Capitolo 6
IL MODELLO MONETARISTA*
1. Introduzione
A partire dagli anni sessanta del Novecento sono stati sviluppati modelli
domanda-offerta aggregata a prezzi variabili. Si tratta dei contributi della cosiddetta
scuola monetarista (che prende le mosse dai lavori di Friedman e Phelps) che saranno
successivamente oggetto di revisione critica da parte della Nuova macroeconomia
classica e della Nuova economia keynesiana.
Obiettivo di fondo della modellistica monetarista è operare un ritorno in grande
stile alle conclusioni del modello neoclassico-walrasiano. Capacità endogena del
sistema di posizionarsi in equilibrio dei mercati, piena occupazione, neutralità della
moneta, inefficacia delle politiche fiscali e monetarie, costituiscono i principi di fondo
dell’economia di mercato nella teoria monetarista.
Il punto di partenza della modellistica “monetarista” è costituito dal tentativo di
superamento del IS-LM che poggiava sull’ipotesi di prezzi dati. Il modello della
“sintesi” si presentava per definizione incapace di spiegare i processi di inflazione e
stagflazione. Il modello domanda-offerta aggregata supera in partenza l’ipotesi di prezzi
dati. D’altra parte il modello IS-LM prevedeva – keynesianamente – il princio secondo
cui il livello di produzione e occupazione è determinato dalla grandezza della domanda
aggregata. Si tratta di un “residuo” keynesiano che i monetaristi non tollerano. Il
modello domanda-offerta aggregata propone una analisi della funzione di offerta
aggregata come del tutto indipendente e separata dalla domanda.
La conclusione cui i monetaristi pervengono è un modello che arricchisce
significativamente la teoria economica “ortodossa”. Infatti, se è vero che restano
confermati i principi neoclassici standard nel lungo periodo, viene proposta una analisi
del processo di aggiustamento del sistema a seguito di shocks di domanda o offerta che
si presenta di grande interesse teorico e ben maggiore “credibilità pratica” della versione
walrasiana. Il monetarismo ripropone inoltre e approfondisce il tema delle aspettative,
aprendo la strada alla Nuova macroeconomia classica e alla teoria delle aspettative
razionali.
2. La funzione di domanda aggregata
Si è detto che nella analisi della domanda e della offerta aggregata i monetaristi
fanno riferimento a principi teorici distinti. Come vedremo, l’analisi della offerta
aggregata viene condotta sulla base della relazione di Phillips, della funzione di
produzione e dell’equazione del mark-up. Viceversa, l’analisi della domanda aggregata
*
Appunti presentati in prima stesura.
1
viene condotta a partire dal modello IS-LM. In estrema sintesi, è possibile costruire la
domanda aggregata nel modo illustrato come segue:
2
i
LM (M*/p*)
E*
LM (M*/p0)
Eo
IS
0
Y*
Yo
Y
p*
p0
Yd
O
Y
Nel quadrante in alto si introducono nel piano interesse-reddito una IS e una LM.
Quest’ultima è costruita per una data quantità di moneta (M*) e un dato livello dei
prezzi (p*). Ne segue un equilibrio in E al reddito Y*. Nel quadrante in basso, sul piano
prezzi-produzione, si inseriscono le coordinate del primo punto di equilibrio: al livello
di prezzi p* si associa il livello di produzione di equilibrio Y*. Supponendo ora che il
livello dei prezzi scenda a po<p*, l’offerta reale di moneta cresce e la LM subisce una
trasposizione verso destra. L’equilibrio si determina ora nel punto Eo del quadrante in
alto. Passando al quadrante in basso viene a definirsi un nuovo punto avente coordinate
Yo e po. Procedendo in questo modo viene a costruirsi la funzione di domanda aggregata
Yd.
La funzione di domanda aggregata ha un andamento decrescente: la quantità
domandata è inversamente correlata al livello dei prezzi. La logica economica che sta
alla base di questa correlazione è la seguente. Al decrescere del livello dei prezzi
aumenta l’offerta reale di moneta, ne segue un aumento della domanda di titoli, un
aumento del prezzo dei titoli, una caduta del tasso di interesse e un conseguente
aumento della domanda di beni di investimento, e dunque della domanda aggregata.
3. La funzione di offerta aggregata
Per quanto concerne la costruzione della curva di offerta aggregata, il modello
monetarista ricorre a tre relazioni fondamentali:
 la curva di Phillips;
 la funzione di produzione;
3
 la relazione tra costi di produzione e prezzi prevista dalla quazione del mark-up.
Come è noto, la curva di Phillips scaturì dall’osservazione di una regolarità statistica
secondo la quale vi è una relazione inversa tra il tasso di variazione dei salari e il tasso
di disoccupazione. Graficamente:
w
0
u*
u
Nel grafico, sulle ordinate vi è il tasso di variazione dei salari w :
w =
wt  wt 1
,
wt 1
dove wt e wt-1 sono, rispettivamente, il salario monetario corrente e il salario monetario
del periodo precedente; mentre sulle ascisse vi è il tasso di disoccupazione u:
u=
LF  N
,
LF
dove LF e N sono, rispettivamente, la forza lavoro complessiva (persone in età
lavorativa occupate o attivamente alla ricerca di una occupazione) e l’occupazione
effettiva.
Come si osserva nel grafico, al ridursi del tasso di disoccupazione cresce il tasso
di variazione dei salari. Allorchè il tasso di disoccupazione scende al di sotto di u* il
tasso di variazione salariale assume segno positivo (inflazione salariale); allorché il
tasso di disoccupazione è maggiore di u* il tasso di variazione dei salari assume un
segno negativo (deflazione salariale). Il tasso di disoccupazione al quale i salari sono
costanti ( w =0) è indicato con u*. La curva ha concavità rivolta verso l’alto in quanto si
assume (come sembrò emergere dalle analisi statistiche condotte da Phillips) che una
riduzione unitaria del tasso di disoccupazione determina una crescita del tasso di
4
variazione salariale tanto maggiore quanto minore è il tasso di disoccupazione di
partenza.
E’ evidente l’implicazione preoccupante della curva di Phillips: l’esistenza di un
trade-off tra piena occupazione e stabilità dei salari. Qualora le autorità di politica
economica decidessero di perseguire la stabilità dei salari, l’economia sarebbe costretta
a sopportare un certo livello di disoccupazione. Viceversa, se le autorità decidessero di
proporre una politica di piena occupazione, l’economia dovrebbe sopportare una
inflazione salariale1.
La relazione di Phillips in quanto tale nega i principi di base della teoria
neoclassico-walrasiana. E’ dunque motivo di grande interesse che una riproposizione in
grande stile di quei principi – ciò che è in sostanza il monetarismo – trovi tra i principi
fondanti la curva di Phillips. Come vedremo, il potenziale critico della curva di Phillips
sarà, al termine della parabola teorica costruita dai monetaristi, confinato a uno scenario
di breve periodo.
La relazione della curva di Phillips può essere semplicemente espressa nel
seguente modo:
w = g(u*-u ),
dove u è il tasso di disoccupazione effettivo e u* è il tasso di disoccupazione al quale i
salari sono costanti. Se la disoccupazione effettiva eguaglia u* si ha w =0.
Il tasso di disoccupazione u* può essere indicato come segue:
u*=
LF  N *
,
LF
dove N* è il livello di occupazione al quale i salari sono costanti (in altre parole N* è il
livello di occupazione che, data la forma lavoro esistente, corrisponde a u*).
Sostituendo si ha:


 LF  N * LF  N 
,

w = g 
LF 
 LF


da cui:
w = g
N N *
;
LF
L’idea di un trade-off tra piena occupazione e stabilità salariale è in realtà ben più antica degli scritti di
Phillips. Il più noto precedente è rinvenibile nel Capitale di Marx. Come è noto, Marx che teorizzò l’idea
di una relazione inversa tra l’ampiezza dell’“esercito industriale di riserva” (cioè il volume dei lavoratori
in cerca di occupazione) e il livello dei salari. Tale idea veniva giustificata da Marx attraverso “l’effetto
disciplina”: al crescere della disoccupazione si riduceva il potere contrattuale della classe lavoratrice si
faceva più forte la “minaccia” del licenziamento e, conseguentemente, si riducevano le pressioni di
aumento salariale (contemporaneamente, aumentava la produttività media del lavoro).
1
5
e poiché:
w =
wt  wt 1
,
wt 1
sostituendo si avrà:

 N  N * 
wt =wt-1 1  g 
 .
 LF 

quest’ultima relazione non è altro che una trasformazione dell’equazione della curva di
Phillips: questa, invece di essere espressa come relazione tra tasso di disoccupazione e
tasso di variazione dei salari, è ora trasformata in una relazione tra salari e occupazione:
w
wt=wt-1
0
N*
N
Utilizzeremo l’equazione appena indicata come prima delle tre equazioni utili per
desumere l’equazione della funzione di offerta aggregata.
La seconda relazione da prendere in considerazione per la determinazione della
offerta aggregata e una funzione di produzione. Riccorriamo alla funzione più semplice
possibile, una funzione lineare:
Y =  N;
in questa equazione la produttività marginale del lavoro è costante e coincide con la
produttività media del lavoro . La funzione può essere rappresentata come segue:
6
Y

O
N
La terza relazione da considerare per pervenire alla equazione della offerta
aggregata è costituita dalla relazione tra costi e prezzi definita dalla equazione del markup. Si tratta della celebre ipotesi circa la formazione dei prezzi, secondo la quale le
imprese fissano il loro prezzo aggiungendo al costo di produzione un margine di
profitto:
pt=
wt

1  q  ;
dove wt è il salario medio per lavoratore,  è la produttività media del lavoro e q è il
margine di profitto. Il rapporto w/ rappresenta il costo di produzione per unità di
prodotto; infatti questo rapporto altro non è che il rapporto tra il monte salari e il
volume complessivo della produzione: è la quota della produzione che spetta ai
lavoratori:
w


wN
.
N
L’ampiezza del margine di profitto q dipende dal grado di monopolio: tanto più siamo
vicini alla concorrenza perfetta tanto più q tenderà a zero.
A questo punto date le tre relazioni individuate siamo in gredo di pervenire alla
equazione della offerta aggregata.
Partiamo dalla equazione del prezzo, sostituendo al salario wt il termine destro
della equazione della curva di Phillips modificata:
pt =
wt

1  q   wt 1

 N  N * 
1  g  LF 




7
1  q  ,
e poiché wt-1/ (1+q) non è altro che il prezzo del periodo precedente, pt-1, sostituendo
abbiamo:

 N  N * 
pt  pt 1 1  g 
 .
 LF 

A questo punto, prendiamo in considerazione la funzione di produzione; sappiamo che:
Y/=N. Per cui:

 Y  Y * 
 ;
p t  p t 1 1  g 
 Y


po


dove Y è evidentemente il livello di produzione corrente, Y* è il livello di produzione
corrispondente a N*, mentre Ypo rappresenta il livello di produzione che si otterrebbe in
caso di impiego di tutta la forza lavoro disponibile.
A questo punto, per semplicità indichiamo g/Ypo con ; si ottiene l’equazione
della funzione di offerta aggregata:
pt = pt-1 1+ (Y- Y*).
La funzione può essere rappresentata nel quadrante prezzi e produzione come
segue:
p
Ys
pt= pt-1
O
E
Y =Y*
Y
La funzione di offerta aggregata passa necessariamente per il punto E, di
coordinate Y=Y* e pt=pt-1. Infatti, come si osserva dalla equazione, se la produzione
effettiva coincide con il livello della produzione a cui i salari sono costanti, la differenza
i parentesi tonda si annulla e i prezzi sono costanti. Dalla equazione si desume con
8
altrettanta evidenza che al crescere della produzione al di sopra di Y* si ha p t>pt-1. La
funzione deve dunque essere inclinata positivamente. Per comprendere la logia
economica della relazione positiva tra prezzi e produzione occorre ragionare come
segue. Al crescere della produzione si innesca la seguente catena causale: aumento della
occupazione (per la funzione di produzione), aumento dei salari monetari (per la
relazione di Phillips), aumento dei prezzi (per l’equazione del mark-up).
A questo punto, descritte le funzioni di domanda e offerta aggregata siamo in
grado di mostrare l’assetto di equilibrio.
p
Yd
Ys
pt= pt-1
O
E
Y =Y*
Y
4. Shock della domanda: politica monetaria espansiva
Per comprendere la natura dell’equilibrio e dar conto della capacità del sistema
di “trovare” l’equilibrio (convergenza) prendiamo in considerazione alcuni shocks sulla
domanda e sulla offerta. Prendiamo le mosse da uno shock dal lato della domanda.
Supponiamo che l’economia si trovi inizialmente nel punto di equilibrio E
(prezzi costanti e produzione coincidente con il valore della occupazione che stabilizza i
salari). Supponiamo quindi che intervenga uno shock della domanda; in particolare,
supponiamo che le autorità monetarie incrementino la quantità di moneta in circolazione
nel tentativo di accrescere il livello di attività dell’economia. L’incremento della
quantità di moneta determina una trasposizione della curva della domanda aggregata
verso l’alto e verso destra. Per comprendere la ragione di questo spostamento è
sufficiente ricordare che per costruire la Yd abbiamo utilizzato il modello IS-LM e che
un aumento della offerta di moneta determina una trasposizione della LM verso destra.
L’economia si sposta dunque dal punto E a E1.
9
YsF
YsLP
p
Ys1
Ef
ptF
Ys0
E2
E1
pt=pt-1
E0
Yd1
Yd0
O
Y=Y*
Y
Tuttavia, il punto E1 rappresenta solo un equilibrio temporaneo (o di breve periodo).
Infatti, in E1 il livello di produzione eccede Y*; ciò significa che si metterà in moto un
processo di crescita dei salari e dei prezzi. Su un piano grafico, il risultato è uno
spostamento della Ys verso sinistra nella posizione della Ys1. La Ys1 passerà per un
punto avente per coordinate il livello di produzione Y* e per prezzo il livello del
periodo precedente, cioè il prezzo corrispondente al punto E1. Come risultato, si ottiene
un nuovo punto di equilibrio di breve periodo: il punto E2. In E2 la produzione, pur
ridottasi, continua a eccedere il livello (Y*) al quale i salari sono costanti. Ne segue un
aumento dei prezzi e dunque una ulteriore trasposizione della Ys verso sinistra. Gli
spostamenti della funzione di offerta aggregata proseguono sino a che non si raggiunge
il punto Ef, in corrispondenza del quale - poiché Y=Y* - non si hanno più aumenti dei
salari e dei prezzi. L’economia ha trovato il nuovo punto di equilibrio di lungo periodo.
In corrispondenza di tale punto, notiamo, che si realizza un incremento del
livello di produzione ed un incremento del livello dei prezzi, per cui, almeno nel breve
periodo, le variabili monetarie, non si presentano come delle variabili neutrali, in quanto
hanno degli effetti anche sulle variabili reali; infatti in seguito all’aumento dell’offerta
di moneta, si registra nell’ambito dell’economia, un incremento del livello di
produzione e di conseguenza del livello di occupazione;( per cui sulla curva di Phillips,
ci spostiamo da destra verso sinistra, in quanto la disoccupazione diminuisce).
A questo punto, possiamo trarre alcune importanti conclusioni differenziando
radicalmente tra breve e lungo periodo.
Nel breve periodo:
 le variazioni della quantità di moneta inducono variazioni del livello di
produzione e occupazione; ciò significa che la politica monetaria è efficace e
che la moneta non è neutrale;
 le variazioni della quantità di moneta non inducono variazioni corrispondenti
del livello dei prezzi: la teoria quantitativa della moneta non si applica.
Nel lungo periodo:
 le variazioni della quantità di moneta non inducono variazioni reali; ciò
significa che la politica monetaria è inefficace e che la moneta è neutrale;
10

le variazioni della quantità di moneta generano unicamente variazioni
proporzionali dei prezzi: risulta confermata la teoria quantitativa della
moneta;
 il livello di produzione rimane ancorato a quel valore al quale i salari non
crescono; in atri termini l’economia rimane ancorata al tasso di
disoccupazione al quale i salari sono costanti; questo tasso di disoccupazione
rappresenta si presenta come il tasso naturale di disoccupazione
dell’economia;
 la relazione tra disoccupazione e salari viene meno: l’offerta aggregata (di
lungo periodo) si presenta come una retta verticale di equazione Y=Y*.2
Vale la pena sottolineare che la “riproposizione” della teoria quantitativa della moneta
risulta qui ben più convincente rispetto alla originaria versione neoclassico-walrasiana.
In questo caso, infatti, viene proposta un’analisi molto più ampia e articolata secondo la
quale la neutralità della moneta è una “conquista” di lungo periodo del sistema mentre
nella modellistica più tradizionale una variazione dell’offerta di moneta determina
corrispondenti variazioni istantanee del livello dei prezzi.
4. Shock della domanda: politica fiscale espansiva
Supponiamo nuovamente che l’economia si trovi inizialmente nel punto di
equilibrio E (prezzi costanti e produzione coincidente con il valore della occupazione
che stabilizza i salari). Ipotizziamo quindi che intervenga uno shock della domanda
dovuto, in questo caso, ad una politica fiscale espansiva. La politica fiscale espansiva
determina uno spostamento della Yd verso destra (nella posizione Yd1). Ancora una
volta, per comprendere il perché è sufficiente ricordare che la politica fiscale espansiva
traspone la IS verso destra. L’economia si sposta dunque dal punto E a E1. Tuttavia,
anche in questo caso, il punto E1 sostituisce un equilibrio di breve periodo. Infatti, la
politica fiscale espansiva non rappresenta che una “iniezione” di domanda limitata al
periodo t. Nel periodo successivo, una volta esauritasi la politica fiscale espansiva, la Yd
torna nella sua posizione iniziale. Il punto di equilibrio di lungo periodo coincide con il
punto di partenza E0.
2
Qualora le autorità monetarie decidessero di ridurre il quantitativo di moneta in circolazione, nel breve
periodo si determinerebbe una riduzione del livello di produzione; tale riduzione della produzione al di
sotto di Y* verrebbe endogenamente combattuta dal sistema, attraverso una riduzione dei salari e di
conseguenza dei prezzi, con conseguenti spostamenti della Ys verso destra. Nel lungo periodo si
registrerebbe un ritorno alla produzione d’equilibrio Y*, con un livello dei prezzi ridotto in proporzione al
calo della offerta di moneta.
11
YsLP
p
Ys0
E1
pt=pt-1
E0 =EF
Yd1
Yd0=YdF
O
Y=Y*
Y
Anche in questo caso, possiamo trarre alcune conclusioni differenziando tra
breve e lungo periodo.
Nel breve periodo:
 la politica fiscale espansiva determina un incremento della produzione e
della occupazione: la politica è efficace.
Nel lungo periodo:
 le politica fiscale espansiva non riesce a variare il livello di produzione e
occupazione; ciò significa che la politica fiscale è inefficace;
 il livello di produzione rimane ancorato a quel valore al quale i salari non
crescono; in altri termini, l’economia rimane ancorata al tasso di
disoccupazione al quale i salari sono costanti; questo tasso di disoccupazione
rappresenta si presenta come il tasso naturale di disoccupazione
dell’economia;
 risulta confemato che l’offerta aggregata (di lungo periodo) si presenta come
una retta verticale di equazione Y=Y*.
Alla luce dell’esame condotto sulla efficacia delle politiche emerge con
chiarezza che il modello monetarista conferma la capacità della economia di mercato di
trovare endogenamente un assetto di equilibrio macroeconomico con pieno impiego.
Tuttavia, va sottolineato che il livello di produzione verso il quale il sistema tende
inesorabilmente (Y=Y*) corrisponde a quel livello di produzione che viene realizzato in
corrispondenza del tasso di disoccupazione a cui i salari sono costanti. Dal punto di
vista monetarista, l’economia tende a stabilire un equilibrio in corrispondenza di quel
livello del tasso di disoccupazione a cui i salari sono costanti. Per questo motivo,
Friedman parla di “tasso di disoccupazione naturale”, il cui concetto coinciderebbe
sostanzialmente con il pieno impiego.
12
5. Shock dell’offerta
Supponiamo, a questo punto, di prendere in considerazione uno shock negativo
dal lato dell’offerta, costituito per esempio da un aumento del costo delle materie prime
(per semplicità, tralasciamo di considerare la equazione della curva di offerta in cui
rientrano questo tipo di costi). L’aumento del costo delle materie prime determina uno
spostamento della . Graficamente:
p
Ys1
pt+1
Ys0=YsF
E1
E0=EF
pt=pt-1=pF
Yd
O
Y1
Y*
Y
In questo caso, l’offerta aggregata si sposta inizialmente da Ys0 a Ys1. L’equilibrio si
sposta da E0 a E1. Tuttavia, quest’ultimo è solo un punto di equilibrio temporaneo.
Infatti, in corrispondenza di E1 si ha un livello di produzione inferiore rispetto alla
produzione che stabilizza i salari, e dunque un tasso di disoccupazione maggiore
rispetto al tasso di disoccupazione naturale. Siamo quindi lungo la curva di Phillips alla
destra di u*. Pertanto, i salari si riducono – sostanzialmente controbilanciando la
crescita del prezzo delle materie prime – e la funzione di offerta aggregata si traspone
verso il basso sino a tornare nella posizione iniziale. L’equilibrio finale è dunque
rappresentato dal punto E0=EF.
6. Il modello domanda-offerta aggregata con aspettative inflazionistiche
A questo punto vediamo come il modello monetarista può essere ulteriormente
arricchito inserendo le aspettative inflazionistiche.
A ben vedere, il ragionamento fino ad ora proposto risulta essere semplicistico in
quanto fa riferimento a un’equazione della curva di Phillips priva di aspettative
inflazionistiche. In effetti, nell’analisi della relazione tra tasso di disoccupazione e salari
monetari le aspettative di inflazione giocano un ruolo importante. Infatti, nella realtà, la
contrattazione sul salario monetario tra imprenditori e lavoratori avviene sulla base di
un livello dei prezzi atteso o previsto per il periodo futuro. Introducendo questo
ragionamento, la curva di Phillips può essere espressa nel seguente modo:
13
...
w  p e   Y  Y * ,
.
.
.
dove w rappresenta il tasso di variazione salariale e pe il tasso di inflazione atteso.
Allorché il livello di produzione è pari alla produzione a cui i salari sono costanti
(Y=Y*), il tasso di crescita dei salari sarà pari al tasso di inflazione atteso. Data
l’equazione del mark-up, qualsiasi crescita dei salari si trasforma in una crescita dei
prezzi; conseguentemente l’equazione della offerta aggregata con aspettative
inflazionistiche diventa:
.
.
pt = p te +  (Y-Y*) .
La Ys con aspettative inflazionistiche può essere rappresentata nel quadrante tasso di
inflazione-produzione come segue:
.
p
.
Ys( p te )
.
.
p t = p te
A
O
Y=Y*
Y
La Ys passa per il punto A, in quanto allorché la produzione è al livello al quale i salari
crescono come l’inflazione attesa, il tasso di inflazione effettivo risulta essere pari al
tasso di inflazione atteso. L’inclinazione positiva della offerta aggregata si deve alla
circostanza che al crescere della produzione al di sopra di Y* cresce conseguentemente
l’occupazione, il tasso di variazione dei salari supera il tasso di inflazione atteso e di
conseguenza aumenta il tasso di inflazione effettivo.
La Ys è tracciata per un dato livello del tasso di inflazione atteso. Al crescere
delle aspettative inflazionistiche la Ys si traspone verso l’alto a sinistra.
Per completare l’analisi è necessario introdurre anche una nuova funzione di
domanda aggregata che si presenti come una relazione tra inflazione e quantità
domandata. Una equazione della domanda aggregata che tenga conto di quanto
14
osservato con la precedente funzione di domanda e che permetta di tenere conto
dell’impatto della politica monetaria e della politica fiscale è la seguente:
.
 .

Yt  Yt 1    mt  p t   eG ,


.
.
dove m t rappresenta il tasso di crescita della quantità di moneta – (mt-mt-1)/mt-1 –, p
rappresenta il tasso di inflazione, la differenza in parentesi è il tasso di crescita dei saldi
monetari reali, ed eG tiene conto dell’impatto della politica fiscale. Ovviamente, se il
tasso di crescita della quantità di moneta dovesse risultare maggiore del tasso
dell’inflazione si avrebbe una crescita dei saldi monetari reali; quest’ultimo
determinerebbe un incremento della domanda aggregata. Di conseguenza, la domanda
di merci risulta pari a quella del periodo precedente, a meno che non intervenga una
variazione dei saldi monetari reali e a meno dell’incidenza della politica fiscale.
La funzione di domanda può essere rappresentata come segue.
.
p
B
.
.
p t  mt
Yd
O
Yt = Yt-1
Y
Data l’equazione, risulta evidente che, in assenza di politica fiscale, nel caso in cui i
.
.
saldi monetari reali non crescono ( p t  m t ) la domanda risulterà invariata rispetto al
periodo precedente (Yt = Yt-1): la curva passa per il punto B. Il motivo per cui la Yd si
presenta negativamente inclinata può essere facilmente compreso supponendo di
trovarci inizialmente in B. Supposta una riduzione del tasso di inflazione (al di sotto di
.
p t ) aumentano i saldi monetari reali; di conseguenza aumenta la domanda di merci.
Potremmo anche ragionare alla maniera del modello IS-LM: quando si riduce il tasso di
inflazione aumentano i saldi monetari reali; di conseguenza aumenta la domanda di
titoli, aumenta il prezzo dei titoli, si riduce il tasso di interesse, aumenta la domana di
beni di investimento e dunque la domanda aggregata.
L’equilibrio domanda-offerta aggregata può essere rappresentato come segue.
15
.
.
p, m
Yd
.
.
Ys
.
p t  mt  p te
E
O
Yt=Y*=Yt-1
Y
Notiamo che il reddito d’equilibrio corrisponde al reddito del periodo precedente e
contemporaneamente al reddito “corrispondente” al tasso di disoccupazione naturale. Il
tasso di inflazione di equilibrio è uguale al tasso di inflazione atteso e,
contemporaneamente, al tasso di crescita della quantità di moneta.
7. Il modello con aspettative adattive
Per vedere all’opera il modello avanziamo, seguendo lo sviluppo della
modellistica monetarista, una specifica ipotesi circa la formazione delle aspettative.
Supponiamo che le aspettative siano adattive: il tasso di inflazione atteso per il periodo t
può essere semplicemente il tasso di inflazione registrato nel periodo precedente:
.
.
p t  p e 1 ;
di conseguenza, l’equazione della Ys può essere scritta nel modo che segue:
p t  p t 1   Y  Y * ;
.
.
mentre l’equazione della domanda resta:
.
 .

Yt  Yt 1    mt  p t   eG .


16
A questo punto supponiamo che intervenga uno shock dal lato della domanda dovuto a
.
.
.
un incremento del tasso di crescita della quantità di moneta (da m t a m t 1 > m t come
effetto della politica monetaria espansiva). Come conseguenza si avrà una traslazione
della domanda aggregata verso l’alto a destra. La nuova funzione di domanda (la Yd1
.
passerà per il punto di coordinate Yt e m t 1 . L’economia si sposta dal punto E al punto
E1 (si veda il grafico in basso).
Yd2
.
.
p, m
Yd1
E2
Ys2
Ys
.
m t 1
E1
.
.
.
p t  mt  p te
E
Yd
O
Yt=Y*=Yt-1
Y
La Yd si è spostata verso destra in quanto un aumento del tasso di crescita della quantità
.
.
di moneta determina un aumento della differenza m p , cioè una crescita dei saldi
monetari reali. L’economia si viene dunque a trovare in E1, che non rappresenta il punto
d’equilibrio finale ma solo un equilibrio temporaneo o di breve periodo. Infatti, giunti in
E1 sia la Yd che la Ys tenderanno a trasporsi. La Yd tenderà a spostarsi ancora verso
destra, in quanto in E1 i saldi monetari reali stanno ancora crescendo, dal momento che
il tasso di inflazione corrispondente a E1 risulta inferiore al nuovo livello del tasso di
.
crescita della moneta m t 1 . Di conseguenza, la Yd subirà una nuova trasposizione verso
destra in Yd2. D’altra parte anche la Ys si trasporrà. Infatti, in E1 il livello di produzione
eccede la produzione corrispondente al tasso naturale di disoccupazione; di
conseguenza, la crescita dei salari accelera e con essa la crescita dei prezzi. L’economia
viene ora a trovarsi nel punto E2. Ma anche E2 costituisce un equilibrio di breve
periodo: la Yd e la Ys si trasporranno ancora.
E’ possibile dimostrare che questo processo di aggiustamento tenderà a far
convergere l’economia al punto EF, secondo il processo descritto dal grafico che segue.
17
YsL
.
.
p, m
E2
Ys
.
m t 1
EF
E1
.
.
.
p t  mt  p te
E
Yd
O
Yt=Y*=Yt-1
Y
Si noti che l’equilibrio finale o di lungo periodo ha per coordinate il livello di
produzione corrispondente al tasso naturale di disoccupazione (Y*) e il tasso di
inflazione coincidente con il nuovo livello del tasso di crescita della quantità di moneta
.
( m t 1 ).
E’ anche importante osservare che il processo di aggiustamento segue un
sentiero non lineare ma oscillatorio: il tasso di inflazione, inizialmente inferiore rispetto
al tasso di inflazione di equilibrio, supera quest’ultimo per poi cadere nuovamente al di
sotto e infine raggiungere l’equilibrio (similmente si può osservare per il livello di
produzione di equilibrio). Tale processo di aggiustamento oscillatorio è noto come
overshooting. L’interesse verso questo particolare processo di aggiustamento è dovuto
alla circostanza che esso è in grado di spiegare fenomeni come la stagflazione. In effetti,
l’interesse verso il modello monetarista si deve principalmente alla sua capacità di
distinguere tra breve periodo e lungo periodo e dare conto della complessità del
processo di aggiustamento. Il modello monetarista si pone come un arricchimento del
modello neoclassico attraverso un’analisi della fase intermedia.
L’analisi appena condotta ci consente di ribadire la conclusione già avanzata
nella precedente versione (senza aspettative) del modello monetarista: la politica
monetaria è efficace nel breve periodo ma perde completamente la sua efficacia nel
lungo periodo. Nel lungo periodo si ha una totale conferma della teoria quantitativa
della moneta.
Con riguardo ai soli punti di equilibrio di lungo periodo appare evidente che la
funzione di offerta aggregata si presenta come una retta verticale di equazione Y=Y*.
Ne segue una distinzione chiara tra la funzione di offerta di breve periodo e la funzione
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di offerta di lungo periodo. E’ altresì chiaro che il trade-off della curva di Phillips
rimane confermato solo in un orizzonte di breve periodo.
Alla stregua di quanto appena osservato è possibile esaminare gli effetti di una politica
fiscale espansiva. Ipotizzando di partire da un punto d’equilibrio iniziale E (grafico in
basso), supponiamo di assistere a una politica fiscale espansiva limitata al periodo t e
mirante ad incrementare la produzione e il livello di occupazione.
Ys2
Ys
E2
.
.
E1
.
p t 1  p t  m
E
Yd1
Yd
2
Yd
0
Y*=Yt=Yt-1
Y
In seguito a tale manovra, la Yd subisce una trasposizione verso l’alto e verso destra
nella posizione della Yd1 (eG>0). L’economia si sposta da E a E1. Il punto E1
rappresenta solo un equilibrio di breve periodo. Infatti, il livello di produzione
corrispondente a E1 risulta essere maggiore del livello di produzione corrispondente al
tasso naturale di disoccupazione; di conseguenza si avrà un aumento del tasso di
crescita dei salari con conseguente aumento del tasso di inflazione a cui saranno offerta
le merci. Ciò significa che la funzione Ys si traspone verso l’alto a sinistra nella (Ys2).
D’altra parte anche la funzione di domanda tenderà a trasporsi. Infatti, in
corrispondenza di E1 il tasso di inflazione supera il tasso di crescita della quantità di
moneta: si ha una riduzione dei saldi monetari reali e una conseguente riduzione della
domanda: la Yd si traspone verso il basso a destra (Yd2). L’economia trova un nuovo
punto di equilibrio di breve periodo in E2. E così via. Anche in questo caso il processo
di aggiustamento avrà natura oscillatoria. Il punto finale di equilibrio è EF,
corrispondente al punto di equilibrio iniziale. Anche la politica fiscale si mostra del
tutto inefficace in un orizzonte temporale di lungo periodo.
8. Note sul modello domanda-offerta aggregata con aspettative razionali
Le conclusioni cui siamo giunti a proposito del modello domanda-offerta
aggregata con aspettative inflazionistiche devono essere sottoposte ad ulteriore
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approfondimento. Il riferimento è alla sostituzione della ipotesi di aspettative adattive
con la ipotesi di aspettative razionali. Il dibattito sul modello monetarista, con
particolare riferimento alla discussione che ha coinvolto gli esponenti della nuova
macroeconomia classica, si è incentrato tra l’altro sulla opportunità di accogliere
l’ipotesi di aspettative adattive. Ciò che i critici di matrice neoclassico-walrasiana hanno
posto in evidenza è che l’ipotesi di aspettative adattive implica l’errore sistematico degli
agenti in processi di aggiustamento come quelli poc’anzi osservati.
Sarebbe pertanto opportuno introdurre l’ipotesi di aspettative razionali, secondo
la quale gli agenti si comportano come se conoscessero le equazioni del sistema e
quindi fossero perfettamente in grado di prevedere gli effetti si shocks di domanda e
offerta.
I modelli offerta-domanda aggregata con aspettative razionali danno luogo a
risultati che possono essere agevolmente commentati alla luce della analisi svolta nel
paragrafo precedente.
Una politica monetaria espansiva, consistente in un incremento del tasso di
crescita della quantità di moneta, non dà luogo a un processo di aggiustamento simile a
quello osservato in precedenza. Sotto ipotesi di aspettative razionali, infatti, l’economia
si sposta istantaneamente dal punto E al punto EF, senza alcuna differenza tra breve e
lungo periodo.
.
.
p, m
.
m t 1
.
.
EF
.
p t  mt  p te
O
E
Yt=Y*=Yt-1
Y
Infatti, in questo modello, gli agenti comprendono perfettamente che la variazione
puramente nominale del tasso di crescita della quantità di moneta non può avere effetti
reali e conseguentemente si limitano a variare proporzionalmente tutti i prezzi.
Conclusioni analoghe possono essere tratte per il caso di una politica fiscale
espansiva: i suoi effetti sul livello di attività dell’economia, tanto nel breve periodo
quanto nel lungo periodo, saranno nulli.
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Risulta evidente che il modello monetarista, sotto l’ipotesi di aspettative
razionali, torna alle conclusioni del modello neoclassico-walrasiano.
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