i
d
l
a
v
i
t
s
e
f
a
r
e
v
a
m
i
r
p
Feniarco e Act presentano
n. 45 - settembre-dicembre 2014
n. 45 - settembre-dicembre 2014
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
o
d
n
a
t
n
a
c
a
r
t
n
o
c
n
i
i
s
a
l
o
u
c
s
la
2015
e
m
r
e
T
i
n
i
t
a
c
e
t
Toscana Mon
dossier
I CONCORSI
CORALI
GIANMARTINO DURIGHELLO
OLTRE
IL MINIMALISMO?
PER TRENT’ANNI
FENIARCO:
LA VOCE DEI CORI
internazionale
festival per cori scolastici
9•11 aprile
scuole elementari e scuole medie
(6-13 anni)
con il patrocinio di
MiBACT
Regione Toscana
Provincia di Pistoia
Comune di Montecatini Terme
15•18 aprile
scuole superiori
(14-19 anni)
CHORALDISC
Feniarco
evento associato a
seguici su
www.feniarco.it
BENEDICTUS
DOMINUS
POLIFONIA SACRA
IN PUGLIA
Feniarco presenta
o
r
co
T
B
A
L
Anno XV n. 45 - settembre-dicembre 2014
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
T
po
p
u
l
i
v
s
o
l
r
e
p
à
o
t
i
t
l
t
a
e
r
g
o
o
c
pr
della iovani
g
e
i
n
i
b
tra bam
T
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Floranna Spreafico,
Piero Caraba, Manolo Da Rold,
Alessandro Kirschner, Sergio Lella,
Ettore Galvani, Mattia Culmone,
Gianni Vecchiati, Rossana Paliaga
Redazione: via Altan 83/4
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
[email protected]
Progetto grafico e impaginazione:
Interattiva, Spilimbergo Pn
Stampa:
Tipografia Menini, Spilimbergo Pn
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
T
Per aggiornamenti
seguiteci su
www.feniarco.it
T
o ra l i
h
C
i
d
e
azion
d
e
r
a
l
e
tutti
a
Fe n i a r c o
o
n
a
r
u
aug
uovo
n
o
n
n
a
un felice
ter
PROGETTO APS
IDEATO E ORGANIZZATO DA
ISSN 2035-4851
Poste Italiane SpA – Spedizione in
Abbonamento Postale – DL 353/2003
(conv. In L. 27/02/04 n. 46)
art. 1, comma 1 NE/PN
Abbonamento annuale: 25 €
5 abbonamenti: 100 €
c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 83/4
33078 San Vito al Tagliamento Pn
Progetto sperimentale ai sensi dell’art. 12, comma 3, lett. f), legge 7 dicembre 2000, n. 383, realizzato con il contributo del Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali. Anno finanziario 2013.
n. 45 - settembre-dicembre 2014
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
DossieR
I concorsi corali
2
per dare il meglio di sé
un’inchiesta sui concorsi corali in italia
Sandro Bergamo
6
voci bianche in… concorso
Floranna Spreafico
11 I concorsi di composizione corale
Piero Caraba
Dossier compositore
Gianmartino Durighello
portrait
38 IL fabbricante di coristi
intervista a fabrizio barchi
Sandro Bergamo
Attività dell’Associazione
42 un ricco mosaico di voci
13 aneliamo alla bellezza
Intervista a gianmartino durighello
Manolo Da Rold
19 oltre il minimalismo?
uno sguardo analitico su alcune
composizioni di gianmartino durighello
Alessandro Kirschner
salerno festival raggiunge la quinta edizione
Pier Filippo Rendina
44 frammenti di note
riflessioni a margine del seminario europeo
per giovani compositori
Mattia Culmone
45 feniarco: per trent’anni la voce dei cori
Efisio Blanc
48 orgogliosi di questa realtà
Nova et veterA
24 aaron copland in the beginning
assemblea feniarco a roma
Giorgio Morandi
49 l’europa corale si incontra a barcellona
diario di viaggio dall’assemblea
eca - europa cantat
per coro misto a cappella
e mezzosoprano solo
Mauro Zuccante
cronacA
Gianni Vecchiati
52 polifonico di arezzo: una tradizione
che scommette sul futuro
Choraldisc
Rossana Paliaga
57 quando la sfida è un’esigenza
30 benedictus dominus
Rossana Paliaga
INDICE
polifonia sacra in puglia
Sergio Lella
60 la missione europea dell’eccellenza corale
Rossana Paliaga
64 in memoriam: Pavle merkù (1927-2014)
Canto popolarE
34 viaggio nell’etnomusicologia
italiana dell’ottocento
Rossana Paliaga
Ettore Galvani
Rubriche
66 Discografia
68 Mondocoro
dossIER
per dare
il meglio di sé
un’inchiesta sui concorsi
corali in italia
Rispetto al dibattito di quindici anni fa, sembra oggi molto
ridimensionata la contrapposizione tra i fautori del concorso e
suoi negatori per principio. Il concorso è una tappa non
obbligata ma auspicata. Il coro non vive per fare concorsi ma
è diffusa l’idea che il concorso costituisca un banco di prova,
sia un modello di lavoro. Questo il pensiero del direttore
lombardo Fabio Triulzi: «Pur non essendo amante dei
concorsi, ritengo opportuno, dopo un serio lavoro di sviluppo
della tecnica vocale e del repertorio, provare a fare il punto
della situazione affidandomi al giudizio di una giuria di
concorso». Competitivo, tutto sommato, il direttore lecchese:
«Sicuramente un concorso dev’essere affrontato non dico con
la possibilità di vincerlo, ma almeno di ottenere buoni
risultati». Un’assidua frequentatrice di concorsi, nella doppia
veste di giurato e di direttrice del Coro Polifonico di Ruda (Ud)
come Fabiana Noro, sostiene: «Mi stimola, innanzitutto, che lo
studio finalizzato al concorso sia sempre estremamente
accurato; non che, normalmente, non lo sia, ma per il
concorso si cerca di curare ogni minimo dettaglio sapendo
che tutto verrà analizzato nelle minime sfumature; un
concorso è poi ottimo incentivo per preparare repertori nuovi
e diversi». Impostazione condivisa anche da molti coristi,
come Adalgisa Condoluci, del Coro Giovanile Italiano. Per lei
«un concorso è una stazione di arrivo e un traguardo che il
coro e il direttore si danno come punto di partenza per il
percorso successivo». Anche per Giulia Beatini, corista del
Janua Vox «il concorso ha, rispetto al concerto, alcune
caratteristiche peculiari: in particolare il tempo
relativamente breve per realizzare il frutto di un
lavoro lungo dettagliato, scrupoloso e la presenza
di persone competenti che esprimeranno il loro
giudizio. L’attenzione cresce, si impone un controllo
più fermo sulla propria stabilità emotiva e questo
col tempo migliora la propria capacità tecnica». Più
articolato il giudizio di Andrea Lagomarsino,
anch’egli corista del Janua Vox, che, dopo questa
fase, vede quella in cui «una volta che il corista ha maturato
un gusto e un orientamento estetico, le possibilità offerte da
un concorso gli appaiono ristrette rispetto al terreno, più
libero sul piano della ricerca artistica, del concerto». Una
posizione, per certi versi, coincidente con quella del suo
direttore, Roberta Paraninfo, che in fondo vede il concorso
come una tappa intermedia, cui far partecipare «un coro da
far crescere, cui dare mete e obbiettivi; o anche un coro che
non abbia una attività concertistica affermata, da far
conoscere».
Unanime la convinzione che il concorso sia un luogo
privilegiato di incontro, una specie di fiera dove trovi un
concentrato di esperienze tali per cui l’ascoltare è non meno
importante del cantare: «un momento importante», dice
Andrea Lagomasino, «è quello successivo alla propria
esecuzione, in cui i coristi, seduti in platea, ascoltano gli altri
sul palco. Il corista avrà la possibilità di esercitare pensiero
critico sul proprio lavoro artistico e su quello degli altri
attraverso il confronto e in questo modo progredire nella
3
formazione di una personale idea estetica e artistica». In
fondo, anche per gli organizzatori, chiosa Italo Montiglio, «la
motivazione più importante è la promozione e la
valorizzazione dell’eccellenza corale».
Con queste premesse, non stupisce che vincere un concorso
sia una soddisfazione, ma non sia l’obbiettivo: «Nel coro non
mi sento mai un arrivato e pertanto accetto e son felice di
trovare sempre qualcuno più bravo. Pertanto, vincere un
concorso non ha nessuna importanza», dichiara senza timore
Giancarlo Rossi, corista del Coro S. Giorgio di Fiorano (Bg).
PER DARE IL
a cura di
Sandro Bergamo
A distanza di quasi tre lustri dalla prima inchiesta (n. 2, anno 2000), Choraliter torna sul tema
dei concorsi, per capire cosa è cambiato in questo che è un aspetto non secondario del mondo
corale. «Il mondo è radicalmente cambiato e la coralità non sfugge a questo mutamento», dice
Italo Montiglio, che del Concorso Internazionale Seghizzi di Gorizia è, da decenni, il factotum.
«Rispetto al degrado di molti altri settori, mi sento tuttavia di affermare che la qualità media dei
cori sia nettamente migliorata». Una visione condivisa anche da Carlo Pedini, presidente del
Polifonico di Arezzo, che giudica cambiate «in meglio certamente le capacità organizzative e il
livello generale dei concorrenti. In peggio sicuramente le risorse disponibili e le condizioni
gestionali. Fino a non troppi anni addietro i soggetti a partecipazione pubblica come il nostro
operavano senza troppo badare al bilancio: i passivi venivano automaticamente ripianati
dall’Ente di riferimento. Oggi siamo invece chiamati a ripianare i passivi che abbiamo ereditato».
Gli fa eco Carmine Catenazzo, che da quattro anni organizza un concorso a Matera: «La
principale difficoltà che si incontra è di ordine finanziario. È sempre difficile reperire le risorse
necessarie per le semplici spese vive e altrettanto coinvolgere, specie in questo periodo, enti
pubblici e privati a sostegno della manifestazione. Il resto viene dopo appetibilità del concorso,
location, ecc…». Una formula comunque non in crisi, a detta di Andrea Angelini, promotore del
Concorso di Rimini: «Basta sfogliare una rivista specializzata in musica corale internazionale per
constatare che ci sono centinaia di festival e di concorsi, anche se non tutti seri, purtroppo.
Oggi l’organizzazione di un festival è vista da qualcuno come occasione di business».
Ma perché si organizza un concorso? «Nel mio caso», dice Andrea Angelini, «un’assidua presenza
internazionale come membro di giuria mi ha portato ad appassionarmi anche alla parte
organizzativa. Ho avuto fortuna perché il progetto è risultato interessante per il comune di Rimini
che ci ha supportato anche economicamente». Altre volte si approfitta di un vuoto da colmare:
«Nel nostro caso», racconta Carmine Catenazzo, «lo si è fatto perché mancava un concorso perché
era un evento assente in Basilicata e nelle regioni vicine. Abbiamo voluto arricchire l’offerta
culturale del locale attirando l’interesse dei cori verso il territorio e del territorio verso la coralità».
Il concorso è una tappa
non obbligata ma auspicata.
«Piazzarsi bene dà certo soddisfazione, anche solo per il
lavoro svolto e diventa incoraggiamento per il futuro. Ma
anche questo può spiazzare. Molte volte il direttore non è
all’altezza; qualche volta è presuntuoso; troppe volte si
accontenta o si rassegna allo strumento che ha in mano».
«Nessun risultato positivo o negativo», è il pensiero di Giulia
Beatini, «può intaccare lo studio mirato realizzato in vista del
concorso e la conseguente crescita personale e del coro.
Inoltre, il confronto con le altre realtà corali dovrebbe mettere
in moto il senso critico e permettere di valutare il risultato del
concorso secondo criteri più oggettivi, al di là
dell’appagamento o della delusione derivante dal risultato».
Anche Adalgisa Condoluci conferma: «Vincere appaga l’animo
nell’immediato, ma ciò che più mi diletta personalmente è lo
studio del dettaglio, la meraviglia nell’ascoltare un suono così
concentrato durante una prova cruciale, l’orgoglio di far parte
di un insieme che sa divenire corpo unico, e sa trasmettere
un messaggio con chiarezza e passione. Di sicuro preferisco il
“durante” al “dopo”, e sebbene una vittoria ripaghi ogni
dossIER
per dare
il meglio di sé
un’inchiesta sui concorsi
corali in italia
Rispetto al dibattito di quindici anni fa, sembra oggi molto
ridimensionata la contrapposizione tra i fautori del concorso e
suoi negatori per principio. Il concorso è una tappa non
obbligata ma auspicata. Il coro non vive per fare concorsi ma
è diffusa l’idea che il concorso costituisca un banco di prova,
sia un modello di lavoro. Questo il pensiero del direttore
lombardo Fabio Triulzi: «Pur non essendo amante dei
concorsi, ritengo opportuno, dopo un serio lavoro di sviluppo
della tecnica vocale e del repertorio, provare a fare il punto
della situazione affidandomi al giudizio di una giuria di
concorso». Competitivo, tutto sommato, il direttore lecchese:
«Sicuramente un concorso dev’essere affrontato non dico con
la possibilità di vincerlo, ma almeno di ottenere buoni
risultati». Un’assidua frequentatrice di concorsi, nella doppia
veste di giurato e di direttrice del Coro Polifonico di Ruda (Ud)
come Fabiana Noro, sostiene: «Mi stimola, innanzitutto, che lo
studio finalizzato al concorso sia sempre estremamente
accurato; non che, normalmente, non lo sia, ma per il
concorso si cerca di curare ogni minimo dettaglio sapendo
che tutto verrà analizzato nelle minime sfumature; un
concorso è poi ottimo incentivo per preparare repertori nuovi
e diversi». Impostazione condivisa anche da molti coristi,
come Adalgisa Condoluci, del Coro Giovanile Italiano. Per lei
«un concorso è una stazione di arrivo e un traguardo che il
coro e il direttore si danno come punto di partenza per il
percorso successivo». Anche per Giulia Beatini, corista del
Janua Vox «il concorso ha, rispetto al concerto, alcune
caratteristiche peculiari: in particolare il tempo
relativamente breve per realizzare il frutto di un
lavoro lungo dettagliato, scrupoloso e la presenza
di persone competenti che esprimeranno il loro
giudizio. L’attenzione cresce, si impone un controllo
più fermo sulla propria stabilità emotiva e questo
col tempo migliora la propria capacità tecnica». Più
articolato il giudizio di Andrea Lagomarsino,
anch’egli corista del Janua Vox, che, dopo questa
fase, vede quella in cui «una volta che il corista ha maturato
un gusto e un orientamento estetico, le possibilità offerte da
un concorso gli appaiono ristrette rispetto al terreno, più
libero sul piano della ricerca artistica, del concerto». Una
posizione, per certi versi, coincidente con quella del suo
direttore, Roberta Paraninfo, che in fondo vede il concorso
come una tappa intermedia, cui far partecipare «un coro da
far crescere, cui dare mete e obbiettivi; o anche un coro che
non abbia una attività concertistica affermata, da far
conoscere».
Unanime la convinzione che il concorso sia un luogo
privilegiato di incontro, una specie di fiera dove trovi un
concentrato di esperienze tali per cui l’ascoltare è non meno
importante del cantare: «un momento importante», dice
Andrea Lagomasino, «è quello successivo alla propria
esecuzione, in cui i coristi, seduti in platea, ascoltano gli altri
sul palco. Il corista avrà la possibilità di esercitare pensiero
critico sul proprio lavoro artistico e su quello degli altri
attraverso il confronto e in questo modo progredire nella
3
formazione di una personale idea estetica e artistica». In
fondo, anche per gli organizzatori, chiosa Italo Montiglio, «la
motivazione più importante è la promozione e la
valorizzazione dell’eccellenza corale».
Con queste premesse, non stupisce che vincere un concorso
sia una soddisfazione, ma non sia l’obbiettivo: «Nel coro non
mi sento mai un arrivato e pertanto accetto e son felice di
trovare sempre qualcuno più bravo. Pertanto, vincere un
concorso non ha nessuna importanza», dichiara senza timore
Giancarlo Rossi, corista del Coro S. Giorgio di Fiorano (Bg).
PER DARE IL
a cura di
Sandro Bergamo
A distanza di quasi tre lustri dalla prima inchiesta (n. 2, anno 2000), Choraliter torna sul tema
dei concorsi, per capire cosa è cambiato in questo che è un aspetto non secondario del mondo
corale. «Il mondo è radicalmente cambiato e la coralità non sfugge a questo mutamento», dice
Italo Montiglio, che del Concorso Internazionale Seghizzi di Gorizia è, da decenni, il factotum.
«Rispetto al degrado di molti altri settori, mi sento tuttavia di affermare che la qualità media dei
cori sia nettamente migliorata». Una visione condivisa anche da Carlo Pedini, presidente del
Polifonico di Arezzo, che giudica cambiate «in meglio certamente le capacità organizzative e il
livello generale dei concorrenti. In peggio sicuramente le risorse disponibili e le condizioni
gestionali. Fino a non troppi anni addietro i soggetti a partecipazione pubblica come il nostro
operavano senza troppo badare al bilancio: i passivi venivano automaticamente ripianati
dall’Ente di riferimento. Oggi siamo invece chiamati a ripianare i passivi che abbiamo ereditato».
Gli fa eco Carmine Catenazzo, che da quattro anni organizza un concorso a Matera: «La
principale difficoltà che si incontra è di ordine finanziario. È sempre difficile reperire le risorse
necessarie per le semplici spese vive e altrettanto coinvolgere, specie in questo periodo, enti
pubblici e privati a sostegno della manifestazione. Il resto viene dopo appetibilità del concorso,
location, ecc…». Una formula comunque non in crisi, a detta di Andrea Angelini, promotore del
Concorso di Rimini: «Basta sfogliare una rivista specializzata in musica corale internazionale per
constatare che ci sono centinaia di festival e di concorsi, anche se non tutti seri, purtroppo.
Oggi l’organizzazione di un festival è vista da qualcuno come occasione di business».
Ma perché si organizza un concorso? «Nel mio caso», dice Andrea Angelini, «un’assidua presenza
internazionale come membro di giuria mi ha portato ad appassionarmi anche alla parte
organizzativa. Ho avuto fortuna perché il progetto è risultato interessante per il comune di Rimini
che ci ha supportato anche economicamente». Altre volte si approfitta di un vuoto da colmare:
«Nel nostro caso», racconta Carmine Catenazzo, «lo si è fatto perché mancava un concorso perché
era un evento assente in Basilicata e nelle regioni vicine. Abbiamo voluto arricchire l’offerta
culturale del locale attirando l’interesse dei cori verso il territorio e del territorio verso la coralità».
Il concorso è una tappa
non obbligata ma auspicata.
«Piazzarsi bene dà certo soddisfazione, anche solo per il
lavoro svolto e diventa incoraggiamento per il futuro. Ma
anche questo può spiazzare. Molte volte il direttore non è
all’altezza; qualche volta è presuntuoso; troppe volte si
accontenta o si rassegna allo strumento che ha in mano».
«Nessun risultato positivo o negativo», è il pensiero di Giulia
Beatini, «può intaccare lo studio mirato realizzato in vista del
concorso e la conseguente crescita personale e del coro.
Inoltre, il confronto con le altre realtà corali dovrebbe mettere
in moto il senso critico e permettere di valutare il risultato del
concorso secondo criteri più oggettivi, al di là
dell’appagamento o della delusione derivante dal risultato».
Anche Adalgisa Condoluci conferma: «Vincere appaga l’animo
nell’immediato, ma ciò che più mi diletta personalmente è lo
studio del dettaglio, la meraviglia nell’ascoltare un suono così
concentrato durante una prova cruciale, l’orgoglio di far parte
di un insieme che sa divenire corpo unico, e sa trasmettere
un messaggio con chiarezza e passione. Di sicuro preferisco il
“durante” al “dopo”, e sebbene una vittoria ripaghi ogni
dossIER
4
sforzo fisico ed emotivo, amo il confronto più del verdetto».
Plaude, dal podio direttoriale, anche Fabiana Noro: «Cercare
di raggiungere il massimo, che ovviamente è relativo alla
propria formazione e alle sue caratteristiche, è sempre una
motivazione che supera tutti gli altri aspetti». Sulla stessa
linea anche Silvana Noschese, direttrice salernitana: «mi
invoglia a partecipare a un concorso l’avere un obiettivo, una
scadenza, un impegno che dia una scadenza precisa allo
studio; la possibilità di ascoltare cori altrettanto preparati;
esplorare in maniera approfondita repertori diversi;
offrire al coro un momento intenso, adrenalinico,
dove misurare lo stato dell’arte del proprio gruppo;
sapere che per lui sarà un momento di coesione, di
autovalutazione, di ascolto».
Realistico il pensiero di Roberta Paraninfo:
«Le valutazioni negative fanno parte del gioco:
iscrivendosi a un concorso si metterà in conto la
possibile delusione, che porterà comunque con sé,
anch’essa, un gradino di crescita». La sua
preoccupazione va invece alle possibili conseguenze: «Il
concorso, non deve mettere a repentaglio l’equilibrio del
gruppo ma deve essere preso come una fotografia del
momento, che nell’istante successivo sarà modificata, come
nel naturale svolgersi della vita».
Raccolto, senza dubbio, il consenso di Eraclito, la direttrice
genovese può dormire sonni tranquilli: il coro, a detta degli
intervistati, sa tenersi unito anche nella cattiva sorte. «Se ben
condotta dal direttore, la preparazione e la partecipazione ai
concorsi, prescindendo dal risultato finale, diventa motivo di
consolidamento del legame direttore coro, oltre che coristacorista»; di questo è convinta Adalgisa Condoluci, che
prosegue: «Il direttore sa quali parole e quali modi utilizzare
per evitare di ledere l’entusiasmo dei coristi». Si stacca dal
“coro” Giancarlo Rossi: «Un giudizio negativo poco influirebbe
sul rapporto tra il mio coro e il direttore. Il mio pensiero,
invece, potrebbe essere più vicino al giudizio della giuria, che
sarebbe determinante nella decisione di non continuare il
rapporto con questo coro e con questo maestro ma di cercare
una scuola migliore».
Con la stessa apertura si passa dalla semplice graduatoria al
giudizio più articolato espresso dalla giuria, magari nel corso
di un colloquio, come previsto da diversi concorsi. «I giudizi li
aspetto e voglio tornare a casa con nuove tracce e nuovi
spunti sui quali riflettere e crescere: siamo qui per
migliorare», dice Silvana Noschese. Da parte loro i giurati
sentono questa responsabilità. Secondo il bolognese Daniele
Proni, «tendenzialmente, chi desidera un riscontro diretto con
la giuria lo fa solitamente per avere indicazioni “positive”,
ossia che possano aiutare a ottenere migliori risultati per le
performances future».
Nel trasmettere il giudizio, riflette Ivan Florjanc, «il giurato
deve essere un delicato comunicatore, con doti di empatia
intelligente, in particolare con quelli che hanno reso di meno.
Dall’altra parte, il modo di vivere il colloquio dipende anche
dall’intelligenza autocosciente e dalla maturità emotiva del
singolo direttore, consapevole dei limiti suoi e del suo coro.
Lo stesso potrebbe valere per il singolo corista e per il coro
preso come corpo unico. Le persone creative e innovative, del
resto, amano mettersi a confronto. Certamente conosco
momenti di tensione avvenuti durante confronti di questo
tipo, ma li ho sempre motivati con lo stress da competizione».
È il direttore romano Fabrizio Barchi il più problematico tra i
giurati: «Se i maestri in concorso sono giovani posso dare
una mia opinione probabilmente utile, ma non so veramente
La motivazione più importante è
la promozione e la valorizzazione
dell’eccellenza corale.
cosa dire a un collega che ha un blasone internazionale,
come mi è successo all’ultima edizione del concorso di
Malcesine. Dare suggerimenti a Mario Mora o a Roberta
Paraninfo è imbarazzante: magari fanno scelte diverse dalle
mie, ma c’è dietro un pensiero musicale profondo a
suggerirle. Debbo però ammettere che spesso l’atteggiamento
di direttori molto noti è più umile di quello di alcuni direttori
in formazione». Dubbi condivisi anche da Carlo Pedini (e
infatti il concorso di Arezzo non contempla questi colloqui):
«a parte il giudizio sull’esibizione, che comunque risulta dai
punteggi ottenuti da ciascun concorrente, ogni altra
considerazione dovrebbe tener conto che ogni esecuzione è
condizionata da fattori che mutano al mutare delle
circostanze. Tentare di dare indicazioni e consigli generalizzati
sulla base dell’esito di un giorno di concorso mi sembra
difficile e pericoloso. D’altra parte il confronto diretto con gli
altri concorrenti resta comunque lo strumento più immediato
per dare al direttore e al coro le giuste indicazioni per trarre il
massimo vantaggio dall’esperienza vissuta: un confronto in
cui il coro e il direttore difficilmente potranno ingannare se
stessi sui valori realmente espressi, specie in relazione alle
proprie, conosciute, potenzialità».
Ma il giudizio è sempre relativo, non ha il valore assoluto di
una competizione sportiva, ricorda Andrea Lagomarsino. «Per
fare al meglio il suo lavoro la giuria non dovrà limitarsi a dare
il voto ad alcuni aspetti dell’esecuzione, ma considerarla in
sé, per il suo valore artistico. Esistono concorsi che
abbracciano questo spirito e a questi conviene partecipare».
Ivan Florjanc è invece alla ricerca di criteri meno personali:
«tengo lontane le convinzioni estetiche e poetiche personali:
ogni coro e ogni brano stimo cosa a sé. Per questa ragione
soffro nell’esigenza di dover esprimere giudizi e non
semplicemente condividere opinioni, come succede nei
rapporti interpersonali». Ancora più deciso Fabrizio Barchi:
«Io starei più attento ad aspetti tecnici (intonazione, vocalità,
amalgama, equilibrio…). Vedo invece che c’è la tendenza a
dare un eccesso di importanza a quella che
chiamerei “l’interpretazione condivisa”: se hai la
fortuna di trovare in giuria il maestro che
sceglierebbe esattamente il tuo stesso tactus,
lo stesso fraseggio, allora sei a cavallo».
Difficile, insomma, dare un valore oggettivo al
lavoro della giuria, condizionato da mille
situazioni. Allora c’è chi preferisce un asettico
numero, da consegnate a un segretario che lo
sommi a quello degli altri giurati e chi, come
Roberta Paraninfo, predilige «di gran lunga i concorsi dove sia
possibile comunicare, all’interno del gruppo giudicante, le
proprie opinioni, le proprie scelte, i propri dubbi». Un criterio
che sancisce il valore di un coro può essere, secondo Daniele
Proni, la rotazione delle giurie.
Giurie che, spesso, appaiono troppo statiche, quasi un
gruppo chiuso. La continuità non è però sempre giudicata
negativamente: «Un giurato che ti ha già ascoltato in altri
concorsi può valutare se il coro è in miglioramento o meno»,
dice Fabio Triulzi, che tuttavia auspica che «oltre ai
“capisaldi” della coralità italiana onnipresenti ai concorsi,
vadano affiancati giovani musicisti/compositori». Equidistante
il giudizio di Ivan Florjanc: «È una cosa neutra. La continuità
dei giurati può, da una parte, assicurare una stabilità dei
parametri e delle misure nei giudizi. In questo caso il singolo
coro può orientarsi meglio sui gradini della crescita, misurarsi
negli anni e via dicendo, sempre a patto che il gruppo
giudicante mantenga i criteri stabili negli anni. La rotazione, al
contrario, introduce una certa vivacità scorrevole nelle
aspettative, forse, anche un maggior movimento e varietà dei
cori partecipanti». In generale però il problema è sentito e, in
varia forma, affrontato. Andrea Angelini, per esempio, segue
queste linee guida: «Nel nostro caso tendiamo a cambiare
quasi completamente la giuria ogni anno, lasciando solo un
paio di persone fisse, solamente perché questo, in giuste
5
dosi, assicura la stabilità del concorso. Coloro che hanno già
partecipato in giuria conoscono bene come si svolgono le
prove e possono, attraverso la loro esperienza, rassicurare i
“nuovi arrivati”. Vorrei sottolineare», conclude, «che una
giuria formata di grandi nomi rende molto più attrattivo il
concorso».
Il ricambio è avvertito anche ad Arezzo, come testimonia
Carlo Pedini: «la sensazione che un giudizio sempre affidato
alle stesse persone potesse portare a qualche rischio di
omogeneizzazione un po’ si è avvertita. L’avvicendamento dei
giurati nel corso degli anni ha mostrato come non esista un
metro unico di giudizio e come il risultato di un concorso,
entro certi limiti, può cambiare con giurie diverse. È un fatto
che si tratti sempre di giudizi umani e come tali soggetti,
ripeto, sempre entro un certo limite, a una possibile
oscillazione. Per questo riteniamo auspicabile un continuo
ricambio dei giudici, per non rischiare di diventare il concorso
dove ci si presenta in un certo modo, si canta in un certo
modo, si dirige in un certo modo e via discorrendo. Il ricambio
dei giurati è certamente una delle principali condizioni per
Ogni esecuzione è condizionata
da fattori che mutano al mutare
delle circostanze.
realizzare un concorso sempre vivo, nuovo e diverso».
Pur con tutti questi limiti e queste difficoltà, la formula del
concorso non sembra aver perso il suo fascino e la sua
attrattiva. È il corista Giancarlo Rossi a dare la sentenza finale
di assoluzione: «Se qualcuno mi chiedesse: “Ma perché
arrivare fino al concorso?”, ecco la risposta: Perché il
concorso è una verifica qualificata di quanto penso come
cantore amatoriale, senza grande preparazione musicale ma
né cieco né sordo al bello!».
dossIER
4
sforzo fisico ed emotivo, amo il confronto più del verdetto».
Plaude, dal podio direttoriale, anche Fabiana Noro: «Cercare
di raggiungere il massimo, che ovviamente è relativo alla
propria formazione e alle sue caratteristiche, è sempre una
motivazione che supera tutti gli altri aspetti». Sulla stessa
linea anche Silvana Noschese, direttrice salernitana: «mi
invoglia a partecipare a un concorso l’avere un obiettivo, una
scadenza, un impegno che dia una scadenza precisa allo
studio; la possibilità di ascoltare cori altrettanto preparati;
esplorare in maniera approfondita repertori diversi;
offrire al coro un momento intenso, adrenalinico,
dove misurare lo stato dell’arte del proprio gruppo;
sapere che per lui sarà un momento di coesione, di
autovalutazione, di ascolto».
Realistico il pensiero di Roberta Paraninfo:
«Le valutazioni negative fanno parte del gioco:
iscrivendosi a un concorso si metterà in conto la
possibile delusione, che porterà comunque con sé,
anch’essa, un gradino di crescita». La sua
preoccupazione va invece alle possibili conseguenze: «Il
concorso, non deve mettere a repentaglio l’equilibrio del
gruppo ma deve essere preso come una fotografia del
momento, che nell’istante successivo sarà modificata, come
nel naturale svolgersi della vita».
Raccolto, senza dubbio, il consenso di Eraclito, la direttrice
genovese può dormire sonni tranquilli: il coro, a detta degli
intervistati, sa tenersi unito anche nella cattiva sorte. «Se ben
condotta dal direttore, la preparazione e la partecipazione ai
concorsi, prescindendo dal risultato finale, diventa motivo di
consolidamento del legame direttore coro, oltre che coristacorista»; di questo è convinta Adalgisa Condoluci, che
prosegue: «Il direttore sa quali parole e quali modi utilizzare
per evitare di ledere l’entusiasmo dei coristi». Si stacca dal
“coro” Giancarlo Rossi: «Un giudizio negativo poco influirebbe
sul rapporto tra il mio coro e il direttore. Il mio pensiero,
invece, potrebbe essere più vicino al giudizio della giuria, che
sarebbe determinante nella decisione di non continuare il
rapporto con questo coro e con questo maestro ma di cercare
una scuola migliore».
Con la stessa apertura si passa dalla semplice graduatoria al
giudizio più articolato espresso dalla giuria, magari nel corso
di un colloquio, come previsto da diversi concorsi. «I giudizi li
aspetto e voglio tornare a casa con nuove tracce e nuovi
spunti sui quali riflettere e crescere: siamo qui per
migliorare», dice Silvana Noschese. Da parte loro i giurati
sentono questa responsabilità. Secondo il bolognese Daniele
Proni, «tendenzialmente, chi desidera un riscontro diretto con
la giuria lo fa solitamente per avere indicazioni “positive”,
ossia che possano aiutare a ottenere migliori risultati per le
performances future».
Nel trasmettere il giudizio, riflette Ivan Florjanc, «il giurato
deve essere un delicato comunicatore, con doti di empatia
intelligente, in particolare con quelli che hanno reso di meno.
Dall’altra parte, il modo di vivere il colloquio dipende anche
dall’intelligenza autocosciente e dalla maturità emotiva del
singolo direttore, consapevole dei limiti suoi e del suo coro.
Lo stesso potrebbe valere per il singolo corista e per il coro
preso come corpo unico. Le persone creative e innovative, del
resto, amano mettersi a confronto. Certamente conosco
momenti di tensione avvenuti durante confronti di questo
tipo, ma li ho sempre motivati con lo stress da competizione».
È il direttore romano Fabrizio Barchi il più problematico tra i
giurati: «Se i maestri in concorso sono giovani posso dare
una mia opinione probabilmente utile, ma non so veramente
La motivazione più importante è
la promozione e la valorizzazione
dell’eccellenza corale.
cosa dire a un collega che ha un blasone internazionale,
come mi è successo all’ultima edizione del concorso di
Malcesine. Dare suggerimenti a Mario Mora o a Roberta
Paraninfo è imbarazzante: magari fanno scelte diverse dalle
mie, ma c’è dietro un pensiero musicale profondo a
suggerirle. Debbo però ammettere che spesso l’atteggiamento
di direttori molto noti è più umile di quello di alcuni direttori
in formazione». Dubbi condivisi anche da Carlo Pedini (e
infatti il concorso di Arezzo non contempla questi colloqui):
«a parte il giudizio sull’esibizione, che comunque risulta dai
punteggi ottenuti da ciascun concorrente, ogni altra
considerazione dovrebbe tener conto che ogni esecuzione è
condizionata da fattori che mutano al mutare delle
circostanze. Tentare di dare indicazioni e consigli generalizzati
sulla base dell’esito di un giorno di concorso mi sembra
difficile e pericoloso. D’altra parte il confronto diretto con gli
altri concorrenti resta comunque lo strumento più immediato
per dare al direttore e al coro le giuste indicazioni per trarre il
massimo vantaggio dall’esperienza vissuta: un confronto in
cui il coro e il direttore difficilmente potranno ingannare se
stessi sui valori realmente espressi, specie in relazione alle
proprie, conosciute, potenzialità».
Ma il giudizio è sempre relativo, non ha il valore assoluto di
una competizione sportiva, ricorda Andrea Lagomarsino. «Per
fare al meglio il suo lavoro la giuria non dovrà limitarsi a dare
il voto ad alcuni aspetti dell’esecuzione, ma considerarla in
sé, per il suo valore artistico. Esistono concorsi che
abbracciano questo spirito e a questi conviene partecipare».
Ivan Florjanc è invece alla ricerca di criteri meno personali:
«tengo lontane le convinzioni estetiche e poetiche personali:
ogni coro e ogni brano stimo cosa a sé. Per questa ragione
soffro nell’esigenza di dover esprimere giudizi e non
semplicemente condividere opinioni, come succede nei
rapporti interpersonali». Ancora più deciso Fabrizio Barchi:
«Io starei più attento ad aspetti tecnici (intonazione, vocalità,
amalgama, equilibrio…). Vedo invece che c’è la tendenza a
dare un eccesso di importanza a quella che
chiamerei “l’interpretazione condivisa”: se hai la
fortuna di trovare in giuria il maestro che
sceglierebbe esattamente il tuo stesso tactus,
lo stesso fraseggio, allora sei a cavallo».
Difficile, insomma, dare un valore oggettivo al
lavoro della giuria, condizionato da mille
situazioni. Allora c’è chi preferisce un asettico
numero, da consegnate a un segretario che lo
sommi a quello degli altri giurati e chi, come
Roberta Paraninfo, predilige «di gran lunga i concorsi dove sia
possibile comunicare, all’interno del gruppo giudicante, le
proprie opinioni, le proprie scelte, i propri dubbi». Un criterio
che sancisce il valore di un coro può essere, secondo Daniele
Proni, la rotazione delle giurie.
Giurie che, spesso, appaiono troppo statiche, quasi un
gruppo chiuso. La continuità non è però sempre giudicata
negativamente: «Un giurato che ti ha già ascoltato in altri
concorsi può valutare se il coro è in miglioramento o meno»,
dice Fabio Triulzi, che tuttavia auspica che «oltre ai
“capisaldi” della coralità italiana onnipresenti ai concorsi,
vadano affiancati giovani musicisti/compositori». Equidistante
il giudizio di Ivan Florjanc: «È una cosa neutra. La continuità
dei giurati può, da una parte, assicurare una stabilità dei
parametri e delle misure nei giudizi. In questo caso il singolo
coro può orientarsi meglio sui gradini della crescita, misurarsi
negli anni e via dicendo, sempre a patto che il gruppo
giudicante mantenga i criteri stabili negli anni. La rotazione, al
contrario, introduce una certa vivacità scorrevole nelle
aspettative, forse, anche un maggior movimento e varietà dei
cori partecipanti». In generale però il problema è sentito e, in
varia forma, affrontato. Andrea Angelini, per esempio, segue
queste linee guida: «Nel nostro caso tendiamo a cambiare
quasi completamente la giuria ogni anno, lasciando solo un
paio di persone fisse, solamente perché questo, in giuste
5
dosi, assicura la stabilità del concorso. Coloro che hanno già
partecipato in giuria conoscono bene come si svolgono le
prove e possono, attraverso la loro esperienza, rassicurare i
“nuovi arrivati”. Vorrei sottolineare», conclude, «che una
giuria formata di grandi nomi rende molto più attrattivo il
concorso».
Il ricambio è avvertito anche ad Arezzo, come testimonia
Carlo Pedini: «la sensazione che un giudizio sempre affidato
alle stesse persone potesse portare a qualche rischio di
omogeneizzazione un po’ si è avvertita. L’avvicendamento dei
giurati nel corso degli anni ha mostrato come non esista un
metro unico di giudizio e come il risultato di un concorso,
entro certi limiti, può cambiare con giurie diverse. È un fatto
che si tratti sempre di giudizi umani e come tali soggetti,
ripeto, sempre entro un certo limite, a una possibile
oscillazione. Per questo riteniamo auspicabile un continuo
ricambio dei giudici, per non rischiare di diventare il concorso
dove ci si presenta in un certo modo, si canta in un certo
modo, si dirige in un certo modo e via discorrendo. Il ricambio
dei giurati è certamente una delle principali condizioni per
Ogni esecuzione è condizionata
da fattori che mutano al mutare
delle circostanze.
realizzare un concorso sempre vivo, nuovo e diverso».
Pur con tutti questi limiti e queste difficoltà, la formula del
concorso non sembra aver perso il suo fascino e la sua
attrattiva. È il corista Giancarlo Rossi a dare la sentenza finale
di assoluzione: «Se qualcuno mi chiedesse: “Ma perché
arrivare fino al concorso?”, ecco la risposta: Perché il
concorso è una verifica qualificata di quanto penso come
cantore amatoriale, senza grande preparazione musicale ma
né cieco né sordo al bello!».
dossIER
6
VOCI BIANCHE IN… CONCORSO
di Floranna Spreafico
direttore dell’associazione musicale licabella di rovagnate
È noto come negli ultimi anni la coralità infantile si sia
positivamente sviluppata nel nostro Paese, grazie a svariate
tipologie di percorsi, promossi sia da associazioni culturali sia
da istituzioni scolastiche; percorsi avviati da alcuni anni e che
oggi stanno dando buoni risultati, particolarmente in alcune
regioni italiane. Ritengo queste esperienze estremamente
interessanti per la nostra coralità infantile. Ma parlare di voci
bianche oggi implica a mio parere alcune riflessioni e
considerazioni che mi hanno portata a operare una
distinzione tra ciò che è un coro di voci bianche e ciò che è
un coro di bambini. Infatti, le due tipologie si differenziano sia
per costituzione, sia per le finalità che si prefiggono e che
stanno alla base del loro operato.
Nel coro di bambini l’educazione corale rientra nel più vasto
campo dell’educazione musicale e viene proposta attraverso
metodologie che guidano il bambino all’acquisizione dei
fondamentali elementi di questo linguaggio, quali il ritmo,
l’educazione dell’orecchio musicale, il
coordinamento motorio, la decodificazione e
interiorizzazione delle altezze.
Partendo da queste premesse, possiamo
intendere per coro di bambini una realtà
legata in modo particolare a quell’esperienza
corale in cui ai piccoli coristi viene data
l’opportunità di vivere in un contesto corale di
base, come accade all’interno di percorsi di
alfabetizzazione musicale attivati anche da
alcune scuole: attività di fondamentale
importanza – se proposte da insegnanti qualificati – che
possono fungere da prerequisiti da cui poter partire per porre
solide basi sulle quali costruire competenze e abilità
necessarie al giovane corista per far parte di un coro di voci
bianche, il cui obiettivo è, a mio parere, la produzione
artistica di un certo rilievo.
Ed è proprio in questo passaggio che sta, credo, la difficoltà
maggiore. Occorre allora cercare di far luce su quali siano gli
ostacoli che non rendono sempre naturale la prosecuzione fra
queste due realtà. In altri termini: perché molte delle attività
corali per bambini non seguono quello che dovrebbe essere il
loro naturale sviluppo, cioè la trasformazione in cori di voci
bianche?
Credo occorra a questo proposito analizzare quale sia il
contesto culturale e sonoro che oggi appartiene ai bambini e
ai ragazzi, valutare ciò che assorbono musicalmente e
acusticamente dal contesto mediatico, quale sia, in ultima
analisi, il loro patrimonio vocale e corale. Non è difficile capire
perché l’esperienza corale, a un certo punto, per diversi
bambini, vada esaurendosi. Ed è in questo contesto che entra
in gioco, a mio parere, la fondamentale presenza di direttori
di coro non solo qualificati professionalmente, ma fortemente
motivati, appassionati sostenitori di questa bellissima realtà e
la cui energia possa guidare i giovani coristi nel momento
particolarmente delicato della transizione da coro di bambini
in coro di voci bianche.
Sappiamo bene come un direttore di coro che decida oggi, in
Italia, di costituire un coro di voci bianche con finalità
artistiche si trovi quasi certamente a dover partire dal nulla.
Dovrà armarsi di dosi massicce di pazienza, e, ancora prima
di poter avviare una basilare educazione di tipo vocale con i
suoi bambini, si troverà a correggere o forse anche a
cancellare atteggiamenti vocali errati: quegli atteggiamenti
che i bambini assorbono dall’ambiente sonoro distorto in cui
sono immersi, pesantemente influenzato anche dal mondo dei
mass media che poco rispetto hanno per la voce e più in
È noto come negli ultimi anni la
coralità infantile si sia positivamente
sviluppata nel nostro Paese.
generale per il bambino in quanto persona. Così il canto, che
dovrebbe essere la forma di espressione più spontanea del
bambino fin dalla più tenera età, è troppo spesso guastato da
dannosi modelli di riferimento vocale che soprattutto i più
piccoli, senza esserne consapevoli, acquisiscono dalla musica
cosiddetta di consumo. La conseguenza di tutto ciò è che il
canto corale, inteso nella sua dimensione vera e artistica,
tende a essere una realtà remota per la maggior parte dei
bambini.
Credo che alcune delle molle su cui far leva per portare i
bambini a esplorare, prendere confidenza e impadronirsi di
mondi sonori spesso a loro sconosciuti e lontani dalla loro
quotidianità siano il loro bisogno di esprimersi e la vivacità da
incanalare che trasmettono cantando, oltre alla positività che
acquisiscono attraverso questo linguaggio.
È una volta intrapreso e portato avanti questo percorso che
un direttore può decidere di partecipare con il suo coro a un
concorso. Diverse le motivazioni che possono indurlo a vivere
questa esperienza: sappiamo che c’è chi vi si avvicina
ritenendo queste occasioni importanti momenti di confronto
con altre realtà simili, chi ritiene utile affidarsi al parere di
una commissione d’ascolto qualificata, chi ancora desidera far
conoscere a livello nazionale o internazionale le proprie scelte
di ricerca e repertorio.
Presa questa importante decisione molti sono per il direttore
di coro gli elementi da valutare attentamente, a partire
dall’analisi dei regolamenti e dei bandi dei diversi concorsi,
alcuni dei quali prescrivono anche scelte obbligatorie di
repertorio, oppure stabiliscono che nell’esecuzione siano
inseriti brani appartenenti a diverse e precise epoche
storiche, brani a cappella o con accompagnamento
strumentale.
Trattandosi di coro di voci bianche è fondamentale poi il
parametro legato ai limiti di età, che spesso varia a seconda
dei concorsi. Normalmente, nei concorsi internazionali
vengono considerate voci bianche i coristi la cui età non
superi i 16 anni, mentre i concorsi
nazionali stabiliscono limiti di età
inferiori e normalmente considerano
voci bianche i coristi di età compresa
entro i 14 o al massimo entro i 15
anni.
I regolamenti in molti casi stabiliscono
anche un numero minimo e massimo
di coristi, norma che può a volte
mettere in difficoltà un coro costituito
da un numero piuttosto esiguo di
voci, che viene di fatto impossibilitato a prendere parte al
concorso. Nel caso opposto – cioè quando il coro sia
costituito da un numero di coristi maggiore a quello permesso
– il direttore sarà costretto a dover selezionare chi portare e
chi lasciare a casa, e ciò andrà a scapito della coesione del
coro e dell’empatia tra i piccoli cantori.
In sintesi, in base alle richieste di repertorio dettate dai
regolamenti, va definito il programma da portare al concorso.
Si può dire che il concorso cominci proprio da questa scelta,
perché è attraverso ciò che il coro eseguirà che dovranno
emergere il suo suono, le sue caratteristiche vocali, le sue
7
potenzialità espressive e comunicative.
Non solo: è anche attraverso la preparazione a un concorso, e
quindi con lo studio dei brani da presentare, che i coristi
possono avere l’opportunità di crescere musicalmente,
affrontando le composizioni con un lavoro vocale, tecnico ed
espressivo particolarmente approfondito.
Sono poi da valutare anche le questioni di tipo organizzativo
e logistico, come ad esempio la distanza tra la propria sede e
quella del concorso, e il momento dell’anno in cui il concorso
è previsto. Si deve poi tenere in considerazione che i coristi
sono studenti e potrebbero dunque doversi assentare alcuni
giorni da scuola per prendere parte alla manifestazione.
Sappiamo bene che non tutte le istituzioni scolastiche e non
tutti gli insegnanti sono sensibili all’esperienza corale. Le
assenze vengono a volte considerate ingiustificate e di ritorno
da un concorso corale, magari dopo aver trascorso anche
molte ore in viaggio, i coristi qualche volta si ritrovano a
dover recuperare verifiche o interrogazioni perse proprio in
quei giorni, pur avendo preventivamente avvisato le rispettive
scuole del motivo dalla loro assenza.
Da ultimo, ma da valutare attentamente, sono anche le
questioni di tipo economico, ossia il costo dei mezzi di
trasporto e alberghi. Queste cause contingenti, soprattutto
negli ultimi anni, in seguito alla crisi economica, hanno forse
frenato la partecipazione di qualche coro a questi eventi.
Vorrei ora aprire una breve parentesi relativa al livello di
preparazione dei cori italiani di voci bianche, rispetto ad
alcuni cori europei ed extraeuropei che prendono
normalmente parte ai concorsi corali internazionali. Per i
nostri cori di voci bianche può non essere semplice trovarsi a
competere con cori che sono in grado di esprimere un livello
tecnico e vocale altissimo. È ben noto che i componenti di
queste realtà provengono molte volte da ottime scuole
I percorsi attuati negli ultimi anni hanno
portato anche in Italia alla costituzione
di validi cori di voci bianche.
musicali corali che nel nostro paese purtroppo, salvo rare
eccezioni, non esistono. La struttura organizzativa di queste
scuole e i piani di studi musicali pluriennali che questi coristi
e coriste seguono li portano a conoscere profondamente il
linguaggio musicale corale e ad acquisire di conseguenza
quegli altissimi livelli artistici che permettono loro di
affrontare con disinvoltura composizioni di notevole livello
tecnico, per lo più improponibili ai nostri cori. Inoltre, quando
si tratta di formazioni totalmente al femminile, la loro vocalità
è molto più simile a quella dei nostri cori femminili, essendo
in prevalenza formati da ragazze che sfiorano i limiti di età
dossIER
6
VOCI BIANCHE IN… CONCORSO
di Floranna Spreafico
direttore dell’associazione musicale licabella di rovagnate
È noto come negli ultimi anni la coralità infantile si sia
positivamente sviluppata nel nostro Paese, grazie a svariate
tipologie di percorsi, promossi sia da associazioni culturali sia
da istituzioni scolastiche; percorsi avviati da alcuni anni e che
oggi stanno dando buoni risultati, particolarmente in alcune
regioni italiane. Ritengo queste esperienze estremamente
interessanti per la nostra coralità infantile. Ma parlare di voci
bianche oggi implica a mio parere alcune riflessioni e
considerazioni che mi hanno portata a operare una
distinzione tra ciò che è un coro di voci bianche e ciò che è
un coro di bambini. Infatti, le due tipologie si differenziano sia
per costituzione, sia per le finalità che si prefiggono e che
stanno alla base del loro operato.
Nel coro di bambini l’educazione corale rientra nel più vasto
campo dell’educazione musicale e viene proposta attraverso
metodologie che guidano il bambino all’acquisizione dei
fondamentali elementi di questo linguaggio, quali il ritmo,
l’educazione dell’orecchio musicale, il
coordinamento motorio, la decodificazione e
interiorizzazione delle altezze.
Partendo da queste premesse, possiamo
intendere per coro di bambini una realtà
legata in modo particolare a quell’esperienza
corale in cui ai piccoli coristi viene data
l’opportunità di vivere in un contesto corale di
base, come accade all’interno di percorsi di
alfabetizzazione musicale attivati anche da
alcune scuole: attività di fondamentale
importanza – se proposte da insegnanti qualificati – che
possono fungere da prerequisiti da cui poter partire per porre
solide basi sulle quali costruire competenze e abilità
necessarie al giovane corista per far parte di un coro di voci
bianche, il cui obiettivo è, a mio parere, la produzione
artistica di un certo rilievo.
Ed è proprio in questo passaggio che sta, credo, la difficoltà
maggiore. Occorre allora cercare di far luce su quali siano gli
ostacoli che non rendono sempre naturale la prosecuzione fra
queste due realtà. In altri termini: perché molte delle attività
corali per bambini non seguono quello che dovrebbe essere il
loro naturale sviluppo, cioè la trasformazione in cori di voci
bianche?
Credo occorra a questo proposito analizzare quale sia il
contesto culturale e sonoro che oggi appartiene ai bambini e
ai ragazzi, valutare ciò che assorbono musicalmente e
acusticamente dal contesto mediatico, quale sia, in ultima
analisi, il loro patrimonio vocale e corale. Non è difficile capire
perché l’esperienza corale, a un certo punto, per diversi
bambini, vada esaurendosi. Ed è in questo contesto che entra
in gioco, a mio parere, la fondamentale presenza di direttori
di coro non solo qualificati professionalmente, ma fortemente
motivati, appassionati sostenitori di questa bellissima realtà e
la cui energia possa guidare i giovani coristi nel momento
particolarmente delicato della transizione da coro di bambini
in coro di voci bianche.
Sappiamo bene come un direttore di coro che decida oggi, in
Italia, di costituire un coro di voci bianche con finalità
artistiche si trovi quasi certamente a dover partire dal nulla.
Dovrà armarsi di dosi massicce di pazienza, e, ancora prima
di poter avviare una basilare educazione di tipo vocale con i
suoi bambini, si troverà a correggere o forse anche a
cancellare atteggiamenti vocali errati: quegli atteggiamenti
che i bambini assorbono dall’ambiente sonoro distorto in cui
sono immersi, pesantemente influenzato anche dal mondo dei
mass media che poco rispetto hanno per la voce e più in
È noto come negli ultimi anni la
coralità infantile si sia positivamente
sviluppata nel nostro Paese.
generale per il bambino in quanto persona. Così il canto, che
dovrebbe essere la forma di espressione più spontanea del
bambino fin dalla più tenera età, è troppo spesso guastato da
dannosi modelli di riferimento vocale che soprattutto i più
piccoli, senza esserne consapevoli, acquisiscono dalla musica
cosiddetta di consumo. La conseguenza di tutto ciò è che il
canto corale, inteso nella sua dimensione vera e artistica,
tende a essere una realtà remota per la maggior parte dei
bambini.
Credo che alcune delle molle su cui far leva per portare i
bambini a esplorare, prendere confidenza e impadronirsi di
mondi sonori spesso a loro sconosciuti e lontani dalla loro
quotidianità siano il loro bisogno di esprimersi e la vivacità da
incanalare che trasmettono cantando, oltre alla positività che
acquisiscono attraverso questo linguaggio.
È una volta intrapreso e portato avanti questo percorso che
un direttore può decidere di partecipare con il suo coro a un
concorso. Diverse le motivazioni che possono indurlo a vivere
questa esperienza: sappiamo che c’è chi vi si avvicina
ritenendo queste occasioni importanti momenti di confronto
con altre realtà simili, chi ritiene utile affidarsi al parere di
una commissione d’ascolto qualificata, chi ancora desidera far
conoscere a livello nazionale o internazionale le proprie scelte
di ricerca e repertorio.
Presa questa importante decisione molti sono per il direttore
di coro gli elementi da valutare attentamente, a partire
dall’analisi dei regolamenti e dei bandi dei diversi concorsi,
alcuni dei quali prescrivono anche scelte obbligatorie di
repertorio, oppure stabiliscono che nell’esecuzione siano
inseriti brani appartenenti a diverse e precise epoche
storiche, brani a cappella o con accompagnamento
strumentale.
Trattandosi di coro di voci bianche è fondamentale poi il
parametro legato ai limiti di età, che spesso varia a seconda
dei concorsi. Normalmente, nei concorsi internazionali
vengono considerate voci bianche i coristi la cui età non
superi i 16 anni, mentre i concorsi
nazionali stabiliscono limiti di età
inferiori e normalmente considerano
voci bianche i coristi di età compresa
entro i 14 o al massimo entro i 15
anni.
I regolamenti in molti casi stabiliscono
anche un numero minimo e massimo
di coristi, norma che può a volte
mettere in difficoltà un coro costituito
da un numero piuttosto esiguo di
voci, che viene di fatto impossibilitato a prendere parte al
concorso. Nel caso opposto – cioè quando il coro sia
costituito da un numero di coristi maggiore a quello permesso
– il direttore sarà costretto a dover selezionare chi portare e
chi lasciare a casa, e ciò andrà a scapito della coesione del
coro e dell’empatia tra i piccoli cantori.
In sintesi, in base alle richieste di repertorio dettate dai
regolamenti, va definito il programma da portare al concorso.
Si può dire che il concorso cominci proprio da questa scelta,
perché è attraverso ciò che il coro eseguirà che dovranno
emergere il suo suono, le sue caratteristiche vocali, le sue
7
potenzialità espressive e comunicative.
Non solo: è anche attraverso la preparazione a un concorso, e
quindi con lo studio dei brani da presentare, che i coristi
possono avere l’opportunità di crescere musicalmente,
affrontando le composizioni con un lavoro vocale, tecnico ed
espressivo particolarmente approfondito.
Sono poi da valutare anche le questioni di tipo organizzativo
e logistico, come ad esempio la distanza tra la propria sede e
quella del concorso, e il momento dell’anno in cui il concorso
è previsto. Si deve poi tenere in considerazione che i coristi
sono studenti e potrebbero dunque doversi assentare alcuni
giorni da scuola per prendere parte alla manifestazione.
Sappiamo bene che non tutte le istituzioni scolastiche e non
tutti gli insegnanti sono sensibili all’esperienza corale. Le
assenze vengono a volte considerate ingiustificate e di ritorno
da un concorso corale, magari dopo aver trascorso anche
molte ore in viaggio, i coristi qualche volta si ritrovano a
dover recuperare verifiche o interrogazioni perse proprio in
quei giorni, pur avendo preventivamente avvisato le rispettive
scuole del motivo dalla loro assenza.
Da ultimo, ma da valutare attentamente, sono anche le
questioni di tipo economico, ossia il costo dei mezzi di
trasporto e alberghi. Queste cause contingenti, soprattutto
negli ultimi anni, in seguito alla crisi economica, hanno forse
frenato la partecipazione di qualche coro a questi eventi.
Vorrei ora aprire una breve parentesi relativa al livello di
preparazione dei cori italiani di voci bianche, rispetto ad
alcuni cori europei ed extraeuropei che prendono
normalmente parte ai concorsi corali internazionali. Per i
nostri cori di voci bianche può non essere semplice trovarsi a
competere con cori che sono in grado di esprimere un livello
tecnico e vocale altissimo. È ben noto che i componenti di
queste realtà provengono molte volte da ottime scuole
I percorsi attuati negli ultimi anni hanno
portato anche in Italia alla costituzione
di validi cori di voci bianche.
musicali corali che nel nostro paese purtroppo, salvo rare
eccezioni, non esistono. La struttura organizzativa di queste
scuole e i piani di studi musicali pluriennali che questi coristi
e coriste seguono li portano a conoscere profondamente il
linguaggio musicale corale e ad acquisire di conseguenza
quegli altissimi livelli artistici che permettono loro di
affrontare con disinvoltura composizioni di notevole livello
tecnico, per lo più improponibili ai nostri cori. Inoltre, quando
si tratta di formazioni totalmente al femminile, la loro vocalità
è molto più simile a quella dei nostri cori femminili, essendo
in prevalenza formati da ragazze che sfiorano i limiti di età
dossIER
8
consentiti dai concorsi, ossia i sedici anni.
Sappiamo bene inoltre come molti dei bambini che hanno
avuto la possibilità di formarsi musicalmente in questi
contesti divengano da adulti eccellenti professionisti. Un
esempio tra tutti: la formazione dei King’s Singers, gruppo
vocale maschile oggi famoso in tutto il mondo, i cui
componenti hanno iniziato il loro cammino musicale come
fanciulli cantori nello storico coro del King’s College di
Cambridge.
Penso sia importante, a questo proposito, preparare i nostri
giovani coristi alla possibilità di incontri di questo tipo, con la
proiezione, ad esempio, di video dedicati a queste formazioni,
in modo che possano ascoltare con piacere le loro esibizioni e
che non debbano esserne in qualche modo intimoriti.
Come ho già detto in apertura, i percorsi
attuati negli ultimi anni hanno portato anche
in Italia alla costituzione di validi cori di voci
bianche, che stanno colmando la “distanza”
tra le realtà degli altri paesi europei e il
nostro. Ciò è merito, per la quasi totalità,
dell’eccezionale lavoro, della caparbietà e
della sensibilità di associazioni culturali e
musicali che, credendo fermamente nel valore
pedagogico, culturale e artistico del canto
corale, sostengono con grande determinazione
lo sviluppo di queste realtà, arginando alcune
lacune istituzionali, soprattutto nel settore
delicato della musica corale. A questo proposito,
personalmente ritengo disarmante e indicativo il fatto che nei
piani di studi oggi in vigore in Italia nella scuola secondaria di
primo grado a indirizzo musicale, come nei licei musicali, non
sia prevista a livello istituzionale e legislativo l’attività corale.
I nostri cori di voci bianche sono formati non da bambini e
ragazzi che hanno superato una qualche selezione vocale,
come spesso avviene all’estero, e che seguono regolari
percorsi educativi musicali fin dalla più tenera età, ma da
bambini e ragazzi che si avvicinano al coro per il piacere di
cantare e che vanno guidati nell’acquisizione di una corretta
educazione vocale, fondamento che li porterà ad affrontare
con sicurezza il repertorio e ad appassionarsi in modo
crescente al canto corale. Ciò deve avvenire nel giro di
pochissimi anni, poiché un direttore di coro di voci bianche sa
che, a differenza di ciò che avviene con le voci adulte, ha a
disposizione solo un esiguo numero di anni per raggiungere
questo risultato.
Ecco perché ritengo fondamentale la presenza di docenti
preparati che sappiano avviare percorsi corali e musicali
costruiti su solidi concetti di pedagogia vocale e corale. A tali
docenti deve essere dato spazio e libertà perché possano
coinvolgere e guidare i loro coristi, con sensibilità e
competenza, alla scoperta delle potenzialità dell’espressione
corale. Sarà anche necessario tener conto di come i tempi di
attenzione dei bambini di oggi siano forse più brevi rispetto a
Attraverso queste esperienze i
giovani coristi saranno portati a
vivere percorsi notevoli, sia dal
punto di vista musicale che umano.
qualche anno fa, e di come questo elemento debba portare a
strutturare le lezioni corali con opportune modalità, senza
però rinunciare a un percorso di qualità.
Se si considera che generalmente l’educazione corale di un
bambino, anche nella migliore delle ipotesi, difficilmente inizia
prima dei sei anni, e che a tale età la sua estensione vocale,
così come la sua capacità di eseguire musica polifonica, sono
certamente limitate, si può capire come le competenze e le
abilità che deve acquisire rapidamente siano molte e non di
semplice portata, in considerazione anche di un altro
fenomeno attuale del nostro tempo: l’abbassamento dell’età
in cui oggi si verifica la pubertà e quindi il cambio della voce.
Descriverei il cammino che può portare il bambino a divenire
un cantore pienamente cosciente del suo ruolo di buon
esecutore vocale come un percorso estremamente intenso,
concentrato, rapido, di cui la costanza e la determinazione
costituiscono gli elementi fondamentali.
Da diversi anni mi occupo di coralità, in particolar modo di
quella infantile e di cori di voci bianche. Attualmente dirigo,
oltre al coro di voci bianche e giovanili I piccoli cantori delle
colline di Brianza di Rovagnate, il coro di voci bianche Don
Bosco, formazione nata nel 2013 all’interno dell’ics di Costa
Masnaga (Lecco), costituita da una trentina di ragazzi della
scuola secondaria di primo grado, nata dal progetto “Il coro a
scuola: l’educazione vocale e corale nelle giovani voci”.
In particolare con I piccoli cantori delle colline di Brianza,
formazione nata all’interno dei cori
dell’Associazione Musicale Licabella di
Rovagnate, di cui sono direttore artistico, ho
vissuto in prima persona, in qualità di
direttore di coro, l’esperienza della
partecipazione a concorsi corali nazionali e
internazionali, vincendone alcuni e ottenendo
comunque sempre risultati lusinghieri, mentre
con il coro di voci bianche Don Bosco ho
partecipato a un concorso riservato a cori
scolastici, con il risultato che i ragazzi, che
mai avevano preso parte a una
manifestazione di questo genere, hanno
vissuto con emozione l’evento e ne sono usciti fortemente
gratificati, con la vittoria riportata nel concorso stesso.
Secondo la mia esperienza ritengo la partecipazione a
concorsi corali determinante, in primo luogo per far conoscere
il coro al di fuori dell’area geografica in cui solitamente opera.
Inoltre, il pubblico che segue queste manifestazioni è formato
anche da musicisti, da compositori, da esperti del settore. Ciò
può favorire la futura partecipazione del coro a eventi corali
importanti, nazionali e internazionali, come è stato anche per
i miei Piccoli Cantori, e portare a sviluppi – a mio parere
– importanti per la crescita umana e musicale di ogni corista
e del coro stesso. Attraverso queste esperienze i giovani
9
coristi saranno portati a vivere percorsi notevoli, sia dal punto
di vista musicale che umano, catapultati nel mondo corale a
trecentosessanta gradi. Occasioni da vivere pienamente, che
motivano fortemente il gruppo e contribuiscono ad
appassionarli, rendendoli sempre più coscienti e consapevoli
delle opportunità e del grande valore del canto corale.
Ho vissuto più volte i concorsi corali anche dal punto di vista
di chi deve valutare queste realtà, essendo chiamata a far
parte delle commissioni giudicatrici. In questa veste ritengo
non sia cosa semplice poter cogliere nel giro di pochi minuti
l’impegnativo e meticoloso lavoro che sta dietro a ogni
esibizione, tenendo conto anche degli inevitabili momenti di
tensione e di emozione che ogni competizione genera nei
giovani coristi e a volte anche nei direttori.
L’esperienza del concorso può essere
un valido aiuto nell’intenso percorso
che porta i ragazzi alla conquista di
importanti obiettivi.
Spesso mi è capitato, durante i corsi che sono stata invitata a
tenere su tematiche relative alla coralità infantile, rivolti a
direttori e insegnanti di cori di bambini o di voci bianche, di
dover dare un mio parere rispetto alla positività della
partecipazione a concorsi corali per questa fascia di età. In
sintesi direi che ritengo i concorsi corali un’esperienza
importante e stimolante, a condizione che l’aspetto
competitivo non diventi prevalente nel direttore, nei coristi,
nelle loro famiglie. Credo debba essere vissuto come
un’esperienza di crescita, in primo luogo musicale e culturale,
che può dare la possibilità di migliorare la propria
preparazione. Credo che il concorso possa essere inteso come
dossIER
8
consentiti dai concorsi, ossia i sedici anni.
Sappiamo bene inoltre come molti dei bambini che hanno
avuto la possibilità di formarsi musicalmente in questi
contesti divengano da adulti eccellenti professionisti. Un
esempio tra tutti: la formazione dei King’s Singers, gruppo
vocale maschile oggi famoso in tutto il mondo, i cui
componenti hanno iniziato il loro cammino musicale come
fanciulli cantori nello storico coro del King’s College di
Cambridge.
Penso sia importante, a questo proposito, preparare i nostri
giovani coristi alla possibilità di incontri di questo tipo, con la
proiezione, ad esempio, di video dedicati a queste formazioni,
in modo che possano ascoltare con piacere le loro esibizioni e
che non debbano esserne in qualche modo intimoriti.
Come ho già detto in apertura, i percorsi
attuati negli ultimi anni hanno portato anche
in Italia alla costituzione di validi cori di voci
bianche, che stanno colmando la “distanza”
tra le realtà degli altri paesi europei e il
nostro. Ciò è merito, per la quasi totalità,
dell’eccezionale lavoro, della caparbietà e
della sensibilità di associazioni culturali e
musicali che, credendo fermamente nel valore
pedagogico, culturale e artistico del canto
corale, sostengono con grande determinazione
lo sviluppo di queste realtà, arginando alcune
lacune istituzionali, soprattutto nel settore
delicato della musica corale. A questo proposito,
personalmente ritengo disarmante e indicativo il fatto che nei
piani di studi oggi in vigore in Italia nella scuola secondaria di
primo grado a indirizzo musicale, come nei licei musicali, non
sia prevista a livello istituzionale e legislativo l’attività corale.
I nostri cori di voci bianche sono formati non da bambini e
ragazzi che hanno superato una qualche selezione vocale,
come spesso avviene all’estero, e che seguono regolari
percorsi educativi musicali fin dalla più tenera età, ma da
bambini e ragazzi che si avvicinano al coro per il piacere di
cantare e che vanno guidati nell’acquisizione di una corretta
educazione vocale, fondamento che li porterà ad affrontare
con sicurezza il repertorio e ad appassionarsi in modo
crescente al canto corale. Ciò deve avvenire nel giro di
pochissimi anni, poiché un direttore di coro di voci bianche sa
che, a differenza di ciò che avviene con le voci adulte, ha a
disposizione solo un esiguo numero di anni per raggiungere
questo risultato.
Ecco perché ritengo fondamentale la presenza di docenti
preparati che sappiano avviare percorsi corali e musicali
costruiti su solidi concetti di pedagogia vocale e corale. A tali
docenti deve essere dato spazio e libertà perché possano
coinvolgere e guidare i loro coristi, con sensibilità e
competenza, alla scoperta delle potenzialità dell’espressione
corale. Sarà anche necessario tener conto di come i tempi di
attenzione dei bambini di oggi siano forse più brevi rispetto a
Attraverso queste esperienze i
giovani coristi saranno portati a
vivere percorsi notevoli, sia dal
punto di vista musicale che umano.
qualche anno fa, e di come questo elemento debba portare a
strutturare le lezioni corali con opportune modalità, senza
però rinunciare a un percorso di qualità.
Se si considera che generalmente l’educazione corale di un
bambino, anche nella migliore delle ipotesi, difficilmente inizia
prima dei sei anni, e che a tale età la sua estensione vocale,
così come la sua capacità di eseguire musica polifonica, sono
certamente limitate, si può capire come le competenze e le
abilità che deve acquisire rapidamente siano molte e non di
semplice portata, in considerazione anche di un altro
fenomeno attuale del nostro tempo: l’abbassamento dell’età
in cui oggi si verifica la pubertà e quindi il cambio della voce.
Descriverei il cammino che può portare il bambino a divenire
un cantore pienamente cosciente del suo ruolo di buon
esecutore vocale come un percorso estremamente intenso,
concentrato, rapido, di cui la costanza e la determinazione
costituiscono gli elementi fondamentali.
Da diversi anni mi occupo di coralità, in particolar modo di
quella infantile e di cori di voci bianche. Attualmente dirigo,
oltre al coro di voci bianche e giovanili I piccoli cantori delle
colline di Brianza di Rovagnate, il coro di voci bianche Don
Bosco, formazione nata nel 2013 all’interno dell’ics di Costa
Masnaga (Lecco), costituita da una trentina di ragazzi della
scuola secondaria di primo grado, nata dal progetto “Il coro a
scuola: l’educazione vocale e corale nelle giovani voci”.
In particolare con I piccoli cantori delle colline di Brianza,
formazione nata all’interno dei cori
dell’Associazione Musicale Licabella di
Rovagnate, di cui sono direttore artistico, ho
vissuto in prima persona, in qualità di
direttore di coro, l’esperienza della
partecipazione a concorsi corali nazionali e
internazionali, vincendone alcuni e ottenendo
comunque sempre risultati lusinghieri, mentre
con il coro di voci bianche Don Bosco ho
partecipato a un concorso riservato a cori
scolastici, con il risultato che i ragazzi, che
mai avevano preso parte a una
manifestazione di questo genere, hanno
vissuto con emozione l’evento e ne sono usciti fortemente
gratificati, con la vittoria riportata nel concorso stesso.
Secondo la mia esperienza ritengo la partecipazione a
concorsi corali determinante, in primo luogo per far conoscere
il coro al di fuori dell’area geografica in cui solitamente opera.
Inoltre, il pubblico che segue queste manifestazioni è formato
anche da musicisti, da compositori, da esperti del settore. Ciò
può favorire la futura partecipazione del coro a eventi corali
importanti, nazionali e internazionali, come è stato anche per
i miei Piccoli Cantori, e portare a sviluppi – a mio parere
– importanti per la crescita umana e musicale di ogni corista
e del coro stesso. Attraverso queste esperienze i giovani
9
coristi saranno portati a vivere percorsi notevoli, sia dal punto
di vista musicale che umano, catapultati nel mondo corale a
trecentosessanta gradi. Occasioni da vivere pienamente, che
motivano fortemente il gruppo e contribuiscono ad
appassionarli, rendendoli sempre più coscienti e consapevoli
delle opportunità e del grande valore del canto corale.
Ho vissuto più volte i concorsi corali anche dal punto di vista
di chi deve valutare queste realtà, essendo chiamata a far
parte delle commissioni giudicatrici. In questa veste ritengo
non sia cosa semplice poter cogliere nel giro di pochi minuti
l’impegnativo e meticoloso lavoro che sta dietro a ogni
esibizione, tenendo conto anche degli inevitabili momenti di
tensione e di emozione che ogni competizione genera nei
giovani coristi e a volte anche nei direttori.
L’esperienza del concorso può essere
un valido aiuto nell’intenso percorso
che porta i ragazzi alla conquista di
importanti obiettivi.
Spesso mi è capitato, durante i corsi che sono stata invitata a
tenere su tematiche relative alla coralità infantile, rivolti a
direttori e insegnanti di cori di bambini o di voci bianche, di
dover dare un mio parere rispetto alla positività della
partecipazione a concorsi corali per questa fascia di età. In
sintesi direi che ritengo i concorsi corali un’esperienza
importante e stimolante, a condizione che l’aspetto
competitivo non diventi prevalente nel direttore, nei coristi,
nelle loro famiglie. Credo debba essere vissuto come
un’esperienza di crescita, in primo luogo musicale e culturale,
che può dare la possibilità di migliorare la propria
preparazione. Credo che il concorso possa essere inteso come
dossIER
10
11
49° CONCORSO NAZIONALE CORALE
Trofei «Città di Vittorio Veneto»
un’opportunità viva e arricchente, quasi come un
premio alle difficoltà concrete della preparazione per i
bambini d’oggi, impegnati in mille attività
extrascolastiche e non sempre disposti a concentrare
la loro attenzione su un linguaggio che richiede
costanza, dedizione, tempo e che non dà risultati a
breve termine. Credo, infine, che il modo migliore di
agire per un direttore che operi con i bambini oggi
resti quello di riuscire a trasmettere la grande
passione per la musica, di guidarli attraverso questo
linguaggio nella loro crescita e di valorizzarli con
onestà, cercando di far loro comprendere
l’importanza fondamentale dell’impegno, della
costanza e della collaborazione. Sono sempre stata
convinta che ai ragazzi si possa chiedere molto,
perché molto sanno dare; che direttore e coristi
crescono insieme, grazie allo scambio continuo di
stimoli e ai piccoli risultati quotidianamente raggiunti;
che per ogni bambino sia importante scoprire,
insieme alla sua vera voce, la musica che è in lui e le
grandi potenzialità espressive che essa gli offre.
Vorrei concludere con un breve pensiero tratto dalla
mia tesi di laurea in musicologia, dedicata alle voci
bianche, che ha per titolo Musica nei verdi anni
(conseguita al conservatorio di Milano, relatore il
maestro Irlando Danieli e correlatore il maestro
Giovanni Acciai): «Mi piace pensare a un direttore di
coro per bambini come a un esperto intagliatore di
legno che nel silenzio nella sua baita di montagna,
con calma e con dolcezza, ma senza mai fermarsi,
senza scoraggiarsi, senza mai dimenticare da dove è
partito e dove vuole arrivare, attimo dopo attimo crea
e vede crescere la sua scultura. Non importa quanto
tempo occorrerà: il tronco a poco a poco si
trasformerà in un’opera d’arte: è così per un pezzo
musicale che, appena abbozzato, prova dopo prova
esce dal pentagramma e si fa suono e bellezza
attraverso le voci, e in particolare attraverso le voci
dei bambini; è così per il bambino corista che a poco
a poco, proprio nella valorizzazione della propria
personalità, diventa una cosa sola con gli altri
bambini coristi, fondendo la sua voce e la sua
persona per creare e ricreare ogni volta quell’incanto
e quella poesia che solo la musica, in particolare la
musica corale, sa trasmettere. Meglio ancora se a
trasmettercela sono proprio i bambini» [cap. vii, pag.
69]. E anche l’esperienza del concorso, al di là delle
classifiche e delle graduatorie, può, a mio parere,
essere un valido aiuto, per direttori e coristi,
nell’intenso percorso che porta i ragazzi alla
conquista di questi importanti obiettivi e a vivere
sempre più pienamente e consapevolmente la musica
corale.
29-30-31 maggio 2015
Nel quadriennio 2015-2018, in occasione del Centenario della
Grande Guerra, il Concorso Nazionale Corale di Vittorio Veneto
– città dove si è concluso il primo conflitto mondiale – favorirà
occasioni di esecuzione e produzione musicale attraverso
l’attivazione di categorie a tema e di premi speciali, coniugando
la valorizzazione del patrimonio tradizionale con l’incentivazione
di nuove proposte musicali, anche legate alle tematiche della
Pace.
I concorsi di composizione corale
di Piero Caraba
compositore e direttore artistico del concorso polifonico di arezzo
Concorso per complessi corali (da 12 a 40 componenti)
che operano nello spirito amatoriale
Categoria A- Musiche originali d’autore
Categoria B- Canto polifonico di ispirazione popolare
Categoria C - Vocal pop-jazz, gospel e spirituals NEW
Categoria D- “Oltre la guerra” NEW
Per ciascuna categoria del Concorso sono previsti i seguenti
premi:
- primo premioEuro 1.500,00
- secondo premioEuro 1.000,00
- terzo premioEuro 500,00
21° GRAN PREMIO “EFREM CASAGRANDE”
Domenica 31 maggio 2015 - ore 17
Trofeo e premio di Euro 1.500,00 offerti da Feniarco
SCADENZA ISCRIZIONI
16 marzo 2015
Regolamento e modulo d’iscrizione nel sito
www.vittorioveneto.gov.it (pagina “Città della musica”)
https://www.facebook.com/comunevittorioveneto
Segreteria organizzativa:
Ufficio Cultura del Comune di Vittorio Veneto
Piazza del Popolo, n. 14 - 31029 Vittorio Veneto (TV)
tel. 0438-569310 - fax 0438-53966
[email protected]
www.vittorioveneto.gov.it
Concorrono alla realizzazione delle manifestazioni: Regione del Veneto,
Provincia di Treviso, FE.N.I.A.R.CO. (Federazione Nazionale Italiana delle
Associazioni Regionali Corali), A.S.A.C. (Associazione Sviluppo Attività
Corali del Veneto), Sezione A.N.A. e Coro A.N.A. di Vittorio Veneto.
Sul tema dei concorsi di composizione dedicati alla musica
corale sarebbe opportuno aprire un dibattito ben più ampio di
queste mie brevi riflessioni, allargandolo a differenti tavoli di
discussione, in considerazione delle implicazioni che
l’argomento comporta, ben più numerose di quanto non
appaia a una analisi sommaria. Desidero poi sottolineare che,
sebbene alcuni elementi abbiano una valenza generale, è pur
vero che le notazioni che seguono sono il
frutto di una osservazione della situazione
italiana in particolare.
pubblicazione o/e esecuzione dei lavori) e i componenti della
giuria.
Se in denaro, i premi è logico che debbano avere una
consistente dignità; l’eventuale pubblicazione dei lavori deve
garantire una distribuzione che favorisca la circolazione dei
brani (altrimenti a cosa serve pubblicare se poi i pezzi non
diventano pubblici?); l’auspicabile esecuzione dei brani
vincitori deve ovviamente essere a cura di cori e direttori di
livello, e deve avvenire in contesti ufficiali.
La composizione della giuria costituisce poi elemento di
estrema importanza e delicatezza, dato che è l’emblema
stesso del concorso, dichiarando all’esterno quali siano le
scelte estetiche, le conoscenze e per certi versi anche le
competenze di chi organizza l’evento. Di un giurato non conta
solo il valore artistico professionale, ma anche la sua visione
della musica nel contesto attuale, e si comprende bene
quanto ciò possa andare a determinare e condizionare i
risultati di un concorso di composizione.
Sappiamo bene quanto, sia i premi che l’invito a questo o
quel giurato, alla fine dipendono dalle disponibilità
economiche di chi organizza: per offrire le tre tipologie di
premi che abbiamo detto e per invitare giurati di livello
bisogna disporre di adeguati finanziamenti.
Ora, realisticamente, quante associazioni, fondazioni o enti
La cosa cui il compositore tiene
di più, oltre al premio, è che
la propria musica venga eseguita.
Due interrogativi
Anzitutto un primo interrogativo: a cosa
serve un concorso di composizione e
perché lo si indice. In quasi tutti i bandi lo
scopo dichiarato è incrementare il
repertorio nella fattispecie di musica
corale, in taluni casi mirando anche a
mettere in luce nuovi autori giovani emergenti o comunque
ancora poco o per nulla conosciuti. Vengono indetti da enti,
fondazioni o associazioni che detengono una tradizione
consolidata nel settore, oppure sorgono ex novo per iniziativa
di associazioni corali o musicali in genere, lodevoli negli
intenti ma non sempre consapevoli di ciò che comporta
l’organizzazione di un concorso che garantisca un buon livello
di affidabilità e interesse.
Secondo interrogativo: quali caratteristiche deve avere un
concorso di composizione per apparire immediatamente
“serio”. Due gli elementi che vengono in primo luogo
considerati: la consistenza e la qualità dei premi (in denaro,
possono oggi disporre di mezzi che, al di là delle buone
intenzioni, garantiscano il livello di un concorso di
composizione corale?
La materia prima dei concorsi
Veniamo ora a parlare della materia prima che costituisce un
concorso di composizione, cioè i lavori presentati e la qualità
degli stessi.
A questo proposito mi corre l’obbligo di una considerazione
derivata anche, ma non solo, dalla mia esperienza in qualità
di direttore artistico del Polifonico di Arezzo. È un dato di
fatto che le musiche corali contemporanee eseguite nei
dossIER
10
11
49° CONCORSO NAZIONALE CORALE
Trofei «Città di Vittorio Veneto»
un’opportunità viva e arricchente, quasi come un
premio alle difficoltà concrete della preparazione per i
bambini d’oggi, impegnati in mille attività
extrascolastiche e non sempre disposti a concentrare
la loro attenzione su un linguaggio che richiede
costanza, dedizione, tempo e che non dà risultati a
breve termine. Credo, infine, che il modo migliore di
agire per un direttore che operi con i bambini oggi
resti quello di riuscire a trasmettere la grande
passione per la musica, di guidarli attraverso questo
linguaggio nella loro crescita e di valorizzarli con
onestà, cercando di far loro comprendere
l’importanza fondamentale dell’impegno, della
costanza e della collaborazione. Sono sempre stata
convinta che ai ragazzi si possa chiedere molto,
perché molto sanno dare; che direttore e coristi
crescono insieme, grazie allo scambio continuo di
stimoli e ai piccoli risultati quotidianamente raggiunti;
che per ogni bambino sia importante scoprire,
insieme alla sua vera voce, la musica che è in lui e le
grandi potenzialità espressive che essa gli offre.
Vorrei concludere con un breve pensiero tratto dalla
mia tesi di laurea in musicologia, dedicata alle voci
bianche, che ha per titolo Musica nei verdi anni
(conseguita al conservatorio di Milano, relatore il
maestro Irlando Danieli e correlatore il maestro
Giovanni Acciai): «Mi piace pensare a un direttore di
coro per bambini come a un esperto intagliatore di
legno che nel silenzio nella sua baita di montagna,
con calma e con dolcezza, ma senza mai fermarsi,
senza scoraggiarsi, senza mai dimenticare da dove è
partito e dove vuole arrivare, attimo dopo attimo crea
e vede crescere la sua scultura. Non importa quanto
tempo occorrerà: il tronco a poco a poco si
trasformerà in un’opera d’arte: è così per un pezzo
musicale che, appena abbozzato, prova dopo prova
esce dal pentagramma e si fa suono e bellezza
attraverso le voci, e in particolare attraverso le voci
dei bambini; è così per il bambino corista che a poco
a poco, proprio nella valorizzazione della propria
personalità, diventa una cosa sola con gli altri
bambini coristi, fondendo la sua voce e la sua
persona per creare e ricreare ogni volta quell’incanto
e quella poesia che solo la musica, in particolare la
musica corale, sa trasmettere. Meglio ancora se a
trasmettercela sono proprio i bambini» [cap. vii, pag.
69]. E anche l’esperienza del concorso, al di là delle
classifiche e delle graduatorie, può, a mio parere,
essere un valido aiuto, per direttori e coristi,
nell’intenso percorso che porta i ragazzi alla
conquista di questi importanti obiettivi e a vivere
sempre più pienamente e consapevolmente la musica
corale.
29-30-31 maggio 2015
Nel quadriennio 2015-2018, in occasione del Centenario della
Grande Guerra, il Concorso Nazionale Corale di Vittorio Veneto
– città dove si è concluso il primo conflitto mondiale – favorirà
occasioni di esecuzione e produzione musicale attraverso
l’attivazione di categorie a tema e di premi speciali, coniugando
la valorizzazione del patrimonio tradizionale con l’incentivazione
di nuove proposte musicali, anche legate alle tematiche della
Pace.
I concorsi di composizione corale
di Piero Caraba
compositore e direttore artistico del concorso polifonico di arezzo
Concorso per complessi corali (da 12 a 40 componenti)
che operano nello spirito amatoriale
Categoria A- Musiche originali d’autore
Categoria B- Canto polifonico di ispirazione popolare
Categoria C - Vocal pop-jazz, gospel e spirituals NEW
Categoria D- “Oltre la guerra” NEW
Per ciascuna categoria del Concorso sono previsti i seguenti
premi:
- primo premioEuro 1.500,00
- secondo premioEuro 1.000,00
- terzo premioEuro 500,00
21° GRAN PREMIO “EFREM CASAGRANDE”
Domenica 31 maggio 2015 - ore 17
Trofeo e premio di Euro 1.500,00 offerti da Feniarco
SCADENZA ISCRIZIONI
16 marzo 2015
Regolamento e modulo d’iscrizione nel sito
www.vittorioveneto.gov.it (pagina “Città della musica”)
https://www.facebook.com/comunevittorioveneto
Segreteria organizzativa:
Ufficio Cultura del Comune di Vittorio Veneto
Piazza del Popolo, n. 14 - 31029 Vittorio Veneto (TV)
tel. 0438-569310 - fax 0438-53966
[email protected]
www.vittorioveneto.gov.it
Concorrono alla realizzazione delle manifestazioni: Regione del Veneto,
Provincia di Treviso, FE.N.I.A.R.CO. (Federazione Nazionale Italiana delle
Associazioni Regionali Corali), A.S.A.C. (Associazione Sviluppo Attività
Corali del Veneto), Sezione A.N.A. e Coro A.N.A. di Vittorio Veneto.
Sul tema dei concorsi di composizione dedicati alla musica
corale sarebbe opportuno aprire un dibattito ben più ampio di
queste mie brevi riflessioni, allargandolo a differenti tavoli di
discussione, in considerazione delle implicazioni che
l’argomento comporta, ben più numerose di quanto non
appaia a una analisi sommaria. Desidero poi sottolineare che,
sebbene alcuni elementi abbiano una valenza generale, è pur
vero che le notazioni che seguono sono il
frutto di una osservazione della situazione
italiana in particolare.
pubblicazione o/e esecuzione dei lavori) e i componenti della
giuria.
Se in denaro, i premi è logico che debbano avere una
consistente dignità; l’eventuale pubblicazione dei lavori deve
garantire una distribuzione che favorisca la circolazione dei
brani (altrimenti a cosa serve pubblicare se poi i pezzi non
diventano pubblici?); l’auspicabile esecuzione dei brani
vincitori deve ovviamente essere a cura di cori e direttori di
livello, e deve avvenire in contesti ufficiali.
La composizione della giuria costituisce poi elemento di
estrema importanza e delicatezza, dato che è l’emblema
stesso del concorso, dichiarando all’esterno quali siano le
scelte estetiche, le conoscenze e per certi versi anche le
competenze di chi organizza l’evento. Di un giurato non conta
solo il valore artistico professionale, ma anche la sua visione
della musica nel contesto attuale, e si comprende bene
quanto ciò possa andare a determinare e condizionare i
risultati di un concorso di composizione.
Sappiamo bene quanto, sia i premi che l’invito a questo o
quel giurato, alla fine dipendono dalle disponibilità
economiche di chi organizza: per offrire le tre tipologie di
premi che abbiamo detto e per invitare giurati di livello
bisogna disporre di adeguati finanziamenti.
Ora, realisticamente, quante associazioni, fondazioni o enti
La cosa cui il compositore tiene
di più, oltre al premio, è che
la propria musica venga eseguita.
Due interrogativi
Anzitutto un primo interrogativo: a cosa
serve un concorso di composizione e
perché lo si indice. In quasi tutti i bandi lo
scopo dichiarato è incrementare il
repertorio nella fattispecie di musica
corale, in taluni casi mirando anche a
mettere in luce nuovi autori giovani emergenti o comunque
ancora poco o per nulla conosciuti. Vengono indetti da enti,
fondazioni o associazioni che detengono una tradizione
consolidata nel settore, oppure sorgono ex novo per iniziativa
di associazioni corali o musicali in genere, lodevoli negli
intenti ma non sempre consapevoli di ciò che comporta
l’organizzazione di un concorso che garantisca un buon livello
di affidabilità e interesse.
Secondo interrogativo: quali caratteristiche deve avere un
concorso di composizione per apparire immediatamente
“serio”. Due gli elementi che vengono in primo luogo
considerati: la consistenza e la qualità dei premi (in denaro,
possono oggi disporre di mezzi che, al di là delle buone
intenzioni, garantiscano il livello di un concorso di
composizione corale?
La materia prima dei concorsi
Veniamo ora a parlare della materia prima che costituisce un
concorso di composizione, cioè i lavori presentati e la qualità
degli stessi.
A questo proposito mi corre l’obbligo di una considerazione
derivata anche, ma non solo, dalla mia esperienza in qualità
di direttore artistico del Polifonico di Arezzo. È un dato di
fatto che le musiche corali contemporanee eseguite nei
12
concorsi sono sempre più omologate nello stile, nella
costruzione e nel linguaggio, con una esasperata ricerca della
difficoltà tecnica e dell’effetto che possa suggestionare chi
ascolta lasciando poco o spesso nessuno spazio a un
semplice ma ispirato momento di musica. Con altre parole
diremmo che i brani contemporanei sono spesso costruiti per
diventare strumenti con i quali esaltare la bravura tecnica di
un coro, ponendo a margine ciò che invece dovrebbe essere il
fine e l’essenza di ogni composizione, cioè, semplicemente, la
musica.
Tale situazione, evidentemente anche per analogia, in gran
misura si riscontra identica nel materiale presentato dai
concorrenti: omologazione dei linguaggi, esasperazione della
tecnica, omologazione persino della notazione musicale, con
neologismi grafici, suddivisioni e spazializzazioni delle voci
che spesso, quando non sono arte, vanno a colmare le scarse
capacità di organizzazione del tessuto connettivo del brano.
All’opposto possiamo trovare tra il materiale presentato anche
brani scritti con grammatica e sintassi melodico-armonica
decisamente inattuale, e ciò potrebbe non essere una nota di
demerito se le idee musicali espresse
con tali mezzi fossero vive e ricche di
interesse. Ma questo non accade quasi
mai.
tiene di più, oltre al premio in denaro, è che la propria musica
venga eseguita e sia dunque ascoltata dal maggior numero
possibile di pubblico; c) una cosa è, da parte della giuria,
giudicare una composizione solo sulla carta e altro è
giudicarla nella resa della viva esecuzione.
Considerato tutto ciò il concorso potrebbe svolgersi in due
fasi: la prima in cui le composizioni vengono giudicate sulla
carta da una giuria (ovviamente competente e qualificata) che
opera una selezione e, a seconda delle disponibilità
organizzative, ne sceglie un certo numero (almeno da tre in
poi); questi brani selezionati vengono affidati per lo studio a
uno o più cori, o a un coro laboratorio (anche questo, o
questi, ovviamente all’altezza del compito) e in un secondo
momento vengono eseguiti in pubblico, alla presenza di una
giuria (uguale o altra rispetto alla fase precedente) che va a
determinare il brano vincitore o i vincitori del concorso. Altra
variante potrebbe essere un premio parallelo determinato dal
pubblico, che potrebbe confermare o smentire il verdetto
della giuria…
È chiaro che tutto ciò comporta uno sforzo organizzativo ed
Un concorso di composizione ha per
suo scopo primario l’incremento e la
diffusione di nuove musiche valide sul
piano estetico-esecutivo.
Bassissima percentuale di lavori validi
Dall’insieme di questi elementi spesso
deriva una bassissima percentuale di
lavori validi tra quelli presentati. Una
delle prove è che molto di frequente non
vengono assegnati i primi premi. Ma la
conseguenza più grave è un’altra:
abbiamo detto che una delle ragioni
fondamentali dell’esistenza di un concorso di composizione
corale è l’incrementare il repertorio a disposizione; ebbene,
quante delle composizioni “vincitrici” di concorsi sono entrate
nei repertori dei cori? Quante di queste composizioni, dopo
una eventuale “prima esecuzione”, sono state rieseguite (per
e con il piacere dei cantori e degli ascoltatori)? Quante copie
delle “pubblicazioni” delle opere vincitrici sono state
distribuite o addirittura acquistate?
Considerate le intuibili risposte a tali quesiti, evidentemente
c’è qualcosa che non funziona e che va rivisto se si vuole che
i concorsi di composizione acquisiscano o riacquisiscano
pienamente la loro ragion d’essere.
Possibile nuova formula
Una possibile nuova formula che stimoli una crescita di
interesse per i concorsi di composizione da parte dei
compositori, dei cori e perché no del pubblico, finora lontano
da tutto ciò, potrebbe essere la seguente.
Teniamo presente che: a) un concorso di composizione ha per
suo scopo primario l’incremento e la diffusione di nuove
musiche valide sul piano estetico-esecutivo e non solo come
esercizio teorico-speculativo; b) la cosa cui il compositore
economico maggiore e una programmazione a più lungo
termine dell’attività concorsuale, ma i vantaggi sarebbero
immediati, primo fra tutti quello di proclamare (o non
proclamare) un vincitore dopo aver ascoltato il pezzo, dopo
averne valutata praticamente la sua validità musicale e aver
percepito l’accoglienza del pubblico; in altre parole aver
toccato con mano se il pezzo “funziona” oppure no.
Ripeto, non è facile disporre di mezzi e strutture per
organizzare un concorso con queste modalità, ma sono
convinto sia una delle possibili e necessarie strade da
percorrere per rilanciare il settore e rimotivare i compositori,
giovani e meno giovani, a cimentarsi nell’ambito della
composizione per coro, settore che, in particolare
considerazione del panorama italiano, necessita di nuovi
repertori ove la musica prevalga sulla suggestione della
tecnica.
ANELIAMO
ALLA BELLEZZA
Intervista a giANMARTINO DURIGHELLO
a cura di
Manolo Da Rold
compositore e direttore
della corale zumellese
Gianmartino Maria Durighello è stato per me, al di là dell’amicizia ormai ventennale, un modello di
riferimento musicale e umano. Essere stato allievo prima e amico poi, mi ha permesso di conoscere
questo mio conterraneo sotto molteplici aspetti: in lui si sintetizzano perfettamente ispirazione
musicale, fede, originalità stilistica e amore per la vita e per il prossimo. Questa intervista mi dà
l’opportunità di approfondire alcuni aspetti legati alla sua formazione, ma soprattutto al suo pensiero
musicale che forse a qualcuno restano ancora sconosciuti.
gianma
La versione
integrale
della presente
intervista è
pubblicata sul sito
www.feniarco.it
alla sezione
editoria / choraliter
Carissimo Gianmartino, il nostro colloquio si divide in due parti: la prima è dedicata alla tua storia di
musicista, la seconda al pensiero filosofico e teologico che si cela nella tua produzione musicale.
Sei nato in una famiglia di musicisti, tuo padre Martino è un direttore di coro e organista e
appassionato di etnomusicologia, ovviamente tutto questo ha favorito la tua precoce crescita artistica.
Quali sono state le tue prime esperienze musicali?
Certo, l’ambiente familiare è stato indubbiamente importante. Ma contrariamente a quanto si potrebbe
pensare, non ho iniziato presto gli studi musicali. Anzi, agli inizi non ero additato in famiglia come
quello che avrebbe studiato musica. Ero incostante e, anziché studiare, componevo canzoncine. Poi le
distribuivo a fratelli e genitori e organizzavo un festival domestico al quale non so perché vinceva
sempre mia mamma. Amo ricordare la tanta musica d’assieme fatta in famiglia. Con i genitori e i
fratelli cantavamo e suonavamo un po’ di tutto. Il mio primo strumento fu… un’armonica a bocca (vinsi
anche un concorso del dilettante). E a volte penso che vorrei portarmi proprio l’armonica in Paradiso.
Una sedia a dondolo e una armonica a bocca. Soltanto con gli anni del liceo iniziai lo studio del
pianoforte. Fu mia mamma a volerlo. Contemporaneamente suonavo in chiesa e anche in un
complessino per il quale componevo le mie prime canzoni.
Sei stato fondatore e direttore di un coro polifonico per molti anni, attualmente dirigi il coro del
conservatorio di Castelfranco Veneto, istituto in cui sei docente. Quanto e come ha influito l’essere
direttore di coro nel tuo cammino di compositore?
Oh, molto. La musica che ho respirato fin da piccolo era anche tanta musica per coro. La schola
cantorum e il coro di mio padre, soprattutto. Non ho mai scritto però per il mio coro, il Nuovo
12
concorsi sono sempre più omologate nello stile, nella
costruzione e nel linguaggio, con una esasperata ricerca della
difficoltà tecnica e dell’effetto che possa suggestionare chi
ascolta lasciando poco o spesso nessuno spazio a un
semplice ma ispirato momento di musica. Con altre parole
diremmo che i brani contemporanei sono spesso costruiti per
diventare strumenti con i quali esaltare la bravura tecnica di
un coro, ponendo a margine ciò che invece dovrebbe essere il
fine e l’essenza di ogni composizione, cioè, semplicemente, la
musica.
Tale situazione, evidentemente anche per analogia, in gran
misura si riscontra identica nel materiale presentato dai
concorrenti: omologazione dei linguaggi, esasperazione della
tecnica, omologazione persino della notazione musicale, con
neologismi grafici, suddivisioni e spazializzazioni delle voci
che spesso, quando non sono arte, vanno a colmare le scarse
capacità di organizzazione del tessuto connettivo del brano.
All’opposto possiamo trovare tra il materiale presentato anche
brani scritti con grammatica e sintassi melodico-armonica
decisamente inattuale, e ciò potrebbe non essere una nota di
demerito se le idee musicali espresse
con tali mezzi fossero vive e ricche di
interesse. Ma questo non accade quasi
mai.
tiene di più, oltre al premio in denaro, è che la propria musica
venga eseguita e sia dunque ascoltata dal maggior numero
possibile di pubblico; c) una cosa è, da parte della giuria,
giudicare una composizione solo sulla carta e altro è
giudicarla nella resa della viva esecuzione.
Considerato tutto ciò il concorso potrebbe svolgersi in due
fasi: la prima in cui le composizioni vengono giudicate sulla
carta da una giuria (ovviamente competente e qualificata) che
opera una selezione e, a seconda delle disponibilità
organizzative, ne sceglie un certo numero (almeno da tre in
poi); questi brani selezionati vengono affidati per lo studio a
uno o più cori, o a un coro laboratorio (anche questo, o
questi, ovviamente all’altezza del compito) e in un secondo
momento vengono eseguiti in pubblico, alla presenza di una
giuria (uguale o altra rispetto alla fase precedente) che va a
determinare il brano vincitore o i vincitori del concorso. Altra
variante potrebbe essere un premio parallelo determinato dal
pubblico, che potrebbe confermare o smentire il verdetto
della giuria…
È chiaro che tutto ciò comporta uno sforzo organizzativo ed
Un concorso di composizione ha per
suo scopo primario l’incremento e la
diffusione di nuove musiche valide sul
piano estetico-esecutivo.
Bassissima percentuale di lavori validi
Dall’insieme di questi elementi spesso
deriva una bassissima percentuale di
lavori validi tra quelli presentati. Una
delle prove è che molto di frequente non
vengono assegnati i primi premi. Ma la
conseguenza più grave è un’altra:
abbiamo detto che una delle ragioni
fondamentali dell’esistenza di un concorso di composizione
corale è l’incrementare il repertorio a disposizione; ebbene,
quante delle composizioni “vincitrici” di concorsi sono entrate
nei repertori dei cori? Quante di queste composizioni, dopo
una eventuale “prima esecuzione”, sono state rieseguite (per
e con il piacere dei cantori e degli ascoltatori)? Quante copie
delle “pubblicazioni” delle opere vincitrici sono state
distribuite o addirittura acquistate?
Considerate le intuibili risposte a tali quesiti, evidentemente
c’è qualcosa che non funziona e che va rivisto se si vuole che
i concorsi di composizione acquisiscano o riacquisiscano
pienamente la loro ragion d’essere.
Possibile nuova formula
Una possibile nuova formula che stimoli una crescita di
interesse per i concorsi di composizione da parte dei
compositori, dei cori e perché no del pubblico, finora lontano
da tutto ciò, potrebbe essere la seguente.
Teniamo presente che: a) un concorso di composizione ha per
suo scopo primario l’incremento e la diffusione di nuove
musiche valide sul piano estetico-esecutivo e non solo come
esercizio teorico-speculativo; b) la cosa cui il compositore
economico maggiore e una programmazione a più lungo
termine dell’attività concorsuale, ma i vantaggi sarebbero
immediati, primo fra tutti quello di proclamare (o non
proclamare) un vincitore dopo aver ascoltato il pezzo, dopo
averne valutata praticamente la sua validità musicale e aver
percepito l’accoglienza del pubblico; in altre parole aver
toccato con mano se il pezzo “funziona” oppure no.
Ripeto, non è facile disporre di mezzi e strutture per
organizzare un concorso con queste modalità, ma sono
convinto sia una delle possibili e necessarie strade da
percorrere per rilanciare il settore e rimotivare i compositori,
giovani e meno giovani, a cimentarsi nell’ambito della
composizione per coro, settore che, in particolare
considerazione del panorama italiano, necessita di nuovi
repertori ove la musica prevalga sulla suggestione della
tecnica.
ANELIAMO
ALLA BELLEZZA
Intervista a giANMARTINO DURIGHELLO
a cura di
Manolo Da Rold
compositore e direttore
della corale zumellese
Gianmartino Maria Durighello è stato per me, al di là dell’amicizia ormai ventennale, un modello di
riferimento musicale e umano. Essere stato allievo prima e amico poi, mi ha permesso di conoscere
questo mio conterraneo sotto molteplici aspetti: in lui si sintetizzano perfettamente ispirazione
musicale, fede, originalità stilistica e amore per la vita e per il prossimo. Questa intervista mi dà
l’opportunità di approfondire alcuni aspetti legati alla sua formazione, ma soprattutto al suo pensiero
musicale che forse a qualcuno restano ancora sconosciuti.
gianma
La versione
integrale
della presente
intervista è
pubblicata sul sito
www.feniarco.it
alla sezione
editoria / choraliter
Carissimo Gianmartino, il nostro colloquio si divide in due parti: la prima è dedicata alla tua storia di
musicista, la seconda al pensiero filosofico e teologico che si cela nella tua produzione musicale.
Sei nato in una famiglia di musicisti, tuo padre Martino è un direttore di coro e organista e
appassionato di etnomusicologia, ovviamente tutto questo ha favorito la tua precoce crescita artistica.
Quali sono state le tue prime esperienze musicali?
Certo, l’ambiente familiare è stato indubbiamente importante. Ma contrariamente a quanto si potrebbe
pensare, non ho iniziato presto gli studi musicali. Anzi, agli inizi non ero additato in famiglia come
quello che avrebbe studiato musica. Ero incostante e, anziché studiare, componevo canzoncine. Poi le
distribuivo a fratelli e genitori e organizzavo un festival domestico al quale non so perché vinceva
sempre mia mamma. Amo ricordare la tanta musica d’assieme fatta in famiglia. Con i genitori e i
fratelli cantavamo e suonavamo un po’ di tutto. Il mio primo strumento fu… un’armonica a bocca (vinsi
anche un concorso del dilettante). E a volte penso che vorrei portarmi proprio l’armonica in Paradiso.
Una sedia a dondolo e una armonica a bocca. Soltanto con gli anni del liceo iniziai lo studio del
pianoforte. Fu mia mamma a volerlo. Contemporaneamente suonavo in chiesa e anche in un
complessino per il quale componevo le mie prime canzoni.
Sei stato fondatore e direttore di un coro polifonico per molti anni, attualmente dirigi il coro del
conservatorio di Castelfranco Veneto, istituto in cui sei docente. Quanto e come ha influito l’essere
direttore di coro nel tuo cammino di compositore?
Oh, molto. La musica che ho respirato fin da piccolo era anche tanta musica per coro. La schola
cantorum e il coro di mio padre, soprattutto. Non ho mai scritto però per il mio coro, il Nuovo
compositorE
14
Rinascimento. L’ho fatto per i ragazzi del conservatorio,
perché mi sono accorto che la cosa piaceva loro e che entrava
positivamente nel nostro rapporto.
Quanto ha influito l’essere direttore con il mio cammino di
compositore? Lo strumento che suoni interagisce con il tuo
pensiero. Faccio un esempio. Se per scrivere una lettera
scelgo la penna stilografica, piuttosto che la biro o il
computer… sarà sempre una lettera diversa, nel contenuto e
nello stile, a seconda del mezzo che uso. Figuriamoci in
musica. Dirigere un coro e lavorare come insegnante di coro a
contatto con centinaia di adolescenti e giovani ha influito
certamente sul mio modo di essere, di sentire e di pensare.
Non credo sia eccessivo dire che, quando penso, spesso
penso in modo… corale. E vorrei poter dire anche che penso…
giovane. Speriamo che sia così, almeno un po’.
Hai parlato di giovani e adolescenti, mi è capitato
recentemente di studiare con i ragazzini del mio coro di voci
della bellissima musica da te scritta per questo tipo di
organico. Qual è il tuo rapporto con il mondo dei bambini e
dei cori voci bianche?
Ho lavorato anche con i bambini, ma soprattutto con ragazzi e
adolescenti, e amo particolarmente il suono vocale
dell’adolescenza. La mia prima attività con bambini e ragazzi
è stata, come per molti, quella ludica in campi estivi
parrocchiali e in colonie marine. Ne ho ricavato un grande
amore per l’esperienza globale e universale che rimane una
mia caratteristica. Globale (nel senso di una attività che
unisca al canto il gioco, la drammatizzazione, il mimo, dando
vita a storie, leggende, fiabe, racconti…) e universale (nel
senso di cercare il coinvolgimento di tutti i ragazzi, soprattutto
quelli con problematiche di vario tipo). Quando ho iniziato a
insegnare alle medie, questo era il mio modo di essere. E,
come accennavo, con alcuni di quei ragazzi che sono poi
diventati miei amici ho condiviso anche fuori scuola
esperienze simili, eravamo guidati dal motto: «In principio
c’era l’entusiasmo». O quest’altro: «Teniamo viva la fantasia,
per rendere fantastica la vita».
Quando sono passato dall’insegnamento alle medie a quello
in conservatorio ho pian piano chiuso un rapporto diretto con
i bambini, salvo qualche piacevole rimpatriata. Sono stato
però invitato a scrivere per cori di voci bianche o giovanili o
ancora per le scuole. Penso ai lavori scritti per i ragazzi di
Amedeo Scutiero, Cinzia Zanon e altri… E devo dire che uno
dei lavori che considero tra i più rappresentativi di me e della
mia produzione è proprio un’operina, una leggenda in musica,
I monti pallidi.
I ragazzi portano in me anche le prime dolorose ferite.
Frequentavo il ginnasio quando una mia compagna d’infanzia
fu trucidata dal padre. Poi, nei primi quattro anni di
insegnamento alle medie, mi morirono quattro ragazzi, in
eventi tragici. Quasi come un grido disperato scrissi allora
I me mor (Mi muoiono). I ragazzi per me sono anche questo.
Il mio primo drammatico incontro con la morte.
Scrivi solamente musica corale o ti capita di lavorare per
strumenti o ensemble?
No, non solo musica corale. Sai, la maggior parte del lavoro si
fa su commissione, e la maggior parte delle commissioni mi
vengono dal mondo corale. Comunque devo ammettere che la
mia produzione cameristica nasce generalmente da precedenti
lavori corali. è il coro il primo luogo della mia esperienza
compositiva. A volte capita addirittura che il committente mi
chieda esplicitamente un brano che faccia riferimento a opere
15
recenti l’inserimento di un mio brano insieme a quelli di altri
di autori contemporanei italiani in un programma a cura di
Marco Berrini trasmesso dalla Radio Svizzera.
Ci sono poi alcune commissioni per eventi particolari che
hanno un forte impatto sulla diffusione dell’opera o
comunque sul far conoscere un autore. Penso ad esempio alla
Messa Audi filia per coro e banda, scritta in occasione dei
festeggiamenti per il passaggio di millennio per il coro Gialuth
di Lorenzo Benedet, e recentemente riproposta nella riduzione
coro e organo da parte del compianto Massimo Nosetti.
Penso ancora all’inserimento di un brano in corsi di
formazione per direttori. Qui la composizione passa
direttamente nella mano del direttore. Sono, infatti, i cori
stessi, con le loro esecuzioni, che fanno conoscere un brano.
E il brano comincia la sua vita fuori dal cordone ombelicale
dell’autore. E la musica se deve diffondersi si diffonde. Ne sei
testimone tu stesso, con il tuo coro. Ci sono partiture che
“girano” ancora sulla fotocopia del manoscritto originale, nel
quale risalta la viva scrittura a matita.
corali da lui ascoltate. è il caso ad esempio di Sèfer Torah,
per chitarra, inciso da Alberto Mesirca in Ikonostas, Disco
d’oro al Pittaluga nel 2007; o le Meditazioni per due
fisarmoniche scritte per il duo Dissonance, rivisitazioni di
Gaudens Gaudebo e di Dies irae. L’ultimo mio impegno nel
campo della musica strumentale è un Concerto per saxofono
e orchestra d’archi, Jerushalaim, di prossima esecuzione. Un
sogno? Rivisitare i miei motetti più significativi per un piccolo
organico cameristico.
Sai come la penso: homo faber fortunae suae. Il successo
non avviene per caso o per coincidenze fortunate,
l’avvenimento importante ha i suoi effetti sul futuro
dell’individuo solamente se quanto viene proposto
è di qualità. Vorrei sapere quindi, oltre ai
riconoscimenti concorsuali, quali siano stati gli
eventi che ti hanno portato ad essere così eseguito
anche fuori dai confini nazionali?
Importante è indubbiamente la pubblicazione e
soprattutto l’inserimento di una composizione come brano
d’obbligo in concorsi di esecuzione corale o in corsi di
formazione. Non finirò mai di ringraziare Giovanni Acciai per
aver creduto in me e nella mia musica fin dagli inizi, quando
ancora pochi mi conoscevano. Egli ha curato il mio primo
volume di Motetti per la Suvini Zerboni con una prefazione
che conservo sempre nel cuore, e ha inserito diversi miei
brani in vari concorsi corali, come il Festival di Riva del Garda.
Avevo da poco vinto il concorso di Loreto per una Messa in
occasione del settimo centenario della traslazione della Santa
Casa. Non ho partecipato a molti concorsi, cinque in tutto e
sempre in circostanze particolari, ma sono stati molto
importanti. In particolare l’esecuzione in diretta rai della
Messa di Loreto (1995) è stato un evento molto importante.
Molti cori erano esteri e da questi sono venute le mie prime
commissioni. La trasmissione televisiva e/o radiofonica è
chiaramente un’importante occasione di diffusione: tra le più
Porti su di te una particolare etichetta, quella di compositore
minimalista. Alcune biografie e alcuni critici ti citano sovente
come rappresentante della musica minimalista in Italia,
condividi questa analisi? Se sì, quali sono le cose che ti
accomunano con altri compositori di questa importante
corrente di pensiero?
Ero in conservatorio, in un momento di pausa, e stavo
rileggendo un mio lavoro per organo appena ultimato. Un
allievo entra, ascolta e mi dice: «sei anche tu un
minimalista?». Fu la prima volta che mi sentii così etichettato.
Lo strumento che suoni
interagisce con il tuo pensiero.
Gianmartino Durighello__________
Compositore, musicologo e didatta, è titolare della cattedra di Esercitazioni
Corali presso il Conservatorio A. Steffani di Castelfranco Veneto e insegna
Musicologia Sacra, Spiritualità ed Estetica del canto gregoriano e Tecniche di
composizione per la Liturgia nel Biennio di specializzazione in Musica Sacra
presso lo stesso Istituto.
Come compositore ha collaborato con vari enti, musicisti e formazioni corali
ed è stato chiamato come docente in masterclass e laboratori di composizione.
Alcune sue composizioni sono state premiate in concorsi nazionali e
internazionali, trasmesse da rai uno e da emittenti private, scelte come brano
d’obbligo in concorsi, inserite come brano di studio in corsi di formazione e
specializzazione, e incise.
Insegna Musicologia Liturgica e Direzione di Coro presso l’Istituto di Musica
per la Liturgia della Diocesi di Padova. Ha pubblicato testi di spiritualità
liturgica e lectio divina.
Poi, come dici, me la sono vista un po’ dappertutto questa
etichetta. Devo ammettere che non sapevo neanche troppo
bene cosa significasse il termine minimalismo. Un termine
oggi impiegato come un ricettacolo molto ampio, e spesso a
sproposito. Non tutta la mia musica può dirsi minimalista in
senso stretto, ma devo dire che questa etichetta mi piace e la
trovo rispondente a una parte di me e della mia produzione.
Sono arrivato a questo per una via diversa da quella che si
può immaginare. Non ascoltavo né leggevo musica
minimalista. Ripeto: sono gli altri ad avermela poi fatta
conoscere. Cercavo un linguaggio che mi fosse proprio, e mi
stava stretto quello dell’avanguardia dal quale per un certo
senso provenivo. Miravo cioè a un modo di esprimermi che
rispondesse a quello che ero, alla mia fede innanzitutto, e a
come cercavo e cerco di viverla. Anche se in senso diverso da
quello che originariamente il termine voleva significare, mi
sento minimalista nella ricerca della sobrietà e della riduzione
compositorE
14
Rinascimento. L’ho fatto per i ragazzi del conservatorio,
perché mi sono accorto che la cosa piaceva loro e che entrava
positivamente nel nostro rapporto.
Quanto ha influito l’essere direttore con il mio cammino di
compositore? Lo strumento che suoni interagisce con il tuo
pensiero. Faccio un esempio. Se per scrivere una lettera
scelgo la penna stilografica, piuttosto che la biro o il
computer… sarà sempre una lettera diversa, nel contenuto e
nello stile, a seconda del mezzo che uso. Figuriamoci in
musica. Dirigere un coro e lavorare come insegnante di coro a
contatto con centinaia di adolescenti e giovani ha influito
certamente sul mio modo di essere, di sentire e di pensare.
Non credo sia eccessivo dire che, quando penso, spesso
penso in modo… corale. E vorrei poter dire anche che penso…
giovane. Speriamo che sia così, almeno un po’.
Hai parlato di giovani e adolescenti, mi è capitato
recentemente di studiare con i ragazzini del mio coro di voci
della bellissima musica da te scritta per questo tipo di
organico. Qual è il tuo rapporto con il mondo dei bambini e
dei cori voci bianche?
Ho lavorato anche con i bambini, ma soprattutto con ragazzi e
adolescenti, e amo particolarmente il suono vocale
dell’adolescenza. La mia prima attività con bambini e ragazzi
è stata, come per molti, quella ludica in campi estivi
parrocchiali e in colonie marine. Ne ho ricavato un grande
amore per l’esperienza globale e universale che rimane una
mia caratteristica. Globale (nel senso di una attività che
unisca al canto il gioco, la drammatizzazione, il mimo, dando
vita a storie, leggende, fiabe, racconti…) e universale (nel
senso di cercare il coinvolgimento di tutti i ragazzi, soprattutto
quelli con problematiche di vario tipo). Quando ho iniziato a
insegnare alle medie, questo era il mio modo di essere. E,
come accennavo, con alcuni di quei ragazzi che sono poi
diventati miei amici ho condiviso anche fuori scuola
esperienze simili, eravamo guidati dal motto: «In principio
c’era l’entusiasmo». O quest’altro: «Teniamo viva la fantasia,
per rendere fantastica la vita».
Quando sono passato dall’insegnamento alle medie a quello
in conservatorio ho pian piano chiuso un rapporto diretto con
i bambini, salvo qualche piacevole rimpatriata. Sono stato
però invitato a scrivere per cori di voci bianche o giovanili o
ancora per le scuole. Penso ai lavori scritti per i ragazzi di
Amedeo Scutiero, Cinzia Zanon e altri… E devo dire che uno
dei lavori che considero tra i più rappresentativi di me e della
mia produzione è proprio un’operina, una leggenda in musica,
I monti pallidi.
I ragazzi portano in me anche le prime dolorose ferite.
Frequentavo il ginnasio quando una mia compagna d’infanzia
fu trucidata dal padre. Poi, nei primi quattro anni di
insegnamento alle medie, mi morirono quattro ragazzi, in
eventi tragici. Quasi come un grido disperato scrissi allora
I me mor (Mi muoiono). I ragazzi per me sono anche questo.
Il mio primo drammatico incontro con la morte.
Scrivi solamente musica corale o ti capita di lavorare per
strumenti o ensemble?
No, non solo musica corale. Sai, la maggior parte del lavoro si
fa su commissione, e la maggior parte delle commissioni mi
vengono dal mondo corale. Comunque devo ammettere che la
mia produzione cameristica nasce generalmente da precedenti
lavori corali. è il coro il primo luogo della mia esperienza
compositiva. A volte capita addirittura che il committente mi
chieda esplicitamente un brano che faccia riferimento a opere
15
recenti l’inserimento di un mio brano insieme a quelli di altri
di autori contemporanei italiani in un programma a cura di
Marco Berrini trasmesso dalla Radio Svizzera.
Ci sono poi alcune commissioni per eventi particolari che
hanno un forte impatto sulla diffusione dell’opera o
comunque sul far conoscere un autore. Penso ad esempio alla
Messa Audi filia per coro e banda, scritta in occasione dei
festeggiamenti per il passaggio di millennio per il coro Gialuth
di Lorenzo Benedet, e recentemente riproposta nella riduzione
coro e organo da parte del compianto Massimo Nosetti.
Penso ancora all’inserimento di un brano in corsi di
formazione per direttori. Qui la composizione passa
direttamente nella mano del direttore. Sono, infatti, i cori
stessi, con le loro esecuzioni, che fanno conoscere un brano.
E il brano comincia la sua vita fuori dal cordone ombelicale
dell’autore. E la musica se deve diffondersi si diffonde. Ne sei
testimone tu stesso, con il tuo coro. Ci sono partiture che
“girano” ancora sulla fotocopia del manoscritto originale, nel
quale risalta la viva scrittura a matita.
corali da lui ascoltate. è il caso ad esempio di Sèfer Torah,
per chitarra, inciso da Alberto Mesirca in Ikonostas, Disco
d’oro al Pittaluga nel 2007; o le Meditazioni per due
fisarmoniche scritte per il duo Dissonance, rivisitazioni di
Gaudens Gaudebo e di Dies irae. L’ultimo mio impegno nel
campo della musica strumentale è un Concerto per saxofono
e orchestra d’archi, Jerushalaim, di prossima esecuzione. Un
sogno? Rivisitare i miei motetti più significativi per un piccolo
organico cameristico.
Sai come la penso: homo faber fortunae suae. Il successo
non avviene per caso o per coincidenze fortunate,
l’avvenimento importante ha i suoi effetti sul futuro
dell’individuo solamente se quanto viene proposto
è di qualità. Vorrei sapere quindi, oltre ai
riconoscimenti concorsuali, quali siano stati gli
eventi che ti hanno portato ad essere così eseguito
anche fuori dai confini nazionali?
Importante è indubbiamente la pubblicazione e
soprattutto l’inserimento di una composizione come brano
d’obbligo in concorsi di esecuzione corale o in corsi di
formazione. Non finirò mai di ringraziare Giovanni Acciai per
aver creduto in me e nella mia musica fin dagli inizi, quando
ancora pochi mi conoscevano. Egli ha curato il mio primo
volume di Motetti per la Suvini Zerboni con una prefazione
che conservo sempre nel cuore, e ha inserito diversi miei
brani in vari concorsi corali, come il Festival di Riva del Garda.
Avevo da poco vinto il concorso di Loreto per una Messa in
occasione del settimo centenario della traslazione della Santa
Casa. Non ho partecipato a molti concorsi, cinque in tutto e
sempre in circostanze particolari, ma sono stati molto
importanti. In particolare l’esecuzione in diretta rai della
Messa di Loreto (1995) è stato un evento molto importante.
Molti cori erano esteri e da questi sono venute le mie prime
commissioni. La trasmissione televisiva e/o radiofonica è
chiaramente un’importante occasione di diffusione: tra le più
Porti su di te una particolare etichetta, quella di compositore
minimalista. Alcune biografie e alcuni critici ti citano sovente
come rappresentante della musica minimalista in Italia,
condividi questa analisi? Se sì, quali sono le cose che ti
accomunano con altri compositori di questa importante
corrente di pensiero?
Ero in conservatorio, in un momento di pausa, e stavo
rileggendo un mio lavoro per organo appena ultimato. Un
allievo entra, ascolta e mi dice: «sei anche tu un
minimalista?». Fu la prima volta che mi sentii così etichettato.
Lo strumento che suoni
interagisce con il tuo pensiero.
Gianmartino Durighello__________
Compositore, musicologo e didatta, è titolare della cattedra di Esercitazioni
Corali presso il Conservatorio A. Steffani di Castelfranco Veneto e insegna
Musicologia Sacra, Spiritualità ed Estetica del canto gregoriano e Tecniche di
composizione per la Liturgia nel Biennio di specializzazione in Musica Sacra
presso lo stesso Istituto.
Come compositore ha collaborato con vari enti, musicisti e formazioni corali
ed è stato chiamato come docente in masterclass e laboratori di composizione.
Alcune sue composizioni sono state premiate in concorsi nazionali e
internazionali, trasmesse da rai uno e da emittenti private, scelte come brano
d’obbligo in concorsi, inserite come brano di studio in corsi di formazione e
specializzazione, e incise.
Insegna Musicologia Liturgica e Direzione di Coro presso l’Istituto di Musica
per la Liturgia della Diocesi di Padova. Ha pubblicato testi di spiritualità
liturgica e lectio divina.
Poi, come dici, me la sono vista un po’ dappertutto questa
etichetta. Devo ammettere che non sapevo neanche troppo
bene cosa significasse il termine minimalismo. Un termine
oggi impiegato come un ricettacolo molto ampio, e spesso a
sproposito. Non tutta la mia musica può dirsi minimalista in
senso stretto, ma devo dire che questa etichetta mi piace e la
trovo rispondente a una parte di me e della mia produzione.
Sono arrivato a questo per una via diversa da quella che si
può immaginare. Non ascoltavo né leggevo musica
minimalista. Ripeto: sono gli altri ad avermela poi fatta
conoscere. Cercavo un linguaggio che mi fosse proprio, e mi
stava stretto quello dell’avanguardia dal quale per un certo
senso provenivo. Miravo cioè a un modo di esprimermi che
rispondesse a quello che ero, alla mia fede innanzitutto, e a
come cercavo e cerco di viverla. Anche se in senso diverso da
quello che originariamente il termine voleva significare, mi
sento minimalista nella ricerca della sobrietà e della riduzione
compositorE
16
17
Catalogo delle opere di Gianmartino Durighello
Musica sacra - motetti
op. 3Hodie Christus natus est (1981, SABr)
op. 9Popule meus (1987, SATB)
op. 23 Darnaach viartausonk jaar (1993, SATB)
op. 27Popule meus (popolare) (1995, SATB)
op. 28Panis angelicus (1995, SATB)
op. 29Laudatio Christi (1995, SATB)
op. 30 Gaudens gaudebo (1995, SATB)
op. 31Trittico Ungarico (1995, SATB): Veni electa, Matyas,
Istvan
op. 33 Gaudeamus omnes in Domino (1996, SATB)
op. 34 Gaudeamus omnes - brevior et facilior (1996, SATB)
op. 35Audi filia (1996, SABr)
op. 36Beatam me dicent (1996, SSA)
op. 37 Graduale cum alleluja (1996, SATB + fisarm)
op. 50Rallegriamoci tutti nel Signore (1999, SATB)
op. 51Puer natus (1999, SATB)
op. 52La Pentecoste (1999, SATB)
op. 59Mysteria - I misteri dolorosi (2001, SATB)
op. 62 In aeternum cantabo (2002, SATB): In aeternum cantabo,
Volo Pater, Video caelos
op. 63Magnificat (2002, SSA)
op. 67Suscipe me Domine (2003, SATB)
op. 71Cor Jesu (2003, SATB + SATB)
op. 74Fratres in unum (2003, SSATB)
op. 75Fratres in unum - Lectio brevis (2003, SSATB)
op. 77Mysteria - I misteri gloriosi (2005, SATB (+) SATB)
op. 78 Dies irae (2005, SATB)
op. 79Pie Jesu (2005, SATB)
op. 80Veni Creator (2005, coro a una voce + 3 strumenti)
op. 81Veni Creator (2005, SSAA)
op. 83Trittico Ungarico (2007, soli, SATB, quartetto sax, arp,
perc)
op. 86Sicut novellae olivarum (2008, SA)
op. 87Venite ad me (2008, SATB)
op. 88Exsulta filia Sion (2009, SSA, fl, cl, org, vlc)
op. 89Exsulta filia Sion (2009, SATB, fl, org, vlc)
op. 90Exsulta filia Sion (2009, SATB, fl, quartetto d’archi)
op. 91Exsulta filia Sion (2009, SSA, fl, quartetto d’archi)
op. 92Exsulta filia Sion (2009, SSA, org)
op. 93Exsulta filia Sion (2009, SATB, org)
op. 94Exsulta filia Sion (2009, SSA)
op. 95Exsulta filia Sion (2009, SATB)
op. 96Exsulta filia Sion (2009, soprano, org)
op. 97Magnificat di Lecceto (2009, SSA, fl, cl, cetra, org, vlc)
op. 98Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, fl, cetra, org, vlc)
op. 99Magnificat di Lecceto (2009, SSA, org)
op. 100Magnificat di Lecceto (2009, SA, org)
op. 101Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, org)
op. 102Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, orch)
op. 103Magnificat di Lecceto (2009, soprano, alto, fisarm)
op. 106Misereris omnium (2010, SSA)
op. 107Misereris omnium (2010, SATB)
op. 111Tamquam Sol a thalamo (2010, TTBB): Preludio ad
libitum, Ecce Dominus veniet!, Gloria! Puer natus,
Magnum haereditatis mysterium
op. 115Trittico De jubilatione (2011, SATB (+) SATB): La
Risurrezione, L’Ascensione, L’Assunzione
op. 116Ex corde scisso (2011, SSATB)
op. 117Ex corde scisso (2011, SSA)
op. 118Ex corde scisso (2011, SSATB, org)
op. 119Ex corde scisso (2011, SSA, org)
op. 121Tu sei sacerdote per sempre (2012, SATB, org)
op. 124Ex Corde scisso - Adimpleo (2012, SSA)
Musica sacra - messe
op. 21Messa in onore della Madonna di Loreto (1992, SATB)
op. 49Missa “Audi filia” (1999, SATB, banda)
op. 49b Missa “Audi filia” (1999, SATB, org)
op. 125Messa “Piccolo Magnificat” 1 o 2 vp (2013, SA, org)
op. 126Messa “Piccolo Magnificat” 4 vd (2013, SATB op. SATB,
popolo, org)
Musica sacra - cantate
op. 46Natalis annuntio (1997, soprano, SATB, vibr, arp)
op. 58L’annunciazione (2001, soprano, SATB,ob, vibr, arp, org,
cb)
op. 60Sacrificium laudis (2002, SATB, quartetto d’archi o orch)
op. 72Sacrificium laudis - Lectio brevis (2003, SATB, quartetto
d’archi o orch)
op. 73Sacrificium laudis - Lectio brevis (2003, SATB, fisarm, vl,
vlc)
op. 113 Nel giardino delle nozze (Il Cantico dei Cantici) (2011,
voci recitanti, soli, SATB fl, cl, vla o vlc, fisarm, arp, org)
op. 114 Legenda minor (2011, soprano, baritono, SATB, 2fl, 2cl,
2ob, 2fag, perc, org (or archi))
op. 123Contemplatio prima - sopra Sacrificium Laudis (2012,
solo, coro, vlc, pf, org)
op. 127 Teresa - The smile is a big cloak (2014, cantata, coro
femminile, cl, fisa, vlc, piccole perc)
Musica profana per coro
op. 6Allegria di naufragi (1985, SATB)
op. 8The little boy lost (Cantata) (1987, tenore, SATB, vlc,
perc)
op. 10Soto le tue finestre (1987, SSA)
op. 12Marcelina (1989, SATB)
op. 13 I me mor (1990, SSAA)
op. 32Tutto incomincia a girar (1995, SATB)
op. 41 Il Sirio (1996, SATB)
op. 42La vole andare a Agna (1996, SATB)
op. 43El campanaro (1996, SATB)
op. 44El campanil l’è alto (1996, SATB)
op. 45La bela violeta (1996, SATB)
op. 47 Il granellin di riso (1997, TTBB)
op. 55L’anima dei monti (2000, TTBB): Il capretto di Val
Guerra, L’anima dei monti, Ammazza ammazza, Dove
mansueti pascolavano gli armenti (la Guerra 1915-18)
op. 56La mi morosa cara (2000, TTBB)
op. 57Se tu fossi una regina (2000, TTBB)
op. 61La Tardina (2002, SATB, fisarm, pf)
Musica per cori scolastici, voci bianche e giovanili
op. 16Napoleon avec ses cents soldats (1990, voci bianche,
piccole perc)
op. 17 La vera storia dei musicanti di Brema (1991, voci bianche e
strumenti)
op. 18 Jump down (1991, voci bianche e strumenti)
op. 19 Jump down (1991, voci bianche, orch. giovanile)
op. 24Ho incontrato un bel cavalier (1994, voci bianche)
op. 25Ev’ry body loves (1994, voci bianche, cl, pf, ottoni)
op. 26Suite bestiale (1994, voci bianche, orch giovanile)
op. 53 I Figli del Sole (1999, voci bianche, pf, piccole perc.): Elba,
Soreghina, Cian Bolpin
op. 64 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche,
strum. Orff)
op. 65 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche, orch.
giovanile)
op. 66 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche, pf)
op. 68 Gabbiani (2003, voci bianche, pf)
op. 69 Guerra (2003, soprano, coro giovanile, piccole perc, pf)
op. 70Storie di una fattoria (2003, voci bianche, pf)
op. 76 Il ballo (2003, voci bianche e coro giovanile)
op. 84 I tuoi occhi (2007, coro giovanile, fl, piccole perc, pf)
op. 85 Il vento è invisibile (2007, voci bianche, pf)
op. 108 Dalla vallata della fantasia (2010, SSCBr, claves)
Musica da camera - vocale
op. 1Cea de Bal (1977, canto, pf)
op. 2Actimus in G minor (1981, basso, 2 cl, quartetto d’archi)
op. 14 Il piccolo principe - music for (1990, 2 narratori, orch.)
op. 15 Il piccolo principe - music for (1990, 2 narratori, pf)
op. 105 A te grazie dolcezza mia (2009, voce recitante, vlc)
Musica strumentale
op. 4 Genesis (1985, quintetto fiati)
op. 5 Invocazioni alla Vergine (1985, chit)
op. 7 Kronos (1986, fl, ch)
op. 11Contrappunto (1988, 2 cb)
op. 20Timshel (1991, orch)
op. 22Quartetto d’archi (1992, quartetto d’archi)
op. 38Nel tempio di Mattia in Buda (1996, 3fl, ob, cl, fag, arp)
op. 39Shen (1996, pf)
op. 40Meditazioni su “Audi benigne Conditor” (1996, org)
op. 48Shen 2 (1997, pf)
op. 54 Dialogo (1999, chit, pf)
op. 82Sefer Torah (2006, ch)
op. 104Offertorio “Inveni Quem diligit anima mea” (2009, fl, cl,
cetra, org, vlc)
op. 109 Meditazione sopra “Gaudens gaudebo” (2010, 2 fisarm)
op. 110 Meditazione sopra “Dies irae” (2010, 2 fisarm)
op. 112 L’eserci…zio (2010, arp)
op. 120 Meditationes (2011, pf)
op. 122 Jerushalaim “The city of peace” (Concerto) (2012, sax,
orchestra d’archi)
del materiale musicale in funzione espressiva.
L’uso della ripetizione ritmico melodica,
soprattutto in cellule modali, mi consente di
muovermi in una ricerca compositiva che
risponde al mio essere «sfociando – come disse
un allievo a un corso – in una stasi dinamica o
un movimento statico». Devo riconoscere che
sono io, desideroso di contemplazione e
insieme immerso nell’azione.
Cito testualmente da uno dei tuoi libri (Il canto
è il mio sacerdozio, Padova, Armelin Musica,
1997): «… se davvero riuscissi, insegnando a
cantare, a predisporre i nostri cuori all’Amore,
così che fede e carità si fondino e la vita si
faccia culto…». Queste parole mi hanno
fortemente colpito. Per te, dunque, il “fare
musica” è un mezzo, non un fine ultimo.
Puoi spiegare questo tuo pensiero?
Nel canto e nell’amore è difficile separare il
mezzo dal fine. Credo che, nella nostra
imperfezione e nei nostri errori, tutti in fondo
cerchiamo questo: amare ed essere amati.
Credo che la spirale della nostra esistenza stia
qui. «è dinamica, sprigiona vita, l’essenza del
canto. Strettamente legato alla vita, il canto
spinge ad amare, a concepire la vita come
amore», scrivo ancora in quel libro. Il canto
allena ad amare. Amare ti spinge a cantare,
sfocia nel canto. Il fine di tutto credo sia un
grande Silenzio nel quale amore e canto si
fondono, mezzo e fine si identificano. Un
Silenzio frutto melodioso di vite cantate.
compositorE
16
17
Catalogo delle opere di Gianmartino Durighello
Musica sacra - motetti
op. 3Hodie Christus natus est (1981, SABr)
op. 9Popule meus (1987, SATB)
op. 23 Darnaach viartausonk jaar (1993, SATB)
op. 27Popule meus (popolare) (1995, SATB)
op. 28Panis angelicus (1995, SATB)
op. 29Laudatio Christi (1995, SATB)
op. 30 Gaudens gaudebo (1995, SATB)
op. 31Trittico Ungarico (1995, SATB): Veni electa, Matyas,
Istvan
op. 33 Gaudeamus omnes in Domino (1996, SATB)
op. 34 Gaudeamus omnes - brevior et facilior (1996, SATB)
op. 35Audi filia (1996, SABr)
op. 36Beatam me dicent (1996, SSA)
op. 37 Graduale cum alleluja (1996, SATB + fisarm)
op. 50Rallegriamoci tutti nel Signore (1999, SATB)
op. 51Puer natus (1999, SATB)
op. 52La Pentecoste (1999, SATB)
op. 59Mysteria - I misteri dolorosi (2001, SATB)
op. 62 In aeternum cantabo (2002, SATB): In aeternum cantabo,
Volo Pater, Video caelos
op. 63Magnificat (2002, SSA)
op. 67Suscipe me Domine (2003, SATB)
op. 71Cor Jesu (2003, SATB + SATB)
op. 74Fratres in unum (2003, SSATB)
op. 75Fratres in unum - Lectio brevis (2003, SSATB)
op. 77Mysteria - I misteri gloriosi (2005, SATB (+) SATB)
op. 78 Dies irae (2005, SATB)
op. 79Pie Jesu (2005, SATB)
op. 80Veni Creator (2005, coro a una voce + 3 strumenti)
op. 81Veni Creator (2005, SSAA)
op. 83Trittico Ungarico (2007, soli, SATB, quartetto sax, arp,
perc)
op. 86Sicut novellae olivarum (2008, SA)
op. 87Venite ad me (2008, SATB)
op. 88Exsulta filia Sion (2009, SSA, fl, cl, org, vlc)
op. 89Exsulta filia Sion (2009, SATB, fl, org, vlc)
op. 90Exsulta filia Sion (2009, SATB, fl, quartetto d’archi)
op. 91Exsulta filia Sion (2009, SSA, fl, quartetto d’archi)
op. 92Exsulta filia Sion (2009, SSA, org)
op. 93Exsulta filia Sion (2009, SATB, org)
op. 94Exsulta filia Sion (2009, SSA)
op. 95Exsulta filia Sion (2009, SATB)
op. 96Exsulta filia Sion (2009, soprano, org)
op. 97Magnificat di Lecceto (2009, SSA, fl, cl, cetra, org, vlc)
op. 98Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, fl, cetra, org, vlc)
op. 99Magnificat di Lecceto (2009, SSA, org)
op. 100Magnificat di Lecceto (2009, SA, org)
op. 101Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, org)
op. 102Magnificat di Lecceto (2009, SSATB, orch)
op. 103Magnificat di Lecceto (2009, soprano, alto, fisarm)
op. 106Misereris omnium (2010, SSA)
op. 107Misereris omnium (2010, SATB)
op. 111Tamquam Sol a thalamo (2010, TTBB): Preludio ad
libitum, Ecce Dominus veniet!, Gloria! Puer natus,
Magnum haereditatis mysterium
op. 115Trittico De jubilatione (2011, SATB (+) SATB): La
Risurrezione, L’Ascensione, L’Assunzione
op. 116Ex corde scisso (2011, SSATB)
op. 117Ex corde scisso (2011, SSA)
op. 118Ex corde scisso (2011, SSATB, org)
op. 119Ex corde scisso (2011, SSA, org)
op. 121Tu sei sacerdote per sempre (2012, SATB, org)
op. 124Ex Corde scisso - Adimpleo (2012, SSA)
Musica sacra - messe
op. 21Messa in onore della Madonna di Loreto (1992, SATB)
op. 49Missa “Audi filia” (1999, SATB, banda)
op. 49b Missa “Audi filia” (1999, SATB, org)
op. 125Messa “Piccolo Magnificat” 1 o 2 vp (2013, SA, org)
op. 126Messa “Piccolo Magnificat” 4 vd (2013, SATB op. SATB,
popolo, org)
Musica sacra - cantate
op. 46Natalis annuntio (1997, soprano, SATB, vibr, arp)
op. 58L’annunciazione (2001, soprano, SATB,ob, vibr, arp, org,
cb)
op. 60Sacrificium laudis (2002, SATB, quartetto d’archi o orch)
op. 72Sacrificium laudis - Lectio brevis (2003, SATB, quartetto
d’archi o orch)
op. 73Sacrificium laudis - Lectio brevis (2003, SATB, fisarm, vl,
vlc)
op. 113 Nel giardino delle nozze (Il Cantico dei Cantici) (2011,
voci recitanti, soli, SATB fl, cl, vla o vlc, fisarm, arp, org)
op. 114 Legenda minor (2011, soprano, baritono, SATB, 2fl, 2cl,
2ob, 2fag, perc, org (or archi))
op. 123Contemplatio prima - sopra Sacrificium Laudis (2012,
solo, coro, vlc, pf, org)
op. 127 Teresa - The smile is a big cloak (2014, cantata, coro
femminile, cl, fisa, vlc, piccole perc)
Musica profana per coro
op. 6Allegria di naufragi (1985, SATB)
op. 8The little boy lost (Cantata) (1987, tenore, SATB, vlc,
perc)
op. 10Soto le tue finestre (1987, SSA)
op. 12Marcelina (1989, SATB)
op. 13 I me mor (1990, SSAA)
op. 32Tutto incomincia a girar (1995, SATB)
op. 41 Il Sirio (1996, SATB)
op. 42La vole andare a Agna (1996, SATB)
op. 43El campanaro (1996, SATB)
op. 44El campanil l’è alto (1996, SATB)
op. 45La bela violeta (1996, SATB)
op. 47 Il granellin di riso (1997, TTBB)
op. 55L’anima dei monti (2000, TTBB): Il capretto di Val
Guerra, L’anima dei monti, Ammazza ammazza, Dove
mansueti pascolavano gli armenti (la Guerra 1915-18)
op. 56La mi morosa cara (2000, TTBB)
op. 57Se tu fossi una regina (2000, TTBB)
op. 61La Tardina (2002, SATB, fisarm, pf)
Musica per cori scolastici, voci bianche e giovanili
op. 16Napoleon avec ses cents soldats (1990, voci bianche,
piccole perc)
op. 17 La vera storia dei musicanti di Brema (1991, voci bianche e
strumenti)
op. 18 Jump down (1991, voci bianche e strumenti)
op. 19 Jump down (1991, voci bianche, orch. giovanile)
op. 24Ho incontrato un bel cavalier (1994, voci bianche)
op. 25Ev’ry body loves (1994, voci bianche, cl, pf, ottoni)
op. 26Suite bestiale (1994, voci bianche, orch giovanile)
op. 53 I Figli del Sole (1999, voci bianche, pf, piccole perc.): Elba,
Soreghina, Cian Bolpin
op. 64 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche,
strum. Orff)
op. 65 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche, orch.
giovanile)
op. 66 I monti pallidi (operina) (2002, narratore, voci bianche, pf)
op. 68 Gabbiani (2003, voci bianche, pf)
op. 69 Guerra (2003, soprano, coro giovanile, piccole perc, pf)
op. 70Storie di una fattoria (2003, voci bianche, pf)
op. 76 Il ballo (2003, voci bianche e coro giovanile)
op. 84 I tuoi occhi (2007, coro giovanile, fl, piccole perc, pf)
op. 85 Il vento è invisibile (2007, voci bianche, pf)
op. 108 Dalla vallata della fantasia (2010, SSCBr, claves)
Musica da camera - vocale
op. 1Cea de Bal (1977, canto, pf)
op. 2Actimus in G minor (1981, basso, 2 cl, quartetto d’archi)
op. 14 Il piccolo principe - music for (1990, 2 narratori, orch.)
op. 15 Il piccolo principe - music for (1990, 2 narratori, pf)
op. 105 A te grazie dolcezza mia (2009, voce recitante, vlc)
Musica strumentale
op. 4 Genesis (1985, quintetto fiati)
op. 5 Invocazioni alla Vergine (1985, chit)
op. 7 Kronos (1986, fl, ch)
op. 11Contrappunto (1988, 2 cb)
op. 20Timshel (1991, orch)
op. 22Quartetto d’archi (1992, quartetto d’archi)
op. 38Nel tempio di Mattia in Buda (1996, 3fl, ob, cl, fag, arp)
op. 39Shen (1996, pf)
op. 40Meditazioni su “Audi benigne Conditor” (1996, org)
op. 48Shen 2 (1997, pf)
op. 54 Dialogo (1999, chit, pf)
op. 82Sefer Torah (2006, ch)
op. 104Offertorio “Inveni Quem diligit anima mea” (2009, fl, cl,
cetra, org, vlc)
op. 109 Meditazione sopra “Gaudens gaudebo” (2010, 2 fisarm)
op. 110 Meditazione sopra “Dies irae” (2010, 2 fisarm)
op. 112 L’eserci…zio (2010, arp)
op. 120 Meditationes (2011, pf)
op. 122 Jerushalaim “The city of peace” (Concerto) (2012, sax,
orchestra d’archi)
del materiale musicale in funzione espressiva.
L’uso della ripetizione ritmico melodica,
soprattutto in cellule modali, mi consente di
muovermi in una ricerca compositiva che
risponde al mio essere «sfociando – come disse
un allievo a un corso – in una stasi dinamica o
un movimento statico». Devo riconoscere che
sono io, desideroso di contemplazione e
insieme immerso nell’azione.
Cito testualmente da uno dei tuoi libri (Il canto
è il mio sacerdozio, Padova, Armelin Musica,
1997): «… se davvero riuscissi, insegnando a
cantare, a predisporre i nostri cuori all’Amore,
così che fede e carità si fondino e la vita si
faccia culto…». Queste parole mi hanno
fortemente colpito. Per te, dunque, il “fare
musica” è un mezzo, non un fine ultimo.
Puoi spiegare questo tuo pensiero?
Nel canto e nell’amore è difficile separare il
mezzo dal fine. Credo che, nella nostra
imperfezione e nei nostri errori, tutti in fondo
cerchiamo questo: amare ed essere amati.
Credo che la spirale della nostra esistenza stia
qui. «è dinamica, sprigiona vita, l’essenza del
canto. Strettamente legato alla vita, il canto
spinge ad amare, a concepire la vita come
amore», scrivo ancora in quel libro. Il canto
allena ad amare. Amare ti spinge a cantare,
sfocia nel canto. Il fine di tutto credo sia un
grande Silenzio nel quale amore e canto si
fondono, mezzo e fine si identificano. Un
Silenzio frutto melodioso di vite cantate.
compositorE
18
Guardo con commozione i grandi santi della carità, Teresa di
Calcutta su tutti, ma so di non essere come loro. Nel mio
piccolo, però, mi scopro insegnante e comprendo che
insegnare a cantare in coro è educare all’amore. Un mondo
che canta…
Il tuo cammino spirituale corre a braccetto con la tuo essere
musicista. Giovanni Maria Rossi nella prefazione al tuo libro
che ho appena citato scrive: «Il canto-suono, che è già
dentro la persona umana dove lo spirito grida con gemiti
inesprimibili, deve sfociare in un atto di “fede vitale”».
Secondo te la musica, intesa come anelito alla Bellezza
Assoluta, è come imprigionata dentro di noi e sta a noi
liberarla per compiere un cammino di fede?
Tu sei il felice papà di Benedetta, una adorabile bambina.
Bene, quando il bambino è nel grembo della mamma è forse
imprigionato? San Paolo paragona la creazione alle doglie del
parto. Credo che la nostra esistenza si svolga come in un
grembo, il grembo di Dio. Ogni nostro canto esprime lo
scalciare del bimbo nel grembo, la sua voglia di venire alla
luce. Ogni nostro canto esprime il vagito, il grido del neonato
che viene alla luce. Diciamo il nostro disagio, ma anche la
nostra volontà di vivere e di essere alimentati alla vita. Ed è
per questo che il nostro canto si placa nel silenzio, quando
siamo abbracciati al petto della mamma.
La musica non è solo anelito, è anche all’origine della
Bellezza. Nel racconto della creazione Dio “disse” e il
mondo prese vita. E Dio vide che era cosa “bella”
(questo il significato letterale). Con il suono della sua
voce Dio dà vita alla Bellezza. La nostra musica è sì
anelito alla Bellezza vera, ma nello stesso tempo
facendo musica noi continuiamo l’opera creatrice di
Dio. Aneliamo alla Bellezza generando bellezza.
Perché il creato porta in sé l’impronta del suo Creatore.
E l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Per questo
siamo invitati ad ascoltare il suono che è in noi. Liberarla, la
musica, – come tu dici – significa accettare di vivere il
dinamismo della creazione. Allora, se è vero che il grembo
non è un carcere, è anche vero che grazie alla musica ciò che
appare come un carcere può rivelarsi un grembo.
Spesso nella tua musica si celano dei significati simbolici
che, a quelli che come me amano particolarmente la teologia,
si rivelano con gradualità durante lo studio dei tuoi brani; è
una sorta di cammino escatologico che prepari volutamente
per gli esecutori o il rapporto con il symbolum è una tua
fondamentale dimensione spirituale?
Sì, il simbolo è una dimensione molto importante per me. Nei
miei primi lavori la dimensione simbolica era per lo più
limitata al rapporto testo-musica sulla scia della tradizione
gregoriana e motettistica. Con il tempo tale dimensione si è
fatta molto più presente investendo la composizione fin dalla
sua ideazione e divenendone l’elemento caratterizzante, dalla
architettura generale al più piccolo tema. Anche se alcuni di
questi ultimi lavori possono risultare più semplici e immediati,
in realtà sono il frutto di una attenta meditazione. Chi entra
nel mio studio nella fase di ideazione si diverte a vedere
appesi sui muri fogli di carta da pacco sui quali appunto tutti
i miei schemi… è innanzitutto una mia esigenza spirituale.
Nella Bibbia è Dio stesso a donare le misure per la
costruzione della città santa e del tempio. Così è per la
architettura e così è per la musica. La musica abita il suono
che Dio stesso ha donato creandoci a sua immagine e
somiglianza.
Un uccellino mi ha detto che hai iniziato a suonare l’arpa,
non sarà forse che nell’iconografica comune è lo strumento
privilegiato dagli angeli e quindi non vuoi farti trovare
impreparato?
Mannaggia. Mi verrebbe da risponderti che… anche gli angeli
mangiano fagioli. Ma questo è un altro film (ma gli uccellini
non potrebbero limitarsi a volare e cinguettare?). Per l’arpa ho
avuto sempre un certo affetto, ed essa è presente, ad
esempio, nelle mie due cantate natalizie: Natalis annuntio,
scritta per Mauro Zuccante, e L’Annunciazione per Pierluigi
Comparin.
Il discorso si ricollega alla domanda precedente. Mi sono
trovato l’arpa in mano in un corso di formazione liturgica
organizzato dalle Figlie della Chiesa di Roma, perché la
Ogni nostro canto esprime
il vagito, il grido del neonato
che viene alla luce.
ragazza che avrebbe dovuto suonarla è stata costretta a dare
forfait. Da allora l’ho tenuta in mano sempre più spesso fino
ad appassionarmi. Ora studio con Alessandra Casarin (che fu
mia allieva di coro) e nel mio piccolo cerco di… suonare. Nella
lingua ebraica gli strumentisti sono proprio detti “coloro che
tengono in mano”. Devo dire che per me, che non ho in
curriculum un corso di studi in uno strumento, è molto
importante… tenere in mano uno strumento. Ed è sempre
musica d’assieme, con gli amici ed ex allievi del Gruppo
Ashirà con il quale animiamo liturgie e proponiamo percorsi di
Lettura cantata della Parola di Dio, come ad esempio il
Cantico dei Cantici.
Questo mi riporta alla prima domanda che mi hai fatto. è
importante per me far musica pratica, tenere in mano uno
strumento, anche se a livello amatoriale. Amatore e dilettante.
Essere amatori e dilettanti ci ricorda che la musica è amore.
In questo senso i professionisti non dovrebbero mai smettere
di essere amatori e dilettanti. Sì, adesso ho due arpe celtiche,
che si aggiungono alle mie due zampogne e alle mie
armoniche a bocca. Ma, ripeto: in Paradiso porterò l’armonica
a bocca.
19
oltre il minimalismo?
Uno sguardo analitico su alcune composizioni
di Gianmartino Durighello
di Alessandro Kirschner
compositore e direttore di coro
Ricordo bene la prima volta che ho ascoltato una
composizione di Gianmartino Durighello: mi trovavo a Vittorio
Veneto e avevo appena partecipato al concorso corale in
veste di corista del coro del conservatorio Venezze di cui ero
studente. Si trattava del Gaudens gaudebo, eseguito
magistralmente dal coro Anthem di Monza. Conservo ancora
la sensazione di stupore e di coinvolgimento che avevo
vissuto: un vortice di crescente entusiasmo e la scoperta che
era possibile fare una musica “nuova” a partire da elementi
molto semplici. La conoscenza diretta di Gianmartino,
avvenuta qualche anno dopo, mi ha permesso di intuire
quanto ogni sua composizione si potesse considerare come
una sorta di icona rivelatrice di un mondo di suoni che
trasudano fede e umanità, andando ben oltre alcuni principi
formali comunemente presenti in compositori a lui
contemporanei.
Volendo focalizzare l’attenzione su alcune sue composizioni
corali, la scelta è caduta su tre lavori che possono essere
considerati rappresentativi della sua produzione sacra: un
frammento da una messa (il Kyrie della Messa in onore della
Madonna di Loreto), un mottetto (Veni, electa mea dal Trittico
Ungarico) e una sezione da una delle Cantate (Eschaton,
ultima parte della Cantata Sacrificium Laudis).
Nel sito personale del compositore1 è possibile reperire gli
ascolti dei brani in oggetto e la partitura completa della
Cantata. La Messa in onore della Madonna di Loreto è invece
edita dalle Edizioni Ente Rassegne Musicali “N. S. di Loreto”
mentre il Trittico ungarico è edito dalle Edizioni ASAC Veneto
nell’antologia Compositori Veneti 2 e dalle Edizioni Suvini
Zerboni.
La Messa in onore della Madonna di Loreto, scritta nel 1992,
è la composizione con cui Durighello si è fatto conoscere sulla
scena internazionale: premiata nel Concorso Internazionale
dell’Ente Rassegne Musicali “N. S. di Loreto” ha avuto il
merito di essere eseguita da compagini corali di alto livello
che ne hanno potuto mettere in risalto la bellezza e gli
aspetti innovativi in essa contenuti. Tutte le parti
dell’ordinarium sono state messe in musica; sarà sufficiente
concentrarsi sulla sola analisi del Kyrie (tra l’altro ripreso
quasi integralmente nell’Agnus Dei finale) per rendersi conto
dell’originalissimo modo di utilizzare il coro – come naturale
estensione di una linea melodica – che caratterizza l’intera
composizione. Una melodia dal chiaro sapore gregoriano si
sviluppa infatti passando dalla voce più grave a quella più
acuta in un ambitus di dodicesima, creando inoltre effetti di
riverberazione naturale mediante l’utilizzo di note tenute man
mano che lo sviluppo procede verso il registro acuto. La linea
melodica stessa è fortemente tematica in quanto sono
riconoscibili delle strutture intervallari che si ripetono (cfr.
elementi a, b, c dell’esempio 1) e moduli scalari semplificati
(utilizzo della scala pentatonica per la prima parte della frase,
aggiungendo il semitono centrale solo dopo aver raggiunto il
vertice melodico). È possibile inoltre notare il chiasma dato
dal procedere orizzontale dell’elemento a e la verticalità
dell’elemento b.
Nell’affidare questa linea melodica al coro, si producono
effetti assai suggestivi: dopo l’attacco dei bassi le altre
sezioni vanno a sovrapporsi garantendo il procedere melodico
e aumentando via via la dinamica complessiva fino ad
arrivare al forte in corrispondenza della nota più acuta. La
semifrase di risposta, affidata in diminuendo alle sole voci
femminili, riconduce ai suoni di partenza creando l’illusione di
un modo dorico circoscritto dai suoni la (tenor) e re (finalis).
compositorE
18
Guardo con commozione i grandi santi della carità, Teresa di
Calcutta su tutti, ma so di non essere come loro. Nel mio
piccolo, però, mi scopro insegnante e comprendo che
insegnare a cantare in coro è educare all’amore. Un mondo
che canta…
Il tuo cammino spirituale corre a braccetto con la tuo essere
musicista. Giovanni Maria Rossi nella prefazione al tuo libro
che ho appena citato scrive: «Il canto-suono, che è già
dentro la persona umana dove lo spirito grida con gemiti
inesprimibili, deve sfociare in un atto di “fede vitale”».
Secondo te la musica, intesa come anelito alla Bellezza
Assoluta, è come imprigionata dentro di noi e sta a noi
liberarla per compiere un cammino di fede?
Tu sei il felice papà di Benedetta, una adorabile bambina.
Bene, quando il bambino è nel grembo della mamma è forse
imprigionato? San Paolo paragona la creazione alle doglie del
parto. Credo che la nostra esistenza si svolga come in un
grembo, il grembo di Dio. Ogni nostro canto esprime lo
scalciare del bimbo nel grembo, la sua voglia di venire alla
luce. Ogni nostro canto esprime il vagito, il grido del neonato
che viene alla luce. Diciamo il nostro disagio, ma anche la
nostra volontà di vivere e di essere alimentati alla vita. Ed è
per questo che il nostro canto si placa nel silenzio, quando
siamo abbracciati al petto della mamma.
La musica non è solo anelito, è anche all’origine della
Bellezza. Nel racconto della creazione Dio “disse” e il
mondo prese vita. E Dio vide che era cosa “bella”
(questo il significato letterale). Con il suono della sua
voce Dio dà vita alla Bellezza. La nostra musica è sì
anelito alla Bellezza vera, ma nello stesso tempo
facendo musica noi continuiamo l’opera creatrice di
Dio. Aneliamo alla Bellezza generando bellezza.
Perché il creato porta in sé l’impronta del suo Creatore.
E l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Per questo
siamo invitati ad ascoltare il suono che è in noi. Liberarla, la
musica, – come tu dici – significa accettare di vivere il
dinamismo della creazione. Allora, se è vero che il grembo
non è un carcere, è anche vero che grazie alla musica ciò che
appare come un carcere può rivelarsi un grembo.
Spesso nella tua musica si celano dei significati simbolici
che, a quelli che come me amano particolarmente la teologia,
si rivelano con gradualità durante lo studio dei tuoi brani; è
una sorta di cammino escatologico che prepari volutamente
per gli esecutori o il rapporto con il symbolum è una tua
fondamentale dimensione spirituale?
Sì, il simbolo è una dimensione molto importante per me. Nei
miei primi lavori la dimensione simbolica era per lo più
limitata al rapporto testo-musica sulla scia della tradizione
gregoriana e motettistica. Con il tempo tale dimensione si è
fatta molto più presente investendo la composizione fin dalla
sua ideazione e divenendone l’elemento caratterizzante, dalla
architettura generale al più piccolo tema. Anche se alcuni di
questi ultimi lavori possono risultare più semplici e immediati,
in realtà sono il frutto di una attenta meditazione. Chi entra
nel mio studio nella fase di ideazione si diverte a vedere
appesi sui muri fogli di carta da pacco sui quali appunto tutti
i miei schemi… è innanzitutto una mia esigenza spirituale.
Nella Bibbia è Dio stesso a donare le misure per la
costruzione della città santa e del tempio. Così è per la
architettura e così è per la musica. La musica abita il suono
che Dio stesso ha donato creandoci a sua immagine e
somiglianza.
Un uccellino mi ha detto che hai iniziato a suonare l’arpa,
non sarà forse che nell’iconografica comune è lo strumento
privilegiato dagli angeli e quindi non vuoi farti trovare
impreparato?
Mannaggia. Mi verrebbe da risponderti che… anche gli angeli
mangiano fagioli. Ma questo è un altro film (ma gli uccellini
non potrebbero limitarsi a volare e cinguettare?). Per l’arpa ho
avuto sempre un certo affetto, ed essa è presente, ad
esempio, nelle mie due cantate natalizie: Natalis annuntio,
scritta per Mauro Zuccante, e L’Annunciazione per Pierluigi
Comparin.
Il discorso si ricollega alla domanda precedente. Mi sono
trovato l’arpa in mano in un corso di formazione liturgica
organizzato dalle Figlie della Chiesa di Roma, perché la
Ogni nostro canto esprime
il vagito, il grido del neonato
che viene alla luce.
ragazza che avrebbe dovuto suonarla è stata costretta a dare
forfait. Da allora l’ho tenuta in mano sempre più spesso fino
ad appassionarmi. Ora studio con Alessandra Casarin (che fu
mia allieva di coro) e nel mio piccolo cerco di… suonare. Nella
lingua ebraica gli strumentisti sono proprio detti “coloro che
tengono in mano”. Devo dire che per me, che non ho in
curriculum un corso di studi in uno strumento, è molto
importante… tenere in mano uno strumento. Ed è sempre
musica d’assieme, con gli amici ed ex allievi del Gruppo
Ashirà con il quale animiamo liturgie e proponiamo percorsi di
Lettura cantata della Parola di Dio, come ad esempio il
Cantico dei Cantici.
Questo mi riporta alla prima domanda che mi hai fatto. è
importante per me far musica pratica, tenere in mano uno
strumento, anche se a livello amatoriale. Amatore e dilettante.
Essere amatori e dilettanti ci ricorda che la musica è amore.
In questo senso i professionisti non dovrebbero mai smettere
di essere amatori e dilettanti. Sì, adesso ho due arpe celtiche,
che si aggiungono alle mie due zampogne e alle mie
armoniche a bocca. Ma, ripeto: in Paradiso porterò l’armonica
a bocca.
19
oltre il minimalismo?
Uno sguardo analitico su alcune composizioni
di Gianmartino Durighello
di Alessandro Kirschner
compositore e direttore di coro
Ricordo bene la prima volta che ho ascoltato una
composizione di Gianmartino Durighello: mi trovavo a Vittorio
Veneto e avevo appena partecipato al concorso corale in
veste di corista del coro del conservatorio Venezze di cui ero
studente. Si trattava del Gaudens gaudebo, eseguito
magistralmente dal coro Anthem di Monza. Conservo ancora
la sensazione di stupore e di coinvolgimento che avevo
vissuto: un vortice di crescente entusiasmo e la scoperta che
era possibile fare una musica “nuova” a partire da elementi
molto semplici. La conoscenza diretta di Gianmartino,
avvenuta qualche anno dopo, mi ha permesso di intuire
quanto ogni sua composizione si potesse considerare come
una sorta di icona rivelatrice di un mondo di suoni che
trasudano fede e umanità, andando ben oltre alcuni principi
formali comunemente presenti in compositori a lui
contemporanei.
Volendo focalizzare l’attenzione su alcune sue composizioni
corali, la scelta è caduta su tre lavori che possono essere
considerati rappresentativi della sua produzione sacra: un
frammento da una messa (il Kyrie della Messa in onore della
Madonna di Loreto), un mottetto (Veni, electa mea dal Trittico
Ungarico) e una sezione da una delle Cantate (Eschaton,
ultima parte della Cantata Sacrificium Laudis).
Nel sito personale del compositore1 è possibile reperire gli
ascolti dei brani in oggetto e la partitura completa della
Cantata. La Messa in onore della Madonna di Loreto è invece
edita dalle Edizioni Ente Rassegne Musicali “N. S. di Loreto”
mentre il Trittico ungarico è edito dalle Edizioni ASAC Veneto
nell’antologia Compositori Veneti 2 e dalle Edizioni Suvini
Zerboni.
La Messa in onore della Madonna di Loreto, scritta nel 1992,
è la composizione con cui Durighello si è fatto conoscere sulla
scena internazionale: premiata nel Concorso Internazionale
dell’Ente Rassegne Musicali “N. S. di Loreto” ha avuto il
merito di essere eseguita da compagini corali di alto livello
che ne hanno potuto mettere in risalto la bellezza e gli
aspetti innovativi in essa contenuti. Tutte le parti
dell’ordinarium sono state messe in musica; sarà sufficiente
concentrarsi sulla sola analisi del Kyrie (tra l’altro ripreso
quasi integralmente nell’Agnus Dei finale) per rendersi conto
dell’originalissimo modo di utilizzare il coro – come naturale
estensione di una linea melodica – che caratterizza l’intera
composizione. Una melodia dal chiaro sapore gregoriano si
sviluppa infatti passando dalla voce più grave a quella più
acuta in un ambitus di dodicesima, creando inoltre effetti di
riverberazione naturale mediante l’utilizzo di note tenute man
mano che lo sviluppo procede verso il registro acuto. La linea
melodica stessa è fortemente tematica in quanto sono
riconoscibili delle strutture intervallari che si ripetono (cfr.
elementi a, b, c dell’esempio 1) e moduli scalari semplificati
(utilizzo della scala pentatonica per la prima parte della frase,
aggiungendo il semitono centrale solo dopo aver raggiunto il
vertice melodico). È possibile inoltre notare il chiasma dato
dal procedere orizzontale dell’elemento a e la verticalità
dell’elemento b.
Nell’affidare questa linea melodica al coro, si producono
effetti assai suggestivi: dopo l’attacco dei bassi le altre
sezioni vanno a sovrapporsi garantendo il procedere melodico
e aumentando via via la dinamica complessiva fino ad
arrivare al forte in corrispondenza della nota più acuta. La
semifrase di risposta, affidata in diminuendo alle sole voci
femminili, riconduce ai suoni di partenza creando l’illusione di
un modo dorico circoscritto dai suoni la (tenor) e re (finalis).
compositorE
20
Dal punto di vista esecutivo la difficoltà maggiore consiste
proprio nell’uniformità vocale che tutte le sezioni dovranno
avere per rendere l’idea di questo flusso melodico che scorre
tra una voce e l’altra. Il compositore stesso precisa che ogni
attacco di sezione dovrà essere su un “crescendo dal niente”
proprio per assicurare la massima continuità dal punto di vista
dinamico e timbrico nel procedere melodico. Altro aspetto da
curare particolarmente sarà quello dell’intonazione: saranno
proprio le note pedale di tutte le sezioni (a distanza di quinta
nel tenore e ottava nel contralto) a rinforzare gli armonici che
determinano l’effetto di riverberazione che caratterizza l’intera
composizione.
Il brano prosegue ripetendo l’incipit del Kyrie ma dopo
l’entrata del contralto, con un effetto di pedale superiore
all’ottava, il soprano espone il tema del Christe. Il materiale
melodico è del tutto diverso (una lunga nota tenuta che cede
alla seconda inferiore per poi muoversi in un gioco di terze
minori e maggiori collegate da un semitono discendente) e
questo contrasto dà spunto a un trattamento opposto rispetto
all’episodio precedente. Non più una “melodia estesa” ma un
processo imitativo in forma di stretto di fuga. L’intento sembra
tuttavia essere non tanto quello contrappuntistico, quanto un
suggestivo effetto di eco, viste le partenze così ravvicinate.
Le durate irregolari degli interventi creano anche interessanti
sovrapposizioni tematiche, quasi a ricordare, per pochi istanti,
le tecniche di defasaggio di Steve Reich, padre del
minimalismo. Lo spostamento modale verso un modo dorico di
mi avviene in maniera del tutto spontanea, viceversa
l’inserimento del fa bequadro per continuare il “gioco delle
terze” nella coda del Christe crea un destabilizzante effetto di
falsa relazione proprio al vertice dinamico del pezzo.
L’episodio termina con gli stessi suoni pedale (a distanza di
quinta e ottava) con cui era terminato il Kyrie.
Il Kyrie finale ripropone la situazione iniziale se non per un
aggravamento dei primi due suoni in maniera tale da
distanziare maggiormente il naturale succedere delle entrate e
di conseguenza del procedere melodico complessivo. L’entrata
del soprano suggella il pezzo ripercorrendo melodicamente la
coda del Christe con piccole differenze fino a stabilizzarsi sulla
nota re che finalmente risuona come finalis del modo dorico.
Inaspettatamente, sull’ultimo accordo, l’apertura di seconda
delle voci estreme provoca una situazione di tre quinte
sovrapposte: un’evocazione di suono neutro ma
armonicamente risonante come quello delle corde a vuoto del
violino.
Il mottetto Veni, electa mea. Erzsébet è stato scritto nel 1995,
pochi anni dopo la Messa di Loreto, su commissione
dell’Università Cattolica di Piliscaba (Ungheria). Assieme ai
mottetti Matyas, Beatus vir e Istvan, Lex dei ejus va a formare
il Trittico ungarico, una silloge di brani che si presenta come
parafrasi dei relativi temi gregoriani. Probabilmente è grazie a
queste composizioni che iniziò a farsi strada l’idea di una
musica “minimalista”: il materiale tematico viene più volte
ripetuto pur inserendo sempre delle varianti melodiche o
armoniche.2 In realtà parlare di minimalismo in composizioni
del genere potrebbe risultare alquanto riduttivo; naturalmente
sono riscontrabili alcuni atteggiamenti riconducibili a questa
corrente ma è più evidente un’eredità storica con ben altre
radici. In particolare Veni electa mea è costruito su una linea
melodica di 16 battute ripetuta 4 volte, in cui a ogni ripetizione
viene sovrapposta una nuova voce. Dopo una prima lettura il
riferimento si sposta velocemente di sette, otto secoli indietro
rispetto a Philipp Glass, fino ad arrivare alle prime forme
polifoniche dell’Ars antiqua. Molti sono gli elementi che
propendono per questa interpretazione: la ricerca di
consonanze di quinta e quarta nelle cadenze, i movimenti per
terze, un procedere punctum contra punctum tra le due voci
acute, la libertà contrappuntistica delle voci gravi rispetto alle
acute… Tutto questo fa avvicinare la composizione a un
Discantus isoritmico per le voci femminili e a un Organum
melismatico se si considerano anche le voci maschili.
Andando a leggere con attenzione la partitura si noterà
tuttavia come le sei sezioni di cui si compone il mottetto non
sono così rigide come la tabella potrebbe far immaginare: le
varie entrate sono preparate da alcuni movimenti melodici che
poi diventano tematici (ad esempio il tenore entra alla b. 31 e
il basso a b. 48).
Una struttura siffatta rende l’ascolto del brano estremamente
gratificante: dapprima viene esposto il tema, poi su questo
viene sentito un nuovo tema (il discanto) e il precedente
prende funzione di basso armonico. L’entrata del tenore
trasforma le armonie appena ascoltate e l’interesse aumenta
ulteriormente con i cambiamenti armonici evocati dal basso.
La memoria dell’ascoltatore è continuamente stimolata con
l’aggiunta successiva di nuove linee melodiche, e l’ascolto è
appagante per ritorno di elementi già noti.
Dopo l’esposizione di tutte le voci, due battute recanti i primi
due versetti del Salmo 109 (Dixit Dominus), separano la
ripetizione dell’ultimo episodio contrappuntistico. La salmodia
utilizza il primo tono come struttura melodica e
all’intonazione dei soli tenori rispondono i soprani sostenuti
dalle armonie delle altre voci.
Complessivamente la struttura ripetitiva del pezzo potrebbe
tradire la vocazione escatologica della linea melodica
gregoriana che per sua costituzione evita qualsiasi forma di
ripetizione. Tuttavia è proprio questa apparente
contraddizione che rende così affascinante il pezzo per chi lo
esegue e per chi lo ascolta: si ha l’impressione di essere
immersi in una “contemporaneità arcaica” in cui le
connotazioni stilistiche-temporali si (con)fondono.
Vorrei dedicare a questo mottetto un’ultima riflessione
analizzando la trasformazione ritmica che l’autore opera per
ricavare il tema dall’originale gregoriano. Rispettando quasi
alla lettera il contorno melodico (vengono aggiunte un paio di
note di passaggio), la trascrizione avviene su un ritmo
ternario andando a suggerire uno spiccato carattere di danza,
come l’indicazione cantabile in uno sembra proprio suggerire.
Tuttavia all’interno di questa suddivisine ternaria è possibile
scorgere una ternarietà anche tra le battute, riconducendo
quindi l’intera linea melodica a una situazione di tempo
perfetto con prolazione maggiore (con un elemento di varietà
al termine della frase). Un’ulteriore trascrizione che tenga
conto di questa interpretazione ritmica potrebbe essere quella
riportata nel prossimo esempio. Questa lettura potrà risultare
21
particolarmente utile per il direttore, dal momento che il
tempo ternario in uno è una situazione spesso difficile da
gestire.
Tra la produzione di cantate sacre di Durighello spicca per
originalità e per spessore teologico la cantata Sacrificium
Laudis per coro e quartetto d’archi. Scritta nel 2002 per
l’Ensemble Couleur Vocale e il suo direttore Roland
Demiéville,3 è costituita da cinque quadri chiusi attraverso i
quali chi ascolta (e chi esegue) vive una vera e propria
catarsi: dal grido primordiale invocato all’inizio della cantata
(il titolo del primo quadro è Foné) si giunge a quello rivelatore
e riconoscente del quadro conclusivo (…abbiamo ricevuto uno
spirito da figli per mezzo del quale gridiamo “Abbà Padre!”).
L’ultimo episodio reca il suggestivo titolo Eschaton
(superlativo di eschatos quindi “ciò che sta al termine”) che
ben esprime l’imperturbabilità e contemporaneamente la
necessità a procedere che caratterizza l’intero quadro. In due
delle tre sezioni in cui il quadro è sostanzialmente diviso, è
presente un’interessante indipendenza tra l’andamento del
coro (a valori larghi e rigorosamente sul metro indicato dal
tempo) e quello degli archi. Questi ultimi creano, alternandosi,
un effetto di carillon con un frammento melodico di cinque
suoni consecutivi su uguali valori di croma, determinando
quindi uno sfasamento progressivo tra il metro della battuta e
quello della percezione melodica.
Poche battute più avanti si trova un’analoga situazione,
arricchita – rispetto alla situazione precedentemente descritta
– da un andamento melodico risultante dalla nota più acuta
dell’elemento messo in loop. Ne consegue una scansione
ritmica di cinque semicrome di cui l’ultima nota determina
l’illusione melodica. Ancora una volta è evidente il contrasto
ritmico tra il coro, sul metro della battuta, e
l’accompagnamento che potrà ritrovare la situazione iniziale
solamente dopo 20 moduli ovvero dopo 5 battute.
compositorE
20
Dal punto di vista esecutivo la difficoltà maggiore consiste
proprio nell’uniformità vocale che tutte le sezioni dovranno
avere per rendere l’idea di questo flusso melodico che scorre
tra una voce e l’altra. Il compositore stesso precisa che ogni
attacco di sezione dovrà essere su un “crescendo dal niente”
proprio per assicurare la massima continuità dal punto di vista
dinamico e timbrico nel procedere melodico. Altro aspetto da
curare particolarmente sarà quello dell’intonazione: saranno
proprio le note pedale di tutte le sezioni (a distanza di quinta
nel tenore e ottava nel contralto) a rinforzare gli armonici che
determinano l’effetto di riverberazione che caratterizza l’intera
composizione.
Il brano prosegue ripetendo l’incipit del Kyrie ma dopo
l’entrata del contralto, con un effetto di pedale superiore
all’ottava, il soprano espone il tema del Christe. Il materiale
melodico è del tutto diverso (una lunga nota tenuta che cede
alla seconda inferiore per poi muoversi in un gioco di terze
minori e maggiori collegate da un semitono discendente) e
questo contrasto dà spunto a un trattamento opposto rispetto
all’episodio precedente. Non più una “melodia estesa” ma un
processo imitativo in forma di stretto di fuga. L’intento sembra
tuttavia essere non tanto quello contrappuntistico, quanto un
suggestivo effetto di eco, viste le partenze così ravvicinate.
Le durate irregolari degli interventi creano anche interessanti
sovrapposizioni tematiche, quasi a ricordare, per pochi istanti,
le tecniche di defasaggio di Steve Reich, padre del
minimalismo. Lo spostamento modale verso un modo dorico di
mi avviene in maniera del tutto spontanea, viceversa
l’inserimento del fa bequadro per continuare il “gioco delle
terze” nella coda del Christe crea un destabilizzante effetto di
falsa relazione proprio al vertice dinamico del pezzo.
L’episodio termina con gli stessi suoni pedale (a distanza di
quinta e ottava) con cui era terminato il Kyrie.
Il Kyrie finale ripropone la situazione iniziale se non per un
aggravamento dei primi due suoni in maniera tale da
distanziare maggiormente il naturale succedere delle entrate e
di conseguenza del procedere melodico complessivo. L’entrata
del soprano suggella il pezzo ripercorrendo melodicamente la
coda del Christe con piccole differenze fino a stabilizzarsi sulla
nota re che finalmente risuona come finalis del modo dorico.
Inaspettatamente, sull’ultimo accordo, l’apertura di seconda
delle voci estreme provoca una situazione di tre quinte
sovrapposte: un’evocazione di suono neutro ma
armonicamente risonante come quello delle corde a vuoto del
violino.
Il mottetto Veni, electa mea. Erzsébet è stato scritto nel 1995,
pochi anni dopo la Messa di Loreto, su commissione
dell’Università Cattolica di Piliscaba (Ungheria). Assieme ai
mottetti Matyas, Beatus vir e Istvan, Lex dei ejus va a formare
il Trittico ungarico, una silloge di brani che si presenta come
parafrasi dei relativi temi gregoriani. Probabilmente è grazie a
queste composizioni che iniziò a farsi strada l’idea di una
musica “minimalista”: il materiale tematico viene più volte
ripetuto pur inserendo sempre delle varianti melodiche o
armoniche.2 In realtà parlare di minimalismo in composizioni
del genere potrebbe risultare alquanto riduttivo; naturalmente
sono riscontrabili alcuni atteggiamenti riconducibili a questa
corrente ma è più evidente un’eredità storica con ben altre
radici. In particolare Veni electa mea è costruito su una linea
melodica di 16 battute ripetuta 4 volte, in cui a ogni ripetizione
viene sovrapposta una nuova voce. Dopo una prima lettura il
riferimento si sposta velocemente di sette, otto secoli indietro
rispetto a Philipp Glass, fino ad arrivare alle prime forme
polifoniche dell’Ars antiqua. Molti sono gli elementi che
propendono per questa interpretazione: la ricerca di
consonanze di quinta e quarta nelle cadenze, i movimenti per
terze, un procedere punctum contra punctum tra le due voci
acute, la libertà contrappuntistica delle voci gravi rispetto alle
acute… Tutto questo fa avvicinare la composizione a un
Discantus isoritmico per le voci femminili e a un Organum
melismatico se si considerano anche le voci maschili.
Andando a leggere con attenzione la partitura si noterà
tuttavia come le sei sezioni di cui si compone il mottetto non
sono così rigide come la tabella potrebbe far immaginare: le
varie entrate sono preparate da alcuni movimenti melodici che
poi diventano tematici (ad esempio il tenore entra alla b. 31 e
il basso a b. 48).
Una struttura siffatta rende l’ascolto del brano estremamente
gratificante: dapprima viene esposto il tema, poi su questo
viene sentito un nuovo tema (il discanto) e il precedente
prende funzione di basso armonico. L’entrata del tenore
trasforma le armonie appena ascoltate e l’interesse aumenta
ulteriormente con i cambiamenti armonici evocati dal basso.
La memoria dell’ascoltatore è continuamente stimolata con
l’aggiunta successiva di nuove linee melodiche, e l’ascolto è
appagante per ritorno di elementi già noti.
Dopo l’esposizione di tutte le voci, due battute recanti i primi
due versetti del Salmo 109 (Dixit Dominus), separano la
ripetizione dell’ultimo episodio contrappuntistico. La salmodia
utilizza il primo tono come struttura melodica e
all’intonazione dei soli tenori rispondono i soprani sostenuti
dalle armonie delle altre voci.
Complessivamente la struttura ripetitiva del pezzo potrebbe
tradire la vocazione escatologica della linea melodica
gregoriana che per sua costituzione evita qualsiasi forma di
ripetizione. Tuttavia è proprio questa apparente
contraddizione che rende così affascinante il pezzo per chi lo
esegue e per chi lo ascolta: si ha l’impressione di essere
immersi in una “contemporaneità arcaica” in cui le
connotazioni stilistiche-temporali si (con)fondono.
Vorrei dedicare a questo mottetto un’ultima riflessione
analizzando la trasformazione ritmica che l’autore opera per
ricavare il tema dall’originale gregoriano. Rispettando quasi
alla lettera il contorno melodico (vengono aggiunte un paio di
note di passaggio), la trascrizione avviene su un ritmo
ternario andando a suggerire uno spiccato carattere di danza,
come l’indicazione cantabile in uno sembra proprio suggerire.
Tuttavia all’interno di questa suddivisine ternaria è possibile
scorgere una ternarietà anche tra le battute, riconducendo
quindi l’intera linea melodica a una situazione di tempo
perfetto con prolazione maggiore (con un elemento di varietà
al termine della frase). Un’ulteriore trascrizione che tenga
conto di questa interpretazione ritmica potrebbe essere quella
riportata nel prossimo esempio. Questa lettura potrà risultare
21
particolarmente utile per il direttore, dal momento che il
tempo ternario in uno è una situazione spesso difficile da
gestire.
Tra la produzione di cantate sacre di Durighello spicca per
originalità e per spessore teologico la cantata Sacrificium
Laudis per coro e quartetto d’archi. Scritta nel 2002 per
l’Ensemble Couleur Vocale e il suo direttore Roland
Demiéville,3 è costituita da cinque quadri chiusi attraverso i
quali chi ascolta (e chi esegue) vive una vera e propria
catarsi: dal grido primordiale invocato all’inizio della cantata
(il titolo del primo quadro è Foné) si giunge a quello rivelatore
e riconoscente del quadro conclusivo (…abbiamo ricevuto uno
spirito da figli per mezzo del quale gridiamo “Abbà Padre!”).
L’ultimo episodio reca il suggestivo titolo Eschaton
(superlativo di eschatos quindi “ciò che sta al termine”) che
ben esprime l’imperturbabilità e contemporaneamente la
necessità a procedere che caratterizza l’intero quadro. In due
delle tre sezioni in cui il quadro è sostanzialmente diviso, è
presente un’interessante indipendenza tra l’andamento del
coro (a valori larghi e rigorosamente sul metro indicato dal
tempo) e quello degli archi. Questi ultimi creano, alternandosi,
un effetto di carillon con un frammento melodico di cinque
suoni consecutivi su uguali valori di croma, determinando
quindi uno sfasamento progressivo tra il metro della battuta e
quello della percezione melodica.
Poche battute più avanti si trova un’analoga situazione,
arricchita – rispetto alla situazione precedentemente descritta
– da un andamento melodico risultante dalla nota più acuta
dell’elemento messo in loop. Ne consegue una scansione
ritmica di cinque semicrome di cui l’ultima nota determina
l’illusione melodica. Ancora una volta è evidente il contrasto
ritmico tra il coro, sul metro della battuta, e
l’accompagnamento che potrà ritrovare la situazione iniziale
solamente dopo 20 moduli ovvero dopo 5 battute.
Feniarco
in collaborazione con
Arcom e con European Choral Association - Europa Cantat presenta
22
È interessante notare come questi due frammenti possano
essere considerati anche complementari l’uno all’altro dal
punto di vista armonico: il primo comincia utilizzando una
scala pentatonica (la b, si b, re b, mi b agli archi con aggiunta
del fa nelle parti vocali) che si rivela al termine dell’episodio
come un modo eolio di fa, mentre il secondo utilizza solo i
suoni fa, do, re aggiungendo la terza maggiore, il
la, solo nella cadenza. Si determina quindi
progressivamente un passaggio suggestivo:
pensando grossolanamente in termini pianistici, dai
tasti neri ai tasti bianchi, da un modo eolio a uno
ionio luminoso pur epurato dalla tensione dei
semitoni. Per metafora potremo quindi dire dalla
penombra alla luce, dal canto sommesso alla gioia
manifesta.
La Cantata termina proprio con questo
atteggiamento; la lode alla Trinità viene espressa con una
reiterazione più o meno regolare di sequenze armoniche
diatoniche che si sviluppano dal procedere per grado
congiunto delle parti estreme inizialmente a partire dal suono
la per poi spostarsi nelle ultime battute sul re. Moduli
ritmico-melodici passano con libertà dagli archi alle voci e
viceversa, arricchendo a ogni ripetizione quanto detto
precedentemente.
Alla luce di quanto visto finora è assai difficile poter
classificare l’opera di Durighello semplicemente come “musica
minimalista”. Senz’altro ricorrono alcuni elementi caratteristici
di questa corrente come la reiterazione di moduli ritmicomelodici, tecniche di defasaggio, e soprattutto la
semplificazione del linguaggio musicale in nome di un ascolto
più accessibile, tuttavia c’è anche molto altro. Prima di tutto
una consapevolezza storica delle forme musicali e dello
sviluppo armonico che evoca quella sensazione di “arcaica
contemporaneità” descritta precedentemente, e una personale
Parlare di minimalismo in
composizioni del genere potrebbe
risultare alquanto riduttivo.
ricerca spirituale che si traduce di volta in volta in una nuova
intuizione musicale.
Gli elementi minimalistici diventano perciò la cifra comune
dell’alternanza tra “stasi dinamica” e “movimento statico” che
caratterizza la ricerca contemplativa del credente-musicista.
8 European Academy
th
for choral conductors
Fano/ Italy - 6/ 13 settembre 2015
BACH & SCANDINAVIA
la comprensione della musica contemporanea
attraverso lo studio delle opere di Bach
Docente
Note
1. www.gianmartinodurighello.it
2. Nel corso del convegno “Incontri con l’autore” (Mel, 2010) in cui il maestro Durighello era invitato a descrivere il suo mondo
compositivo, egli stesso raccontò di come l’etichetta di minimalista che gli era stata assegnata era probabilmente il risultato
dell’entusiasmo con cui aveva scoperto la possibilità del “copia-incolla” negli attuali pc. Naturalmente si tratta di una battuta,
tuttavia è innegabile che l’utilizzo di determinati strumenti condizioni e direzioni la creatività.
3. http://www.couleurvocale.ch
Ragnar Rasmussen (Norvegia)
L’Accademia europea è una masterclass professionale aperta ai direttori, che si tiene a Fano, città marchigiana situata sulla costa
adriatica del centro Italia. I partecipanti avranno la possibilità di fare pratica di direzione con un coro laboratorio di alto livello, che sarà
a loro disposizione per tutta la durata del corso. L’Accademia si conclude con un concerto diretto dai partecipanti stessi.
www.feniarco.it
in collaborazione con
Comune di Fano
Coro Polifonico Malatestiano
Incontro Internazionale Polifonico Città di Fano
informazioni
Feniarco - Via Altan, 83/4 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected]
Feniarco
in collaborazione con
Arcom e con European Choral Association - Europa Cantat presenta
22
È interessante notare come questi due frammenti possano
essere considerati anche complementari l’uno all’altro dal
punto di vista armonico: il primo comincia utilizzando una
scala pentatonica (la b, si b, re b, mi b agli archi con aggiunta
del fa nelle parti vocali) che si rivela al termine dell’episodio
come un modo eolio di fa, mentre il secondo utilizza solo i
suoni fa, do, re aggiungendo la terza maggiore, il
la, solo nella cadenza. Si determina quindi
progressivamente un passaggio suggestivo:
pensando grossolanamente in termini pianistici, dai
tasti neri ai tasti bianchi, da un modo eolio a uno
ionio luminoso pur epurato dalla tensione dei
semitoni. Per metafora potremo quindi dire dalla
penombra alla luce, dal canto sommesso alla gioia
manifesta.
La Cantata termina proprio con questo
atteggiamento; la lode alla Trinità viene espressa con una
reiterazione più o meno regolare di sequenze armoniche
diatoniche che si sviluppano dal procedere per grado
congiunto delle parti estreme inizialmente a partire dal suono
la per poi spostarsi nelle ultime battute sul re. Moduli
ritmico-melodici passano con libertà dagli archi alle voci e
viceversa, arricchendo a ogni ripetizione quanto detto
precedentemente.
Alla luce di quanto visto finora è assai difficile poter
classificare l’opera di Durighello semplicemente come “musica
minimalista”. Senz’altro ricorrono alcuni elementi caratteristici
di questa corrente come la reiterazione di moduli ritmicomelodici, tecniche di defasaggio, e soprattutto la
semplificazione del linguaggio musicale in nome di un ascolto
più accessibile, tuttavia c’è anche molto altro. Prima di tutto
una consapevolezza storica delle forme musicali e dello
sviluppo armonico che evoca quella sensazione di “arcaica
contemporaneità” descritta precedentemente, e una personale
Parlare di minimalismo in
composizioni del genere potrebbe
risultare alquanto riduttivo.
ricerca spirituale che si traduce di volta in volta in una nuova
intuizione musicale.
Gli elementi minimalistici diventano perciò la cifra comune
dell’alternanza tra “stasi dinamica” e “movimento statico” che
caratterizza la ricerca contemplativa del credente-musicista.
8 European Academy
th
for choral conductors
Fano/ Italy - 6/ 13 settembre 2015
BACH & SCANDINAVIA
la comprensione della musica contemporanea
attraverso lo studio delle opere di Bach
Docente
Note
1. www.gianmartinodurighello.it
2. Nel corso del convegno “Incontri con l’autore” (Mel, 2010) in cui il maestro Durighello era invitato a descrivere il suo mondo
compositivo, egli stesso raccontò di come l’etichetta di minimalista che gli era stata assegnata era probabilmente il risultato
dell’entusiasmo con cui aveva scoperto la possibilità del “copia-incolla” negli attuali pc. Naturalmente si tratta di una battuta,
tuttavia è innegabile che l’utilizzo di determinati strumenti condizioni e direzioni la creatività.
3. http://www.couleurvocale.ch
Ragnar Rasmussen (Norvegia)
L’Accademia europea è una masterclass professionale aperta ai direttori, che si tiene a Fano, città marchigiana situata sulla costa
adriatica del centro Italia. I partecipanti avranno la possibilità di fare pratica di direzione con un coro laboratorio di alto livello, che sarà
a loro disposizione per tutta la durata del corso. L’Accademia si conclude con un concerto diretto dai partecipanti stessi.
www.feniarco.it
in collaborazione con
Comune di Fano
Coro Polifonico Malatestiano
Incontro Internazionale Polifonico Città di Fano
informazioni
Feniarco - Via Altan, 83/4 - 33078 San Vito al Tagliamento (Pn)
Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554 - [email protected]
24
aaron copland
in the beginning
per coro misto a cappella
e mezzosoprano solo
nova et vetera
lo stesso autore. Soltanto nel 1979, egli inserì nel catalogo
ufficiale delle sue opere queste quattro brevi composizioni,
ma con una certa riluttanza. Disse, infatti, Copland:
«Considero questi come i lavori di uno studente, influenzato
da Moussorgsky, che ho molto ammirato. Ho accettato di
pubblicarli per il valore che hanno di soddisfare una certa
curiosità – forse alla gente interessa conoscere quello che
facevo da studente – ma lo stile non è ancora il mio».
Eppure nei Four Motets – stiamo con la Boulanger: lavori
deliziosi! – leggiamo alcuni fondamentali punti di contatto con
In the Beginning: la scelta di testi biblici, l’organico del coro a
cappella, l’eloquente dedica di In the Beginning a Nadia
Boulanger. In merito a quest’ultimo punto, riportiamo quanto
ebbe a scrivere nel 1950 Copland alla stessa Boulanger:
«Reputo il nostro incontro come il più importante della mia
vita musicale […] Tutto ciò che ho fatto in seguito è
intimamente associato nella mia mente con quei primi anni e
con ciò che da allora voi avete rappresentato, in termini
d’ispirazione ed esempio».
Veniamo ora all’aprile del 1946, all’anno in cui il compositore
americano ricevette una commissione dal dipartimento di
musica di Harvard, il celebre istituto universitario di
Cambridge (Massachusetts), dal quale aveva già ottenuto, nel
1935 e nel 1944, due brevi incarichi d’insegnamento. La
commissione s’inseriva nel quadro delle manifestazioni
concertistiche organizzate a lato di un convegno di studi di
critica musicale, organizzato dal musicologo Arthur Tillman
Merritt, docente ad Harvard, esperto di musica rinascimentale
e, all’epoca, presidente del dipartimento di musica della
stessa università. In particolare, Tillman Merritt chiese a
Copland di comporre un pezzo per coro a cappella, su testo in
ebraico, di genere sacro o profano, per un concerto corale da
tenersi presso la Harvard Memorial Church. Oltre ad Aaron
Copland, l’università estese l’invito a
Paul Hindemith (un pezzo per coro e
ottoni) e a Ralph Vaughan Williams (un
pezzo per coro e organo).
Copland, sulle prime, cercò di ottenere
una commissione diversa da quella di
un’opera per coro a cappella. Preferiva
stare su un brano di musica da camera.
Ma l’organizzazione insistette, in quanto
intendeva sostenere la speciale
missione della Collegiate Chorale di New York, il coro già
incaricato dell’esecuzione del concerto. Si trattava di un
complesso vocale di prim’ordine, che si proponeva, tra l’altro,
come «strumento e banco di prova per nuove opere corali
americane e per stimolare la letteratura corale americana».
Fondatore e direttore della Collegiate Chorale era, l’allora
trentenne, Robert Shaw (1916-1999). Copland, infine, accettò.
«Ho avuto un bel coraggio nell’accettare la commissione per
un lavoro corale da presentare al Simposio sulla Critica
musicale del maggio 1947, non avendo mai composto un
brano per coro di così ampie dimensioni».
Messosi al lavoro, Copland rigettò subito l’idea di comporre su
25
un testo in ebraico. Nonostante le sue origini, non aveva
familiarità con questa lingua. Pertanto, preferì orientare la sua
scelta sulla Genesi I-II:7, nella tradizionale versione inglese di
King James. Al termine della composizione di In the Beginning,
Copland scrisse a Carlos Chavez, il compositore messicano
con il quale aveva stretto, in quegli anni, un solido legame
d’amicizia: «Il mio pezzo è concluso – grazie al cielo! … Ero
riluttante nell’utilizzazione di un testo biblico, ma non ho
potuto trovare niente di più adatto!». Sul piano religioso –
ricordiamolo – Copland era fondamentalmente un agnostico.
Fatto sta, che Copland si è messo alla prova con la
descrizione biblica della creazione universale. Un testo
alquanto esteso, che presenta ampia varietà d’immagini, e
aaron copland
di Mauro Zuccante
Aaron Copland (1900-1990). Parliamo del decano
dei compositori americani. Parliamo di un
musicista che, con le sue opere e le sue attività,
ha lasciato un’impronta indelebile nel solco della
vita musicale americana del secolo appena
passato.
Pur essendo ridotta all’osso, la produzione di
musica corale di Copland si qualifica per un paio
di lavori particolarmente significativi. I Four
Motets, del 1921, e, soprattutto, In the Beginning,
del 1947. Cito volutamente questi due titoli, in
quanto nel primo possiamo cogliere le premesse
del secondo, il brano che rappresenta l’oggetto di
questo articolo.
Copland compose i Four Motets (1. Help Us, O
Lord, 2. Sing Ye Praises To Our King, 3. Have
Mercy On us, O My Lord, 4. Though, O Jehovah,
Abideth Forever), per coro misto a cappella, nel
periodo di apprendistato trascorso a Parigi,
durante il quale ebbe modo di approfondire lo
studio della tradizione musicale europea, ma
– mentore Nadia Boulanger – godere anche
d’illuminanti aperture verso le più moderne
tendenze antiromantiche, che, all’epoca,
caratterizzavano gli ambienti musicali e artistici
della capitale francese.
I Four Motets possono essere considerati l’esito
di un compito che la Boulanger era solita
sottoporre ai suoi allievi. La celebre insegnante
riteneva, infatti, che la composizione di un
mottetto costituisse per lo studente un ottimo
esercizio. Una prova di equilibrio, da portare a
termine con pulizia di stile e attenzione al testo,
una prova circoscritta nell’ambito delle restrizioni
timbriche e di tessitura, che la scrittura corale a
cappella impone.
Nadia Boulanger apprezzò il lavoro del suo
allievo americano, tanto da curarne
personalmente l’esecuzione in ripetute occasioni.
Non altrettanto soddisfatto, invece, si manifestò
In the Beginning costituisce un punto
di riferimento fondamentale della musica
corale americana moderna.
notevole complessità sul piano teologico. Risultato fu una
composizione in un unico movimento, per mezzosoprano solo
e coro di voci miste (4-8 voci), di circa 15-18 minuti. Una
durata molto significativa nell’ambito della produzione corale
a cappella. Un lavoro di notevole impegno sul piano della
prestazione tecnico-vocale. Difficile da sostenere. Eppure, un
titolo che, oggi, i cori americani all’altezza, immancabilmente
vantano tra quelli del loro repertorio.
In the Beginning è sostanzialmente suddiviso in sette sezioni.
Segue, pari pari, la scansione temporale dei giorni impiegati
da Dio per compiere la creazione. Il pezzo ha termine con il
settimo versetto del II libro della Genesi, in cui si dice: «E il
24
aaron copland
in the beginning
per coro misto a cappella
e mezzosoprano solo
nova et vetera
lo stesso autore. Soltanto nel 1979, egli inserì nel catalogo
ufficiale delle sue opere queste quattro brevi composizioni,
ma con una certa riluttanza. Disse, infatti, Copland:
«Considero questi come i lavori di uno studente, influenzato
da Moussorgsky, che ho molto ammirato. Ho accettato di
pubblicarli per il valore che hanno di soddisfare una certa
curiosità – forse alla gente interessa conoscere quello che
facevo da studente – ma lo stile non è ancora il mio».
Eppure nei Four Motets – stiamo con la Boulanger: lavori
deliziosi! – leggiamo alcuni fondamentali punti di contatto con
In the Beginning: la scelta di testi biblici, l’organico del coro a
cappella, l’eloquente dedica di In the Beginning a Nadia
Boulanger. In merito a quest’ultimo punto, riportiamo quanto
ebbe a scrivere nel 1950 Copland alla stessa Boulanger:
«Reputo il nostro incontro come il più importante della mia
vita musicale […] Tutto ciò che ho fatto in seguito è
intimamente associato nella mia mente con quei primi anni e
con ciò che da allora voi avete rappresentato, in termini
d’ispirazione ed esempio».
Veniamo ora all’aprile del 1946, all’anno in cui il compositore
americano ricevette una commissione dal dipartimento di
musica di Harvard, il celebre istituto universitario di
Cambridge (Massachusetts), dal quale aveva già ottenuto, nel
1935 e nel 1944, due brevi incarichi d’insegnamento. La
commissione s’inseriva nel quadro delle manifestazioni
concertistiche organizzate a lato di un convegno di studi di
critica musicale, organizzato dal musicologo Arthur Tillman
Merritt, docente ad Harvard, esperto di musica rinascimentale
e, all’epoca, presidente del dipartimento di musica della
stessa università. In particolare, Tillman Merritt chiese a
Copland di comporre un pezzo per coro a cappella, su testo in
ebraico, di genere sacro o profano, per un concerto corale da
tenersi presso la Harvard Memorial Church. Oltre ad Aaron
Copland, l’università estese l’invito a
Paul Hindemith (un pezzo per coro e
ottoni) e a Ralph Vaughan Williams (un
pezzo per coro e organo).
Copland, sulle prime, cercò di ottenere
una commissione diversa da quella di
un’opera per coro a cappella. Preferiva
stare su un brano di musica da camera.
Ma l’organizzazione insistette, in quanto
intendeva sostenere la speciale
missione della Collegiate Chorale di New York, il coro già
incaricato dell’esecuzione del concerto. Si trattava di un
complesso vocale di prim’ordine, che si proponeva, tra l’altro,
come «strumento e banco di prova per nuove opere corali
americane e per stimolare la letteratura corale americana».
Fondatore e direttore della Collegiate Chorale era, l’allora
trentenne, Robert Shaw (1916-1999). Copland, infine, accettò.
«Ho avuto un bel coraggio nell’accettare la commissione per
un lavoro corale da presentare al Simposio sulla Critica
musicale del maggio 1947, non avendo mai composto un
brano per coro di così ampie dimensioni».
Messosi al lavoro, Copland rigettò subito l’idea di comporre su
25
un testo in ebraico. Nonostante le sue origini, non aveva
familiarità con questa lingua. Pertanto, preferì orientare la sua
scelta sulla Genesi I-II:7, nella tradizionale versione inglese di
King James. Al termine della composizione di In the Beginning,
Copland scrisse a Carlos Chavez, il compositore messicano
con il quale aveva stretto, in quegli anni, un solido legame
d’amicizia: «Il mio pezzo è concluso – grazie al cielo! … Ero
riluttante nell’utilizzazione di un testo biblico, ma non ho
potuto trovare niente di più adatto!». Sul piano religioso –
ricordiamolo – Copland era fondamentalmente un agnostico.
Fatto sta, che Copland si è messo alla prova con la
descrizione biblica della creazione universale. Un testo
alquanto esteso, che presenta ampia varietà d’immagini, e
aaron copland
di Mauro Zuccante
Aaron Copland (1900-1990). Parliamo del decano
dei compositori americani. Parliamo di un
musicista che, con le sue opere e le sue attività,
ha lasciato un’impronta indelebile nel solco della
vita musicale americana del secolo appena
passato.
Pur essendo ridotta all’osso, la produzione di
musica corale di Copland si qualifica per un paio
di lavori particolarmente significativi. I Four
Motets, del 1921, e, soprattutto, In the Beginning,
del 1947. Cito volutamente questi due titoli, in
quanto nel primo possiamo cogliere le premesse
del secondo, il brano che rappresenta l’oggetto di
questo articolo.
Copland compose i Four Motets (1. Help Us, O
Lord, 2. Sing Ye Praises To Our King, 3. Have
Mercy On us, O My Lord, 4. Though, O Jehovah,
Abideth Forever), per coro misto a cappella, nel
periodo di apprendistato trascorso a Parigi,
durante il quale ebbe modo di approfondire lo
studio della tradizione musicale europea, ma
– mentore Nadia Boulanger – godere anche
d’illuminanti aperture verso le più moderne
tendenze antiromantiche, che, all’epoca,
caratterizzavano gli ambienti musicali e artistici
della capitale francese.
I Four Motets possono essere considerati l’esito
di un compito che la Boulanger era solita
sottoporre ai suoi allievi. La celebre insegnante
riteneva, infatti, che la composizione di un
mottetto costituisse per lo studente un ottimo
esercizio. Una prova di equilibrio, da portare a
termine con pulizia di stile e attenzione al testo,
una prova circoscritta nell’ambito delle restrizioni
timbriche e di tessitura, che la scrittura corale a
cappella impone.
Nadia Boulanger apprezzò il lavoro del suo
allievo americano, tanto da curarne
personalmente l’esecuzione in ripetute occasioni.
Non altrettanto soddisfatto, invece, si manifestò
In the Beginning costituisce un punto
di riferimento fondamentale della musica
corale americana moderna.
notevole complessità sul piano teologico. Risultato fu una
composizione in un unico movimento, per mezzosoprano solo
e coro di voci miste (4-8 voci), di circa 15-18 minuti. Una
durata molto significativa nell’ambito della produzione corale
a cappella. Un lavoro di notevole impegno sul piano della
prestazione tecnico-vocale. Difficile da sostenere. Eppure, un
titolo che, oggi, i cori americani all’altezza, immancabilmente
vantano tra quelli del loro repertorio.
In the Beginning è sostanzialmente suddiviso in sette sezioni.
Segue, pari pari, la scansione temporale dei giorni impiegati
da Dio per compiere la creazione. Il pezzo ha termine con il
settimo versetto del II libro della Genesi, in cui si dice: «E il
nova et vetera
26
Terzo giorno. La terra è resa feconda («E Dio disse: “La terra
produca germogli…”»). Prima la voce del mezzosoprano e,
quindi, quelle del coro dipanano una fluente spirale melodica
attorno alle note di una triade, un disegno sempre derivato
dal motivo primordiale.
Signore Iddio creò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò
nelle narici un alito vitale, e l’uomo divenne un essere
vivente».
Ciascun giorno inizia con le pronunciazioni del mezzosoprano
solista e si chiude con un refrain sillabico e cadenzante del
coro, che ripete la formula: «E fu sera e fu mattina, il primo
[secondo, terzo, …] giorno». Ogni volta questa formulaimpronta si sposta su un piano tonale più elevato (do bem.,
re bem., re, mi bem., fa diesis, sol). Un segno degli
spostamenti dell’ambito tonale, che si susseguono a più
riprese nel pezzo. Spostamenti che, naturalmente, si attuano
per giustapposizione e non attraverso graduali passaggi
modulanti.
Sul prolungamento dell’ultimo accordo di ogni refrain del coro
il mezzosoprano riprende la narrazione del giorno successivo.
Per la maggior parte del pezzo gli interventi del
mezzosoprano si alternano con quelli del coro, il quale reitera
e dilata gli spunti melodici della voce solista. Insomma,
episodi che si susseguono a riprese, un po’ come nella forma
del rondò.
Seguiamo, passo passo, l’opera di Aaron Copland.
Primo giorno. «In principio Dio creò il cielo e la terra».
Il mezzosoprano solista intona un motivo (in stile recitativo –
o meglio, com’è indicato in partitura, «In modo gentile,
narrativo, come la lettura di una storia familiare e spesso
raccontata»), che costituisce lo spunto tematico originario
anche degli episodi successivi. Il motivo di apertura (che
chiameremo motivo primordiale), così netto e conciso, è
emblematico dell’esposizione del materiale melodico
tipicamente minimalista di Copland.
Quarto giorno. Rapidità di movimento e vivacità d’accenti
infiammano la dimensione ritmica, in consonanza con la
creazione del sole, della luna e delle stelle («Dio disse: “Ci
siano luci nel firmamento del cielo…”»). S’avverte la lezione di
Stravinsky e dei ritmi jazzistici. S’accendono, nelle sezioni del
coro, bagliori che illuminano lo sfondo. Ha detto lo stesso
Copland: «Questo lavoro non incorpora materiali folk o jazz,
ma ho usato i ritmi jazz in varie sezioni».
Sesto giorno. Dio crea l’uomo a sua somiglianza («E Dio
disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine…”»). Momento
topico, sottolineato dalle voci che si raccolgono in un vigoroso
unisono. Fulcro della narrazione, che il compositore intende
sottolineare con grande enfasi.
Una portentosa e spettacolare scala (in open chords)
attraversa l’intera tessitura, dall’estremo acuto a quello grave.
Il dominio dell’uomo sulle altre creature è ben raffigurato
(«…[l’uomo] domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo,
sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili
che strisciano sulla terra»).
Secondo giorno. La separazione della terra dalle acque («Dio
fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il
firmamento…») è descritta da un movimento di terzine delle
voci del coro, divise in un gioco di entrate in stretta
imitazione.
Si spezza il coro in uno stringato botta e risposta polimetrico,
a due a due. È sempre il parametro ritmico a risaltare («E così
avvenne»).
La fitta trama si conclude con un possente unisono sulle
parole «And it was so», altro motto melodico-testuale, dagli
ampi intervalli, che ricorre al termine di ogni azione divina.
Gradualmente la materia indefinita, sulla quale aleggia lo
spirito di Dio, assume fattezza («…E la luce fu», «…E Dio
chiamò la luce giorno, e le tenebre notte»). Allo stesso modo,
l’espressione musicale prende forma, a partire dalla monodia,
al bicinium, al tricinium, fino alla pienezza accordale delle
quattro sezioni del coro.
27
Quinto giorno. Ampio pannello corale per la comparsa degli
animali («Dio disse: “Le acque brulichino di esseri viventi e
uccelli volino sopra la terra…”»). Le voci superiori del coro si
distendono in un flusso melodico. Ancora un’estensione del
motivo primordiale in canone libero. Il basso procede
ondeggiando con ampiezza. Sono i primi movimenti delle
creature nell’acqua, sulla terra e in cielo.
Narra, quindi, il coro il termine della creazione («Dio vide
quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona…»).
Settimo giorno. Il giorno del riposo di Dio. In partitura,
un’intera battuta di pausa con corona. È la benedizione del
sabato («Così furono portati a compimento il cielo e la terra e
tutte le loro schiere»), liricamente evocata attraverso le note
di un sereno, ma fervente corale omoritmico, le cui semplici
triadi sono associate secondo una libera consequenzialità di
reminiscenza modale.
Ancora un intervento – come una cadenza – del
mezzosoprano solo, prima dell’apoteosi conclusiva. «Una coda
finale in cui tutte le voci sono spinte verso il limite acuto della
tessitura, indirizzando la composizione verso un climax che
speravo avrebbe ben rappresentato il testo “E l’uomo divenne
un essere vivente” in termini musicali». La tensione, infatti,
cresce. Le sezioni del coro si moltiplicano, si dividono in otto
parti. Il parossismo raggiunge il suo culmine sull’energica e
luminosa apertura della triade di mi bemolle che conclude la
composizione («… [Dio] soffiò nelle sue narici un alito di vita e
l’uomo divenne un essere vivente»).
nova et vetera
26
Terzo giorno. La terra è resa feconda («E Dio disse: “La terra
produca germogli…”»). Prima la voce del mezzosoprano e,
quindi, quelle del coro dipanano una fluente spirale melodica
attorno alle note di una triade, un disegno sempre derivato
dal motivo primordiale.
Signore Iddio creò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò
nelle narici un alito vitale, e l’uomo divenne un essere
vivente».
Ciascun giorno inizia con le pronunciazioni del mezzosoprano
solista e si chiude con un refrain sillabico e cadenzante del
coro, che ripete la formula: «E fu sera e fu mattina, il primo
[secondo, terzo, …] giorno». Ogni volta questa formulaimpronta si sposta su un piano tonale più elevato (do bem.,
re bem., re, mi bem., fa diesis, sol). Un segno degli
spostamenti dell’ambito tonale, che si susseguono a più
riprese nel pezzo. Spostamenti che, naturalmente, si attuano
per giustapposizione e non attraverso graduali passaggi
modulanti.
Sul prolungamento dell’ultimo accordo di ogni refrain del coro
il mezzosoprano riprende la narrazione del giorno successivo.
Per la maggior parte del pezzo gli interventi del
mezzosoprano si alternano con quelli del coro, il quale reitera
e dilata gli spunti melodici della voce solista. Insomma,
episodi che si susseguono a riprese, un po’ come nella forma
del rondò.
Seguiamo, passo passo, l’opera di Aaron Copland.
Primo giorno. «In principio Dio creò il cielo e la terra».
Il mezzosoprano solista intona un motivo (in stile recitativo –
o meglio, com’è indicato in partitura, «In modo gentile,
narrativo, come la lettura di una storia familiare e spesso
raccontata»), che costituisce lo spunto tematico originario
anche degli episodi successivi. Il motivo di apertura (che
chiameremo motivo primordiale), così netto e conciso, è
emblematico dell’esposizione del materiale melodico
tipicamente minimalista di Copland.
Quarto giorno. Rapidità di movimento e vivacità d’accenti
infiammano la dimensione ritmica, in consonanza con la
creazione del sole, della luna e delle stelle («Dio disse: “Ci
siano luci nel firmamento del cielo…”»). S’avverte la lezione di
Stravinsky e dei ritmi jazzistici. S’accendono, nelle sezioni del
coro, bagliori che illuminano lo sfondo. Ha detto lo stesso
Copland: «Questo lavoro non incorpora materiali folk o jazz,
ma ho usato i ritmi jazz in varie sezioni».
Sesto giorno. Dio crea l’uomo a sua somiglianza («E Dio
disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine…”»). Momento
topico, sottolineato dalle voci che si raccolgono in un vigoroso
unisono. Fulcro della narrazione, che il compositore intende
sottolineare con grande enfasi.
Una portentosa e spettacolare scala (in open chords)
attraversa l’intera tessitura, dall’estremo acuto a quello grave.
Il dominio dell’uomo sulle altre creature è ben raffigurato
(«…[l’uomo] domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo,
sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili
che strisciano sulla terra»).
Secondo giorno. La separazione della terra dalle acque («Dio
fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il
firmamento…») è descritta da un movimento di terzine delle
voci del coro, divise in un gioco di entrate in stretta
imitazione.
Si spezza il coro in uno stringato botta e risposta polimetrico,
a due a due. È sempre il parametro ritmico a risaltare («E così
avvenne»).
La fitta trama si conclude con un possente unisono sulle
parole «And it was so», altro motto melodico-testuale, dagli
ampi intervalli, che ricorre al termine di ogni azione divina.
Gradualmente la materia indefinita, sulla quale aleggia lo
spirito di Dio, assume fattezza («…E la luce fu», «…E Dio
chiamò la luce giorno, e le tenebre notte»). Allo stesso modo,
l’espressione musicale prende forma, a partire dalla monodia,
al bicinium, al tricinium, fino alla pienezza accordale delle
quattro sezioni del coro.
27
Quinto giorno. Ampio pannello corale per la comparsa degli
animali («Dio disse: “Le acque brulichino di esseri viventi e
uccelli volino sopra la terra…”»). Le voci superiori del coro si
distendono in un flusso melodico. Ancora un’estensione del
motivo primordiale in canone libero. Il basso procede
ondeggiando con ampiezza. Sono i primi movimenti delle
creature nell’acqua, sulla terra e in cielo.
Narra, quindi, il coro il termine della creazione («Dio vide
quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona…»).
Settimo giorno. Il giorno del riposo di Dio. In partitura,
un’intera battuta di pausa con corona. È la benedizione del
sabato («Così furono portati a compimento il cielo e la terra e
tutte le loro schiere»), liricamente evocata attraverso le note
di un sereno, ma fervente corale omoritmico, le cui semplici
triadi sono associate secondo una libera consequenzialità di
reminiscenza modale.
Ancora un intervento – come una cadenza – del
mezzosoprano solo, prima dell’apoteosi conclusiva. «Una coda
finale in cui tutte le voci sono spinte verso il limite acuto della
tessitura, indirizzando la composizione verso un climax che
speravo avrebbe ben rappresentato il testo “E l’uomo divenne
un essere vivente” in termini musicali». La tensione, infatti,
cresce. Le sezioni del coro si moltiplicano, si dividono in otto
parti. Il parossismo raggiunge il suo culmine sull’energica e
luminosa apertura della triade di mi bemolle che conclude la
composizione («… [Dio] soffiò nelle sue narici un alito di vita e
l’uomo divenne un essere vivente»).
28
In the Beginning, dunque, venne eseguito per la prima volta, presso la
Harvard Memorial Church, il 2 maggio 1947. Nel programma del concerto,
esso fu preceduto dalla prima esecuzione di La terra di Gian Francesco
Malipiero (che, nel frattempo, aveva sostituito Vaughan Williams), una cantata
pastorale per coro e organo, su testo tratto dalle Georgiche di Virgilio. A
conclusione del programma, fu confermato, invece, il contributo di Paul
Hindemith, con la prima assoluta di Apparebit repentina dies, per coro e
ottoni.
«Bob Shaw ha fatto un ottimo lavoro con il mio nuovo pezzo per coro»,
scrisse Copland al suo pupillo Leonard Bernstein, subito dopo la prima
esecuzione. «Mi è sembrato che molti lo abbiano apprezzato, ma la stampa
non se n’è molto interessata». Il solito abbaglio degli esperti, se si considera
il consenso che l’opera ha conosciuto in seguito.
Robert Shaw, due anni più tardi (1949), sempre alla testa della Collegiate
Chorale, diresse, presso la Carnegie Hall, la prima esecuzione newyorkese di
In the Beginning. Passarono ancora due anni (1951), prima che Copland
medesimo ne dirigesse una suggestiva esecuzione in Israele, sulle sponde del
Lago di Galilea.
Forse, In the Beginning non è un capolavoro assoluto, ma, di certo,
costituisce un punto di riferimento fondamentale della musica corale
americana moderna.
La maniera attuale assai diffusa – citiamo, per intenderci, quella di epigoni
come Morten Lauridsen ed Eric Withacre – deve molto all’azione di sintesi
elaborata dal linguaggio musicale di Copland, fusione di folk americano, jazz,
tradizione classica e modernismi acquisiti dalla musica europea. Una
tendenza estetica caratterizzata
da un sound aperto, concepito
sulla base di discontinui, ma
lenti, cambi dell’orizzonte
armonico. Un linguaggio
elaborato dal compositore
americano al fine di mettere a
punto uno stile accessibile
(vernacular style). L’insieme di
queste specificità sono
pienamente contenute e
facilmente riconoscibili nella
partitura di In the Beginning.
La storia di In the Beginning insegna anche che un bravo direttore di coro
come Robert Shaw ha saputo impersonare un ruolo di grande stimolo per i
compositori americani contemporanei, mettendo a loro disposizione capacità
e competenze ai massimi livelli. Requisiti indispensabili, per poter condividere
ed esibire al meglio un’idea della musica corale, in grado di interpretare ed
esprimere efficacemente l’immaginario di un’intera collettività e di un’epoca.
nella programmazione
di Padiglione Italia
a Expo Milano 2015
Un linguaggio elaborato
dal compositore americano
al fine di mettere a punto
uno stile accessibile.
organizzato da
28
In the Beginning, dunque, venne eseguito per la prima volta, presso la
Harvard Memorial Church, il 2 maggio 1947. Nel programma del concerto,
esso fu preceduto dalla prima esecuzione di La terra di Gian Francesco
Malipiero (che, nel frattempo, aveva sostituito Vaughan Williams), una cantata
pastorale per coro e organo, su testo tratto dalle Georgiche di Virgilio. A
conclusione del programma, fu confermato, invece, il contributo di Paul
Hindemith, con la prima assoluta di Apparebit repentina dies, per coro e
ottoni.
«Bob Shaw ha fatto un ottimo lavoro con il mio nuovo pezzo per coro»,
scrisse Copland al suo pupillo Leonard Bernstein, subito dopo la prima
esecuzione. «Mi è sembrato che molti lo abbiano apprezzato, ma la stampa
non se n’è molto interessata». Il solito abbaglio degli esperti, se si considera
il consenso che l’opera ha conosciuto in seguito.
Robert Shaw, due anni più tardi (1949), sempre alla testa della Collegiate
Chorale, diresse, presso la Carnegie Hall, la prima esecuzione newyorkese di
In the Beginning. Passarono ancora due anni (1951), prima che Copland
medesimo ne dirigesse una suggestiva esecuzione in Israele, sulle sponde del
Lago di Galilea.
Forse, In the Beginning non è un capolavoro assoluto, ma, di certo,
costituisce un punto di riferimento fondamentale della musica corale
americana moderna.
La maniera attuale assai diffusa – citiamo, per intenderci, quella di epigoni
come Morten Lauridsen ed Eric Withacre – deve molto all’azione di sintesi
elaborata dal linguaggio musicale di Copland, fusione di folk americano, jazz,
tradizione classica e modernismi acquisiti dalla musica europea. Una
tendenza estetica caratterizzata
da un sound aperto, concepito
sulla base di discontinui, ma
lenti, cambi dell’orizzonte
armonico. Un linguaggio
elaborato dal compositore
americano al fine di mettere a
punto uno stile accessibile
(vernacular style). L’insieme di
queste specificità sono
pienamente contenute e
facilmente riconoscibili nella
partitura di In the Beginning.
La storia di In the Beginning insegna anche che un bravo direttore di coro
come Robert Shaw ha saputo impersonare un ruolo di grande stimolo per i
compositori americani contemporanei, mettendo a loro disposizione capacità
e competenze ai massimi livelli. Requisiti indispensabili, per poter condividere
ed esibire al meglio un’idea della musica corale, in grado di interpretare ed
esprimere efficacemente l’immaginario di un’intera collettività e di un’epoca.
nella programmazione
di Padiglione Italia
a Expo Milano 2015
Un linguaggio elaborato
dal compositore americano
al fine di mettere a punto
uno stile accessibile.
organizzato da
choraldisC
benedictus dominus
POLIFONIA SACRA IN PUGLIA
31
Pomponio Nenna, Responsorii di Natale a quattro voci
La prima stesura dell’opera comprendente sia i Responsorii di
Natale che quelli di Settimana Santa a quattro voci di
Pomponio Nenna, vide la luce grazie all’impulso mecenatistico
di Alessandro Miroballo1 marchese di Bracigliano, giovane
d’età e di blasone, uomo devoto e compositore dilettante egli
stesso, il quale già artefice di altri patrocinii, ne favorì la
stampa presso la tipografia del napoletano Sottile nel 1607.
Dovettero poi passare altri quindici anni perché Pietro Paolo
Riccio, «havendo con l’esperienza di molti anni conosciuto di
quanta comodità e soddisfattione siano al mondo questi
Responsorij nelle festività della Natività del Signore e della
Settimana Santa»2 ne riproponesse, postuma, la ristampa nei
tipi di Ottavio Beltrano con l’aggiunta di un libro-parte per il
basso continuo al fine di renderne «maggiormente grata, e
commoda»2 l’esecuzione agli organisti del tempo.
Il primo dei riferimenti alla dedica – in contrasto con il parere
di A. Pompilio che la ritiene «un’opera in posizione defilata
nella produzione»3 del compositore barese – lascerebbe
ipotizzare che nel periodo precedente al
1622 questo lavoro del Nenna abbia invece
goduto, seppur circoscritte agli ambiti
territoriali nei quali il Riccio operava, di
discreta notorietà e ampia diffusione e che
abbia ricevuto il lusinghiero
apprezzamento del popolo e della
comunità ecclesiastica in occasione delle
solenni funzioni delle due più importanti
festività del calendario liturgico.
Il secondo riferimento tende a rimarcare
come, dopo i Cento concerti ecclesiastici di
Lodovico Da Viadana del 1602, in molta
musica sacra dei primi decenni del ’600 la
pratica del basso continuo fosse ormai divenuta una
consuetudine per i tastieristi e gli organisti dell’epoca
permettendo loro di utilizzare, per l’accompagnamento, la
parte più grave invece della scomoda partitura con tutte le
parti riunite; l’editoria musicale seguì con grande attenzione
questa evoluzione presagendo una sicura espansione del
mercato: la stessa ristampa dei Responsorii fortemente
sostenuta dal Riccio e dedicata al reverendo Padre Tommaso
Pucci, organista del Convento Reale di S. Domenico Maggiore
a Napoli, fu infatti prodotta con immediato favore dal
Beltrano il quale prevedeva una loro capillare diffusione che
partendo da quella più rinomata sarebbe terminata alle più
periferiche chiese del Regno.
preceduti da una Lectio recitata. Nella versione del 1622 a cui
questa incisione fa riferimento, sono presenti – soltanto nel
Tertio Nocturno – due anziché tre composizioni in “stile di
motetto” a cui fanno seguito tre Lodi del Mattutino (Te Deus
Laudamus, Benedictus Dominus, Miserere mei) composte da
Nenna secondo la prassi dell’alternatim ovvero con la
successione di versetti in polifonia e in gregoriano; purtroppo
la terza di queste Lodi, il Miserere, è a noi giunta incompleta
e quindi inemendabile e pertanto non è compresa in questa
incisione.
Riguardo alla forma i Responsorii di Natale a quattro voci di
Nenna presentano la struttura tipica del mottetto
responsoriale gallicano caratterizzata dalle tre sezioni di
responso, versetto, repetenda inteso – quest’ultimo – come
emistichio conclusivo del responso.
Per ciò che concerne gli stili compositivi, negli otto responsori
vengono utilizzate in modo equilibrato sia le scritture
omofonica che contrappuntistico-imitativa a differenza delle
Lodi in cui la pronuncia sillabica dei versi polifonici produce
L’Officium In Nativitate Domini
È plausibile immaginare che il rito, che si svolge nell’arco
temporale a cavallo della mezzanotte di Natale (ad
matutinum), fosse articolato in tre distinti momenti (Nocturni)
strutturati in maniera identica.
Ognuno di questi prevede al suo interno la sequenza cantata
Antifona/Salmo ripetuta per tre volte e seguita da un
versetto, a cui si aggiungono tre Responsori polifonici
1.A. Pompilio, Prefazione “I madrigali a quattro voci
di Pomponio Nenna”, Firenze 1983, p. 21.
2.P. Nenna, estratti dalla dedica dei Responsorii di
Natale e di Settimana Santa a quattro voci,
Napoli 1622.
3.A. Pompilio, p. 22
I Responsori di Natale danno una
precisa idea della levatura stilistica
del Nenna evidenziando la sapiente e
raffinata competenza da lui raggiunta
nella tecnica del contrappunto.
benedictus
di Sergio Lella
Rocco Rodio, Missa Adieu mes amours sex vocibus
La messa-parodia, genere praticato tra XV e XVI secolo, è basata sull’elaborazione di un cantus
firmus profano o sacro; il Missarum Decem del barese Rocco Rodio è una raccolta di importanza
fondamentale per questo genere, a cavallo dei due secoli.
Nella Missa Adieu mes amours sex vocibus Rodio rielabora il materiale tematico della celebre
chanson di Josquin Desprez, a sua volta frutto di un’elaborazione polifonica dell’omonima
melodia popolare, tramandata dal Manuscripte de Bayeux, raccolta di canzoni del periodo
medievale dell’area nord-occidentale francese.
L’inconfondibile canto fermo pervade e caratterizza gli incipit di tutto l’ordinarium scritto da
Rodio, manifestandosi in maniera decisa già nel Kyrie iniziale ove compare per ben quattordici
volte nelle sole prime trentotto battute!
L’organico della Messa è a sei voci, ma come di consuetudine per oltre un secolo, il registro
viene ridotto e ampliato in alcuni momenti: da sei a quattro voci tanto nel Crucifixus (che perde
due voci gravi) che nel Benedictus (che perde una voce acuta e una grave), passando invece a
un ampliamento a otto voci nell’Agnus Dei (con l’aggiunta di un tenore e di un basso).
Riguardo all’Agnus Dei si osserva la fedele adesione di Rodio alle consuetudini formali
dell’epoca che prevedevano, a conclusione della Messa, l’utilizzo di raffinate tecniche
compositive, quali canoni doppi e tripli, per augmentatione, ecc. Qui l’ultima sezione della
Messa si presenta come un’equilibrata costruzione, interessante e suggestiva anche sotto
l’aspetto grafico: la linea-tema affidata alla terza voce intesse un canone con la seconda e la
quarta secondo ben definiti rapporti (in subdiapente e in diatesseron), si intreccia con un
diverso soggetto in canone tra sesta e settima voce, coinvolgendo in ultimo le tre rimanenti
parti libere.
una sorta di recitativo-omoritmico che, insieme a successioni
armoniche semplici, ne fa delle composizioni, per quel tempo,
alla portata di cappelle musicali con capacità probabilmente
modeste.
L’incipit, nella maggioranza delle composizioni a mottetto, è
omoritmico e si presenta con figurazioni stereotipate a note
larghe o puntate, sulle parole tri- e bi-sillabiche Hodie,
Verbum, Sancta, Quem; i soli responsori Beata viscera Maria
Note
choraldisC
benedictus dominus
POLIFONIA SACRA IN PUGLIA
31
Pomponio Nenna, Responsorii di Natale a quattro voci
La prima stesura dell’opera comprendente sia i Responsorii di
Natale che quelli di Settimana Santa a quattro voci di
Pomponio Nenna, vide la luce grazie all’impulso mecenatistico
di Alessandro Miroballo1 marchese di Bracigliano, giovane
d’età e di blasone, uomo devoto e compositore dilettante egli
stesso, il quale già artefice di altri patrocinii, ne favorì la
stampa presso la tipografia del napoletano Sottile nel 1607.
Dovettero poi passare altri quindici anni perché Pietro Paolo
Riccio, «havendo con l’esperienza di molti anni conosciuto di
quanta comodità e soddisfattione siano al mondo questi
Responsorij nelle festività della Natività del Signore e della
Settimana Santa»2 ne riproponesse, postuma, la ristampa nei
tipi di Ottavio Beltrano con l’aggiunta di un libro-parte per il
basso continuo al fine di renderne «maggiormente grata, e
commoda»2 l’esecuzione agli organisti del tempo.
Il primo dei riferimenti alla dedica – in contrasto con il parere
di A. Pompilio che la ritiene «un’opera in posizione defilata
nella produzione»3 del compositore barese – lascerebbe
ipotizzare che nel periodo precedente al
1622 questo lavoro del Nenna abbia invece
goduto, seppur circoscritte agli ambiti
territoriali nei quali il Riccio operava, di
discreta notorietà e ampia diffusione e che
abbia ricevuto il lusinghiero
apprezzamento del popolo e della
comunità ecclesiastica in occasione delle
solenni funzioni delle due più importanti
festività del calendario liturgico.
Il secondo riferimento tende a rimarcare
come, dopo i Cento concerti ecclesiastici di
Lodovico Da Viadana del 1602, in molta
musica sacra dei primi decenni del ’600 la
pratica del basso continuo fosse ormai divenuta una
consuetudine per i tastieristi e gli organisti dell’epoca
permettendo loro di utilizzare, per l’accompagnamento, la
parte più grave invece della scomoda partitura con tutte le
parti riunite; l’editoria musicale seguì con grande attenzione
questa evoluzione presagendo una sicura espansione del
mercato: la stessa ristampa dei Responsorii fortemente
sostenuta dal Riccio e dedicata al reverendo Padre Tommaso
Pucci, organista del Convento Reale di S. Domenico Maggiore
a Napoli, fu infatti prodotta con immediato favore dal
Beltrano il quale prevedeva una loro capillare diffusione che
partendo da quella più rinomata sarebbe terminata alle più
periferiche chiese del Regno.
preceduti da una Lectio recitata. Nella versione del 1622 a cui
questa incisione fa riferimento, sono presenti – soltanto nel
Tertio Nocturno – due anziché tre composizioni in “stile di
motetto” a cui fanno seguito tre Lodi del Mattutino (Te Deus
Laudamus, Benedictus Dominus, Miserere mei) composte da
Nenna secondo la prassi dell’alternatim ovvero con la
successione di versetti in polifonia e in gregoriano; purtroppo
la terza di queste Lodi, il Miserere, è a noi giunta incompleta
e quindi inemendabile e pertanto non è compresa in questa
incisione.
Riguardo alla forma i Responsorii di Natale a quattro voci di
Nenna presentano la struttura tipica del mottetto
responsoriale gallicano caratterizzata dalle tre sezioni di
responso, versetto, repetenda inteso – quest’ultimo – come
emistichio conclusivo del responso.
Per ciò che concerne gli stili compositivi, negli otto responsori
vengono utilizzate in modo equilibrato sia le scritture
omofonica che contrappuntistico-imitativa a differenza delle
Lodi in cui la pronuncia sillabica dei versi polifonici produce
L’Officium In Nativitate Domini
È plausibile immaginare che il rito, che si svolge nell’arco
temporale a cavallo della mezzanotte di Natale (ad
matutinum), fosse articolato in tre distinti momenti (Nocturni)
strutturati in maniera identica.
Ognuno di questi prevede al suo interno la sequenza cantata
Antifona/Salmo ripetuta per tre volte e seguita da un
versetto, a cui si aggiungono tre Responsori polifonici
1.A. Pompilio, Prefazione “I madrigali a quattro voci
di Pomponio Nenna”, Firenze 1983, p. 21.
2.P. Nenna, estratti dalla dedica dei Responsorii di
Natale e di Settimana Santa a quattro voci,
Napoli 1622.
3.A. Pompilio, p. 22
I Responsori di Natale danno una
precisa idea della levatura stilistica
del Nenna evidenziando la sapiente e
raffinata competenza da lui raggiunta
nella tecnica del contrappunto.
benedictus
di Sergio Lella
Rocco Rodio, Missa Adieu mes amours sex vocibus
La messa-parodia, genere praticato tra XV e XVI secolo, è basata sull’elaborazione di un cantus
firmus profano o sacro; il Missarum Decem del barese Rocco Rodio è una raccolta di importanza
fondamentale per questo genere, a cavallo dei due secoli.
Nella Missa Adieu mes amours sex vocibus Rodio rielabora il materiale tematico della celebre
chanson di Josquin Desprez, a sua volta frutto di un’elaborazione polifonica dell’omonima
melodia popolare, tramandata dal Manuscripte de Bayeux, raccolta di canzoni del periodo
medievale dell’area nord-occidentale francese.
L’inconfondibile canto fermo pervade e caratterizza gli incipit di tutto l’ordinarium scritto da
Rodio, manifestandosi in maniera decisa già nel Kyrie iniziale ove compare per ben quattordici
volte nelle sole prime trentotto battute!
L’organico della Messa è a sei voci, ma come di consuetudine per oltre un secolo, il registro
viene ridotto e ampliato in alcuni momenti: da sei a quattro voci tanto nel Crucifixus (che perde
due voci gravi) che nel Benedictus (che perde una voce acuta e una grave), passando invece a
un ampliamento a otto voci nell’Agnus Dei (con l’aggiunta di un tenore e di un basso).
Riguardo all’Agnus Dei si osserva la fedele adesione di Rodio alle consuetudini formali
dell’epoca che prevedevano, a conclusione della Messa, l’utilizzo di raffinate tecniche
compositive, quali canoni doppi e tripli, per augmentatione, ecc. Qui l’ultima sezione della
Messa si presenta come un’equilibrata costruzione, interessante e suggestiva anche sotto
l’aspetto grafico: la linea-tema affidata alla terza voce intesse un canone con la seconda e la
quarta secondo ben definiti rapporti (in subdiapente e in diatesseron), si intreccia con un
diverso soggetto in canone tra sesta e settima voce, coinvolgendo in ultimo le tre rimanenti
parti libere.
una sorta di recitativo-omoritmico che, insieme a successioni
armoniche semplici, ne fa delle composizioni, per quel tempo,
alla portata di cappelle musicali con capacità probabilmente
modeste.
L’incipit, nella maggioranza delle composizioni a mottetto, è
omoritmico e si presenta con figurazioni stereotipate a note
larghe o puntate, sulle parole tri- e bi-sillabiche Hodie,
Verbum, Sancta, Quem; i soli responsori Beata viscera Maria
Note
32
+ notizie>
BENEDICTUS DOMINUS
Polifonia sacra in Puglia
Ensemble Vocale Palazzo Incantato
direttore, Sergio Lella
Rocco Rodio (Bari c. 1535 - ? dopo 1615)
Missa Adieu mes amours sex vocibus
1. 2.
3. 4.
5.
Kyrie
Gloria
Credo
Sanctus
Agnus Dei
3’33”
4’20”
6’59”
2’17”
2’06”
e Beata Dei genitrix esordiscono con una imitazione a entrate
distanziate secondo la sequenza a-s-t-b e t-b-a-s e nel rispetto dei
rapporti intervallari propri di ciascuna tessitura.
Le voci di canto e alto si muovono prevalentemente in un ambito
che supera in rari casi l’intervallo di ottava e che si estende per la
voce più acuta dal re4 al fa5 e per quella più grave dal sol3 al la4 a
seconda del modo. Le voci virili si caratterizzano per una duttilità
maggiore in quanto superano più volte l’ambito dell’ottava: il tenore
presenta un range re3-fa4, il basso ha i suoi picchi nel mi2-do4.
I profili melodici di ciascuna voce si articolano in movimenti
intervallari (di seconda, terza, al massimo di quinta)
prevalentemente consonanti e non particolarmente distanti fatta
eccezione per la voce di basso che per necessità di tipo armonico
compie salti anche più ampi. Appare piuttosto episodica la presenza
di intervalli dissonanti: quinta diminuita in Hodie nobis caelorum,
quarta diminuita in Hodie nobis de caelo e O magnum mysterium;
semitono cromatico in Beata Dei genitrix, terza diminuita in O
magnum mysterium.
Molto meno presenti che nello stile profano, le figure retoriche,
compaiono nei Responsorii in due sole situazioni: con una ipotiposi
sulla parola descendit (Hodie nobis de caelo) e con ripetute
interrogatio con cadenze sospese alla dominante quando il testo
presenta un punto di domanda (Quem vidistis pastores).
I Responsori di Natale danno una precisa idea della levatura
stilistica del Nenna evidenziando la sapiente e raffinata competenza
da lui raggiunta nella tecnica del contrappunto; questo si evince
dalla maniera fluida e disinvolta con cui le singole linee melodiche
si relazionano l’una con l’altra e al tempo stesso si sovrappongono
verticalmente in armonie talvolta ardite, accogliendo appieno la
caratteristica propria di un’epoca che transitava dal mondo modale
a quello tonale.
+ approfondimenti>
+ curiosità>
+
rubriche>
+
+
musica>
servizi sui principali>
avvenimenti corali
LA RIVISTA DEL CORISTA
Pomponio Nenna (Bari 1556 - Roma 1608)
Responsorii di Natale a quattro voci
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
Hodie nobis caelorum Rex3’04”
Hodie nobis de caelo pax 2’24”
Quem vidistis pastores 2’32”
O magnum mysterium 4’15”
Beata Dei genitrix 3’03”
Sancta et immaculata virginitas 3’04”
Beata viscera Mariae 3’34”
Verbum caro factum est 3’04”
Te Deum Laudamus8’38”
Benedictus Dominus4’47”
Pubblicato da Choraliter
per gentile concessione di DAD Records
e Digressione music srl.
Anche per il 2015
rinnova il tuo abbonamento
e fai abbonare anche i tuoi amici
CHORALITER + ITALIACORI.IT
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
Via Altan, 83/4
33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia
Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554
www.feniarco.it - [email protected]
modalità di abbonamento:
• sottoscrizione on-line dal sito www.feniarco.it
• versamento sul c/c postale IT23T0760112500000011139599 intestato a Feniarco
• bonifico bancario sul conto IT90U063406501007404232339S intestato a Feniarco
32
+ notizie>
BENEDICTUS DOMINUS
Polifonia sacra in Puglia
Ensemble Vocale Palazzo Incantato
direttore, Sergio Lella
Rocco Rodio (Bari c. 1535 - ? dopo 1615)
Missa Adieu mes amours sex vocibus
1. 2.
3. 4.
5.
Kyrie
Gloria
Credo
Sanctus
Agnus Dei
3’33”
4’20”
6’59”
2’17”
2’06”
e Beata Dei genitrix esordiscono con una imitazione a entrate
distanziate secondo la sequenza a-s-t-b e t-b-a-s e nel rispetto dei
rapporti intervallari propri di ciascuna tessitura.
Le voci di canto e alto si muovono prevalentemente in un ambito
che supera in rari casi l’intervallo di ottava e che si estende per la
voce più acuta dal re4 al fa5 e per quella più grave dal sol3 al la4 a
seconda del modo. Le voci virili si caratterizzano per una duttilità
maggiore in quanto superano più volte l’ambito dell’ottava: il tenore
presenta un range re3-fa4, il basso ha i suoi picchi nel mi2-do4.
I profili melodici di ciascuna voce si articolano in movimenti
intervallari (di seconda, terza, al massimo di quinta)
prevalentemente consonanti e non particolarmente distanti fatta
eccezione per la voce di basso che per necessità di tipo armonico
compie salti anche più ampi. Appare piuttosto episodica la presenza
di intervalli dissonanti: quinta diminuita in Hodie nobis caelorum,
quarta diminuita in Hodie nobis de caelo e O magnum mysterium;
semitono cromatico in Beata Dei genitrix, terza diminuita in O
magnum mysterium.
Molto meno presenti che nello stile profano, le figure retoriche,
compaiono nei Responsorii in due sole situazioni: con una ipotiposi
sulla parola descendit (Hodie nobis de caelo) e con ripetute
interrogatio con cadenze sospese alla dominante quando il testo
presenta un punto di domanda (Quem vidistis pastores).
I Responsori di Natale danno una precisa idea della levatura
stilistica del Nenna evidenziando la sapiente e raffinata competenza
da lui raggiunta nella tecnica del contrappunto; questo si evince
dalla maniera fluida e disinvolta con cui le singole linee melodiche
si relazionano l’una con l’altra e al tempo stesso si sovrappongono
verticalmente in armonie talvolta ardite, accogliendo appieno la
caratteristica propria di un’epoca che transitava dal mondo modale
a quello tonale.
+ approfondimenti>
+ curiosità>
+
rubriche>
+
+
musica>
servizi sui principali>
avvenimenti corali
LA RIVISTA DEL CORISTA
Pomponio Nenna (Bari 1556 - Roma 1608)
Responsorii di Natale a quattro voci
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
Hodie nobis caelorum Rex3’04”
Hodie nobis de caelo pax 2’24”
Quem vidistis pastores 2’32”
O magnum mysterium 4’15”
Beata Dei genitrix 3’03”
Sancta et immaculata virginitas 3’04”
Beata viscera Mariae 3’34”
Verbum caro factum est 3’04”
Te Deum Laudamus8’38”
Benedictus Dominus4’47”
Pubblicato da Choraliter
per gentile concessione di DAD Records
e Digressione music srl.
Anche per il 2015
rinnova il tuo abbonamento
e fai abbonare anche i tuoi amici
CHORALITER + ITALIACORI.IT
Rivista quadrimestrale della FENIARCO
abbonamento annuo: 25 euro / 5 abbonamenti: 100 euro
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
Via Altan, 83/4
33078 S. Vito al Tagliamento (Pn) Italia
Tel. +39 0434 876724 - Fax +39 0434 877554
www.feniarco.it - [email protected]
modalità di abbonamento:
• sottoscrizione on-line dal sito www.feniarco.it
• versamento sul c/c postale IT23T0760112500000011139599 intestato a Feniarco
• bonifico bancario sul conto IT90U063406501007404232339S intestato a Feniarco
canto popolare
34
Viaggio nell’etnomusicologia italiana
dell’Ottocento
di Ettore Galvani
direttore dell’associazione corale carignanese
«È dalla conquista di vedere noi stessi tra gli altri, come un
esempio locale delle forme che la vita umana ha assunto
localmente, un caso tra i casi, un mondo tra i mondi, che
deriva quella apertura mentale senza la quale l’oggettività
è autoincensamento e la tolleranza mistificazione» (Clifford
Geertz).
«L’istituzionalizzazione della comunicazione orale e scritta in
diverse società tende comunque a minare alla base la
dicotomia tra società “orali” e “letterate”. Diventa sempre più
chiaro, per esempio, che tanto nel contesto religioso quanto
in quello profano i metodi di apprendimento e di
insegnamento fondati rispettivamente sull’oralità oppure sul
testo scritto coesistono e interagiscono tra loro. La relativa
stabilità della conoscenza in una società dipende in larga
misura dal modo in cui questi diversi metodi sono
istituzionalizzati e anche dalle mete educative e dai concetti
conoscitivi che li accompagnano» (Margaret A. Mills).
Quando si parla di etnomusicologia si ha la percezione
generale, collocata
nell’immaginario collettivo
comune, che il tutto si possa
risolvere molto velocemente come
in un duello virtuale tra una
persona che ricorda – canta o
recita filastrocche, che riporta a
viva memoria modi di dire,
proverbi e quant’altro – e un’altra
che scrive prendendo in
considerazione l’argomento, o
meglio reputando più o meno
interessante il “soggetto orale”
ricordato, in relazione al suo
retaggio culturale e storico.
L’evoluzione di tale disciplina, per altro ancora in atto, invece,
come molte delle dottrine umanistiche di nuova generazione,
sia come modello teorico che come campo di indagine, ha il
suo focus nello studio delle tradizioni musicali orali, o
assimilabili a esse, non contenute nella tradizione colta
europea, siano esse europee, extraeuropee, popolari o dotte,
con metodi mutuati sia dalla musicologia sia dalle scienze
sociali.
Alla luce di ciò si può ben comprendere come
l’etnomusicologia moderna sia una realtà di studio
interdisciplinare che amplia i suoi orizzonti fino ad arrivare
agli studi antropologici evolutivi e non limitandosi a quelli
esclusivamente storici, politici e musicali propri e connaturati
di una determinata etnia.
«Società e culture di interesse etnologico – quelle cioè di cui
l’etnomusicologia studia forme e comportamenti musicali – si
definiscono in base a un rapporto di diversità, di alterità,
rispetto alla cultura osservante; sono state tradizionalmente
considerate di interesse etnologico le culture un tempo
definite, con termine discusso, primitive (società a struttura
semplice), oppure le alterità costituite dalle fasce folcloriche
all’interno del contesto euro bianco occidentale, o ancora
società e culture complesse del vicino, medio ed estremo
Oriente. In tutti questi casi, una caratteristica comune è di
basare prevalentemente la trasmissione del proprio sapere e
del proprio saper-fare sull’oralità piuttosto che sulla scrittura
(che, si badi bene, non significa affatto che una tradizione
scritta sia necessariamente assente). La memoria, individuale
e collettiva, ha in queste società e culture un ruolo
preponderante nei processi di creazione, trasmissione e
fruizione di prodotti culturali quali quelli musicali. La
Quando si parla di etnomusicologia si ha
la percezione che il tutto si possa risolvere
a un duello virtuale tra una persona
che ricorda e un’altra che scrive.
trasmissione del sapere (forme, repertori vocali e strumentali,
tecniche di esecuzione, costruzione e uso degli strumenti,
ecc.) si basa prevalentemente su un passaggio orale o su
un’acquisizione di tipo visivo, in ogni caso empirica»
(L’altra Musica. Nascita e sviluppo dell’etnomusicologia,
E. Giovanatti).
Non vi sono notizie certe sull’inizio accademico di tale
disciplina prima del grande fervore romantico che approdò in
Italia nei primi dell’Ottocento, certo è che una prima scintilla
si può attribuire a Jean-Jacques Rousseau quando nel 1768
inserì nel suo Dictionnaire de musique esempi di trascrizioni
di melodie finlandesi, svizzere, persiane, cinesi e canadesi.
Jean-Jacques Rousseau
Prendo spunto dunque da alcuni articoli apparsi su Voglia di
Coro, rivista istituzionale dell’Associazione Cori Piemontesi,
per illustrare e ripercorrere a grandi passi la storia
dell’etnomusicologia italiana, per cercare di far scoprire quali
sono stati i personaggi che ne hanno dettato l’evoluzione e
quali i principi e gli insegnamenti che ognuno di essi ci ha
tramandato attraverso i propri scritti.
Innanzi tutto bisogna chiarirsi su cosa è
l’etnomusicologia e su quali principi
fondamentali si posa tale disciplina
umanistica.
«Etnomusicologìa: Ramo della
musicologia il cui oggetto è l’insieme
delle tradizioni musicali che non
rientrano nella musica colta europea e
che comprendono invece espressioni
musicali legate a particolari gruppi
etnici o sociali, tramandate
principalmente per via orale. La
metodologia di ricerca deve tener conto
di tre fattori: la peculiarità della trasmissione, la modalità di
creazione/esecuzione e i differenti contesti, cioè la funzione»
(Treccani.it).
Tradotto in lingua corrente si ha come caratteristica
fondamentale quella di basare la trasmissione del proprio
35
sapere, e del proprio saper fare, sull’oralità piuttosto che sulla
scrittura.
La memoria gioca un ruolo fondamentale nei processi di
creazione e di diffusione, per cui il trasferimento del sapere è
basato su un passaggio bocca/orecchio o su acquisizioni di
tipo visivo; i prodotti musicali sono sottomessi alla pratica e
alla successiva diffusione e non vivono di vita propria; ogni
esecuzione musicale, nel tempo e nello spazio inteso come
area geografica, non si configura mai come esatta
riproduzione di un modello preesistente ma sovente come
elaborazione collettiva di tipo creativo.
L’etnomusicologia dunque si può definire come la disciplina
che studia le forme e i comportamenti musicali di tradizione
orale.
Le prime testimonianze attendibili e documentate
sull’argomento risalgono ai primi anni del’800 in cui troviamo
scorci di cultura popolare inseriti in contesti letterari di alto
livello. Due esempi tra tutti: le sei canzonette popolari
recanatesi che Giacomo Leopardi riportò nello Zibaldone dal
dicembre del 1818 al maggio del 1820, inserite non tanto per
un interesse sulla poesia popolare quanto per un interesse
letterario su ciò che viene fatto proprio dal volgo; e il Saggio
di poesie contadinesche dell’Appennino parmense che
Atanasio Basetti e Paolo Oppici pubblicarono nel 1824.
Quest’ultimo, più strutturato e organizzato, diede voce a un
sentimento che diverrà di molti e che esprimeva con felice
candore la «dolce sorpresa» d’aver colto fiori di così «poetica
gentilezza» in «tanta rozzità di luogo».
Dal 1830 il risveglio accademico su tali studi si fa notare con
altre pubblicazioni di carattere filologico tra le quali il Saggio
di canti popolari della provincia di Marittima e Campagna che
Pietro Ercole Visconti aveva pubblicato a Roma in quello
stesso anno, nonché varie recensioni sulla rivista L’Antologia
di Gian Pietro Vieusseux a opera di Niccolò Tommaseo.
Rivista con periodicità mensile, pubblicata a Firenze dal 1821
al 1831 e supportata da molti intellettuali del tempo, si
L’etnomusicologia moderna è una realtà
di studio interdisciplinare che amplia i
suoi orizzonti fino ad arrivare agli studi
antropologici evolutivi.
discostò dall’ambito municipalistico per abbracciare i problemi
generali della cultura italiana del periodo.
Si dovrà aspettare il 1838 per avere i primi studi ufficialmente
riconosciuti su tale argomento, come testimonia Ermolao
Rubieri nella sua Storia della poesia italiana del 1877:
canto popolare
34
Viaggio nell’etnomusicologia italiana
dell’Ottocento
di Ettore Galvani
direttore dell’associazione corale carignanese
«È dalla conquista di vedere noi stessi tra gli altri, come un
esempio locale delle forme che la vita umana ha assunto
localmente, un caso tra i casi, un mondo tra i mondi, che
deriva quella apertura mentale senza la quale l’oggettività
è autoincensamento e la tolleranza mistificazione» (Clifford
Geertz).
«L’istituzionalizzazione della comunicazione orale e scritta in
diverse società tende comunque a minare alla base la
dicotomia tra società “orali” e “letterate”. Diventa sempre più
chiaro, per esempio, che tanto nel contesto religioso quanto
in quello profano i metodi di apprendimento e di
insegnamento fondati rispettivamente sull’oralità oppure sul
testo scritto coesistono e interagiscono tra loro. La relativa
stabilità della conoscenza in una società dipende in larga
misura dal modo in cui questi diversi metodi sono
istituzionalizzati e anche dalle mete educative e dai concetti
conoscitivi che li accompagnano» (Margaret A. Mills).
Quando si parla di etnomusicologia si ha la percezione
generale, collocata
nell’immaginario collettivo
comune, che il tutto si possa
risolvere molto velocemente come
in un duello virtuale tra una
persona che ricorda – canta o
recita filastrocche, che riporta a
viva memoria modi di dire,
proverbi e quant’altro – e un’altra
che scrive prendendo in
considerazione l’argomento, o
meglio reputando più o meno
interessante il “soggetto orale”
ricordato, in relazione al suo
retaggio culturale e storico.
L’evoluzione di tale disciplina, per altro ancora in atto, invece,
come molte delle dottrine umanistiche di nuova generazione,
sia come modello teorico che come campo di indagine, ha il
suo focus nello studio delle tradizioni musicali orali, o
assimilabili a esse, non contenute nella tradizione colta
europea, siano esse europee, extraeuropee, popolari o dotte,
con metodi mutuati sia dalla musicologia sia dalle scienze
sociali.
Alla luce di ciò si può ben comprendere come
l’etnomusicologia moderna sia una realtà di studio
interdisciplinare che amplia i suoi orizzonti fino ad arrivare
agli studi antropologici evolutivi e non limitandosi a quelli
esclusivamente storici, politici e musicali propri e connaturati
di una determinata etnia.
«Società e culture di interesse etnologico – quelle cioè di cui
l’etnomusicologia studia forme e comportamenti musicali – si
definiscono in base a un rapporto di diversità, di alterità,
rispetto alla cultura osservante; sono state tradizionalmente
considerate di interesse etnologico le culture un tempo
definite, con termine discusso, primitive (società a struttura
semplice), oppure le alterità costituite dalle fasce folcloriche
all’interno del contesto euro bianco occidentale, o ancora
società e culture complesse del vicino, medio ed estremo
Oriente. In tutti questi casi, una caratteristica comune è di
basare prevalentemente la trasmissione del proprio sapere e
del proprio saper-fare sull’oralità piuttosto che sulla scrittura
(che, si badi bene, non significa affatto che una tradizione
scritta sia necessariamente assente). La memoria, individuale
e collettiva, ha in queste società e culture un ruolo
preponderante nei processi di creazione, trasmissione e
fruizione di prodotti culturali quali quelli musicali. La
Quando si parla di etnomusicologia si ha
la percezione che il tutto si possa risolvere
a un duello virtuale tra una persona
che ricorda e un’altra che scrive.
trasmissione del sapere (forme, repertori vocali e strumentali,
tecniche di esecuzione, costruzione e uso degli strumenti,
ecc.) si basa prevalentemente su un passaggio orale o su
un’acquisizione di tipo visivo, in ogni caso empirica»
(L’altra Musica. Nascita e sviluppo dell’etnomusicologia,
E. Giovanatti).
Non vi sono notizie certe sull’inizio accademico di tale
disciplina prima del grande fervore romantico che approdò in
Italia nei primi dell’Ottocento, certo è che una prima scintilla
si può attribuire a Jean-Jacques Rousseau quando nel 1768
inserì nel suo Dictionnaire de musique esempi di trascrizioni
di melodie finlandesi, svizzere, persiane, cinesi e canadesi.
Jean-Jacques Rousseau
Prendo spunto dunque da alcuni articoli apparsi su Voglia di
Coro, rivista istituzionale dell’Associazione Cori Piemontesi,
per illustrare e ripercorrere a grandi passi la storia
dell’etnomusicologia italiana, per cercare di far scoprire quali
sono stati i personaggi che ne hanno dettato l’evoluzione e
quali i principi e gli insegnamenti che ognuno di essi ci ha
tramandato attraverso i propri scritti.
Innanzi tutto bisogna chiarirsi su cosa è
l’etnomusicologia e su quali principi
fondamentali si posa tale disciplina
umanistica.
«Etnomusicologìa: Ramo della
musicologia il cui oggetto è l’insieme
delle tradizioni musicali che non
rientrano nella musica colta europea e
che comprendono invece espressioni
musicali legate a particolari gruppi
etnici o sociali, tramandate
principalmente per via orale. La
metodologia di ricerca deve tener conto
di tre fattori: la peculiarità della trasmissione, la modalità di
creazione/esecuzione e i differenti contesti, cioè la funzione»
(Treccani.it).
Tradotto in lingua corrente si ha come caratteristica
fondamentale quella di basare la trasmissione del proprio
35
sapere, e del proprio saper fare, sull’oralità piuttosto che sulla
scrittura.
La memoria gioca un ruolo fondamentale nei processi di
creazione e di diffusione, per cui il trasferimento del sapere è
basato su un passaggio bocca/orecchio o su acquisizioni di
tipo visivo; i prodotti musicali sono sottomessi alla pratica e
alla successiva diffusione e non vivono di vita propria; ogni
esecuzione musicale, nel tempo e nello spazio inteso come
area geografica, non si configura mai come esatta
riproduzione di un modello preesistente ma sovente come
elaborazione collettiva di tipo creativo.
L’etnomusicologia dunque si può definire come la disciplina
che studia le forme e i comportamenti musicali di tradizione
orale.
Le prime testimonianze attendibili e documentate
sull’argomento risalgono ai primi anni del’800 in cui troviamo
scorci di cultura popolare inseriti in contesti letterari di alto
livello. Due esempi tra tutti: le sei canzonette popolari
recanatesi che Giacomo Leopardi riportò nello Zibaldone dal
dicembre del 1818 al maggio del 1820, inserite non tanto per
un interesse sulla poesia popolare quanto per un interesse
letterario su ciò che viene fatto proprio dal volgo; e il Saggio
di poesie contadinesche dell’Appennino parmense che
Atanasio Basetti e Paolo Oppici pubblicarono nel 1824.
Quest’ultimo, più strutturato e organizzato, diede voce a un
sentimento che diverrà di molti e che esprimeva con felice
candore la «dolce sorpresa» d’aver colto fiori di così «poetica
gentilezza» in «tanta rozzità di luogo».
Dal 1830 il risveglio accademico su tali studi si fa notare con
altre pubblicazioni di carattere filologico tra le quali il Saggio
di canti popolari della provincia di Marittima e Campagna che
Pietro Ercole Visconti aveva pubblicato a Roma in quello
stesso anno, nonché varie recensioni sulla rivista L’Antologia
di Gian Pietro Vieusseux a opera di Niccolò Tommaseo.
Rivista con periodicità mensile, pubblicata a Firenze dal 1821
al 1831 e supportata da molti intellettuali del tempo, si
L’etnomusicologia moderna è una realtà
di studio interdisciplinare che amplia i
suoi orizzonti fino ad arrivare agli studi
antropologici evolutivi.
discostò dall’ambito municipalistico per abbracciare i problemi
generali della cultura italiana del periodo.
Si dovrà aspettare il 1838 per avere i primi studi ufficialmente
riconosciuti su tale argomento, come testimonia Ermolao
Rubieri nella sua Storia della poesia italiana del 1877:
canto popolare
36
Ermolao Rubieri
Giuseppe Giusti
«[…] Silvo Giannini avendo preparata nel
1838 e pubblicata al principio del 1839
una copiosa raccolta di prose e poesie
sotto il titolo La Viola del pensiero,
v’inserì 48 bei canti popolari toscani,
preceduti da un breve e succoso
proemio…».
Giornalista di spicco dell’area toscana,
vicino al pensiero liberale mazziniano,
il Giannini ricoprì incarichi importanti
tanto che nel 1845 fu chiamato
dall’editore torinese Pomba a dirigere
una succursale editoriale a Livorno, che
prese il nome di Emporio italo-librario.
La sua più importante iniziativa
editoriale di questo periodo fu la Viola
del pensiero, miscellanea di letteratura
e di morale, che egli pubblicò e diresse
per tre anni, dal 1839 al 1842, con la
collaborazione di alcuni fra i più noti
scrittori del tempo, per lo più di scuola
romantica, e di intellettuali sensibili agli
ideali del Risorgimento tra i quali:
Pellico, Giusti, Mazzini, Guerrazzi,
Mamiani, Thouar, Niccolini e Mayer.
Particolarmente significativo fu il
rapporto che egli strinse con Giuseppe
Giusti con cui condivise la passione per
la poesia popolare cui dedicò un
limpido saggio, apparso nel primo
numero della Viola, in cui manifestava
un approccio diverso da quello
evidenziato dal moderatismo toscano
nell’ormai annoso dibattito sulla
“letteratura per il popolo”, dominato da
intenti prevalentemente paternalistici e
filantropici, finalizzati alla conoscenza e
alla sostanziale conservazione degli
equilibri sociali esistenti. Da parte del
Giusti vi era sì il desiderio di
documentare, attraverso l’analisi dei
canti popolari, gli usi e i costumi della
gente comune, ma lo studio non
andava disgiunto da uno scopo
pedagogico e patriottico: «il basso
popolo», sosteneva, «è pure gran parte
della Nazione» e il canto doveva essere
utilizzato come forma espressiva per
fargli conoscere «que’ fatti della storia
patria, che è per esso sventura
ignorare» (Delle poesie popolari,
in La viola del pensiero, Livorno 1839,
p. 319).
La pietra miliare della visione generale
sulla nuova disciplina e sui fondamenti
della metodologia di ricerca è, senza
ombra di dubbio, da attribuire alla
prefazione della raccolta delle Vecchie
romanze spagnole pubblicata a
Bruxelles nel 1837 a opera di Giovanni
Berchet.
Antesignano per ispirazione agli studi
che verranno condotti durante tutto il
xix secolo il Berchet, al secolo Riccardo
Michelini, concretizzò quel concetto di
poesia popolare come poesia per il
popolo che aveva enunciato fin dal
1816 nella sua Lettera semiseria di
Grisostomo in cui esortava allo studio
delle moderne letterature straniere e al
rifiuto della vecchia cultura accademica
e delle imitazioni dei classici, per una
poesia viva, interprete dei sentimenti
del popolo, ispirata ai fatti della storia
nazionale e alla realtà del proprio
tempo, espressa in linguaggio e forme
semplici, comprensibili a tutti. La
Lettera semiseria, anche se non subito,
ebbe il riconoscimento storico di
manifesto del romanticismo italiano, e
come tale può essere ancora oggi
accolta non tanto per l’originalità delle
idee e dell’argomentazione, quanto per
il calore, l’eloquenza e l’equilibrio che la
animano e le conferiscono un valore di
discorso illustre e familiare nello stesso
tempo.
Tali postulati ebbero in seguito larga
applicazione nelle antologie di altri
illuminati studiosi quali Carrer,
Dall’Ongaro, Cantù.
Di seguito vi riporto quello che, a mio
parere, è il cuore pulsante del pensiero
del Berchet. Incastonato nella
prefazione del 1837 passa quasi
inosservata all’improvvisato lettore, ma
se si estrapola e si gusta il leggiadro
concatenarsi di suggerimenti e
osservazioni, il tutto espresso in una
lingua dotta e ricca di poesia, si potrà
osservare come il quadro completo
dell’etnomusicologia ottocentesca sia
mirabilmente narrato.
«La poesia popolare, e per tale intendo
quella che è direttamente prodotta e
non soltanto gradita al popolo, non
mette fuori opere materialmente
immobili come la poesia d’arte; non le
raccomanda, come questa, alla
scrittura, ma le affida al canto
transitorio, alla parola fugace: cammina,
cammina libera e viva e ad ogni passo
che fa lascia un vezzo o ne piglia uno
nuovo senza per questo cessare
d’essere quello ch’ell’era, senza mutare
la sembianza che dapprincipio ella
assumeva. Sorge uno e trova una
canzone; cento l’ascoltano e la ridicono.
Le cantilene udite dai suoi parenti, la
madre le ricanta ai suoi figliuoli, questi
le insegnano ai nipoti. Quando viene l’uomo letterato e se le
fa ripetere e le ferma in caratteri scritti, chi può dire per
quante bocche sieno già passate quelle cantilene? La canzone
è la stessa, quella trovata da quell’uomo primo spartito nella
folla; ma qualche particolare di essa o è perduto, o è alterato,
o variato, non foss’altro per necessità della labile memoria
umana, oppure delle nuove esigenze della lingua parlata.
Quindi è che dagli accidenti estrinseci del testo scritto non si
può con assoluta certezza conchiudere l’età di una romanza.
Al raccoglitore ne è toccata l’ultima compilazione; ma se
molte o poche altre compilazioni più o meno variate ne
l’abbiano preceduta, chi’l sa?» (Vecchie romanze spagnole
recate in italiano da Giovanni Berchet, Società Belgica di
libreria - Bruxelles 1837, pag. xvii-xviii).
Nella prima frase l’autore vuole mettere in risalto quanto la
poesia popolare sia importante sottolineando che per tale si
intende «quella che è direttamente prodotta e non soltanto
gradita al popolo».
Continuando stabilisce i criteri per il riconoscimento di essa
elencando alcuni elementi che oggi possono sembrare
scontati e palesi ma che per la cultura romantica dell’epoca
non lo erano affatto: non appartiene alla poesia dotta, non è
una composizione formalmente studiata a tavolino, «ma le
affida al canto transitorio, alla parola fugace».
A questa affermazione segue la spiegazione, che al giorno
d’oggi verrebbe interpretata con l’analisi dell’impianto
narrativo e la conseguente affermazione, ormai diventata
postulato, che un canto popolare nell’ambito della sua
diffusione geografica e temporale, più o meno definita,
migra, si modifica in funzione delle aree glottologiche con la
quale viene a contatto ed inoltre acquista determinate
caratteristiche che definiremo folkloristiche in funzione delle
usanze proprie del territorio: «cammina, cammina libera e
viva e ad ogni passo che fa lascia un vezzo o ne piglia uno
nuovo senza per questo cessare d’essere quello ch’ell’era,
senza mutare la sembianza che dapprincipio ella assumeva».
Da ciò non può che scaturire l’idea, divenuta poi fondamento
dell’etnomusicologia moderna, che il canto popolare durante
la sua migrazione muta attraverso la diffusione orale e in tale
processo non vi è la certezza che tale riproposta rimanga
fedele all’originale, anzi sicuramente assume intonazioni e
descrizioni diverse: «Sorge uno e trova una canzone; cento
l’ascoltano e la ridicono. Le cantilene udite dai suoi parenti,
la madre le ricanta ai suoi figliuoli, questi le insegnano ai
nipoti».
Da questo punto entrano in scena gli studiosi, coloro che
vogliono salvaguardare dall’oblio la cultura contadina da
sempre affidata all’oralità. «Quando viene l’uomo letterato e
se le fa ripetere e le ferma in caratteri scritti, chi può dire per
quante bocche sieno già passate quelle cantilene?».
Ed è proprio in questo contesto che si incomincia a capire
quanto il canto popolare sia mutevole e permeabile, quanto
sia condizionato dagli eventi storici circoscritti e culturali al
raggio di azione dei vari informatori e quanto questo
condizioni il testo di un canto e la sua struttura: «La canzone
37
Giovanni Berchet
è la stessa, quella trovata da quell’uomo primo spartito nella
folla; ma qualche particolare di essa o è perduto, o è alterato,
o variato, non foss’altro per necessità della labile memoria
umana, oppure delle nuove esigenze della lingua parlata».
La chiusa del ragionamento, pur rifacendosi a stereotipi di
tipo romantico, getta le basi per delle ipotesi di studio
importanti che verranno vagliate, approfondite e completate
nel corso dei due secoli a seguire.
A noi il compito, per chi vorrà farlo, nei modi e nei tempi che
ognuno ha a disposizione, di seguire lo sviluppo dello studio
di questa disciplina umanistica il più delle volte sconosciuta e
straniera al nostro modo di pensare al canto popolare.
«Quindi è che dagli accidenti estrinseci del testo scritto non
si può con assoluta certezza conchiudere l’età di una
romanza. Al raccoglitore ne è toccata l’ultima compilazione;
ma se molte o poche altre compilazioni più o meno variate ne
l’abbiano preceduta, chi’l sa?».
Il viaggio nell’etnomusicologia italiana dell’Ottocento
prosegue nel prossimo numero di Choraliter.
canto popolare
36
Ermolao Rubieri
Giuseppe Giusti
«[…] Silvo Giannini avendo preparata nel
1838 e pubblicata al principio del 1839
una copiosa raccolta di prose e poesie
sotto il titolo La Viola del pensiero,
v’inserì 48 bei canti popolari toscani,
preceduti da un breve e succoso
proemio…».
Giornalista di spicco dell’area toscana,
vicino al pensiero liberale mazziniano,
il Giannini ricoprì incarichi importanti
tanto che nel 1845 fu chiamato
dall’editore torinese Pomba a dirigere
una succursale editoriale a Livorno, che
prese il nome di Emporio italo-librario.
La sua più importante iniziativa
editoriale di questo periodo fu la Viola
del pensiero, miscellanea di letteratura
e di morale, che egli pubblicò e diresse
per tre anni, dal 1839 al 1842, con la
collaborazione di alcuni fra i più noti
scrittori del tempo, per lo più di scuola
romantica, e di intellettuali sensibili agli
ideali del Risorgimento tra i quali:
Pellico, Giusti, Mazzini, Guerrazzi,
Mamiani, Thouar, Niccolini e Mayer.
Particolarmente significativo fu il
rapporto che egli strinse con Giuseppe
Giusti con cui condivise la passione per
la poesia popolare cui dedicò un
limpido saggio, apparso nel primo
numero della Viola, in cui manifestava
un approccio diverso da quello
evidenziato dal moderatismo toscano
nell’ormai annoso dibattito sulla
“letteratura per il popolo”, dominato da
intenti prevalentemente paternalistici e
filantropici, finalizzati alla conoscenza e
alla sostanziale conservazione degli
equilibri sociali esistenti. Da parte del
Giusti vi era sì il desiderio di
documentare, attraverso l’analisi dei
canti popolari, gli usi e i costumi della
gente comune, ma lo studio non
andava disgiunto da uno scopo
pedagogico e patriottico: «il basso
popolo», sosteneva, «è pure gran parte
della Nazione» e il canto doveva essere
utilizzato come forma espressiva per
fargli conoscere «que’ fatti della storia
patria, che è per esso sventura
ignorare» (Delle poesie popolari,
in La viola del pensiero, Livorno 1839,
p. 319).
La pietra miliare della visione generale
sulla nuova disciplina e sui fondamenti
della metodologia di ricerca è, senza
ombra di dubbio, da attribuire alla
prefazione della raccolta delle Vecchie
romanze spagnole pubblicata a
Bruxelles nel 1837 a opera di Giovanni
Berchet.
Antesignano per ispirazione agli studi
che verranno condotti durante tutto il
xix secolo il Berchet, al secolo Riccardo
Michelini, concretizzò quel concetto di
poesia popolare come poesia per il
popolo che aveva enunciato fin dal
1816 nella sua Lettera semiseria di
Grisostomo in cui esortava allo studio
delle moderne letterature straniere e al
rifiuto della vecchia cultura accademica
e delle imitazioni dei classici, per una
poesia viva, interprete dei sentimenti
del popolo, ispirata ai fatti della storia
nazionale e alla realtà del proprio
tempo, espressa in linguaggio e forme
semplici, comprensibili a tutti. La
Lettera semiseria, anche se non subito,
ebbe il riconoscimento storico di
manifesto del romanticismo italiano, e
come tale può essere ancora oggi
accolta non tanto per l’originalità delle
idee e dell’argomentazione, quanto per
il calore, l’eloquenza e l’equilibrio che la
animano e le conferiscono un valore di
discorso illustre e familiare nello stesso
tempo.
Tali postulati ebbero in seguito larga
applicazione nelle antologie di altri
illuminati studiosi quali Carrer,
Dall’Ongaro, Cantù.
Di seguito vi riporto quello che, a mio
parere, è il cuore pulsante del pensiero
del Berchet. Incastonato nella
prefazione del 1837 passa quasi
inosservata all’improvvisato lettore, ma
se si estrapola e si gusta il leggiadro
concatenarsi di suggerimenti e
osservazioni, il tutto espresso in una
lingua dotta e ricca di poesia, si potrà
osservare come il quadro completo
dell’etnomusicologia ottocentesca sia
mirabilmente narrato.
«La poesia popolare, e per tale intendo
quella che è direttamente prodotta e
non soltanto gradita al popolo, non
mette fuori opere materialmente
immobili come la poesia d’arte; non le
raccomanda, come questa, alla
scrittura, ma le affida al canto
transitorio, alla parola fugace: cammina,
cammina libera e viva e ad ogni passo
che fa lascia un vezzo o ne piglia uno
nuovo senza per questo cessare
d’essere quello ch’ell’era, senza mutare
la sembianza che dapprincipio ella
assumeva. Sorge uno e trova una
canzone; cento l’ascoltano e la ridicono.
Le cantilene udite dai suoi parenti, la
madre le ricanta ai suoi figliuoli, questi
le insegnano ai nipoti. Quando viene l’uomo letterato e se le
fa ripetere e le ferma in caratteri scritti, chi può dire per
quante bocche sieno già passate quelle cantilene? La canzone
è la stessa, quella trovata da quell’uomo primo spartito nella
folla; ma qualche particolare di essa o è perduto, o è alterato,
o variato, non foss’altro per necessità della labile memoria
umana, oppure delle nuove esigenze della lingua parlata.
Quindi è che dagli accidenti estrinseci del testo scritto non si
può con assoluta certezza conchiudere l’età di una romanza.
Al raccoglitore ne è toccata l’ultima compilazione; ma se
molte o poche altre compilazioni più o meno variate ne
l’abbiano preceduta, chi’l sa?» (Vecchie romanze spagnole
recate in italiano da Giovanni Berchet, Società Belgica di
libreria - Bruxelles 1837, pag. xvii-xviii).
Nella prima frase l’autore vuole mettere in risalto quanto la
poesia popolare sia importante sottolineando che per tale si
intende «quella che è direttamente prodotta e non soltanto
gradita al popolo».
Continuando stabilisce i criteri per il riconoscimento di essa
elencando alcuni elementi che oggi possono sembrare
scontati e palesi ma che per la cultura romantica dell’epoca
non lo erano affatto: non appartiene alla poesia dotta, non è
una composizione formalmente studiata a tavolino, «ma le
affida al canto transitorio, alla parola fugace».
A questa affermazione segue la spiegazione, che al giorno
d’oggi verrebbe interpretata con l’analisi dell’impianto
narrativo e la conseguente affermazione, ormai diventata
postulato, che un canto popolare nell’ambito della sua
diffusione geografica e temporale, più o meno definita,
migra, si modifica in funzione delle aree glottologiche con la
quale viene a contatto ed inoltre acquista determinate
caratteristiche che definiremo folkloristiche in funzione delle
usanze proprie del territorio: «cammina, cammina libera e
viva e ad ogni passo che fa lascia un vezzo o ne piglia uno
nuovo senza per questo cessare d’essere quello ch’ell’era,
senza mutare la sembianza che dapprincipio ella assumeva».
Da ciò non può che scaturire l’idea, divenuta poi fondamento
dell’etnomusicologia moderna, che il canto popolare durante
la sua migrazione muta attraverso la diffusione orale e in tale
processo non vi è la certezza che tale riproposta rimanga
fedele all’originale, anzi sicuramente assume intonazioni e
descrizioni diverse: «Sorge uno e trova una canzone; cento
l’ascoltano e la ridicono. Le cantilene udite dai suoi parenti,
la madre le ricanta ai suoi figliuoli, questi le insegnano ai
nipoti».
Da questo punto entrano in scena gli studiosi, coloro che
vogliono salvaguardare dall’oblio la cultura contadina da
sempre affidata all’oralità. «Quando viene l’uomo letterato e
se le fa ripetere e le ferma in caratteri scritti, chi può dire per
quante bocche sieno già passate quelle cantilene?».
Ed è proprio in questo contesto che si incomincia a capire
quanto il canto popolare sia mutevole e permeabile, quanto
sia condizionato dagli eventi storici circoscritti e culturali al
raggio di azione dei vari informatori e quanto questo
condizioni il testo di un canto e la sua struttura: «La canzone
37
Giovanni Berchet
è la stessa, quella trovata da quell’uomo primo spartito nella
folla; ma qualche particolare di essa o è perduto, o è alterato,
o variato, non foss’altro per necessità della labile memoria
umana, oppure delle nuove esigenze della lingua parlata».
La chiusa del ragionamento, pur rifacendosi a stereotipi di
tipo romantico, getta le basi per delle ipotesi di studio
importanti che verranno vagliate, approfondite e completate
nel corso dei due secoli a seguire.
A noi il compito, per chi vorrà farlo, nei modi e nei tempi che
ognuno ha a disposizione, di seguire lo sviluppo dello studio
di questa disciplina umanistica il più delle volte sconosciuta e
straniera al nostro modo di pensare al canto popolare.
«Quindi è che dagli accidenti estrinseci del testo scritto non
si può con assoluta certezza conchiudere l’età di una
romanza. Al raccoglitore ne è toccata l’ultima compilazione;
ma se molte o poche altre compilazioni più o meno variate ne
l’abbiano preceduta, chi’l sa?».
Il viaggio nell’etnomusicologia italiana dell’Ottocento
prosegue nel prossimo numero di Choraliter.
portraiT
38
IL FABBRICANTE DI CORISTI
intervista a Fabrizio Barchi
a cura di Sandro Bergamo
Quello che ho sempre invidiato e ammirato in Fabrizio Barchi
è la sua capacità di coinvolgere i giovani. Il suo lavoro sta lì
a dimostrare che con loro si può cantare e arrivare, senza
tante mediazioni, ad attingere in profondità, alle fonti del
canto più bello.
Ho iniziato subito dopo aver completato gli studi al Pontificio
Istituto di Musica Sacra. Avevo avuto maestri come Raffaele
Baratta, Giacomo Baroffio, Domenico Bartolucci, Armando
Renzi, Eugène Cardine. Maestri affascinanti, che mi hanno
trasmesso prima ancora che un sapere, una passione per la
musica corale.
Uno studio che si accompagna anche alla pratica…
Certo: dirigevo già un coro parrocchiale che, al di là della
liturgia, svolgeva un’attività concertistica, e ho avuto la
possibilità di esordire, abbastanza giovane, nella prestigiosa
sala Borromini a Roma, luogo all’epoca di un certo prestigio
per gli eventi che ospitava.
È stato per caso o per scelta che ti sei avvicinato così ai
giovani, frequentando soprattutto l’ambiente scolastico?
Un po’ per caso. In parrocchia lavoravo già con un gruppo
giovanile. Nel ’94 fummo chiamati a tenere un concerto per
un liceo, il Platone, in occasione della consegna dei diplomi.
Fummo apprezzati e mi venne proposto di costituire un coro
in quell’istituto. L’anno successivo mi venne chiesto di
trasferire questa esperienza al liceo Primo Levi e da allora il
mio lavoro parte proprio dalle scuole: una vera
azione di propaganda della musica corale cercando
di attirare ragazzi che spesso ne ignorano
l’esistenza e che devo proprio “convertire” al coro,
prima ancora di inserirli in un percorso di
apprendimento. Ancor oggi, nonostante l’esperienza
e l’età “matura”, a settembre mi faccio il giro delle
classi di liceo, mi prendo gli sberleffi dei “bulletti” e
cerco di portare quei pochi che si lasciano
convincere dall’indifferenza verso il coro a un percorso che a
volte arriva a palcoscenici internazionali.
Da queste esperienze sono nati poi i cori che attualmente
dirigo: il coro Musicanova, fondato nel 1999, seppure già
attivo, all’epoca, da diversi anni e il coro Eos.
Tu privilegi la dimensione del coro giovanile: ragazzi di liceo,
studenti universitari. Hai mai fatto esperienza con le voci
bianche? E che differenza trovi tra il lavorare con gli uni o
con gli altri?
In realtà lavoro e ho sempre lavorato anche con le voci
bianche, soprattutto a Ostia, dove vivo da 30 anni: lì ho
diretto il coro Primavera e ho lavorato all’interno delle scuole
elementari. Ultimamente ho passato la mano a miei
collaboratori, ma il mondo infantile non mi è estraneo. Spero
di possedere quelle capacità che mi consentono di adattarmi
a quello che ho davanti: con i bambini privilegio la
dimensione del gioco, con i giovani è necessario un approccio
più professionale.
Come formi i tuoi coristi, dal punto di vista musicale e
vocale?
È evidente, da quanto ho detto, che i miei coristi partono dal
niente, talvolta dall’ignorare perfino cosa sia il coro. Non
entrano coristi già preparati: i miei sono, per così dire, coristi
“fatti in casa”. Ho gestito da solo, con i miei mezzi, la
preparazione vocale dei miei coristi. Poi, col passare degli
anni, i coristi più capaci, spesso tali proprio per la lunga
esperienza compiuta nel coro, aiutano a trasmettere le
competenze ai nuovi arrivati che ancora si muovono con
insicurezza. Guai se così non avviene: sono severissimo, fino
a interrompere i rapporti ed escludere dal coro quanti
assumano atteggiamenti di superiorità o di insofferenza verso
i meno capaci ed esperti, dimenticando di quando erano loro
bisognosi del sostegno altrui. Credo nel coro solidale, nel
coro etico, dove si condivide e si mette a disposizione il
proprio sapere, mentre non credo nel coro “a progetto”, che
nasce già adulto e muore dopo una stagione.
Il coro è una squadra, e come tutte
le squadre trova nel confronto un
modo per rafforzarsi.
Dove vanno i tuoi giovani e come mai il percorso
dall’infanzia alla giovinezza non è proseguito nella maturità
con cori di adulti?
A parte quelli che si distaccano o che si allontano per i motivi
detti sopra, ci sono poi mille ragioni che riguardano la vita di
ciascuno, i suoi impegni di studio, di lavoro, di famiglia. Tieni
conto, inoltre, che non tengo prove serali, ma pomeridiane,
possibili finche si è studenti e non più praticabili, in genere,
nell’età adulta.
39
Con i tuoi cori partecipi assiduamente ai concorsi, con risultati
importanti: nello scorso numero di Choraliter abbiamo dato conto dei
numerosi premi ottenuti dal Musicanova al concorso internazionale
Seghizzi e in questo della vittoria dell’Eos al nazionale di Arezzo.
Cosa rappresenta per te il concorso?
La partecipazione a un concorso implica un metodo di lavoro che
dovrebbe essere la costante per un coro: lo studio approfondito, la
tensione, l’impegno. Le vittorie, poi, aiutano perché ti confermano
nella bontà del lavoro svolto, ma anche le sconfitte aiutano, perché ti
costringono a interrogarti, a correggere, a migliorare. Certo, se un
coro è nato solo per fare i concorsi, la sconfitta lo disperde, ma se il
concorso è un momento della sua vita, del suo percorso, anche
perdere fa crescere. Il coro è una squadra, e come tutte le squadre
trova nel confronto un modo per rafforzarsi.
Come scegli il repertorio?
Come ti dicevo, in questi anni ho cercato di organizzare il mio lavoro
a piramide. Iniziando nelle scuole superiori il repertorio deve
concedere molto alla moda del momento o al pop, alla musica
leggera ecc. Nei primi anni non sapevo bene come muovermi perché
venivo da una formazione classica maturata al Pontificio Istituto di
Musica Sacra di Roma. Chiaramente non riesci ad attirare l’attenzione
dei giovani scettici sul coro, con la polifonia sacra o profana. Da noi a
Roma il canto popolare non è molto sentito per cui ho fatto
riemergere il mio antico spirito rockettaro e ho orientato le scelte,
almeno quelle destinate ai cori giovanili, chiamiamoli “entry level”
verso spiritual, pop e cose accattivanti prese dagli evergreen dei
Beatles ecc.
Quanto concedi al gusto “giovanile” dei tuoi coristi?
Le raccolte soprattutto inglesi e tedesche sono state un valido
supporto nei primi anni quando in Italia era veramente difficile
trovare materiale. Con il tempo la mia sfida è di far apprezzare ai
ragazzi anche altro repertorio, o un pop-jazz più raffinato o anche
iniziare con qualche classico e scoprire con sorpresa che i ragazzi
restano affascinati soprattutto dal madrigale.
Il repertorio dei tuoi cori è molto eclettico: ti ho sentito cantare
musica popolare, polifonia antica, contemporaneo, sacro, profano, mi
risulta che qualcosa fai anche nel vocal pop. Come motivi questa
scelta non specialistica (che mi sento di condividere, eclettico
anch’io).
Il repertorio rappresenta naturalmente la “pozione magica” con la
quale cercare di catturare nuovi adepti soprattutto se giovani delle
scuole. Tengo conto dei loro desiderata ma cerco una mediazione tra
ciò che ritengo utile e didattico e ciò che strizzi l’occhio a un loro
gusto. La difficoltà del brano è sempre leggermente superiore alle
loro capacità: spero così di dare subito degli input giusti alla crescita.
Per fortuna a inizio anno scolastico la “mira” del concerto di Natale è
uno sprone notevole. Utilizzo brani che loro conoscono, magari
proposti in qualche accattivante arrangiamento e ciò è di buon
effetto. Esaurito però l’entusiasmo iniziale comincia il difficile. Se nel
contempo non cresce nei ragazzi quella sana curiosità intellettuale
che li porti ad accogliere proposte varie (brano pop, spiritual o
villotta), ma restano fermi su posizioni diciamo scettiche nei confronti
Fabrizio Barchi_______
Ha esordito come direttore di coro nel
1979 e in quegli stessi anni ha completato
la propria preparazione musicale presso il
Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma
sotto la guida dei maestri Raffaele
Baratta, Bonifacio Baroffio, Domenico
Bartolucci, Armando Renzi; ha seguito
corsi con i maestri Gary Graden, Jurgen
Jurgens, Peter Neumann, Francesco Luisi,
Adone Zecchi.
Nel corso della propria attività ha
costituito e diretto cori in ambito
associativo e scolastico; attualmente, oltre
al coro Eos, dirige il coro di voci bianche
della scuola Garrone, il coro Musicanova, il
coro giovanile Iride e i cori dei licei Primo
Levi ed Enriques di Roma; alla guida di
questi gruppi ha ottenuto premi in varie
competizioni corali.
Già maestro della corale della Basilica di
San Paolo fuori le mura, è vice maestro
della Cappella Musicale Lateranense,
direttore artistico della manifestazione
Corali a Roma e titolare della cattedra di
Direzione di coro presso il Conservatorio
Lorenzo Perosi di Campobasso.
Tiene corsi sulla didattica e sulla coralità
giovanile per conto di Associazioni corali
regionali, di Feniarco, del Provveditorato
agli studi e dell’Università; viene
frequentemente invitato a far parte di
giurie di concorsi corali nazionali e
internazionali. Attualmente fa parte del
comitato ministeriale per la revisione dei
programmi sull’educazione musicale nella
scuola.
portraiT
38
IL FABBRICANTE DI CORISTI
intervista a Fabrizio Barchi
a cura di Sandro Bergamo
Quello che ho sempre invidiato e ammirato in Fabrizio Barchi
è la sua capacità di coinvolgere i giovani. Il suo lavoro sta lì
a dimostrare che con loro si può cantare e arrivare, senza
tante mediazioni, ad attingere in profondità, alle fonti del
canto più bello.
Ho iniziato subito dopo aver completato gli studi al Pontificio
Istituto di Musica Sacra. Avevo avuto maestri come Raffaele
Baratta, Giacomo Baroffio, Domenico Bartolucci, Armando
Renzi, Eugène Cardine. Maestri affascinanti, che mi hanno
trasmesso prima ancora che un sapere, una passione per la
musica corale.
Uno studio che si accompagna anche alla pratica…
Certo: dirigevo già un coro parrocchiale che, al di là della
liturgia, svolgeva un’attività concertistica, e ho avuto la
possibilità di esordire, abbastanza giovane, nella prestigiosa
sala Borromini a Roma, luogo all’epoca di un certo prestigio
per gli eventi che ospitava.
È stato per caso o per scelta che ti sei avvicinato così ai
giovani, frequentando soprattutto l’ambiente scolastico?
Un po’ per caso. In parrocchia lavoravo già con un gruppo
giovanile. Nel ’94 fummo chiamati a tenere un concerto per
un liceo, il Platone, in occasione della consegna dei diplomi.
Fummo apprezzati e mi venne proposto di costituire un coro
in quell’istituto. L’anno successivo mi venne chiesto di
trasferire questa esperienza al liceo Primo Levi e da allora il
mio lavoro parte proprio dalle scuole: una vera
azione di propaganda della musica corale cercando
di attirare ragazzi che spesso ne ignorano
l’esistenza e che devo proprio “convertire” al coro,
prima ancora di inserirli in un percorso di
apprendimento. Ancor oggi, nonostante l’esperienza
e l’età “matura”, a settembre mi faccio il giro delle
classi di liceo, mi prendo gli sberleffi dei “bulletti” e
cerco di portare quei pochi che si lasciano
convincere dall’indifferenza verso il coro a un percorso che a
volte arriva a palcoscenici internazionali.
Da queste esperienze sono nati poi i cori che attualmente
dirigo: il coro Musicanova, fondato nel 1999, seppure già
attivo, all’epoca, da diversi anni e il coro Eos.
Tu privilegi la dimensione del coro giovanile: ragazzi di liceo,
studenti universitari. Hai mai fatto esperienza con le voci
bianche? E che differenza trovi tra il lavorare con gli uni o
con gli altri?
In realtà lavoro e ho sempre lavorato anche con le voci
bianche, soprattutto a Ostia, dove vivo da 30 anni: lì ho
diretto il coro Primavera e ho lavorato all’interno delle scuole
elementari. Ultimamente ho passato la mano a miei
collaboratori, ma il mondo infantile non mi è estraneo. Spero
di possedere quelle capacità che mi consentono di adattarmi
a quello che ho davanti: con i bambini privilegio la
dimensione del gioco, con i giovani è necessario un approccio
più professionale.
Come formi i tuoi coristi, dal punto di vista musicale e
vocale?
È evidente, da quanto ho detto, che i miei coristi partono dal
niente, talvolta dall’ignorare perfino cosa sia il coro. Non
entrano coristi già preparati: i miei sono, per così dire, coristi
“fatti in casa”. Ho gestito da solo, con i miei mezzi, la
preparazione vocale dei miei coristi. Poi, col passare degli
anni, i coristi più capaci, spesso tali proprio per la lunga
esperienza compiuta nel coro, aiutano a trasmettere le
competenze ai nuovi arrivati che ancora si muovono con
insicurezza. Guai se così non avviene: sono severissimo, fino
a interrompere i rapporti ed escludere dal coro quanti
assumano atteggiamenti di superiorità o di insofferenza verso
i meno capaci ed esperti, dimenticando di quando erano loro
bisognosi del sostegno altrui. Credo nel coro solidale, nel
coro etico, dove si condivide e si mette a disposizione il
proprio sapere, mentre non credo nel coro “a progetto”, che
nasce già adulto e muore dopo una stagione.
Il coro è una squadra, e come tutte
le squadre trova nel confronto un
modo per rafforzarsi.
Dove vanno i tuoi giovani e come mai il percorso
dall’infanzia alla giovinezza non è proseguito nella maturità
con cori di adulti?
A parte quelli che si distaccano o che si allontano per i motivi
detti sopra, ci sono poi mille ragioni che riguardano la vita di
ciascuno, i suoi impegni di studio, di lavoro, di famiglia. Tieni
conto, inoltre, che non tengo prove serali, ma pomeridiane,
possibili finche si è studenti e non più praticabili, in genere,
nell’età adulta.
39
Con i tuoi cori partecipi assiduamente ai concorsi, con risultati
importanti: nello scorso numero di Choraliter abbiamo dato conto dei
numerosi premi ottenuti dal Musicanova al concorso internazionale
Seghizzi e in questo della vittoria dell’Eos al nazionale di Arezzo.
Cosa rappresenta per te il concorso?
La partecipazione a un concorso implica un metodo di lavoro che
dovrebbe essere la costante per un coro: lo studio approfondito, la
tensione, l’impegno. Le vittorie, poi, aiutano perché ti confermano
nella bontà del lavoro svolto, ma anche le sconfitte aiutano, perché ti
costringono a interrogarti, a correggere, a migliorare. Certo, se un
coro è nato solo per fare i concorsi, la sconfitta lo disperde, ma se il
concorso è un momento della sua vita, del suo percorso, anche
perdere fa crescere. Il coro è una squadra, e come tutte le squadre
trova nel confronto un modo per rafforzarsi.
Come scegli il repertorio?
Come ti dicevo, in questi anni ho cercato di organizzare il mio lavoro
a piramide. Iniziando nelle scuole superiori il repertorio deve
concedere molto alla moda del momento o al pop, alla musica
leggera ecc. Nei primi anni non sapevo bene come muovermi perché
venivo da una formazione classica maturata al Pontificio Istituto di
Musica Sacra di Roma. Chiaramente non riesci ad attirare l’attenzione
dei giovani scettici sul coro, con la polifonia sacra o profana. Da noi a
Roma il canto popolare non è molto sentito per cui ho fatto
riemergere il mio antico spirito rockettaro e ho orientato le scelte,
almeno quelle destinate ai cori giovanili, chiamiamoli “entry level”
verso spiritual, pop e cose accattivanti prese dagli evergreen dei
Beatles ecc.
Quanto concedi al gusto “giovanile” dei tuoi coristi?
Le raccolte soprattutto inglesi e tedesche sono state un valido
supporto nei primi anni quando in Italia era veramente difficile
trovare materiale. Con il tempo la mia sfida è di far apprezzare ai
ragazzi anche altro repertorio, o un pop-jazz più raffinato o anche
iniziare con qualche classico e scoprire con sorpresa che i ragazzi
restano affascinati soprattutto dal madrigale.
Il repertorio dei tuoi cori è molto eclettico: ti ho sentito cantare
musica popolare, polifonia antica, contemporaneo, sacro, profano, mi
risulta che qualcosa fai anche nel vocal pop. Come motivi questa
scelta non specialistica (che mi sento di condividere, eclettico
anch’io).
Il repertorio rappresenta naturalmente la “pozione magica” con la
quale cercare di catturare nuovi adepti soprattutto se giovani delle
scuole. Tengo conto dei loro desiderata ma cerco una mediazione tra
ciò che ritengo utile e didattico e ciò che strizzi l’occhio a un loro
gusto. La difficoltà del brano è sempre leggermente superiore alle
loro capacità: spero così di dare subito degli input giusti alla crescita.
Per fortuna a inizio anno scolastico la “mira” del concerto di Natale è
uno sprone notevole. Utilizzo brani che loro conoscono, magari
proposti in qualche accattivante arrangiamento e ciò è di buon
effetto. Esaurito però l’entusiasmo iniziale comincia il difficile. Se nel
contempo non cresce nei ragazzi quella sana curiosità intellettuale
che li porti ad accogliere proposte varie (brano pop, spiritual o
villotta), ma restano fermi su posizioni diciamo scettiche nei confronti
Fabrizio Barchi_______
Ha esordito come direttore di coro nel
1979 e in quegli stessi anni ha completato
la propria preparazione musicale presso il
Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma
sotto la guida dei maestri Raffaele
Baratta, Bonifacio Baroffio, Domenico
Bartolucci, Armando Renzi; ha seguito
corsi con i maestri Gary Graden, Jurgen
Jurgens, Peter Neumann, Francesco Luisi,
Adone Zecchi.
Nel corso della propria attività ha
costituito e diretto cori in ambito
associativo e scolastico; attualmente, oltre
al coro Eos, dirige il coro di voci bianche
della scuola Garrone, il coro Musicanova, il
coro giovanile Iride e i cori dei licei Primo
Levi ed Enriques di Roma; alla guida di
questi gruppi ha ottenuto premi in varie
competizioni corali.
Già maestro della corale della Basilica di
San Paolo fuori le mura, è vice maestro
della Cappella Musicale Lateranense,
direttore artistico della manifestazione
Corali a Roma e titolare della cattedra di
Direzione di coro presso il Conservatorio
Lorenzo Perosi di Campobasso.
Tiene corsi sulla didattica e sulla coralità
giovanile per conto di Associazioni corali
regionali, di Feniarco, del Provveditorato
agli studi e dell’Università; viene
frequentemente invitato a far parte di
giurie di concorsi corali nazionali e
internazionali. Attualmente fa parte del
comitato ministeriale per la revisione dei
programmi sull’educazione musicale nella
scuola.
Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali
33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 83/4
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 - [email protected] - www.feniarco.it
40
x
5x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x1
0
0
0
1
O
5
C
R
A
I
i
r
N
o
E
c
i
F
e
del coro, allora potrebbero registrarsi quei cali di presenza che, per quanto fisiologici, mi
danno la misura di un parziale fallimento. Credo che questa sia un’attività talmente bella
e privilegiata da tutti i punti di vista, musicale e umano, che continuo dopo anni a non
comprendere come mai, su una scuola di 1000 allievi, non siamo almeno il 15-20% coloro
che aderiscono al coro.
Questo per ciò che riguarda i cori scolastici. Per i cori Musicanova, Eos e Iride, ritengo la
varietà un imprescindibile punto di forza; anche se la vocazione sul Rinascimento e sulla
musica contemporanea è abbastanza spiccata, è divertente e musicalmente stimolante
cimentarsi anche in altro. Nel pop-jazz rivivo, come già detto, le mie esperienze giovanili
nei complessi da appassionato del rock progressive. Il popolare, invece, non lo amavo
molto ed è stato più frutto delle insistenze del compianto maestro Domenico Cieri; l’idea
poi di eseguirlo non in forma statica ma teatrale ha stimolato la fantasia anche dei
ragazzi che hanno cucito una trama attorno alle raffinate elaborazioni di canti popolari di
Colacicchi, Di Piazza, Caraba, restando comunque sempre nella sfera della nostra
regione.
Quanto ti sei cimentato nel ruolo di compositore? E come vedi l’identificazione dei due
ruoli di direttore e compositore nella
stessa persona?
Ho studiato la composizione senza
arrivare al diploma. Come
compositore partorisco un brano ogni
4-5 anni ma lo studio della materia mi
consente comunque di fare operazioni
di adeguamento se necessario. Ho
rivisitato diverse cose scritte per
organici a voci miste tradizionali e le
ho adattate ai cori scolastici,
notoriamente scarni nelle voci
maschili oppure ho azzardato alcuni adattamenti per coro femminile tratti dal repertorio
dei King’s singers. Nel ruolo di compositore non mi vedo molto e i primi tempi ero
imbarazzato a “concertare” cose mie. Difficilmente propongo brani miei in concerto ma
sono sinceramente contento quando i miei cantori mi chiedono di inserire qualcosa.
Credo nel coro solidale, nel coro
etico, dove si condivide e si mette
a disposizione il proprio sapere.
x
5 x 10 0 0 5
5 x 10 0 0 5
10 0 0 5 x 1
x 10 0 0 5 x
0005x1
10 0 0 5
R
E
P
0 0 5 x 10
0 0 0 5 x 10
d
e
c
o
v
la
0 0 5 x 10 0
0 5 x 10
0 5 x 10 0
0 0 5 x 10 0
0005x1
10 0 0 5 x 1
0 5 x 10 0 0
0 0 0 5 x 10
5 x 10 0
005x1
5 x 10 0 0
0 5 x 10 0 0
0 0 5 x 10
0 0 0 5 x 10
5 x 10 0 0 5
0 0 5 x 10 0
o
c
r
a
i
n
e
f
i
ella
n
d
o
e
i
i
z
t
a
p
s
s
So a nell’apposito
gno
10 0 0 5 x
x 10 0 0 5 x
10 0 0 5 x 1
0005x
ste
o
s
l
e firm
a
o
t
a
v
riser
i
t
)
i
S
d
P
d
e
A
(
r
i
e
l
e
a
d
i
c
e
n
So
dichiarazio ioni di Promozione
D,
U
C
e
O
z
C
I
a
N
ci
delle Asso i nei modelli 730, U ice fiscale:
d
o
c
o
r
t
che trov
s
o
n
l
nco i
a
fi
a
o
6
d
1
n
5
0
indica
4
3
04
920
t
i
.
o
c
r
a
i
n
www.fe
x 10
0 5 x 10
Federazione Nazionale Italiana delle Associazioni Regionali Corali
33078 San Vito al Tagliamento (Pn) via Altan, 83/4
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554 - [email protected] - www.feniarco.it
40
x
5x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x10005x1
0
0
0
1
O
5
C
R
A
I
i
r
N
o
E
c
i
F
e
del coro, allora potrebbero registrarsi quei cali di presenza che, per quanto fisiologici, mi
danno la misura di un parziale fallimento. Credo che questa sia un’attività talmente bella
e privilegiata da tutti i punti di vista, musicale e umano, che continuo dopo anni a non
comprendere come mai, su una scuola di 1000 allievi, non siamo almeno il 15-20% coloro
che aderiscono al coro.
Questo per ciò che riguarda i cori scolastici. Per i cori Musicanova, Eos e Iride, ritengo la
varietà un imprescindibile punto di forza; anche se la vocazione sul Rinascimento e sulla
musica contemporanea è abbastanza spiccata, è divertente e musicalmente stimolante
cimentarsi anche in altro. Nel pop-jazz rivivo, come già detto, le mie esperienze giovanili
nei complessi da appassionato del rock progressive. Il popolare, invece, non lo amavo
molto ed è stato più frutto delle insistenze del compianto maestro Domenico Cieri; l’idea
poi di eseguirlo non in forma statica ma teatrale ha stimolato la fantasia anche dei
ragazzi che hanno cucito una trama attorno alle raffinate elaborazioni di canti popolari di
Colacicchi, Di Piazza, Caraba, restando comunque sempre nella sfera della nostra
regione.
Quanto ti sei cimentato nel ruolo di compositore? E come vedi l’identificazione dei due
ruoli di direttore e compositore nella
stessa persona?
Ho studiato la composizione senza
arrivare al diploma. Come
compositore partorisco un brano ogni
4-5 anni ma lo studio della materia mi
consente comunque di fare operazioni
di adeguamento se necessario. Ho
rivisitato diverse cose scritte per
organici a voci miste tradizionali e le
ho adattate ai cori scolastici,
notoriamente scarni nelle voci
maschili oppure ho azzardato alcuni adattamenti per coro femminile tratti dal repertorio
dei King’s singers. Nel ruolo di compositore non mi vedo molto e i primi tempi ero
imbarazzato a “concertare” cose mie. Difficilmente propongo brani miei in concerto ma
sono sinceramente contento quando i miei cantori mi chiedono di inserire qualcosa.
Credo nel coro solidale, nel coro
etico, dove si condivide e si mette
a disposizione il proprio sapere.
x
5 x 10 0 0 5
5 x 10 0 0 5
10 0 0 5 x 1
x 10 0 0 5 x
0005x1
10 0 0 5
R
E
P
0 0 5 x 10
0 0 0 5 x 10
d
e
c
o
v
la
0 0 5 x 10 0
0 5 x 10
0 5 x 10 0
0 0 5 x 10 0
0005x1
10 0 0 5 x 1
0 5 x 10 0 0
0 0 0 5 x 10
5 x 10 0
005x1
5 x 10 0 0
0 5 x 10 0 0
0 0 5 x 10
0 0 0 5 x 10
5 x 10 0 0 5
0 0 5 x 10 0
o
c
r
a
i
n
e
f
i
ella
n
d
o
e
i
i
z
t
a
p
s
s
So a nell’apposito
gno
10 0 0 5 x
x 10 0 0 5 x
10 0 0 5 x 1
0005x
ste
o
s
l
e firm
a
o
t
a
v
riser
i
t
)
i
S
d
P
d
e
A
(
r
i
e
l
e
a
d
i
c
e
n
So
dichiarazio ioni di Promozione
D,
U
C
e
O
z
C
I
a
N
ci
delle Asso i nei modelli 730, U ice fiscale:
d
o
c
o
r
t
che trov
s
o
n
l
nco i
a
fi
a
o
6
d
1
n
5
0
indica
4
3
04
920
t
i
.
o
c
r
a
i
n
www.fe
x 10
0 5 x 10
ASSOCIAZIONE
un ricco
mosaico di voci
Salerno Festival raggiunge
la quinta edizione
dichiarazione di intenti ad alta voce magari ovviare, attraverso
uno stratagemma nemmeno troppo fine, a quel blocco dello
scrittore capace di inchiodare una persona davanti a un foglio
bianco. La mente, tuttavia, va oltre e si sofferma quasi
involontariamente a cogliere una analogia (che sia
consapevole? casuale? inconscia?).
Nell’anno del suo trentennale, Feniarco ha scelto per sé e si è
identificata in un motto, «la voce dei cori», nel quale
riconosciamo un pensiero, una volontà politica, un orizzonte
strategico di grande ambizione: farsi portavoce di un intero
mondo, quello corale italiano, che nella
federazione può riconoscersi e può trovare
un interlocutore autorevole presso le
istituzioni. Non a caso, trent’anni fa – e in
maniera sempre crescente nel corso degli
anni successivi – la coralità italiana ha
sentito l’esigenza di fare sistema, di
stringersi attorno a un soggetto che fosse
in sé unitario, di fondere le proprie singole
voci in un’unica voce, quella, appunto, della
federazione nazionale.
Un processo analogo, per certi aspetti uguale e contrario,
seppur su altra scala, è quello che, a mio avviso, possiamo
trovare a Salerno Festival. Qui ciascuno dei cori partecipanti
può esprimersi utilizzando la propria unica e irripetibile voce;
unica e irripetibile così come lo è ogni coro, che arrivando a
Salerno porta con sé il proprio bagaglio fatto di repertori
musicali, di esperienze, di tradizioni, di legami umani e
sociali, di emozioni. A Salerno, questa pluralità di voci può
incontrarsi, può confrontarsi e può dialogare sia al suo interno
(da coro a coro) che con l’esterno (dal coro al pubblico e,
perché no, viceversa), trovando preziose occasioni di crescita;
un dialogo basato sull’ascolto reciproco, sulla condivisione,
sull’imparare dal confronto con l’altro da sé che, a differenza
di quanto troppo spesso si pensa in una società
profondamente individualistica e basata sull’affermazione
personale, non è un avversario da battere ma un amico con il
43
quale rapportarsi, magari a volte anche scontrarsi, ma dal
quale è comunque sempre possibile – e auspicabile, e
necessario – trarre beneficio reciproco. A Salerno, le voci dei
cori diventano di anno in anno specchio del movimento corale
nazionale, dando prova di coesione e rappresentando lo
spaccato di una realtà ricca e in espansione, pur diversificata
al suo interno ma unitaria nel suo presentarsi all’esterno
come un “grande popolo che canta”. A Salerno, da parte sua
Feniarco contraccambia i suoi cori – dai quali, per il tramite
delle associazioni regionali, riceve mandato a operare –
un ricco
mosaico di vo
di Pier Filippo
Rendina
Che dire di un festival come quello di Salerno,
giunto quest’anno con successo alla sua quinta
edizione, un festival che negli anni ha saputo
dimostrarsi solido e vincente, mantenendo salda
l’ampia partecipazione di cori da tutta Italia e
consolidandosi anche grazie alla felice
collaborazione organizzativa tra Feniarco e
l’Associazione Regionale Cori Campani? Potrei
soffermarmi sui numeri, e parlare dei 38 cori
iscritti, dei 1200 partecipanti, dei 21 concerti nella
città di Salerno, con le sue chiese, i teatri, i
palazzi storici, le via caratteristiche del centro
storico, e nel territorio circostante, toccando
luoghi come Atrani, Napoli, Angri, Nocera
Inferiore, Vietri sul Mare. Potrei elencare i
repertori eseguiti, e osservare con piacere come
in tre giorni si sia potuta ascoltare musica di ogni
genere, dalla polifonia sacra a quella profana, dal
popolare al gospel (e non me ne abbiano i cultori
di qualsivoglia altro repertorio se non mi
soffermo a elencarli tutti!). Potrei descrivere, a
chi non la conoscesse, la formula di Salerno
Festival, un ricco, articolato e cangiante mosaico
fatto di concerti aperitivo, concerti pomeridiani e
serali, maratone corali, sante messe cantate, ma
anche momenti musicali liberi ed estemporanei
– quelli che gli amici campani hanno
sagacemente battezzato alcune edizioni fa
“Frijenn Cantann” o, per dirlo in altre parole, il
“canta e fuggi” – e, per la prima volta
quest’anno, una suggestiva parata per le vie
della città che ha raccolto nel cuore pulsante di
Salerno centinaia e centinaia di coristi. O ancora,
e qui mi fermo, potrei cercare di trasmettere a
chi sfortunatamente non abbia potuto sinora
provare questa esperienza, tutto l’entusiasmo e
la gioia di vivere da vicino questo grande evento,
di vedere come una città bella e accogliente
quale è Salerno, ancor più impreziosita dalle
scintillanti “luci d’artista”, possa risuonare con il
canto nei suoi luoghi più suggestivi, siano essi
istituzionali che informali, quando non addirittura
“improvvisati”.
Potrei fare tutto questo, e con questa mia
A Salerno le voci dei cori diventano
di anno in anno specchio del
movimento corale nazionale.
offrendo loro la possibilità di parlare ciascuno la propria
“lingua” e di esprimersi, dando così spazio, anzi ancor più
rendendo protagoniste, proprio le “voci dei cori”. Voci che
parlano di sé e del proprio vissuto, che veicolano messaggi
forti, che dimostrano ancora una volta di avere qualcosa di
importante da dire. E non lo fanno solo ai primi di novembre
a Salerno, lo fanno ogni giorno, in ogni angolo del nostro
paese.
ASSOCIAZIONE
un ricco
mosaico di voci
Salerno Festival raggiunge
la quinta edizione
dichiarazione di intenti ad alta voce magari ovviare, attraverso
uno stratagemma nemmeno troppo fine, a quel blocco dello
scrittore capace di inchiodare una persona davanti a un foglio
bianco. La mente, tuttavia, va oltre e si sofferma quasi
involontariamente a cogliere una analogia (che sia
consapevole? casuale? inconscia?).
Nell’anno del suo trentennale, Feniarco ha scelto per sé e si è
identificata in un motto, «la voce dei cori», nel quale
riconosciamo un pensiero, una volontà politica, un orizzonte
strategico di grande ambizione: farsi portavoce di un intero
mondo, quello corale italiano, che nella
federazione può riconoscersi e può trovare
un interlocutore autorevole presso le
istituzioni. Non a caso, trent’anni fa – e in
maniera sempre crescente nel corso degli
anni successivi – la coralità italiana ha
sentito l’esigenza di fare sistema, di
stringersi attorno a un soggetto che fosse
in sé unitario, di fondere le proprie singole
voci in un’unica voce, quella, appunto, della
federazione nazionale.
Un processo analogo, per certi aspetti uguale e contrario,
seppur su altra scala, è quello che, a mio avviso, possiamo
trovare a Salerno Festival. Qui ciascuno dei cori partecipanti
può esprimersi utilizzando la propria unica e irripetibile voce;
unica e irripetibile così come lo è ogni coro, che arrivando a
Salerno porta con sé il proprio bagaglio fatto di repertori
musicali, di esperienze, di tradizioni, di legami umani e
sociali, di emozioni. A Salerno, questa pluralità di voci può
incontrarsi, può confrontarsi e può dialogare sia al suo interno
(da coro a coro) che con l’esterno (dal coro al pubblico e,
perché no, viceversa), trovando preziose occasioni di crescita;
un dialogo basato sull’ascolto reciproco, sulla condivisione,
sull’imparare dal confronto con l’altro da sé che, a differenza
di quanto troppo spesso si pensa in una società
profondamente individualistica e basata sull’affermazione
personale, non è un avversario da battere ma un amico con il
43
quale rapportarsi, magari a volte anche scontrarsi, ma dal
quale è comunque sempre possibile – e auspicabile, e
necessario – trarre beneficio reciproco. A Salerno, le voci dei
cori diventano di anno in anno specchio del movimento corale
nazionale, dando prova di coesione e rappresentando lo
spaccato di una realtà ricca e in espansione, pur diversificata
al suo interno ma unitaria nel suo presentarsi all’esterno
come un “grande popolo che canta”. A Salerno, da parte sua
Feniarco contraccambia i suoi cori – dai quali, per il tramite
delle associazioni regionali, riceve mandato a operare –
un ricco
mosaico di vo
di Pier Filippo
Rendina
Che dire di un festival come quello di Salerno,
giunto quest’anno con successo alla sua quinta
edizione, un festival che negli anni ha saputo
dimostrarsi solido e vincente, mantenendo salda
l’ampia partecipazione di cori da tutta Italia e
consolidandosi anche grazie alla felice
collaborazione organizzativa tra Feniarco e
l’Associazione Regionale Cori Campani? Potrei
soffermarmi sui numeri, e parlare dei 38 cori
iscritti, dei 1200 partecipanti, dei 21 concerti nella
città di Salerno, con le sue chiese, i teatri, i
palazzi storici, le via caratteristiche del centro
storico, e nel territorio circostante, toccando
luoghi come Atrani, Napoli, Angri, Nocera
Inferiore, Vietri sul Mare. Potrei elencare i
repertori eseguiti, e osservare con piacere come
in tre giorni si sia potuta ascoltare musica di ogni
genere, dalla polifonia sacra a quella profana, dal
popolare al gospel (e non me ne abbiano i cultori
di qualsivoglia altro repertorio se non mi
soffermo a elencarli tutti!). Potrei descrivere, a
chi non la conoscesse, la formula di Salerno
Festival, un ricco, articolato e cangiante mosaico
fatto di concerti aperitivo, concerti pomeridiani e
serali, maratone corali, sante messe cantate, ma
anche momenti musicali liberi ed estemporanei
– quelli che gli amici campani hanno
sagacemente battezzato alcune edizioni fa
“Frijenn Cantann” o, per dirlo in altre parole, il
“canta e fuggi” – e, per la prima volta
quest’anno, una suggestiva parata per le vie
della città che ha raccolto nel cuore pulsante di
Salerno centinaia e centinaia di coristi. O ancora,
e qui mi fermo, potrei cercare di trasmettere a
chi sfortunatamente non abbia potuto sinora
provare questa esperienza, tutto l’entusiasmo e
la gioia di vivere da vicino questo grande evento,
di vedere come una città bella e accogliente
quale è Salerno, ancor più impreziosita dalle
scintillanti “luci d’artista”, possa risuonare con il
canto nei suoi luoghi più suggestivi, siano essi
istituzionali che informali, quando non addirittura
“improvvisati”.
Potrei fare tutto questo, e con questa mia
A Salerno le voci dei cori diventano
di anno in anno specchio del
movimento corale nazionale.
offrendo loro la possibilità di parlare ciascuno la propria
“lingua” e di esprimersi, dando così spazio, anzi ancor più
rendendo protagoniste, proprio le “voci dei cori”. Voci che
parlano di sé e del proprio vissuto, che veicolano messaggi
forti, che dimostrano ancora una volta di avere qualcosa di
importante da dire. E non lo fanno solo ai primi di novembre
a Salerno, lo fanno ogni giorno, in ogni angolo del nostro
paese.
44
Frammenti di note
Riflessioni a margine del seminario europeo
per giovani compositori (Aosta, 20-27 luglio 2014)
di Mattia Culmone
Sono ad Aosta, un’altra volta, per trovare nuovi stimoli, per
riflettere, analizzare, ascoltare, conoscere e amare, ancora
una volta, il mio lavoro di compositore. Ad Aosta non si va
solo per un corso di composizione corale, non si va solo per
scrivere un pezzo e sentirlo eseguito da un coro quando
ancora l’inchiostro è fresco, non si va solo per potersi
confrontare con dei giganti del nostro settore, quali Philip
Lawson o Vytautas Mis̆kinis. No, ad Aosta
si va per crescere, per essere travolti dagli
innumerevoli stimoli che le composizioni
dei colleghi ci offrono, si va per
confrontarsi e fare il punto sulla
situazione, per capire dove stiamo
andando, e soprattutto per avere la
conferma che, sì, anche oggi, ancora nel
2014, servono nuovi compositori, nuovi
brani, nuove idee, che non dobbiamo aver
paura, che il movimento corale a livello globale continua a
crescere e a svilupparsi, e che ha sempre fame di nuove
composizioni.
Eh sì, in effetti qualcuno potrebbe chiedersi che senso ha
continuare a scrivere musica oggi. Tutto è già stato
sperimentato, tutto è già stato sentito, eppure c’è chi ancora
ha voglia di mettersi in gioco, di provare qualcosa, attraverso
la musica, attraverso la voce dei cori, non vergognandosi di
utilizzare linguaggi codificati, stilemi di un passato più o
meno vicino, modi di comunicazione semplici ed efficaci,
seppur non più originali. La risposta che mi sono dato in
questi ultimi mesi, e che ha trovato conferma anche qui ad
Aosta, è che ogni buona storia vale la pena di essere
raccontata. Così ogni buon brano vale la pena di essere
scritto, studiato ed eseguito pensando che il momento
dell’esecuzione sarà unico e irripetibile, che attraverso la
nostra musica potremmo regalare qualche attimo di
leggerezza e serenità, potremmo trasportare chi ci ascolta in
una dimensione lontana dalla quotidianità, potremmo
raccontare una storia, la nostra storia, attraverso la nostra
musica, e rendere un po’ più bella e ricca la nostra vita.
Dobbiamo tornare a una forma di artigianato musicale
prezioso che abbiamo perduto, riscoprendo la capacità di
continuare a produrre nuova musica senza la pretesa che
sopravviva per i prossimi secoli, che entri a far parte del
grande repertorio, ma mantenendo intatta la coscienza e
l’onestà di chi ha qualcosa da dire qui, ora, di chi vuole
raccontarsi e regalare un’altra emozione. Per fare questo
abbiamo bisogno di fare un fronte comune, di creare sinergie
fra compositori e direttori, di facilitare l’accesso e l’esecuzione
delle nuove musiche. Ma anche di stimolare il rinnovamento,
la curiosità, abbiamo bisogno di smetterla di continuare a
cantare sempre lo stesso repertorio, di sentire sempre gli
stessi programmi, dobbiamo avere il coraggio di cambiare
continuamente, di esplorare in tutte le direzioni, sia che si
Ad Aosta si va per crescere,
per confrontarsi e fare il punto
sulla situazione.
tratti di musica popolare, o di polifonie elaborate, o di
repertorio corale pop.
Anche se si fa fatica, anche se è difficile, sono convinto che
sia questa la strada giusta per proseguire, per continuare a
infondere vita, per dare e ricevere emozioni attraverso le voci
dei nostri coristi e le mani dei nostri maestri.
feniarco:
per treNt’anni
la voce dei cori
di Efisio Blanc
La poetessa Federica D’Amato nella sua raccolta Avere trent’anni si sofferma sullo sconcerto di chi, al
termine della giovinezza, si trova davanti alla necessità di un consuntivo.
Tutti abbiamo sperimentato l’importanza di quel personalissimo passaggio obbligato verso
l’indipendenza, chiamato “linea d’ombra”. Oggi poi è più difficile di ieri avere trent’anni e tutti
sappiamo perché.
Anche Feniarco ha sentito l’esigenza di fare un consuntivo dopo i suoi primi trent’anni di vita e lo ha
fatto con grande partecipazione e con grande entusiasmo celebrando l’evento con il Feniarco Day, il 23
gennaio scorso a palazzo Altan di San Vito al Tagliamento, nella ricorrenza del giorno dell’anniversario
di fondazione, e con i festeggiamenti del 10 ottobre 2014 presso la prestigiosa sede del Ministero dei
Beni e delle Attività Culturali e del Turismo a Roma.
L’incontro di Roma, che si è tenuto nella splendida cornice della Sala del Consiglio Nazionale del
Ministero, è iniziato poco dopo le 15 di venerdì 10 ottobre, dando così avvio ai festeggiamenti ufficiali
del trentennale, alla presenza delle
cariche istituzionali della
federazione.
La platea dei presenti
rappresentava in pratica l’intera
Italia corale: presente la quasi
totalità delle associazioni regionali
corali a conferma dello spirito di
appartenenza dell’intera
federazione e dell’importanza della
ricorrenza. Era presente anche il
presidente della Südtiroler Chorverband, la federazione dei cori di lingua tedesca della provincia di
Bolzano, che ha poi preso la parola esprimendo il proprio plauso per quanto Feniarco ha saputo fare in
questi anni.
È stato il presidente Sante Fornasier a dare il benvenuto a tutti, a presentare le motivazioni che ci
vedevano riuniti in quella sede e quindi a sintetizzare, con l’aiuto dei due vicepresidenti, Vicente Pepe e
Gianni Vecchiati, quanto Feniarco ha fatto e ha rappresentato per la coralità amatoriale italiana in
questi trent’anni.
feniar
per tren
Anche Feniarco ha sentito
l’esigenza di fare
un consuntivo dopo
i suoi primi trent’anni di vita.
44
Frammenti di note
Riflessioni a margine del seminario europeo
per giovani compositori (Aosta, 20-27 luglio 2014)
di Mattia Culmone
Sono ad Aosta, un’altra volta, per trovare nuovi stimoli, per
riflettere, analizzare, ascoltare, conoscere e amare, ancora
una volta, il mio lavoro di compositore. Ad Aosta non si va
solo per un corso di composizione corale, non si va solo per
scrivere un pezzo e sentirlo eseguito da un coro quando
ancora l’inchiostro è fresco, non si va solo per potersi
confrontare con dei giganti del nostro settore, quali Philip
Lawson o Vytautas Mis̆kinis. No, ad Aosta
si va per crescere, per essere travolti dagli
innumerevoli stimoli che le composizioni
dei colleghi ci offrono, si va per
confrontarsi e fare il punto sulla
situazione, per capire dove stiamo
andando, e soprattutto per avere la
conferma che, sì, anche oggi, ancora nel
2014, servono nuovi compositori, nuovi
brani, nuove idee, che non dobbiamo aver
paura, che il movimento corale a livello globale continua a
crescere e a svilupparsi, e che ha sempre fame di nuove
composizioni.
Eh sì, in effetti qualcuno potrebbe chiedersi che senso ha
continuare a scrivere musica oggi. Tutto è già stato
sperimentato, tutto è già stato sentito, eppure c’è chi ancora
ha voglia di mettersi in gioco, di provare qualcosa, attraverso
la musica, attraverso la voce dei cori, non vergognandosi di
utilizzare linguaggi codificati, stilemi di un passato più o
meno vicino, modi di comunicazione semplici ed efficaci,
seppur non più originali. La risposta che mi sono dato in
questi ultimi mesi, e che ha trovato conferma anche qui ad
Aosta, è che ogni buona storia vale la pena di essere
raccontata. Così ogni buon brano vale la pena di essere
scritto, studiato ed eseguito pensando che il momento
dell’esecuzione sarà unico e irripetibile, che attraverso la
nostra musica potremmo regalare qualche attimo di
leggerezza e serenità, potremmo trasportare chi ci ascolta in
una dimensione lontana dalla quotidianità, potremmo
raccontare una storia, la nostra storia, attraverso la nostra
musica, e rendere un po’ più bella e ricca la nostra vita.
Dobbiamo tornare a una forma di artigianato musicale
prezioso che abbiamo perduto, riscoprendo la capacità di
continuare a produrre nuova musica senza la pretesa che
sopravviva per i prossimi secoli, che entri a far parte del
grande repertorio, ma mantenendo intatta la coscienza e
l’onestà di chi ha qualcosa da dire qui, ora, di chi vuole
raccontarsi e regalare un’altra emozione. Per fare questo
abbiamo bisogno di fare un fronte comune, di creare sinergie
fra compositori e direttori, di facilitare l’accesso e l’esecuzione
delle nuove musiche. Ma anche di stimolare il rinnovamento,
la curiosità, abbiamo bisogno di smetterla di continuare a
cantare sempre lo stesso repertorio, di sentire sempre gli
stessi programmi, dobbiamo avere il coraggio di cambiare
continuamente, di esplorare in tutte le direzioni, sia che si
Ad Aosta si va per crescere,
per confrontarsi e fare il punto
sulla situazione.
tratti di musica popolare, o di polifonie elaborate, o di
repertorio corale pop.
Anche se si fa fatica, anche se è difficile, sono convinto che
sia questa la strada giusta per proseguire, per continuare a
infondere vita, per dare e ricevere emozioni attraverso le voci
dei nostri coristi e le mani dei nostri maestri.
feniarco:
per treNt’anni
la voce dei cori
di Efisio Blanc
La poetessa Federica D’Amato nella sua raccolta Avere trent’anni si sofferma sullo sconcerto di chi, al
termine della giovinezza, si trova davanti alla necessità di un consuntivo.
Tutti abbiamo sperimentato l’importanza di quel personalissimo passaggio obbligato verso
l’indipendenza, chiamato “linea d’ombra”. Oggi poi è più difficile di ieri avere trent’anni e tutti
sappiamo perché.
Anche Feniarco ha sentito l’esigenza di fare un consuntivo dopo i suoi primi trent’anni di vita e lo ha
fatto con grande partecipazione e con grande entusiasmo celebrando l’evento con il Feniarco Day, il 23
gennaio scorso a palazzo Altan di San Vito al Tagliamento, nella ricorrenza del giorno dell’anniversario
di fondazione, e con i festeggiamenti del 10 ottobre 2014 presso la prestigiosa sede del Ministero dei
Beni e delle Attività Culturali e del Turismo a Roma.
L’incontro di Roma, che si è tenuto nella splendida cornice della Sala del Consiglio Nazionale del
Ministero, è iniziato poco dopo le 15 di venerdì 10 ottobre, dando così avvio ai festeggiamenti ufficiali
del trentennale, alla presenza delle
cariche istituzionali della
federazione.
La platea dei presenti
rappresentava in pratica l’intera
Italia corale: presente la quasi
totalità delle associazioni regionali
corali a conferma dello spirito di
appartenenza dell’intera
federazione e dell’importanza della
ricorrenza. Era presente anche il
presidente della Südtiroler Chorverband, la federazione dei cori di lingua tedesca della provincia di
Bolzano, che ha poi preso la parola esprimendo il proprio plauso per quanto Feniarco ha saputo fare in
questi anni.
È stato il presidente Sante Fornasier a dare il benvenuto a tutti, a presentare le motivazioni che ci
vedevano riuniti in quella sede e quindi a sintetizzare, con l’aiuto dei due vicepresidenti, Vicente Pepe e
Gianni Vecchiati, quanto Feniarco ha fatto e ha rappresentato per la coralità amatoriale italiana in
questi trent’anni.
feniar
per tren
Anche Feniarco ha sentito
l’esigenza di fare
un consuntivo dopo
i suoi primi trent’anni di vita.
ASSOCIAZIONE
46
Trent’anni sono anche l’età che racchiude giovinezza e
maturità, e i festeggiamenti di Roma hanno messo in
evidenza come questi due elementi siano particolarmente
presenti, oggi, nella federazione nazionale. Da una parte
l’enorme sforzo per sostenere la coralità del futuro attraverso
un impegno nella formazione dei quadri dirigenti di domani,
attraverso molteplici iniziative che coinvolgono giovani e
bambini nell’intento di introdurli nel mondo del canto corale e
far loro capire quanto questa esperienza sia arricchente;
dall’altra la riconosciuta capacità di mettere a frutto una
esperienza organizzativa, progettuale e gestionale che
probabilmente trent’anni fa nessuno neanche sospettava. La
sintesi fatta dalle cariche istituzionali della federazione hanno
evidenziato proprio questo: l’impegno per il futuro nei
confronti delle giovani generazioni e la capacità di Feniarco
nel coordinamento di oltre 2700 cori, nella proposta di
progetti a respiro nazionale, nell’autorevolezza di porsi come
partner delle altre federazioni europee.
Volendo esemplificare questo itinerario trentennale, possiamo
citare, per ogni ambito in cui Feniarco ha operato, uno degli
elementi che ci pare più significativo. Nell’ambito della
formazione ha investito in modo particolare sulle giovani
generazioni e sulla scuola istituendo il Festival di Primavera;
così pure ha pensato al futuro organizzando corsi per direttori
di coro (Accademia Europea per Direttori di Coro di Fano) e
corsi per giovani compositori di musica corale (Seminario
Europeo per Giovani Compositori di Aosta). Nell’ambito
artistico ha promosso e sostiene il Coro Giovanile Italiano;
nell’ambito editoriale pubblica Choraliter, una delle riviste del
settore più apprezzate in Italia e all’estero ed è casa editrice
di diverse collane di musiche corali fra cui i volumi di Giro
Giro Canto, le raccolte per i più piccini. Nell’ambito
organizzativo si distingue per il successo ottenuto con il
Festival Europa Cantat che si è svolto a Torino nel luglio del
2012. Nell’ambito progettuale può vantare di aver ottenuto dal
Ministero del lavoro e delle politiche sociali il contributo per
la realizzazione di ben 12 progetti (fra i quali si ricorda il
lavoro di riflessione sul proprio operato con Feniarco: un
primo bilancio… sociale).
Certo, questi risultati sono il frutto dell’evoluzione che la
federazione ha avuto in questi ultimi anni, ma sono anche
frutto di coloro che trent’anni or sono hanno creduto nel
valore dell’associazionismo, di quelle prime nove associazioni
regionali che hanno saputo rinunciare a parte della loro
“sovranità” a favore di un bene comune e di quei presidenti
Feniarco che si sono succeduti e che con i loro Consigli di
Presidenza hanno avuto la capacità di coagulare le forze, di
convincere sulla bontà delle proposte, di realizzare quanto le
assemblee sovrane deliberavano.
Le presenze istituzionali sono state rappresentate dal
senatore Albert Lanièce e dall’onorevole Serena Pellegrino,
entrambi membri del neonato intergruppo parlamentare Per la
musica e sostenitori della proposta di legge “Disposizioni in
materia di valorizzazione dell’espressione musicale e artistica
nell’istruzione”. Convincente il loro impegno per la
valorizzazione del canto corale (il senatore Lanièce è anche
direttore di coro) così come sincera la loro ammissione che
quanto il Parlamento prevede per la valorizzazione della
musica, e in particolare del canto corale, sia del tutto
insufficiente, soprattutto per quanto si riferisce a un
investimento sulla scuola e sui giovani.
L’onorevole Pellegrino ha messo in evidenza
quanto un giorno le aveva espresso Sandro
Bergamo, oggi direttore di Choraliter: «le
risorse economiche che si mettono a
disposizione della cultura sono per lo Stato
una spesa e non un investimento…» a
sottolineare come anche la musica sia
considerata alla stregua di qualcosa che
“non rende” (forse elettoralmente?)
contrariamente alla costruzione di una strada
o di una rete fognaria.
Entrambi i personaggi politici hanno convenuto sul fatto che il
“movimento corale amatoriale”, anche per l’entità della sua
diffusione, oltre che per la sua qualità e per le funzioni che
svolge, non può essere trascurato dalla pubblica
amministrazione, sia a livello territoriale che a livello
nazionale.
A nome dei pionieri che trent’anni fa hanno deciso di
costituire la federazione è poi intervenuto il maestro Franco
Monego all’epoca, come oggi, presidente dell’Usci Lombardia.
Del suo breve discorso mi ha colpito la partecipazione con la
quale ricordava quei momenti di trent’anni fa e la convinzione
nell’aver investito sul mondo corale amatoriale, lui che
47
proviene dal mondo accademico, essendo stato per oltre
quarant’anni docente di Musica corale e direzione di coro
presso il conservatorio di Milano.
Altrettanto importanti sono state le testimonianze dei
rappresentanti di quegli enti e di quelle associazioni che
hanno collaborato e ancora collaborano con Feniarco in questi
trent’anni: dalla Federazione Italiana Pueri Cantores al Forum
per l’Educazione Musicale, dalla Fondazione Guido d’Arezzo
all’Aiscgre.
A suggellare quanto fatto da Feniarco, non potevano mancare
i riconoscimenti internazionali, rappresentati a Roma dalla
presenza del presidente di Europa Cantat, Gábor Móczár, e
dal project manager dell’International Federation for Choral
Music (ifcm), l’italiano Francesco Leonardi. Entrambi hanno
Giovinezza e maturità sono due
elementi particolarmente presenti,
oggi, nella federazione nazionale.
elogiato la federazione corale italiana, sottolineando come in
questi ultimi anni essa rappresenti anche un punto di
riferimento per la coralità europea e mondiale, sia per le sue
capacità progettuali e organizzative, sia per le personalità
amministrative e artistiche che la rappresentano in seno agli
organismi internazionali.
A degna conclusione di questo intenso pomeriggio, il Coro
Giovanile Italiano, sotto la direzione del maestro Lorenzo
Donati, ha allietato i presenti con un breve momento
musicale: un “assaggio” del bellissimo concerto serale che
avrebbe poi presentato nella basilica di San Lorenzo in
Lucina.
ASSOCIAZIONE
46
Trent’anni sono anche l’età che racchiude giovinezza e
maturità, e i festeggiamenti di Roma hanno messo in
evidenza come questi due elementi siano particolarmente
presenti, oggi, nella federazione nazionale. Da una parte
l’enorme sforzo per sostenere la coralità del futuro attraverso
un impegno nella formazione dei quadri dirigenti di domani,
attraverso molteplici iniziative che coinvolgono giovani e
bambini nell’intento di introdurli nel mondo del canto corale e
far loro capire quanto questa esperienza sia arricchente;
dall’altra la riconosciuta capacità di mettere a frutto una
esperienza organizzativa, progettuale e gestionale che
probabilmente trent’anni fa nessuno neanche sospettava. La
sintesi fatta dalle cariche istituzionali della federazione hanno
evidenziato proprio questo: l’impegno per il futuro nei
confronti delle giovani generazioni e la capacità di Feniarco
nel coordinamento di oltre 2700 cori, nella proposta di
progetti a respiro nazionale, nell’autorevolezza di porsi come
partner delle altre federazioni europee.
Volendo esemplificare questo itinerario trentennale, possiamo
citare, per ogni ambito in cui Feniarco ha operato, uno degli
elementi che ci pare più significativo. Nell’ambito della
formazione ha investito in modo particolare sulle giovani
generazioni e sulla scuola istituendo il Festival di Primavera;
così pure ha pensato al futuro organizzando corsi per direttori
di coro (Accademia Europea per Direttori di Coro di Fano) e
corsi per giovani compositori di musica corale (Seminario
Europeo per Giovani Compositori di Aosta). Nell’ambito
artistico ha promosso e sostiene il Coro Giovanile Italiano;
nell’ambito editoriale pubblica Choraliter, una delle riviste del
settore più apprezzate in Italia e all’estero ed è casa editrice
di diverse collane di musiche corali fra cui i volumi di Giro
Giro Canto, le raccolte per i più piccini. Nell’ambito
organizzativo si distingue per il successo ottenuto con il
Festival Europa Cantat che si è svolto a Torino nel luglio del
2012. Nell’ambito progettuale può vantare di aver ottenuto dal
Ministero del lavoro e delle politiche sociali il contributo per
la realizzazione di ben 12 progetti (fra i quali si ricorda il
lavoro di riflessione sul proprio operato con Feniarco: un
primo bilancio… sociale).
Certo, questi risultati sono il frutto dell’evoluzione che la
federazione ha avuto in questi ultimi anni, ma sono anche
frutto di coloro che trent’anni or sono hanno creduto nel
valore dell’associazionismo, di quelle prime nove associazioni
regionali che hanno saputo rinunciare a parte della loro
“sovranità” a favore di un bene comune e di quei presidenti
Feniarco che si sono succeduti e che con i loro Consigli di
Presidenza hanno avuto la capacità di coagulare le forze, di
convincere sulla bontà delle proposte, di realizzare quanto le
assemblee sovrane deliberavano.
Le presenze istituzionali sono state rappresentate dal
senatore Albert Lanièce e dall’onorevole Serena Pellegrino,
entrambi membri del neonato intergruppo parlamentare Per la
musica e sostenitori della proposta di legge “Disposizioni in
materia di valorizzazione dell’espressione musicale e artistica
nell’istruzione”. Convincente il loro impegno per la
valorizzazione del canto corale (il senatore Lanièce è anche
direttore di coro) così come sincera la loro ammissione che
quanto il Parlamento prevede per la valorizzazione della
musica, e in particolare del canto corale, sia del tutto
insufficiente, soprattutto per quanto si riferisce a un
investimento sulla scuola e sui giovani.
L’onorevole Pellegrino ha messo in evidenza
quanto un giorno le aveva espresso Sandro
Bergamo, oggi direttore di Choraliter: «le
risorse economiche che si mettono a
disposizione della cultura sono per lo Stato
una spesa e non un investimento…» a
sottolineare come anche la musica sia
considerata alla stregua di qualcosa che
“non rende” (forse elettoralmente?)
contrariamente alla costruzione di una strada
o di una rete fognaria.
Entrambi i personaggi politici hanno convenuto sul fatto che il
“movimento corale amatoriale”, anche per l’entità della sua
diffusione, oltre che per la sua qualità e per le funzioni che
svolge, non può essere trascurato dalla pubblica
amministrazione, sia a livello territoriale che a livello
nazionale.
A nome dei pionieri che trent’anni fa hanno deciso di
costituire la federazione è poi intervenuto il maestro Franco
Monego all’epoca, come oggi, presidente dell’Usci Lombardia.
Del suo breve discorso mi ha colpito la partecipazione con la
quale ricordava quei momenti di trent’anni fa e la convinzione
nell’aver investito sul mondo corale amatoriale, lui che
47
proviene dal mondo accademico, essendo stato per oltre
quarant’anni docente di Musica corale e direzione di coro
presso il conservatorio di Milano.
Altrettanto importanti sono state le testimonianze dei
rappresentanti di quegli enti e di quelle associazioni che
hanno collaborato e ancora collaborano con Feniarco in questi
trent’anni: dalla Federazione Italiana Pueri Cantores al Forum
per l’Educazione Musicale, dalla Fondazione Guido d’Arezzo
all’Aiscgre.
A suggellare quanto fatto da Feniarco, non potevano mancare
i riconoscimenti internazionali, rappresentati a Roma dalla
presenza del presidente di Europa Cantat, Gábor Móczár, e
dal project manager dell’International Federation for Choral
Music (ifcm), l’italiano Francesco Leonardi. Entrambi hanno
Giovinezza e maturità sono due
elementi particolarmente presenti,
oggi, nella federazione nazionale.
elogiato la federazione corale italiana, sottolineando come in
questi ultimi anni essa rappresenti anche un punto di
riferimento per la coralità europea e mondiale, sia per le sue
capacità progettuali e organizzative, sia per le personalità
amministrative e artistiche che la rappresentano in seno agli
organismi internazionali.
A degna conclusione di questo intenso pomeriggio, il Coro
Giovanile Italiano, sotto la direzione del maestro Lorenzo
Donati, ha allietato i presenti con un breve momento
musicale: un “assaggio” del bellissimo concerto serale che
avrebbe poi presentato nella basilica di San Lorenzo in
Lucina.
ASSOCIAZIONE
48
49
ORGOGLIOSI DI QUESTA REALTÀ
Assemblea Feniarco a Roma
L’Europa corale si incontra a Barcellona
Diario di viaggio dall’assemblea ECA - Europa Cantat
di Giorgio Morandi
di Gianni Vecchiati
Di solito un’assemblea Feniarco comincia con una serena e
gioiosa compagnia di almeno una trentina di persone che ti
accolgono con amicizia: grandi sorrisi, saluti sonori, strette di
mano, abbracci… A Roma lo scorso 11 ottobre no: la vera e
propria introduzione all’assemblea autunnale Feniarco 2014
questa volta è stata completamente diversa, ancora più
speciale del solito. Il Convegno per il trentennale Feniarco che
ha avuto luogo presso il mibact (Ministero dei Beni e delle
Attività Culturali e del Turismo) il giorno 10 ottobre (e di cui
viene data relazione in altro articolo della presente rivista) è
stato un’eccezionale introduzione che ha creato la giusta e
bella atmosfera.
Voglio ricordare che l’atmosfera è ciò che da sempre
caratterizza subito l’ambiente Feniarco, in ogni circostanza.
È un’atmosfera che allo stesso tempo trae origine ed è causa
della parte sostanziale, cioè dell’attività che dalla federazione
viene programmata e realizzata. La misura di questa è stata
amplificata nell’entusiasmo incrollabile del presidente
Fornasier che nel condurre l’assemblea questa volta era
sostenuto – giustamente – anche dalla soddisfazione
(nonostante alcune assordanti assenze tra i rappresentanti
delle Istituzioni) per il convegno del trentennale appena
svolto.
Quasi quasi potrebbe sembrare che tutta questa festa per i
trent’anni della federazione abbia tolto qualcosa
all’importanza dell’assemblea che si è svolta in meno di
quattro ore presso la Casa Salesiana del Sacro Cuore (a
Roma).
Ma può – in qualsiasi modo – essere “meno importante”
un’assemblea che si presenta con ben 14 punti all’ordine del
giorno, dove si parla di valutazione delle iniziative del 2014,
di programmi per il 2015, grandi progetti (Coro Lab e Expo
2015…), dove si promuovono attività internazionali quali il
Festival Europa Cantat xix 2015 a Pécs (Ungheria) e il
concorso Internazionale per Direttori di Coro di Torino 2015?
E restano ancora da ricordare i patrocini e premi per quattro
concorsi internazionali, cinque concorsi nazionali, tre concorsi
regionali, festival e rassegne internazionali e nazionali (ben
sei!) e una decina di eventi fra corsi, seminari, concorsi di
composizione e altre manifestazioni.
Non essendo opportuno e non volendo doppiare quello che
sarà il verbale dell’assemblea che a tempo opportuno sarà
consegnato agli aventi diritto e – quindi – sarà proposto
all’approvazione della prossima assemblea primaverile che
avrà luogo il 14 e 15 marzo 2015 a Campobasso, non resta
che ricordare almeno uno degli aspetti più volte sottolineato
dal presidente: diversi organi internazionali e nazionali hanno
testimoniato esplicitamente il buon lavoro svolto dalla
federazione… anche a livello “diplomatico” tramite contatti
personali ed epistolari, azioni che, anche in tempo di crisi
come quella che perdura quest’anno, hanno portato a buoni
risultati concreti anche dal punto di vista del sostegno
finanziario ricevuto.
E come dimenticare – sia pure telegraficamente – almeno
alcuni degli auguri, dei riconoscimenti e degli inviti del
presidente? «Abbiamo bisogno di nuove energie creative:
cerchiamo in loco i giovani»; «Apprezziamo i grandi risultati
artistici, il livello di professionalità raggiunto e, insieme, lo
spirito del Coro Giovanile Italiano che ha concluso la sua fase
di attività»; «Facciamo i nostri auguri di buon lavoro alla
rinnovata Commissione Artistica»; «Auspichiamo la
partecipazione di almeno dieci cori italiani al festival Europa
Cantat di Pécs dove sarà presente anche il nuovo Coro
Giovanile Italiano»; «Quello che siamo l’abbiamo costruito con
la passione di tutti, con la passione della federazione e con
l’apporto di un eccezionale staff giovanile»; «La scuola è
terreno da coltivare; non pensiamo soltanto ai nostri iscritti…
Apriamoci!»; «Cantare è sacrificio, ma anche grande
opportunità per i nostri cantori»; «Sostenere le eccellenze va
bene, ma la federazione deve seguire anche l’ultimo dei
cori…»; e per finire… il Presidente ci invita e ci incoraggia
tutti: «Siate orgogliosi di questa realtà» e augura: «lo spirito
dei trent’anni ci accompagni per il futuro».
Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di poter partecipare
alle annuali assemblee di Europa Cantat: San Sebastian,
Namur, Sofia, Tolosa, Torino, e con piacere ho potuto poi
leggerne l’interessante “diario di viaggio” negli articoli di
Giorgio Morandi. Quest’anno la sua assenza, dovuta al
grave lutto che lo ha privato dell’affetto più caro, avrebbe
lasciato i fedeli lettori di Choraliter senza l’atteso
resoconto, per cui proverò a farne le veci.
Barcellona ci accoglie con temperature settembrine,
nonostante sia il 21 novembre, e dopo una passeggiata
pomeridiana sulla Rambla con puntata al mercato della
Boqueria, attrazione ed esperienza imperdibile per chi
visita la città, eccoci al Palau de la Música Catalana, dove
ogni delegazione procede a registrarsi. È così anche per la
rappresentanza Feniarco, composta dal presidente Sante
Fornasier, Vicente Pepe, Marco Fornasier e il sottoscritto,
accolta con la solita cordialità e amicizia. Dopo i saluti di
rito, il keynote speech – discorso che stabilisce filo
conduttore dei successivi momenti dell’assemblea – è
affidato Brendan Walsh, musicista e consulente di numerose
organizzazioni culturali, che riporta alcune sue esperienze su
«come coinvolgere attivamente il nostro pubblico in quanto
facciamo e amiamo? Quanti cori riescono realmente a uscire
dal circolo di amici e familiari?». La sua ricetta è che occorre
“osare”: osare creatività per uscire dalla routine, osare nuovi
e inusuali luoghi per le esibizioni, osare coinvolgere persone
che condividano i valori del nostro impegno.
Come da programma, ci trasferiamo poi
nell’auditorium del Petit Palau per
“entrare in contatto” con la musica
catalana. La Coral Sant Jordi e il Cor
Jove Nacional de Catalunya accolgono le
delegazioni dei ventinove paesi europei
partecipanti, presentando un
programma che spazia dal Rinascimento
al Contemporaneo spagnolo; entrambe
le formazioni offrono esecuzioni di
qualità, ma la selezione giovanile catalana mi regala
sicuramente maggiori emozioni. La cena al ristorante del
Palau conclude la prima giornata dei lavori e la convivialità
favorisce come sempre nuove conoscenze e scambi di
esperienze.
Il giorno seguente, i tempi stretti a disposizione fanno sì che
l’Assemblea inizi alle 9; il presidente di European Choral
Association - Europa Cantat, Gábor Móczár, rinnova il
benvenuto ai convenuti e ringrazia il Moviment Coral Català
per l’organizzazione e l’ospitalità. La mattinata scorre veloce
tra l’approvazione condivisa dei bilanci, relazioni e interventi.
Si percepisce la soddisfazione per quanto fatto, ma è
tangibile la preoccupazione per il futuro: la crisi colpisce
anche le istituzioni europee e impone riflessioni e scelte, è
grande l’attesa per l’approvazione da parte della Commissione
Europea del progetto “Choral Upgrade in Europe”, 14 partners
e 12 paesi coinvolti, che solo potrà garantire a ECA - Europa
Feniarco ha saputo guadagnarsi
negli anni stima e rispetto
nell’ampio consesso europeo.
Cantat le necessarie risorse a quattro anni di nuove iniziative.
Il tempo di uno spuntino e ci si avvia al Conservatori Superior
del Liceu per la seduta pomeridiana, che si apre con le
conclusioni sul progetto europeo voice, giunto ormai a
termine, e di cui ha in parte beneficiato Feniarco per
l’organizzazione dell’indimenticabile festival di Torino 2012.
L’intermezzo musicale è affidato al Cor Infantil Amics de la
Uniò che riesce a coinvolgere ed entusiasmare il pubblico con
un vero e proprio spettacolo fatto di canti spazializzati e
ASSOCIAZIONE
48
49
ORGOGLIOSI DI QUESTA REALTÀ
Assemblea Feniarco a Roma
L’Europa corale si incontra a Barcellona
Diario di viaggio dall’assemblea ECA - Europa Cantat
di Giorgio Morandi
di Gianni Vecchiati
Di solito un’assemblea Feniarco comincia con una serena e
gioiosa compagnia di almeno una trentina di persone che ti
accolgono con amicizia: grandi sorrisi, saluti sonori, strette di
mano, abbracci… A Roma lo scorso 11 ottobre no: la vera e
propria introduzione all’assemblea autunnale Feniarco 2014
questa volta è stata completamente diversa, ancora più
speciale del solito. Il Convegno per il trentennale Feniarco che
ha avuto luogo presso il mibact (Ministero dei Beni e delle
Attività Culturali e del Turismo) il giorno 10 ottobre (e di cui
viene data relazione in altro articolo della presente rivista) è
stato un’eccezionale introduzione che ha creato la giusta e
bella atmosfera.
Voglio ricordare che l’atmosfera è ciò che da sempre
caratterizza subito l’ambiente Feniarco, in ogni circostanza.
È un’atmosfera che allo stesso tempo trae origine ed è causa
della parte sostanziale, cioè dell’attività che dalla federazione
viene programmata e realizzata. La misura di questa è stata
amplificata nell’entusiasmo incrollabile del presidente
Fornasier che nel condurre l’assemblea questa volta era
sostenuto – giustamente – anche dalla soddisfazione
(nonostante alcune assordanti assenze tra i rappresentanti
delle Istituzioni) per il convegno del trentennale appena
svolto.
Quasi quasi potrebbe sembrare che tutta questa festa per i
trent’anni della federazione abbia tolto qualcosa
all’importanza dell’assemblea che si è svolta in meno di
quattro ore presso la Casa Salesiana del Sacro Cuore (a
Roma).
Ma può – in qualsiasi modo – essere “meno importante”
un’assemblea che si presenta con ben 14 punti all’ordine del
giorno, dove si parla di valutazione delle iniziative del 2014,
di programmi per il 2015, grandi progetti (Coro Lab e Expo
2015…), dove si promuovono attività internazionali quali il
Festival Europa Cantat xix 2015 a Pécs (Ungheria) e il
concorso Internazionale per Direttori di Coro di Torino 2015?
E restano ancora da ricordare i patrocini e premi per quattro
concorsi internazionali, cinque concorsi nazionali, tre concorsi
regionali, festival e rassegne internazionali e nazionali (ben
sei!) e una decina di eventi fra corsi, seminari, concorsi di
composizione e altre manifestazioni.
Non essendo opportuno e non volendo doppiare quello che
sarà il verbale dell’assemblea che a tempo opportuno sarà
consegnato agli aventi diritto e – quindi – sarà proposto
all’approvazione della prossima assemblea primaverile che
avrà luogo il 14 e 15 marzo 2015 a Campobasso, non resta
che ricordare almeno uno degli aspetti più volte sottolineato
dal presidente: diversi organi internazionali e nazionali hanno
testimoniato esplicitamente il buon lavoro svolto dalla
federazione… anche a livello “diplomatico” tramite contatti
personali ed epistolari, azioni che, anche in tempo di crisi
come quella che perdura quest’anno, hanno portato a buoni
risultati concreti anche dal punto di vista del sostegno
finanziario ricevuto.
E come dimenticare – sia pure telegraficamente – almeno
alcuni degli auguri, dei riconoscimenti e degli inviti del
presidente? «Abbiamo bisogno di nuove energie creative:
cerchiamo in loco i giovani»; «Apprezziamo i grandi risultati
artistici, il livello di professionalità raggiunto e, insieme, lo
spirito del Coro Giovanile Italiano che ha concluso la sua fase
di attività»; «Facciamo i nostri auguri di buon lavoro alla
rinnovata Commissione Artistica»; «Auspichiamo la
partecipazione di almeno dieci cori italiani al festival Europa
Cantat di Pécs dove sarà presente anche il nuovo Coro
Giovanile Italiano»; «Quello che siamo l’abbiamo costruito con
la passione di tutti, con la passione della federazione e con
l’apporto di un eccezionale staff giovanile»; «La scuola è
terreno da coltivare; non pensiamo soltanto ai nostri iscritti…
Apriamoci!»; «Cantare è sacrificio, ma anche grande
opportunità per i nostri cantori»; «Sostenere le eccellenze va
bene, ma la federazione deve seguire anche l’ultimo dei
cori…»; e per finire… il Presidente ci invita e ci incoraggia
tutti: «Siate orgogliosi di questa realtà» e augura: «lo spirito
dei trent’anni ci accompagni per il futuro».
Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di poter partecipare
alle annuali assemblee di Europa Cantat: San Sebastian,
Namur, Sofia, Tolosa, Torino, e con piacere ho potuto poi
leggerne l’interessante “diario di viaggio” negli articoli di
Giorgio Morandi. Quest’anno la sua assenza, dovuta al
grave lutto che lo ha privato dell’affetto più caro, avrebbe
lasciato i fedeli lettori di Choraliter senza l’atteso
resoconto, per cui proverò a farne le veci.
Barcellona ci accoglie con temperature settembrine,
nonostante sia il 21 novembre, e dopo una passeggiata
pomeridiana sulla Rambla con puntata al mercato della
Boqueria, attrazione ed esperienza imperdibile per chi
visita la città, eccoci al Palau de la Música Catalana, dove
ogni delegazione procede a registrarsi. È così anche per la
rappresentanza Feniarco, composta dal presidente Sante
Fornasier, Vicente Pepe, Marco Fornasier e il sottoscritto,
accolta con la solita cordialità e amicizia. Dopo i saluti di
rito, il keynote speech – discorso che stabilisce filo
conduttore dei successivi momenti dell’assemblea – è
affidato Brendan Walsh, musicista e consulente di numerose
organizzazioni culturali, che riporta alcune sue esperienze su
«come coinvolgere attivamente il nostro pubblico in quanto
facciamo e amiamo? Quanti cori riescono realmente a uscire
dal circolo di amici e familiari?». La sua ricetta è che occorre
“osare”: osare creatività per uscire dalla routine, osare nuovi
e inusuali luoghi per le esibizioni, osare coinvolgere persone
che condividano i valori del nostro impegno.
Come da programma, ci trasferiamo poi
nell’auditorium del Petit Palau per
“entrare in contatto” con la musica
catalana. La Coral Sant Jordi e il Cor
Jove Nacional de Catalunya accolgono le
delegazioni dei ventinove paesi europei
partecipanti, presentando un
programma che spazia dal Rinascimento
al Contemporaneo spagnolo; entrambe
le formazioni offrono esecuzioni di
qualità, ma la selezione giovanile catalana mi regala
sicuramente maggiori emozioni. La cena al ristorante del
Palau conclude la prima giornata dei lavori e la convivialità
favorisce come sempre nuove conoscenze e scambi di
esperienze.
Il giorno seguente, i tempi stretti a disposizione fanno sì che
l’Assemblea inizi alle 9; il presidente di European Choral
Association - Europa Cantat, Gábor Móczár, rinnova il
benvenuto ai convenuti e ringrazia il Moviment Coral Català
per l’organizzazione e l’ospitalità. La mattinata scorre veloce
tra l’approvazione condivisa dei bilanci, relazioni e interventi.
Si percepisce la soddisfazione per quanto fatto, ma è
tangibile la preoccupazione per il futuro: la crisi colpisce
anche le istituzioni europee e impone riflessioni e scelte, è
grande l’attesa per l’approvazione da parte della Commissione
Europea del progetto “Choral Upgrade in Europe”, 14 partners
e 12 paesi coinvolti, che solo potrà garantire a ECA - Europa
Feniarco ha saputo guadagnarsi
negli anni stima e rispetto
nell’ampio consesso europeo.
Cantat le necessarie risorse a quattro anni di nuove iniziative.
Il tempo di uno spuntino e ci si avvia al Conservatori Superior
del Liceu per la seduta pomeridiana, che si apre con le
conclusioni sul progetto europeo voice, giunto ormai a
termine, e di cui ha in parte beneficiato Feniarco per
l’organizzazione dell’indimenticabile festival di Torino 2012.
L’intermezzo musicale è affidato al Cor Infantil Amics de la
Uniò che riesce a coinvolgere ed entusiasmare il pubblico con
un vero e proprio spettacolo fatto di canti spazializzati e
50
movimenti dal sincronismo perfetto. Che peccato dover
interrompere per rientrare in aula! Ci si divide per le diverse
sessioni: “Open singing come strumento per l’audience
development” (processo strategico e dinamico di
allargamento e diversificazione del pubblico e di
miglioramento delle condizioni complessive di fruizione) con
Michael Gohl, guida di tutti gli open singing
del festival torinese e di innumerevoli altre
manifestazioni; “Audience development
oltre il mondo corale” con Arpad Toth, “una
nuova visione sull’Eurochoir”. E poi ancora,
a seguire, gruppi aperti di lavoro sulle
strategie di inserimento (tutti possono
cantare, ma siamo sicuri che poi realmente
accada?), cori giovanili regionali e nazionali, brainstorming o
giro di idee sul futuro, associazioni di cori giovanili e di
bambini, l’economia dell’organizzazione corale (riduzione del
sostegno pubblico, nuove e positive esperienze per il
supporto finanziario dei cori).
Le ultime ore trascorrono velocemente tra scambi di idee, ma
soprattutto domande. Non ci si consola nel vedere che i
problemi di casa nostra sono gli stessi del nostro “vicino”, né
è vero che mal comune sia mezzo gaudio. Il mondo corale
non si rassegna alle avversità del momento e il confronto può
offrire “l’idea o la strategia” giuste per risultare vincenti. La
partecipazione attiva al gruppo dimostra ancora una volta
quanta vitalità animi i convenuti a Barcellona.
E alla fine, dopo una giornata così intensa e interessante,
cosa c’è di meglio di un buon concerto! Si ritorna al Petit
Palau e sono di scena (è il caso di dirlo) il Cor de Teatre, in
una divertente esibizione corale rappresentata comicamente,
che raccoglie la standing ovation del pubblico, e la Coral del
Scic – l’insieme dei cori del Secretariat de Corals Infantils de
Catalunya.
La cena conclude la due giorni, tra i saluti e la promessa di
ritrovarci nuovamente fra un anno a Helsinky.
Non saprei dire quante sensazioni, emozioni, riflessioni
animano ognuno di noi dopo questa nuova esperienza, forse
non riesco a descrivere nemmeno le mie: la bellezza della
città, in questa occasione vista giusto negli spostamenti tra
una sede e l’altra, e del tempio della musica capolavoro del
modernismo catalano; le voci ascoltate nelle pregevoli
esecuzioni corali, giusto intermezzo alle ore di parole… in
inglese, e lo sforzo di comprenderne il significato per quanto
possibile; le preoccupazioni raccolte per il momento
economico e “culturale” che l’Europa tutta attraversa e su
come questo influisca sulle attività corali; la conseguente
spinta a ricercare nuove espressioni, nuove energie e sinergie;
la sorpresa poi di essere accolti e “registrati” da Giulia, una
universitaria italiana priva di ogni precedente esperienza
corale, in stage di tre mesi nella sede di Europa Cantat a
Bonn grazie a una convenzione con l’Università di Bologna.
E poi ancora il rispetto goduto da Feniarco in un così ampio
consesso europeo; stima e apprezzamento generali che la
federazione ha saputo guadagnarsi negli anni con l’impegno e
il lavoro, testimoniati dai festival di Primavera, di Salerno,
Alpe Adria, di Torino 2012, quest’ultimo menzionato e
ricordato più volte in assemblea, sicuramente con una punta
di nostalgia; dalla splendida rivista Choraliter, unica nel suo
genere nel panorama europeo; dalla presenza nel Board di
Europa Cantat di Sante Fornasier, conclusasi con il triennio di
europa
cantat
EUROPA CANTAT XIX
Hungary, Pécs 2015
24 July - 2 August
Il mondo corale non si rassegna
alle avversità del momento.
presidenza e oggi con la vicepresidenza di Carlo Pavese.
E allora, con una punta di italico orgoglio, mi viene spontaneo
pensare che perlomeno nel campo corale i compiti a casa gli
italiani li hanno saputi fare… da tempo e bene.
Dopo il successo del Festival di T RIN , il
Festival Europa Cantat ritorna a PÉCS!
Ti aspetta il Festival corale più vivace d’Europa!
Lo scorso 21 novembre è mancata all’affetto
dei suoi cari Andreina, moglie del nostro redattore
Giorgio Morandi. Feniarco e la redazione di
Choraliter si uniscono in questo triste momento
per esprimere a Giorgio tutto l’affetto e la stima
del mondo corale italiano.
Il programma e la lista degli atelier si trovano sul sito www.ecpecs2015.hu,
per avere la versione cartacea scrivete all’indirizzo email info@ecpecs2015.
HUNGARY
enjoy the quality
Emberi Erőforrások
Minisztériuma
50
movimenti dal sincronismo perfetto. Che peccato dover
interrompere per rientrare in aula! Ci si divide per le diverse
sessioni: “Open singing come strumento per l’audience
development” (processo strategico e dinamico di
allargamento e diversificazione del pubblico e di
miglioramento delle condizioni complessive di fruizione) con
Michael Gohl, guida di tutti gli open singing
del festival torinese e di innumerevoli altre
manifestazioni; “Audience development
oltre il mondo corale” con Arpad Toth, “una
nuova visione sull’Eurochoir”. E poi ancora,
a seguire, gruppi aperti di lavoro sulle
strategie di inserimento (tutti possono
cantare, ma siamo sicuri che poi realmente
accada?), cori giovanili regionali e nazionali, brainstorming o
giro di idee sul futuro, associazioni di cori giovanili e di
bambini, l’economia dell’organizzazione corale (riduzione del
sostegno pubblico, nuove e positive esperienze per il
supporto finanziario dei cori).
Le ultime ore trascorrono velocemente tra scambi di idee, ma
soprattutto domande. Non ci si consola nel vedere che i
problemi di casa nostra sono gli stessi del nostro “vicino”, né
è vero che mal comune sia mezzo gaudio. Il mondo corale
non si rassegna alle avversità del momento e il confronto può
offrire “l’idea o la strategia” giuste per risultare vincenti. La
partecipazione attiva al gruppo dimostra ancora una volta
quanta vitalità animi i convenuti a Barcellona.
E alla fine, dopo una giornata così intensa e interessante,
cosa c’è di meglio di un buon concerto! Si ritorna al Petit
Palau e sono di scena (è il caso di dirlo) il Cor de Teatre, in
una divertente esibizione corale rappresentata comicamente,
che raccoglie la standing ovation del pubblico, e la Coral del
Scic – l’insieme dei cori del Secretariat de Corals Infantils de
Catalunya.
La cena conclude la due giorni, tra i saluti e la promessa di
ritrovarci nuovamente fra un anno a Helsinky.
Non saprei dire quante sensazioni, emozioni, riflessioni
animano ognuno di noi dopo questa nuova esperienza, forse
non riesco a descrivere nemmeno le mie: la bellezza della
città, in questa occasione vista giusto negli spostamenti tra
una sede e l’altra, e del tempio della musica capolavoro del
modernismo catalano; le voci ascoltate nelle pregevoli
esecuzioni corali, giusto intermezzo alle ore di parole… in
inglese, e lo sforzo di comprenderne il significato per quanto
possibile; le preoccupazioni raccolte per il momento
economico e “culturale” che l’Europa tutta attraversa e su
come questo influisca sulle attività corali; la conseguente
spinta a ricercare nuove espressioni, nuove energie e sinergie;
la sorpresa poi di essere accolti e “registrati” da Giulia, una
universitaria italiana priva di ogni precedente esperienza
corale, in stage di tre mesi nella sede di Europa Cantat a
Bonn grazie a una convenzione con l’Università di Bologna.
E poi ancora il rispetto goduto da Feniarco in un così ampio
consesso europeo; stima e apprezzamento generali che la
federazione ha saputo guadagnarsi negli anni con l’impegno e
il lavoro, testimoniati dai festival di Primavera, di Salerno,
Alpe Adria, di Torino 2012, quest’ultimo menzionato e
ricordato più volte in assemblea, sicuramente con una punta
di nostalgia; dalla splendida rivista Choraliter, unica nel suo
genere nel panorama europeo; dalla presenza nel Board di
Europa Cantat di Sante Fornasier, conclusasi con il triennio di
europa
cantat
EUROPA CANTAT XIX
Hungary, Pécs 2015
24 July - 2 August
Il mondo corale non si rassegna
alle avversità del momento.
presidenza e oggi con la vicepresidenza di Carlo Pavese.
E allora, con una punta di italico orgoglio, mi viene spontaneo
pensare che perlomeno nel campo corale i compiti a casa gli
italiani li hanno saputi fare… da tempo e bene.
Dopo il successo del Festival di T RIN , il
Festival Europa Cantat ritorna a PÉCS!
Ti aspetta il Festival corale più vivace d’Europa!
Lo scorso 21 novembre è mancata all’affetto
dei suoi cari Andreina, moglie del nostro redattore
Giorgio Morandi. Feniarco e la redazione di
Choraliter si uniscono in questo triste momento
per esprimere a Giorgio tutto l’affetto e la stima
del mondo corale italiano.
Il programma e la lista degli atelier si trovano sul sito www.ecpecs2015.hu,
per avere la versione cartacea scrivete all’indirizzo email info@ecpecs2015.
HUNGARY
enjoy the quality
Emberi Erőforrások
Minisztériuma
CRONACA
52
POLIFONICO DI AREZZO:
UNA TRADIZIONE CHE SCOMMETTE SUL FUTURO
Dalla prossima edizione concorso nazionale
e internazionale in periodi diversi
di Rossana Paliaga
Sedici cori partecipanti al 62° concorso internazionale,
provenienze molto varie (Croazia, Estonia, Francia, Indonesia,
Italia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna, Ungheria e
Ucraina), alta qualità e interessanti rivelazioni hanno
confermato il rilancio del Polifonico di Arezzo, concorso
storico che inizia a raccogliere i frutti di una gestione che
cerca la via del futuro di una lunga tradizione. È stata
un’edizione intensa, per gli organizzatori non semplice da
molti punti di vista. Al di là delle emozioni di una
grande gara che si preannunciava tale fin dal
programma, all’adrenalina della competizione si è
aggiunta inaspettatamente anche quella di
inquietudini politiche e umane con le quali la
storia ha fatto irruzione nell’isola felice della
festa corale. La tensione trattenuta durante le
varie fasi della competizione dai coristi ucraini,
raggiunti dalle notizie sempre più preoccupanti che in quel
periodo arrivavano dal loro paese e tangibili in tutte le fasi
del concorso, è esplosa durante la rassegna di musica
popolare con un fuori programma nel quale i coristi hanno
sentito la necessità di spiegare il proprio disagio, che si è
spontaneamente riversato nella commossa intonazione
dell’inno nazionale a lato del palco, tra l’abbraccio del
pubblico umanamente partecipe e il disagio derivato dalla
condivisione diretta di una situazione che fino a quel
momento era stata vissuta da molti soltanto attraverso la
prudente distanza di schermi televisivi e pagine dei giornali.
È stata una scossa che ha costretto organizzatori e
partecipanti ad assumere il peso e il significato di messaggi
che vanno al di là della competizione corale e ha messo alla
prova nei fatti tutte le dichiarazioni di solidarietà e fratellanza
che nascono spontaneamente in queste occasioni
dall’incontro di persone con vissuti, anche politici e sociali,
diversi.
La vittoria assoluta di un magnifico coro, l’Oreya di Z̆itomir,
dato comunque per favorito da chiunque abbia già avuto
modo di conoscere il suo virtuosismo semiprofessionale in
altri concorsi, ha così segnato e caratterizzato questa edizione
del Polifonico anche oltre l’evento musicale, provocando una
riflessione più ampia sul significato profondo di questi
confronti internazionali.
Gli Oreya non hanno lasciato molte possibilità agli altri cori,
portando a casa oltre al Grand Prix anche i primi premi in
tutte le categorie alle quali hanno partecipato: programma
romantico, programma contemporaneo, gruppi misti, popolare
e libero (premio del pubblico). I coristi di Alexander Vatsek
sono certamente il gruppo che nessun partecipante vorrebbe
incontrare nella propria categoria. Questo coro è uno
strumento estremamente sensibile che reagisce con
sorprendente capacità di “accelerazione” al minimo gesto, su
un’estensione dinamica invidiabilmente ampia ed equilibrata a
Conservare le radici
è fondamentale,
ma c’è bisogno di linfa nuova.
ogni livello. La sezione maschile è eccezionale, l’omogeneità
dell’ensemble totale. È stata un vero spettacolo l’esibizione
nel programma romantico e la magia del suono ha
conquistato il pubblico anche del programma contemporaneo.
Provando a resistere al fascino del grandioso effetto estetico,
emergerebbe il loro punto debole, ovvero la libertà
dell’approccio: gli Oreya non sono infatti sempre fedelissimi
alla partitura. La loro si potrebbe definire piuttosto come fede
nella musica, una religione del suono e della bellezza che
anche in questo caso ha colpito nel segno in modo
assolutamente unico.
La giuria del concorso internazionale, composta da Peter
Broadbent, Javier Busto, Luigi Ciuffa, Stojan Kuret, Giovanni
Conti, Fabiana Noro e Luigi Marzola, ha avuto il piacere e
l’onere di valutare le esibizioni di un’edizione veramente
speciale che ha potuto finalmente festeggiare il risultato di un
numero di richieste di partecipazione che da molto tempo non
si registrava così numeroso. Nel regolamento del concorso la
novità di maggiore rilievo è stato il ripristino del brano
d’obbligo, richiesto dal 99% delle persone che l’anno scorso
hanno partecipato al sondaggio proposto dal concorso su
questo tema. Sono stati scelti i brani Lieti fior di Costanzo
Festa per i gruppi vocali, Qui laudat Dominum di Hans Leo
Hassler per le voci pari, Sagittae potentis acutae di Palestrina
per le voci miste.
Un gruppo estone e uno francese si sono
giocati con gli Oreya la possibilità di
conquistare il Grand Prix. La direttrice Ingrid
Korvits ha confermato la propria competitività
con il gruppo femminile giovanile della scuola
superiore di musica di Tallinn, caratterizzato da
chiarezza di esposizione e precisione (da
segnalare una magnifica interpretazione
dell’Ave Maria di Holst), flessibilità vocale,
agilità, un bel ventaglio dinamico e smalto sonoro,
caratteristiche invidiabili che hanno permesso al coro di
ottenere ottimi piazzamenti in tutte le categorie, con un primo
premio nelle voci pari. È entrato a sorpresa nella rosa dei
candidati al premio più ambito anche un altro complesso
femminile, il coro Métaphore del conservatorio di Grenoble,
gruppo di grande carattere anche se con qualche durezza,
poca compattezza sonora e diverse approssimazioni
interpretative, ma che non ha lasciato indifferenti con un bel
temperamento e un risultato che ha valorizzato il lavoro della
direttrice Maud Hamon-Loisance, che è stata insignita del
premio come miglior direttore (quest’anno sarà nuovamente
tra i docenti del Festival di Primavera a Montecatini).
Merita una menzione particolare la Schola Cantorum
Sopianensis di Pécs, coro di grande tradizione diretto da un
musicista di grande esperienza come Valér Jobbágy che ha
53
esordito con un bel suono e chiarezza di struttura nella
difficile sfida della polifonia rinascimentale con grande
organico, confermando in seguito di essere un complesso di
grande solidità, con il pregio di un suono omogeneo,
delicatezza e vivacità di espressione.
Nel concorso internazionale ha offerto ascolti interessanti
anche la categoria dei gruppi vocali. Il giovane gruppo misto
croato Cappella Odak si è dimostrato vocalmente educato, ma
avrebbe potuto aspirare a risultati migliori se non si fosse
autolimitato in esecuzioni che hanno messo la sordina a
colore e volume del suono. La gara ha coinvolto
principalmente due ottimi gruppi vocali sloveni, il sestetto
misto Ingenium e il quartetto femminile Gallina, con un
notevole vantaggio a favore del primo che ha conquistato la
vittoria con il maggior punteggio assoluto di tutte le categorie
(per regolamento il risultato non ha dato tuttavia la possibilità
di concorrere al Grand Prix in quanto il numero di componenti
del gruppo è inferiore a dodici). Morbidezza del suono,
musicalità, adesione al testo e capacità di differenziare le
caratteristiche stilistiche dei brani, professionalità e sicurezza
nell’esibizione sono gli assi nella manica di questo gruppo
dalle interessanti prospettive che ha inoltre ampiamente
meritato il primo premio nel programma rinascimentale per
l’ottimo equilibrio delle voci, l’evidenziazione delle dinamiche
interne di brani molto diversi tra di loro, il senso della misura,
la vivacità dell’espressione. Il rinascimento è il campo nel
quale i gruppi vocali possono avere una marcia in più e gli
Ingenium lo hanno dimostrato sbaragliando una concorrenza
piuttosto agguerrita. Il gruppo da camera spagnolo Alterum
La 31ª edizione del concorso
polifonico nazionale si è svolta nel
segno del trentennale di Feniarco.
Cor di Valladolid si è armato del suono vivace e robusto che
lo contraddistingue e di un buon programma (Guerrero,
Morales, De Ribera), ma non ha mantenuto la giusta costanza
nella tensione interpretativa, seguendo la direzione un po’
frettolosa di Valentin Benavides che ha continuato a spingere
il coro verso una corsa poco attenta ai dettagli anche nel
repertorio romantico e contemporaneo.
Una comprensibile emozione ha tradito invece il gruppo
Gallina, penalizzando le coriste con qualche instabilità vocale
nella prima prova (stare in quattro davanti alla giuria di un
simile concorso è tutt’altro che facile). Le ragazze, che si sono
affidate alla direzione artistica di Ana Erc̆ulj, hanno fatto una
scelta strategica controcorrente per un gruppo vocale di
dimensioni così ridotte, evitando nelle categorie per periodi
storici sia il rinascimento che il contemporaneo e scegliendo il
romanticismo. Se è vero che questo repertorio ha prodotto
CRONACA
52
POLIFONICO DI AREZZO:
UNA TRADIZIONE CHE SCOMMETTE SUL FUTURO
Dalla prossima edizione concorso nazionale
e internazionale in periodi diversi
di Rossana Paliaga
Sedici cori partecipanti al 62° concorso internazionale,
provenienze molto varie (Croazia, Estonia, Francia, Indonesia,
Italia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Spagna, Ungheria e
Ucraina), alta qualità e interessanti rivelazioni hanno
confermato il rilancio del Polifonico di Arezzo, concorso
storico che inizia a raccogliere i frutti di una gestione che
cerca la via del futuro di una lunga tradizione. È stata
un’edizione intensa, per gli organizzatori non semplice da
molti punti di vista. Al di là delle emozioni di una
grande gara che si preannunciava tale fin dal
programma, all’adrenalina della competizione si è
aggiunta inaspettatamente anche quella di
inquietudini politiche e umane con le quali la
storia ha fatto irruzione nell’isola felice della
festa corale. La tensione trattenuta durante le
varie fasi della competizione dai coristi ucraini,
raggiunti dalle notizie sempre più preoccupanti che in quel
periodo arrivavano dal loro paese e tangibili in tutte le fasi
del concorso, è esplosa durante la rassegna di musica
popolare con un fuori programma nel quale i coristi hanno
sentito la necessità di spiegare il proprio disagio, che si è
spontaneamente riversato nella commossa intonazione
dell’inno nazionale a lato del palco, tra l’abbraccio del
pubblico umanamente partecipe e il disagio derivato dalla
condivisione diretta di una situazione che fino a quel
momento era stata vissuta da molti soltanto attraverso la
prudente distanza di schermi televisivi e pagine dei giornali.
È stata una scossa che ha costretto organizzatori e
partecipanti ad assumere il peso e il significato di messaggi
che vanno al di là della competizione corale e ha messo alla
prova nei fatti tutte le dichiarazioni di solidarietà e fratellanza
che nascono spontaneamente in queste occasioni
dall’incontro di persone con vissuti, anche politici e sociali,
diversi.
La vittoria assoluta di un magnifico coro, l’Oreya di Z̆itomir,
dato comunque per favorito da chiunque abbia già avuto
modo di conoscere il suo virtuosismo semiprofessionale in
altri concorsi, ha così segnato e caratterizzato questa edizione
del Polifonico anche oltre l’evento musicale, provocando una
riflessione più ampia sul significato profondo di questi
confronti internazionali.
Gli Oreya non hanno lasciato molte possibilità agli altri cori,
portando a casa oltre al Grand Prix anche i primi premi in
tutte le categorie alle quali hanno partecipato: programma
romantico, programma contemporaneo, gruppi misti, popolare
e libero (premio del pubblico). I coristi di Alexander Vatsek
sono certamente il gruppo che nessun partecipante vorrebbe
incontrare nella propria categoria. Questo coro è uno
strumento estremamente sensibile che reagisce con
sorprendente capacità di “accelerazione” al minimo gesto, su
un’estensione dinamica invidiabilmente ampia ed equilibrata a
Conservare le radici
è fondamentale,
ma c’è bisogno di linfa nuova.
ogni livello. La sezione maschile è eccezionale, l’omogeneità
dell’ensemble totale. È stata un vero spettacolo l’esibizione
nel programma romantico e la magia del suono ha
conquistato il pubblico anche del programma contemporaneo.
Provando a resistere al fascino del grandioso effetto estetico,
emergerebbe il loro punto debole, ovvero la libertà
dell’approccio: gli Oreya non sono infatti sempre fedelissimi
alla partitura. La loro si potrebbe definire piuttosto come fede
nella musica, una religione del suono e della bellezza che
anche in questo caso ha colpito nel segno in modo
assolutamente unico.
La giuria del concorso internazionale, composta da Peter
Broadbent, Javier Busto, Luigi Ciuffa, Stojan Kuret, Giovanni
Conti, Fabiana Noro e Luigi Marzola, ha avuto il piacere e
l’onere di valutare le esibizioni di un’edizione veramente
speciale che ha potuto finalmente festeggiare il risultato di un
numero di richieste di partecipazione che da molto tempo non
si registrava così numeroso. Nel regolamento del concorso la
novità di maggiore rilievo è stato il ripristino del brano
d’obbligo, richiesto dal 99% delle persone che l’anno scorso
hanno partecipato al sondaggio proposto dal concorso su
questo tema. Sono stati scelti i brani Lieti fior di Costanzo
Festa per i gruppi vocali, Qui laudat Dominum di Hans Leo
Hassler per le voci pari, Sagittae potentis acutae di Palestrina
per le voci miste.
Un gruppo estone e uno francese si sono
giocati con gli Oreya la possibilità di
conquistare il Grand Prix. La direttrice Ingrid
Korvits ha confermato la propria competitività
con il gruppo femminile giovanile della scuola
superiore di musica di Tallinn, caratterizzato da
chiarezza di esposizione e precisione (da
segnalare una magnifica interpretazione
dell’Ave Maria di Holst), flessibilità vocale,
agilità, un bel ventaglio dinamico e smalto sonoro,
caratteristiche invidiabili che hanno permesso al coro di
ottenere ottimi piazzamenti in tutte le categorie, con un primo
premio nelle voci pari. È entrato a sorpresa nella rosa dei
candidati al premio più ambito anche un altro complesso
femminile, il coro Métaphore del conservatorio di Grenoble,
gruppo di grande carattere anche se con qualche durezza,
poca compattezza sonora e diverse approssimazioni
interpretative, ma che non ha lasciato indifferenti con un bel
temperamento e un risultato che ha valorizzato il lavoro della
direttrice Maud Hamon-Loisance, che è stata insignita del
premio come miglior direttore (quest’anno sarà nuovamente
tra i docenti del Festival di Primavera a Montecatini).
Merita una menzione particolare la Schola Cantorum
Sopianensis di Pécs, coro di grande tradizione diretto da un
musicista di grande esperienza come Valér Jobbágy che ha
53
esordito con un bel suono e chiarezza di struttura nella
difficile sfida della polifonia rinascimentale con grande
organico, confermando in seguito di essere un complesso di
grande solidità, con il pregio di un suono omogeneo,
delicatezza e vivacità di espressione.
Nel concorso internazionale ha offerto ascolti interessanti
anche la categoria dei gruppi vocali. Il giovane gruppo misto
croato Cappella Odak si è dimostrato vocalmente educato, ma
avrebbe potuto aspirare a risultati migliori se non si fosse
autolimitato in esecuzioni che hanno messo la sordina a
colore e volume del suono. La gara ha coinvolto
principalmente due ottimi gruppi vocali sloveni, il sestetto
misto Ingenium e il quartetto femminile Gallina, con un
notevole vantaggio a favore del primo che ha conquistato la
vittoria con il maggior punteggio assoluto di tutte le categorie
(per regolamento il risultato non ha dato tuttavia la possibilità
di concorrere al Grand Prix in quanto il numero di componenti
del gruppo è inferiore a dodici). Morbidezza del suono,
musicalità, adesione al testo e capacità di differenziare le
caratteristiche stilistiche dei brani, professionalità e sicurezza
nell’esibizione sono gli assi nella manica di questo gruppo
dalle interessanti prospettive che ha inoltre ampiamente
meritato il primo premio nel programma rinascimentale per
l’ottimo equilibrio delle voci, l’evidenziazione delle dinamiche
interne di brani molto diversi tra di loro, il senso della misura,
la vivacità dell’espressione. Il rinascimento è il campo nel
quale i gruppi vocali possono avere una marcia in più e gli
Ingenium lo hanno dimostrato sbaragliando una concorrenza
piuttosto agguerrita. Il gruppo da camera spagnolo Alterum
La 31ª edizione del concorso
polifonico nazionale si è svolta nel
segno del trentennale di Feniarco.
Cor di Valladolid si è armato del suono vivace e robusto che
lo contraddistingue e di un buon programma (Guerrero,
Morales, De Ribera), ma non ha mantenuto la giusta costanza
nella tensione interpretativa, seguendo la direzione un po’
frettolosa di Valentin Benavides che ha continuato a spingere
il coro verso una corsa poco attenta ai dettagli anche nel
repertorio romantico e contemporaneo.
Una comprensibile emozione ha tradito invece il gruppo
Gallina, penalizzando le coriste con qualche instabilità vocale
nella prima prova (stare in quattro davanti alla giuria di un
simile concorso è tutt’altro che facile). Le ragazze, che si sono
affidate alla direzione artistica di Ana Erc̆ulj, hanno fatto una
scelta strategica controcorrente per un gruppo vocale di
dimensioni così ridotte, evitando nelle categorie per periodi
storici sia il rinascimento che il contemporaneo e scegliendo il
romanticismo. Se è vero che questo repertorio ha prodotto
CRONACA
54
oltre agli effetti delle grandi masse corali anche splendidi e
numerosi esempi di intimità cameristica, appare altrettanto
idealistico poter mettere a confronto le due dimensioni nello
stesso contesto. Il respiro ampio e profondo del romanticismo
ha evidenziato alcune sproporzioni interne al gruppo e legate
alla non perfetta compatibilità delle voci, ma la scelta non si è
rivelata errata, dato che il quartetto si è piazzato al secondo
posto, dopo gli Oreya.
La categoria dei cori di voci bianche e giovanili ha avuto
soltanto due partecipanti, ma capaci di offrire lo spettacolo di
una buona competizione con esibizioni molto valide. Dalla
scuola corale estone di Musamari ha portato un nuovo
esempio di lavoro serio e professionale in campo corale il
coro di voci bianche diretto da Tiina Mee che con la grande
consapevolezza espressa dalle coriste ha conquistato un
secondo premio ex aequo con l’approccio altrettanto
professionale del coro Gloria di Z̆itomir in Ucraina, diretto
dalla rigorosa Natalija Klimenko.
CONCORSO POLIFONICO INTERNAZIONALE 2014
Risultati
Premio speciale per il miglior direttore sez. 2-3-4-5 cat. B:
Maud Hamon-Loisance, coro Métaphores (Francia)
sezione 2 / cori misti
1° premio: Oreya - Zhytomyr (Ucraina)
2° premio: Paragita Student Choir of Universitas
Indonesia - Depok (Indonesia)
3° premio: Schola Cantorum Sopianensis - Pécs
(Ungheria)
sezione 3 / gruppi vocali
1° premio: Ingenium Ensemble - Ljubljana (Slovenia)
2° premio: Gallina Vocal Group - Ljubljana (Slovenia)
3° premio: Paragita Student Choir of Universitas
Indonesia - Depok (Indonesia)
Il concorso nazionale si è svolto brevemente, con la
partecipazione di cinque cori che in mattinata si sono esibiti
nelle due categorie competitive (adulti in vari organici e cori
di voci bianche) e nel pomeriggio hanno ricevuto le relative
valutazioni. Fabrizio Barchi ha portato il coro femminile Eos
sul podio, conquistando il primo premio. Festa, Kocsár e
Scattolin sono stati gli assi del programma teso tra
rinascimento e Novecento, preparato con cura e interpretato
all’interno della sonorità controllata e delicata che costituisce
la dimensione caratteristica di questo gruppo che ha il pregio
della trasparenza e della precisione, ma con poche vibrazioni
emotive. Concentrate e attente al gesto del direttore, le
coriste romane sono state competitive anche nel concorso
internazionale, dove si sono dimostrate all’altezza della prova
grazie a un buon programma e un’interpretazione meditata.
Nel nazionale le Eos si sono laureate con l’onore di un buon
distacco dal secondo classificato, il coro Lux Harmonica di
Benedetta Nofri (ottimo esempio dei risultati ottenuti dalla
sezione 6 / rassegna per periodi storici
Periodo storico A: Ingenium Ensemble (Slovenia)
Periodo storico B: premio speciale non assegnato
Periodo storico C: Oreya (Ucraina)
Periodo storico D: Oreya (Ucraina)
sezione 7 / arezzo colors’ prize festival
Premio speciale: Oreya (Ucraina)
sezione 8 / festival di canto popolare
Premio speciale: Oreya (Ucraina)
Gran Premio Città Di Arezzo
Oreya (Ucraina)
CONCORSO POLIFONICO NAZIONALE 2014
Risultati
sezione 4 / cori a voci pari
1° premio: Youth Choir Of Tallinn Music High School Tallinn (Estonia)
2° premio: Métaphores, Female Choir of the Conservatoire
- Grenoble (Francia)
3° premio ex aequo: Coro Femminile “Francesco Sandi” Feltre (Italia); Coro Femminile Eos - Roma (Italia)
sezione 5 / cori a voci bianche
1° premio: non assegnato
2° premio ex aequo: Children’s Choir of Musamari Choral
School (Estonia); Children’s Choir Gloria (Ucraina)
Categoria B - Polifonia
Sez. 1 Cori misti, maschili, femminili, gruppi vocali
1° premio: Coro Femminile Eos
2° premio: Lux Harmonica
3° premio: Coro femminile Francesco Sandi
Sez. 2 Cori di voci bianche o giovanili
1° premio: Coro di voci bianche Carminis Cantores
2° premio: non assegnato
3° premio: Coro Piccole Note
scuola di direzione aretina) che ha mostrato i pregi e i limiti
di una formazione da camera con qualche squilibrio vocale
ma una buona ed espressiva aderenza al testo. Si sono
classificate terze, ma non sono passate inosservate, le
ragazze del coro Francesco Sandi di Feltre, bella rivelazione
del concorso sia nel nazionale che nell’internazionale (con
una prova ancora più convincente nel secondo). L’ottimo
riscontro è stato per il giovane coro (fondato nel 2011) un
grande incoraggiamento, come ha rivelato al termine del
concorso la direttrice Maria Canton: «Il Polifonico è un
concorso al quale ho sempre desiderato partecipare e la
preparazione a un evento così importante ha dato grande
motivazione e uno slancio speciale alle coriste,
con un effetto immediato nella qualità delle
prove. Il nostro scopo non era vincere, ma cantare
al meglio delle nostre possibilità. Per noi è stata
una grande emozione ed è come aver vinto. La
cosa nuova per noi è stata cantare musica antica,
ovvero il brano d’obbligo, ma abbiamo scoperto
che ci piace moltissimo!». I due gruppi femminili
italiani hanno conquistato un ottimo terzo posto
ex aequo nelle voci pari del concorso
internazionale. Le ragazze dell’Eos si sono distinte
inoltre con idee valide e ben esposte nella categoria storica
rinascimentale e con un buon programma nel contemporaneo
(Kostianien, Holst, Nystedt) che sono valsi in entrambi i casi
due significativi terzi premi.
Sono stati soltanto due i partecipanti della categoria per cori
di voci bianche, tra i quali il primo premio è stato assegnato
ai Carminis Cantores di Ennio Bertolotti (Puegnago del
Garda), che hanno vinto anche il premio Feniarco con un bel
volume sonoro e una notevole pulizia dell’unisono su un
programma scelto con prudenza. Il secondo premio non è
stato assegnato, ma il coro Piccole Note diretto da Benedetta
Nofri merita oltre al terzo premio anche la lode per le belle
scelte di repertorio che fanno sperimentare ai bambini
esperienze nuove e insolite.
Il ricco corredo del concorso sono state come sempre
l’introduzione con le masterclass e le esibizioni degli allievi
55
della scuola superiore per direttori di coro ma anche le serate
concertistiche del Guidoneum festival. Per la serata
inaugurale del concorso è stato scelto l’abbinamento del coro
residente Vox Cordis di Lorenzo Donati alla voce e
all’entusiasmo di Frate Alessandro Brustenghi d’Assisi in un
programma dedicato alla memoria di Domenico Bartolucci,
mentre le serate all’aperto sono state animate dalle note pop
e ironiche del gruppo vocale Anonima Armonisti di Roma.
La 31ª edizione del concorso polifonico nazionale si è svolta
nel segno del trentennale di Feniarco con una tavola rotonda
e un concerto realizzato in collaborazione con l’associazione
regionale dei cori toscani. Come sottolineato dal direttore
artistico del concorso Piero Caraba, «Feniarco nasce ad
Arezzo, era un omaggio dovuto. Abbiamo aperto con una
tavola rotonda sull’anniversario per parlare del lavoro di
Feniarco, della condivisione di un ideale, della storia della
federazione e del suo rapporto con il concorso, ma anche
molto concretamente del desiderio di intensificare il rapporto
con la Fondazione. In questa occasione abbiamo stabilito di
affidare a Feniarco la medaglia della Presidenza della
Repubblica Italiana. È stata una riunione importante per
consolidare il partenariato e la collaborazione fattiva sul
piano del concorso nazionale». Come già confermato anche
dal presidente della Fondazione Carlo Pedini, il concorso
nazionale dal prossimo anno non si svolgerà in concomitanza
con l’internazionale e verrà spostato al mese di novembre.
Il Polifonico è un concorso che vuole crescere: quest’anno è
stato sottoposto al pubblico un questionario con la richiesta
Il Polifonico di Arezzo inizia a
raccogliere i frutti di una gestione
che cerca la via del futuro di una
lunga tradizione.
di suggerimenti per le prossime edizioni, perché possa
diventare sempre più una manifestazione a misura delle
aspettative dei suoi fruitori. Tra le novità del prossimo anno è
stata annunciata anche una sezione sul tema dei brani legati
alla Grande Guerra (ai quali quest’anno è stata dedicata una
mostra). Non è passata inosservata però nemmeno la notizia
del ritorno alla sede storica del Teatro Petrarca, atteso da
lunghissimo tempo. Termina così «l’errare del Polifonico tra
Pieve, Badia, San Francesco e Sant’Ignazio», come ha ribadito
l’assessore alla cultura Pasquale Giuseppe Macrì, sempre
molto partecipe agli sviluppi del Polifonico: «Il canto
mantiene alta la tradizione di civiltà che ci distingue. Questa
direzione ha realizzato il disegno affidatole tre anni fa:
conservare le radici è fondamentale, ma c’è bisogno di linfa
nuova, solo in questo modo si può parlare di sviluppo».
CRONACA
54
oltre agli effetti delle grandi masse corali anche splendidi e
numerosi esempi di intimità cameristica, appare altrettanto
idealistico poter mettere a confronto le due dimensioni nello
stesso contesto. Il respiro ampio e profondo del romanticismo
ha evidenziato alcune sproporzioni interne al gruppo e legate
alla non perfetta compatibilità delle voci, ma la scelta non si è
rivelata errata, dato che il quartetto si è piazzato al secondo
posto, dopo gli Oreya.
La categoria dei cori di voci bianche e giovanili ha avuto
soltanto due partecipanti, ma capaci di offrire lo spettacolo di
una buona competizione con esibizioni molto valide. Dalla
scuola corale estone di Musamari ha portato un nuovo
esempio di lavoro serio e professionale in campo corale il
coro di voci bianche diretto da Tiina Mee che con la grande
consapevolezza espressa dalle coriste ha conquistato un
secondo premio ex aequo con l’approccio altrettanto
professionale del coro Gloria di Z̆itomir in Ucraina, diretto
dalla rigorosa Natalija Klimenko.
CONCORSO POLIFONICO INTERNAZIONALE 2014
Risultati
Premio speciale per il miglior direttore sez. 2-3-4-5 cat. B:
Maud Hamon-Loisance, coro Métaphores (Francia)
sezione 2 / cori misti
1° premio: Oreya - Zhytomyr (Ucraina)
2° premio: Paragita Student Choir of Universitas
Indonesia - Depok (Indonesia)
3° premio: Schola Cantorum Sopianensis - Pécs
(Ungheria)
sezione 3 / gruppi vocali
1° premio: Ingenium Ensemble - Ljubljana (Slovenia)
2° premio: Gallina Vocal Group - Ljubljana (Slovenia)
3° premio: Paragita Student Choir of Universitas
Indonesia - Depok (Indonesia)
Il concorso nazionale si è svolto brevemente, con la
partecipazione di cinque cori che in mattinata si sono esibiti
nelle due categorie competitive (adulti in vari organici e cori
di voci bianche) e nel pomeriggio hanno ricevuto le relative
valutazioni. Fabrizio Barchi ha portato il coro femminile Eos
sul podio, conquistando il primo premio. Festa, Kocsár e
Scattolin sono stati gli assi del programma teso tra
rinascimento e Novecento, preparato con cura e interpretato
all’interno della sonorità controllata e delicata che costituisce
la dimensione caratteristica di questo gruppo che ha il pregio
della trasparenza e della precisione, ma con poche vibrazioni
emotive. Concentrate e attente al gesto del direttore, le
coriste romane sono state competitive anche nel concorso
internazionale, dove si sono dimostrate all’altezza della prova
grazie a un buon programma e un’interpretazione meditata.
Nel nazionale le Eos si sono laureate con l’onore di un buon
distacco dal secondo classificato, il coro Lux Harmonica di
Benedetta Nofri (ottimo esempio dei risultati ottenuti dalla
sezione 6 / rassegna per periodi storici
Periodo storico A: Ingenium Ensemble (Slovenia)
Periodo storico B: premio speciale non assegnato
Periodo storico C: Oreya (Ucraina)
Periodo storico D: Oreya (Ucraina)
sezione 7 / arezzo colors’ prize festival
Premio speciale: Oreya (Ucraina)
sezione 8 / festival di canto popolare
Premio speciale: Oreya (Ucraina)
Gran Premio Città Di Arezzo
Oreya (Ucraina)
CONCORSO POLIFONICO NAZIONALE 2014
Risultati
sezione 4 / cori a voci pari
1° premio: Youth Choir Of Tallinn Music High School Tallinn (Estonia)
2° premio: Métaphores, Female Choir of the Conservatoire
- Grenoble (Francia)
3° premio ex aequo: Coro Femminile “Francesco Sandi” Feltre (Italia); Coro Femminile Eos - Roma (Italia)
sezione 5 / cori a voci bianche
1° premio: non assegnato
2° premio ex aequo: Children’s Choir of Musamari Choral
School (Estonia); Children’s Choir Gloria (Ucraina)
Categoria B - Polifonia
Sez. 1 Cori misti, maschili, femminili, gruppi vocali
1° premio: Coro Femminile Eos
2° premio: Lux Harmonica
3° premio: Coro femminile Francesco Sandi
Sez. 2 Cori di voci bianche o giovanili
1° premio: Coro di voci bianche Carminis Cantores
2° premio: non assegnato
3° premio: Coro Piccole Note
scuola di direzione aretina) che ha mostrato i pregi e i limiti
di una formazione da camera con qualche squilibrio vocale
ma una buona ed espressiva aderenza al testo. Si sono
classificate terze, ma non sono passate inosservate, le
ragazze del coro Francesco Sandi di Feltre, bella rivelazione
del concorso sia nel nazionale che nell’internazionale (con
una prova ancora più convincente nel secondo). L’ottimo
riscontro è stato per il giovane coro (fondato nel 2011) un
grande incoraggiamento, come ha rivelato al termine del
concorso la direttrice Maria Canton: «Il Polifonico è un
concorso al quale ho sempre desiderato partecipare e la
preparazione a un evento così importante ha dato grande
motivazione e uno slancio speciale alle coriste,
con un effetto immediato nella qualità delle
prove. Il nostro scopo non era vincere, ma cantare
al meglio delle nostre possibilità. Per noi è stata
una grande emozione ed è come aver vinto. La
cosa nuova per noi è stata cantare musica antica,
ovvero il brano d’obbligo, ma abbiamo scoperto
che ci piace moltissimo!». I due gruppi femminili
italiani hanno conquistato un ottimo terzo posto
ex aequo nelle voci pari del concorso
internazionale. Le ragazze dell’Eos si sono distinte
inoltre con idee valide e ben esposte nella categoria storica
rinascimentale e con un buon programma nel contemporaneo
(Kostianien, Holst, Nystedt) che sono valsi in entrambi i casi
due significativi terzi premi.
Sono stati soltanto due i partecipanti della categoria per cori
di voci bianche, tra i quali il primo premio è stato assegnato
ai Carminis Cantores di Ennio Bertolotti (Puegnago del
Garda), che hanno vinto anche il premio Feniarco con un bel
volume sonoro e una notevole pulizia dell’unisono su un
programma scelto con prudenza. Il secondo premio non è
stato assegnato, ma il coro Piccole Note diretto da Benedetta
Nofri merita oltre al terzo premio anche la lode per le belle
scelte di repertorio che fanno sperimentare ai bambini
esperienze nuove e insolite.
Il ricco corredo del concorso sono state come sempre
l’introduzione con le masterclass e le esibizioni degli allievi
55
della scuola superiore per direttori di coro ma anche le serate
concertistiche del Guidoneum festival. Per la serata
inaugurale del concorso è stato scelto l’abbinamento del coro
residente Vox Cordis di Lorenzo Donati alla voce e
all’entusiasmo di Frate Alessandro Brustenghi d’Assisi in un
programma dedicato alla memoria di Domenico Bartolucci,
mentre le serate all’aperto sono state animate dalle note pop
e ironiche del gruppo vocale Anonima Armonisti di Roma.
La 31ª edizione del concorso polifonico nazionale si è svolta
nel segno del trentennale di Feniarco con una tavola rotonda
e un concerto realizzato in collaborazione con l’associazione
regionale dei cori toscani. Come sottolineato dal direttore
artistico del concorso Piero Caraba, «Feniarco nasce ad
Arezzo, era un omaggio dovuto. Abbiamo aperto con una
tavola rotonda sull’anniversario per parlare del lavoro di
Feniarco, della condivisione di un ideale, della storia della
federazione e del suo rapporto con il concorso, ma anche
molto concretamente del desiderio di intensificare il rapporto
con la Fondazione. In questa occasione abbiamo stabilito di
affidare a Feniarco la medaglia della Presidenza della
Repubblica Italiana. È stata una riunione importante per
consolidare il partenariato e la collaborazione fattiva sul
piano del concorso nazionale». Come già confermato anche
dal presidente della Fondazione Carlo Pedini, il concorso
nazionale dal prossimo anno non si svolgerà in concomitanza
con l’internazionale e verrà spostato al mese di novembre.
Il Polifonico è un concorso che vuole crescere: quest’anno è
stato sottoposto al pubblico un questionario con la richiesta
Il Polifonico di Arezzo inizia a
raccogliere i frutti di una gestione
che cerca la via del futuro di una
lunga tradizione.
di suggerimenti per le prossime edizioni, perché possa
diventare sempre più una manifestazione a misura delle
aspettative dei suoi fruitori. Tra le novità del prossimo anno è
stata annunciata anche una sezione sul tema dei brani legati
alla Grande Guerra (ai quali quest’anno è stata dedicata una
mostra). Non è passata inosservata però nemmeno la notizia
del ritorno alla sede storica del Teatro Petrarca, atteso da
lunghissimo tempo. Termina così «l’errare del Polifonico tra
Pieve, Badia, San Francesco e Sant’Ignazio», come ha ribadito
l’assessore alla cultura Pasquale Giuseppe Macrì, sempre
molto partecipe agli sviluppi del Polifonico: «Il canto
mantiene alta la tradizione di civiltà che ci distingue. Questa
direzione ha realizzato il disegno affidatole tre anni fa:
conservare le radici è fondamentale, ma c’è bisogno di linfa
nuova, solo in questo modo si può parlare di sviluppo».
CRONACA
57
QUANDO LA SFIDA È UN’ESIGENZA
IL CONCORSO INTERNAZIONALE BÉLA BARTÓK A DEBRECEN
di Rossana Paliaga
Nella mappa del Gran Premio Europeo è uno dei due baluardi
orientali, al limite della vasta pianura pannonica, in un angolo
d’Europa tra i confini di Romania e Ucraina. Il concorso Béla
Bartók di Debrecen riflette nel carattere la propria posizione
geografica (e storica) con caratteristiche esclusive nell’ambito
degli altri concorsi della rete: il carattere internazionale e al
tempo stesso la distanza creata da una lingua votata a
percorsi poco permeabili, la necessità di una formalità di
tradizione e lo slancio di momenti in cui la musica è
soprattutto incontro, l’interesse per la creazione di contatti
all’esterno e la ferma volontà di affermare soprattutto la
grande cultura musicale e corale autoctona con una
valorizzazione a tutto tondo della musica di autori
ungheresi, compito che il concorso ha assunto fin
dall’intitolazione.
Se partecipare ai concorsi internazionali significa
anche entrare a stretto contatto con la cultura e la
mentalità del paese ospitante, Debrecen è il luogo
ideale. L’attaccamento alla tradizione, il rispetto per
gli autori nazionali, la conoscenza della propria
letteratura corale e dei criteri esecutivi costituiscono
una competenza e un valore tangibilmente
condiviso. Tutte le categorie comprendono un brano d’obbligo,
rigorosamente di autore ungherese (quest’anno Bartók,
Szőnyi, Petrovics, Selmeczi, Orbán, Csemiczky, Vajda) e i cori
ungheresi partecipanti presentano programmi che soltanto
occasionalmente si discostano dal repertorio nazionale. La
seconda caratteristica evidente del concorso è il suo retaggio
storico e culturale che si riflette nell’impronta riconoscibile
data dagli organizzatori, ovvero l’immagine di una
manifestazione che pone la coralità amatoriale in un contesto
e in una considerazione che annullano i confini con l’ambito
professionale. A Debrecen non ci si chiede quale sia la
differenza tra coro amatoriale e professionale; è infatti l’unico
dei concorsi della rete ad accogliere anche gruppi di
professionisti, perché la sfida imposta dal regolamento li
mette sullo stesso piano. Qui i brani che vengono presentati
con frequenza in altri contesti competitivi sono il punto di
partenza, oltretutto poco o per niente frequentato, perché il
concorso di Debrecen, votato esclusivamente alla musica
contemporanea scritta dopo la morte di Bartók, è una
competizione che richiede la sfida del virtuosismo esecutivo.
Aumenta così anche la responsabilità e l’impegno richiesto
alla giuria che quest’anno ha alternato nelle categorie i nomi
eccellenti di Gary Graden, Javier Busto, Ko Matsushita,
Martina Batic̆, del giovane ma già affermatissimo direttore
estone Janis Liepins, dell’italiano Felix Resch, inoltre Gyula
Fekete, Zsuzsanna Gráf, Zsolt Lászlóffy e Kálmán Strausz a
custodi del patrimonio ungherese che, costituendo una parte
molto consistente dei brani proposti, necessita di conoscitori
specifici a livello di lingua e stile.
Il concorso inizia e finisce con un concerto di grande respiro
che propone brani in prima esecuzione o grandi opere
sinfonico corali (commissionati per l’occasione) rivolti alla
valorizzazione di autori nazionali. I tre giorni di competizione
sono uno spettacolo di virtuosismo e professionalità del quale
i cori partecipanti sono i protagonisti assoluti: sembrano
sottolinearlo i pannelli con le grandi foto dei cori e dei
membri della giuria che accolgono il visitatore nel centro
A Debrecen non ci si chiede
quale sia la differenza tra coro
amatoriale e professionale.
polifunzionale Kőlcsey, dove si svolgono sia i concerti che la
competizione, nel grande auditorium che garantisce la
perfetta focalizzazione delle esecuzioni. Il concorso non
prevede categorie basate sul programma, ma soltanto
sull’organico. In ogni categoria (cori giovanili, voci pari, gruppi
vocali e cori misti) i gruppi partecipanti possono cimentarsi
nella scalata al Grand Prix attraverso semifinali e finali.
Il premio più ambito è rimasto quest’anno in casa, con la
vittoria dell’ottimo coro femminile Magnificat, diretto
dall’energica Valéria Szebellédi. Questo gruppo di Budapest è
CRONACA
57
QUANDO LA SFIDA È UN’ESIGENZA
IL CONCORSO INTERNAZIONALE BÉLA BARTÓK A DEBRECEN
di Rossana Paliaga
Nella mappa del Gran Premio Europeo è uno dei due baluardi
orientali, al limite della vasta pianura pannonica, in un angolo
d’Europa tra i confini di Romania e Ucraina. Il concorso Béla
Bartók di Debrecen riflette nel carattere la propria posizione
geografica (e storica) con caratteristiche esclusive nell’ambito
degli altri concorsi della rete: il carattere internazionale e al
tempo stesso la distanza creata da una lingua votata a
percorsi poco permeabili, la necessità di una formalità di
tradizione e lo slancio di momenti in cui la musica è
soprattutto incontro, l’interesse per la creazione di contatti
all’esterno e la ferma volontà di affermare soprattutto la
grande cultura musicale e corale autoctona con una
valorizzazione a tutto tondo della musica di autori
ungheresi, compito che il concorso ha assunto fin
dall’intitolazione.
Se partecipare ai concorsi internazionali significa
anche entrare a stretto contatto con la cultura e la
mentalità del paese ospitante, Debrecen è il luogo
ideale. L’attaccamento alla tradizione, il rispetto per
gli autori nazionali, la conoscenza della propria
letteratura corale e dei criteri esecutivi costituiscono
una competenza e un valore tangibilmente
condiviso. Tutte le categorie comprendono un brano d’obbligo,
rigorosamente di autore ungherese (quest’anno Bartók,
Szőnyi, Petrovics, Selmeczi, Orbán, Csemiczky, Vajda) e i cori
ungheresi partecipanti presentano programmi che soltanto
occasionalmente si discostano dal repertorio nazionale. La
seconda caratteristica evidente del concorso è il suo retaggio
storico e culturale che si riflette nell’impronta riconoscibile
data dagli organizzatori, ovvero l’immagine di una
manifestazione che pone la coralità amatoriale in un contesto
e in una considerazione che annullano i confini con l’ambito
professionale. A Debrecen non ci si chiede quale sia la
differenza tra coro amatoriale e professionale; è infatti l’unico
dei concorsi della rete ad accogliere anche gruppi di
professionisti, perché la sfida imposta dal regolamento li
mette sullo stesso piano. Qui i brani che vengono presentati
con frequenza in altri contesti competitivi sono il punto di
partenza, oltretutto poco o per niente frequentato, perché il
concorso di Debrecen, votato esclusivamente alla musica
contemporanea scritta dopo la morte di Bartók, è una
competizione che richiede la sfida del virtuosismo esecutivo.
Aumenta così anche la responsabilità e l’impegno richiesto
alla giuria che quest’anno ha alternato nelle categorie i nomi
eccellenti di Gary Graden, Javier Busto, Ko Matsushita,
Martina Batic̆, del giovane ma già affermatissimo direttore
estone Janis Liepins, dell’italiano Felix Resch, inoltre Gyula
Fekete, Zsuzsanna Gráf, Zsolt Lászlóffy e Kálmán Strausz a
custodi del patrimonio ungherese che, costituendo una parte
molto consistente dei brani proposti, necessita di conoscitori
specifici a livello di lingua e stile.
Il concorso inizia e finisce con un concerto di grande respiro
che propone brani in prima esecuzione o grandi opere
sinfonico corali (commissionati per l’occasione) rivolti alla
valorizzazione di autori nazionali. I tre giorni di competizione
sono uno spettacolo di virtuosismo e professionalità del quale
i cori partecipanti sono i protagonisti assoluti: sembrano
sottolinearlo i pannelli con le grandi foto dei cori e dei
membri della giuria che accolgono il visitatore nel centro
A Debrecen non ci si chiede
quale sia la differenza tra coro
amatoriale e professionale.
polifunzionale Kőlcsey, dove si svolgono sia i concerti che la
competizione, nel grande auditorium che garantisce la
perfetta focalizzazione delle esecuzioni. Il concorso non
prevede categorie basate sul programma, ma soltanto
sull’organico. In ogni categoria (cori giovanili, voci pari, gruppi
vocali e cori misti) i gruppi partecipanti possono cimentarsi
nella scalata al Grand Prix attraverso semifinali e finali.
Il premio più ambito è rimasto quest’anno in casa, con la
vittoria dell’ottimo coro femminile Magnificat, diretto
dall’energica Valéria Szebellédi. Questo gruppo di Budapest è
CRONACA
58
scritto dopo il 1990. Incoraggiamo anche la composizione di
brani nuovi e prevediamo premi speciali per composizioni
scritte dopo il 2009. Penso sia un fatto positivo e stimolante
per i cori, che possono portare sempre una ventata di novità
nei loro repertori, ed è sicuramente un’ottima iniziativa a
favore dei compositori.
E i vostri “suggerimenti” passano anche attraverso i pezzi
d’obbligo.
Non soltanto. Per noi sono infatti di estrema importanza
anche le commissioni di brani nuovi, una tradizione che si
rinnova ogni due anni. La città di Debrecen ha commissionato
in questi anni per questa occasione oltre 90 brani nuovi che
valorizzano anche compositori meno noti. Per quanto
riguarda i pezzi d’obbligo cerchiamo sempre di scegliere
brani che possano rimanere nei repertori dei cori anche dopo
il concorso.
Il concorso Béla Bartók esiste da oltre un cinquantennio e si
svolge con cadenza biennale. Quest’anno è arrivato alla xxvi
edizione con il suo caratteristico mix di carattere accademico
e festa corale, una combinazione nella quale la
conservazione della tradizione e la voglia di aggiornarla
portano il segno della direzione artistica di Zoltán Pad, che
dal 2009 è stato direttore stabile del coro professionale
Kodály di Debrecen ed è stato scelto come nuovo direttore
del coro della Radiotelevisione ungherese di Budapest.
Consapevole della propria responsabilità e dell’eredità del
concorso, tiene le fila di tutte le fasi del concorso con
dedizione ed entusiasmo, forte di un’eredità molto solida.
Questa manifestazione mantiene un rapporto molto forte con
la città di Debrecen. György Gulyás, insegnante e direttore,
fondatore e direttore di scuole di musica, riorganizzatore del
coro Kodály come coro professionale, divenne il promotore
principale della fondazione del concorso nel 1961. Alla base di
questa tradizione c’è una personalità forte, che ha fatto
molto per questa città e in tutti questi anni il concorso è
stato sempre supportato dalla municipalità.
Una delle caratteristiche specifiche di questo concorso è
l’apertura anche ai cori di professionisti.
Il confronto tra cori amatoriali e professionali non è
sbilanciato perché a questi livelli gli standard sono condivisi. I
cori che partecipano sono fondamentalmente amatoriali, ma
quando è capitato di avere anche cori professionali, il
risultato non è stato per niente scontato, infatti la vittoria è
andata a uno dei cori amatoriali.
Per la maggior parte dei cori il repertorio contemporaneo è
la scelta più diffusa, ma qui le richieste sono più radicali.
Al concorso possono essere presentati brani scritti dopo il 26
settembre 1945, anno della morte di Bartók. Inoltre è
obbligatorio presentare in ogni categoria almeno un brano
Le scelte di repertorio dei cori qui si differenziano molto dai
brani di maggiore diffusione nelle altre sedi di importanti
competizioni internazionali.
Qui solitamente non si trovano programmi di “mainstream”,
perché siamo interessati alle grandi sfide, con le quali
proviamo a vivere esperienze musicali nuove. Comunque nel
concorso ci sono programmi per tutti, il pubblico è
diversificato e interessato, le sale sono sempre piene.
Abbiamo cori da ogni parte del mondo, con una proposta
molto varia. Per il pubblico sono importanti anche le serate
del folclore, quando i cori cantano nella propria lingua,
spesso con i loro costumi tipici. È un bel modo per stare
assieme, come una grande famiglia musicale.
Per questo i cori hanno anche la possibilità di incontrare “la
città”.
Proponiamo ai cori concerti extra, perché ci piace portare la
musica a contatto con gli abitanti di Debrecen e dintorni. Per
il pubblico è un lungo, festoso weekend di musica e ai cori
piace sorprendere le persone con la bellezza del canto anche
fuori dall’auditorium.
formato da coriste giovani, ma molto preparate, che ai punti
ottenuti con un bel suono e un insieme armonioso hanno
aggiunto interpretazioni meditate e mai banali. La vittoria
permetterà loro di partecipare al prossimo Gran Premio
Europeo che si terrà il 30 maggio 2015 a Tours in Francia.
I pronostici davano ottime probabilità di vittoria anche al coro
Via Nova di Monaco, classificatosi con merito al primo posto
tra i cori misti. È stata probabilmente una delusione per il
validissimo Florian Helgath e i suoi consapevoli coristi che
hanno giocato bene i propri assi nella manica, anche con un
buon margine di rischio, interpretando lo spirito del concorso
con brani di grande difficoltà. Ha avuto accesso alla gara per
il Grand Prix anche il comunicativo coro da camera islandese
Melodia di Magnús Ragnarsson, molto noto in patria e forte
di diversi solisti, affiatato ma non
perfettamente omogeneo, come spesso
succede nei gruppi da camera. Il coro si è
piazzato al secondo posto dopo il coro
misto ceco Cantica Laetitia, con il quale
Josef Surovik ha fatto un ottimo lavoro,
ottenendo un coro dal suono ben
amalgamato nell’intera gamma dinamica,
preciso, vivace e particolarmente
espressivo. Tra i cori giovanili ha vinto,
meritando il passaggio alla gara finale, il coro femminile del
ginnasio Ady Endre di Debrecen, dalla disciplina esemplare e
preparato con grande cura e serietà da Rita Kerekes,
direttrice di temperamento che ha garantito vivacità e pulizia
del suono.
Merita di essere citato, anche per la sua simpatia, il coro
giovanile canadese Cantilon, numeroso, vivace e devoto a
una direttrice di polso come Heather Johnson. Hanno
partecipato inoltre le ragazze del coro femminile ucraino
Yaroslavna, il coro giovanile Sympatti dalla Finlandia, i cori
misti dell’Università di tecnologia di Varsavia, Vox Juvenalis
dalla Repubblica Ceca e il Sct. Peders Koncertkor dalla
Danimarca. Hanno rappresentato l’Ungheria anche il coro
femminile Matricanus, il coro da camera Óbudai e il coro
della scuola di musica di Santo Stefano a Budapest.
Oltre alle esibizioni in concorso, i cori possono scegliere di
59
offrire concerti di beneficenza o di partecipare con il canto
alle messe domenicali in chiese cattoliche e riformate, inoltre
la cittadinanza viene coinvolta nella promenade di apertura
nella piazza principale, ma il “villaggio corale” del concorso è
concentrato negli spazi del centro Kőlcsey, dove attorno
all’auditorium si raccolgono le bancarelle di artigiani (e
salumieri) provenienti da varie località del paese, mentre nel
Choir cafè è possibile acquistare materiale musicale, assistere
a presentazioni di editori, incontri con compositori e direttori.
«Vado a Debrecen a comperare un tacchino…» recita una
canzone popolare ungherese, ed è per questo che il concorso
ha come simbolo un tacchino stilizzato, riferimento alla
tradizione che trova il suo spazio non soltanto nell’attenzione
alla letteratura nazionale, ma anche nella spontaneità di due
serate di festival popolare che si svolgono all’aperto
nell’anfiteatro di Nagyerdő, appena inaugurato e immerso nel
verde. Qui la tensione del concorso si è stemperata nei canti
del cuore e i coristi hanno potuto concludere la serata
ballando al ritmo del rock medievale proposto dal gruppo
ospite.
La combinazione di sfide del contemporaneo e attaccamento
alle proprie radici musicali, che costituisce la sigla del
concorso di Debrecen, è uno spunto di riflessione al quale
non si è sottratto il giurato italiano del concorso Felix Resch,
docente del conservatorio di Bolzano: «Trovo molto
apprezzabile la capacità di vivere la tradizione in maniera
contemporanea, riuscire a trasmettere la propria storia
trasportandola nell’oggi. Questo si riflette chiaramente
nell’impostazione del concorso, al quale partecipano tutte le
Il concorso Béla Bartók di Debrecen
riflette nel carattere la propria
posizione geografica e storica.
realtà musicali e politiche importanti. Se una manifestazione
culturale è organizzata con tanta cura, rispetto, impegno da
parte di professionisti del settore, il riscontro delle istituzioni
è effettivo. Per quanto riguarda la vocazione al
contemporaneo, tendiamo forse a immaginare che una scelta
simile possa portare all’allontanamento di un pubblico più
vasto, ma è una convinzione sbagliata. Quando la musica
contemporanea è fatta bene e con professionalità, viene
recepita, ma a questo repertorio è necessario dedicare tanta
serietà e passione, quanta ne può dedicare un coro di
montagna al proprio. Questo vale per tutti i repertori e se
pensiamo alla letteratura meno frequentata di romanticismo e
tardo barocco, ci rendiamo conto che c’è ancora tutto un
mondo di musica corale da scoprire».
CRONACA
58
scritto dopo il 1990. Incoraggiamo anche la composizione di
brani nuovi e prevediamo premi speciali per composizioni
scritte dopo il 2009. Penso sia un fatto positivo e stimolante
per i cori, che possono portare sempre una ventata di novità
nei loro repertori, ed è sicuramente un’ottima iniziativa a
favore dei compositori.
E i vostri “suggerimenti” passano anche attraverso i pezzi
d’obbligo.
Non soltanto. Per noi sono infatti di estrema importanza
anche le commissioni di brani nuovi, una tradizione che si
rinnova ogni due anni. La città di Debrecen ha commissionato
in questi anni per questa occasione oltre 90 brani nuovi che
valorizzano anche compositori meno noti. Per quanto
riguarda i pezzi d’obbligo cerchiamo sempre di scegliere
brani che possano rimanere nei repertori dei cori anche dopo
il concorso.
Il concorso Béla Bartók esiste da oltre un cinquantennio e si
svolge con cadenza biennale. Quest’anno è arrivato alla xxvi
edizione con il suo caratteristico mix di carattere accademico
e festa corale, una combinazione nella quale la
conservazione della tradizione e la voglia di aggiornarla
portano il segno della direzione artistica di Zoltán Pad, che
dal 2009 è stato direttore stabile del coro professionale
Kodály di Debrecen ed è stato scelto come nuovo direttore
del coro della Radiotelevisione ungherese di Budapest.
Consapevole della propria responsabilità e dell’eredità del
concorso, tiene le fila di tutte le fasi del concorso con
dedizione ed entusiasmo, forte di un’eredità molto solida.
Questa manifestazione mantiene un rapporto molto forte con
la città di Debrecen. György Gulyás, insegnante e direttore,
fondatore e direttore di scuole di musica, riorganizzatore del
coro Kodály come coro professionale, divenne il promotore
principale della fondazione del concorso nel 1961. Alla base di
questa tradizione c’è una personalità forte, che ha fatto
molto per questa città e in tutti questi anni il concorso è
stato sempre supportato dalla municipalità.
Una delle caratteristiche specifiche di questo concorso è
l’apertura anche ai cori di professionisti.
Il confronto tra cori amatoriali e professionali non è
sbilanciato perché a questi livelli gli standard sono condivisi. I
cori che partecipano sono fondamentalmente amatoriali, ma
quando è capitato di avere anche cori professionali, il
risultato non è stato per niente scontato, infatti la vittoria è
andata a uno dei cori amatoriali.
Per la maggior parte dei cori il repertorio contemporaneo è
la scelta più diffusa, ma qui le richieste sono più radicali.
Al concorso possono essere presentati brani scritti dopo il 26
settembre 1945, anno della morte di Bartók. Inoltre è
obbligatorio presentare in ogni categoria almeno un brano
Le scelte di repertorio dei cori qui si differenziano molto dai
brani di maggiore diffusione nelle altre sedi di importanti
competizioni internazionali.
Qui solitamente non si trovano programmi di “mainstream”,
perché siamo interessati alle grandi sfide, con le quali
proviamo a vivere esperienze musicali nuove. Comunque nel
concorso ci sono programmi per tutti, il pubblico è
diversificato e interessato, le sale sono sempre piene.
Abbiamo cori da ogni parte del mondo, con una proposta
molto varia. Per il pubblico sono importanti anche le serate
del folclore, quando i cori cantano nella propria lingua,
spesso con i loro costumi tipici. È un bel modo per stare
assieme, come una grande famiglia musicale.
Per questo i cori hanno anche la possibilità di incontrare “la
città”.
Proponiamo ai cori concerti extra, perché ci piace portare la
musica a contatto con gli abitanti di Debrecen e dintorni. Per
il pubblico è un lungo, festoso weekend di musica e ai cori
piace sorprendere le persone con la bellezza del canto anche
fuori dall’auditorium.
formato da coriste giovani, ma molto preparate, che ai punti
ottenuti con un bel suono e un insieme armonioso hanno
aggiunto interpretazioni meditate e mai banali. La vittoria
permetterà loro di partecipare al prossimo Gran Premio
Europeo che si terrà il 30 maggio 2015 a Tours in Francia.
I pronostici davano ottime probabilità di vittoria anche al coro
Via Nova di Monaco, classificatosi con merito al primo posto
tra i cori misti. È stata probabilmente una delusione per il
validissimo Florian Helgath e i suoi consapevoli coristi che
hanno giocato bene i propri assi nella manica, anche con un
buon margine di rischio, interpretando lo spirito del concorso
con brani di grande difficoltà. Ha avuto accesso alla gara per
il Grand Prix anche il comunicativo coro da camera islandese
Melodia di Magnús Ragnarsson, molto noto in patria e forte
di diversi solisti, affiatato ma non
perfettamente omogeneo, come spesso
succede nei gruppi da camera. Il coro si è
piazzato al secondo posto dopo il coro
misto ceco Cantica Laetitia, con il quale
Josef Surovik ha fatto un ottimo lavoro,
ottenendo un coro dal suono ben
amalgamato nell’intera gamma dinamica,
preciso, vivace e particolarmente
espressivo. Tra i cori giovanili ha vinto,
meritando il passaggio alla gara finale, il coro femminile del
ginnasio Ady Endre di Debrecen, dalla disciplina esemplare e
preparato con grande cura e serietà da Rita Kerekes,
direttrice di temperamento che ha garantito vivacità e pulizia
del suono.
Merita di essere citato, anche per la sua simpatia, il coro
giovanile canadese Cantilon, numeroso, vivace e devoto a
una direttrice di polso come Heather Johnson. Hanno
partecipato inoltre le ragazze del coro femminile ucraino
Yaroslavna, il coro giovanile Sympatti dalla Finlandia, i cori
misti dell’Università di tecnologia di Varsavia, Vox Juvenalis
dalla Repubblica Ceca e il Sct. Peders Koncertkor dalla
Danimarca. Hanno rappresentato l’Ungheria anche il coro
femminile Matricanus, il coro da camera Óbudai e il coro
della scuola di musica di Santo Stefano a Budapest.
Oltre alle esibizioni in concorso, i cori possono scegliere di
59
offrire concerti di beneficenza o di partecipare con il canto
alle messe domenicali in chiese cattoliche e riformate, inoltre
la cittadinanza viene coinvolta nella promenade di apertura
nella piazza principale, ma il “villaggio corale” del concorso è
concentrato negli spazi del centro Kőlcsey, dove attorno
all’auditorium si raccolgono le bancarelle di artigiani (e
salumieri) provenienti da varie località del paese, mentre nel
Choir cafè è possibile acquistare materiale musicale, assistere
a presentazioni di editori, incontri con compositori e direttori.
«Vado a Debrecen a comperare un tacchino…» recita una
canzone popolare ungherese, ed è per questo che il concorso
ha come simbolo un tacchino stilizzato, riferimento alla
tradizione che trova il suo spazio non soltanto nell’attenzione
alla letteratura nazionale, ma anche nella spontaneità di due
serate di festival popolare che si svolgono all’aperto
nell’anfiteatro di Nagyerdő, appena inaugurato e immerso nel
verde. Qui la tensione del concorso si è stemperata nei canti
del cuore e i coristi hanno potuto concludere la serata
ballando al ritmo del rock medievale proposto dal gruppo
ospite.
La combinazione di sfide del contemporaneo e attaccamento
alle proprie radici musicali, che costituisce la sigla del
concorso di Debrecen, è uno spunto di riflessione al quale
non si è sottratto il giurato italiano del concorso Felix Resch,
docente del conservatorio di Bolzano: «Trovo molto
apprezzabile la capacità di vivere la tradizione in maniera
contemporanea, riuscire a trasmettere la propria storia
trasportandola nell’oggi. Questo si riflette chiaramente
nell’impostazione del concorso, al quale partecipano tutte le
Il concorso Béla Bartók di Debrecen
riflette nel carattere la propria
posizione geografica e storica.
realtà musicali e politiche importanti. Se una manifestazione
culturale è organizzata con tanta cura, rispetto, impegno da
parte di professionisti del settore, il riscontro delle istituzioni
è effettivo. Per quanto riguarda la vocazione al
contemporaneo, tendiamo forse a immaginare che una scelta
simile possa portare all’allontanamento di un pubblico più
vasto, ma è una convinzione sbagliata. Quando la musica
contemporanea è fatta bene e con professionalità, viene
recepita, ma a questo repertorio è necessario dedicare tanta
serietà e passione, quanta ne può dedicare un coro di
montagna al proprio. Questo vale per tutti i repertori e se
pensiamo alla letteratura meno frequentata di romanticismo e
tardo barocco, ci rendiamo conto che c’è ancora tutto un
mondo di musica corale da scoprire».
CRONACA
60
LA MISSIONE EUROPEA DELL’ECCELLENZA CORALE
IL 22° FESTIVAL DES CHOEURS LAURÉATS
di Rossana Paliaga
Ascoltare musica corale di livello eccellente, con gruppi
selezionatissimi provenienti da tutto il mondo, avvolti dalla
magia di borghi antichi, dai profumi e dai colori dei mercati
provenzali, mescolando all’odore inebriante della lavanda e
delle erbe aromatiche le migliori voci dei complessi più
rinomati. È questa la proposta intrigante del Festival des
choeurs lauréats che unisce nel nome dell’ottima musica
corale i pittoreschi dipartimenti della Vaucluse, Drôme,
Ardèche e Hautes Alpes. Questo idillio armonioso di natura,
cultura e coralità nasce da una pagina scura della storia di
quella che oggi è la Città corale europea, Vaison-la-Romaine,
dove il canto corale ha dimostrato di essere arte, ma anche
fonte di ottimismo, voglia di costruire e ricostruire. Attraverso
il festival è partito infatti il rilancio e la ricostruzione, anche
morale, dello splendido sito romano e medievale che all’inizio
degli anni Novanta è stato colpito da una disastrosa piena del
fiume Ouvèze. Municipalità, le forze riunite di coralità
nazionale, internazionale e Commissione europea hanno fatto
in modo che ventidue anni fa nascesse un festival capace di
rispondere con la bellezza allo sconforto che aveva colpito e
segnato in maniera indelebile un luogo caratterizzato da un
legame forte con la cultura corale. Jacques Delors, Marcel
Corneloup e l’allora sindaco di Vaison Claude Haut furono i
principali promotori del progetto, che a livello di contenuti si
sviluppò in uno stretto legame di partenariato con i concorsi
del Grand Prix europeo, i cui vincitori vengono regolarmente
invitati a partecipare.
Prendendo in prestito una definizione del direttore artistico
Christian Balandras, il festival “in-canta” ogni anno nell’ultima
settimana di luglio con un intreccio di serate concertistiche
che coinvolgono diverse località e alcuni cori ospiti itineranti.
Anche quest’anno si è trattato di
proposte molto diverse tra di loro: due
gruppi vocali e due grandi cori, con
programmi tesi tra sacro e profano,
antico e contemporaneo, popolare e
moderno, con un unico punto in comune,
ovvero la certezza di poter ascoltare
alcune delle migliori espressioni della
coralità europea e mondiale. In questo
circuito di concerti il paese di Vaison-laRomaine è l’unico posto dove è possibile
assistere alle esibizioni di tutti gli ospiti, nella splendida
cornice della cattedrale di Nostra Signora di Nazareth.
Il festival è inserito all’interno delle proposte turistiche della
regione, una bella idea per abbinare il viaggio nella regione
Paca (Provenza-Alpi-Costa Azzurra) alla scoperta dei paesaggi
spesso sorprendenti della coralità a cinque stelle. Al festival i
cori itineranti si incrociano, incontrano la gente che si
trattiene al termine dei concerti per parlare, commentare,
scambiare opinioni su tecnica, repertori, semplicemente stare
assieme. È un pubblico attento, abituato e affezionato a
questi concerti, e i cori ne sono entusiasti.
«Lo scopo e il premio maggiore dei grandi concorsi è poter
essere invitati a festival come questo», rivela una delle coriste
dello Svenska Kammarkören, che si rammarica del fatto che il
programma intenso non dia ai coristi molte opportunità per
Al festival i cori itineranti si incrociano,
incontrano la gente per parlare,
commentare, scambiare opinioni.
incontrarsi tra di loro, ma loda senza riserve l’organizzazione
e la formula che anche per i cori ospiti abbina turismo e
concerti in luoghi storici di grande fascino, dove li attende
sempre un pubblico caloroso. L’ottimo coro svedese di Simon
Phipps (Grand Prix ad Arezzo nel 2010 e Grand Prix Europeo a
Il Festival des choeurs lauréats poggia sul lavoro volontario e
l’entusiasmo di molti collaboratori collaudati, coordinati da un
protagonista autorevole della coralità francese, Christian
Balandras, che dal 2008 ricopre il ruolo di direttore artistico e
dal 2009 quello di presidente del festival. Con lui abbiamo
ricostruito la storia e gli obiettivi di questa importante
manifestazione che nasce a stretto contatto, e non potrebbe
essere diversamente visto il luogo, con la manifestazione
corale più amata dai francesi, le Choralies.
All’inizio degli anni ’50 César Geoffray, fondatore di À coeur
joie e mio insegnante di direzione, ebbe l’idea di creare in
Provenza una grande opportunità di incontro per i coristi.
Dopo una serie di sopralluoghi e seguendo il consiglio
dell’abate Georges Durand, Vaison venne individuata come un
luogo adatto grazie al potenziale del grande spazio
dell’anfiteatro romano, capace di accogliere le grandi masse.
Nel 1953 sono nate le Choralies, manifestazione triennale
rivolta principalmente a gruppi francesi e francofoni. Così
nacque anche l’idea di Vaison come città della coralità. Nel
settembre del 1992 ci fu però una grande catastrofe,
un’esondazione che provocò a Vaison ingenti danni e oltre 40
vittime. Marcel Corneloup era all’epoca presidente di À coeur
joie, nazionale e internazionale. Decise di fare qualcosa per
aiutare il paese colpito e il suo appello suscitò il riscontro
partecipe della coralità mondiale. Jacques Delors, allora
presidente della Commissione europea, decise di sostenere lo
slancio della comunità corale internazionale e promuovere
l’iniziativa di un nuovo festival a Vaison, che conquistò il titolo
di città corale europea. Marcel era in contatto con le
competizioni del gpe e propose ai vicitori di venire a cantare a
Vaison e nelle località della Provenza toccate dal programma
del nuovo festival, la cui prima edizione si svolse nel 1993.
Ecco spiegato il legame diretto con la rete del Grand Prix.
Oggi potremmo ampliare la proposta rivolgendoci a ulteriori
prestigiosi concorsi, ma non sarebbe possibile a livello
economico. Ogni anno possiamo invitare al massimo tre o
quattro gruppi e i cori selezionati devono spesso attendere
anche alcuni anni prima di potersi esibire in questo contesto.
L’attesa offre tuttavia ai cori il vantaggio di poter organizzare
agevolmente il viaggio e trovare gli sponsor necessari.
Il festival nasce dalla volontà di À coeur joie, ma la sua
gestione è autonoma.
Quando è nato il festival, Marcel era al tempo stesso
presidente di À coeur joie e del festival, quindi è stato
semplice. Poi, quando le due funzioni si sono separate, è
rimasta la collaborazione, soprattutto attraverso
l’organizzazione delle masterclass internazionali che si
svolgono nel centro Escapade che è nato per ospitare eventi
corali. La federazione ha quindi uno spazio proprio a Vaison,
noi troviamo invece i siti adatti ai concerti dei cori.
61
Portare i concerti su un territorio più ampio significa anche
trovare partner affidabili.
Per il livello che il festival esprime abbiamo la necessità di
collaborare con associazioni serie e ben attrezzate per
affiancarci nella coordinazione degli eventi. Ogni anno
riceviamo nuove proposte di collaborazione da parte di
associazioni musicali e cori, ma anche altri festival ed enti
pubblici. Chi ha già partecipato solitamente vuole continuare.
Quest’anno abbiamo avuto ad esempio venti richieste di
ospitare i nostri eventi, ma solo diciassette concerti a
disposizione. Oltre ai concerti abbiamo gli “Incontri con…”,
esibizioni più brevi e a ingresso libero che promuovono la
conoscenza della musica corale in piccoli borghi. Chi collabora
cerca di trovare posti acusticamente adatti. Non prevediamo
concerti all’aperto. Il ruolo di Vaison in questa mappa dei
concerti è centrale perché tutti i gruppi fanno tappa nella sua
storica cattedrale. Andiamo fieri anche della possibilità di
organizzare un concerto ad Avignone, in concomitanza con il
prestigioso festival.
I cori ospiti hanno totale libertà nella scelta del programma?
I cori che cantano al festival sono solitamente abituati a
preparare programmi da competizione. In questo contesto
devono pensare a un programma da festival, immaginato per
creare un contatto con il pubblico, ma al di là di questa
considerazione, la scelta dei brani è totalmente libera. Può
essere musica religiosa o profana, popolare, jazz o un mix di
generi diversi.
È un festival che attraverso l’eccellenza della proposta può
essere un’esperienza formativa per coristi, direttori, pubblico
locale e turisti. Chi è il pubblico del festival?
«Che bel pubblico!» è la prima cosa che ci dicono i cori che
partecipano al festival. Il nostro pubblico è molto rispettoso,
ama ascoltare cori eccellenti e coltiva con entusiasmo questa
piacevole abitudine. C’è anche chi viaggia di paese in paese
per ascoltare i concerti, oppure esperti che si regalano un
soggiorno in Provenza per approfittare della vicinanza dei
concerti.
CRONACA
60
LA MISSIONE EUROPEA DELL’ECCELLENZA CORALE
IL 22° FESTIVAL DES CHOEURS LAURÉATS
di Rossana Paliaga
Ascoltare musica corale di livello eccellente, con gruppi
selezionatissimi provenienti da tutto il mondo, avvolti dalla
magia di borghi antichi, dai profumi e dai colori dei mercati
provenzali, mescolando all’odore inebriante della lavanda e
delle erbe aromatiche le migliori voci dei complessi più
rinomati. È questa la proposta intrigante del Festival des
choeurs lauréats che unisce nel nome dell’ottima musica
corale i pittoreschi dipartimenti della Vaucluse, Drôme,
Ardèche e Hautes Alpes. Questo idillio armonioso di natura,
cultura e coralità nasce da una pagina scura della storia di
quella che oggi è la Città corale europea, Vaison-la-Romaine,
dove il canto corale ha dimostrato di essere arte, ma anche
fonte di ottimismo, voglia di costruire e ricostruire. Attraverso
il festival è partito infatti il rilancio e la ricostruzione, anche
morale, dello splendido sito romano e medievale che all’inizio
degli anni Novanta è stato colpito da una disastrosa piena del
fiume Ouvèze. Municipalità, le forze riunite di coralità
nazionale, internazionale e Commissione europea hanno fatto
in modo che ventidue anni fa nascesse un festival capace di
rispondere con la bellezza allo sconforto che aveva colpito e
segnato in maniera indelebile un luogo caratterizzato da un
legame forte con la cultura corale. Jacques Delors, Marcel
Corneloup e l’allora sindaco di Vaison Claude Haut furono i
principali promotori del progetto, che a livello di contenuti si
sviluppò in uno stretto legame di partenariato con i concorsi
del Grand Prix europeo, i cui vincitori vengono regolarmente
invitati a partecipare.
Prendendo in prestito una definizione del direttore artistico
Christian Balandras, il festival “in-canta” ogni anno nell’ultima
settimana di luglio con un intreccio di serate concertistiche
che coinvolgono diverse località e alcuni cori ospiti itineranti.
Anche quest’anno si è trattato di
proposte molto diverse tra di loro: due
gruppi vocali e due grandi cori, con
programmi tesi tra sacro e profano,
antico e contemporaneo, popolare e
moderno, con un unico punto in comune,
ovvero la certezza di poter ascoltare
alcune delle migliori espressioni della
coralità europea e mondiale. In questo
circuito di concerti il paese di Vaison-laRomaine è l’unico posto dove è possibile
assistere alle esibizioni di tutti gli ospiti, nella splendida
cornice della cattedrale di Nostra Signora di Nazareth.
Il festival è inserito all’interno delle proposte turistiche della
regione, una bella idea per abbinare il viaggio nella regione
Paca (Provenza-Alpi-Costa Azzurra) alla scoperta dei paesaggi
spesso sorprendenti della coralità a cinque stelle. Al festival i
cori itineranti si incrociano, incontrano la gente che si
trattiene al termine dei concerti per parlare, commentare,
scambiare opinioni su tecnica, repertori, semplicemente stare
assieme. È un pubblico attento, abituato e affezionato a
questi concerti, e i cori ne sono entusiasti.
«Lo scopo e il premio maggiore dei grandi concorsi è poter
essere invitati a festival come questo», rivela una delle coriste
dello Svenska Kammarkören, che si rammarica del fatto che il
programma intenso non dia ai coristi molte opportunità per
Al festival i cori itineranti si incrociano,
incontrano la gente per parlare,
commentare, scambiare opinioni.
incontrarsi tra di loro, ma loda senza riserve l’organizzazione
e la formula che anche per i cori ospiti abbina turismo e
concerti in luoghi storici di grande fascino, dove li attende
sempre un pubblico caloroso. L’ottimo coro svedese di Simon
Phipps (Grand Prix ad Arezzo nel 2010 e Grand Prix Europeo a
Il Festival des choeurs lauréats poggia sul lavoro volontario e
l’entusiasmo di molti collaboratori collaudati, coordinati da un
protagonista autorevole della coralità francese, Christian
Balandras, che dal 2008 ricopre il ruolo di direttore artistico e
dal 2009 quello di presidente del festival. Con lui abbiamo
ricostruito la storia e gli obiettivi di questa importante
manifestazione che nasce a stretto contatto, e non potrebbe
essere diversamente visto il luogo, con la manifestazione
corale più amata dai francesi, le Choralies.
All’inizio degli anni ’50 César Geoffray, fondatore di À coeur
joie e mio insegnante di direzione, ebbe l’idea di creare in
Provenza una grande opportunità di incontro per i coristi.
Dopo una serie di sopralluoghi e seguendo il consiglio
dell’abate Georges Durand, Vaison venne individuata come un
luogo adatto grazie al potenziale del grande spazio
dell’anfiteatro romano, capace di accogliere le grandi masse.
Nel 1953 sono nate le Choralies, manifestazione triennale
rivolta principalmente a gruppi francesi e francofoni. Così
nacque anche l’idea di Vaison come città della coralità. Nel
settembre del 1992 ci fu però una grande catastrofe,
un’esondazione che provocò a Vaison ingenti danni e oltre 40
vittime. Marcel Corneloup era all’epoca presidente di À coeur
joie, nazionale e internazionale. Decise di fare qualcosa per
aiutare il paese colpito e il suo appello suscitò il riscontro
partecipe della coralità mondiale. Jacques Delors, allora
presidente della Commissione europea, decise di sostenere lo
slancio della comunità corale internazionale e promuovere
l’iniziativa di un nuovo festival a Vaison, che conquistò il titolo
di città corale europea. Marcel era in contatto con le
competizioni del gpe e propose ai vicitori di venire a cantare a
Vaison e nelle località della Provenza toccate dal programma
del nuovo festival, la cui prima edizione si svolse nel 1993.
Ecco spiegato il legame diretto con la rete del Grand Prix.
Oggi potremmo ampliare la proposta rivolgendoci a ulteriori
prestigiosi concorsi, ma non sarebbe possibile a livello
economico. Ogni anno possiamo invitare al massimo tre o
quattro gruppi e i cori selezionati devono spesso attendere
anche alcuni anni prima di potersi esibire in questo contesto.
L’attesa offre tuttavia ai cori il vantaggio di poter organizzare
agevolmente il viaggio e trovare gli sponsor necessari.
Il festival nasce dalla volontà di À coeur joie, ma la sua
gestione è autonoma.
Quando è nato il festival, Marcel era al tempo stesso
presidente di À coeur joie e del festival, quindi è stato
semplice. Poi, quando le due funzioni si sono separate, è
rimasta la collaborazione, soprattutto attraverso
l’organizzazione delle masterclass internazionali che si
svolgono nel centro Escapade che è nato per ospitare eventi
corali. La federazione ha quindi uno spazio proprio a Vaison,
noi troviamo invece i siti adatti ai concerti dei cori.
61
Portare i concerti su un territorio più ampio significa anche
trovare partner affidabili.
Per il livello che il festival esprime abbiamo la necessità di
collaborare con associazioni serie e ben attrezzate per
affiancarci nella coordinazione degli eventi. Ogni anno
riceviamo nuove proposte di collaborazione da parte di
associazioni musicali e cori, ma anche altri festival ed enti
pubblici. Chi ha già partecipato solitamente vuole continuare.
Quest’anno abbiamo avuto ad esempio venti richieste di
ospitare i nostri eventi, ma solo diciassette concerti a
disposizione. Oltre ai concerti abbiamo gli “Incontri con…”,
esibizioni più brevi e a ingresso libero che promuovono la
conoscenza della musica corale in piccoli borghi. Chi collabora
cerca di trovare posti acusticamente adatti. Non prevediamo
concerti all’aperto. Il ruolo di Vaison in questa mappa dei
concerti è centrale perché tutti i gruppi fanno tappa nella sua
storica cattedrale. Andiamo fieri anche della possibilità di
organizzare un concerto ad Avignone, in concomitanza con il
prestigioso festival.
I cori ospiti hanno totale libertà nella scelta del programma?
I cori che cantano al festival sono solitamente abituati a
preparare programmi da competizione. In questo contesto
devono pensare a un programma da festival, immaginato per
creare un contatto con il pubblico, ma al di là di questa
considerazione, la scelta dei brani è totalmente libera. Può
essere musica religiosa o profana, popolare, jazz o un mix di
generi diversi.
È un festival che attraverso l’eccellenza della proposta può
essere un’esperienza formativa per coristi, direttori, pubblico
locale e turisti. Chi è il pubblico del festival?
«Che bel pubblico!» è la prima cosa che ci dicono i cori che
partecipano al festival. Il nostro pubblico è molto rispettoso,
ama ascoltare cori eccellenti e coltiva con entusiasmo questa
piacevole abitudine. C’è anche chi viaggia di paese in paese
per ascoltare i concerti, oppure esperti che si regalano un
soggiorno in Provenza per approfittare della vicinanza dei
concerti.
CRONACA
62
Tolosa nel 2011) ha dato modo al pubblico di apprezzare
l’abbraccio musicale di un suono armonioso, magistralmente
levigato, un programma originale e ben strutturato in gruppi
tematici, nel quale è emersa l’affinità particolare del coro con
le atmosfere sonore nordiche di Grieg ed Esenvalds.
Trasparenza e chiarezza delle strutture musicali sono state
valorizzate dalla splendida acustica della cattedrale di Vaison,
riempita dalla purezza di accordi di estrema pulizia.
Accanto alle conferme di cori di fama, Christian Balandras ha
voluto puntare quest’anno anche sulla novità di un gruppo
rivelazione ancora poco noto alle grandi platee ma che ha già
motivato in modo molto convincente le proprie prospettive e
ambizioni. Il sestetto sloveno Ingenium ha collezionato negli
ultimi mesi una serie di successi che
l’hanno imposto rapidamente
all’attenzione internazionale con una
serie continua di riconoscimenti, tra i
quali due primi premi (e maggiore
punteggio assoluto) al Polifonico di
Arezzo, seguito da due primi premi
al concorso di Tolosa.
Forte di un assortimento di voci
ideale per compatibilità, il gruppo di
giovani (l’età media è 24 anni) e
preparatissimi coristi ricerca l’armonia totale, non i contrasti
di colore. Gi Ingenium sono un gruppo di impostazione e
ispirazione britannica che nasce con l’inclinazione per il
rinascimento e si estende a un mix moderno di pop e jazz.
Nel suo sviluppo verso modelli anglosassoni deve ancora
perfezionare una padronanza più disinvolta dello spazio
scenico, ma i suoi continui progressi vanno di pari passo
passo con la grande motivazione e l’effetto sul pubblico è già
garantito. Professionali, sinceramente appassionati, gli
Ingenium hanno tutte le carte in regola per imporsi. Il Festival
des choeurs lauréats è stata finora la loro maggiore tournée.
Hanno invece qualche anno in più di esperienza sui
palcoscenici internazionali i ragazzi del quartetto maschile
Quartonal di Amburgo (primo premio di categoria al concorso
internazionale di Tolosa nel 2012), totalmente trasversale in
quanto a scelte di genere, come ha dimostrato anche il
programma molto vario presentato nei ben cinque
appuntamenti festivalieri. Dalla Germania è arrivato anche il
noto Kammerchor Stuttgart, i cui preparatissimi coristi
vengono definiti i “maestri cantori di Stoccarda”. Tournées
mondiali e una lunga serie di premi contraddistinguono
questo coro che ha offerto in concerto una grande lezione di
interpretazione corale con un programma insolito e
improntato alla letteratura tedesca. Dopo l’apollinea misura di
un approccio al tempo stesso espressivo e controllato a
Mendelssohn, i coristi hanno ricordato i trecento anni dalla
nascita di Gottfried August Homilius con un affascinante
Attraverso il festival è partito il rilancio
e la ricostruzione, anche morale, dello
splendido sito romano e medievale.
omaggio che oltre a valorizzare questo autore poco
frequentato ha messo in evidenza la grande musicalità del
coro. L’alternanza di romanticismo e contemporaneo è stata
uno sfoggio di padronanza della tecnica vocale a tutti i livelli.
Per il direttore Frieder Bernius la capacità di essere
convincenti nella varietà è infatti l’obiettivo da perseguire,
con l’affinamento costante della pratica di diversi stili.
L’affermato direttore e il suo coro hanno partecipato al
festival con un doppio ruolo, mettendosi anche a disposizione
degli allievi della masterlass internazionale di direzione di
coro. Questa iniziativa affianca le giornate del festival,
integrando il respiro corale di Vaison con la possibilità di
studio e approfondimento a contatto con insegnanti di fama
internazionale. Perfezionarsi a Vaison, con grandi maestri,
nella bella cornice del centro Escapade di À coeur joie e con
la possibilità di dedicare le serate all’ascolto di gruppi corali
di eccellenza, è evidentemente una proposta estremamente
invitante, alla quale ha risposto un gran numero di direttori
da tutto il mondo, tra i quali sono stati selezionati ventidue
partecipanti, di cui otto scelti per dirigere al concerto di
chiusura. Bach, Fasch, Gottwald sono stati gli autori scelti per
la masterclass con un progetto ben preciso di Bernius, che ha
posto l’attenzione su una lacuna diffusa: «Ci siamo
concentrati sull’approccio stilistico al barocco, perché penso
ci sia molto bisogno di fare chiarezza su questo tema nel
mondo della coralità. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a
una grande riscoperta e rivalutazione su basi filologiche di
questo repertorio, ma questo non è avvenuto in uguale
misura nella musica corale a cappella, quindi penso sia
importante riportare all’attenzione composizioni poco note.
Concentrarsi sulla tecnica è un compito da sviluppare con
costanza durante l’anno, non è possibile farlo in pochi giorni
63
di masterclass. Ai corsisti spiego come mi sono sviluppato
come direttore, offro spunti di riflessione e qualche idea, ma
il resto devono farlo da soli. Mi sono concentrato piuttosto
sulla tecnica delle prove, per far capire ai direttori come
possono aiutare i coristi senza lunghi discorsi, ma con brevi
indicazioni e gesti che sono decisamente più utili. Occorre
migliorare la comunicazione non verbale, mostrare la musica
nelle mani e nel corpo, non nelle parole. Quattro giorni non
sono molti e l’obiettivo di un concerto finale impone un
indirizzo preciso. Penso sia stato interessante per i corsisti
lavorare con un coro che ha un certo standard e che quindi
costringe necessariamente alla ricerca di un livello di
comunicazione adeguato. Anche per i miei coristi lavorare al
festival come coro laboratorio della masterclass ha offerto
l’opportunità di un’esperienza diversa».
InCanto Mediterraneo
IV Festival Corale Internazionale
Milazzo, 12-18 luglio 2015 - Teatro Trifiletti
L’associazione corale Cantica Nova, con il Patrocinio di Feniarco
e di ARS Cori, promuove e organizza la IV edizione del Festival
Corale Internazionale “InCanto Mediterraneo”.
Anche in questa quarta edizione è prevista una sezione Rassegna non competitiva nei giorni di domenica 12, martedì 14, giovedì 16 e una sezione Concorso nei giorni di venerdì 17 e sabato 18 luglio 2015 con due diverse categorie di partecipazione: cori
ed ensemble vocali (misti/maschili/femminili); cori di voci
bianche.
Durante lo svolgimento del festival avrà luogo, dal 12 al 16 luglio, la Settimana Cantante Nulla dies sine cantu con la docenza
del maestro Maria Luisa Sánchez Carbone. Nella serata conclusiva della rassegna, giovedì 16 luglio, è prevista l’esibizione del
coro dei partecipanti.
Tutto il periodo del festival sarà animato festosamente da esibizioni non strutturate dei cori iscritti in strade, piazze e vicoli della città.
Iscrizioni entro il 31 marzo 2015
Regolamento, schede e modalità di partecipazione sul sito ufficiale del festival:
www.festivalincantomediterraneo.it
Contatti:
Associazione Corale Cantica Nova
Via Spiaggia di Ponente, 185
98057 Milazzo (ME)
090 9210774 / 346 0851956/ 339 6689113 / 340 8097736
e-mail: [email protected]
CRONACA
62
Tolosa nel 2011) ha dato modo al pubblico di apprezzare
l’abbraccio musicale di un suono armonioso, magistralmente
levigato, un programma originale e ben strutturato in gruppi
tematici, nel quale è emersa l’affinità particolare del coro con
le atmosfere sonore nordiche di Grieg ed Esenvalds.
Trasparenza e chiarezza delle strutture musicali sono state
valorizzate dalla splendida acustica della cattedrale di Vaison,
riempita dalla purezza di accordi di estrema pulizia.
Accanto alle conferme di cori di fama, Christian Balandras ha
voluto puntare quest’anno anche sulla novità di un gruppo
rivelazione ancora poco noto alle grandi platee ma che ha già
motivato in modo molto convincente le proprie prospettive e
ambizioni. Il sestetto sloveno Ingenium ha collezionato negli
ultimi mesi una serie di successi che
l’hanno imposto rapidamente
all’attenzione internazionale con una
serie continua di riconoscimenti, tra i
quali due primi premi (e maggiore
punteggio assoluto) al Polifonico di
Arezzo, seguito da due primi premi
al concorso di Tolosa.
Forte di un assortimento di voci
ideale per compatibilità, il gruppo di
giovani (l’età media è 24 anni) e
preparatissimi coristi ricerca l’armonia totale, non i contrasti
di colore. Gi Ingenium sono un gruppo di impostazione e
ispirazione britannica che nasce con l’inclinazione per il
rinascimento e si estende a un mix moderno di pop e jazz.
Nel suo sviluppo verso modelli anglosassoni deve ancora
perfezionare una padronanza più disinvolta dello spazio
scenico, ma i suoi continui progressi vanno di pari passo
passo con la grande motivazione e l’effetto sul pubblico è già
garantito. Professionali, sinceramente appassionati, gli
Ingenium hanno tutte le carte in regola per imporsi. Il Festival
des choeurs lauréats è stata finora la loro maggiore tournée.
Hanno invece qualche anno in più di esperienza sui
palcoscenici internazionali i ragazzi del quartetto maschile
Quartonal di Amburgo (primo premio di categoria al concorso
internazionale di Tolosa nel 2012), totalmente trasversale in
quanto a scelte di genere, come ha dimostrato anche il
programma molto vario presentato nei ben cinque
appuntamenti festivalieri. Dalla Germania è arrivato anche il
noto Kammerchor Stuttgart, i cui preparatissimi coristi
vengono definiti i “maestri cantori di Stoccarda”. Tournées
mondiali e una lunga serie di premi contraddistinguono
questo coro che ha offerto in concerto una grande lezione di
interpretazione corale con un programma insolito e
improntato alla letteratura tedesca. Dopo l’apollinea misura di
un approccio al tempo stesso espressivo e controllato a
Mendelssohn, i coristi hanno ricordato i trecento anni dalla
nascita di Gottfried August Homilius con un affascinante
Attraverso il festival è partito il rilancio
e la ricostruzione, anche morale, dello
splendido sito romano e medievale.
omaggio che oltre a valorizzare questo autore poco
frequentato ha messo in evidenza la grande musicalità del
coro. L’alternanza di romanticismo e contemporaneo è stata
uno sfoggio di padronanza della tecnica vocale a tutti i livelli.
Per il direttore Frieder Bernius la capacità di essere
convincenti nella varietà è infatti l’obiettivo da perseguire,
con l’affinamento costante della pratica di diversi stili.
L’affermato direttore e il suo coro hanno partecipato al
festival con un doppio ruolo, mettendosi anche a disposizione
degli allievi della masterlass internazionale di direzione di
coro. Questa iniziativa affianca le giornate del festival,
integrando il respiro corale di Vaison con la possibilità di
studio e approfondimento a contatto con insegnanti di fama
internazionale. Perfezionarsi a Vaison, con grandi maestri,
nella bella cornice del centro Escapade di À coeur joie e con
la possibilità di dedicare le serate all’ascolto di gruppi corali
di eccellenza, è evidentemente una proposta estremamente
invitante, alla quale ha risposto un gran numero di direttori
da tutto il mondo, tra i quali sono stati selezionati ventidue
partecipanti, di cui otto scelti per dirigere al concerto di
chiusura. Bach, Fasch, Gottwald sono stati gli autori scelti per
la masterclass con un progetto ben preciso di Bernius, che ha
posto l’attenzione su una lacuna diffusa: «Ci siamo
concentrati sull’approccio stilistico al barocco, perché penso
ci sia molto bisogno di fare chiarezza su questo tema nel
mondo della coralità. Negli ultimi decenni abbiamo assistito a
una grande riscoperta e rivalutazione su basi filologiche di
questo repertorio, ma questo non è avvenuto in uguale
misura nella musica corale a cappella, quindi penso sia
importante riportare all’attenzione composizioni poco note.
Concentrarsi sulla tecnica è un compito da sviluppare con
costanza durante l’anno, non è possibile farlo in pochi giorni
63
di masterclass. Ai corsisti spiego come mi sono sviluppato
come direttore, offro spunti di riflessione e qualche idea, ma
il resto devono farlo da soli. Mi sono concentrato piuttosto
sulla tecnica delle prove, per far capire ai direttori come
possono aiutare i coristi senza lunghi discorsi, ma con brevi
indicazioni e gesti che sono decisamente più utili. Occorre
migliorare la comunicazione non verbale, mostrare la musica
nelle mani e nel corpo, non nelle parole. Quattro giorni non
sono molti e l’obiettivo di un concerto finale impone un
indirizzo preciso. Penso sia stato interessante per i corsisti
lavorare con un coro che ha un certo standard e che quindi
costringe necessariamente alla ricerca di un livello di
comunicazione adeguato. Anche per i miei coristi lavorare al
festival come coro laboratorio della masterclass ha offerto
l’opportunità di un’esperienza diversa».
InCanto Mediterraneo
IV Festival Corale Internazionale
Milazzo, 12-18 luglio 2015 - Teatro Trifiletti
L’associazione corale Cantica Nova, con il Patrocinio di Feniarco
e di ARS Cori, promuove e organizza la IV edizione del Festival
Corale Internazionale “InCanto Mediterraneo”.
Anche in questa quarta edizione è prevista una sezione Rassegna non competitiva nei giorni di domenica 12, martedì 14, giovedì 16 e una sezione Concorso nei giorni di venerdì 17 e sabato 18 luglio 2015 con due diverse categorie di partecipazione: cori
ed ensemble vocali (misti/maschili/femminili); cori di voci
bianche.
Durante lo svolgimento del festival avrà luogo, dal 12 al 16 luglio, la Settimana Cantante Nulla dies sine cantu con la docenza
del maestro Maria Luisa Sánchez Carbone. Nella serata conclusiva della rassegna, giovedì 16 luglio, è prevista l’esibizione del
coro dei partecipanti.
Tutto il periodo del festival sarà animato festosamente da esibizioni non strutturate dei cori iscritti in strade, piazze e vicoli della città.
Iscrizioni entro il 31 marzo 2015
Regolamento, schede e modalità di partecipazione sul sito ufficiale del festival:
www.festivalincantomediterraneo.it
Contatti:
Associazione Corale Cantica Nova
Via Spiaggia di Ponente, 185
98057 Milazzo (ME)
090 9210774 / 346 0851956/ 339 6689113 / 340 8097736
e-mail: [email protected]
64
IN MEMORIAM
Pavle Merkù (1927-2014)
di Rossana Paliaga
Pavle Merkù non provava un particolare interesse per le
specializzazioni a senso unico, perché la vita offriva troppi
stimoli diversi, troppe occasioni di scoperta e conoscenza, per
poterli trascurare senza perseguire l’ideale rinascimentale
dell’uomo universale. Per lui, nato a Trieste in una famiglia
dove si incrociavano diverse radici etniche, si trattava di una
vocazione naturale. Merkù ne aveva compreso
immediatamente il privilegio, con una curiosità a tutto tondo
e la totale indifferenza verso inutili pregiudizi e preconcetti, di
qualsiasi natura essi potessero essere. In famiglia aveva
conosciuto l’interesse per la musica, una passione sostenuta
da genitori e parenti, tutti strumentisti e appassionati
frequentatori di teatri e sale da concerto. Costretto ad
abbandonare lo studio del violino per problemi di salute, ha
iniziato dopo la guerra a studiare composizione, dapprima con
Ivan Grbec, poi con Vito Levi. Da giovanissimo aveva presto
acquisito dimestichezza con il grande repertorio sinfonico,
cameristico e operistico barocco e romantico, subendo poi in
maniera particolare il fascino della Seconda scuola di Vienna,
di quella temperie artistica mitteleuropea del primo
Novecento nella quale aveva gravitato anche il compositore
triestino Marij Kogoj.
I circoli elitari e le pose mondane non riscontravano il suo
interesse; amava stare con le persone che avevano qualcosa
da raccontare, dove esisteva la possibilità di scambiare
opinioni, di crescere, imparare, sempre. Amava ascoltare, con
una curiosità intellettuale e umana inesauribile: le parole di
Luigi Dallapiccola, al quale lo legava un rapporto di amicizia,
ma anche il canto dell’anziana testimone della tradizione
popolare, i racconti tramandati da generazioni e che
parlavano di un mondo e di un legame con il passato, anche
molto remoto, che stava scomparendo e del quale con le sue
ricerche aveva colto gli ultimi sospiri. Del trattamento della
musica popolare sottolineava l’importanza di inventare una
nuova funzione per la musica preesistente che viene
trapiantata «dal suo ambiente naturale in un ambito colto,
lontano dai luoghi e dagli intenti dell’originale».
La sua musica era un mondo che comprendeva musica
sinfonica, cameristica, di scena, anche l’opera Kac̆ji pastir-La
libellula (messa in scena dal Teatro lirico Giuseppe Verdi di
Trieste) e, ovviamente, la musica corale, con composizioni
originali e arrangiamenti di molte melodie popolari. Il linguista
e il compositore coesistevano e si integravano nell’ascolto
della musicalità e del valore dei testi messi in musica: diverse
lingue, diversi dialetti, versi d’autore, dal lirismo di Srec̆ko
Kosovel alla giocosa fantasia di Roberto Piumini. A proposito
dell’utilizzo di lingue diverse diceva: «Ogni lingua, ogni
dialetto ha la propria specifica espressività, una melodia, un
ritmo interno. Mi piace in particolar modo scrivere brani in
dialetti diversi, attraverso i quali rivedo luoghi, ricordo
persone che in quel dialetto mi parlavano o cantavano.
Attraverso il mio lavoro ho la possibilità di trasmettere agli
altri la ricchezza degli insegnamenti ricevuti».
Merkù amava nelle persone il senso dell’umorismo, la capacità
di entusiasmarsi, di vivere con libertà di pensiero e desiderio
di conoscenza. Linguista di professione, musicista di
formazione, pubblicista, saggista (ha scritto 20 libri, di
argomento linguistico ed etnomusicologico), ricercatore (sono
un documento fondamentale per la storia del Friuli Venezia
Giulia le sue ricerche raccolte nel volume Le tradizioni popolari
degli sloveni in Italia), redattore di trasmissioni radiofoniche
presso la sede rai del Friuli Venezia Giulia, insegnante, nella
vita privata coltivava ancora ulteriori interessi. L’interesse per
l’unicità dei dialetti sardi lo aveva avvicinato a un mondo
mediterraneo che lo ha affascinato moltissimo, lasciando
tracce nei suoi studi (ha imparato ben tre dialetti sardi), nella
sua musica e nel legame forte con la coralità sarda e i suoi
protagonisti, alcuni dei quali lo avevano affettuosamente
definito “il marinaio di alta montagna”, riferendosi da una
parte alle sue origini, dall’altra alla passione per l’alpinismo.
Anche l’opera di Merkù ha superato ampiamente i confini
della regione di appartenenza, costituendo un orgoglio
particolare per la minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia,
alla quale apparteneva. Per il ruolo assunto nella
valorizzazione di questo specifico patrimonio linguistico e
musicale è stato insignito nel 2014 del maggiore
riconoscimento alla carriera esistente in Slovenia: il Premio
Pres̆eren.
La sua non è mai stata un’appartenenza esclusiva e di
carattere chiuso: la dedizione alla tradizione linguistica e
musicale della comunità autoctona slovena è stata sempre
accompagnata da uno spirito cosmopolita e consapevole della
bellezza e del potenziale di una natura sfaccettata. Non
avrebbe potuto essere diversamente: Merkù era nato a Trieste
nel 1927, da padre sloveno e madre italiana, in una famiglia
dove si mescolavano il friulano, il tedesco e ascendenze
ceche. Ha studiato tra Italia e Slovenia, all’università di
Ljubljana come a quella di Roma.
La musica corale ha avuto un posto speciale nei suoi
interessi. Della voce umana parlava come dello strumento più
completo: «Nella voce mi affascina il fatto che il corpo umano
stesso diventi uno strumento e possa essere capace di fare
musica e di dare un’anima alla propria espressione senza
l’utilizzo di mezzi esterni».
64
IN MEMORIAM
Pavle Merkù (1927-2014)
di Rossana Paliaga
Pavle Merkù non provava un particolare interesse per le
specializzazioni a senso unico, perché la vita offriva troppi
stimoli diversi, troppe occasioni di scoperta e conoscenza, per
poterli trascurare senza perseguire l’ideale rinascimentale
dell’uomo universale. Per lui, nato a Trieste in una famiglia
dove si incrociavano diverse radici etniche, si trattava di una
vocazione naturale. Merkù ne aveva compreso
immediatamente il privilegio, con una curiosità a tutto tondo
e la totale indifferenza verso inutili pregiudizi e preconcetti, di
qualsiasi natura essi potessero essere. In famiglia aveva
conosciuto l’interesse per la musica, una passione sostenuta
da genitori e parenti, tutti strumentisti e appassionati
frequentatori di teatri e sale da concerto. Costretto ad
abbandonare lo studio del violino per problemi di salute, ha
iniziato dopo la guerra a studiare composizione, dapprima con
Ivan Grbec, poi con Vito Levi. Da giovanissimo aveva presto
acquisito dimestichezza con il grande repertorio sinfonico,
cameristico e operistico barocco e romantico, subendo poi in
maniera particolare il fascino della Seconda scuola di Vienna,
di quella temperie artistica mitteleuropea del primo
Novecento nella quale aveva gravitato anche il compositore
triestino Marij Kogoj.
I circoli elitari e le pose mondane non riscontravano il suo
interesse; amava stare con le persone che avevano qualcosa
da raccontare, dove esisteva la possibilità di scambiare
opinioni, di crescere, imparare, sempre. Amava ascoltare, con
una curiosità intellettuale e umana inesauribile: le parole di
Luigi Dallapiccola, al quale lo legava un rapporto di amicizia,
ma anche il canto dell’anziana testimone della tradizione
popolare, i racconti tramandati da generazioni e che
parlavano di un mondo e di un legame con il passato, anche
molto remoto, che stava scomparendo e del quale con le sue
ricerche aveva colto gli ultimi sospiri. Del trattamento della
musica popolare sottolineava l’importanza di inventare una
nuova funzione per la musica preesistente che viene
trapiantata «dal suo ambiente naturale in un ambito colto,
lontano dai luoghi e dagli intenti dell’originale».
La sua musica era un mondo che comprendeva musica
sinfonica, cameristica, di scena, anche l’opera Kac̆ji pastir-La
libellula (messa in scena dal Teatro lirico Giuseppe Verdi di
Trieste) e, ovviamente, la musica corale, con composizioni
originali e arrangiamenti di molte melodie popolari. Il linguista
e il compositore coesistevano e si integravano nell’ascolto
della musicalità e del valore dei testi messi in musica: diverse
lingue, diversi dialetti, versi d’autore, dal lirismo di Srec̆ko
Kosovel alla giocosa fantasia di Roberto Piumini. A proposito
dell’utilizzo di lingue diverse diceva: «Ogni lingua, ogni
dialetto ha la propria specifica espressività, una melodia, un
ritmo interno. Mi piace in particolar modo scrivere brani in
dialetti diversi, attraverso i quali rivedo luoghi, ricordo
persone che in quel dialetto mi parlavano o cantavano.
Attraverso il mio lavoro ho la possibilità di trasmettere agli
altri la ricchezza degli insegnamenti ricevuti».
Merkù amava nelle persone il senso dell’umorismo, la capacità
di entusiasmarsi, di vivere con libertà di pensiero e desiderio
di conoscenza. Linguista di professione, musicista di
formazione, pubblicista, saggista (ha scritto 20 libri, di
argomento linguistico ed etnomusicologico), ricercatore (sono
un documento fondamentale per la storia del Friuli Venezia
Giulia le sue ricerche raccolte nel volume Le tradizioni popolari
degli sloveni in Italia), redattore di trasmissioni radiofoniche
presso la sede rai del Friuli Venezia Giulia, insegnante, nella
vita privata coltivava ancora ulteriori interessi. L’interesse per
l’unicità dei dialetti sardi lo aveva avvicinato a un mondo
mediterraneo che lo ha affascinato moltissimo, lasciando
tracce nei suoi studi (ha imparato ben tre dialetti sardi), nella
sua musica e nel legame forte con la coralità sarda e i suoi
protagonisti, alcuni dei quali lo avevano affettuosamente
definito “il marinaio di alta montagna”, riferendosi da una
parte alle sue origini, dall’altra alla passione per l’alpinismo.
Anche l’opera di Merkù ha superato ampiamente i confini
della regione di appartenenza, costituendo un orgoglio
particolare per la minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia,
alla quale apparteneva. Per il ruolo assunto nella
valorizzazione di questo specifico patrimonio linguistico e
musicale è stato insignito nel 2014 del maggiore
riconoscimento alla carriera esistente in Slovenia: il Premio
Pres̆eren.
La sua non è mai stata un’appartenenza esclusiva e di
carattere chiuso: la dedizione alla tradizione linguistica e
musicale della comunità autoctona slovena è stata sempre
accompagnata da uno spirito cosmopolita e consapevole della
bellezza e del potenziale di una natura sfaccettata. Non
avrebbe potuto essere diversamente: Merkù era nato a Trieste
nel 1927, da padre sloveno e madre italiana, in una famiglia
dove si mescolavano il friulano, il tedesco e ascendenze
ceche. Ha studiato tra Italia e Slovenia, all’università di
Ljubljana come a quella di Roma.
La musica corale ha avuto un posto speciale nei suoi
interessi. Della voce umana parlava come dello strumento più
completo: «Nella voce mi affascina il fatto che il corpo umano
stesso diventi uno strumento e possa essere capace di fare
musica e di dare un’anima alla propria espressione senza
l’utilizzo di mezzi esterni».
RUBRICHE
66
DISCOGRAFIA
a cura di Mauro Zuccante
Paul Mealor, A Tender Light
Tenebrae, choir - Nigel Short, dir.
CD Decca 001668102, 2011
Ricordate il celebre scambio di battute tra il poeta e il compositore, all’inizio dell’opera Capriccio di Richard Strauss? – Olivier (con voce sommessa, ma con decisione): [in italiano nel libretto] «Prima le parole, dopo la musica!», Flamand (con violenza): «Prima la musica, dopo le parole!». – Insomma, cos’è più importante: la
poesia, o la musica?
L’antica questione mi è venuta in mente a proposito di A Tender Light, un cd monografico, uscito nel 2011, dedicato alle opere corali del compositore gallese Paul
Mealor (1975). Sono composizioni eseguite con grande maestria da Nigel Short
(già membro dei King’s Singers), alla guida del formidabile complesso vocale denominato Tenebrae. La raccolta si apre con il madrigale erotico Now sleeps the
crimson petal e si chiude con il mottetto spirituale Ubi caritas. Ma c’è qualcosa di
bizzarro che assimila i due brani estremi. I testi sono diversi, ma la musica è la
stessa!
Now sleeps the crimson petal (primo, di un ciclo di quattro madrigali su testi
ispirati alla rosa, metafora dell’amore) è stato composto sui versi, carichi di sensualità, del poeta Alfred Tennyson; è stato eseguito per la prima volta in terra
scozzese nel 2010. Ubi caritas è, invece, un “sacro adattamento” del precedente
brano; è stato eseguito per la prima volta presso la Westminster Abbey, il 29 aprile 2011, durante il matrimonio di Sua altezza reale William, principe di Galles, con
Catherine Middleton.
Così spiega lo stesso Mealor la singolare connessione tra i due brani: «Avendo
ascoltato una registrazione di Now sleeps the crimson petal, Sua altezza reale William, principe di Galles, e Catherine Middleton (ora Loro altezze reali, Il duca e La
duchessa di Cambridge), hanno scelto il brano per la celebrazione del loro matrimonio nell’aprile 2011; tuttavia, dopo qualche discussione, si è ritenuto che le parole di Tennyson non fossero appropriate per una funzione religiosa, così ho suggerito di sostituirle con la preghiera cristiana risalente al vi secolo, Ubi caritas. In
questo modo è nato il pezzo. Ho cambiato il testo, alzato la tonalità [da si magg.
a re bem. magg.] e aggiunto, in chiusura, un frammento originale dell’antica monodia sacra».
Tutto qui! Confesso che, prima di leggere le parole di Mealor, avevo pensato a una
sofisticata congiuntura tra l’idea di amor sacro e quella di amor profano. Nulla di
ciò. Semplice necessitas loci, studiato compromesso.
E l’antica questione? Poco importa. Tanto più che non mancano i precedenti. Pare che – ispirato dalla lettura delle Georgiche di Virgilio – Samuel Barber con il celebre Adagio, per orchestra d’archi, abbia voluto descrivere il divenire di un piccolo torrente in un grande fiume. Orbene, il brano è stato in seguito “resettato”
dallo stesso compositore in un pezzo corale di natura spirituale. Trasfigurato nello struggente e catartico – tutt’ora applauditissimo – Agnus Dei. E si potrebbero
citare altri casi analoghi, passati e moderni. Ma fermiamoci qui. Meglio insomma
non azzardare giudizi sull’antica questione e mantenersi sull’impressione generale che suscitano i lavori di Paul Mealor.
Comunque, non a caso ho citato Samuel Barber. C’è un filo conduttore che colle-
ga la tecnica, lo stile e il gusto di Mealor con il manierato neo­
tradizionalismo del compositore americano. Un filo conduttore
a cui si associano i nomi di choral master d’oltreoceano di tendenza, quali quelli di Morten Lauridsen e di Eric Whitacre; e –
sulla sponda europea – quelli dello scozzese James MacMillan,
del polacco Paweł Łukaszewski e del norvegese Ola Gjeilo; e
altri emuli si aggiungano pure.
In questa genìa d’autori s’impone come priorità la piacevolezza del sound corale. Il testo-pretesto è relegato in subordine e
assoggettato alla suggestione e alla mistica del suono – la vicenda dell’Ubi caritas di Mealor è quindi, nella fattispecie,
emblematica.
Il linguaggio musicale di Mealor (e “associati”) predilige il tradizionale impianto modal-tonale e gli ambiti diatonici. Uno spazio acustico che la materia sonora ora attraversa con sottigliezza, ora inonda fino al cluster. Naturalmente, determinati effetti
di saturazione sono ottenuti attraverso la suddivisione delle sezioni del coro (generalmente fino a 8 parti). Ma il piano armonico rimane ancorato alle successioni tonali fondamentali, speziate, qua e là, da frizioni dissonanti, generate da occasionali
linee trasversali. Le armonie poggiano sulle funzionalità verticali basilari (spesso liberamente impiantate nello stato di quarta e sesta), e sono condite da momentanee saporosità, emanate da note aggiunte agli accordi (seconda, quarta, settima,
nona). Il flusso sonoro procede per ampie campiture, le cui curvature si modificano con lentezza. Non da ultimo va considerato l’ingrediente di una certa piacevolezza melodica, data dalla
ripetizione di motivi facilmente orecchiabili, dalla sovrapposizione di controcanti, e dalla reiterazione di riff piazzati all’apoteosi di un climax (paradigmatico il trascinante passaggio «In
Mary, purest Maid…» del iv madrigale, A Spotless Rose).
La precedente elencazione enumera un mix di elementi, i quali costituiscono una scrittura corale che, attualmente, gode di
largo apprezzamento. Nonostante ciò, lasciate che esprima il
mio favore per un brano del cd di Mealor che va in direzione
contraria. Mi riferisco al iii madrigale, Upon a bank with roses
set about. In esso l’autore adotta una diversa maniera di espressione. Il delicato mormorìo delle acque del ruscello e il tubare
delle tortore sono raffigurati, con leggerezza di tocco, da ceselli musicali, che si alternano a spigliate e irregolari scansioni ritmiche. Uno squisito artifizio in punta di pennello!
She walks in beauty, sul magnifico testo di Lord Byron, è il pezzo che ispira il titolo della raccolta. La comparazione di opposti tra la bellezza della donna e la notte stellata, suggeriscono
al poeta l’espressione «mellow’d to that tender light». Il compositore indugia sulle magiche atmosfere generate dalla «tenera luce», riciclando lo schema del solito appassionato riff cadenzale, già citato a proposito di A Spotless Rose.
O vos omnes presenta una commistione di testi in latino, inglese ed ebraico. In testa alla partitura, il compositore cita un verso del Salmo 133, suggello di sensibilità umanitaria, come auspicio per la pace in Terra santa: «Behold how good, and how
pleasant it is, for brothers to dwell together in unity» («Ecco
quanto è buono e quanto è soave che i fratelli convivano in uni-
67
tà»). Il brano è timbricamente arricchito da un set di campane
tubolari. Dapprima semplici rintocchi s’intervallano alle voci.
Ma, alla perorazione «Attendite, attendite… », i rintocchi si moltiplicano, fino a mutare in un massiccio scampanìo.
Le parossistiche ripetizioni del Locus iste, ancora una volta, trovano sfogo nel consueto riff catarchico e veemente, in choro
pleno. La chiusura è in dissolvenza. Dopo un verso, intonato
dalla voce solista, del poeta scozzese Peter Davidson («O
flawless hallow, o seamless robe. Lantern of stone, unbroken»),
ecco un tocco d’atmosfera: un effetto-campane (Bell-like) sulla
parola «Santuario».
Salvator mundi combina le parole della preghiera latina con citazioni in inglese dal Vangelo di san Giovanni. Voci soliste cantano il testo latino con virtuosistiche ornamentazioni melodiche, mentre il coro intona il testo evangelico. Alla fine del pezzo,
sul dissolversi delle voci, il soprano solista intona, in gallese,
le parole di Cristo: «Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi».
Tralasciamo l’Ave Maria – forse il pezzo più debole della raccolta – e il retorico Stabat Mater. Segnaliamo invece, in conclusione, la “bonus track” Wherever You Are, disponibile, però, solo
in appendice al cd distribuito per il mercato inglese.
Paul Mealor (e – mi ripeto – “associati”) è abile nell’accattivarsi il compiacimento dell’orecchio di un ascoltatore medio. Chi
meglio di lui poteva confezionare una hit di successo, che ha
realizzato – in concomitanza delle feste di fine anno 2011 – un
record di vendite nel Regno Unito (oltre mezzo milione di copie
in una settimana!)?
La storia è questa. Se, come me, siete abituati alle levatacce,
senza dubbio conoscete Gareth Malone. Gli altri sappiano che
rai 5 (bontà sua, però, appunto, all’alba) ha mandato in onda
nei mesi scorsi alcune puntate della serie televisiva prodotta
dalla bbc, The Choir. Si tratta di una sorta di reality (non insulso, ma di buon gusto) sul tema della coralità (sic!), in cui il giovane ed eroico “domatore di cori” Gareth Malone (insignito del
titolo di Officer of the Order of the British Empire, nel 2012, proprio per il servizio prestato alla causa della musica) si cimenta
in imprese al limite del possibile. Ecco alcuni titoli delle puntate: Boys Don’t Sing, Unsung Town, Sing While You Work, The
Choir does Sports, The Choir does Comic. Questo programma
è veramente encomiabile e fa sprofondare in uno stato di ulteriore vergogna gli italici palinsesti televisivi.
Ora, la quarta serie di The Choir è stata dedicata da Malone alla formazione del coro delle mogli dei soldati (Military Wives
Choir). Lo stesso Malone si è incaricato della stesura di un testo, in forma di poesia d’amore, ricavato dalle lettere che mogli e fidanzate avevano inviato ai loro compagni impegnati nelle missioni militari in Afghanistan. Quindi, egli ha chiesto a Paul
Mealor di metterlo in musica. Così è stata composta ed eseguita dallo stesso coro delle mogli dei militari la canzone Wherever You Are, che ha entusiasmato e commosso il pubblico televisivo inglese, stimato, per la puntata conclusiva, in 2,65 milioni
di spettatori.
…E poi ci chiediamo da dove viene l’orgoglio britannico.
RUBRICHE
66
DISCOGRAFIA
a cura di Mauro Zuccante
Paul Mealor, A Tender Light
Tenebrae, choir - Nigel Short, dir.
CD Decca 001668102, 2011
Ricordate il celebre scambio di battute tra il poeta e il compositore, all’inizio dell’opera Capriccio di Richard Strauss? – Olivier (con voce sommessa, ma con decisione): [in italiano nel libretto] «Prima le parole, dopo la musica!», Flamand (con violenza): «Prima la musica, dopo le parole!». – Insomma, cos’è più importante: la
poesia, o la musica?
L’antica questione mi è venuta in mente a proposito di A Tender Light, un cd monografico, uscito nel 2011, dedicato alle opere corali del compositore gallese Paul
Mealor (1975). Sono composizioni eseguite con grande maestria da Nigel Short
(già membro dei King’s Singers), alla guida del formidabile complesso vocale denominato Tenebrae. La raccolta si apre con il madrigale erotico Now sleeps the
crimson petal e si chiude con il mottetto spirituale Ubi caritas. Ma c’è qualcosa di
bizzarro che assimila i due brani estremi. I testi sono diversi, ma la musica è la
stessa!
Now sleeps the crimson petal (primo, di un ciclo di quattro madrigali su testi
ispirati alla rosa, metafora dell’amore) è stato composto sui versi, carichi di sensualità, del poeta Alfred Tennyson; è stato eseguito per la prima volta in terra
scozzese nel 2010. Ubi caritas è, invece, un “sacro adattamento” del precedente
brano; è stato eseguito per la prima volta presso la Westminster Abbey, il 29 aprile 2011, durante il matrimonio di Sua altezza reale William, principe di Galles, con
Catherine Middleton.
Così spiega lo stesso Mealor la singolare connessione tra i due brani: «Avendo
ascoltato una registrazione di Now sleeps the crimson petal, Sua altezza reale William, principe di Galles, e Catherine Middleton (ora Loro altezze reali, Il duca e La
duchessa di Cambridge), hanno scelto il brano per la celebrazione del loro matrimonio nell’aprile 2011; tuttavia, dopo qualche discussione, si è ritenuto che le parole di Tennyson non fossero appropriate per una funzione religiosa, così ho suggerito di sostituirle con la preghiera cristiana risalente al vi secolo, Ubi caritas. In
questo modo è nato il pezzo. Ho cambiato il testo, alzato la tonalità [da si magg.
a re bem. magg.] e aggiunto, in chiusura, un frammento originale dell’antica monodia sacra».
Tutto qui! Confesso che, prima di leggere le parole di Mealor, avevo pensato a una
sofisticata congiuntura tra l’idea di amor sacro e quella di amor profano. Nulla di
ciò. Semplice necessitas loci, studiato compromesso.
E l’antica questione? Poco importa. Tanto più che non mancano i precedenti. Pare che – ispirato dalla lettura delle Georgiche di Virgilio – Samuel Barber con il celebre Adagio, per orchestra d’archi, abbia voluto descrivere il divenire di un piccolo torrente in un grande fiume. Orbene, il brano è stato in seguito “resettato”
dallo stesso compositore in un pezzo corale di natura spirituale. Trasfigurato nello struggente e catartico – tutt’ora applauditissimo – Agnus Dei. E si potrebbero
citare altri casi analoghi, passati e moderni. Ma fermiamoci qui. Meglio insomma
non azzardare giudizi sull’antica questione e mantenersi sull’impressione generale che suscitano i lavori di Paul Mealor.
Comunque, non a caso ho citato Samuel Barber. C’è un filo conduttore che colle-
ga la tecnica, lo stile e il gusto di Mealor con il manierato neo­
tradizionalismo del compositore americano. Un filo conduttore
a cui si associano i nomi di choral master d’oltreoceano di tendenza, quali quelli di Morten Lauridsen e di Eric Whitacre; e –
sulla sponda europea – quelli dello scozzese James MacMillan,
del polacco Paweł Łukaszewski e del norvegese Ola Gjeilo; e
altri emuli si aggiungano pure.
In questa genìa d’autori s’impone come priorità la piacevolezza del sound corale. Il testo-pretesto è relegato in subordine e
assoggettato alla suggestione e alla mistica del suono – la vicenda dell’Ubi caritas di Mealor è quindi, nella fattispecie,
emblematica.
Il linguaggio musicale di Mealor (e “associati”) predilige il tradizionale impianto modal-tonale e gli ambiti diatonici. Uno spazio acustico che la materia sonora ora attraversa con sottigliezza, ora inonda fino al cluster. Naturalmente, determinati effetti
di saturazione sono ottenuti attraverso la suddivisione delle sezioni del coro (generalmente fino a 8 parti). Ma il piano armonico rimane ancorato alle successioni tonali fondamentali, speziate, qua e là, da frizioni dissonanti, generate da occasionali
linee trasversali. Le armonie poggiano sulle funzionalità verticali basilari (spesso liberamente impiantate nello stato di quarta e sesta), e sono condite da momentanee saporosità, emanate da note aggiunte agli accordi (seconda, quarta, settima,
nona). Il flusso sonoro procede per ampie campiture, le cui curvature si modificano con lentezza. Non da ultimo va considerato l’ingrediente di una certa piacevolezza melodica, data dalla
ripetizione di motivi facilmente orecchiabili, dalla sovrapposizione di controcanti, e dalla reiterazione di riff piazzati all’apoteosi di un climax (paradigmatico il trascinante passaggio «In
Mary, purest Maid…» del iv madrigale, A Spotless Rose).
La precedente elencazione enumera un mix di elementi, i quali costituiscono una scrittura corale che, attualmente, gode di
largo apprezzamento. Nonostante ciò, lasciate che esprima il
mio favore per un brano del cd di Mealor che va in direzione
contraria. Mi riferisco al iii madrigale, Upon a bank with roses
set about. In esso l’autore adotta una diversa maniera di espressione. Il delicato mormorìo delle acque del ruscello e il tubare
delle tortore sono raffigurati, con leggerezza di tocco, da ceselli musicali, che si alternano a spigliate e irregolari scansioni ritmiche. Uno squisito artifizio in punta di pennello!
She walks in beauty, sul magnifico testo di Lord Byron, è il pezzo che ispira il titolo della raccolta. La comparazione di opposti tra la bellezza della donna e la notte stellata, suggeriscono
al poeta l’espressione «mellow’d to that tender light». Il compositore indugia sulle magiche atmosfere generate dalla «tenera luce», riciclando lo schema del solito appassionato riff cadenzale, già citato a proposito di A Spotless Rose.
O vos omnes presenta una commistione di testi in latino, inglese ed ebraico. In testa alla partitura, il compositore cita un verso del Salmo 133, suggello di sensibilità umanitaria, come auspicio per la pace in Terra santa: «Behold how good, and how
pleasant it is, for brothers to dwell together in unity» («Ecco
quanto è buono e quanto è soave che i fratelli convivano in uni-
67
tà»). Il brano è timbricamente arricchito da un set di campane
tubolari. Dapprima semplici rintocchi s’intervallano alle voci.
Ma, alla perorazione «Attendite, attendite… », i rintocchi si moltiplicano, fino a mutare in un massiccio scampanìo.
Le parossistiche ripetizioni del Locus iste, ancora una volta, trovano sfogo nel consueto riff catarchico e veemente, in choro
pleno. La chiusura è in dissolvenza. Dopo un verso, intonato
dalla voce solista, del poeta scozzese Peter Davidson («O
flawless hallow, o seamless robe. Lantern of stone, unbroken»),
ecco un tocco d’atmosfera: un effetto-campane (Bell-like) sulla
parola «Santuario».
Salvator mundi combina le parole della preghiera latina con citazioni in inglese dal Vangelo di san Giovanni. Voci soliste cantano il testo latino con virtuosistiche ornamentazioni melodiche, mentre il coro intona il testo evangelico. Alla fine del pezzo,
sul dissolversi delle voci, il soprano solista intona, in gallese,
le parole di Cristo: «Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi».
Tralasciamo l’Ave Maria – forse il pezzo più debole della raccolta – e il retorico Stabat Mater. Segnaliamo invece, in conclusione, la “bonus track” Wherever You Are, disponibile, però, solo
in appendice al cd distribuito per il mercato inglese.
Paul Mealor (e – mi ripeto – “associati”) è abile nell’accattivarsi il compiacimento dell’orecchio di un ascoltatore medio. Chi
meglio di lui poteva confezionare una hit di successo, che ha
realizzato – in concomitanza delle feste di fine anno 2011 – un
record di vendite nel Regno Unito (oltre mezzo milione di copie
in una settimana!)?
La storia è questa. Se, come me, siete abituati alle levatacce,
senza dubbio conoscete Gareth Malone. Gli altri sappiano che
rai 5 (bontà sua, però, appunto, all’alba) ha mandato in onda
nei mesi scorsi alcune puntate della serie televisiva prodotta
dalla bbc, The Choir. Si tratta di una sorta di reality (non insulso, ma di buon gusto) sul tema della coralità (sic!), in cui il giovane ed eroico “domatore di cori” Gareth Malone (insignito del
titolo di Officer of the Order of the British Empire, nel 2012, proprio per il servizio prestato alla causa della musica) si cimenta
in imprese al limite del possibile. Ecco alcuni titoli delle puntate: Boys Don’t Sing, Unsung Town, Sing While You Work, The
Choir does Sports, The Choir does Comic. Questo programma
è veramente encomiabile e fa sprofondare in uno stato di ulteriore vergogna gli italici palinsesti televisivi.
Ora, la quarta serie di The Choir è stata dedicata da Malone alla formazione del coro delle mogli dei soldati (Military Wives
Choir). Lo stesso Malone si è incaricato della stesura di un testo, in forma di poesia d’amore, ricavato dalle lettere che mogli e fidanzate avevano inviato ai loro compagni impegnati nelle missioni militari in Afghanistan. Quindi, egli ha chiesto a Paul
Mealor di metterlo in musica. Così è stata composta ed eseguita dallo stesso coro delle mogli dei militari la canzone Wherever You Are, che ha entusiasmato e commosso il pubblico televisivo inglese, stimato, per la puntata conclusiva, in 2,65 milioni
di spettatori.
…E poi ci chiediamo da dove viene l’orgoglio britannico.
RUBRICHE
68
MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
Canta con la voce e con il cuore, con la bocca e con la vita, canta senza stonature, la verità del cuore. Canta come cantano i viandanti: non per cullare l’inerzia,
ma per sostenere lo sforzo. Canta e cammina!
Se cammini, avanza nel bene, avanza nella fede retta, avanza nella vita pura.
Canta senza smarrirti, senza indietreggiare, senza fermarti.
Canta e cammina!
(Sant’Agostino)
«Piove, governo ladro!». «Porca miseria, che caldo che fa oggi!».
Non so se l’avete notato: se fa caldo la gente si lamenta, ma se è la pioggia a farla da padrona la gente brontola lo stesso (e non possiamo certo dar torto soprattutto ai colpiti dalle moderne “bombe d’acqua”. Anche Mondocoro è vicina ai colpiti!). Bisognerebbe davvero riuscire a equilibrare le cose, ma… Non ho mai sentito
dire se in merito ci sono degli studi in corso.
E che c’entra questo con Mondocoro? Beh, mi veniva in mente… La situazione descritta non è forse la stessa che si incontra nell’allestimento di un programma corale? Se il maestro propone solo canto gregoriano molti coristi reclameranno il
canto popolare; se presenta brani del varietà alcuni richiederanno pagine classiche! Ma se invece decide per un programma variegato, come potrà conciliare Mozart con Elvis Presley? Questi malcontenti fanno parte della dura vita del direttore di coro. È lui, infatti, a fare il bello e cattivo tempo (…e torna la meteorologia!).
Ma, come dice René Char nell’opera di Pierre Boulez: «Bisogna essere l’uomo della pioggia e il bimbo del bel tempo».
A tutti i cori italiani, qualsiasi tempo faccia, buona prosecuzione della stagione corale 2014-2015. Con Sant’Agostino: Canta senza smarrirti, senza indietreggiare,
senza fermarti. Canta e cammina!
Musica per non… cadere a pezzi
Il presidente della banca mondiale Felipe Herrara ha raccontato di un piccolissimo
villaggio vicino al lago Titicaca in Bolivia, dove egli era andato per uno studio di
fattibilità per una diga idroelettrica che veniva proposta in zona. Terminato il soggiorno di lavoro, il suo team si rese conto che non aveva speso tutta la somma
prevista dal budget.
Poiché il villaggio mancava di tutto, chiamarono a raccolta i capi locali e spiegarono loro che avevano avanzato del danaro. In segno di gratitudine per l’ospitalità e la collaborazione, avrebbero gradito lasciarlo in dono alla comunità. «Quale
progetto vorreste che finanziassimo per voi in nome della banca?».
Gli anziani del villaggio si appartarono per discutere l’offerta. Dopo soli cinque minuti tornarono: «Noi lo sappiamo cosa fare con il danaro». «Benissimo! Qualsiasi
cosa vogliate». «Abbiamo bisogno di nuovi strumenti musicali per la nostra banda». «Forse – rispose il portavoce della banca – non avete capito. Ciò di cui qui
avete bisogno sono miglioramenti come l’energia elettrica, acqua potabile, fognature, telefono e telegrafo».
Ma gli indiani avevano capito perfettamente. «Nel nostro villaggio – spiegarono
gli anziani – tutti sanno suonare uno strumento musicale. La domenica, dopo la
messa, noi ci riuniamo tutti per un concerto nel patio della chiesa. Prima facciamo musica tutti insieme. Poi possiamo parlare
dei problemi della nostra comunità e di come risolverli. Ma i
nostri strumenti sono vecchi e cadono a pezzi. Senza la musica anche noi saremo così».
(Tratto da “Gaviotas: un villaggio per reinventare il mondo”, di
Alan Weisman)
Il Premio Eric Ericson
per giovani direttori di coro
Il Premio Eric Ericson per giovani direttori di coro di età compresa fra i 20 e i 32 anni fu tenuto per la prima volta nel 2003
e ripetuto poi nel 2006 e 2009. Il repertorio è scelto fra la musica corale occidentale con particolare riferimento alla musica
corale svedese. Il vincitore viene premiato con 100.000 Corone
Svedesi (11.000 Euro ca.) e con l’invito a dirigere il Coro della
Radio Svedese in un programma che viene concordato. La prossima edizione del premio si terrà a Stoccolma dal 18 al 21 febbraio 2016. Maggiori informazioni si possono trovare in www.
ericsonchoralcentre.se
Eric Gustaf Ericson (1918-2013). Il premio di cui si parla è
dedicato a questo grande musicista svedese direttore di coro
e influente insegnante corale. Si era laureato nel 1943 al Royal
College of Music di Stoccolma ma aveva poi completato i suoi
studi all’estero, in Svizzera, Germania, Inghilterra e Stati Uniti.
Era famoso per i suoi metodi di insegnamento innovativi e per
la vastità e l’eterogeneità del suo repertorio. Fu direttore per
oltre 30 anni del coro Orphei Drängar dell’Università di Upsala
e del coro della Radio Svedese da lui fondato nel 1951. Fu in
questo stesso anno che cominciò a insegnare al Royal College
of Music di Stoccolma dove nel 1968, diventato leggendario e
figura ispiratrice, gli fu assegnata la cattedra di direzione. Nel
1995 gli fu assegnato il premio Nordic Council Music Prize e
due anni più tardi condivise il Polar Music Prize con Bruce
Springsteen per i suoi «successi pionieristici come direttore d’orchestra, insegnante, ideatore artistico e ispiratore nella musica
corale svedese e internazionale». Nella sua lunga vita ha fondato anche il Coro da Camera Eric Ericson e ha lavorato come
direttore ospite di molti complessi famosi. Il 1° gennaio 2007
nel nome di Eric Ericson in Svezia è stata creata una nuova fondazione chiamata Centro Corale Internazionale Eric Ericson
avente lo scopo di «promuovere lo sviluppo a lungo termine
della musica corale e sostenere chi la pratica, basandosi su prospettive nazionali e internazionali nello spirito di Eric Ericson.
La fondazione incoraggia la collaborazione ai più alti livelli e
sulla base più estesa del movimento corale, fra compositori ed
esecutori, fra l’arte corale e le altre arti. Propone e sostiene anche progetti educativi e di ricerca». Il Premio Eric Ericson per
Giovani Direttori di Coro è una delle principali attività di questo Centro Corale Internazionale Eric Ericson.
69
Premio europeo per compositori
di musica corale 2014-2015
Il 18 settembre 2014 la giuria dell’European Award for Composers (Premio europeo per compositori di musica corale), composta da Nicola Campogrande (it, Presidente), Ambroz̆ Copi (si),
Maria van Nieukerken (nl), Tamara Petjevic (rs) e Kaie Tanner
(ee), con la consulenza di Jan Schumacher (de), presidente della Commissione Musicale di European Choral Association - Europa Cantat, ha scelto le composizioni vincenti dell’edizione
2014-15.
Il Premio europeo per compositori di musica corale è la continuazione del Premio “Golden Diapason”, già organizzato per
molti anni da agec (Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände), ed è stato organizzato per la prima volta dalla European Choral Association - Europa Cantat (eca-ec) nel 2011/2012.
Per la seconda edizione le organizzazioni membri di eca-ec nel
2014/15 sono state nuovamente invitate a presentare composizioni per le seguenti tre categorie: (a) coro a cappella, (b) coro accompagnato da un massimo di quattro strumenti, (c) jazz
per coro a cappella o coro accompagnato da un massimo di tre
strumenti, con un massimo – per ogni organizzazione – di tre
opere per ogni categoria.
Trentanove composizioni provenienti da 31 compositori sono
state presentate al concorso da 11 organizzazioni aderenti di 9
diversi paesi europei, con 26 composizioni in categoria a, 11 nella categoria b e 2 nella categoria c.
Nella categoria a (a cappella), la giuria ha scelto una composizione vincente: Missa Brevis (2013) per coro misto, composta
da Hans Helsen (Belgio, classe 1989), presentata dall’associazione fiamminga Koor&Stem.
Nella categoria b (con strumenti) la giuria non ha scelto un vincitore ma ha deciso una “menzione speciale” per due composizioni: Fairy Ring (2012) per coro femminile e arpa, composta
da Maarten Van Ingelgem (Belgio, classe 1976), presentata
dall’associazione fiamminga Koor & Stem; Diptychon (2011) per
coro femminile e violino, composta da Henrik Colding-Jorgensen (Danimarca, classe 1944), presentata dalla Danish Association for Amateur Music dam.
Nella categoria c (jazz), la giuria non ha assegnato nessun
premio.
La composizione vincitrice sarà eseguita al Festival Europa Cantat xix a Pécs, Ungheria, tra il 24 luglio e il 2 agosto 2015 da
uno dei cori ospiti, nella cornice di uno speciale concerto serale. Le partiture che hanno ricevuto dalla giuria una menzione
speciale saranno invece offerte ai cori partecipanti al festival
per l’esecuzione nei propri concerti.
La prossima edizione del Premio europeo per compositori di
musica corale sarà organizzata nel 2017 nel quadro del progetto “Choral Upgrade in Europe - taking collective singing to a
new level” (“Aggiornamento Corale in Europa – per portare il
canto collettivo a un nuovo livello”) e le composizioni vincitrici
saranno eseguite al Festival Europa Cantat XX nel 2018.
RUBRICHE
68
MONDOCORO
a cura di Giorgio Morandi
Canta con la voce e con il cuore, con la bocca e con la vita, canta senza stonature, la verità del cuore. Canta come cantano i viandanti: non per cullare l’inerzia,
ma per sostenere lo sforzo. Canta e cammina!
Se cammini, avanza nel bene, avanza nella fede retta, avanza nella vita pura.
Canta senza smarrirti, senza indietreggiare, senza fermarti.
Canta e cammina!
(Sant’Agostino)
«Piove, governo ladro!». «Porca miseria, che caldo che fa oggi!».
Non so se l’avete notato: se fa caldo la gente si lamenta, ma se è la pioggia a farla da padrona la gente brontola lo stesso (e non possiamo certo dar torto soprattutto ai colpiti dalle moderne “bombe d’acqua”. Anche Mondocoro è vicina ai colpiti!). Bisognerebbe davvero riuscire a equilibrare le cose, ma… Non ho mai sentito
dire se in merito ci sono degli studi in corso.
E che c’entra questo con Mondocoro? Beh, mi veniva in mente… La situazione descritta non è forse la stessa che si incontra nell’allestimento di un programma corale? Se il maestro propone solo canto gregoriano molti coristi reclameranno il
canto popolare; se presenta brani del varietà alcuni richiederanno pagine classiche! Ma se invece decide per un programma variegato, come potrà conciliare Mozart con Elvis Presley? Questi malcontenti fanno parte della dura vita del direttore di coro. È lui, infatti, a fare il bello e cattivo tempo (…e torna la meteorologia!).
Ma, come dice René Char nell’opera di Pierre Boulez: «Bisogna essere l’uomo della pioggia e il bimbo del bel tempo».
A tutti i cori italiani, qualsiasi tempo faccia, buona prosecuzione della stagione corale 2014-2015. Con Sant’Agostino: Canta senza smarrirti, senza indietreggiare,
senza fermarti. Canta e cammina!
Musica per non… cadere a pezzi
Il presidente della banca mondiale Felipe Herrara ha raccontato di un piccolissimo
villaggio vicino al lago Titicaca in Bolivia, dove egli era andato per uno studio di
fattibilità per una diga idroelettrica che veniva proposta in zona. Terminato il soggiorno di lavoro, il suo team si rese conto che non aveva speso tutta la somma
prevista dal budget.
Poiché il villaggio mancava di tutto, chiamarono a raccolta i capi locali e spiegarono loro che avevano avanzato del danaro. In segno di gratitudine per l’ospitalità e la collaborazione, avrebbero gradito lasciarlo in dono alla comunità. «Quale
progetto vorreste che finanziassimo per voi in nome della banca?».
Gli anziani del villaggio si appartarono per discutere l’offerta. Dopo soli cinque minuti tornarono: «Noi lo sappiamo cosa fare con il danaro». «Benissimo! Qualsiasi
cosa vogliate». «Abbiamo bisogno di nuovi strumenti musicali per la nostra banda». «Forse – rispose il portavoce della banca – non avete capito. Ciò di cui qui
avete bisogno sono miglioramenti come l’energia elettrica, acqua potabile, fognature, telefono e telegrafo».
Ma gli indiani avevano capito perfettamente. «Nel nostro villaggio – spiegarono
gli anziani – tutti sanno suonare uno strumento musicale. La domenica, dopo la
messa, noi ci riuniamo tutti per un concerto nel patio della chiesa. Prima facciamo musica tutti insieme. Poi possiamo parlare
dei problemi della nostra comunità e di come risolverli. Ma i
nostri strumenti sono vecchi e cadono a pezzi. Senza la musica anche noi saremo così».
(Tratto da “Gaviotas: un villaggio per reinventare il mondo”, di
Alan Weisman)
Il Premio Eric Ericson
per giovani direttori di coro
Il Premio Eric Ericson per giovani direttori di coro di età compresa fra i 20 e i 32 anni fu tenuto per la prima volta nel 2003
e ripetuto poi nel 2006 e 2009. Il repertorio è scelto fra la musica corale occidentale con particolare riferimento alla musica
corale svedese. Il vincitore viene premiato con 100.000 Corone
Svedesi (11.000 Euro ca.) e con l’invito a dirigere il Coro della
Radio Svedese in un programma che viene concordato. La prossima edizione del premio si terrà a Stoccolma dal 18 al 21 febbraio 2016. Maggiori informazioni si possono trovare in www.
ericsonchoralcentre.se
Eric Gustaf Ericson (1918-2013). Il premio di cui si parla è
dedicato a questo grande musicista svedese direttore di coro
e influente insegnante corale. Si era laureato nel 1943 al Royal
College of Music di Stoccolma ma aveva poi completato i suoi
studi all’estero, in Svizzera, Germania, Inghilterra e Stati Uniti.
Era famoso per i suoi metodi di insegnamento innovativi e per
la vastità e l’eterogeneità del suo repertorio. Fu direttore per
oltre 30 anni del coro Orphei Drängar dell’Università di Upsala
e del coro della Radio Svedese da lui fondato nel 1951. Fu in
questo stesso anno che cominciò a insegnare al Royal College
of Music di Stoccolma dove nel 1968, diventato leggendario e
figura ispiratrice, gli fu assegnata la cattedra di direzione. Nel
1995 gli fu assegnato il premio Nordic Council Music Prize e
due anni più tardi condivise il Polar Music Prize con Bruce
Springsteen per i suoi «successi pionieristici come direttore d’orchestra, insegnante, ideatore artistico e ispiratore nella musica
corale svedese e internazionale». Nella sua lunga vita ha fondato anche il Coro da Camera Eric Ericson e ha lavorato come
direttore ospite di molti complessi famosi. Il 1° gennaio 2007
nel nome di Eric Ericson in Svezia è stata creata una nuova fondazione chiamata Centro Corale Internazionale Eric Ericson
avente lo scopo di «promuovere lo sviluppo a lungo termine
della musica corale e sostenere chi la pratica, basandosi su prospettive nazionali e internazionali nello spirito di Eric Ericson.
La fondazione incoraggia la collaborazione ai più alti livelli e
sulla base più estesa del movimento corale, fra compositori ed
esecutori, fra l’arte corale e le altre arti. Propone e sostiene anche progetti educativi e di ricerca». Il Premio Eric Ericson per
Giovani Direttori di Coro è una delle principali attività di questo Centro Corale Internazionale Eric Ericson.
69
Premio europeo per compositori
di musica corale 2014-2015
Il 18 settembre 2014 la giuria dell’European Award for Composers (Premio europeo per compositori di musica corale), composta da Nicola Campogrande (it, Presidente), Ambroz̆ Copi (si),
Maria van Nieukerken (nl), Tamara Petjevic (rs) e Kaie Tanner
(ee), con la consulenza di Jan Schumacher (de), presidente della Commissione Musicale di European Choral Association - Europa Cantat, ha scelto le composizioni vincenti dell’edizione
2014-15.
Il Premio europeo per compositori di musica corale è la continuazione del Premio “Golden Diapason”, già organizzato per
molti anni da agec (Arbeitsgemeinschaft Europäischer Chorverbände), ed è stato organizzato per la prima volta dalla European Choral Association - Europa Cantat (eca-ec) nel 2011/2012.
Per la seconda edizione le organizzazioni membri di eca-ec nel
2014/15 sono state nuovamente invitate a presentare composizioni per le seguenti tre categorie: (a) coro a cappella, (b) coro accompagnato da un massimo di quattro strumenti, (c) jazz
per coro a cappella o coro accompagnato da un massimo di tre
strumenti, con un massimo – per ogni organizzazione – di tre
opere per ogni categoria.
Trentanove composizioni provenienti da 31 compositori sono
state presentate al concorso da 11 organizzazioni aderenti di 9
diversi paesi europei, con 26 composizioni in categoria a, 11 nella categoria b e 2 nella categoria c.
Nella categoria a (a cappella), la giuria ha scelto una composizione vincente: Missa Brevis (2013) per coro misto, composta
da Hans Helsen (Belgio, classe 1989), presentata dall’associazione fiamminga Koor&Stem.
Nella categoria b (con strumenti) la giuria non ha scelto un vincitore ma ha deciso una “menzione speciale” per due composizioni: Fairy Ring (2012) per coro femminile e arpa, composta
da Maarten Van Ingelgem (Belgio, classe 1976), presentata
dall’associazione fiamminga Koor & Stem; Diptychon (2011) per
coro femminile e violino, composta da Henrik Colding-Jorgensen (Danimarca, classe 1944), presentata dalla Danish Association for Amateur Music dam.
Nella categoria c (jazz), la giuria non ha assegnato nessun
premio.
La composizione vincitrice sarà eseguita al Festival Europa Cantat xix a Pécs, Ungheria, tra il 24 luglio e il 2 agosto 2015 da
uno dei cori ospiti, nella cornice di uno speciale concerto serale. Le partiture che hanno ricevuto dalla giuria una menzione
speciale saranno invece offerte ai cori partecipanti al festival
per l’esecuzione nei propri concerti.
La prossima edizione del Premio europeo per compositori di
musica corale sarà organizzata nel 2017 nel quadro del progetto “Choral Upgrade in Europe - taking collective singing to a
new level” (“Aggiornamento Corale in Europa – per portare il
canto collettivo a un nuovo livello”) e le composizioni vincitrici
saranno eseguite al Festival Europa Cantat XX nel 2018.
RUBRICHE
70
Dettagli delle composizioni vincenti e dei loro compositori:
Il vincitore della categoria a: Missa Brevis per coro misto a cappella con accompagnamento opzionale di piano o organo, composto nel 2013 da Hans Helsen (Belgio, classe 1989) e dedicato ai Cantores Bruges. Kyrie (1’15), Gloria (2’55), Sanctus
(1’20), Agnus Dei (1’50). Pubblicato da Euprint, vedi
http://www.euprint.be/nl/node/29868
Hans Helsen (1989) ha cominciato i suoi studi nel 2007 al Lemmens Institute in
Leuven dove ha concluso il suo master in educazione musicale (nel 2012) e in composizione (nel 2013) con Jeroen D’hoe. Ora sta completando il diploma in canto
classico con Marina Smolders. La combinazione di queste diverse discipline gli
danno l’opportunità di maturare a ogni livello. Professionalmente Hans sta cercando un suo equilibrio fra insegnamento, composizione ed esecuzione, convinto che
queste diverse attività siano complementari fra loro. A tutt’oggi egli ha composto
per ensemble e formazioni diverse ma nel suo lavoro la passione per la musica
vocale sta imponendosi sempre di più. Ha già avuto occasione di comporre per
cori come il Cappella di Voce di Bruxelles e per il Coro della Cattedrale di Bruxelles. Inoltre ha orchestrato musiche di Jeroen D’hoe. Nel 2011 ha vinto il concorso
di composizione della Koor&Stem con il brano Parafrasie Paranoica. Alcune sue
composizioni sono già state pubblicate da Koor&Stem e da Euprint.
Come cantante Hans Helsen è stato attivo in molti gruppi corali, ha cantato per
tre anni nell’EuroChoir e ha partecipato a molti progetti in Germania, Ungheria,
Spagna, usa e Olanda. Inoltre dal 2013 Hans è insegnante all’Academy of Music,
Drama and Dance in Lier e lavora come ricercatore al Lemmen Institute e al ku
Leuven.
Le menzioni speciali per la categoria B:
Fairy Ring per coro femminile e arpa, composto da Maarten Van Ingelgem (Belgio,
classe 1976), brano del 2012, n. 7 di Annual rings, testo di Annie Van Keymeulen.
Inedito, ma già eseguito nel dicembre 2012, è disponibile da Phaedra cd 92082 –
www.phaedracd.com
Maarten Van Ingelgem ha studiato pianoforte e composizione, lavora come docente di pianoforte, dirige il coro da camera misto The Second Wind e canta da
basso in Aquarius. La sua composizione 1914 essendo una delle vincitrici del Concorso europeo di composizione corale 2011/12 è stata eseguita al festival Europa
Cantat 2012 a Torino.
Dyptichon per coro femminile e violino è stato composto da Henrik Colding-Jorgensen (Danimarca, classe 1944) nel 2011. È inedito e non esiste ancora una registrazione, ma è stato eseguito per la prima volta nel 2011 dal Kildebronde Girl
Choir con il violinista Piotr Gasior.
Henrik Colding-Jorgensen è compositore, organista, direttore di coro e pedagogo.
Nel 1975 è stato nominato organista e direttore di coro al Hundige and Kildebronde Girl Choir, gruppo che per molti anni ha partecipato a numerosi festival e settimane cantanti.
Il canto aumenta la creatività
e l’armonia sul posto di lavoro
Se qualcuno vi chiedesse di mettervi a cantare di fronte ai vostri colleghi, credo
che vi verrebbe voglia di nascondervi sotto la scrivania con la testa nel cestino della carta. Sappiamo tutti che sono tantissime le persone che hanno paura di parlare in pubblico, ma il cantare spaventa ancor di più. Finché non ci provi, è così!
Cantare con gli altri mette in contatto le persone a un livello
profondo e i benefici che ne derivano sono enormi sia per gli
individui sia per la società. Non solo il canto ci fa sentire meglio perché mette in circolazione nel nostro corpo una quantità di endorfine; col canto si hanno anche dei veri e propri benefici per la salute. A tutt’oggi è stata fatta tanta ricerca, con
risultati sorprendenti. Cinque anni di ricerca presso l’università
di San Francisco hanno mostrato inequivocabilmente come il
canto può anche farci vivere più a lungo.
Un ambito al quale Mondocoro forse non si è mai dedicato è
quello del canto sul posto di lavoro. Eppure è importante. Cantare all’interno delle organizzazioni aziendali consente ai dipendenti di trovare un senso di realizzazione. In altre parole, cantare come squadra di lavoro: consente ai membri del team di
esprimersi; rimuove i blocchi creativi; migliora i rapporti interpersonali; aiuta a sviluppare insieme soluzioni interessanti; trasforma i risultati di business; crea un’atmosfera divertente attraverso un’esperienza esaltante.
A livello individuale il canto migliora il nostro flusso di sangue,
stimola le nostre risposte cognitive, migliora il nostro coordinamento e tiene lontano da visite mediche portando così a un minor assenteismo dal lavoro. Evviva! Vi pare poco?
La musica ci muove come nient’altro. Non c’è dubbio che il canto aumenta la creatività, lo spirito di squadra e l’armonia sul
posto di lavoro.
A mio parere non c’è nulla sulla terra che equivalga alla gioia
magica e impareggiabile che il canto porta alla vita delle persone. Fin da bambino ascoltando Jussi Björling che cantava
«Che gelida manina» da La Boheme mi ha fatto venire la pelle
d’oca e lo fa ancora. Ascoltatelo anche voi qui:
http://www.youtube.com/watch?v=K_1Ry44K-MM.
Buon ascolto!
De Jubilationibus
«L’Ensemble Vocale Utopie (Friburgo, Svizzera) organizza un
concorso di composizione corale. La parola d’ordine è “Gioia”».
È l’annuncio di Chorus, rivista dell’unione svizzera dei cori che
fornisce anche il regolamento completo del concorso (by the
way: mica male l’abbinamento “gioia - musica corale”).
Alcuni cori si accontentano di cantare brani conosciuti. Hanno
il vantaggio di seguire l’onda e il favore degli ascoltatori che
spesso è freddino nei confronti della ricerca e della novità. Altri cori amano accompagnare i propri ascoltatori per sentieri
poco battuti proponendo delle rarità, dei pezzi d’obbligo, delle musiche nuove. Altri ancora, ed è il caso dell’eccellente Ensemble Vocale Utopie, in collaborazione con le Edizioni Sympaphonie, si lanciano nella creazione di nuovo repertorio,
proponendo addirittura un concorso di composizione corale.
Compositori, a voi! Stilografica, matita, gomma, computer… Come volete! Via!
nb: L’Ensemble Vocale Utopia di Friburgo è stato fondato da
Gonzague Monney che è pure l’ideatore del concorso. G. Mon-
71
ney dirige anche altri cori, insegna musica in un ginnasio, è
compositore lui stesso, è membro dell’associazione dei cori
svizzeri. Come cantore ha fatto parte di più progetti del Coro
Mondiale Giovanile.
Coro e team building
La ricerca dice da tempo che “cantare” ci fa bene. Le ricerche più recenti confermano che “cantare in
gruppo” fa bene!
Volete offrire alla vostra squadra
di lavoro una stimolante e memorabile esperienza di canto differenziandovi da altri eventi di team building? Volete offrire alla vostra
squadra un modo creativo di scoprire di più su se stessi come individui e come membri del team?
Portate tutti insieme i membri della vostra squadra in un workshop
di canto e vedrete come crescono.
Migliorerà il rapporto fra i membri della squadra in modo che:
sarà facile comunicare più efficacemente con i colleghi su una
base di uno-a-uno; i vari componenti saranno più fiduciosi e rilassati nel presentarsi ai gruppi; sviluppare insieme soluzioni
creative sarà naturale; ogni membro della squadra si sentirà
più eccitato e ringiovanito.
In tutto il mondo ormai esistono stimolanti e motivazionali corsi di team building nonché seminari di leadership nell’ambito
dei programmi e conferenze di formazione basati sul canto corale. I partecipanti a questo tipo di seminario imparano diverse tecniche per migliorare le capacità di comunicazione in una
vasta gamma di situazioni. I corsi sono rispettosi, comprensivi
e creano un decisivo senso di fiducia. Dai dirigenti di banca agli
impiegati, alle persone più normali… tutti attraverso il canto
possono migliorare la propria fiducia sotto ogni aspetto.
Fornendo un considerevole sostegno personale, con il canto si
ispirano le persone a uscire dalle loro zone di comfort e ad affrontare il rischio con volontà precisa e consapevolezza. La partecipazione a esercizi vocali abbatte le barriere e fornisce una
condivisa nuova esperienza motivazionale. Tramite questi corsi si aiutano le persone a trovare la propria voce perché la voce può essere sviluppata attraverso il canto e si deve ricordare che le competenze necessarie per cantare sono le stesse
competenze di cui c’è bisogno per comunicare più efficacemente. E allora forse è il caso di imparare a potenziare la nostra voce. Un ausilio? Eccolo: Suggerimenti a portata di mano per cantare (Singing Tips at your Fingertips) di Helen Astrid, disponibile
su Amazon in Kindle and Paperback. Io ho letto solo una recensione e dato uno sguardo all’indice, ma Michael Nealon, voce di basso solista in un coro amatoriale, garantisce senza esitazione: «Questo libro è una miniera d’oro».
RUBRICHE
70
Dettagli delle composizioni vincenti e dei loro compositori:
Il vincitore della categoria a: Missa Brevis per coro misto a cappella con accompagnamento opzionale di piano o organo, composto nel 2013 da Hans Helsen (Belgio, classe 1989) e dedicato ai Cantores Bruges. Kyrie (1’15), Gloria (2’55), Sanctus
(1’20), Agnus Dei (1’50). Pubblicato da Euprint, vedi
http://www.euprint.be/nl/node/29868
Hans Helsen (1989) ha cominciato i suoi studi nel 2007 al Lemmens Institute in
Leuven dove ha concluso il suo master in educazione musicale (nel 2012) e in composizione (nel 2013) con Jeroen D’hoe. Ora sta completando il diploma in canto
classico con Marina Smolders. La combinazione di queste diverse discipline gli
danno l’opportunità di maturare a ogni livello. Professionalmente Hans sta cercando un suo equilibrio fra insegnamento, composizione ed esecuzione, convinto che
queste diverse attività siano complementari fra loro. A tutt’oggi egli ha composto
per ensemble e formazioni diverse ma nel suo lavoro la passione per la musica
vocale sta imponendosi sempre di più. Ha già avuto occasione di comporre per
cori come il Cappella di Voce di Bruxelles e per il Coro della Cattedrale di Bruxelles. Inoltre ha orchestrato musiche di Jeroen D’hoe. Nel 2011 ha vinto il concorso
di composizione della Koor&Stem con il brano Parafrasie Paranoica. Alcune sue
composizioni sono già state pubblicate da Koor&Stem e da Euprint.
Come cantante Hans Helsen è stato attivo in molti gruppi corali, ha cantato per
tre anni nell’EuroChoir e ha partecipato a molti progetti in Germania, Ungheria,
Spagna, usa e Olanda. Inoltre dal 2013 Hans è insegnante all’Academy of Music,
Drama and Dance in Lier e lavora come ricercatore al Lemmen Institute e al ku
Leuven.
Le menzioni speciali per la categoria B:
Fairy Ring per coro femminile e arpa, composto da Maarten Van Ingelgem (Belgio,
classe 1976), brano del 2012, n. 7 di Annual rings, testo di Annie Van Keymeulen.
Inedito, ma già eseguito nel dicembre 2012, è disponibile da Phaedra cd 92082 –
www.phaedracd.com
Maarten Van Ingelgem ha studiato pianoforte e composizione, lavora come docente di pianoforte, dirige il coro da camera misto The Second Wind e canta da
basso in Aquarius. La sua composizione 1914 essendo una delle vincitrici del Concorso europeo di composizione corale 2011/12 è stata eseguita al festival Europa
Cantat 2012 a Torino.
Dyptichon per coro femminile e violino è stato composto da Henrik Colding-Jorgensen (Danimarca, classe 1944) nel 2011. È inedito e non esiste ancora una registrazione, ma è stato eseguito per la prima volta nel 2011 dal Kildebronde Girl
Choir con il violinista Piotr Gasior.
Henrik Colding-Jorgensen è compositore, organista, direttore di coro e pedagogo.
Nel 1975 è stato nominato organista e direttore di coro al Hundige and Kildebronde Girl Choir, gruppo che per molti anni ha partecipato a numerosi festival e settimane cantanti.
Il canto aumenta la creatività
e l’armonia sul posto di lavoro
Se qualcuno vi chiedesse di mettervi a cantare di fronte ai vostri colleghi, credo
che vi verrebbe voglia di nascondervi sotto la scrivania con la testa nel cestino della carta. Sappiamo tutti che sono tantissime le persone che hanno paura di parlare in pubblico, ma il cantare spaventa ancor di più. Finché non ci provi, è così!
Cantare con gli altri mette in contatto le persone a un livello
profondo e i benefici che ne derivano sono enormi sia per gli
individui sia per la società. Non solo il canto ci fa sentire meglio perché mette in circolazione nel nostro corpo una quantità di endorfine; col canto si hanno anche dei veri e propri benefici per la salute. A tutt’oggi è stata fatta tanta ricerca, con
risultati sorprendenti. Cinque anni di ricerca presso l’università
di San Francisco hanno mostrato inequivocabilmente come il
canto può anche farci vivere più a lungo.
Un ambito al quale Mondocoro forse non si è mai dedicato è
quello del canto sul posto di lavoro. Eppure è importante. Cantare all’interno delle organizzazioni aziendali consente ai dipendenti di trovare un senso di realizzazione. In altre parole, cantare come squadra di lavoro: consente ai membri del team di
esprimersi; rimuove i blocchi creativi; migliora i rapporti interpersonali; aiuta a sviluppare insieme soluzioni interessanti; trasforma i risultati di business; crea un’atmosfera divertente attraverso un’esperienza esaltante.
A livello individuale il canto migliora il nostro flusso di sangue,
stimola le nostre risposte cognitive, migliora il nostro coordinamento e tiene lontano da visite mediche portando così a un minor assenteismo dal lavoro. Evviva! Vi pare poco?
La musica ci muove come nient’altro. Non c’è dubbio che il canto aumenta la creatività, lo spirito di squadra e l’armonia sul
posto di lavoro.
A mio parere non c’è nulla sulla terra che equivalga alla gioia
magica e impareggiabile che il canto porta alla vita delle persone. Fin da bambino ascoltando Jussi Björling che cantava
«Che gelida manina» da La Boheme mi ha fatto venire la pelle
d’oca e lo fa ancora. Ascoltatelo anche voi qui:
http://www.youtube.com/watch?v=K_1Ry44K-MM.
Buon ascolto!
De Jubilationibus
«L’Ensemble Vocale Utopie (Friburgo, Svizzera) organizza un
concorso di composizione corale. La parola d’ordine è “Gioia”».
È l’annuncio di Chorus, rivista dell’unione svizzera dei cori che
fornisce anche il regolamento completo del concorso (by the
way: mica male l’abbinamento “gioia - musica corale”).
Alcuni cori si accontentano di cantare brani conosciuti. Hanno
il vantaggio di seguire l’onda e il favore degli ascoltatori che
spesso è freddino nei confronti della ricerca e della novità. Altri cori amano accompagnare i propri ascoltatori per sentieri
poco battuti proponendo delle rarità, dei pezzi d’obbligo, delle musiche nuove. Altri ancora, ed è il caso dell’eccellente Ensemble Vocale Utopie, in collaborazione con le Edizioni Sympaphonie, si lanciano nella creazione di nuovo repertorio,
proponendo addirittura un concorso di composizione corale.
Compositori, a voi! Stilografica, matita, gomma, computer… Come volete! Via!
nb: L’Ensemble Vocale Utopia di Friburgo è stato fondato da
Gonzague Monney che è pure l’ideatore del concorso. G. Mon-
71
ney dirige anche altri cori, insegna musica in un ginnasio, è
compositore lui stesso, è membro dell’associazione dei cori
svizzeri. Come cantore ha fatto parte di più progetti del Coro
Mondiale Giovanile.
Coro e team building
La ricerca dice da tempo che “cantare” ci fa bene. Le ricerche più recenti confermano che “cantare in
gruppo” fa bene!
Volete offrire alla vostra squadra
di lavoro una stimolante e memorabile esperienza di canto differenziandovi da altri eventi di team building? Volete offrire alla vostra
squadra un modo creativo di scoprire di più su se stessi come individui e come membri del team?
Portate tutti insieme i membri della vostra squadra in un workshop
di canto e vedrete come crescono.
Migliorerà il rapporto fra i membri della squadra in modo che:
sarà facile comunicare più efficacemente con i colleghi su una
base di uno-a-uno; i vari componenti saranno più fiduciosi e rilassati nel presentarsi ai gruppi; sviluppare insieme soluzioni
creative sarà naturale; ogni membro della squadra si sentirà
più eccitato e ringiovanito.
In tutto il mondo ormai esistono stimolanti e motivazionali corsi di team building nonché seminari di leadership nell’ambito
dei programmi e conferenze di formazione basati sul canto corale. I partecipanti a questo tipo di seminario imparano diverse tecniche per migliorare le capacità di comunicazione in una
vasta gamma di situazioni. I corsi sono rispettosi, comprensivi
e creano un decisivo senso di fiducia. Dai dirigenti di banca agli
impiegati, alle persone più normali… tutti attraverso il canto
possono migliorare la propria fiducia sotto ogni aspetto.
Fornendo un considerevole sostegno personale, con il canto si
ispirano le persone a uscire dalle loro zone di comfort e ad affrontare il rischio con volontà precisa e consapevolezza. La partecipazione a esercizi vocali abbatte le barriere e fornisce una
condivisa nuova esperienza motivazionale. Tramite questi corsi si aiutano le persone a trovare la propria voce perché la voce può essere sviluppata attraverso il canto e si deve ricordare che le competenze necessarie per cantare sono le stesse
competenze di cui c’è bisogno per comunicare più efficacemente. E allora forse è il caso di imparare a potenziare la nostra voce. Un ausilio? Eccolo: Suggerimenti a portata di mano per cantare (Singing Tips at your Fingertips) di Helen Astrid, disponibile
su Amazon in Kindle and Paperback. Io ho letto solo una recensione e dato uno sguardo all’indice, ma Michael Nealon, voce di basso solista in un coro amatoriale, garantisce senza esitazione: «Questo libro è una miniera d’oro».
RUBRICHE
72
Canta e cammina 2014
«Cantiamo pure ora, / non tanto per goderci il riposo, / quanto per sollevarci dalla fatica. / Cantiamo da viandanti. / Canta, ma cammina» (Sant’Agostino).
«…essere una Voce in Cammino lungo i sentieri silenziosi delle chiese romaniche,
lasciando che nell’ascolto del proprio corpo e delle proprie sensazioni il canto accada in tutta la sua bellezza. Il camminare ci mette in contatto con la parte più
profonda di noi: la strada è scuola di umiltà, la fatica ci insegna a mettere da parte sufficienza e orgoglio. Al cammino vogliamo però aggiungere il canto: la voce
è l’eco di ciò che è nascosto dentro ciascuno di noi. Tramite il suono delle voci e
il gesto naturale del camminare, si può stimolare la creatività, la vitalità, la comunicazione vera tra individui e l’appartenenza alla natura» (Abbazia di
Sant’Antimo).
Canta e Cammina, proposto da alcuni anni dall’Abbazia di Sant’Antimo, è insieme
un corso di canto e un camminare lungo i sentieri delle antiche chiese romaniche
e gotiche in cui il grande canto è nato e si è sviluppato attraverso i secoli. Si cerca di unire il cantare e il peregrinare, cioè di essere una voce in cammino. Il progetto propone (a chiunque lo desideri) un’esperienza forte per trovare unità interiore e armonia e anche sostegno indispensabile a esecuzioni di alto spessore
artistico complessivo. È una via per ritrovare la vitalità e la bellezza del nostro canto esplorando i suoni della natura attraverso l’arte dell’ascolto. Le giornate sono
ritmate dalle camminate in mezzo al verde e dal canto nelle chiese, dai momenti
di silenzio, dai pasti e dai momenti di condivisione. Musicalmente si percorrono i
sentieri del canto gregoriano e di quello medievale (Laudi, Cantigas, Discanti, ecc.)
perché grazie all’immediatezza e semplicità della loro struttura compositiva coinvolgono l’esecutore su tutti i piani dell’essere. Il tutto garantito dalla particolare
atmosfera della grande cattedrale gotica o della piccola chiesa romanica di campagna o degli spazi naturali dove l’azione di studio di volta in volta si svolge.
Da sempre il Canta e Cammina è tenuto da Livio Picotti, in collaborazione con Giuseppe Sparnacci e la partecipazione di fr. Dominique de Formigny dell’Abbazia di
Sant’Antimo. Si è svolto, negli ultimi dieci anni, sia in Italia (Toscana, Umbria, Sardegna…) sia in altri paesi d’Europa (Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda…). Ha una
durata variabile da quattro a dieci giorni.
Ho partecipato a più esperienze di questo genere e una delle ultime vorrei presentarla un po’ più in dettaglio ai lettori di Mondocoro: Canta e Cammina in Normandia, nell’estate 2014.
«Forse un faro, un faro di Dio nel nostro peregrinare». Rubo questa frase di don
Angelo Casati per riferirmi alla meta (Mont St Michel) di questo speciale viaggio
musicale e spirituale che ho fatto con un gruppo di trentacinque amici, viaggio rischiarato nel suo svolgimento da altri fari eccelsi e portatori di grandi emozioni:
le tappe intermedie fra Parigi/Beauvais (Cattedrale), Mont St. Michel e Parigi (Chiesa di St Gervais).
Un primo faro del nostro Canta e Cammina è stata la grande incompiuta cattedrale di Beauvais da cui il cantare ha avuto inizio, prima ancora del cammino che con
una prima tappa ci ha portato alla splendida chiesa romanica di Criquebeuf. La luce di Criquebeuf ha lanciato il già affiatato gruppo verso la chiesa romanica di Notre Dame di Etretat dove la ricerca vocale ha ricevuto nuovo impulso anche dalla
spettacolarità del percorso lungo le alte falesie stupendamente sagomate dalla furia dei secolari atlantici venti, luoghi dai quali è facile proiettare lo sguardo verso
La Manica fin oltre le isole di Man e di Guernesey. Il nostro peregrinare corale ha
ricevuto ulteriori stimoli – non più esclusivamente musicali – da Omaha Beach, la
località che a 70 anni dagli eventi dello sbarco delle forze alleate in Normandia ricorda la seconda Guerra Mondiale. La ricerca musicale è poi ripresa nella cripta
romanica della Cattedrale di Bayeux. L’intensa spiritualità dell’Abbazia di Notre
Dame de Protection l’ha proiettata ulteriormente verso una presa di coscienza sempre più convinta del suono che dal nostro
intimo si forma e si diffonde verso l’esterno fino a invadere e
fondersi con l’ambiente circostante, fino a raggiungere sicuramente… il più alto dei cieli. I frutti della ricerca musicale si manifestano in pieno nel canto che con intensità e devozione e
proprietà di temi, di sonorità, di spirito liturgico accompagnano le Sante Messe celebrate da Frère Dominique dell’Abbazia
di Sant’Antimo.
Lo studio del suono e la preparazione dei brani che troveranno spazio nel programma del concerto finale di Parigi (Chiesa
di St. Gervais) procedono e si arricchiscono di nuovi risultati
anche sulle rive del mare dove il bordone realizzato dal soffio
e dal sibilo del vento sostiene e matura sempre di più la ricerca che proseguirà nella splendida chiesa romanica dell’Abbey
de Lessai. Questa con la sua atmosfera ambientale e acustica
ci riporta col pensiero all’Abbazia di Sant’Antimo dove la scuola musicale del maestro Picotti trae origine e ha la sede primaria anche attraverso il coro Cantus Anthimi, il coro Hildegard
von Bingen, i corsi di canto gregoriano e il nuovo progetto
“Mentinmoto”.
Di giorno in giorno il cammino procede e la ricerca del suono
si specializza sempre di più; va verso il suo culmine: Mont St.
Michel. È qui che il gruppo di 35 cantori – di sensibilità, attività, provenienza ed esperienze professionali e musicali tra le più
diverse – vive emotivamente e spiritualmente momenti da condividere con la comunità religiosa e con la moltitudine dei turisti del momento.
Se il cammino attraverso una natura incontaminata verso Mont
St. Michel ci ha portato al suo punto geografico più alto, la ricerca vocale ha goduto di tutto ciò facendoci raggiungere il punto più eccelso nella chiesa di San Pietro. Ma Canta e Cammina
2014 non è finito qui, ha proseguito ancora verso S. Leonardo
e la chiesa di Mutrecy (nei pressi di Rouen) per concludersi definitivamente nella grande e maestosa chiesa di Saint Gervais
a Parigi con un concerto del coro Cantus Antimi arricchito dalla preparazione e dall’esperienza dei partecipanti al Canta e
Cammina.
Ma si puó cantare con un gatto in gola?
Le espressioni popolari di tante lingue a volte sono molto strane… Come nella lingua francese un raffreddore abbia finito per
essere paragonato a un felino in gola, povera bestiola forzatamente impaurita, graffiante e che morde per tentare di uscire
dal pertugio stretto e inospitale in cui si trova, non si sa. Dicono, infatti, cantori e cantanti francesi: «J’ai un chat dans la gorge!».1 La sola spiegazione possibile per questa metafora viene
proposta dallo studioso Pierre Guiraud nel 1961 nel suo studio
Les Lucutions Françaises. Sembra appunto che l’espressione sia
nata da una confusione o da un gioco di parole fra matou, il
famoso gatto che s’è impiantato in gola, e maton.
73
All’origine maton indicava il latte cagliato o meglio i grumi di
questo latte. Per estensione è passata a indicare anche degli
ammassi di pelo, di lana, di fibre di carta che possono ostruire degli orifizi. Ora, quando si ha la voce raffreddata spesso è
perché si è ammalati e si ha del catarro in gola, catarro che paragonato ai grumi di latte cagliato o a delle cose che ostruiscono dei tubi, si può chiamare maton o – per errore o per gioco
di parole – un matou, quindi gatto (ma vedremo che, dopo un
colpo di bacchetta magica, questo gattone in altre lingue si trasforma in ranocchio o rospo).
«Chasser ce chat chauve caché sous ces six chiches souches
de sauge sèche»: ecco è una frase conosciuta da tutti gli attori poiché rappresenta un esercizio di dizione efficacissimo. Ma
questo esercizio ci suggerisce anche parte della spiegazione ai
mali ben conosciuti dai cantanti: un infuso di salvia? Fa bene
alla gola!
Prima di tutto si tratta di sapere da dove viene, da cosa è causato il micione in questione. Fumi come un pompiere? Non cercare più lontano; la salvia non gli farà niente. Hai appena bevuto un alcolico forte? Non ti spremere invano le meningi, tutto
questo dissecca le mucose vocali. Desideri un caffè, del curry,
del peperoncino… Hai voglia di cioccolato, di prodotti a base di
latte… tutto ciò davvero non fa bene alla gola.
E allora, evitiamo questi prodotti prima di cantare, anche se ne
abbiamo una voglia matta.
Questo micione può comunque ronfare in gola anche a seguito di un’allergia. In tal caso un antistaminico potrebbe sistemare le cose, ma attenti alla sonnolenza che ne segue; è scontato che questo tipo di medicamento non può che essere preso
dopo aver consultato il medico. Pure i reflussi gastrici possono causare sofferenza in gola, proprio come la mancanza di
sonno. E certamente anche una costipazione, un raffreddore,
un’influenza… O forse semplicemente una tecnica vocale deficiente e scorretta.
Non schiarirsi mai la voce! Il primo riflesso naturale è quello di
schiarirsi la voce. Se vedeste cosa succede nella laringe mentre lo fate! Lo schiarimento non fa che peggiorare le cose. E ancora: la credenza che il fatto di succhiare caramelle alla menta
sistemi le cose, a ragione è da considerare un mito. Il mentolo
dà certamente sollievo al dolore anestetizzando parzialmente
la vostra gola. Non sentirete più dolore e conseguentemente
continuerete a forzare, cosa che, nel caso di laringite, rischia di
portarvi all’afonia! Chiudete la bocca, rilassate totalmente la
mascella, emettete il suono “mmmm” in una tessitura comoda,
il più dolcemente possibile. Prendete il respiro con la gola aperta e rifate lo stesso suono un tono sopra. Procedete con l’esercizio. Se avete tempo, rifate questo esercizio su degli arpeggi,
sempre pianissimo. I gatti detestano questo.
1. Espressioni equivalenti in alcune lingue: Germania, Einen Frosh im
Halse haben = avere una rana in gola; Inghilterra, To have a frog in
one’s throat = avere una rana in gola; Paesi Bassi, Een kikker in de
kehel habben = avere una rana in gola; Brasile, Ter un sapo na
garganta = aver un rospo in gola; Spagna, Tener una rana en la
garganta = avere una rana in gola; Italia, Avere un rospo in gola.
RUBRICHE
72
Canta e cammina 2014
«Cantiamo pure ora, / non tanto per goderci il riposo, / quanto per sollevarci dalla fatica. / Cantiamo da viandanti. / Canta, ma cammina» (Sant’Agostino).
«…essere una Voce in Cammino lungo i sentieri silenziosi delle chiese romaniche,
lasciando che nell’ascolto del proprio corpo e delle proprie sensazioni il canto accada in tutta la sua bellezza. Il camminare ci mette in contatto con la parte più
profonda di noi: la strada è scuola di umiltà, la fatica ci insegna a mettere da parte sufficienza e orgoglio. Al cammino vogliamo però aggiungere il canto: la voce
è l’eco di ciò che è nascosto dentro ciascuno di noi. Tramite il suono delle voci e
il gesto naturale del camminare, si può stimolare la creatività, la vitalità, la comunicazione vera tra individui e l’appartenenza alla natura» (Abbazia di
Sant’Antimo).
Canta e Cammina, proposto da alcuni anni dall’Abbazia di Sant’Antimo, è insieme
un corso di canto e un camminare lungo i sentieri delle antiche chiese romaniche
e gotiche in cui il grande canto è nato e si è sviluppato attraverso i secoli. Si cerca di unire il cantare e il peregrinare, cioè di essere una voce in cammino. Il progetto propone (a chiunque lo desideri) un’esperienza forte per trovare unità interiore e armonia e anche sostegno indispensabile a esecuzioni di alto spessore
artistico complessivo. È una via per ritrovare la vitalità e la bellezza del nostro canto esplorando i suoni della natura attraverso l’arte dell’ascolto. Le giornate sono
ritmate dalle camminate in mezzo al verde e dal canto nelle chiese, dai momenti
di silenzio, dai pasti e dai momenti di condivisione. Musicalmente si percorrono i
sentieri del canto gregoriano e di quello medievale (Laudi, Cantigas, Discanti, ecc.)
perché grazie all’immediatezza e semplicità della loro struttura compositiva coinvolgono l’esecutore su tutti i piani dell’essere. Il tutto garantito dalla particolare
atmosfera della grande cattedrale gotica o della piccola chiesa romanica di campagna o degli spazi naturali dove l’azione di studio di volta in volta si svolge.
Da sempre il Canta e Cammina è tenuto da Livio Picotti, in collaborazione con Giuseppe Sparnacci e la partecipazione di fr. Dominique de Formigny dell’Abbazia di
Sant’Antimo. Si è svolto, negli ultimi dieci anni, sia in Italia (Toscana, Umbria, Sardegna…) sia in altri paesi d’Europa (Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda…). Ha una
durata variabile da quattro a dieci giorni.
Ho partecipato a più esperienze di questo genere e una delle ultime vorrei presentarla un po’ più in dettaglio ai lettori di Mondocoro: Canta e Cammina in Normandia, nell’estate 2014.
«Forse un faro, un faro di Dio nel nostro peregrinare». Rubo questa frase di don
Angelo Casati per riferirmi alla meta (Mont St Michel) di questo speciale viaggio
musicale e spirituale che ho fatto con un gruppo di trentacinque amici, viaggio rischiarato nel suo svolgimento da altri fari eccelsi e portatori di grandi emozioni:
le tappe intermedie fra Parigi/Beauvais (Cattedrale), Mont St. Michel e Parigi (Chiesa di St Gervais).
Un primo faro del nostro Canta e Cammina è stata la grande incompiuta cattedrale di Beauvais da cui il cantare ha avuto inizio, prima ancora del cammino che con
una prima tappa ci ha portato alla splendida chiesa romanica di Criquebeuf. La luce di Criquebeuf ha lanciato il già affiatato gruppo verso la chiesa romanica di Notre Dame di Etretat dove la ricerca vocale ha ricevuto nuovo impulso anche dalla
spettacolarità del percorso lungo le alte falesie stupendamente sagomate dalla furia dei secolari atlantici venti, luoghi dai quali è facile proiettare lo sguardo verso
La Manica fin oltre le isole di Man e di Guernesey. Il nostro peregrinare corale ha
ricevuto ulteriori stimoli – non più esclusivamente musicali – da Omaha Beach, la
località che a 70 anni dagli eventi dello sbarco delle forze alleate in Normandia ricorda la seconda Guerra Mondiale. La ricerca musicale è poi ripresa nella cripta
romanica della Cattedrale di Bayeux. L’intensa spiritualità dell’Abbazia di Notre
Dame de Protection l’ha proiettata ulteriormente verso una presa di coscienza sempre più convinta del suono che dal nostro
intimo si forma e si diffonde verso l’esterno fino a invadere e
fondersi con l’ambiente circostante, fino a raggiungere sicuramente… il più alto dei cieli. I frutti della ricerca musicale si manifestano in pieno nel canto che con intensità e devozione e
proprietà di temi, di sonorità, di spirito liturgico accompagnano le Sante Messe celebrate da Frère Dominique dell’Abbazia
di Sant’Antimo.
Lo studio del suono e la preparazione dei brani che troveranno spazio nel programma del concerto finale di Parigi (Chiesa
di St. Gervais) procedono e si arricchiscono di nuovi risultati
anche sulle rive del mare dove il bordone realizzato dal soffio
e dal sibilo del vento sostiene e matura sempre di più la ricerca che proseguirà nella splendida chiesa romanica dell’Abbey
de Lessai. Questa con la sua atmosfera ambientale e acustica
ci riporta col pensiero all’Abbazia di Sant’Antimo dove la scuola musicale del maestro Picotti trae origine e ha la sede primaria anche attraverso il coro Cantus Anthimi, il coro Hildegard
von Bingen, i corsi di canto gregoriano e il nuovo progetto
“Mentinmoto”.
Di giorno in giorno il cammino procede e la ricerca del suono
si specializza sempre di più; va verso il suo culmine: Mont St.
Michel. È qui che il gruppo di 35 cantori – di sensibilità, attività, provenienza ed esperienze professionali e musicali tra le più
diverse – vive emotivamente e spiritualmente momenti da condividere con la comunità religiosa e con la moltitudine dei turisti del momento.
Se il cammino attraverso una natura incontaminata verso Mont
St. Michel ci ha portato al suo punto geografico più alto, la ricerca vocale ha goduto di tutto ciò facendoci raggiungere il punto più eccelso nella chiesa di San Pietro. Ma Canta e Cammina
2014 non è finito qui, ha proseguito ancora verso S. Leonardo
e la chiesa di Mutrecy (nei pressi di Rouen) per concludersi definitivamente nella grande e maestosa chiesa di Saint Gervais
a Parigi con un concerto del coro Cantus Antimi arricchito dalla preparazione e dall’esperienza dei partecipanti al Canta e
Cammina.
Ma si puó cantare con un gatto in gola?
Le espressioni popolari di tante lingue a volte sono molto strane… Come nella lingua francese un raffreddore abbia finito per
essere paragonato a un felino in gola, povera bestiola forzatamente impaurita, graffiante e che morde per tentare di uscire
dal pertugio stretto e inospitale in cui si trova, non si sa. Dicono, infatti, cantori e cantanti francesi: «J’ai un chat dans la gorge!».1 La sola spiegazione possibile per questa metafora viene
proposta dallo studioso Pierre Guiraud nel 1961 nel suo studio
Les Lucutions Françaises. Sembra appunto che l’espressione sia
nata da una confusione o da un gioco di parole fra matou, il
famoso gatto che s’è impiantato in gola, e maton.
73
All’origine maton indicava il latte cagliato o meglio i grumi di
questo latte. Per estensione è passata a indicare anche degli
ammassi di pelo, di lana, di fibre di carta che possono ostruire degli orifizi. Ora, quando si ha la voce raffreddata spesso è
perché si è ammalati e si ha del catarro in gola, catarro che paragonato ai grumi di latte cagliato o a delle cose che ostruiscono dei tubi, si può chiamare maton o – per errore o per gioco
di parole – un matou, quindi gatto (ma vedremo che, dopo un
colpo di bacchetta magica, questo gattone in altre lingue si trasforma in ranocchio o rospo).
«Chasser ce chat chauve caché sous ces six chiches souches
de sauge sèche»: ecco è una frase conosciuta da tutti gli attori poiché rappresenta un esercizio di dizione efficacissimo. Ma
questo esercizio ci suggerisce anche parte della spiegazione ai
mali ben conosciuti dai cantanti: un infuso di salvia? Fa bene
alla gola!
Prima di tutto si tratta di sapere da dove viene, da cosa è causato il micione in questione. Fumi come un pompiere? Non cercare più lontano; la salvia non gli farà niente. Hai appena bevuto un alcolico forte? Non ti spremere invano le meningi, tutto
questo dissecca le mucose vocali. Desideri un caffè, del curry,
del peperoncino… Hai voglia di cioccolato, di prodotti a base di
latte… tutto ciò davvero non fa bene alla gola.
E allora, evitiamo questi prodotti prima di cantare, anche se ne
abbiamo una voglia matta.
Questo micione può comunque ronfare in gola anche a seguito di un’allergia. In tal caso un antistaminico potrebbe sistemare le cose, ma attenti alla sonnolenza che ne segue; è scontato che questo tipo di medicamento non può che essere preso
dopo aver consultato il medico. Pure i reflussi gastrici possono causare sofferenza in gola, proprio come la mancanza di
sonno. E certamente anche una costipazione, un raffreddore,
un’influenza… O forse semplicemente una tecnica vocale deficiente e scorretta.
Non schiarirsi mai la voce! Il primo riflesso naturale è quello di
schiarirsi la voce. Se vedeste cosa succede nella laringe mentre lo fate! Lo schiarimento non fa che peggiorare le cose. E ancora: la credenza che il fatto di succhiare caramelle alla menta
sistemi le cose, a ragione è da considerare un mito. Il mentolo
dà certamente sollievo al dolore anestetizzando parzialmente
la vostra gola. Non sentirete più dolore e conseguentemente
continuerete a forzare, cosa che, nel caso di laringite, rischia di
portarvi all’afonia! Chiudete la bocca, rilassate totalmente la
mascella, emettete il suono “mmmm” in una tessitura comoda,
il più dolcemente possibile. Prendete il respiro con la gola aperta e rifate lo stesso suono un tono sopra. Procedete con l’esercizio. Se avete tempo, rifate questo esercizio su degli arpeggi,
sempre pianissimo. I gatti detestano questo.
1. Espressioni equivalenti in alcune lingue: Germania, Einen Frosh im
Halse haben = avere una rana in gola; Inghilterra, To have a frog in
one’s throat = avere una rana in gola; Paesi Bassi, Een kikker in de
kehel habben = avere una rana in gola; Brasile, Ter un sapo na
garganta = aver un rospo in gola; Spagna, Tener una rana en la
garganta = avere una rana in gola; Italia, Avere un rospo in gola.
74
5-8 novembre 2015
Feniarco e Arcc presentano
Antologia di ritratti di coristi
Ho trovato questo testo satirico molto simpatico. Forse qualcuno già lo conosce,
ma ho deciso di proporlo in Mondocoro per chi non lo conoscesse. Sono piccoli
ritratti di corista che vi faranno certamente pensare ai vostri colleghi cantori e forse voi stessi vi ci identificherete. Sono stati scritti da Jean Bouchon (ho l’impressione che sia un personaggio molto interessante). Nella sua vita Jean Bouchon si
divide fra letteratura e musica. Infatti scrive romanzi, è Chef de Choeur dell’Ensemble Vocal Nice-Plain-Chant dal 1993 e dal 1984 dirige l’Accademia di Musica
di Nizza. Ha ottenuto almeno una dozzina di primi premi, fra cui il Gran Prix De
Composition.
Ma… eccoli i componenti del nostro coro:
Il corista normale: non mostra alcun difetto particolare, non è geloso dei suoi congeneri, è nato equilibrato, non ha la mente contorta, ma semplicemente ama cantare. Non ha una voce straordinaria, ma giusta. Ha qualche nozione di solfeggio.
Ha buon carattere e non parla mai male. Gli piacciono tutti gli stili musicali: il classico, il romantico e anche la varietà. Questo corista non si fa notare, quasi lo si
dimenticherebbe, se non ai concerti: è lui infatti che garantisce meglio. È il corista ideale, il preferito dal direttore del coro. Un caso… rarissimo.
Il brontolone: non è mai contento, non gli piace il programma, trova che lo si prepari troppo in fretta o troppo lentamente, che gli impegni del periodo in corso siano troppi o troppo pochi… E la divisa da concerto? Ridicola! Non sopporta il modo di lavorare del direttore del coro… Si chiede cosa stia lì a fare. Anche gli altri
se lo chiedono!
Il professore: a volte si picca di padroneggiare le basi della teoria musicale e
spesso è molto aperto alle attese del direttore. È un elemento molto importante
in un coro. Pur avendo imparato alla scuola privata a usare correttamente la laringe per evitare l’abbassamento di voce, quando canta ha un sacco di problemi
a trovare buone sensazioni. Non potendo partecipare sensualmente, lo fa pedagogi­camente.
Il (raro) tenore: beato il coro che ha dei tenori! Che siano buoni o cattivi, i tenori
sono degli esseri molto cari. Checché se ne voglia dire, davanti alla penuria si battezza volentieri “tenore” un infelice baritono che sulle note acute patisce il martirio, ma non si lamenta mai, fiero com’è di essere un oggetto prezioso!
Lo sbraitone: canta più forte di tutti perché crede di sapere la sua parte. Ha un
solo credo: fortissimo! È meno grave di un’epidemia, ma fa molto più casino.
Il coscienzioso: ossessionato dalle annotazioni, questo corista si appunta tutto
sulla partitura. Fa segni sopra le righe e sotto le righe, moltiplica le aggiunte, i colori, fa rinvii, commenta. Nessuno ci si ritroverebbe. Neppure lui!
Il pigrone: è una persona dolce, un sognatore che si è trovato per sbaglio in un
coro e non sa come uscirne. E allora rimane. Coristi di questo genere non sono
dannosi. Danno al pubblico l’illusione del numero.
Il dispensatore di consigli: a forza di ascoltarlo si finisce per fare gli stessi errori
che fa lui. È lui che, di solito, offre generosamente il suo tempo facendo perdere
il loro agli altri.
Lo sportivo: durante la prova, ben piantato sui piedi come un sollevatore di pesi,
egli gonfia bene il petto per prendere il respiro; per prendere le note si mette in
apnea e diventa rosso come un peperone prima di riuscire ad espellere un minimo suono. Canta di gola con tutta forza: più è forte, meglio è!
E per finire questa prima parte, l’informatico: carica tutte le partiture sul suo computer e le riscrive più in grande. Lo fa mentre è in ufficio! Spesso arriva a prova
con una edizione dell’opera diversa, scoperta inavvertitamente su internet. Eccolo com’è fiero di mostrare i suoi ritrovamenti! Per lui la musica resta essenzialmente una disciplina matematica e il solfeggio un codice binario. Del resto comu-
www.feniarco.it
cori da tutta Italia
incontri
turismo
e nuove conoscenze
concerti in città e sul territorio
cultura e tradizioni
arte
74
5-8 novembre 2015
Feniarco e Arcc presentano
Antologia di ritratti di coristi
Ho trovato questo testo satirico molto simpatico. Forse qualcuno già lo conosce,
ma ho deciso di proporlo in Mondocoro per chi non lo conoscesse. Sono piccoli
ritratti di corista che vi faranno certamente pensare ai vostri colleghi cantori e forse voi stessi vi ci identificherete. Sono stati scritti da Jean Bouchon (ho l’impressione che sia un personaggio molto interessante). Nella sua vita Jean Bouchon si
divide fra letteratura e musica. Infatti scrive romanzi, è Chef de Choeur dell’Ensemble Vocal Nice-Plain-Chant dal 1993 e dal 1984 dirige l’Accademia di Musica
di Nizza. Ha ottenuto almeno una dozzina di primi premi, fra cui il Gran Prix De
Composition.
Ma… eccoli i componenti del nostro coro:
Il corista normale: non mostra alcun difetto particolare, non è geloso dei suoi congeneri, è nato equilibrato, non ha la mente contorta, ma semplicemente ama cantare. Non ha una voce straordinaria, ma giusta. Ha qualche nozione di solfeggio.
Ha buon carattere e non parla mai male. Gli piacciono tutti gli stili musicali: il classico, il romantico e anche la varietà. Questo corista non si fa notare, quasi lo si
dimenticherebbe, se non ai concerti: è lui infatti che garantisce meglio. È il corista ideale, il preferito dal direttore del coro. Un caso… rarissimo.
Il brontolone: non è mai contento, non gli piace il programma, trova che lo si prepari troppo in fretta o troppo lentamente, che gli impegni del periodo in corso siano troppi o troppo pochi… E la divisa da concerto? Ridicola! Non sopporta il modo di lavorare del direttore del coro… Si chiede cosa stia lì a fare. Anche gli altri
se lo chiedono!
Il professore: a volte si picca di padroneggiare le basi della teoria musicale e
spesso è molto aperto alle attese del direttore. È un elemento molto importante
in un coro. Pur avendo imparato alla scuola privata a usare correttamente la laringe per evitare l’abbassamento di voce, quando canta ha un sacco di problemi
a trovare buone sensazioni. Non potendo partecipare sensualmente, lo fa pedagogi­camente.
Il (raro) tenore: beato il coro che ha dei tenori! Che siano buoni o cattivi, i tenori
sono degli esseri molto cari. Checché se ne voglia dire, davanti alla penuria si battezza volentieri “tenore” un infelice baritono che sulle note acute patisce il martirio, ma non si lamenta mai, fiero com’è di essere un oggetto prezioso!
Lo sbraitone: canta più forte di tutti perché crede di sapere la sua parte. Ha un
solo credo: fortissimo! È meno grave di un’epidemia, ma fa molto più casino.
Il coscienzioso: ossessionato dalle annotazioni, questo corista si appunta tutto
sulla partitura. Fa segni sopra le righe e sotto le righe, moltiplica le aggiunte, i colori, fa rinvii, commenta. Nessuno ci si ritroverebbe. Neppure lui!
Il pigrone: è una persona dolce, un sognatore che si è trovato per sbaglio in un
coro e non sa come uscirne. E allora rimane. Coristi di questo genere non sono
dannosi. Danno al pubblico l’illusione del numero.
Il dispensatore di consigli: a forza di ascoltarlo si finisce per fare gli stessi errori
che fa lui. È lui che, di solito, offre generosamente il suo tempo facendo perdere
il loro agli altri.
Lo sportivo: durante la prova, ben piantato sui piedi come un sollevatore di pesi,
egli gonfia bene il petto per prendere il respiro; per prendere le note si mette in
apnea e diventa rosso come un peperone prima di riuscire ad espellere un minimo suono. Canta di gola con tutta forza: più è forte, meglio è!
E per finire questa prima parte, l’informatico: carica tutte le partiture sul suo computer e le riscrive più in grande. Lo fa mentre è in ufficio! Spesso arriva a prova
con una edizione dell’opera diversa, scoperta inavvertitamente su internet. Eccolo com’è fiero di mostrare i suoi ritrovamenti! Per lui la musica resta essenzialmente una disciplina matematica e il solfeggio un codice binario. Del resto comu-
www.feniarco.it
cori da tutta Italia
incontri
turismo
e nuove conoscenze
concerti in città e sul territorio
cultura e tradizioni
arte
76
nica con gli altri cantori soltanto per e-mail. Nulla di sorprendente, quindi, se
talvolta nel bel mezzo di un canto egli mugghia!
E ci sarebbero ancora lo psicologo, l’adescatore, lo studente segato, il naif, lo stordito, l’ambizioso… la coppia di mezza età, l’avvocato… ma – a dio piacendo – seguiteremo con il prossimo Mondocoro, verso Pasqua! Buon inverno a tutti.
Un compositore alla volta… se ne va
Stephen Paulus – scomparso a 65 anni lo scorso 19 ottobre – è stato un notevole
musicista americano conosciuto soprattutto per le sue opere e per le sue 400 e
più composizioni corali. Era nato il 24 agosto 1949 nel New Jersey. Il suo pezzo
meglio conosciuto (composto nel 1982) è certamente The Postman Always Rings
Twice (Il postino suona sempre due volte) su libretto di Colin Graham basato su
un romanzo del 1934 di James M. Cain, avente lo stesso titolo. Stephen Paulus è
stato uno dei più famosi e prolifici compositori del nostro tempo. Ha scritto oltre
500 lavori musicali che sono stati eseguiti in tutto il mondo. I critici musicali del
New York Times di lui già nel 1982 avevano scritto «a young man on the road to
big things» (un giovane sulla strada verso grandi cose) mentre altri, del Los Angeles
Times, del Cleveland Plain Dealer e di Opera News lo hanno salutato «brillante
inventore lirico la cui musica pulsa con mirata energia cinetica».
Cominciando nel 1979, anno di laurea presso l’Università del Minnesota, con un’opera per l’Opera Theatre of St. Louis, Paulus ha scritto 13 opere eseguite nei teatri
d’opera di Boston, Washington, Minnesota, Sacramento, e molti altri. Per le orchestre di Atlanta, Minnesota, Tucson e Annapolis ha composto 55 lavori orchestrali
diretti in varie occasioni da Osmo Vanska, Christoph van Dohnanyi, Kurt Masur,
Sir Neville Marriner, e Leonard Slatkin. Paulus ha scritto per coro oltre 400 opere
che vanno dal suo oratorio sull’Olocausto, To Be Certain of the Dawn, allo struggente inno Pilgrim’s Hymn cantato ai funerali dei presidenti Reagan e Ford. Le sue
opere hanno avuto migliaia di esecuzioni e registrazioni da parte di gruppi come
The New York Choral Society, L.A. Master Chorale, Robert Shaw Festival Singers,
VocalEssence, Dale Warland Singers e innumerevoli altri. Opere degne di citazione
(che lo spazio limitato a disposizione però non permette) sarebbero anche quelle
composte per grandi cantanti e per grandi solisti strumentali.
Paulus è stato inoltre un appassionato sostenitore delle opere e della carriera dei
suoi colleghi. Nel 1973 è stato uno dei fondatori e collaboratori del Forum dei
Compositori Americani, la più grande organizzazione di servizio ai compositori
statunitensi, e dal 1990 è stato membro del Consiglio di Amministrazione dell’ascap
(American Society of Composers, Authors and Publishers).
La musica di Paulus è stata descritta dai critici e commentatori di programma
come «robusta, angolare, lirica, sottile, ritmicamente aggressiva, originale, spesso
splendida, commovente, e tipicamente americana». La scrittura di Stephen Paulus
si esprime in un linguaggio musicale che è stato definito «…irresistibile in energia
cinetica e inquietante nel design lirico» (Cleveland Plain Dealer). «Mr. Paulus trova
spesso schemi melodici che sono freschi e familiari allo stesso tempo… Le sue
partiture sono invariabilmente esperte ed eccezionalmente fantasiose nel testo e
nell’uso degli strumenti» (The New York Times).
Feniarco presenta
o
r
co
T
B
A
L
Anno XV n. 45 - settembre-dicembre 2014
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Federazione Nazionale Italiana
Associazioni Regionali Corali
T
po
p
u
l
i
v
s
o
l
r
e
p
à
o
t
i
t
l
t
a
e
r
g
o
o
c
pr
della iovani
g
e
i
n
i
b
tra bam
T
Presidente: Sante Fornasier
Direttore responsabile: Sandro Bergamo
Comitato di redazione: Efisio Blanc,
Walter Marzilli, Giorgio Morandi,
Puccio Pucci, Mauro Zuccante
Segretario di redazione: Pier Filippo Rendina
Hanno collaborato: Floranna Spreafico,
Piero Caraba, Manolo Da Rold,
Alessandro Kirschner, Sergio Lella,
Ettore Galvani, Mattia Culmone,
Gianni Vecchiati, Rossana Paliaga
Redazione: via Altan 83/4
33078 San Vito al Tagliamento Pn
tel. 0434 876724 - fax 0434 877554
[email protected]
Progetto grafico e impaginazione:
Interattiva, Spilimbergo Pn
Stampa:
Tipografia Menini, Spilimbergo Pn
Associato all’Uspi
Unione Stampa Periodica Italiana
T
Per aggiornamenti
seguiteci su
www.feniarco.it
T
o ra l i
h
C
i
d
e
azion
d
e
r
a
l
e
tutti
a
Fe n i a r c o
o
n
a
r
u
aug
uovo
n
o
n
n
a
un felice
ter
PROGETTO APS
IDEATO E ORGANIZZATO DA
ISSN 2035-4851
Poste Italiane SpA – Spedizione in
Abbonamento Postale – DL 353/2003
(conv. In L. 27/02/04 n. 46)
art. 1, comma 1 NE/PN
Abbonamento annuale: 25 €
5 abbonamenti: 100 €
c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan 83/4
33078 San Vito al Tagliamento Pn
Progetto sperimentale ai sensi dell’art. 12, comma 3, lett. f), legge 7 dicembre 2000, n. 383, realizzato con il contributo del Ministero del Lavoro
e delle Politiche Sociali. Anno finanziario 2013.
i
d
l
a
v
i
t
s
e
f
a
r
e
v
a
m
i
r
p
Feniarco e Act presentano
n. 45 - settembre-dicembre 2014
n. 45 - settembre-dicembre 2014
Rivista quadrimestrale di Feniarco
Poste Italiane SpA – Spedizione in Abbonamento Postale – DL 353/2003 (conv. In L. 27/02/04 n. 46) art. 1, comma 1 NE/PN
Federazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali
o
d
n
a
t
n
a
c
a
r
t
n
o
c
n
i
i
s
a
l
o
u
c
s
la
2015
e
m
r
e
T
i
n
i
t
a
c
e
t
Toscana Mon
dossier
I CONCORSI
CORALI
GIANMARTINO DURIGHELLO
OLTRE
IL MINIMALISMO?
PER TRENT’ANNI
FENIARCO:
LA VOCE DEI CORI
internazionale
festival per cori scolastici
9•11 aprile
scuole elementari e scuole medie
(6-13 anni)
con il patrocinio di
MiBACT
Regione Toscana
Provincia di Pistoia
Comune di Montecatini Terme
15•18 aprile
scuole superiori
(14-19 anni)
CHORALDISC
Feniarco
evento associato a
seguici su
www.feniarco.it
BENEDICTUS
DOMINUS
POLIFONIA SACRA
IN PUGLIA