempo». A tutti i cori italiani, qualsiasi tempo faccia, buona prosecuzione della stagione corale 2014-2015. Con Sant’Agostino: Canta senza smarrirti, senza indietreggiare, senza fermarti. Canta e cammina! Musica per non… cadere a pezzi Il presidente della banca mondiale Felipe Herrara ha raccontato di un piccolissimo villaggio vicino al lago Titicaca in Bolivia, dove egli era andato per uno studio di fattibilità per una diga idroelettrica che veniva proposta in zona. Terminato il soggiorno di lavoro, il suo team si rese conto che non aveva speso tutta la somma prevista dal budget. Poiché il villaggio mancava di tutto, chiamarono a raccolta i capi locali e spiegarono loro che avevano avanzato del danaro. In segno di gratitudine per l’ospitalità e la collaborazione, avrebbero gradito lasciarlo in dono alla comunità. «Quale progetto vorreste che finanziassimo per voi in nome della banca?». Gli anziani del villaggio si appartarono per discutere l’offerta. Dopo soli cinque minuti tornarono: «Noi lo sappiamo cosa fare con il danaro». «Benissimo! Qualsiasi cosa vogliate». «Abbiamo bisogno di nuovi strumenti musicali per la nostra banda». «Forse – rispose il portavoce della banca – non avete capito. Ciò di cui qui avete bisogno sono miglioramenti come l’energia elettrica, acqua potabile, fognature, telefono e telegrafo». Ma gli indiani avevano capito perfettamente. «Nel nostro villaggio – spiegarono gli anziani – tutti sanno suonare uno strumento musicale. La domenica, dopo la messa, noi ci riuniamo tutti per un concerto nel patio della chiesa. Prima facciamo musica tutti insieme. Poi possiamo parlare dei problemi della nostra comunità e di come risolverli. Ma i nostri strumenti sono vecchi e cadono a pezzi. Senza la musica anche noi saremo così». (Tratto da “Gaviotas: un villaggio per reinventare il mondo”, di Alan Weisman) Il Premio Eric Ericson per giovani direttori di coro Il Premio Eric Ericson per giovani direttori di coro di età compresa fra i 20 e i 32 anni fu tenuto per la prima volta nel 2003 e ripetuto poi nel 2006 e 2009. Il repertorio è scelto fra la musica corale occidentale con particolare riferimento alla musica corale svedese. Il vincitore viene premiato con 100.000 Corone Svedesi (11.000 Euro ca.) e con l’invito a dirigere il Coro della Radio Svedese in un programma che viene concordato. La prossima edizione del premio si terrà a Stoccolma dal 18 al 21 febbraio 2016. Maggiori informazioni si possono trovare in www. ericsonchoralcentre.se Eric Gustaf Ericson (1918-2013). Il premio di cui si parla è dedicato a questo grande musicista svedese direttore di coro e influente insegnante corale. Si era laureato nel 1943 al Royal College of Music di Stoccolma ma aveva poi completato i suoi studi all’estero, in Svizzera, Germania, Inghilterra e Stati Uniti. Era famoso per i suoi metodi di insegnamento innovativi e per la vastità e l’eterogeneità del suo repertorio. Fu direttore per oltre 30 anni del coro Orphei Drängar dell’Università di Upsala e del coro della Radio Svedese da lui fondato nel 1951. Fu in questo stesso anno che cominciò a insegnare al Royal College of Music di Stoccolma dove nel 1968, diventato leggendario e figura ispiratrice, gli fu assegnata la cattedra di direzione. Nel 1995 gli fu assegnato il premio Nordic Council Music Prize e due anni più tardi condivise il Polar Music Prize con Bruce Springsteen per i suoi «successi pionieristici come direttore d’orchestra, insegnante, ideatore artistico e ispiratore nella musica corale svedese e internazionale». Nella sua lunga vita ha fondato anche il Coro da Camera Eric Ericson e ha lavorato come direttore ospite di molti complessi famosi. Il 1° gennaio 2007 nel nome di Eric Ericson in Svezia è stata creata una nuova fondazione chiamata Centro Corale Internazionale Eric Ericson avente lo scopo di «promuovere lo sviluppo a lungo termine della musica corale e sostenere chi la pratica, basandosi su prospettive nazionali e internazionali nello spirito di Eric Ericson. La fondazione incoraggia la collaborazione ai più alti livelli e sulla base più estesa del movimento corale, fra compositori ed esecutori, fra l’arte corale e le altre arti. Propone e sostiene anche progetti educativi e di ricerca». Il Premio Eric Ericson per Giovani Direttori di Coro è una delle principali attività di questo Centro Corale Internazionale Eric Ericson. 69 Premio europeo per compositori di musica corale 2014-2015 Il 18 settembre 2014 la giuria dell’European Award for Composers (Premio europeo per compositori di musica corale), composta da Nicola Campogrande (it, Presidente), Ambroz̆ Copi (si), Maria van Nieukerken (nl), Tamara Petjevic (rs) e Kaie Tanner (ee), con la consulenza di Jan Schumacher (de), presidente della Commissione Musicale di European Choral Association - Europa Cantat, ha scelto le composizioni vincenti dell’edizione 2014-15. Il Premio europeo per compositori di musica corale è la continuazione del Premio “Golden Diapason”, già organizzato per molti anni da agec (Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände), ed è stato organizzato per la prima volta dalla European Choral Association - Europa Cantat (eca-ec) nel 2011/2012. Per la seconda edizione le organizzazioni membri di eca-ec nel 2014/15 sono state nuovamente invitate a presentare composizioni per le seguenti tre categorie: (a) coro a cappella, (b) coro accompagnato da un massimo di quattro strumenti, (c) jazz per coro a cappella o coro accompagnato da un massimo di tre strumenti, con un massimo – per ogni organizzazione – di tre opere per ogni categoria. Trentanove composizioni provenienti da 31 compositori sono state presentate al concorso da 11 organizzazioni aderenti di 9 diversi paesi europei, con 26 composizioni in categoria a, 11 nella categoria b e 2 nella categoria c. Nella categoria a (a cappella), la giuria ha scelto una composizione vincente: Missa Brevis (2013) per coro misto, composta da Hans Helsen (Belgio, classe 1989), presentata dall’associazione fiamminga Koor&Stem. Nella categoria b (con strumenti) la giuria non ha scelto un vincitore ma ha deciso una “menzione speciale” per due composizioni: Fairy Ring (2012) per coro femminile e arpa, composta da Maarten Van Ingelgem (Belgio, classe 1976), presentata dall’associazione fiamminga Koor & Stem; Diptychon (2011) per coro femminile e violino, composta da Henrik Colding-Jorgensen (Danimarca, classe 1944), presentata dalla Danish Association for Amateur Music dam. Nella categoria c (jazz), la giuria non ha assegnato nessun premio. La composizione vincitrice sarà eseguita al Festival Europa Cantat xix a Pécs, Ungheria, tra il 24 luglio e il 2 agosto 2015 da uno dei cori ospiti, nella cornice di uno speciale concerto serale. Le partiture che hanno ricevuto dalla giuria una menzione speciale saranno invece offerte ai cori partecipanti al festival per l’esecuzione nei propri concerti. La prossima edizione del Premio europeo per compositori di musica corale sarà organizzata nel 2017 nel quadro del progetto “Choral Upgrade in Europe - taking collective singing to a new level” (“Aggiornamento Corale in Europa – per portare il canto collettivo a un nuovo livello”) e le composizioni vincitrici saranno eseguite al Festival Europa Cantat XX nel 2018. RUBRICHE 70 Dettagli delle composizioni vincenti e dei loro compositori: Il vincitore della categoria a: Missa Brevis per coro misto a cappella con accompagnamento opzionale di piano o organo, composto nel 2013 da Hans Helsen (Belgio, classe 1989) e dedicato ai Cantores Bruges. Kyrie (1’15), Gloria (2’55), Sanctus (1’20), Agnus Dei (1’50). Pubblicato da Euprint, vedi http://www.euprint.be/nl/node/29868 Hans Helsen (1989) ha cominciato i suoi studi nel 2007 al Lemmens Institute in Leuven dove ha concluso il suo master in educazione musicale (nel 2012) e in composizione (nel 2013) con Jeroen D’hoe. Ora sta completando il diploma in canto classico con Marina Smolders. La combinazione di queste diverse discipline gli danno l’opportunità di maturare a ogni livello. Professionalmente Hans sta cercando un suo equilibrio fra insegnamento, composizione ed esecuzione, convinto che queste diverse attività siano complementari fra loro. A tutt’oggi egli ha composto per ensemble e formazioni diverse ma nel suo lavoro la passione per la musica vocale sta imponendosi sempre di più. Ha già avuto occasione di comporre per cori come il Cappella di Voce di Bruxelles e per il Coro della Cattedrale di Bruxelles. Inoltre ha orchestrato musiche di Jeroen D’hoe. Nel 2011 ha vinto il concorso di composizione della Koor&Stem con il brano Parafrasie Paranoica. Alcune sue composizioni sono già state pubblicate da Koor&Stem e da Euprint. Come cantante Hans Helsen è stato attivo in molti gruppi corali, ha cantato per tre anni nell’EuroChoir e ha partecipato a molti progetti in Germania, Ungheria, Spagna, usa e Olanda. Inoltre dal 2013 Hans è insegnante all’Academy of Music, Drama and Dance in Lier e lavora come ricercatore al Lemmen Institute e al ku Leuven. Le menzioni speciali per la categoria B: Fairy Ring per coro femminile e arpa, composto da Maarten Van Ingelgem (Belgio, classe 1976), brano del 2012, n. 7 di Annual rings, testo di Annie Van Keymeulen. Inedito, ma già eseguito nel dicembre 2012, è disponibile da Phaedra cd 92082 – www.phaedracd.com Maarten Van Ingelgem ha studiato pianoforte e composizione, lavora come docente di pianoforte, dirige il coro da camera misto The Second Wind e canta da basso in Aquarius. La sua composizione 1914 essendo una delle vincitrici del Concorso europeo di composizione corale 2011/12 è stata eseguita al festival Europa Cantat 2012 a Torino. Dyptichon per coro femminile e violino è stato composto da Henrik Colding-Jorgensen (Danimarca, classe 1944) nel 2011. È inedito e non esiste ancora una registrazione, ma è stato eseguito per la prima volta nel 2011 dal Kildebronde Girl Choir con il violinista Piotr Gasior. Henrik Colding-Jorgensen è compositore, organista, direttore di coro e pedagogo. Nel 1975 è stato nominato organista e direttore di coro al Hundige and Kildebronde Girl Choir, gruppo che per molti anni ha partecipato a numerosi festival e settimane cantanti. Il canto aumenta la creatività e l’armonia sul posto di lavoro Se qualcuno vi chiedesse di mettervi a cantare di fronte ai vostri colleghi, credo che vi verrebbe voglia di nascondervi sotto la scrivania con la testa nel cestino della carta. Sappiamo tutti che sono tantissime le persone che hanno paura di parlare in pubblico, ma il cantare spaventa ancor di più. Finché non ci provi, è così! Cantare con gli altri mette in contatto le persone a un livello profondo e i benefici che ne derivano sono enormi sia per gli individui sia per la società. Non solo il canto ci fa sentire meglio perché mette in circolazione nel nostro corpo una quantità di endorfine; col canto si hanno anche dei veri e propri benefici per la salute. A tutt’oggi è stata fatta tanta ricerca, con risultati sorprendenti. Cinque anni di ricerca presso l’università di San Francisco hanno mostrato inequivocabilmente come il canto può anche farci vivere più a lungo. Un ambito al quale Mondocoro forse non si è mai dedicato è quello del canto sul posto di lavoro. Eppure è importante. Cantare all’interno delle organizzazioni aziendali consente ai dipendenti di trovare un senso di realizzazione. In altre parole, cantare come squadra di lavoro: consente ai membri del team di esprimersi; rimuove i blocchi creativi; migliora i rapporti interpersonali; aiuta a sviluppare insieme soluzioni interessanti; trasforma i risultati di business; crea un’atmosfera divertente attraverso un’esperienza esaltante. A livello individuale il canto migliora il nostro flusso di sangue, stimola le nostre risposte cognitive, migliora il nostro coordinamento e tiene lontano da visite mediche portando così a un minor assenteismo dal lavoro. Evviva! Vi pare poco? La musica ci muove come nient’altro. Non c’è dubbio che il canto aumenta la creatività, lo spirito di squadra e l’armonia sul posto di lavoro. A mio parere non c’è nulla sulla terra che equivalga alla gioia magica e impareggiabile che il canto porta alla vita delle persone. Fin da bambino ascoltando Jussi Björling che cantava «Che gelida manina» da La Boheme mi ha fatto venire la pelle d’oca e lo fa ancora. Ascoltatelo anche voi qui: http://www.youtube.com/watch?v=K_1Ry44K-MM. Buon ascolto! De Jubilationibus «L’Ensemble Vocale Utopie (Friburgo, Svizzera) organizza un concorso di composizione corale. La parola d’ordine è “Gioia”». È l’annuncio di Chorus, rivista dell’unione svizzera dei cori che fornisce anche il regolamento completo del concorso (by the way: mica male l’abbinamento “gioia - musica corale”). Alcuni cori si accontentano di cantare brani conosciuti. Hanno il vantaggio di seguire l’onda e il favore degli ascoltatori che spesso è freddino nei confronti della ricerca e della novità. Altri cori amano accompagnare i propri ascoltatori per sentieri poco battuti proponendo delle rarità, dei pezzi d’obbligo, delle musiche nuove. Altri ancora, ed è il caso dell’eccellente Ensemble Vocale Utopie, in collaborazione con le Edizioni Sympaphonie, si lanciano nella creazione di nuovo repertorio, proponendo addirittura un concorso di composizione corale. Compositori, a voi! Stilografica, matita, gomma, computer… Come volete! Via! nb: L’Ensemble Vocale Utopia di Friburgo è stato fondato da Gonzague Monney che è pure l’ideatore del concorso. G. Mon- 71 ney dirige anche altri cori, insegna musica in un ginnasio, è compositore lui stesso, è membro dell’associazione dei cori svizzeri. Come cantore ha fatto parte di più progetti del Coro Mondiale Giovanile. Coro e team building La ricerca dice da tempo che “cantare” ci fa bene. Le ricerche più recenti confermano che “cantare in gruppo” fa bene! Volete offrire alla vostra squadra di lavoro una stimolante e memorabile esperienza di canto differenziandovi da altri eventi di team building? Volete offrire alla vostra squadra un modo creativo di scoprire di più su se stessi come individui e come membri del team? Portate tutti insieme i membri della vostra squadra in un workshop di canto e vedrete come crescono. Migliorerà il rapporto fra i membri della squadra in modo che: sarà facile comunicare più efficacemente con i colleghi su una base di uno-a-uno; i vari componenti saranno più fiduciosi e rilassati nel presentarsi ai gruppi; sviluppare insieme soluzioni creative sarà naturale; ogni membro della squadra si sentirà più eccitato e ringiovanito. In tutto il mondo ormai esistono stimolanti e motivazionali corsi di team building nonché seminari di leadership nell’ambito dei programmi e conferenze di formazione basati sul canto corale. I partecipanti a questo tipo di seminario imparano diverse tecniche per migliorare le capacità di comunicazione in una vasta gamma di situazioni. I corsi sono rispettosi, comprensivi e creano un decisivo senso di fiducia. Dai dirigenti di banca agli impiegati, alle persone più normali… tutti attraverso il canto possono migliorare la propria fiducia sotto ogni aspetto. Fornendo un considerevole sostegno personale, con il canto si ispirano le persone a uscire dalle loro zone di comfort e ad affrontare il rischio con volontà precisa e consapevolezza. La partecipazione a esercizi vocali abbatte le barriere e fornisce una condivisa nuova esperienza motivazionale. Tramite questi corsi si aiutano le persone a trovare la propria voce perché la voce può essere sviluppata attraverso il canto e si deve ricordare che le competenze necessarie per cantare sono le stesse competenze di cui c’è bisogno per comunicare più efficacemente. E allora forse è il caso di imparare a potenziare la nostra voce. Un ausilio? Eccolo: Suggerimenti a portata di mano per cantare (Singing Tips at your Fingertips) di Helen Astrid, disponibile su Amazon in Kindle and Paperback. Io ho letto solo una recensione e dato uno sguardo all’indice, ma Michael Nealon, voce di basso solista in un coro amatoriale, garantisce senza esitazione: «Questo libro è una miniera d’oro». RUBRICHE 70 Dettagli delle composizioni vincenti e dei loro compositori: Il vincitore della categoria a: Missa Brevis per coro misto a cappella con accompagnamento opzionale di piano o organo, composto nel 2013 da Hans Helsen (Belgio, classe 1989) e dedicato ai Cantores Bruges. Kyrie (1’15), Gloria (2’55), Sanctus (1’20), Agnus Dei (1’50). Pubblicato da Euprint, vedi http://www.euprint.be/nl/node/29868 Hans Helsen (1989) ha cominciato i suoi studi nel 2007 al Lemmens Institute in Leuven dove ha concluso il suo master in educazione musicale (nel 2012) e in composizione (nel 2013) con Jeroen D’hoe. Ora sta completando il diploma in canto classico con Marina Smolders. La combinazione di queste diverse discipline gli danno l’opportunità di maturare a ogni livello. Professionalmente Hans sta cercando un suo equilibrio fra insegnamento, composizione ed esecuzione, convinto che queste diverse attività siano complementari fra loro. A tutt’oggi egli ha composto per ensemble e formazioni diverse ma nel suo lavoro la passione per la musica vocale sta imponendosi sempre di più. Ha già avuto occasione di comporre per cori come il Cappella di Voce di Bruxelles e per il Coro della Cattedrale di Bruxelles. Inoltre ha orchestrato musiche di Jeroen D’hoe. Nel 2011 ha vinto il concorso di composizione della Koor&Stem con il brano Parafrasie Paranoica. Alcune sue composizioni sono già state pubblicate da Koor&Stem e da Euprint. Come cantante Hans Helsen è stato attivo in molti gruppi corali, ha cantato per tre anni nell’EuroChoir e ha partecipato a molti progetti in Germania, Ungheria, Spagna, usa e Olanda. Inoltre dal 2013 Hans è insegnante all’Academy of Music, Drama and Dance in Lier e lavora come ricercatore al Lemmen Institute e al ku Leuven. Le menzioni speciali per la categoria B: Fairy Ring per coro femminile e arpa, composto da Maarten Van Ingelgem (Belgio, classe 1976), brano del 2012, n. 7 di Annual rings, testo di Annie Van Keymeulen. Inedito, ma già eseguito nel dicembre 2012, è disponibile da Phaedra cd 92082 – www.phaedracd.com Maarten Van Ingelgem ha studiato pianoforte e composizione, lavora come docente di pianoforte, dirige il coro da camera misto The Second Wind e canta da basso in Aquarius. La sua composizione 1914 essendo una delle vincitrici del Concorso europeo di composizione corale 2011/12 è stata eseguita al festival Europa Cantat 2012 a Torino. Dyptichon per coro femminile e violino è stato composto da Henrik Colding-Jorgensen (Danimarca, classe 1944) nel 2011. È inedito e non esiste ancora una registrazione, ma è stato eseguito per la prima volta nel 2011 dal Kildebronde Girl Choir con il violinista Piotr Gasior. Henrik Colding-Jorgensen è compositore, organista, direttore di coro e pedagogo. Nel 1975 è stato nominato organista e direttore di coro al Hundige and Kildebronde Girl Choir, gruppo che per molti anni ha partecipato a numerosi festival e settimane cantanti. Il canto aumenta la creatività e l’armonia sul posto di lavoro Se qualcuno vi chiedesse di mettervi a cantare di fronte ai vostri colleghi, credo che vi verrebbe voglia di nascondervi sotto la scrivania con la testa nel cestino della carta. Sappiamo tutti che sono tantissime le persone che hanno paura di parlare in pubblico, ma il cantare spaventa ancor di più. Finché non ci provi, è così! Cantare con gli altri mette in contatto le persone a un livello profondo e i benefici che ne derivano sono enormi sia per gli individui sia per la società. Non solo il canto ci fa sentire meglio perché mette in circolazione nel nostro corpo una quantità di endorfine; col canto si hanno anche dei veri e propri benefici per la salute. A tutt’oggi è stata fatta tanta ricerca, con risultati sorprendenti. Cinque anni di ricerca presso l’università di San Francisco hanno mostrato inequivocabilmente come il canto può anche farci vivere più a lungo. Un ambito al quale Mondocoro forse non si è mai dedicato è quello del canto sul posto di lavoro. Eppure è importante. Cantare all’interno delle organizzazioni aziendali consente ai dipendenti di trovare un senso di realizzazione. In altre parole, cantare come squadra di lavoro: consente ai membri del team di esprimersi; rimuove i blocchi creativi; migliora i rapporti interpersonali; aiuta a sviluppare insieme soluzioni interessanti; trasforma i risultati di business; crea un’atmosfera divertente attraverso un’esperienza esaltante. A livello individuale il canto migliora il nostro flusso di sangue, stimola le nostre risposte cognitive, migliora il nostro coordinamento e tiene lontano da visite mediche portando così a un minor assenteismo dal lavoro. Evviva! Vi pare poco? La musica ci muove come nient’altro. Non c’è dubbio che il canto aumenta la creatività, lo spirito di squadra e l’armonia sul posto di lavoro. A mio parere non c’è nulla sulla terra che equivalga alla gioia magica e impareggiabile che il canto porta alla vita delle persone. Fin da bambino ascoltando Jussi Björling che cantava «Che gelida manina» da La Boheme mi ha fatto venire la pelle d’oca e lo fa ancora. Ascoltatelo anche voi qui: http://www.youtube.com/watch?v=K_1Ry44K-MM. Buon ascolto! De Jubilationibus «L’Ensemble Vocale Utopie (Friburgo, Svizzera) organizza un concorso di composizione corale. La parola d’ordine è “Gioia”». È l’annuncio di Chorus, rivista dell’unione svizzera dei cori che fornisce anche il regolamento completo del concorso (by the way: mica male l’abbinamento “gioia - musica corale”). Alcuni cori si accontentano di cantare brani conosciuti. Hanno il vantaggio di seguire l’onda e il favore degli ascoltatori che spesso è freddino nei confronti della ricerca e della novità. Altri cori amano accompagnare i propri ascoltatori per sentieri poco battuti proponendo delle rarità, dei pezzi d’obbligo, delle musiche nuove. Altri ancora, ed è il caso dell’eccellente Ensemble Vocale Utopie, in collaborazione con le Edizioni Sympaphonie, si lanciano nella creazione di nuovo repertorio, proponendo addirittura un concorso di composizione corale. Compositori, a voi! Stilografica, matita, gomma, computer… Come volete! Via! nb: L’Ensemble Vocale Utopia di Friburgo è stato fondato da Gonzague Monney che è pure l’ideatore del concorso. G. Mon- 71 ney dirige anche altri cori, insegna musica in un ginnasio, è compositore lui stesso, è membro dell’associazione dei cori svizzeri. Come cantore ha fatto parte di più progetti del Coro Mondiale Giovanile. Coro e team building La ricerca dice da tempo che “cantare” ci fa bene. Le ricerche più recenti confermano che “cantare in gruppo” fa bene! Volete offrire alla vostra squadra di lavoro una stimolante e memorabile esperienza di canto differenziandovi da altri eventi di team building? Volete offrire alla vostra squadra un modo creativo di scoprire di più su se stessi come individui e come membri del team? Portate tutti insieme i membri della vostra squadra in un workshop di canto e vedrete come crescono. Migliorerà il rapporto fra i membri della squadra in modo che: sarà facile comunicare più efficacemente con i colleghi su una base di uno-a-uno; i vari componenti saranno più fiduciosi e rilassati nel presentarsi ai gruppi; sviluppare insieme soluzioni creative sarà naturale; ogni membro della squadra si sentirà più eccitato e ringiovanito. In tutto il mondo ormai esistono stimolanti e motivazionali corsi di team building nonché seminari di leadership nell’ambito dei programmi e conferenze di formazione basati sul canto corale. I partecipanti a questo tipo di seminario imparano diverse tecniche per migliorare le capacità di comunicazione in una vasta gamma di situazioni. I corsi sono rispettosi, comprensivi e creano un decisivo senso di fiducia. Dai dirigenti di banca agli impiegati, alle persone più normali… tutti attraverso il canto possono migliorare la propria fiducia sotto ogni aspetto. Fornendo un considerevole sostegno personale, con il canto si ispirano le persone a uscire dalle loro zone di comfort e ad affrontare il rischio con volontà precisa e consapevolezza. La partecipazione a esercizi vocali abbatte le barriere e fornisce una condivisa nuova esperienza motivazionale. Tramite questi corsi si aiutano le persone a trovare la propria voce perché la voce può essere sviluppata attraverso il canto e si deve ricordare che le competenze necessarie per cantare sono le stesse competenze di cui c’è bisogno per comunicare più efficacemente. E allora forse è il caso di imparare a potenziare la nostra voce. Un ausilio? Eccolo: Suggerimenti a portata di mano per cantare (Singing Tips at your Fingertips) di Helen Astrid, disponibile su Amazon in Kindle and Paperback. Io ho letto solo una recensione e dato uno sguardo all’indice, ma Michael Nealon, voce di basso solista in un coro amatoriale, garantisce senza esitazione: «Questo libro è una miniera d’oro». RUBRICHE 72 Canta e cammina 2014 «Cantiamo pure ora, / non tanto per goderci il riposo, / quanto per sollevarci dalla fatica. / Cantiamo da viandanti. / Canta, ma cammina» (Sant’Agostino). «…essere una Voce in Cammino lungo i sentieri silenziosi delle chiese romaniche, lasciando che nell’ascolto del proprio corpo e delle proprie sensazioni il canto accada in tutta la sua bellezza. Il camminare ci mette in contatto con la parte più profonda di noi: la strada è scuola di umiltà, la fatica ci insegna a mettere da parte sufficienza e orgoglio. Al cammino vogliamo però aggiungere il canto: la voce è l’eco di ciò che è nascosto dentro ciascuno di noi. Tramite il suono delle voci e il gesto naturale del camminare, si può stimolare la creatività, la vitalità, la comunicazione vera tra individui e l’appartenenza alla natura» (Abbazia di Sant’Antimo). Canta e Cammina, proposto da alcuni anni dall’Abbazia di Sant’Antimo, è insieme un corso di canto e un camminare lungo i sentieri delle antiche chiese romaniche e gotiche in cui il grande canto è nato e si è sviluppato attraverso i secoli. Si cerca di unire il cantare e il peregrinare, cioè di essere una voce in cammino. Il progetto propone (a chiunque lo desideri) un’esperienza forte per trovare unità interiore e armonia e anche sostegno indispensabile a esecuzioni di alto spessore artistico complessivo. È una via per ritrovare la vitalità e la bellezza del nostro canto esplorando i suoni della natura attraverso l’arte dell’ascolto. Le giornate sono ritmate dalle camminate in mezzo al verde e dal canto nelle chiese, dai momenti di silenzio, dai pasti e dai momenti di condivisione. Musicalmente si percorrono i sentieri del canto gregoriano e di quello medievale (Laudi, Cantigas, Discanti, ecc.) perché grazie all’immediatezza e semplicità della loro struttura compositiva coinvolgono l’esecutore su tutti i piani dell’essere. Il tutto garantito dalla particolare atmosfera della grande cattedrale gotica o della piccola chiesa romanica di campagna o degli spazi naturali dove l’azione di studio di volta in volta si svolge. Da sempre il Canta e Cammina è tenuto da Livio Picotti, in collaborazione con Giuseppe Sparnacci e la partecipazione di fr. Dominique de Formigny dell’Abbazia di Sant’Antimo. Si è svolto, negli ultimi dieci anni, sia in Italia (Toscana, Umbria, Sardegna…) sia in altri paesi d’Europa (Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda…). Ha una durata variabile da quattro a dieci giorni. Ho partecipato a più esperienze di questo genere e una delle ultime vorrei presentarla un po’ più in dettaglio ai lettori di Mondocoro: Canta e Cammina in Normandia, nell’estate 2014. «Forse un faro, un faro di Dio nel nostro peregrinare». Rubo questa frase di don Angelo Casati per riferirmi alla meta (Mont St Michel) di questo speciale viaggio musicale e spirituale che ho fatto con un gruppo di trentacinque amici, viaggio rischiarato nel suo svolgimento da altri fari eccelsi e portatori di grandi emozioni: le tappe intermedie fra Parigi/Beauvais (Cattedrale), Mont St. Michel e Parigi (Chiesa di St Gervais). Un primo faro del nostro Canta e Cammina è stata la grande incompiuta cattedrale di Beauvais da cui il cantare ha avuto inizio, prima ancora del cammino che con una prima tappa ci ha portato alla splendida chiesa romanica di Criquebeuf. La luce di Criquebeuf ha lanciato il già affiatato gruppo verso la chiesa romanica di Notre Dame di Etretat dove la ricerca vocale ha ricevuto nuovo impulso anche dalla spettacolarità del percorso lungo le alte falesie stupendamente sagomate dalla furia dei secolari atlantici venti, luoghi dai quali è facile proiettare lo sguardo verso La Manica fin oltre le isole di Man e di Guernesey. Il nostro peregrinare corale ha ricevuto ulteriori stimoli – non più esclusivamente musicali – da Omaha Beach, la località che a 70 anni dagli eventi dello sbarco delle forze alleate in Normandia ricorda la seconda Guerra Mondiale. La ricerca musicale è poi ripresa nella cripta romanica della Cattedrale di Bayeux. L’intensa spiritualità dell’Abbazia di Notre Dame de Protection l’ha proiettata ulteriormente verso una presa di coscienza sempre più convinta del suono che dal nostro intimo si forma e si diffonde verso l’esterno fino a invadere e fondersi con l’ambiente circostante, fino a raggiungere sicuramente… il più alto dei cieli. I frutti della ricerca musicale si manifestano in pieno nel canto che con intensità e devozione e proprietà di temi, di sonorità, di spirito liturgico accompagnano le Sante Messe celebrate da Frère Dominique dell’Abbazia di Sant’Antimo. Lo studio del suono e la preparazione dei brani che troveranno spazio nel programma del concerto finale di Parigi (Chiesa di St. Gervais) procedono e si arricchiscono di nuovi risultati anche sulle rive del mare dove il bordone realizzato dal soffio e dal sibilo del vento sostiene e matura sempre di più la ricerca che proseguirà nella splendida chiesa romanica dell’Abbey de Lessai. Questa con la sua atmosfera ambientale e acustica ci riporta col pensiero all’Abbazia di Sant’Antimo dove la scuola musicale del maestro Picotti trae origine e ha la sede primaria anche attraverso il coro Cantus Anthimi, il coro Hildegard von Bingen, i corsi di canto gregoriano e il nuovo progetto “Mentinmoto”. Di giorno in giorno il cammino procede e la ricerca del suono si specializza sempre di più; va verso il suo culmine: Mont St. Michel. È qui che il gruppo di 35 cantori – di sensibilità, attività, provenienza ed esperienze professionali e musicali tra le più diverse – vive emotivamente e spiritualmente momenti da condividere con la comunità religiosa e con la moltitudine dei turisti del momento. Se il cammino attraverso una natura incontaminata verso Mont St. Michel ci ha portato al suo punto geografico più alto, la ricerca vocale ha goduto di tutto ciò facendoci raggiungere il punto più eccelso nella chiesa di San Pietro. Ma Canta e Cammina 2014 non è finito qui, ha proseguito ancora verso S. Leonardo e la chiesa di Mutrecy (nei pressi di Rouen) per concludersi definitivamente nella grande e maestosa chiesa di Saint Gervais a Parigi con un concerto del coro Cantus Antimi arricchito dalla preparazione e dall’esperienza dei partecipanti al Canta e Cammina. Ma si puó cantare con un gatto in gola? Le espressioni popolari di tante lingue a volte sono molto strane… Come nella lingua francese un raffreddore abbia finito per essere paragonato a un felino in gola, povera bestiola forzatamente impaurita, graffiante e che morde per tentare di uscire dal pertugio stretto e inospitale in cui si trova, non si sa. Dicono, infatti, cantori e cantanti francesi: «J’ai un chat dans la gorge!».1 La sola spiegazione possibile per questa metafora viene proposta dallo studioso Pierre Guiraud nel 1961 nel suo studio Les Lucutions Françaises. Sembra appunto che l’espressione sia nata da una confusione o da un gioco di parole fra matou, il famoso gatto che s’è impiantato in gola, e maton. 73 All’origine maton indicava il latte cagliato o meglio i grumi di questo latte. Per estensione è passata a indicare anche degli ammassi di pelo, di lana, di fibre di carta che possono ostruire degli orifizi. Ora, quando si ha la voce raffreddata spesso è perché si è ammalati e si ha del catarro in gola, catarro che paragonato ai grumi di latte cagliato o a delle cose che ostruiscono dei tubi, si può chiamare maton o – per errore o per gioco di parole – un matou, quindi gatto (ma vedremo che, dopo un colpo di bacchetta magica, questo gattone in altre lingue si trasforma in ranocchio o rospo). «Chasser ce chat chauve caché sous ces six chiches souches de sauge sèche»: ecco è una frase conosciuta da tutti gli attori poiché rappresenta un esercizio di dizione efficacissimo. Ma questo esercizio ci suggerisce anche parte della spiegazione ai mali ben conosciuti dai cantanti: un infuso di salvia? Fa bene alla gola! Prima di tutto si tratta di sapere da dove viene, da cosa è causato il micione in questione. Fumi come un pompiere? Non cercare più lontano; la salvia non gli farà niente. Hai appena bevuto un alcolico forte? Non ti spremere invano le meningi, tutto questo dissecca le mucose vocali. Desideri un caffè, del curry, del peperoncino… Hai voglia di cioccolato, di prodotti a base di latte… tutto ciò davvero non fa bene alla gola. E allora, evitiamo questi prodotti prima di cantare, anche se ne abbiamo una voglia matta. Questo micione può comunque ronfare in gola anche a seguito di un’allergia. In tal caso un antistaminico potrebbe sistemare le cose, ma attenti alla sonnolenza che ne segue; è scontato che questo tipo di medicamento non può che essere preso dopo aver consultato il medico. Pure i reflussi gastrici possono causare sofferenza in gola, proprio come la mancanza di sonno. E certamente anche una costipazione, un raffreddore, un’influenza… O forse semplicemente una tecnica vocale deficiente e scorretta. Non schiarirsi mai la voce! Il primo riflesso naturale è quello di schiarirsi la voce. Se vedeste cosa succede nella laringe mentre lo fate! Lo schiarimento non fa che peggiorare le cose. E ancora: la credenza che il fatto di succhiare caramelle alla menta sistemi le cose, a ragione è da considerare un mito. Il mentolo dà certamente sollievo al dolore anestetizzando parzialmente la vostra gola. Non sentirete più dolore e conseguentemente continuerete a forzare, cosa che, nel caso di laringite, rischia di portarvi all’afonia! Chiudete la bocca, rilassate totalmente la mascella, emettete il suono “mmmm” in una tessitura comoda, il più dolcemente possibile. Prendete il respiro con la gola aperta e rifate lo stesso suono un tono sopra. Procedete con l’esercizio. Se avete tempo, rifate questo esercizio su degli arpeggi, sempre pianissimo. I gatti detestano questo. 1. Espressioni equivalenti in alcune lingue: Germania, Einen Frosh im Halse haben = avere una rana in gola; Inghilterra, To have a frog in one’s throat = avere una rana in gola; Paesi Bassi, Een kikker in de kehel habben = avere una rana in gola; Brasile, Ter un sapo na garganta = aver un rospo in gola; Spagna, Tener una rana en la garganta = avere una rana in gola; Italia, Avere un rospo in gola. RUBRICHE 72 Canta e cammina 2014 «Cantiamo pure ora, / non tanto per goderci il riposo, / quanto per sollevarci dalla fatica. / Cantiamo da viandanti. / Canta, ma cammina» (Sant’Agostino). «…essere una Voce in Cammino lungo i sentieri silenziosi delle chiese romaniche, lasciando che nell’ascolto del proprio corpo e delle proprie sensazioni il canto accada in tutta la sua bellezza. Il camminare ci mette in contatto con la parte più profonda di noi: la strada è scuola di umiltà, la fatica ci insegna a mettere da parte sufficienza e orgoglio. Al cammino vogliamo però aggiungere il canto: la voce è l’eco di ciò che è nascosto dentro ciascuno di noi. Tramite il suono delle voci e il gesto naturale del camminare, si può stimolare la creatività, la vitalità, la comunicazione vera tra individui e l’appartenenza alla natura» (Abbazia di Sant’Antimo). Canta e Cammina, proposto da alcuni anni dall’Abbazia di Sant’Antimo, è insieme un corso di canto e un camminare lungo i sentieri delle antiche chiese romaniche e gotiche in cui il grande canto è nato e si è sviluppato attraverso i secoli. Si cerca di unire il cantare e il peregrinare, cioè di essere una voce in cammino. Il progetto propone (a chiunque lo desideri) un’esperienza forte per trovare unità interiore e armonia e anche sostegno indispensabile a esecuzioni di alto spessore artistico complessivo. È una via per ritrovare la vitalità e la bellezza del nostro canto esplorando i suoni della natura attraverso l’arte dell’ascolto. Le giornate sono ritmate dalle camminate in mezzo al verde e dal canto nelle chiese, dai momenti di silenzio, dai pasti e dai momenti di condivisione. Musicalmente si percorrono i sentieri del canto gregoriano e di quello medievale (Laudi, Cantigas, Discanti, ecc.) perché grazie all’immediatezza e semplicità della loro struttura compositiva coinvolgono l’esecutore su tutti i piani dell’essere. Il tutto garantito dalla particolare atmosfera della grande cattedrale gotica o della piccola chiesa romanica di campagna o degli spazi naturali dove l’azione di studio di volta in volta si svolge. Da sempre il Canta e Cammina è tenuto da Livio Picotti, in collaborazione con Giuseppe Sparnacci e la partecipazione di fr. Dominique de Formigny dell’Abbazia di Sant’Antimo. Si è svolto, negli ultimi dieci anni, sia in Italia (Toscana, Umbria, Sardegna…) sia in altri paesi d’Europa (Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda…). Ha una durata variabile da quattro a dieci giorni. Ho partecipato a più esperienze di questo genere e una delle ultime vorrei presentarla un po’ più in dettaglio ai lettori di Mondocoro: Canta e Cammina in Normandia, nell’estate 2014. «Forse un faro, un faro di Dio nel nostro peregrinare». Rubo questa frase di don Angelo Casati per riferirmi alla meta (Mont St Michel) di questo speciale viaggio musicale e spirituale che ho fatto con un gruppo di trentacinque amici, viaggio rischiarato nel suo svolgimento da altri fari eccelsi e portatori di grandi emozioni: le tappe intermedie fra Parigi/Beauvais (Cattedrale), Mont St. Michel e Parigi (Chiesa di St Gervais). Un primo faro del nostro Canta e Cammina è stata la grande incompiuta cattedrale di Beauvais da cui il cantare ha avuto inizio, prima ancora del cammino che con una prima tappa ci ha portato alla splendida chiesa romanica di Criquebeuf. La luce di Criquebeuf ha lanciato il già affiatato gruppo verso la chiesa romanica di Notre Dame di Etretat dove la ricerca vocale ha ricevuto nuovo impulso anche dalla spettacolarità del percorso lungo le alte falesie stupendamente sagomate dalla furia dei secolari atlantici venti, luoghi dai quali è facile proiettare lo sguardo verso La Manica fin oltre le isole di Man e di Guernesey. Il nostro peregrinare corale ha ricevuto ulteriori stimoli – non più esclusivamente musicali – da Omaha Beach, la località che a 70 anni dagli eventi dello sbarco delle forze alleate in Normandia ricorda la seconda Guerra Mondiale. La ricerca musicale è poi ripresa nella cripta romanica della Cattedrale di Bayeux. L’intensa spiritualità dell’Abbazia di Notre Dame de Protection l’ha proiettata ulteriormente verso una presa di coscienza sempre più convinta del suono che dal nostro intimo si forma e si diffonde verso l’esterno fino a invadere e fondersi con l’ambiente circostante, fino a raggiungere sicuramente… il più alto dei cieli. I frutti della ricerca musicale si manifestano in pieno nel canto che con intensità e devozione e proprietà di temi, di sonorità, di spirito liturgico accompagnano le Sante Messe celebrate da Frère Dominique dell’Abbazia di Sant’Antimo. Lo studio del suono e la preparazione dei brani che troveranno spazio nel programma del concerto finale di Parigi (Chiesa di St. Gervais) procedono e si arricchiscono di nuovi risultati anche sulle rive del mare dove il bordone realizzato dal soffio e dal sibilo del vento sostiene e matura sempre di più la ricerca che proseguirà nella splendida chiesa romanica dell’Abbey de Lessai. Questa con la sua atmosfera ambientale e acustica ci riporta col pensiero all’Abbazia di Sant’Antimo dove la scuola musicale del maestro Picotti trae origine e ha la sede primaria anche attraverso il coro Cantus Anthimi, il coro Hildegard von Bingen, i corsi di canto gregoriano e il nuovo progetto “Mentinmoto”. Di giorno in giorno il cammino procede e la ricerca del suono si specializza sempre di più; va verso il suo culmine: Mont St. Michel. È qui che il gruppo di 35 cantori – di sensibilità, attività, provenienza ed esperienze professionali e musicali tra le più diverse – vive emotivamente e spiritualmente momenti da condividere con la comunità religiosa e con la moltitudine dei turisti del momento. Se il cammino attraverso una natura incontaminata verso Mont St. Michel ci ha portato al suo punto geografico più alto, la ricerca vocale ha goduto di tutto ciò facendoci raggiungere il punto più eccelso nella chiesa di San Pietro. Ma Canta e Cammina 2014 non è finito qui, ha proseguito ancora verso S. Leonardo e la chiesa di Mutrecy (nei pressi di Rouen) per concludersi definitivamente nella grande e maestosa chiesa di Saint Gervais a Parigi con un concerto del coro Cantus Antimi arricchito dalla preparazione e dall’esperienza dei partecipanti al Canta e Cammina. Ma si puó cantare con un gatto in gola? Le espressioni popolari di tante lingue a volte sono molto strane… Come nella lingua francese un raffreddore abbia finito per essere paragonato a un felino in gola, povera bestiola forzatamente impaurita, graffiante e che morde per tentare di uscire dal pertugio stretto e inospitale in cui si trova, non si sa. Dicono, infatti, cantori e cantanti francesi: «J’ai un chat dans la gorge!».1 La sola spiegazione possibile per questa metafora viene proposta dallo studioso Pierre Guiraud nel 1961 nel suo studio Les Lucutions Françaises. Sembra appunto che l’espressione sia nata da una confusione o da un gioco di parole fra matou, il famoso gatto che s’è impiantato in gola, e maton. 73 All’origine maton indicava il latte cagliato o meglio i grumi di questo latte. Per estensione è passata a indicare anche degli ammassi di pelo, di lana, di fibre di carta che possono ostruire degli orifizi. Ora, quando si ha la voce raffreddata spesso è perché si è ammalati e si ha del catarro in gola, catarro che paragonato ai grumi di latte cagliato o a delle cose che ostruiscono dei tubi, si può chiamare maton o – per errore o per gioco di parole – un matou, quindi gatto (ma vedremo che, dopo un colpo di bacchetta magica, questo gattone in altre lingue si trasforma in ranocchio o rospo). «Chasser ce chat chauve caché sous ces six chiches souches de sauge sèche»: ecco è una frase conosciuta da tutti gli attori poiché rappresenta un esercizio di dizione efficacissimo. Ma questo esercizio ci suggerisce anche parte della spiegazione ai mali ben conosciuti dai cantanti: un infuso di salvia? Fa bene alla gola! Prima di tutto si tratta di sapere da dove viene, da cosa è causato il micione in questione. Fumi come un pompiere? Non cercare più lontano; la salvia non gli farà niente. Hai appena bevuto un alcolico forte? Non ti spremere invano le meningi, tutto questo dissecca le mucose vocali. Desideri un caffè, del curry, del peperoncino… Hai voglia di cioccolato, di prodotti a base di latte… tutto ciò davvero non fa bene alla gola. E allora, evitiamo questi prodotti prima di cantare, anche se ne abbiamo una voglia matta. Questo micione può comunque ronfare in gola anche a seguito di un’allergia. In tal caso un antistaminico potrebbe sistemare le cose, ma attenti alla sonnolenza che ne segue; è scontato che questo tipo di medicamento non può che essere preso dopo aver consultato il medico. Pure i reflussi gastrici possono causare sofferenza in gola, proprio come la mancanza di sonno. E certamente anche una costipazione, un raffreddore, un’influenza… O forse semplicemente una tecnica vocale deficiente e scorretta. Non schiarirsi mai la voce! Il primo riflesso naturale è quello di schiarirsi la voce. Se vedeste cosa succede nella laringe mentre lo fate! Lo schiarimento non fa che peggiorare le cose. E ancora: la credenza che il fatto di succhiare caramelle alla menta sistemi le cose, a ragione è da considerare un mito. Il mentolo dà certamente sollievo al dolore anestetizzando parzialmente la vostra gola. Non sentirete più dolore e conseguentemente continuerete a forzare, cosa che, nel caso di laringite, rischia di portarvi all’afonia! Chiudete la bocca, rilassate totalmente la mascella, emettete il suono “mmmm” in una tessitura comoda, il più dolcemente possibile. Prendete il respiro con la gola aperta e rifate lo stesso suono un tono sopra. Procedete con l’esercizio. Se avete tempo, rifate questo esercizio su degli arpeggi, sempre pianissimo. I gatti detestano questo. 1. Espressioni equivalenti in alcune lingue: Germania, Einen Frosh im Halse haben = avere una rana in gola; Inghilterra, To have a frog in one’s throat = avere una rana in gola; Paesi Bassi, Een kikker in de kehel habben = avere una rana in gola; Brasile, Ter un sapo na garganta = aver un rospo in gola; Spagna, Tener una rana en la garganta = avere una rana in gola; Italia, Avere un rospo in gola. 74 5-8 novembre 2015 Feniarco e Arcc presentano Antologia di ritratti di coristi Ho trovato questo testo satirico molto simpatico. Forse qualcuno già lo conosce, ma ho deciso di proporlo in Mondocoro per chi non lo conoscesse. Sono piccoli ritratti di corista che vi faranno certamente pensare ai vostri colleghi cantori e forse voi stessi vi ci identificherete. Sono stati scritti da Jean Bouchon (ho l’impressione che sia un personaggio molto interessante). Nella sua vita Jean Bouchon si divide fra letteratura e musica. Infatti scrive romanzi, è Chef de Choeur dell’Ensemble Vocal Nice-Plain-Chant dal 1993 e dal 1984 dirige l’Accademia di Musica di Nizza. Ha ottenuto almeno una dozzina di primi premi, fra cui il Gran Prix De Composition. Ma… eccoli i componenti del nostro coro: Il corista normale: non mostra alcun difetto particolare, non è geloso dei suoi congeneri, è nato equilibrato, non ha la mente contorta, ma semplicemente ama cantare. Non ha una voce straordinaria, ma giusta. Ha qualche nozione di solfeggio. Ha buon carattere e non parla mai male. Gli piacciono tutti gli stili musicali: il classico, il romantico e anche la varietà. Questo corista non si fa notare, quasi lo si dimenticherebbe, se non ai concerti: è lui infatti che garantisce meglio. È il corista ideale, il preferito dal direttore del coro. Un caso… rarissimo. Il brontolone: non è mai contento, non gli piace il programma, trova che lo si prepari troppo in fretta o troppo lentamente, che gli impegni del periodo in corso siano troppi o troppo pochi… E la divisa da concerto? Ridicola! Non sopporta il modo di lavorare del direttore del coro… Si chiede cosa stia lì a fare. Anche gli altri se lo chiedono! Il professore: a volte si picca di padroneggiare le basi della teoria musicale e spesso è molto aperto alle attese del direttore. È un elemento molto importante in un coro. Pur avendo imparato alla scuola privata a usare correttamente la laringe per evitare l’abbassamento di voce, quando canta ha un sacco di problemi a trovare buone sensazioni. Non potendo partecipare sensualmente, lo fa pedagogi­camente. Il (raro) tenore: beato il coro che ha dei tenori! Che siano buoni o cattivi, i tenori sono degli esseri molto cari. Checché se ne voglia dire, davanti alla penuria si battezza volentieri “tenore” un infelice baritono che sulle note acute patisce il martirio, ma non si lamenta mai, fiero com’è di essere un oggetto prezioso! Lo sbraitone: canta più forte di tutti perché crede di sapere la sua parte. Ha un solo credo: fortissimo! È meno grave di un’epidemia, ma fa molto più casino. Il coscienzioso: ossessionato dalle annotazioni, questo corista si appunta tutto sulla partitura. Fa segni sopra le righe e sotto le righe, moltiplica le aggiunte, i colori, fa rinvii, commenta. Nessuno ci si ritroverebbe. Neppure lui! Il pigrone: è una persona dolce, un sognatore che si è trovato per sbaglio in un coro e non sa come uscirne. E allora rimane. Coristi di questo genere non sono dannosi. Danno al pubblico l’illusione del numero. Il dispensatore di consigli: a forza di ascoltarlo si finisce per fare gli stessi errori che fa lui. È lui che, di solito, offre generosamente il suo tempo facendo perdere il loro agli altri. Lo sportivo: durante la prova, ben piantato sui piedi come un sollevatore di pesi, egli gonfia bene il petto per prendere il respiro; per prendere le note si mette in apnea e diventa rosso come un peperone prima di riuscire ad espellere un minimo suono. Canta di gola con tutta forza: più è forte, meglio è! E per finire questa prima parte, l’informatico: carica tutte le partiture sul suo computer e le riscrive più in grande. Lo fa mentre è in ufficio! Spesso arriva a prova con una edizione dell’opera diversa, scoperta inavvertitamente su internet. Eccolo com’è fiero di mostrare i suoi ritrovamenti! Per lui la musica resta essenzialmente una disciplina matematica e il solfeggio un codice binario. Del resto comu- www.feniarco.it cori da tutta Italia incontri turismo e nuove conoscenze concerti in città e sul territorio cultura e tradizioni arte 74 5-8 novembre 2015 Feniarco e Arcc presentano Antologia di ritratti di coristi Ho trovato questo testo satirico molto simpatico. Forse qualcuno già lo conosce, ma ho deciso di proporlo in Mondocoro per chi non lo conoscesse. Sono piccoli ritratti di corista che vi faranno certamente pensare ai vostri colleghi cantori e forse voi stessi vi ci identificherete. Sono stati scritti da Jean Bouchon (ho l’impressione che sia un personaggio molto interessante). Nella sua vita Jean Bouchon si divide fra letteratura e musica. Infatti scrive romanzi, è Chef de Choeur dell’Ensemble Vocal Nice-Plain-Chant dal 1993 e dal 1984 dirige l’Accademia di Musica di Nizza. Ha ottenuto almeno una dozzina di primi premi, fra cui il Gran Prix De Composition. Ma… eccoli i componenti del nostro coro: Il corista normale: non mostra alcun difetto particolare, non è geloso dei suoi congeneri, è nato equilibrato, non ha la mente contorta, ma semplicemente ama cantare. Non ha una voce straordinaria, ma giusta. Ha qualche nozione di solfeggio. Ha buon carattere e non parla mai male. Gli piacciono tutti gli stili musicali: il classico, il romantico e anche la varietà. Questo corista non si fa notare, quasi lo si dimenticherebbe, se non ai concerti: è lui infatti che garantisce meglio. È il corista ideale, il preferito dal direttore del coro. Un caso… rarissimo. Il brontolone: non è mai contento, non gli piace il programma, trova che lo si prepari troppo in fretta o troppo lentamente, che gli impegni del periodo in corso siano troppi o troppo pochi… E la divisa da concerto? Ridicola! Non sopporta il modo di lavorare del direttore del coro… Si chiede cosa stia lì a fare. Anche gli altri se lo chiedono! Il professore: a volte si picca di padroneggiare le basi della teoria musicale e spesso è molto aperto alle attese del direttore. È un elemento molto importante in un coro. Pur avendo imparato alla scuola privata a usare correttamente la laringe per evitare l’abbassamento di voce, quando canta ha un sacco di problemi a trovare buone sensazioni. Non potendo partecipare sensualmente, lo fa pedagogi­camente. Il (raro) tenore: beato il coro che ha dei tenori! Che siano buoni o cattivi, i tenori sono degli esseri molto cari. Checché se ne voglia dire, davanti alla penuria si battezza volentieri “tenore” un infelice baritono che sulle note acute patisce il martirio, ma non si lamenta mai, fiero com’è di essere un oggetto prezioso! Lo sbraitone: canta più forte di tutti perché crede di sapere la sua parte. Ha un solo credo: fortissimo! È meno grave di un’epidemia, ma fa molto più casino. Il coscienzioso: ossessionato dalle annotazioni, questo corista si appunta tutto sulla partitura. Fa segni sopra le righe e sotto le righe, moltiplica le aggiunte, i colori, fa rinvii, commenta. Nessuno ci si ritroverebbe. Neppure lui! Il pigrone: è una persona dolce, un sognatore che si è trovato per sbaglio in un coro e non sa come uscirne. E allora rimane. Coristi di questo genere non sono dannosi. Danno al pubblico l’illusione del numero. Il dispensatore di consigli: a forza di ascoltarlo si finisce per fare gli stessi errori che fa lui. È lui che, di solito, offre generosamente il suo tempo facendo perdere il loro agli altri. Lo sportivo: durante la prova, ben piantato sui piedi come un sollevatore di pesi, egli gonfia bene il petto per prendere il respiro; per prendere le note si mette in apnea e diventa rosso come un peperone prima di riuscire ad espellere un minimo suono. Canta di gola con tutta forza: più è forte, meglio è! E per finire questa prima parte, l’informatico: carica tutte le partiture sul suo computer e le riscrive più in grande. Lo fa mentre è in ufficio! Spesso arriva a prova con una edizione dell’opera diversa, scoperta inavvertitamente su internet. Eccolo com’è fiero di mostrare i suoi ritrovamenti! Per lui la musica resta essenzialmente una disciplina matematica e il solfeggio un codice binario. Del resto comu- www.feniarco.it cori da tutta Italia incontri turismo e nuove conoscenze concerti in città e sul territorio cultura e tradizioni arte 76 nica con gli altri cantori soltanto per e-mail. Nulla di sorprendente, quindi, se talvolta nel bel mezzo di un canto egli mugghia! E ci sarebbero ancora lo psicologo, l’adescatore, lo studente segato, il naif, lo stordito, l’ambizioso… la coppia di mezza età, l’avvocato… ma – a dio piacendo – seguiteremo con il prossimo Mondocoro, verso Pasqua! Buon inverno a tutti. Un compositore alla volta… se ne va Stephen Paulus – scomparso a 65 anni lo scorso 19 ottobre – è stato un notevole musicista americano conosciuto soprattutto per le sue opere e per le sue 400 e più composizioni corali. Era nato il 24 agosto 1949 nel New Jersey. Il suo pezzo meglio conosciuto (composto nel 1982) è certamente The Postman Always Rings Twice (Il postino suona sempre due volte) su libretto di Colin Graham basato su un romanzo del 1934 di James M. Cain, avente lo stesso titolo. Stephen Paulus è stato uno dei più famosi e prolifici compositori del nostro tempo. Ha scritto oltre 500 lavori musicali che sono stati eseguiti in tutto il mondo. I critici musicali del New York Times di lui già nel 1982 avevano scritto «a young man on the road to big things» (un giovane sulla strada verso grandi cose) mentre altri, del Los Angeles Times, del Cleveland Plain Dealer e di Opera News lo hanno salutato «brillante inventore lirico la cui musica pulsa con mirata energia cinetica». Cominciando nel 1979, anno di laurea presso l’Università del Minnesota, con un’opera per l’Opera Theatre of St. Louis, Paulus ha scritto 13 opere eseguite nei teatri d’opera di Boston, Washington, Minnesota, Sacramento, e molti altri. Per le orchestre di Atlanta, Minnesota, Tucson e Annapolis ha composto 55 lavori orchestrali diretti in varie occasioni da Osmo Vanska, Christoph van Dohnanyi, Kurt Masur, Sir Neville Marriner, e Leonard Slatkin. Paulus ha scritto per coro oltre 400 opere che vanno dal suo oratorio sull’Olocausto, To Be Certain of the Dawn, allo struggente inno Pilgrim’s Hymn cantato ai funerali dei presidenti Reagan e Ford. Le sue opere hanno avuto migliaia di esecuzioni e registrazioni da parte di gruppi come The New York Choral Society, L.A. Master Chorale, Robert Shaw Festival Singers, VocalEssence, Dale Warland Singers e innumerevoli altri. Opere degne di citazione (che lo spazio limitato a disposizione però non permette) sarebbero anche quelle composte per grandi cantanti e per grandi solisti strumentali. Paulus è stato inoltre un appassionato sostenitore delle opere e della carriera dei suoi colleghi. Nel 1973 è stato uno dei fondatori e collaboratori del Forum dei Compositori Americani, la più grande organizzazione di servizio ai compositori statunitensi, e dal 1990 è stato membro del Consiglio di Amministrazione dell’ascap (American Society of Composers, Authors and Publishers). La musica di Paulus è stata descritta dai critici e commentatori di programma come «robusta, angolare, lirica, sottile, ritmicamente aggressiva, originale, spesso splendida, commovente, e tipicamente americana». La scrittura di Stephen Paulus si esprime in un linguaggio musicale che è stato definito «…irresistibile in energia cinetica e inquietante nel design lirico» (Cleveland Plain Dealer). «Mr. Paulus trova spesso schemi melodici che sono freschi e familiari allo stesso tempo… Le sue partiture sono invariabilmente esperte ed eccezionalmente fantasiose nel testo e nell’uso degli strumenti» (The New York Times). Feniarco presenta o r co T B A L Anno XV n. 45 - settembre-dicembre 2014 Rivista quadrimestrale di Feniarco Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali T po p u l i v s o l r e p à o t i t l t a e r g o o c pr della iovani g e i n i b tra bam T Presidente: Sante Fornasier Direttore responsabile: Sandro Bergamo Comitato di redazione: Efisio Blanc, Walter Marzilli, Giorgio Morandi, Puccio Pucci, Mauro Zuccante Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina Hanno collaborato: Floranna Spreafico, Piero Caraba, Manolo Da Rold, Alessandro Kirschner, Sergio Lella, Ettore Galvani, Mattia Culmone, Gianni Vecchiati, Rossana Paliaga Redazione: via Altan 83/4 33078 San Vito al Tagliamento Pn tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 [email protected] Progetto grafico e impaginazione: Interattiva, Spilimbergo Pn Stampa: Tipografia Menini, Spilimbergo Pn Associato all’Uspi Unione Stampa Periodica Italiana T Per aggiornamenti seguiteci su www.feniarco.it T o ra l i h C i d e azion d e r a l e tutti a Fe n i a r c o o n a r u aug uovo n o n n a un felice ter PROGETTO APS IDEATO E ORGANIZZATO DA ISSN 2035-4851 Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Abbonamento annuale: 25 € 5 abbonamenti: 100 € c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 83/4 33078 San Vito al Tagliamento Pn Progetto sperimentale ai sensi dell’art. 12, comma 3, lett. f), legge 7 dicembre 2000, n. 383, realizzato con il contributo del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Anno finanziario 2013. i d l a v i t s e f a r e v a m i r p Feniarco e Act presentano n. 45 - settembre-dicembre 2014 n. 45 - settembre-dicembre 2014 Rivista quadrimestrale di Feniarco Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali o d n a t n a c a r t n o c n i i s a l o u c s la 2015 e m r e T i n i t a c e t Toscana Mon dossier I CONCORSI CORALI GIANMARTINO DURIGHELLO OLTRE IL MINIMALISMO? PER TRENT’ANNI FENIARCO: LA VOCE DEI CORI internazionale festival per cori scolastici 9•11 aprile scuole elementari e scuole medie (6-13 anni) con il patrocinio di MiBACT Regione Toscana Provincia di Pistoia Comune di Montecatini Terme 15•18 aprile scuole superiori (14-19 anni) CHORALDISC Feniarco evento associato a seguici su www.feniarco.it BENEDICTUS DOMINUS POLIFONIA SACRA IN PUGLIA