UNIVERSITA` DEGLI STUDI DI TORINO TESI DI LAUREA

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
Facoltà di Lettere e Filosofia
Corso di laurea in Lettere Moderne
TESI DI LAUREA
La questione Aids in Italia:
dall’emergenza a nuove strategie di lotta (1983 – 1994)
Relatore
Prof. ssa Ester De Fort
Candidato
Tiziano Picca Piccon
[email protected]
Alla mia famiglia,
a chi ha creduto in me,
a chi non c’è più,
e a chi ci sarà…
ii
INTRODUZIONE
I
CAP.1 - IL QUADRO GENERALE -
1
1.1 LA SCOPERTA E LA CODIFICAZIONE DELLA MALATTIA (1981-84)
1
1.1.1 LA SCOPERTA DELL'AGENTE VIRALE
7
1.1.2 LA GUERRA PER LA PATERNITÀ DEI TEST
8
1.2 UNA NUOVA FASE NELLA MALATTIA: LA SIEROPOSITIVITÀ. ALLA CONOSCENZA DEL
VIRUS (1985-87)
9
1.3 LA MOBILITAZIONE MONDIALE E L'AZT: UNA SPERANZA SI ACCENDE (1987-1990) 11
1.4 L’IMPLEMENTAZIONE DELLE POLITICHE PREVENTIVE E I PASSI IN AVANTI DELLA
RICERCA 1991-95
15
1.5 1996: LA SVOLTA
17
1.6 GLI ANNI DUEMILA LA PANDEMIA NEL SUD DEL MONDO
18
1.7 LA DIFFUSIONE DELL'EPIDEMIA A LIVELLO GLOBALE
21
CAP.2 - L'ASSOCIAZIONISMO -
24
2.1 LE PRIME ASSOCIAZIONI AMERICANE
2.2 I PRINCIPI DI DENVER
2.3 L'ATTIVISMO FARMACOLOGICO
2.3.1 DIMOSTRAZIONE CONTRO LA FOOD AND DRUG ADMINISTRATION
2.4 IL MANIFESTO DI MONTREAL E IL “ PARALLEL TRACK”
2.4.1 IL “PARALLEL TRACK”
24
25
26
28
29
30
CAP.3 - TUTELA INDIVIDUALE VERSUS TUTELA COLLETTIVA -
32
3.1
3.2
3.3
3.4
33
37
42
45
L'AIDS COME MODELLO DI MALATTIA ECCEZIONALISTA
LA CRITICITÀ DEL TEST
EDUCAZIONE-INFORMAZIONE-PREVENZIONE
LA RIDUZIONE DEL DANNO
CAP 4 - LA DIFFUSIONE DELL'EPIDEMIA IN ITALIA -
48
CAPITOLO 5 - I PROTAGONISTI DELLA LOTTA ALL'AIDS E I PUNTI
NODALI DI NEGOZIAZIONE -
53
5.1
5.2
5.3
56
58
60
MEDICI E SCIENZIATI
POLITICI E AMMINISTRATORI
I MOVIMENTI SOCIALI
CAPITOLO 6 - L'ASSISTENZA -
66
6.1
6.2
6.3
6.4
6.5
66
70
74
78
87
LE RICHIESTE DI ASSISTENZA E CURA
IL I° PROGETTO OBIETTIVO AIDS
IL PIANO DI INTERVENTO PREDISPOSTO DAL MINISTRO DELLA SANITÀ
IL DIBATTITO PARLAMENTARE SULLA LEGGE 135
L'ATTUAZIONE DELLA LEGGE 135
iii
6.6
LA RICERCA
100
CAPITOLO 7 - IL DIBATTITO SUL TEST -
104
7.1
7.2
7.3
7.4
104
107
110
115
L'INTRODUZIONE DEL REGISTRO NOMINATIVO
IL TEST NEL DIBATTITO POLITICO-ISTITUZIONALE
LE DISCUSSIONI IN PARLAMENTO: LA TUTELA DELLA RISERVATEZZA
LE CRITICHE E I LIMITI DEGLI ARTICOLI 5 E 6
CAP. 8 LA PREVENZIONE
121
8.1
8.2
8.3
122
132
138
LA PREVENZIONE SECONDO DONAT CATTIN
LA PREVENZIONE SECONDO DE LORENZO
LA RIDUZIONE DEL DANNO IN ITALIA
CAP 9 - AIDS E CARCERE -
146
9.1
9.1
9.2
146
147
149
LA DIFFUSIONE DELL’AIDS NELLE CARCERI
PREVENZIONE E PROBLEMI DELLE PERSONE SIEROPOSITIVE
INCOMPATIBILITÀ TRA AIDS E CARCERE
CONCLUSIONI
154
GLOSSARIO
160
APPENDICE
166
BIBLIOGRAFIA
176
iv
Introduzione
Oggi parlare di aids ha un significato molto diverso rispetto ai primi anni della scoperta
della “nuova” malattia. L'aids non ha più quel alone di mistero, di fatalità, di novità che
hanno destato allarme e psicosi nelle società occidentali. Ma al suo apparire nei primi anni
Ottanta e fino alla metà degli anni Novanta l'aids è stato avvertito dalla società generale
come uno dei problemi più pressanti nell'agenda politica e di salute pubblica. L'aids ha
investito l'intera società per vari motivi:
- ha portato ad un ripensamento dei valori e delle acquisizioni dei movimenti di liberazione
sessuale degli anni '60-70, rappresentando quasi una cesura rispetto a quei periodi,
favorendo l'emergere di proposte di gestione della sfera sessuale in un’ottica medica: il
preservativo come strumento profilattico per l'intera società;
- ha impegnato larghi settori della società nella lotta contro l'epidemia: medici, politici,
studiosi di scienze sociali, volontari, la ricerca scientifica, le istituzioni religiose, le case
farmaceutiche;
- ha avuto un impatto sulla sfera più intima delle relazioni dell'uomo comune;
- ha dato maggiore visibilità ad alcuni problemi strutturali delle società occidentali: come il
fenomeno della tossicodipendenza o delle discriminazioni verso gli omosessuali.
Ma soprattutto è stato visto come un male da combattere, di cui limitare il più possibile la
diffusione all'intero corpo sociale. Questo ha portato la società a interrogarsi sulle strategie
più idonee a fermarne l'avanzata. In tale ottica, la tutela della salute pubblica di cui è
investito lo Stato si è scontrata spesso con i diritti individuali, con le esigenze e le istanze
delle categorie maggiormente esposte alla trasmissione del virus. La nostra ricerca ha
indagato alcuni elementi di queste strategie e di queste tensioni nel panorama italiano: in
particolare ci siamo soffermati sulla natura dei dibattiti sui test di screening, delle
campagne preventive-educative, delle forme di assistenza sanitaria e sociale che si sono
venute a determinare. Elementi e tensioni che hanno riguardato tutte le società occidentali
improntate sui valori democratici e di tutela individuale, ma che sono riscontrabili anche in
società rette da altre forme politiche.
Gli anni da noi indicati, cioè dal 1983 al 1994, sono importanti per comprendere la
dimensione politica, sociale e sanitaria della patologia per più motivi. Innanzitutto, nel
periodo da noi considerato, le autorità sanitarie hanno messo in atto i primi approcci alla
malattia, determinando spesso il corso degli interventi della seconda metà degli anni
Novanta. In secondo luogo, legati agli interventi statali e di altre organizzazioni, vi è stata
la maggiore sperimentazione di strategie e il palesarsi di tensioni attorno agli elementi che
I
abbiamo preso in considerazione; in terzo luogo, in Italia come negli altri paesi, sono stati
gli anni di maggior attenzione da parte dei media e della società al fenomeno aids. Inoltre,
a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, la disponibilità e l'efficacia delle terapie
antiretrovirali ha cambiato il volto della patologia nei paesi del Nord del mondo: ciò ha
significato, non solo, una diminuzione dell'attenzione e delle tensioni attorno al problema
aids nei paesi industrializzati, ma anche la nascita di esigenze differenti. Spesso queste
nuove esigenze sono state affrontate attraverso il bagaglio esperienziale maturato nella
prima quindicina di anni dell'epidemia di aids.
La nostra ricerca è suddivisa in due parti: nei capitoli dall'1 al 3 tratteremo il quadro
internazionale della malattia, mentre i capitoli dal 4 al 9 saranno dedicati alla situazione
italiana, dove indagheremo le strategie messe in atto e i dibattiti attorno ad essa. I primi
capitoli sono propedeutici per la comprensione degli indirizzi di strategie attuate e delle
tensioni che si palesarono in Italia.
Nella nostra ricerca ha un grosso peso la parte internazionale per la globalità della
diffusione della malattia, che ha comportato interventi a livello globale. Essa è stata,
infatti, oggetto dell'attenzione di organismi internazionali quali l'Oms (l'Organizzazione
mondiale della sanità), le Nazioni Unite, il Consiglio d'Europa, i quali hanno stilato linee
guida o direttive sul modo di condurre ed attuare le strategie di prevenzione. Inoltre, gli
interventi attuati all'interno di una nazione hanno avuto un peso e un'attenzione da parte
delle altre nazioni1.
Nel capitolo 1 affronteremo, quindi, il contesto internazionale della patologia a partire dai
primi casi scoperti negli Stati Uniti fino agli anni Duemila. In questo capitolo vedremo
come nei primi anni (1981-84) furono codificati i concetti di “categorie a rischio” e forte fu
la stigmatizzazione e la discriminazione verso gli appartenenti a queste prime categorie
(omosessuali, tossicodipendenti, haitiani, prostitute, emofilici). Stigmatizzazione e
discriminazioni che continueranno anche negli anni avvenire, mitigati, ma solo in parte,
dall'assunzione del concetto di “comportamento a rischio” e dai richiami alla solidarietà
verso le persone colpite. A partire dal 1985, con la disponibilità dei test di screening,
vedremo l'emergere di una grossa attività di ricerca intesa sia a “mappare” l'estensione
della malattia sia a comprenderne i fattori e i modi di trasmissibilità. Evidenzieremo
l'importanza delle ricerche di questo periodo in quanto la conoscenza del virus ha permesso
di proporre alcuni strumenti specifici di profilassi, quali il preservativo, la disponibilità di
siringhe sterili, i controlli sulle banche del sangue. A partire dal 1987, come vedremo, le
autorità sanitarie e politiche, visto l'allarme della propagazione al di là delle categorie
indicate a rischio, iniziarono la predisposizione di strategie di prevenzione. In questi anni
vi fu anche un grosso impegno della ricerca: nella predisposizione di nuovi farmaci per le
1
A tal proposito rimandiamo alle conclusioni del lavoro di comparazione delle strategie preventive di diversi
paesi attuato da due studiosi, Misztal e Moss, che evidenziavano nel 1988 come spesso le posizioni assunte
da un paese influenzavano i paesi vicini
B. A. Misztal, D. Moss, Conclusion, in B. A. Misztal, D. Moss (edited by), ACTION ON AIDS National
Policies in Comparative Perspective, Greenwood Press, New York 1990, p.237.
II
persone colpite, nell'indagare la possibilità di un vaccino, nel conoscere gli aspetti culturali
e sociali che favorivano la trasmissione del virus. A partire dal 1996, con la svolta
antiretrovirale, vi fu un calo netto nella mortalità e nelle degenze ospedaliere e la
possibilità per i malati di vivere una vita sempre più “normale”. Ma la disponibilità di
nuovi farmaci aprirà la strada a nuove esigenze e sottolineerà le forti disuguaglianze per il
loro accesso tra il Nord e il Sud del mondo.
Nel capitolo 2 vedremo l'emergere, dapprima negli Stati Uniti e poi via via nel resto del
mondo, dell'associazionismo legato alla malattia, fenomeno in parte nuovo e foriero di
grossi risultati. Esso fu in grado di porsi come un valido interlocutore sia a livello politico
sia a livello della ricerca e di influenzare le risposte nazionali alla malattia su più fronti: in
campo preventivo, assistenziale, della ricerca farmaceutica. Le prime forme di associazioni
nascono all'interno della comunità gay americana e possiamo aggiungere che in molti paesi
il movimento gay ha trovato nell'aids quasi una fonte di legittimazione. Ci siamo
soffermati su di esse perché esse e le loro elaborazioni culturali rappresentano in qualche
misura i modelli di ispirazione delle associazioni nate anche in Europa e in Italia.
Nel capitolo 3 vedremo come le misure proposte a livello politico e sanitario hanno spesso
rappresentato un momento molto critico nel rapporto tra la tutela della salute pubblica e la
tutela dei diritti individuali, garantiti dalle società occidentali. Gli elementi critici hanno
riguardato soprattutto la gestione del test e le campagne di prevenzione-educazione. Nel
periodo da noi considerato si è attuato nelle società occidentali un modello nuovo per
fronteggiare le sfide poste dalla diffusione della malattia: il modello eccezionalista. Ne
tratteggeremo le origini storiche, le caratteristiche, le strategie e alcune delle soluzioni
proposte alle tensioni sociali che l'epidemia di aids ha innescato. Tale modello ci servirà di
comparazione per comprendere alcuni aspetti della risposta italiana all'epidemia.
Nella seconda parte abbiamo preso in considerazione le strategie attuate in Italia.
Nel capitolo 4 vedremo come la patologia nel nostro paese ha interessato in principal modo
i tossicodipendenti: spesso visti come il ponte di passaggio del virus alla popolazione
generale. Questa caratteristica della epidemia italiana ha fortemente influenzato i dibattiti
sulle strategie preventive e sulle necessità assistenziali. Inoltre, ha dato un peso maggiore
ai problemi dell'aids in carcere rispetto ad altri paesi.
Nel capitolo 5 abbiamo individuato i protagonisti principali della lotta all'epidemia nel
nostro paese: medici e scienziati, politici e amministratori, i movimenti sociali. Essi sono
stati spesso portatori di istanze e visioni differenti tra loro su alcuni punti ritenuti
fondamentali nella lotta alla diffusione del virus.
Nel panorama italiano un grosso ruolo ha giocato anche la Chiesa, sia per la sua influenza
sui politici di area cattolica sia per molte iniziative assistenziali promosse da enti o
comunità ad esse legate.
I punti fondamentali di negoziazione degli attori in campo sono: l'assistenza (cap. 6), il
dibattito sul test (cap. 7), la prevenzione (cap. 8), l'aids e il carcere (cap. 9). Aspetti
attraverso i quali è stato possibile evidenziare alcune caratteristiche della società italiana e
III
delle strutture socio-sanitarie del paese Italia e di palesare maggiormente le differenti
istanze.
Per ciascuno degli argomenti trattati ci siamo soffermati in particolare sulle iniziative
attuate a livello istituzionale, in considerazione del fatto che soprattutto a partire dal 1987
la lotta all'aids è stata condotta con strumenti legislativi specifici e, come vedremo, perchè
lo Stato è stato ritenuto da più parti come il motore deputato allo sviluppo di strategie
idonee e investito dell'obbligo di porre dei punti fermi per la tutela delle persone malate e
sieropositive e per la tutela della salute della popolazione generale.
Insomma, la nostra ricerca si è focalizzata attorno ad alcuni punti specifici che hanno
riguardato il rapporto tra i diritti individuali, le istanze portate dalle associazioni, dai
politici e dai medici e le strategie di prevenzione. Siamo consci che nel nostro lavoro non
sono stati affrontati alcuni aspetti molto importanti che riguardano direttamente le strategie
di prevenzione: come il problema della sicurezza del sangue o della vulnerabilità all'aids
delle donne. La nostra scelta è stata dettata dalla necessità di restringere il campo attorno
alle questioni e ai protagonisti che maggiormente hanno determinato l'implementazione e
le caratteristiche del modello eccezionalista in Italia.
Per quanto riguarda le fonti utilizzate dobbiamo rilevare che esiste una grande abbondanza
di materiali che trattano della patologia e degli aspetti sociali ad essa legati, sovente
reperibili da Internet e alcune volte fortemente ideologizzati nella loro visione dell'aids e
delle strategie preventive. Da parte nostra, abbiamo cercato di utilizzare le fonti
maggiormente sicure dal punto di vista dell'attendibilità affidandoci sia a materiale
proveniente da grossi organismi internazionali come l'Unaids o statali come l'Istituto
Superiore di Sanità, sia a saggi contenuti in raccolte patrocinate dalla Comunità Europea o
da università o da grossi centri di studi sociali.
Le fonti sono di carattere multidisciplinare date le caratteristiche del fenomeno aids che
coinvolge molteplici aspetti.
Affrontando le caratteristiche della patologia, del virus, dei test e delle terapie, non
abbiamo potuto fare a meno di consultare opere scientifiche. Nel trattare questi argomenti
abbiamo utilizzato opere specialistiche e di divulgazione scientifica a carattere generale.
Questi sono contenuti in opere che affrontano alcuni problemi storico-sociali legati al
fenomeno aids e illustrano al loro interno i caratteri basilari della patologia. In particolare
ci siamo serviti di opere che contengono una serie di saggi scritti dai maggiori esperti
italiani o internazionali sulle caratteristiche della patologia e sugli aspetti scientifici ad essa
inerenti.
Altro aspetto che abbiamo preso in considerazione per conoscere la diffusione
dell'epidemia sia nella realtà italiana sia nel più ampio contesto internazionale è stato
quello epidemiologico. Per affrontare questo argomento ci siamo serviti in particolare delle
pubblicazioni effettuate dall’Istituto Superiore di Sanità per l'Italia e dei rapporti dell'Oms
sulla diffusione internazionale. Abbiamo cercato di focalizzare la nostra attenzione sulle
categorie maggiormente esposte alla diffusione dell'epidemia.
IV
Per affrontare la dimensione sociale e politica dell'epidemia sia nel contesto internazionale
sia nel contesto nazionale ci siamo serviti di fonti per loro natura eterogenea. Per quanto
riguarda l'Italia abbiamo utilizzato:
- articoli comparsi sui giornali di maggiore tiratura per avere sia un quadro dei dibattiti e
delle preoccupazioni della società in generale, sia per evidenziare alcuni fatti di cronaca
che incisero sulle prese di posizione a livello politico, medico-scientifico, dei movimenti
sociali;
- articoli o inchieste comparse su riviste di alcune associazioni che si sono occupate
direttamente di aids o che lavorano a stretto contatto con il mondo della tossicodipendenza
o che hanno come target alcune delle categorie maggiormente esposte: ciò ci ha permesso
di valutare e conoscere le istanze del mondo associazionistico. Molto spesso tali articoli
sono presenti sui siti Internet di riferimento delle associazioni;
- fondamentale per ricostruire le strategie attuate in Italia e i dibattiti, nonché le posizioni
dei partiti politici sono state le Relazioni Parlamentari, le Relazioni del ministero della
Sanità, gli Atti parlamentari delle sedute delle Commissioni e altri bollettini di origine
istituzionale che si sono occupati di leggi che riguardavano l'aids o l'hiv o delle strategie
preventive. Ad essi abbiamo affiancato, per la comprensione degli interessi in gioco, gli
articoli o le opere delle associazioni di lotta all'aids che abbiamo precedentemente indicato,
opere scritte da alcuni medici direttamente impegnati nel campo dell'aids, scritti di politici
comparsi in alcuni giornali;
- gli scritti di giuristi e di alcuni esperti di tossicodipendenze ci sono stati utili per capire
aspetti dello scontro tra proibizionisti e antiproibizionisti attorno alle politiche di riduzione
del danno.
Abbiamo, inoltre, tentato di inserire spunti di comparazione internazionale delle strategie
attuate, in particolare servendoci di alcune raccolte di saggi scritti da membri delle
associazioni di lotta all'aids, da alcuni sociologi spesso professori universitari, da alcuni
giuristi e da alcuni esperti, sovente medici.
Per la trattazione del quadro internazionale della malattia fondamentali sono stati l'opera
dello storico della medicina M. Grmek e le pagine presenti sul sito dell'associazione
inglese Avert, che ha come scopo primario la divulgazione di informazioni e conoscenze
sull'epidemia.
V
Cap.1 - Il quadro generale -
1.1
La scoperta e la codificazione della malattia (1981-84)
L’inizio della storia dell’epidemia di Aids può essere posto nel bollettino settimanale del 5
giugno 1981 del Center for Disease Control (CDC)1, il centro epidemiologico di Atlanta.
Infatti, a pagina 2 del “Morbidity and Mortality Weekly Report” (MMWR), si descrivono
cinque casi gravi di polmonite osservati tra l’ottobre del 1980 e il maggio del 1981 in tre
ospedali di Los Angeles. Tutti i malati soffrivano di una forma di polmonite da
Pneumocysti carinii particolarmente resistente alle normali terapie e presentavano un
quadro clinico che faceva supporre un grave deficit del sistema immunitario. Le patologie
da cui erano affetti (polmonite, candidosi orali) sono tipiche di soggetti immunodepressi
per azione farmacologia, o dei lattanti. Le analisi del sangue, eseguite su tre dei pazienti,
indicavano la diminuzione del numero di linfociti Cd42 (cellule del sistema immunitario) e
un’infezione da citomegalovirus (CMV)3. Il decorso della malattia era progressivo e
infausto4.
Nessuno dei cinque pazienti era mai stato trattato con farmaci immunosoppressori ed erano
giovani maschi (età compresa tra i 29-36 anni) che si dichiaravano omosessuali ed
utilizzatori di poppers5 (stimolatore sessuale di natura chimica).
Il bollettino era nato dall’indagine avviata dai CDC di Atlanta insospettiti dall’aumento
delle vendite della pentamidina, farmaco venduto in quantità limitata e sotto il controllo del
ministero della Salute federale americano, utilizzato molto raramente e solo per forme di
polmonite da Pneumocystis6 particolarmente resistenti alle terapie abituali.
Tale bollettino confermava le voci che circolavano da alcuni mesi nell’ambiente medico
della costa orientale degli Stati Uniti (Los Angeles- S. Francisco) e nella città di New York
circa la presenza di un aumento di patologie da immunosoppressione7 particolarmente
resistenti ai trattamenti e la comparsa di forme tumorali (come Sarcoma di Kaposi)
atipiche per età e per etnia di appartenenza. Alcuni medici avevano iniziato a parlare di
“cancro dei gay”8.
1
Vedi Glossario
Vedi Glossario
3
Vedi Glossario
4
M. D. Grmek, Aids Storia di una epidemia attuale, Sagittari Laterza, Roma 1989, p. 10-11.
5
Vedi Glossario
6
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7
Vedi Glossario
8
Ivi, p. 12-17.
2
1
Da questo primo bollettino partì una serie di indagini retrospettive (fino all’inizio del 1979)
dei CDC che portò ad un secondo comunicato il 4 luglio 1981. In esso si evidenziava la
diagnosi di altri 26 giovani uomini newyorchesi e californiani colpiti da forme rare e
aggressive di Sarcoma di Kaposi e di altre patologie che suffragavano l'ipotesi di una
depressione del sistema immunitario. I test sierologici effettuati su 12 dei malati
evidenziavano l’infezione da CMV. Otto di questi malati erano morti in un tempo inferiore
ai 2 anni e nessuno degli altri presentava segni di remissione del male.
Si era all’inizio delle osservazioni sulla malattia9.
Il 3 luglio 1982, il “New York Times” informò il pubblico di queste insolite patologie con
un articolo, “Cancro raro riscontrato su 41 omosessuali”, firmato da Lawrance Altman
(cronista medico).10
Tra l’agosto e il dicembre del 1981 si registrarono centinaia di casi, anche in altri 15 stati
federali. A New York si registrarono i primi casi fra tossicodipendenti e la prima donna.
Dalle osservazioni si evidenziavano come focolai iniziali la costa orientale e la città di
New York.11
L’ambiente medico si trovò all’improvviso alle prese con patologie comuni (come la
polmonite), altre più rare e tipiche di determinate etnie e fasce di età più avanzate rispetto
ai pazienti (come il Sarcoma di Kaposi), che si presentavano in forme eccezionalmente
aggressive e resistenti alle terapie antibiotiche e chemioterapiche. Su tutto un grave
deterioramento del sistema immunitario, nonché un deterioramento fisico (wasting
syndrome12) che portava irrimediabilmente alla morte.13
Ci siamo soffermati sui due primi bollettini e sulle prime osservazioni riguardanti
l’affacciarsi della malattia per poter evidenziare immediatamente alcune caratteristiche
epidemiologiche e cliniche emergenti fin dalle primissime manifestazioni e per poter
analizzare in che modo sono state condotte le prime ricerche.
Innanzitutto, fu per l’opera di investigazione attuata dai CDC di Atlanta, messi sul avviso
dall’aumento delle richieste della pentamidina14, che si giunse alla constatazione della
presenza di patologie già conosciute ma che si presentavano in forme inusuali. Gli esperti
dei CDC operarono in due modi: da un lato confrontarono i quadri clinici dei pazienti delle
tre aree, anche con indagini retrospettive (ossia di pazienti morti, ma che presentavano
quadri clinici riconducibili a quelli attualmente sotto esame) e ove reso necessario
procedettero a ulteriori analisi sierologiche e cliniche; dall’altra parte attraverso interviste
ai pazienti, al fine di trovare dei fattori comuni che potessero spiegare la recrudescenza e
l’aumento delle patologie. Il ruolo dei CDC fu quindi determinante nel riconoscere e nel
valutare l’impatto di malattie che, essendo già conosciute, sarebbero potute sfuggire ai
9
Ivi, p. 18-23.
Ivi, p. 15-16.
11
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 19.
12
Vedi Glossario
13
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 9-28.
14
Vedi Glossario
10
2
normali controlli su microscala (effettuati per esempio dalle singole unità ospedaliere).
Infatti, ciò che insospettì gli investigatori dei CDC fu la particolare recrudescenza con cui
si presentavano queste malattie. Malattie come la polmonite da pneumocystis15 e la
tubercolosi che colpiscono la popolazione in generale, e i cui trascorsi diventano seri solo
in persone immunodepresse, tenuto conto che i pazienti, tutti giovani, non presentavano
cause note di immunodepressione (farmaci chemioterapici, contatto con ambienti
sottoposti ad agenti chimici). Le interviste epidemiologiche focalizzarono l’interesse degli
investigatori sulle abitudini di vita dei pazienti. Dalla loro biografia si scoprì che erano tutti
omosessuali, tranne una donna e un tossicodipendente; molti di loro avevano un alto
numero di partner sessuali, alcuni erano stati sottoposti a cure antibiotiche per alcune
malattie a trasmissione sessuale (come la sifilide), altri rivelavano l’utilizzo di sostanze
chimiche come stimolatori sessuali (come il poppers).
Importantissima fu la segnalazione che molti di questi pazienti si conoscevano, avevano
avuto rapporti sessuali tra loro e alcuni avevano degli amici in comune con cui avevano
intessuto delle relazioni. Quindi, quello che emerse chiaramente da queste indagini era il
radicamento della malattia in un ambiente urbano, le tre grandi metropoli americane di Los
Angeles, S. Francisco e New York dove vi sono grosse ed organizzate comunità gay16.
In ogni paese colpito l’epidemia si manifesterà inizialmente in alcuni gruppi e legata a
precise modalità di diffusione.
Si iniziò ben presto a parlare tra i ricercatori dei CDC di una Sindrome17: ossia di una serie
di quadri clinici che facevano supporre un'origine comune. In questo caso l'origine comune
era la presenza di una immunodeficienza, non congenita (cioè non esistente dalla nascita).
Le analisi sierologiche evidenziavano una forte linfocitopenia18 e in particolare la caduta
dei linfociti Cd4, l’aggressione da parte di patologie opportunistiche (cioè che sfruttavano
l’immunodepressione19 per svilupparsi).
A queste osservazioni seguirono le prime pubblicazioni mediche e le prime ipotesi circa
l’origine e la natura di questi casi insoliti e particolarmente aggressivi.
Una prima ipotesi fu di essere in presenza di un agente di natura infettiva (visto soprattutto
il precedente noto della trasmissione dell’epatite B sia attraverso rapporti sessuali sia
attraverso siringhe non sterilizzate). Il primo agente infettivo indagato fu il CMV20,
sospettato essere causa dello sviluppo del sarcoma di Kaposi. Esso però fu scartato perchè
endemico21 nella popolazione generale, e conosciuto per causare forme patologiche solo in
caso di immunodepressione. Aveva più le caratteristiche di un’infezione che riattivatasi
15
Vedi Glossario
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 27-28.
17
Vedi Glossario
18
Vedi Glossario
19
Vedi Glossario
20
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 25.
21
Vedi Glossario
16
3
non era tenuta sotto controllo dal sistema immunitario. Per gli stessi motivi fu escluso un
coinvolgimento dell'EBV22 nella genesi della malattia23.
Alcuni medici videro nella forte promiscuità sessuale dei gay americani (che li portava a
contatto con numerosi agenti infettivi che determinavano una stimolazione eccessiva del
sistema immunitario, fino al suo collasso) e nell’intossicazione da agenti chimici (quali il
popper e le creme corticosteroidee, utilizzate per curare le infezioni sessuali) una probabile
causa dell’immunodeficenza24. A tal fine furono compiute alcune sperimentazioni di
laboratorio per verificare la pericolosità dei poppers o delle creme corticosteroidee.
Nessuna però riuscì a dimostrare l'avvedutezza di queste ipotesi.
Un'altra ipotesi venne dal medico californiano Henry Masur, che per la prima volta non
parlò di una sindrome precipuamente gay, ma di una sindrome “community acquaired”
cioè il fattore comune degli 11 pazienti esaminati dalla sua ricerca non era una precisa
attività sessuale, bensì l’appartenenza a certo sottogruppo sociale posto ai margini rispetto
alla popolazione generale.
I Cdc di Atlanta crearono una task-force che seguì l’aspetto epidemiologico lungo i binari
tracciati dalle interviste condotte dai pazienti e si concretizzò in una prima indagine
statistica conoscitiva delle abitudini del mondo gay.
Dalle indagini retrospettive dei CDC emerse la presenza di alcuni casi fin dalla primavera
del 1978, ma il grosso dell’esplosione era a partire dal 1981. I 2/3 dei malati abitavano
nelle tre metropoli sopra indicate, i bianchi erano il 78%, gli ispanici il 16% e i neri il 14%.
L’età media era di 37 anni. Si rilevò l’insorgenza di una linfoadenopatia generalizzata
(LAS25) e di altri quadri (ARC26) che facevano supporre l'associazione con la malattia e la
presenza di un 8% di malati eterosessuali. Si iniziò, quindi, a sospettare l’origine infettiva
della malattia vista l’atipicità di questi pazienti eterosessuali e l’attenzione si focalizzò sul
ruolo del sangue nella trasmissione27.
Tra la fine del 1981 e l’inizio del 1982 anche in Europa si manifestarono i primi casi. Alla
fine del 1981 il rapporto dell’OMS segnalò la presenza di 36 casi riconosciuti della
sindrome: 17 in Francia, 6 in Belgio, 5 in Svizzera, 2 in Gran Bretagna, 2 in Germania
federale, 1 in Spagna.
Questi casi confermarono le osservazioni dei medici americani in quanto i pazienti erano
omosessuali ed appartenenti al circuito internazionale delle relazioni omosessuali.
Nel corso del 1982 seguirono nuovi casi e si scoprirono nuovi focolai. E’ del gennaio 1982
il primo caso Usa di un emofilico28 colpito dalla sindrome. Ma fino al settembre 1982
nessuna pubblicazione medico-scientifica parlava ancora di trasmissione attraverso il
22
Vedi Glossario
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 64.
24
Un medico, Sharer, vide nello sperma depositato nell'intestino un potente immunosoppressore naturale
Ivi, p. 26.
25
Vedi Glossario
26
Vedi Glossario
27
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 28.
28
Vedi Glossario
23
4
sangue. Nel corso del 1982 nuove osservazioni constatarono la presenza della malattia fra
un numero crescente di pazienti che avevano subito trasfusioni di concentrati di fattore
VIII29 e IX30 del sangue, di piastrine, di plasma e di sangue. Seguirono altri casi legati a
trasfusioni di sangue o parti di esso a Parigi, in Usa, in Israele e nel corso del 1983 i CDC
lanciarono l’allarme sulle banche del sangue.31
Dal gennaio 1982 si notò che diversi malati di questa sindrome erano di origine haitiana.
Alla fine del 1982 il loro numero tra i casi di Aids nel territorio Usa era del 6%. Ciò che
lasciò inizialmente perplessi i medici fu che i pazienti non erano utilizzatori di droga per
via intravenosa e non si dichiaravano omosessuali. Sugli haitiani e sulle condizioni
igieniche del loro paese, ritenute scarse e disastrose, si focalizzò l’attenzione degli esperti.
Gli haitiani furono accusati di essere esportatori di germi patogeni attraverso la loro
immigrazione nel mondo civilizzato ed igienizzato americano. Questo ostracismo
ideologico, che dalla fine del 1982 fu fatto proprio anche dalla stampa, durò fino al maggio
del 1983, in cui si rilevò l’esito delle interviste condotte dai medici locali sui pazienti di
Aids. Il 30% dei malati aveva ammesso di aver avuto rapporti di natura omosessuale a
pagamento. Essi non si consideravano omosessuali, ma per necessità economica si erano
dedicati alla prostituzione maschile. Infatti, l’isola di Haiti dai primi anni ottanta era meta
del turismo sessuale sia statunitense sia europeo. Il germe introdotto nell’isola di Haiti
trovò le condizioni ideali per trasmettersi fuori della cerchia chiusa dei rapporti
omosessuali: i malati haitiani continuarono ad avere rapporti sessuali con donne e in tal
modo trasmisero l’infezione anche alle loro partner. La malattia fu ulteriormente espansa
dalle pratiche dell’antica medicina dell’isola, quella dei punturisti (che non utilizzavano
aghi sterilizzati). La malattia poteva essere giunta a Haiti dagli Usa o anche dall’Africa32.
Alla fine del 1982 si iniziò a parlare di un altro focolaio aperto: quello eterosessuale.
Nonostante una prova dell’esistenza della malattia tra gli eterosessuali venisse dalle partner
malate di pazienti tossicodipendenti e bisessuali si era ancora restii ad ammetterne la
possibilità. La prova certa e inoppugnabile fu la diagnosi della malattia nella moglie di un
emofilico nel giugno 1983. Nel 1982 furono anche osservati 4 casi di aids pediatrico33.
In queste prime osservazioni si evidenziò una differenza fondamentale nei casi americani
ed europei, in particolare del Belgio e della Francia. In questi paesi, accanto a pazienti
omosessuali, si era osservata la presenza dell’immunodeficienza in pazienti provenienti
dalle ex-colonie delle due nazioni. Nessuno di loro si dichiarava omosessuale, né
consumatore di droghe per via endovenosa; erano di origine africana (soprattutto dello
Zaire, dell'Africa centrale) o erano europei che avevano soggiornato e lavorato in Africa e
29
Vedi Glossario
Vedi Glossario
31
Grmek evidenzia lo sbalordimento dell'ambiente medico americano di fronte all'ipotesi di una trasmissione
per via ematica: fino alla pubblicazione nel novembre 1983 del caso Rochester (paziente trasfuso che aveva
sviluppato l'Aids) l'ambiente medico non ammise che a denti stretti la presenza di casi che coinvolgevano le
trasfusioni nella trasmissione della sindrome. Ivi, p. 51-53.
32
Ivi, p. 48-50.
33
Ivi, p. 54.
30
5
vi era una presenza quasi paritaria di donne rispetto agli uomini. Visti gli stretti contatti
mantenuti con la madre patria, questi malati erano venuti in Europa per farsi curare e, con
indagini biografiche e retrospettive, si giunse a supporre l’esistenza di un focolaio
nell’Africa equatoriale fin dagli anni ‘70. In un convegno a New York, nel settembre del
1982, Klatzmann ritenne che due ondate successive della malattia si fossero abbattute
sull’Europa: la prima proveniente dall’Africa equatoriale che colpiva senza distinzione di
sesso, la seconda proveniente dall’America e legata ai rapporti omosessuali.34
Tra la fine del 1982 prima in Usa, e poi dall’estate 1983 in Europa, la nuova malattia non
rimase appannaggio dell’ambiente medico, ma iniziò ad attrarre l’attenzione dei massmedia. I media, soprattutto americani, ma anche europei (è del giugno 1983 il primo
servizio Rai sulla nuova sindrome in Italia), riportarono le prime scoperte sulla nuova
malattia, e ne coniò i primi nomi che indicavano chiaramente la sua esistenza in un gruppo
determinato: gay cancer (già utilizzato da alcuni medici all’inizio delle prime
manifestazioni), gay pneumonia, GRID (gay-Related immune Deficiency), gay compromise
sindrome35. Ben presto, però, tali definizioni non erano più in grado di definire l’entità
della diffusione e si iniziò ad utilizzare l’acronimo Aids coniato dalla task- force dei CDC.
Fu anche coniata dai CDC la prima definizione di Aids, in modo da permettere ai medici
americani di classificare correttamente i casi da loro osservati, e fu adottata dall’OMS36.
La stampa si appropriò del termine "AIDS" e continuò a legarlo saldamente ai gruppi a
rischio: l’Aids era sì una malattia a probabile diffusione infettiva, quindi poteva riguardare
anche gli eterosessuali, ma era essenzialmente una malattia appartenente a dei gruppi
marginali. Tale idea, partita da alcuni epidemiologi, si diffuse e l’Aids divenne la malattia
delle quattro H: Homosexuels, Heroin addicts, Haitians, Hemophiliacs. Se un rischio
eterosessuale vi era, riguardava precipuamente i partner di questi quattro gruppi, cui ben
presto si aggiunsero anche le prostitute.37
Il comportamento (abitudini sessuali), l’origine etnica (haitiani), la necessità di sangue per
qualche disfunzione organica erano le discriminanti entro le quali si rintracciava la nuova
entità nosologica38. Essa aveva dei confini precisi e nel caso degli haitiani anche
palesemente riconoscibile dalle caratteristiche etniche.
I dubbi dei medici sulle vie di trasmissione del probabile virus (se poteva per esempio
essere trasmesso nei contatti quotidiani, nelle coabitazioni) furono riprese ed enfatizzate
dai media39. Si determinarono allora crisi di panico collettivo: un nuovo flagello, fatale, di
natura infettiva si stava diffondendo e i portatori erano dei gruppi marginali che per il loro
comportamento e per le loro esecrabili abitudini sessuali finivano per mettere in pericolo il
34
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 38-43.
D. Minerva, R. Tomassetti, Aids e Mass Media, in F. Dianzani, G. Ippolito, M. Moroni (a cura di ) Aids in
Italia 20 anni dopo, Masson, 2004 Milano, p. 98.
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 44.
36
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 46-47.
37
Ivi, p. 45.
38
Vedi Glossario
39
D. Minerva, R. Tomassetti, Aids e Mass Media cit., p. 97.
35
6
mondo dei normali. La rivoluzione sessuale, la liberalizzazione dei costumi furono indicati
da alcuni media e dal pubblico come cause del propagarsi dell’epidemia. Gli omosessuali e
gli haitiani furono i gruppi bersaglio del panico che si era diffuso tra la classe media bianca
americana e verso di loro si indirizzarono vere e proprie azioni di boicottaggio:
licenziamenti, chiusure di locali, sfratti, grosse perdite del settore turistico a Haiti40.
I gruppi gay americani reagirono a questi bersagli dapprima minimizzando la portata
dell’epidemia e ritenendo tutta la faccenda una montatura di medici omofobi, ma, in
seguito, anche attraverso alcune loro associazioni rivendicarono l’urgenza di finanziamenti
per contrastarne il dilagare.
Nel frattempo la ricerca scientifica proseguiva: dall’estate del 1982 (dopo che l’aids era
apparso tra gli emofilici) i CDC si erano persuasi che la causa della malattia era
un’infezione virale trasmissibile sessualmente. Esclusi l'HBV e il CMV si affacciò l’ipotesi
di essere in presenza di uno o più virus nuovi.
Il loro serbatoio naturale poteva essere animale: Teas, un'epidemiologa di Boston, indicò in
un ceppo particolare del virus della peste dei suini la probabile causa dell’Aids. Tale peste
imperversava in Africa e dal 1975 a Cuba e a Haiti. Alcuni videro i risultati di progetti di
guerra biologica finanziata dalla Cia.41
1.1.1 La scoperta dell'agente virale
Con Donald Francis, virologo di Altanta e Myron Essex, virologo di Boston, i retrovirus42
entrarono come protagonisti nelle ricerche sull’origine eziologia della malattia. Essi
concentrarono i loro studi sull’analogia che avevano riscontrato tra il retrovirus
responsabile della leucemia dei felini e la nuova sindrome: l’infezione da FeLV causa nel
gatto sia delle leucemie sia deficienze immunitarie. Avanzarono l’ipotesi che il nuovo
agente combinasse le caratteristiche del retrovirus felino con il virus dell’epatite B43.
Un nuovo terreno di ricerca venne dall’ipotesi di Gallo e di Myron Essex, che il virus
responsabile fosse HTLV-I (un retrovirus appartenente alla famiglia dei retrovirus HTVL,
il primo retrovirus umano scoperto nel 1978 dallo stesso Gallo). Tale retrovirus presentava
un tropismo particolare per le cellule T4, in più erano stati trovati anticorpi specifici, in
alcuni pazienti malati di Aids, verso di esso. Le prove che negavano il coinvolgimento di
questo virus riguardavano nuovamente la sua diffusione a livello planetario e in più in
Giappone dove esso era endemico e aveva la sua più alta incidenza, l'aids non infuriava.44
Inoltre HTVL causava piuttosto una proliferazione dei linfociti che non una loro
distruzione. La ricerca proseguiva anche in Francia. In particolar modo, si stava
40
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 55-56.
Ivi, p. 64-65.
42
Vedi Glossario
43
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 77.
44
Ivi, p. 78-80.
41
7
interessando alla nuova sindrome l'Institut Pasteur di Parigi. Il virologo Montagnier e la
sua équipe pubblicarono nel maggio del 1983 sulla rivista “Science” un articolo, insieme
con altri articoli (tra cui uno di Gallo che analizzava le caratteristiche del suo HTLV-I) che
trattavano di aids, in cui indicarono che le cellule prelevate dalle ghiandole linfatiche di un
paziente in LAS avevano dato segni di trascrittasi inversa45 (l'enzima46 tipico dei
retrovirus): il nuovo virus in coltura aveva provocato una distruzione dei Cd4.
Montagneir e il suo gruppo continuarono nei mesi a venire le indagini sul retrovirus da loro
scoperto: procedettero all’isolamento, a partire dai linfonodi e dai linfociti del sangue di
pazienti, di altri ceppi virali e giunsero alla conclusione che si trattava sempre dello stesso
virus. Essi abbandonarono l’idea, cara a Gallo e ai suoi collaboratori, che il virus fosse
imparentato con HTVL e indicarono piuttosto la sua parentela con i lentivirus47. Essi
chiamarono il loro primo isolato LAV (Lymphadenopathy Associated Virus)48.
La svolta ufficiale nella ricerca della causa della malattia venne dalla conferenza stampa di
Margaret Heckler, segretaria di Stato responsabile della Sanità e dell’Educazione, tenuta a
Washington il 24 aprile 1984. Annunciò l’isolamento da parte di Gallo e dei suoi
collaboratori del NCI49 di un virus sconosciuto. Sempre secondo la Hackler essi avevano
dimostrato che esso era la causa dell’aids e avevano messo a punto un test di dépistage50
disponibile da novembre. Le caratteristiche del nuovo virus, denominato HTLV-III, furono
spiegate da Gallo in una serie di articoli apparsi il 4 maggio sulla rivista “Science”. 51
1.1.2 La Guerra per la paternità dei test
Ben presto però, l’ambiente medico e anche i media si accorsero di essere in presenza di
un virus simile, se non identico, a quello di Montagnier. Era l’inizio di quella che è
denominata la “controversia franco-americana” per l’attribuzione della paternità della
scoperta dell’agente causa dell’aids e per i diritti derivanti dai test di dépistage. Erano in
gioco forti interessi economici, di prestigio internazionale e di politica interna. Essa finì tra
le aule dei tribunali.
La vicenda prese avvio dalle domande di brevetto dei kit diagnostici: il primo a depositare
tale domanda fu l'Institut Pasteur nel dicembre del 1983. Seguì nel aprile del 1984 il
deposito della domanda da parte dei NIH (National Institutes of Health, l’amministrazione
federale da cui dipendeva il laboratorio di Gallo). Il secondo nel giro di un anno ottenne il
brevetto, mentre al primo non fu concesso. La Fda52 diede celermente il suo accordo alla
45
Vedi Glossario
Vedi Glossario
47
Vedi Glossario
48
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 84-92.
49
Vedi Glossario
50
Vedi Glossario
51
P. H. Duesberg, Aids il virus inventato, Baldini & Castoldi, Milano 1998, p. 170-171.
52
Vedi Glossario
46
8
commercializzazione del test di Gallo, mentre ritardò il permesso del prodotto francese
fino al 1986. A questo punto i francesi agirono contro il governo statunitense rivendicando
la loro priorità nel deposito del brevetto e accusarono Gallo e il suo laboratorio di aver
utilizzato a scopo di commercializzazione un isolato del LAV ottenuto dall'Institut Pasteur
a fini di ricerca. Nonostante le prove indicanti l’identità e la sovrapponibilità genetica tra i
due isolati, che venivano sia dall’inchiesta condotta in apertura del processo, sia dalle
comparazioni genetiche tra HTLV-III e il LAV la vicenda si protrasse per tutto il 1986. A
più riprese Gallo negò di essersi servito in qualche misura dell’isolato proveniente da
Parigi, per poi ritrattare e ammettere nell’aprile del 1986 che il virus LAV era stato da lui
utilizzato nelle sue ricerche prima dell’isolamento dell’HTLV-III. Finalmente nel marzo
del 1987, garanti il presidente USA Reagan e il presidente francese Chirac, si giunse ad un
compromesso amichevole tra l’US Departement of Health and Human Service e l'Institut
Pasteur. I francesi ottennero che al brevetto americano fosse aggiunto, accanto a quello di
Gallo, il nome di Montagnier e il test sierologico fu presentato dalle due parti come un
“invenzione comune”53.
Ricordiamo ancora che dall’aprile 1984 al maggio 1986 nella nomenclatura internazionale
si indicò il virus dell’Aids con il doppio acronimo HTLV-III/LAV. Nel maggio 1986 una
Commissione di nomenclatura virologica stabilì di chiamare il virus agente eziologico54
dell’Aids con l’acronimo HIV, Human Immunodeficiency Virus. E' con la scoperta
dell'agente eziologico virale e il test di depistagè che si può propriamente parlare della
nascita del fenomeno Aids a livello sociale: ossia di un malattia trasmissibile, legata ad
alcuni atti che hanno forti ripercussioni sociali.
E' di questo periodo la nascita delle prime risposte associative. Ma su tale argomento
ritorneremo più avanti al cap. 2.
Da questo periodo in avanti l'AIDS fu diagnosticato praticamente in tutti i paesi del
mondo55.
1.2
Una nuova fase nella malattia: la Sieropositività. Alla conoscenza
del virus (1985-87)
Con la scoperta del virus responsabile e con l’introduzione dei test di dépistage cambiò il
volto della malattia. Nella genesi della malattia si introdusse il concetto di sieropositività56
e si attuò una nuova decodifica degli stadi della malattia. Si comprese che le persone
53
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 94-104.
P. H. Duesberg, Aids il virus inventato cit., p. 178-181.
54
Vedi Glossario
55
M.D.Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 57-60.
56
Vedi Glossario
9
sieropositive, anche se sane, sono portatrici del virus e infettive. I test permisero di
"mappare" la diffusione dell’HIV e di abbozzare le prime stime. Ma furono anche un
elemento alla base della tensione createsi tra i diritti dell'individuo e il dovere statale alla
protezione della salute pubblica (le richieste da parte politica di quarantene, screening
obbligatorio), soprattutto alla luce del nuovo allarmismo che si venne a creare sulla
malattia in seguito alla morte per Aids di Rock Hudson (1985) e per le incertezze sulla sua
trasmissibilità ed estensione. Non solo: il risultato del test fu richiesto per le nuove
assunzioni e per la stipulazione di contratti assicurativi (soprattutto negli Usa le compagnie
assicurative si rifiutarono di stipulare contratti alle persone sieropositive)57.
La determinazione dell’agente causale della malattia permise l’avvio dei primi studi
farmacologici e vaccinali. Tra il 1984 e il 1986 si compresero la struttura del virus e le sue
modalità di azione biologica. Nel 1987 si scoprì che il virus poteva essere trasmesso anche
dal latte materno.
In questo periodo la conoscenza del fenomeno crebbe all'interno della società e fu dibattuta
l'elaborazione delle prime campagne pubbliche di prevenzione e di educazione governative
e statali, campagne preventive ancorate al concetto di categorie a rischio58. Qui ci preme
ricordare che le prime campagne di educazione e prevenzione furono elaborate all'interno
dei gruppi nati per la presa in carico della malattia nelle comunità gay.
Dal 1984 al 1986 la ricerca si mobilitò per capire l’azione del virus. Si isolò il virus da vari
tessuti, dallo sperma, dalla saliva, dal tessuto cerebrale di alcuni pazienti59.
In Francia e Usa si effettuarono i primi studi di sieroprevalenza, seguiti dalla Gran
Bretagna e dall’Italia dove si effettuarono su campioni rappresentativi.
Nel corso del 1985 furono messi a punto i primi test di dèpistage sierologico, che, a partire
dall’estate del 1985 vennero commercializzati. Negli Usa e in Giappone gli emoderivati
iniziarono ad essere testati.
Nel aprile del 1985 i CDC organizzarono ad Atlanta la I Conferenza Internazionale, che fu
sponsorizzata dall’Oms. I ricercatori partecipanti furono circa 2000 e 30 le nazioni
rappresentate. Fu la prima forma di collaborazione internazionale, di scambio di
informazioni e dati scientifici, di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. In questa
conferenza si iniziò a parlare della trasmissione eterosessuale e si prese coscienza
dell’esistenza del focolaio africano, pur non essendovi dati precisi sulla situazione nel
continente nero60. Per i casi di aids in Africa fu elaborata la cosiddetta definizione di
Bangui: essa non tiene conto della sieropositività (mancando spesso i kit diagnostici), ma si
basa solo su criteri clinici61. Nell'ottobre dalla Francia venne l'annuncio degli effetti
benefici della somministrazione a pazienti della Ciclosporina A, un potente
57
M. Quam, N. Ford, Aids policies and Practices in the United States, Chapter 2, in B. Misztal, D. Moss
(edited by), ACTION ON AIDS National Policies in Comparative Perspective cit., p. 35.
58
Vedi Glossario
59
D. Minerva, S. Vella, No Aids.Globalizzare la salute, Avverbi Edizioni, Roma 2004, p. 110-111.
60
Ivi, p. 110.
61
G. Ippolito, G.Rezza, Aids un manuale per i medici italiani, Masson Editori, Milano 1987, p. 82-83.
10
immunosoppressore (vista l'ipotesi di alcuni medici che l'aids fosse causato da una
distruzione delle cellule infette da parte dello stesso sistema immunitario). La terapia si
rivelò inefficace e fallimentare62.
All'inizio del 1986 l'Institut Pasteur isolò un secondo retrovirus causa
dell’immunodeficienza umana. Fu denominato LAV-2 (e poi HIV-2). La sua struttura è
leggermente diversa dall’HIV-1 e fu ritenuto responsabile di un grosso focolaio epidemico
in Africa occidentale. La sua trasmissione era legata essenzialmente ai rapporti
eterosessuali. Alla fine del 1986 furono commercializzati i primi test anti-HIV-2.63
Fu pubblicato il primo report Usa sull’Aids, in cui si evidenziava la necessità di fornire
informazioni sui rischi di trasmissione connessi con i rapporti sessuali. Nel corso della II
Conferenza internazionale sull’Aids tenuta a Parigi emerse la necessità da parte dei governi
di attuare delle campagne preventive per fermare il dilagare dell’infezione. L'OMS fornì le
prime stime sulla diffusione dell’infezione in Africa e nel mondo (dai 5 ai 10 milioni)64.
Due fatti estremamente importanti avvennero nel 1986: innanzitutto anche in Europa si
iniziarono a testare gli emoderivati, in secondo luogo venne, attraverso indagini
epidemiologiche e test scientifici, dimostrata l’efficacia del preservativo nell’impedire la
trasmissione virale65.
Inoltre la ricerca iniziò la sperimentazione di vaccini.66
1.3
La mobilitazione mondiale e l'AZT: una speranza si accende
(1987-1990)
L'attenzione sulla nuova malattia da parte dei governi vi era stata fin dal 1983. Ma essa era
legata soprattutto al pericolo rappresentato dal sangue contaminato. Il periodo che va dal
1987-1990 è di forte mobilitazione mondiale: vi sono prese di posizione pubbliche di molti
leader e organizzazioni internazionali, e l'implementazione nei paesi occidentali di
strategie di prevenzione (sono di questi anni i primi appelli ad utilizzare il profilattico
come barriera contro il virus).
In più, dal punto di vista più strettamente legato alla terapia, l'AZT offre una possibilità di
cura, anche se limitata. Tale composto fu fin da subito al centro di vivaci polemiche.
62
M. D.Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 236.
Ivi, p. 109.
64
D. Minerva, S. Vella, No Aids. Globalizzare la salute cit., p. 111.
65
Time line 1986, Associazione Avert, in http/:www.avert.org/historyi.htm , al 30 novembre 2006.
66
A novembre del 1986 vi fu lo studio sperimentale di un vaccino in Zaire, effettuato da Zagury,
immunologo francese, e da due medici di Kinshasa. Il ricercatore francese iniettò su di sé e su una dozzina di
volontari un virus manipolato grazie all’ingegneria genetica. Purtroppo seguì la sieroconversione (vedi
Glossario) e il vaccino si dimostro inefficace.
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 240.
63
11
Nel mondo della ricerca si affacciò un interlocutore sempre più credibile: nascono e si
sviluppano i modelli di attivismo per l'accesso alle terapie, che elaborano proposte
innovative per la licenza e l'approvazione dei farmaci da parte della Fda. Su questo punto
torneremo nel cap. 2.
Le caratteristiche cliniche della sindrome, con l’attacco all’organismo da parte delle
infezioni opportunistiche e la soggiacente immunodeficienza, portarono i medici fin dalle
sue prime manifestazioni ad attuare una strategia basata essenzialmente sulla
chemioterapia delle infezioni opportunistiche67.
Fino al 1983 il trattamento dell’Aids fu limitato essenzialmente a delle misure palliative
contro i diversi sintomi secondari, alla radioterapia contro il sarcoma di Kaposi e i linfomi,
e all’utilizzo di antibiotici contro le altre infezioni opportunistiche. Quindi l’azione aveva
una sua certa efficacia nel trattamento sintomatico locale.
I ricercatori ritennero che l’unico modo valido di fermare il virus (naturalmente in assenza
di vaccino) fosse nell’utilizzo di sostanze capaci di bloccare la penetrazione del virus nella
cellula oppure la sua moltiplicazione nell’organismo. Nel febbraio del 1986 un trial68
terapeutico dimostrò l'efficacia nel fermare la replicazione del virus, di una sostanza,
l'azitodimidina (o AZT) già sperimentata come cura contro il cancro.69
Dalla primavera del 1987 la Wellcome (casa farmaceutica) fu autorizzata dalla Fda (Food
and Drug administration) a mettere in commercio la sostanza, che assunse il nome di
Retrovir70. Furono gli attivisti a spingere perchè la Fda riducesse i tempi di approvazione
dei farmaci anti-Aids71. Grosso fu l’entusiasmo per la messa a punto del primo farmaco
anti-Aids.
L’AZT, il cui impiego dopo USA, Francia e Gran Bretagna nel 87, si estese nel 88 a 40
paesi72 diede un volto nuovo alla malattia, indicando un terreno di ricerca da seguire.
Ancora oggi sono in vita pazienti tratti con l’AZT e il suo utilizzo fu nel corso degli anni
sottoposto a studi clinici per determinarne le dosi più efficaci. Per esempio in Italia si
preferì somministrare dosi basse che risultarono sia meno tossiche ma anche più efficaci
rispetto al regime con dosi elevate utilizzato dagli Usa73.
Fu in questo periodo che il fenomeno Aids si situò al centro delle discussioni sulla salute a
livello globale, in particolare nelle nazioni occidentali. Agli allarmi per la possibile
diffusione nella popolazione generale e alla psicosi da contagio seguirono in alcune nazioni
67
Vedi Glossario
Vedi Glossario
69
Time line 1986, Associazione Avert cit.
70
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 238.
71
M. Guarinieri, Planet Aids. Manuale di resistenza attiva alle politiche delle multinazionali farmaceutiche,
DeriveApprodi, Roma 2003, p. 14.
72
Nel 1990 la European Commitee for Proprietary Medicinal products raccomandò che il suo uso fosse
esteso a tutti i pazienti che presentavano i primi segni della malattia.
73
M. Moroni, Orientamenti terapeutici antiretrovirali, in F.Dianziani, G.Ippolito, M. Moroni (a cura di ) Il
Libro Italiano dell'Aids, McGraw-Hill, Milano 1994, p. 189-190.
68
12
prese di posizione restrittive della libertà personale: per esempio gli Usa introdussero nel
1987 norme che limitavano l'accesso al territorio statunitense delle persone sieropositive.74
E nel corso dell'anno, Reagan e la sua amministrazione espressero più volte la volontà di
attuare test obbligatori. A tali dichiarazioni seguirono energiche proteste da parte degli
attivisti sull'Aids75. A queste tendenze fecero da contraltare le manifestazioni di solidarietà
da parte di organismi o leader autorevoli. L'Oms (Organizzazione mondiale della sanità)
istituendo il suo Global Program on Aids, in cui indicava gli obiettivi per la prevenzione e
il controllo, ribadì la necessità di avere in ogni paese un ambiente supportativo. Decise
anche di istituire il 1° dicembre come giornata mondiale dell'aids76. Nel settembre del
1987 il Papa incontrò 100 malati di Aids a S. Francisco, per portare la solidarietà del
mondo cattolico.77 Nell'ottobre dello stesso anno la questione Aids fu messa all’ordine del
giorno nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (come rivela Grmek, era la prima
volta che una malattia diventava l’oggetto di un dibattito a tale livello di collaborazione
della politica internazionale): si decise di mobilitare l'intero sistema delle Nazioni Unite
per la lotta contro quella che ormai aveva il volto di una pandemia.78
A novembre i Ministri degli Esteri dei 21 paesi europei della Cee adottarono una
dichiarazione comune in cui precisavano che nessun dépistage obbligatorio, né sulla
popolazione né su gruppi particolari doveva essere condotto da parte degli stati membri. A
cui seguì nel gennaio del 1988 la Dichiarazione di Londra: in essa i ministri della salute di
148 paesi si espressero per la necessità dell'educazione, del libero scambio di informazioni,
della protezione dei diritti umani e della dignità come efficace ed auspicabile strategia
preventiva. Vi fu anche l'insistenza sulla necessità di promuovere l'uso del profilattico (da
cui una forte perplessità manifestata dal Vaticano)79. La fine degli anni Ottanta vide
nascere anche moltissime associazioni di lotta all'aids80. Soprattutto si vide la forza di
mobilitazione del nuovo attivismo farmacologico.
Nacquero anche i simboli della solidarietà alle persone sieropositive o malate e
dell'impegno verso la malattia: il Red Ribbon, l'Aids Memorial Quilt81.
L'attenzione portò a migliorare le conoscenze dei comportamenti a rischio di trasmissione
e a indagare sulle abitudini, condizioni, situazioni delle fasce di popolazione maggiormente
74
D. Minerva, S. Vella, No Aids. Globalizzare la salute cit., p. 111.
Time line 1987, Associazione Avert cit.
76
D. Minerva, S. Vella, No Aids. Globalizzare la salute cit., p. 111.
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 235.
77
Il Papa negli Usa tra i malati , 18 settembre 1987, in F. Marabotto, M. Boldrini, S. Smerrieri, G. Tomasini
(a cura di) 1981-2005 25 ANNI DI AIDS La malattia che ha cambiato il mondo raccontata dall'ANSA , Ansa,
Roma 2005, p. 63.
78
M. D. Grmek, Aids. Storia di una epidemia attuale cit., p. 235.
79
V. Boltho Massarelli, Ruolo del Consiglio di Europa nel Futuro dell'Aids, in P. Cattorini (a cura di ) AIDS
I ruoli e le responsabilità delle istituzioni pubbliche e private nella lotta dell'Aids, Istituto Scientifico H. San
Raffaele, Europa Scienze Umane Editrice, Milano1991, p. 113-122.
80
Ne elenchiamo solo alcune: ACT UP , la Lila in Italia (1987), nel Regno Unito National Aids Trust
(1987), Positevely Woman (1987), Frontliners (1988), BHAN (1988), prima organizzazione sull'aids e le
minoranze nere; in Uganda TASO (1987); a Stoccolma l’International Aids Society: associazione no-profit
(88).
81
Time line 1988 del sito dell'associazione Avert cit.
75
13
esposte: i tossicodipendenti, le donne, furono indicati dagli esperti come particolarmente
vulnerabili. Le Conferenze Internazionali, a scadenza annuale, divennero il luogo deputato
per fare il punto della situazione della ricerca e della diffusione della malattia.
Infatti, nel 1987 alla III Conferenza Internazionale sull'Aids di Washington emerse con
chiarezza la pericolosità della tossicodipendenza per via endovenosa per la trasmissione
del virus e la necessità dell’utilizzo del preservativo come barriera al virus. In questa
Conferenza per la prima volta Reagan nominò la parola “Aids”82. Alla IV Conferenza
Internazionale del 1988 di Stoccolma per la prima volta vi fu una nutrita partecipazione di
esperti provenienti dalle nazioni in via di sviluppo.83
Dagli Usa negli ultimi anni Ottanta vennero segnali contraddittori: da una parte, nel 1987,
fu dato il via alla prima massiccia campagna pubblica di educazione e informazione
(distribuite 107 milioni di copie di un opuscolo preparato dal Surgenon General)84 e vi
furono i primi esempi di programma di scambio di siringhe sterili (New York e San
Francisco)85, dall'altra l'Associazione dei Medici Americani sollecitò i suoi membri a
rompere la segretezza e la confidenzialità per avvisare i partner sessuali dei loro pazienti
colpiti dal virus e, ancora, il Congresso proibì l'utilizzo di fondi federali per promuovere i
programmi di aghi puliti86. Ad ottobre dopo la manifestazione di Act Up contro la Fda,
quest'ultima annunciò l'implementazione di nuove regole per l'approvazione accelerata dei
farmaci anti-aids87. La politica americana sull'aids fu duramente contestata dagli attivisti:
nel giugno del 1989 sotto i riflettori della V Conferenza sull'Aids di Montreal gli attivisti di
ACT UP e di altri gruppi nord-americani occuparono il palco e contestarono la politica
degli Stati Uniti per le norme immigratorie discriminati verso le persone sieropositive, per
l’inadeguatezza dei finanziamenti, per la lentezza nelle ricerche e per i prezzi troppo alti
dei medicinali88. ACT UP presentò il concetto di parallel track che rivoluzionava le
procedure che presiedevano l'approvazione farmacologica. La casa produttrice dell'azt per
effetto delle proteste degli attivisti fu costretta ad abbassare il prezzo del farmaco89. Altre
manifestazioni contro l'amministrazione repubblicana continuarono l'anno seguente nella
Conferenza di S. Francisco per il bando dell’immigrazione dei sieropositivi: questa volta
attivisti e scienziati marciarono uniti in nome della solidarietà. Nel 1990 Reagan ammise di
non aver adeguatamente considerato in passato l’epidemia.90 Forte impatto emotivo ebbe la
vicenda del bambino emofilico sieropositivo Ryan White, vittima di un clima
82
D. Minerva, S. Vella, No Aids. Globalizzare la salute cit., p. 111.
Ibid.
84
Time line 1987, Associazione Avert cit.
85
M. Quam, N. Ford, Aids policies and Practices in the United States cit., p. 27.
86
Time line 1987, Associazione Avert cit.,
87
D. Minerva, S. Vella, No Aids. Globalizzare la salute cit., p. 111.
88
Ibid.
89
Time line 1989, Associazione Avert cit.
Montreal, in http/:www.actupny/org/montreal.html , al 20 agosto 2006.
90
D. Minerva, S.Vella, No Aids. Globalizzare la salute cit., p. 112.
M. Guarinieri, Planet Aids. Manuale di resistenza attiva alle politiche delle multinazionali farmaceutiche
cit., p. 31-32.
83
14
particolarmente persecutorio da parte della sua comunità (fu costretto ad abbandonare la
scuola e la casa della sua famiglia fu incendiata): alcuni mesi dopo la sua morte, avvenuta
nel aprile del 1990, il Senato americano approvò il Ryan White Care Act, un grosso
finanziamento pubblico da destinare alle famiglie per migliorare la qualità della vita e le
cure per le persone colpite dall'aids. Dopo che il Congresso stabilì che non potevano essere
utilizzati fondi federali per programmi di scambio di siringhe, a New York cessò il
programma. 91
1.4
L’implementazione delle politiche preventive e i passi in avanti
della ricerca 1991-95
Tra il 1991-1995 si consolidarono le strategie preventive nate nella prima decade dell'aids
nel clima di emergenza. Se le prime campagne avevano fornito le informazioni sul virus,
sui suoi modi di trasmissione, sul pericolo rappresentato dall'aids, da questo momento si
arricchirono di nuove istanze, prima fra tutte la solidarietà. Si sperimentarono modi nuovi
per veicolari i messaggi. Negli Usa, nel 1994 con Clinton, i CDC lanciarono una campagna
molto ardita e schietta sull'utilizzo del profilattico92. In Europa, nell'estate del 1993 iniziò la
campagna “The flying condom” promossa dall'Aids Prevention Agency di Bruxelles e
dall'Unione Europea. Invitava i giovani europei in viaggio per le vacanze estive all'utilizzo
del profilattico93. Ma vi furono anche prese di posizione contrarie: sempre nel 1993 nel
Regno Unito il Dipartimento della Salute si oppose ad una campagna preventiva che
voleva promuovere il profilattico e il safe sex94.
In alcuni paesi, quali la Spagna e l'Italia, in questo periodo si ebbe il maggior numero di
casi di aids.
Dal punto di vista della terapia e della conoscenza del virus la ricerca compì passi da
gigante. Furono elaborati i nuovi composti farmacologici che permisero la svolta avvenuta
in campo terapeutico nel 1996. Alla VII Conferenza di Firenze del 1991 gli esperti
indicarono l'esistenza di “santuari” (reservoir): ossia di organi, quali i linfonodi, la milza,
in cui il virus si annidava, pronto ad attivarsi95. Alla X Conferenza Internazionale di
Yokohama nel 1994 si palesò il clima di sfiducia che era emerso dalla pubblicazione dello
studio clinico anglo-francese Concorde: la monoterapia precoce con Azt non offriva
vantaggi sul decorso della malattia. In più altri studi avevano evidenziato il trasmettersi di
91
Time line 1990 , Associazione Avert cit.
Usa, 8 comandamenti per battere l'aids , di A. Zampaglione, in «La Repubblica», 5 gennaio 1994.
93
Time line 1993, Associazione Avert cit.
94
Time line 1993, Associazione Avert cit.
95
D. Minerva, S. Vella, No Aids.Globalizzare la salute cit., p. 112.
Time line 1991, Associazione Avert cit.
92
15
ceppi virali resistenti all'azione del farmaco96. Tuttavia già dal 1992 si era iniziata una
sperimentazione con due farmaci in combinazione, permessa dal nuovo iter accelerato dei
farmaci messo in atto dalla Fda su pressione degli attivisti: la terapia stava dando grossi
risultati. Nel 1994 con grosso entusiasmo furono accolti dalla comunità scientifica due
studi che dimostravano che l’Azt e il taglio cesareo erano in grado di ridurre drasticamente
la trasmissione verticale: nel ambiente medico si iniziò a parlare della necessità di
raggiungere il maggior numero di donne incinte infette per poter offrire loro i nuovi
benefici terapeutici97. Però sempre dalla Conferenza di Yokohama vennero segnali poco
incoraggianti per quanto riguardava la ricerca sul vaccino. Gli scienziati decisero di
prendere una pausa per riflettere sui dati che erano emersi in questo campo, visti gli scarsi
risultati e la presenza di alcuni volontari che erano risultati infetti, e di organizzare le
conferenze internazionali con scadenza biennale e non più annuale98. Nel corso del 1995 si
giunse alla comprensione di importanti meccanismi dell'infezione e della replicazione: non
vi era, come si credeva, un'infezione latente, in cui il virus sfuggiva al sistema
immunitario, bensì un replicarsi continuo del virus per miliardi di volte al giorno, e un
sistema immunitario impegnato incessantemente a distruggere le particelle virali. Da ciò si
ritenne che colpire il virus precocemente fosse la strategia da seguire. Alcuni studi clinici,
pubblicati in settembre, indicarono che la monoterapia andava abbandonata, mentre
promettente era l'associazione di più farmaci99.
In questo periodo vi furono grossi scandali sanitari legati all'Aids:
già nel 1990 l'opinione pubblica mondiale era stata commossa dalla vicenda di centinaia
bambini romeni infettati dal virus negli orfanotrofi a causa dell'utilizzo di trasfusioni e di
presidi sanitari non sterili100. Nel 1991 negli Usa vi fu un grosso impatto presso l'opinione
pubblica per la vicenda della probabile trasmissione del virus durante delle pratiche
odontoiatriche. L'associazione dei medici americani si espresse per l'obbligo dei sanitari di
rivelare il loro status sierologico oppure di rinunciare alle procedure invasive. I CDC
proposero il test obbligatorio per i sanitari: ma sommersi dalle reazioni contrarie dei
medici furono costretti a ritirare la proposta.101 In Francia scoppiò sempre nel 1991 lo
scandalo del sangue: alti funzionari pubblici furono processati per omicidio colposo per
aver lasciato circolare sangue infetto destinato alle trasfusioni e tre di loro furono
condannati102. Nel 1993 anche in Germania scoppiò lo scandalo del sangue infetto103.
In questo periodo l'epidemia aumentò anche nei paesi dell'Est Europa: soprattutto
attraverso lo scambio di siringhe. Nel aprile del 1993 i ministri della finanza e della salute
96
D. Minerva, S. Vella, No Aids.Globalizzare la salute cit., p. 112-113.
Ivi, p. 113.
98
Time line 1994, Associazione Avert cit.
99
D. Minerva, S. Vella, No Aids.Globalizzare la salute cit., p. 113-114.
100
F. Aiuti, Nessuna Condanna. Dieci anni di Aids in Italia: le storie dei malati, la ricerca scientifica, le
battaglie sociali, Sperling&Kupfer Editori, Milano 1993, p. 85-87.
101
Time line 1991, Associazione Avert cit.
102
Time line 1991, Associazione Avert cit.
103
Time line 1993, Associazione Avert cit.
97
16
di 39 paesi europei, consci del pericolo, si incontrarono a Riga, in Lituania, per lanciare
un'iniziativa volta a contenere l'esplosione dell'epidemia nell'Europa Centrale e dell'Est. A
tal fine auspicarono l'attuazione di test volontari e non obbligatori104. In senso contrario
andò la decisione della Duma russa nell'ottobre del 1994 di votare per il test obbligatorio
per gli stranieri residenti, i turisti, gli uomini di affari e le delegazioni ufficiali. 105
Nel settore associativo si sviluppò la tendenza alla federazione internazionale. Nel 1991
nacquero: EATG (European Aids Treatment Group), organizzazione non-profit, con
campo di azione l'attivismo sui trattamenti; ICASO (International Council of Aids Service
Organisations), network che rappresentava più di 1300 organizzazioni non governative
dedite all'aids e il cui scopo è il supporto delle organizzazioni che si dedicano al problema
aids.
1.5
1996: la svolta
Il 1996 fu l’anno della svolta nel trattamento dell’Aids: a gennaio furono presentati studi
clinici che dimostrarono come la terapia legata all’associazione di due inibitori della
trascrittasi inversa e di un inibitore della proteasi106 avesse una fortissima efficacia nel
contrastare il virus. La monoterapia e la duplice terapia erano da abbandonare. La Haart107
(Highly Active Anti-Retroviral Teraphy) diventò presto la terapia standard a livello
mondiale. Sempre nello stesso anno fu messo in piedi un sistema per misurare la carica
virale108 (PCR Polimerase Chain Reaction)109: esso ha grandissima importanza perché
permette di misurare sul singolo paziente la risposta alla terapia. L’obbiettivo della terapia
era l’azzeramento della carica virale. Il tasso di letalità della malattia si ridusse
drasticamente. La malattia si avviò ad assumere i caratteri di una malattia cronica. Nei
paesi industrializzati si ridussero drasticamente i decessi per Aids110.
Il virologo David Ho, che in base ai suoi dati, che poggiavano su un modello matematico,
indicò la possibilità di eradicare il virus dall'organismo, fu eletto l’uomo dell’anno 1996
dalla rivista “Time”111. Nel corso del 1997-98 si iniziò a prendere coscienza nell'ambiente
medico del modo di calibrare le nuove terapie. In Usa furono pubblicate le prime linee
guida per il nuovo trattamento: l'approccio dei medici statunitensi era di colpire presto e in
maniera massiccia il virus con i nuovi composti. Su ciò vi fu il disaccordo di alcuni medici,
104
Time line 1993, Associazione Avert cit.
Time line 1993, Associazione Avert cit.
106
Vedi Glossario
107
Vedi Glossario
108
Vedi Glossario
109
Vedi Glossario
110
D. Minerva, S. Vella, No Aids.Globalizzare la salute cit., p. 114.
111
Ivi, p. 114.
105
17
in particolare inglesi, soprattutto per quanto riguardava gli asintomaci. Nonostante
l'entusiasmo ci si rese conto che il virus non poteva essere eradicato dall'organismo e nel
corso del 1998 si evidenziarono i primi fallimenti terapeutici. Alla Conferenza
Internazionale di Ginevra del 1998 il clima fu di pessimismo se paragonato alla conferenza
precedente di Vancouver: i farmaci esistono, sono efficaci, ma hanno pesanti effetti
collaterali e possono formarsi resistenze. 112 Purtroppo il loro costo è proibitivo per i paesi
in via di sviluppo maggiormente colpiti. 113
Nel gennaio del 1996 divenne operativo UNAIDS, il nuovo programma delle Nazioni
Unite. Costituito in sinergia con 6 agenzie appartenenti o affiliate al sistema delle Nazioni
Unite, esso è volto al contrasto dell'epidemia soprattutto nei paesi sottosviluppati e in via di
sviluppo e si iniziò a far largo nel dibattito attorno all’aids la necessità di permettere a tutti
l’accesso alle terapie, che per il loro costo elevato rimanevano appannaggio del Nord del
mondo.
L'Oms indicò che se i casi di aids conclamato erano in drastica diminuzione per effetto
delle nuove terapie, invece il numero delle nuove infezioni era ed è in continua crescita
(nel mondo si stimano di 5,8 milioni le nuove infezioni da Hiv) e nel 1998 l'UNAIDS
richiamò l'attenzione sulla necessità di un'azione comune per fermare l'epidemia nei paesi
del Sud-Est Asiatico.114
Dai paesi in via di sviluppo vennero le prime risposte organizzate e proficue all'epidemia:
nel 1997 il governo sudafricano adottò il Medical Act che permetteva la produzione di
copie dei farmaci antiretrovirali; nel 1998 il Brasile iniziò la fornitura di terapie
antiretrovirali da parte del servizio pubblico (primo paese in via di sviluppo ad attuare tale
intervento), grazie alla produzione di farmaci generici (ossia di copie dei farmaci prodotti
dai brevetti delle case farmaceutiche).115
1.6
Gli anni Duemila La pandemia nel Sud del mondo
Con la svolta terapeutica vengono alla luce le differenze nelle speranze di vita e nel diritto
alla salute tra il Nord del mondo e il Sud. Le terapie, oltre ad avere un effetto positivo nel
prolungamento della speranza di vita delle persone malate e nella qualità della vita, sono
un potente incentivo alla prevenzione, offrendo un motivo valido per avvicinarsi alla
struttura sanitaria. In più, esse danno la possibilità di azzerare la trasmissione verticale (da
madre a figlio) del virus. Purtroppo nei paesi maggiormente colpiti dall'infezione, come
112
Vedi Glossario
D. Minerva, S. Vella, No Aids.Globalizzare la salute cit., p. 115.
114
Ibid.
115
S. Usdin, HIV/AIDS, Carocci, Roma 2004, p. 94-99.
113
18
quelli dell'Africa Sub-Sahariana, le terapie sono troppo costose per paesi in cui il reddito
pro-capite è tra i più bassi al mondo. L'aids aggrava la situazione colpendo le fasce
produttive della società e l'infezione si nutre delle condizioni legate alla povertà:
disuguaglianze e discriminazioni di genere, sradicamento urbano, aumento del numero
degli orfani, abbassamento della speranza di vita116. Ma ci sono anche alcuni segnali
positivi: il Brasile e la Thailandia attraverso la produzione locale di farmaci generici (copie
delle molecole dei farmaci antiretrovirali117, che al Nord del mondo hanno cambiato il
corso dell'infezione naturale), hanno potuto offrire la terapia a migliaia di persone
gratuitamente. Purtroppo su queste scelte, in contrasto con gli accordi
TRIPS118dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, le multinazionali farmaceutiche
hanno fatto sentire il loro peso e i loro interessi. E' in questo contesto che nasce il Processo
di Pretoria: nel 1998, 39 multinazionali farmaceutiche citarono in giudizio il governo
sudafricano per l'adozione del Medical Act. Tale provvedimento, proposto da Nelson
Mandela, aveva lo scopo di permettere l'accesso ai farmaci da parte del SudAfrica, in
particolare attraverso l'adozione dello statuto delle importazioni parallele e l'adozione di
misure atte ad un maggiore controllo sul costo dei farmaci. La posta in gioco aveva un
raggio più ampio: le multinazionali farmaceutiche volevano il mantenimento del sistema
dei brevetti perchè preoccupate per gli effetti che avrebbe potuto provocare nel ricco
mercato del Nord del mondo l'instaurarsi legale di un’eccezione. L'effetto di questo
processo fu il crearsi di una forte coalizione internazionale di attivisti (dai membri del TAC
sudafricano119, a MSF120, ad Act UP, ai movimenti No Global) che contestò duramente le
posizioni delle case farmaceutiche121. La formazione di questa coalizione internazionale,
insieme all'effetto mediatico della Conferenza Internazionale di Durban (Sud Africa),
116
S. Usdin, HIV/AIDS cit. p. 35-45.
Vedi Glossario
118
Tali accordi, Trade Related Aspect of Intelectual Property Right, stipulati nel 1996, regolano gli aspetti
correlati al commercio dei diritti di proprietà. Tra di essi rientrano le norme a tutela dei brevetti dei farmaci.
Essi stabiliscono dei parametri a cui devono attenersi i membri del OMC (Organizzazione Mondiale del
Commercio): entro di essi vi sono le clausole che limitano la produzione dei generici. Vi sono però alcune
clausole di flessibilità: le licenze obbligatorie e le importazioni parallele. Le licenze obbligatorie prevedono
la produzione locale o l'importazione di farmaci generici di molecole sotto brevetto senza il rilascio
dell'autorizzazione da parte del detentore (per essi è previsto il rilascio di un compenso minimo). Gli stati
sono liberi di determinare le cause che permettono il rilascio della licenza obbligatoria, e in caso di
emergenza sanitaria vi può essere il rilascio della licenza obbligatoria senza seguire il consueto l'iter
burocratico (come le trattative con il titolare del brevetto). Le importazioni parallele prevedono la possibilità
da parte di un paese di acquistare il farmaco non dal paese di origine di produzione, ma da un paese terzo in
cui lo stesso farmaco è venduto a un prezzo inferiore.
P. Benkimoun, Morti senza Ricetta,La salute come merce , Elèuthera, Milano 2002, p. 57.
119
Treatment Action Campaign : coalizione di attivisti che si è formata in seguito al processo di Pretoria e a
sostegno del governo sudafricano. Nel corso degli anni duemila è stata protagonista di altre campagne per
l'accesso ai farmaci, in particolare ha citato in giudizio il ministero della Sanità sudafricano per la sua
opposizione a fornire la nevirapina (farmaco antiretrovirale) alle donne incinta. La sentenza ha obbligato lo
stato sudafricano a fornire la terapia a tutte le donne gravide e sieropositive del paese.
120
Medicine Sans Frontiere: associazione storica per l'impegno dei medici suoi membri a soccorre le
popolazioni martoriate dalle malattie. Nel 2001 ha dato vita a una campagna internazionale per l'accesso ai
farmaci essenziali
121
S. Usdin, HIV/AIDS cit., p. 94-96.
P. Benkimoun, Morti senza Ricetta,La salute come merce cit., p. 93-113.
117
19
hanno aperto il dibattito internazionale sull'accesso ai farmaci. Sulla produzione dei
farmaci generici si è imposto un interrogativo di pressante attualità (che non riguarda solo
l'aids, ma che in forza del fatto che essa è una malattia comune a tutto il mondo e sotto i
riflettori, ha potuto su di essa catalizzarsi): i farmaci, la ricerca sulle malattie sono merci
come tutte le altre?
Da una parte le case farmaceutiche che sostengono la necessità di un compenso alla
ricerca, come incentivo e possibilità di esplorare nuovi terreni. Ritengono irrinunciabile il
diritto al mantenimento dei brevetti. Dall'altra coloro che contestano gli altri profitti delle
case farmaceutiche, l'essere indirizzate come ricerca solo verso le malattie che riguardano
il Nord del mondo, e guardano con sospetto le iniziative di fornitura gratuita di farmaci ai
paesi più poveri. Il dibattito ha coinvolto anche la possibilità di implementazione delle
terapie antiretrovirali: da una parte si sono schierati coloro che ritengono improponibile in
molti paesi in via di sviluppo la proposizione della terapia, perchè difficile da gestire
mancando strutture sanitarie idonee e per la possibilità che da una terapia inadeguata si
sviluppino ceppi resistenti e incontrollabili. Dall'altra, coloro che reclamano come impegno
dei paesi ricchi il garantire il diritto alla salute e, sull'esempio di paesi come il Brasile e la
Thailandia (che hanno subito forti pressioni dagli Usa, in particolare, per le loro scelte di
produzione di farmaci generici), ritengono praticabile la scelta terapeutica.122
Nel 2001 le 39 multinazionali farmaceutiche, consce che vi era stato un grosso
cambiamento nel contesto internazionale, ritirarono la denuncia. Infatti, l'OMS non solo si
era mosso, cercando anche accordi privati con le industrie farmaceutiche per implementare
programmi di accesso ai farmaci, ma soprattutto, attraverso lunghi accordi con le varie
parti in causa, aveva votato una risoluzione (Dichiarazione di Doha)123 che le dava il
mandato di aiutare gli Stati membri a difendere gli interessi della sanità pubblica
nell'attuazione degli accordi TRIPS.124 Ma ancora altri fatti e prese di posizioni avevano
mutato il contesto internazionale:
- nel 2001 la campagna per l'accesso ai farmaci promossa da MSF aveva indicato strategie
operative per l'implementazione di tali programmi, portando l'attenzione su altre malattie
dimenticate dalla ricerca che affliggono in maniera cronica molti paesi in via di sviluppo;125
-nel 2000 il presidente Clinton dichiarò l’Aids un problema che minacciava la sicurezza
nazionale degli Stati Uniti (in quanto si riteneva che la diffusione catastrofica del aids
potesse determinare la caduta di governi stranieri, l'innesco di guerre etniche e la
122
D. Minerva, S. Vella, No Aids.Globalizzare la salute cit., p. 32-49.
Con la Dichiarazione di Doha l'OMS indicava che gli accordi TRIPS non dovevano essere interpretati al
fine di garantire la salute pubblica degli stati membri del OMC e si pronunciava per l'utilizzo ampio e
discrezionale delle clausole di flessibilità.
D. Minerva, S. Vella, No Aids.Globalizzare la salute cit.,p. 165-166.
124
P. Benkimoun, Morti senza Ricetta,La salute come merce cit., p. 117-119.
125
Ivi, p. 119.
123
20
distruzione del mercato libero e democratico) e parlò della necessità di un Piano Marshall
per affrontare l’Aids in Africa;126
-nel corso del 2000 l’immissione sul mercato dei primi farmaci generici e la pressione a
livello mondiale degli attivisti indussero molte case farmaceutiche a proporre consistenti
riduzioni dei prezzi per i paesi più poveri. L'offerta degli Usa di offrire prestiti alle nazioni
del sub-Sahara per l'approvvigionamento di farmaci anti-aids e di servizi sanitari fu
rigettata da molte nazioni interessate perchè non ritenuta come una risoluzione efficace al
problema e perchè spesso vincolata ad ingerenze straniere nella politica sanitaria e
legislativa del paese beneficiario.
Oggi la fornitura della terapia, per l'aids, ma anche per altre malattie, è al primo posto
nell'agenda dell'OMS. Il Fondo Globale ha dato il via al programma 3 by 5, con cui intende
allargare progressivamente il numero delle persone che possono usufruire della terapia.
Purtroppo molti problemi logistici, legati soprattutto al mancato finanziamento dei
programmi in cui i paesi ricchi si erano impegnati, spesso vanificano questo sforzo, ma
sempre maggiore è la consapevolezza internazionale. 127
1.7
La diffusione dell'epidemia a livello globale
Nel 1987 l’OMS al fine di "mappare" l’evoluzione dell’epidemia nel pianeta indicò 3
patterns (modelli) principali di diffusione dell’HIV. Il pattern I era predominante in Nord
America, Europa occidentale, Australia, Nuova Zelanda e in molte aree urbane
dell’America Latina. Le sue caratteristiche principali erano:
- l’epidemia si era diffusa a partire dalla fine degli anni ‘70;
- la trasmissione era soprattutto per via sessuale e riguardava principalmente uomini
omosessuali e bisessuali;
- anche la trasmissione eterosessuale era presente in queste aree (seppure in percentuali
nettamente inferiori rispetto al numero di omosessuali o bisessuali coinvolti) e tendeva
all’aumento;
- la trasmissione attraverso il sangue riguardava soprattutto gli utilizzatori di sostanze
stupefacenti per via endovenosa;
- anche gli emofilici e i trasfusi erano stati colpiti dall’epidemia, ma, si poteva parlare di un
numero ridotto rispetto agli altri gruppi e grazie allo screening sierologico e alle nuove
metodiche di lavorazione del sangue in forte decremento;
126
D. Minerva, S. Vella, No Aids.Globalizzare la salute cit., p. 118.
P. Benkimoun, Morti senza Ricetta,La salute come merce cit., p. 71.
127
S. Usdin, HIV/AIDS cit., p. 101.
21
- la trasmissione verticale era indicata come non comune visto che poche donne erano fino
ad allora state infettate, ma si prospettava un incremento del loro numero a causa
dell’aumento stimato della trasmissione eterosessuale.
Il pattern II includeva l’Africa Sub-Sahariana, l’America Latina, i Caraibi e le sue
caratteristiche erano:
- l’epidemia era incominciata alla fine degli anni ‘70;
- la trasmissione era principalmente di natura sessuale e riguardava soprattutto i rapporti
eterosessuali (si stimava che circa il 20% delle persone tra i 20 e i 40 anni fosse stato
contagiato in alcune aree urbane, e in alcune aree era stimato un 90% di prostitute infette);
- la trasmissione attraverso l’utilizzo di emoderivati e di trasfusioni causata da sangue che
non era stato ancora testato in molti paesi e, in più, l’utilizzo di siringhe e di altri strumenti
non sterili nelle pratiche cliniche aveva contribuito alla diffusione del HIV;
- la trasmissione per utilizzo di sostanze stupefacenti per via endovenosa era invece rara;
- la trasmissione verticale era indicato come uno dei maggiori problemi in queste aree vista
la grande presenza di donne infette.
Il pattern III includeva l’Europa dell’Est, il Medio oriente, il Nord Africa e la maggior
parte di paesi dell’Asia e del Pacifico. Le sue caratteristiche erano:
- la diffusione del virus era incominciata nel corso degli anni Ottanta (al 1987 soltanto 1%
dei casi ufficiali riportati dal OMS apparteneva a queste aree);
- i primi casi di AIDS erano generalmente associati ai contatti con persone del pattern I e II
o attraverso l’importazione di sangue e di emoderivati;
- seppure il virus non fosse penetrato nella popolazione generale vi erano stati casi di
trasmissione indigena e la diffusione era riconosciuta come in incremento tra le persone
con comportamenti a rischio come le prostitute/prostituti e gli utilizzatori di sostanze
stupefacenti per via endovenosa.
L'Oms indicava che più modelli di diffusione potevano coesistere all’interno di ciascuna
area e anche a livello locale all’interno di ciascun paese e nelle grandi città.128
Oggi, con venti anni di osservazioni possiamo dire che l’Hiv è presente in tutti i continenti
e la sua incidenza nonché le categorie di esposizione variano da paese a paese. I campioni
sierologici conservati e sottoposti ai test di sieropositività, gli studi osservazionali sui casi
di Aids e sulla diffusione delle infezioni hanno confermato e ampliato le indicazioni che
venivano dai pattern di diffusione dell'Hiv elaborati dal OMS nel 1987. Le dimensioni del
fenomeno differiscono notevolmente a livello regionale sia per grado e velocità di
diffusione che per categorie di esposizione. La terapia antriretrovirale ha certamente
128
Box2.2: The Patterns of AIDS Pandemic, in J. M. Mann , D. J. M. Tarantola , T. W. Netter (edited by)
AIDS in the World, Harvard University press, Cambridge, Massachusetts, London 1992, p.16-17.
22
cambiato il volto della malattia nei paesi sviluppati, dove a partire dal 1996-97 si è
osservata una diminuzione nelle diagnosi di casi di Aids. Mentre nei paesi in via di
sviluppo o che hanno subito cambiamenti politici e sociali fondamentali negli ultimi anni,
come i paesi dell’ex-Urss, la diffusione dell’HIV è aumentata considerevolmente.
Le stime elaborate da UNAIDS alla fine del 2005 parlano di 40 milioni di persone con il
virus, di cui 17,5 milioni di donne e 2,3 milioni di bambini (con meno di 15 anni).129
Dall’inizio dell’epidemia sarebbero più di 60 milioni: si stimano in circa 25 milioni il
numero dei decessi dovuti all’aids. Il numero delle nuove infezioni nel 2005 è stimato nel
ordine di quasi 5 milioni, di cui quasi 2 milioni di donne e circa 700 mila bambini (età
inferiore ai 15 anni). I morti di Aids nel solo 2005 sono stimati essere 3 milioni, di cui 1.1
milioni di donne e 570 mila bambini130. La regione del pianeta più duramente colpita
dall’epidemia è l’Africa Sahariana: le stime elaborate da UNAIDS/OMS parlano di quasi
26 milioni di persone che vivono con l’Hiv/aids al 2005. Qui l’epidemia si è diffusa a
partire dalla fine degli anni settanta-inizio anni ottanta e la modalità principale di
trasmissione è il contatto sessuale. Il rapporto uomini infetti e donne infette è 1:1.
La diffusione e l’esplosione dell’epidemia in Africa è legata in modo principale ai rapporti
sessuali di natura eterosessuale, anche se non si può disconoscere che abbia anche una
parte i rapporti di natura omosessuale (naturalmente la forte discriminazione in cui
incorrono porta a nascondere il fenomeno). Non va dimenticato che l'utilizzo di sangue non
testato e di presidi sanitari non sterili ha avuto una parte non irrilevante nel determinare la
diffusione del virus.
La diffusione dell’epidemia in Africa, in particolar modo nella parte centrale e subSahariana, è alimentata dalla povertà dei paesi in quest’area. L'aids, decimando la parte
produttiva, gli insegnati, i dirigenti, creando un popolo di orfani, aggrava le condizioni di
sottosviluppo di questi paesi.131Mentre la diffusione dell'epidemia è molto più contenuta nel
Nord-Africa e in Medio Oriente.
129
Si parla di stime per la mancanza di dati certi derivanti da sistemi di notifica in molti paesi
Per i dati e le indicazioni forniti rimandiamo al Report 2005 dell'Unaids:
Aids epidemic update. December 2005, UNAIDS, in http:/www.unaids.org
131
S. Usdin HIV/AIDS cit., p. 35-54.
130
23
Cap.2 - L'Associazionismo -
L’aids è una malattia che ha avuto forti ripercussioni sociali: ciò è dovuto a molti elementi
che si intersecano con la patologia. Innanzitutto il fatto di essere fin dal principio
identificata come la malattia di gruppi fortemente marginalizzati e stigmatizzati
(omosessuali, tossicodipendenti) ha rinfocolato antichi e nuovi pregiudizi. Non solo, ad
essa si sono negati patria e identità, come già avvenuto per altre malattie infettive in
passato.1
Probabilmente la lezione più forte e determinante sul clima di chiusura creatosi con la
malattia viene dall’azione svolta dalle associazioni di lotta all’aids e dalle loro
rivendicazioni.
Rispetto a qualsiasi altra malattia, attorno all’aids si è creata una fitta rete di associazioni,
di organizzazioni non governative e non profit. La malattia ha una forte valenza sociale.
2.1
Le prime associazioni americane
I primi modelli di associazionismo a supporto alle persone malate di aids sono venuti dagli
Usa.
La comunità gay americana aveva accolto le prime manifestazioni di quella che sembrava
una nuova patologia con un misto di scetticismo e di paura. E’ in questo clima e all’interno
della comunità gay americana, coesa dalle lotte di rivendicazioni compiute dalla fine degli
anni Sessanta e in parte avvezza al contatto con i consultori, che si formano le prime
associazioni di lotta all’aids.
La prima organizzazione di informazione, supporto e servizi legali sull’Aids, e per
raccogliere denaro per la ricerca è GMHC, Gay Men’s Health Crisis. Ufficialmente
formatasi il 2 gennaio 1982 a New York nell’appartamento dello scrittore Larry Kramer,
l’associazione fu ben accolta dalla disorientata comunità gay americana. I fondatori, consci
dell’allarme nella comunità gay americana, utilizzarono i primi soldi per costituire una
hotline, in modo da fornire le informazioni che filtravano dalla comunità scientifica. Nel
corso degli anni l’organizzazione si è data una struttura in grado di fornire i servizi più
svariati alle persone in Aids e sieropositivi, a partire da quelli di prima assistenza
(comunità per malati, pasti caldi) a quelli finanziari e legali. Il suo obiettivo primario
rimane quello del supporto alle persone malate (in particolare attraverso la figura del buddy
istituito dall’organizzazione), 2 anche se ha attuato nel corso degli anni campagne di
prevenzione.
1
E' interessante il parallelo che si può fare con le prime manifestazioni di sifilide nell'Europa del 1400. Essa
fu, a seconda del paese preso in considerazione, indicata come la malattia tipica del paese vicino: per i
francesi era il “mal des naples”, per gli spagnoli il “morbus gallicus”. Per approfondimenti : C. Quétel , Il
mal francese, Il Saggiatore, Milano 1993. Lo stesso è accaduto per l'Aids, dove di volta in volta, è stata la
malattia dei bianchi e dei loro riprovevoli costumi per il movimento panafricano, dei neri o degli haitiani per
la classe media americana.
2
Il buddy è un volontario che assiste la persona in carico all’organizzazione facendo per lui le incombenze
quotidiane: la spesa, il cucinare, le pulizie, in modo da permettere alla persona malata di concentrarsi sulla
propria salute.
SUPPORTING PEOPLE WITH AIDS THE GMHC MODEL 1988 GAY MEN’S
HEALTH CRISIS, opuscolo presso il Centro Studi Gruppo Abele
24
Non mancano le attività di advocacy (ossia di tutela e lobby per le persone malate). Sono
più di 2000 i volontari attivi, per lo più omosessuali e donne eterosessuali.3 Nel corso degli
anni, molte sono le accuse di conservatorismo piovute sulla organizzazione sia da parte
degli attivisti gay americani sia dal suo co-fondatore Kramer. In particolare, Kramer ha
sconfessato l’organizzazione perché troppo integrata e accettata nel sistema, e nel 1987 ha
creato un’associazione più radicale, ACT-UP.4La GMHC ha una sua importanza storica
perchè è stata il modello per centinaia di altre organizzazioni (non solo dedite all’aids, ma
anche ad altre patologie) e ha dato vita a nuovi standard di risposta degli utenti alla
malattia e al sistema sanitario in America e nel mondo intero.
A questa prima organizzazione ne seguiranno molte altre in America. Esse, alcune più
delle altre, hanno contribuito, attraverso le loro rivendicazioni, i messaggi scelti, le proteste
attuate, ad approfondire la dimensione sociale della patologia. Ad esempio già nel 1982 in
altre due metropoli particolarmente colpite dall'Aids nacquero, all'interno delle comunità
gay, i primi gruppi che diedero, in seguito, vita a due delle maggiori organizzazioni
americane: SFAF, San Francisco Aids Foundation e APLA, Aids Project Los Angeles. Tali
primi gruppi si occuparono inizialmente di fornire informazioni alla loro disorientata
comunità. Ma, in breve tempo, con raccolta di fondi riuscirono ad allargare i servizi offerti
e ad agire nel dibattito pubblico e politico sia a livello locale che nazionale per le tematiche
riguardanti la patologia.5
Naturalmente non ci è possibile elencare tutte le associazioni nate per il supporto e per
attività di lobby per i malati di aids, visto il loro numero straordinario. Prenderemo in
considerazioni solo le organizzazioni che si sono distinte per aver influito a livello
internazionale sulla percezione della sindrome e sull’elaborazione di nuovi orizzonti.
Prima di affrontare l’analisi di tali istanze è utile soffermarsi sul fatto che il maggior
numero di iniziative si collocano tra la metà degli anni Ottanta e l’inizio degli anni
Novanta: è nel clima di forte stigmatizzazione, prima che la sindrome rientrasse nella
“normalizzazione”, e prima dell’avvento della HAART (che ha allentato le tensioni tra gli
attivisti) che si sono create le elaborazioni concettuali in grado di influire pesantemente su
questa patologia, ma il cui patrimonio di attivismo è divenuto comune anche ad altre
malattie. L’introduzione di test di dépistage e la scoperta della nuova dimensione della
sieropositività, che coinvolgeva migliaia di persone non ammalate, ha portato una linfa
nuova alle rivendicazioni che in parte si erano già palesate nel 1983 con i Principi di
Denver.
2.2
I Principi di Denver
Essi furono redatti da un gruppo di persone con Aids (pwa, people with Aids) riunitesi a
Denver (Colorado) per discutere sulla loro malattia in un congresso organizzato dalla
Lesbian and Gay Health Foundation. In essi sono contenuti alcune rivendicazioni,
particolarmente combattive e radicali, che si vedranno presto all’opera da parte delle
organizzazioni in molte occasioni future. Nel clima di “morte” che aleggiava sulla
sindrome essi scrissero:
3
“Solidali e organizzati per fronteggiare l’Aids”, in «Aspe » n .9, 19 maggio 1991
M. Consoli, La funzione dei gruppi sociali nella percezione della malattia, in Il Libro Italiano dell'Aids
cit., p. 32-33.
5
Per le notizie in merito e per le azioni di prevenzione da esse attuate rimandiamo ai siti:
http/:www.apla
http/:www.sfaf
4
25
Condanniamo ogni tentativo di etichettarci come “vittime”, un termine che
implica rassegnazione, e solo occasionalmente ci consideriamo “pazienti”, un
termine che implica passività e sottomissione. Noi siamo persone con Aids.
Invitarono le altre persone con Aids ad auto-organizzarsi, a definire autonomamente la
propria agenda e strategia politica, a scegliere i propri rappresentanti, a comunicare
direttamente con i mezzi di comunicazione, a pretendere di essere inclusi in ogni forum
sull’Aids. Rivendicavano alcuni diritti: una vita sessuale soddisfacente, l’accesso alle
migliori cure possibili e a tutte le informazioni relative alle procedure mediche e ai loro
rischi, di poter accettare o rifiutare i trattamenti, di poter rifiutare la partecipazione alle
sperimentazioni cliniche senza alcuna conseguenza rispetto alle cure ricevute.6
Ma è sicuramente con le dimostrazioni attuate da Act-up che la visibilità a livello
internazionale sulle implicazioni sociali e terapeutiche della malattia raggiunge il suo
apice. Le sue rivendicazioni si pongono in una nuova fase della malattia, in cui non solo la
sieropositività riguardava migliaia di persone, in particolar modo gli omosessuali negli
Usa, ma anche la percezione della malattia era estesa alla popolazione generale.
2.3
L'attivismo farmacologico
ACT-UP!: Coalition to Unleash Power (Coalizione per slegare il potere) nasce nel marzo
del 1987 per iniziativa di Larry Kramer a New York al Lesbian and Gay Community
Service Center di Manhattan. Nell’’acronimo Act Up, Agire subito, è implicita una
caratteristica peculiare di questo movimento: la chiamata all’azione, sia da parte degli
attivisti sia degli enti federali, governativi e internazionali preposti per porre fine alla “crisi
dell’aids”. Una crisi della salute che non ha una matrice solo sanitaria, e non è risolvibile
entro i margini ristretti della somministrazione di servizi assistenziali, legali, di advocacy,
a cui, nella carenza infrastrutturale e nella disattenzione civica, avevano egregiamente
provveduto le organizzazioni nate a S. Francisco, Los Angeles, New York, dopo il primo
impulso dato da GMHC.
Attorno ad Act Up! si coagulano esperienze diversificate, che portano nuovi modi, tattiche
di lotta, verso una malattia intesa non più come crisi sanitaria–assistenziale di una
minoranza, ma come crisi politica, che investe lo stesso statuto di società civile. Se
GMHC, antesignana e modello di molte delle organizzazioni nate per affrontare l’aids,
rappresenta un tipo di organizzazione tesa a fornire servizi, supportare il vivere delle
persone con Hiv, ad essere “una sorta di struttura interna, parallela, alla società”7
burocratizzata e inserita pienamente nel sistema, su Act Up! si coagulano, come dicevamo,
quelle esperienze critiche nei confronti di una gestione lenta, separata dall’esperienza
quotidiana con la morte, fornitrice di servizi ma incapace di atti risolutivi per porre “fine
alla crisi dell’Aids”. Da qui l’impulso a proteste, dimostrazioni tese ad inchiodare gli enti
federali e governativi statunitensi alle loro responsabilità, a domandare ad essi una piena
partecipazione delle persone con Hiv/aids nell’implementazione di programmi, a
pretendere dalle case farmaceutiche una ricerca umana, solidale, etica, non volta
essenzialmente all’acquisizione del maggior profitto possibile, a scardinare quegli
6
M. Guarinieri, Planet Aids Manuale di resistenza attiva alle politiche delle multinazionali
farmaceutiche cit. , p. 11-13.
7
M. Consoli, La funzione dei gruppi sociali nella percezione della malattia, in Il Libro Italiano dell'AIDS
cit. p. 35.
26
atteggiamenti e forme di pensiero avvertiti come complici del propagarsi dell’epidemia:
l’omofobia, la bigotteria, le differenze di genere, il razzismo verso il diverso sia esso
l’omosessuale o il tossicodipendente, l’indifferenza del mondo eterosessuale.
Ripercorreremo brevemente la ricca storia di questo movimento al fine di evidenziare le
sue specificità e il terreno di confronto con le istituzioni pubbliche, private, morali,
culturali entro cui esso si è mosso. Un terreno proficuo dal punto di vista degli obiettivi
raggiunti e delle dichiarazioni di intenti elaborate.
Il nucleo originale di Act Up! si forma, come dicevamo, a New York e i suoi membri
provengono dalle esperienze più disparate.8
Maxime Wolfe (una delle attiviste della prima ora) nella sua analisi sui momenti iniziali di
costituzione di Act Up, evidenzia il clima di emergenza respirabile in particolar modo nella
comunità gay di New York, ma anche di altre città americane, che aveva determinato
l’allontanarsi di molti individui dalla semplice attività di advocacy e di lobby attuato dalle
organizzazioni nate come fornitrici di servizi9.
I membri di ACT UP! definirono se stessi come individui “uniti nella rabbia” ( “unit in
anger”) e praticarono l‘utilizzo delle azioni dirette come mezzo per porre fine alla crisi
dell’aids.10 Nelle varie sezioni di Act Up, che dal 1987 si svilupperanno in tutto il paese,
seguendo il modello di Act Up. New York, essi si differenzieranno programmaticamente e
realmente dagli altri gruppi di lobby (le altre associazioni e provider di servizi) per
l’utilizzo dell’azione diretta, degli atti di disobbedienza civile. Act Up! ha teorizzato e
praticato l’azione diretta non violenta come momento educativo insostituibile.11 Non ci è
possibile indicare tutte le manifestazioni, dimostrazioni, azioni di proteste attuate da ACT
UP! New York e dagli altri capitoli sorti all’interno degli Usa (e non solo): esse
ammontano a centinaia. Molte di esse hanno avuto referenti immediati situazioni e
politiche locali, ma altre hanno avuto una portata più vasta, capace di incidere
prepotentemente sulle politiche sociali riguardo all’aids, sul rapporto tra la comunità
medico-scientifica e gli attivisti, sulla percezione sociale e culturale della patologia e dei
gruppi da essa maggiormente colpiti. Gli obiettivi delle dimostrazioni erano scelti con cura
e le richieste spaziavano da campi prettamente sociali e culturali (come l’attacco alle leggi
contro la sodomia presenti in alcuni stati USA), alle politiche discriminatorie per le
persone sieropositive o malati in ambito lavorativo, assicurativo, di politica degli alloggi,
in campo sanitario (da tener presente il diverso modello di sanità statunitense, privatistico,
che ha sicuramente focalizzato l’attenzione degli attivisti), alle leggi immigratorie
statunitensi, ai rapporti con la comunità scientifica e agli enti regolatori della ricerca, alla
ricerca stessa.
L’elaborazione delle richieste, degli obiettivi da raggiungere avveniva attraverso i vari
comitati createsi su specifiche questioni o il lavoro degli affinity groups.12 Tra questi una
funzione strategica ebbe il comitato Treatment and Data di ACT UP New York che si
occupava dell’attivismo legato al trattamento farmacologico. Sottolineiamo la capacità di
questo gruppo di proporsi come valido e competente interlocutore della comunità
scientifica, attraverso sia l’acquisizione del linguaggio, della conoscenza e della prassi
medico-scientifica sia attraverso l’elaborazione di alcune rivoluzionarie concezioni nella
strutturazione e finalità dei trial farmacologici.
8
The Tactis of Early Act Up (interview a Maxime Wolfe), in
http/:www.actupny.org/documents/earlytactis.html, al 30 agosto 2006.
9
The Tactis of Early Act Up (interview a Maxime Wolfe) cit.
10
J. Greenberg, How to start an ACT Up chapter, in http/:www.actupny.org/documents/start_chapter.html ,
al 30 agosto 2006.
11
J. Greenberg, How to start an ACT Up chapter cit.
12
Gli affinity groups erano dei gruppi informali che trattavano diversi aspetti riguardo l'aids e
l'organizzazione: ad esempio il Media comitee, o Treatment and Data sui trattamenti farmacologici.
27
La prima dimostrazione di protesta di Act Up! New York ebbe luogo tre settimane dopo la
sua costituzione, il 24 marzo 1987. Allo slogan “ l’Aids è un problema di tutti ora”(“Aids is
Everybody’s Business Now”) Wall Street, come uno dei centri finanziari più importanti del
mondo, fu scelto per chiedere l’immediato rilascio da parte della Fda di alcuni farmaci che
erano nei trial di sperimentazione o in procinto di entrarvi, intesi come farmaci salvavita,
ad un prezzo sostenibile; per chiedere l’immediata riduzione del prezzo dell’unico farmaco
allora disponibile, l’AZT, prodotto dalla Burroughs Wellcome; per chiedere l’immediata
abolizione degli studi in doppio cieco13 ritenuti crudeli, e la richiesta di una politica
nazionale sull’aids coordinata, comprensiva, compassionevole che spaziasse dalla
proibizione delle discriminazioni nei trattamenti sull’aids, nelle assicurazioni, nel lavoro e
nella disponibilità abitativa ad una campagna di educazione pubblica di massa per fermare
l’avanzata dell’epidemia.14 Diciassette furono gli attivisti arrestati, ma poco tempo dopo la
Fda annunciò l’intenzione di ridimensionare a due anni i tempi di approvazione dei
farmaci.
Il 1 Giugno 1987 con altri gruppi di attivisti, Act up dimostrò davanti alla Casa Bianca, per
protestare contro la politica sull’aids portata avanti dall’amministrazione Reagan15.
2.3.1 Dimostrazione contro la Food and Drug Administration
L’11 ottobre 1988 ACT UP! con gli attivisti di ACT NOW16 attuò una fra le più
spettacolari e significative proteste nella sua storia. Circa mille attivisti separarono
materialmente gli uffici della Fda (Food and Drug Administration) dalla vicina città di
Washinghton Dc, protestando di fronte ad essi. Per gli atti di disobbedienza civile vi furono
circa 180 arresti17 e, anche grazie ad un abile lavorio di copertura mediatica effettuato dai
Media Comitee delle varie sezioni, nonché per l’importanza dell’ente coinvolto, la
dimostrazione ebbe un fortissimo impatto mediatico sia nazionale che internazionale. La
Fda fu scelta come obiettivo della protesta perché come centro federale di
regolamentazione dei farmaci si situava al punto nodale di ogni scelta riguardante la
ricerca e il trattamento dell’aids. Gli attivisti in particolare imputavano alla Fda una
letargia e una disfunzionalità nell’iter di approvazione dei farmaci, una mancanza di
visuale propositiva capace di fare i conti con una malattia che minacciava la vita di
migliaia di giovani. Chiedevano che fossero accorciati i tempi di approvazione dei farmaci
e che la Fda si impegnasse a far pressione sulle compagnie farmaceutiche riluttanti
affinché realizzassero trattamenti sperimentali ed effettuassero trial, e obbligasse le case
farmaceutiche che utilizzavano lo statuto di Orphan drug 18 per i loro farmaci anti-aids
(Azt), o contro le malattie opportunistiche (pentamidina), ad aprire i loro libri contabili, in
modo da giustificare e rendere trasparenti i costi e i prezzi del farmaco in questione19.
13
Gli studi in doppio cieco valutano l'efficacia del farmaco fornendo ad una parte dei partecipanti la
molecola in questione, mentre all'altra parte viene offerto semplicemente un placebo
14
Act up Capsule History 1987, in http/:www.actupny/documents/cron-87.html , al 30 agosto 2006.
15
Act up Capsule History 1987cit.
La manifestazione ebbe una visibilità internazionale a causa dei guanti gialli indossati dalla polizia mentre
arrestava alcuni attivisti. I guanti gialli divennero la prova stringente della fobia della società americana verso
l’aids.
16
E' la federazione di tutte le associazioni o gruppi nate negli Usa sul modello di Act Up! New York
17
Act Up Capsule History 1988, in http/:www.actupny/documents/cron-88.html , al 30 agosto 2006.
18
Le Orphan Drugs sono farmaci finanziati dal governo federale perchè riguardano malattie che non
colpiscono più di 200 mila persone. Per tale motivo, esse sono trascurate dalla ricerca delle case
farmaceutiche e attraverso questo istituto ottengono i finanziamenti necessari alla ricerca.
19
Act up Capsule History 1988 cit.
28
L'obiettivo principale era l'autodeterminazione delle persone malate o sieropositive nelle
scelte che riguardavano la loro salute.20
2.4
Il Manifesto di Montreal e il “ Parallel Track”
Alla V Conferenza Internazionale sull’Aids di Montreal nel giugno del 1989 gli attivisti di
Act Up! non si limitarono ad azioni di protesta contro la gestione dell’epidemia. Essi,
infatti, occupando il palco del simposio medico internazionale21(insieme ad attivisti di altre
organizzazioni) proposero il concetto rivoluzionario del “Parallel Track” e insieme ad
AIDS ACTION NOW Toronto presentarono Il Manifesto di Montreal, ovvero la
“Dichiarazione Universale di Diritti e dei Bisogni delle Persone che vivono con malattia
da Hiv”. Il Manifesto fu approvato nella pre-conferenza delle organizzazioni Non
Governative da circa 300 organizzazioni.22
Nel Manifesto di Montreal è presente la preoccupazione degli attivisti che le misure prese
dai governi, nei confronti di una patologia fortemente stigmatizzata e fonte di paure
irrazionali (specificatamente, a tal riguardo, richiedevano che le paure ingiustificate
riguardo la trasmissione fossero combattute), potessero tradursi in azioni denigratorie della
dignità umana: gli attivisti condannarono qualsiasi misura di quarantena o di test
obbligatorio23 e indicarono nel garantire il pieno accesso e disponibilità dei trattamenti
l’inderogabile obbligazione sociale e morale dei governi verso i cittadini. Nell’indicare i
punti caratterizzanti un auspicato codice internazionale dei diritti, essi evidenziarono
alcune questioni sociali e culturali strettamente legate con la malattia. Non solo richiesero
un coinvolgimento attivo delle comunità colpite dall’epidemia nelle decisioni politiche che
li riguardavano, ma, nell’ottica di una malattia che si annidava nelle disparità presenti
all’interno della società e tra società differenti, essi evidenziarono alcuni di questi ostacoli
richiedendo un impegno collettivo e legislativo per il loro superamento. Da cui la richiesta
di una legislazione antidiscriminatoria per le persone sieropositive e ammalate, del pieno
riconoscimento delle coppie gay e lesbiche, della protezione del diritto riproduttivo delle
donne sieropositive e la piena accessibilità delle donne alle informazioni riguardanti la
malattia, al riconoscimento effettivo del diritto delle donne a controllare il proprio corpo,
di un’attenzione particolare alle esigenze dei carcerati sieropositivi (inclusa la garanzia
dell’accessibilità ad un trattamento uguale a quello della popolazione generale) e a quelle
20
Commenta a tal riguardo Bordowitz (uno degli organizzatori della manifestazione): “L’agenzia ( la Fda)
non era indirizzata nel nostro interesse. Le persone con AIDS stavano andando a rilevare l’agenzia e a
indirizzarla nel nostro interesse…(..).(questo) penso fu il contributo durevole di ACT UP , che le persone con
Aids fossero nel controllo di tutte le decisioni riguardanti la nostra salute. E’ fu molto significativo e molto
coerente entro la storia dei movimenti per i diritti civili. Principalmente, il principio centrale è la selfdetermination (Autodeterminazione). Così questo è autodeterminazione per le persone con una malattia. Ma è
anche il cuore dei movimenti dei sindacati: autodeterminazione per i lavoratori di indirizzare la loro vita
lavorativa; il movimento dei diritti civili, autodeterminazione per le persone di colore; femminismo;
liberazione gay e lesbica. E’ coerente, e si possono vedere le nostre richieste, come attivisti, come persone
con Aids, o supporter di persone con Aids nel movimento dell’attivismo sull’aids come completamente
coerenti con la storia dei diritti civili”.
http/:www.actuporalhistory.org/interviews/images/bordowitz.pdf , al 30 agosto 2006, p.27.
21
R. Goldberg , When PwA first sat at higle Table, in http/:www.actupny/org/montreal.html, al 30 agosto
2006.
22
Tra le firmatarie anche la Lila.
R. Citterio, Ciclostilato V Conferenza Internazionale sull’Aids-Montreal 4-9/6/89 ,L.I.L.A. MILANO.
Consultabile presso Centro Studi Gruppo Abele, Torino, collocazione B4404.
23
Pronunciandosi invece per il diritto ad un test anonimo e confidenziale seguito e preceduto dal counseling
29
dei tossicodipendenti (incluso il diritto al trattamento per abuso di sostanza se richiesto),
del riconoscimento della povertà come co-fattore24 della malattia. A tal riguardo essi
richiesero ai paesi industrializzati sia la creazione di un fondo per l’assistenza sanitaria ai
paesi poveri, incluse forniture di profilattici, aghi sterili e delle infrastrutture necessarie alla
fornitura di sangue non contaminato, sia la riconversione delle spese militari in servizi
sanitari e sociali come priorità basilare. Non solo, il manifesto focalizzò l’attenzione sui
trattamenti e sui trial di ricerca richiedendo per essi criteri standardizzati al fine di
agevolare la più estesa conoscenza e disponibilità, la creazione di una banca mondiale con
tutte le informazioni disponibili sui trattamenti attuali e sui trial di approvazione
farmacologia, il riconoscimento della non eticità dei trial con placebo25 quando “essi sono i
soli mezzi di accesso a trattamenti particolari”. Nel campo dell’educazione alla
prevenzione richiesero come diritto inalienabile un’informazione “ comprensiva di tutti gli
orientamenti sessuali nei modi culturalmente sensibili” e una disponibilità delle descrizioni
di sesso sicuro e delle pratiche sicure sugli aghi di iniezione.26
2.4.1 Il “Parallel track”
Alla conferenza di Montreal gli attivisti di Act Up! New York proposero alla platea di
specialisti il loro “National Aids Treatment Agenda” come piano per rendere prioritaria la
ricerca sull’aids negli USA. L'obiettivo era ottenere la partecipazione delle persone
sieropositive e malate nelle decisioni in merito alla ricerca farmacologica.27
Nell’implementazione dei trial clinici per l’approvazione dei farmaci anti-aids essi
condussero una battaglia per rendere le procedure più flessibili, più vicine alle esigenze
delle persone colpite dalla malattia. In tale ottica essi proposero un concetto ritenuto da più
parti rivoluzionario, quello del Parallel Track. Rivoluzionario perché era una deroga alle
usuali procedure di approvazione dei farmaci istituite dalla Fda. Esso indica la fornitura di
un farmaco che ha superato la fase I del trial di monitoraggio per l’approvazione (ossia la
fase che valuta la tossicità del farmaco) alle persone che per varie ragioni non sono
eleggibili nelle due fasi successive del trial di controllo.28 Naturalmente il farmaco deve
aver fornito dati che comprovino una sua possibile efficacia nel combattere la progressione
della malattia.
Nel clima di emergenza e di impotenza di fronte alla malattia, lo spirito che animava gli
attivisti era quello di fornire un farmaco ritenuto un potenziale salvavita a persone che
altrimenti non avrebbero avuto la possibilità del suo accesso prima della effettiva
approvazione.29
In seguito ad incontri tra i membri di Act Up con il Comitato della Fda preposto al
controllo dei farmaci anti-infettivi fu implementato e definito il programma di Parallel
Track e nel settembre del 1989 il farmaco ddI della Bristol Myers fu rilasciato a 5000
persone con Aids che non tolleravano l’Azt e/o erano ineleggibili per il trial di
approvazione del farmaco.30
24
Vedi Glossario
Vedi Glossario
26
Le manifeste De Montreal, Declaration of the Universal Right and Needs of People Living with HIV
Disease, in http/:www.gaylib.com/text/misc12.htm , al 30 maggio 2007.
27
R. Goldberg , When PwA first sat at higle Table cit.
28
Non eleggibili perché troppo malati, vivono troppo lontani dal centro in cui si effettua la sperimentazione, o
sono intolleranti a uno dei farmaci che vengono testati insieme, o per altre ragioni non sono eleggibili nel trial
di controllo ma necessitano del farmaco
29
Treatment Access-Activist Philosophies, in http/:www.actupny.org/treatment/access-philos.html , al 30
agosto 2006.
30
Act up Capsule History 1989, in http/:www.actupny/documents/cron-89.html , al 30 agosto 2006.
25
30
Ci siamo dilungati su queste prime associazioni di lotta all'aids e sulle loro elaborazioni
concettuali perchè esse furono i modelli di riferimento di molte associazioni nate
specificatamente sulla questione Aids. Aggiungiamo che si possono rintracciare quattro
tipi di organizzazioni avutesi a livello mondiale:
a) associazioni per la presa in carico dei bisogni assistenziali delle persone malate o
sieropositive (come per esempio in Italia l'ASA, Associazione Solidarietà Aids);
b) associazioni per la tutela dei diritti delle persone sieropositive o malate (come per
esempio in Italia la Lila, Lega Italiana Lotta all'Aids);
c) associazioni o fondazioni per il reperimento di finanziamenti per la ricerca (come per
esempio in Italia, l'Anlaids, Associazione Nazionale Lotta all'Aids);
d) associazioni di attivismo farmacologio (Act Up negli Usa, Nadir in Italia).
Tutte queste associazioni si sono occupate di prevenzione e, specifichiamo, non sono
esistiti confini rigidi nelle loro finalità e spesso si sono occupate di più compiti.
31
Cap.3 - Tutela individuale versus Tutela collettiva -
Le caratteristiche della malattia, quali la sua contagiosità, i modi di propagazione del virus,
la forte stigmatizzazione delle persone colpite e le discriminazioni delle categorie
maggiormente esposte, hanno portato alla ribalta alcuni temi politico-sociali particolari
nell’apportare le misure necessarie a circoscrivere l’epidemia.
A tal proposito ci ricorda Vera Boltho Massarelli1:
alla sua apparizione l’Aids- d’origine virale- fu considerata dalla collettività
un’epidemia come le altre e furono reclamate un pò ovunque misure
“draconiane” dipendenti dai controlli classici. Da questo punto di vista l’Aids
come malattia epidemica è stata vissuta, come le precedenti, su tre piani: quello
della realtà, quello del simbolo e quello del mito.(..) Il piano reale è stato
oggetto dell’attenzione del corpo medico e scientifico, mentre il livello mitico è
stato integrato dalla collettività che ha rinvenuto nell’aids l’associazione
malattia-impurità”. Nel livello simbolico rientrano le misure adottate dalle
autorità sanitarie e governative: l’ambiente politico si è soprattutto confrontato
sul piano simbolico; ogni flagello suscita, infatti, tensioni tra gruppi di
popolazioni e il desiderio di vedere l’autorità pubblica adottare misure idonee
per isolare il “colpevole”.
Il punto interessante per la trattazione che noi stiamo effettuando sul dibattito e le misure
preventive dell’analisi di Boltho Massarelli riguarda ciò che distingue l’epidemia di aids
dalle altre:
in primo luogo, le sue modalità di trasmissione rendono le misure
internazionali2, indicate dai regolamenti sanitari, tanto inapplicabili, quanto
inefficaci; in secondo luogo, il contesto culturale occidentale, all’interno del
quale si sviluppa questo virus, è caratterizzato da un’importante modifica dello
statuto del malato nella società, in termini di diritti dei pazienti
all’autodeterminazione e al mantenimento della loro integrazione nella società.3
1
V. Boltho Massarelli, Ruolo del Consiglio di Europa nel Futuro dell'Aids, in P. Cattorini (a cura di) AIDS I
ruoli e le responsabilità delle istituzioni pubbliche e private nella lotta all'Aids, cit., p. 114.
2
Intendendo per misure internazionali sia azioni preventive, quali le vaccinazioni, sia restrittive, quali
controlli sanitari, isolamento, quarantene
3
V. Boltho Massarelli, Ruolo del Consiglio di Europa nel Futuro dell'Aids cit., p. 114.
32
Questa analisi è stata scritta agli inizi degli anni Novanta, durante l’ampio dibattito che
aveva caratterizzato le società occidentali sulle misure da intraprendere per circoscrivere
l'epidemia.
3.1
L'AIDS come modello di malattia eccezionalista.
Fin dalla prima metà degli anni ottanta tra gli ufficiali sanitari americani (per primi alle
prese con le manifestazioni della nuova epidemia) vi fu un dibattito su quali misure erano
più adatte ad arginare l'epidemia: ossia se applicare i modelli tradizionali di lotta alle
epidemie, in particolare di quelle di natura venerea (contact tracing, quarantena,
isolamento), oppure cercare una via nuova. Alcune delle misure tradizionali furono
applicate soprattutto negli approcci iniziali alla malattia: come ad esempio la chiusura dei
Bathhouse a New York o, al momento della disponibilità di un test di screening, i richiami
al dépistage obbligatorio. Ma, come sottolineava Boltho Massarelli, vi erano alcuni fattori
sociali, giuridici, sanitari, che rendevano i modelli tradizionali non idonei alla lotta contro
l'aids. Il modello che si andò ad affermare nei paesi occidentali nel corso degli anni Ottanta
è stato definito dagli osservatori come "eccezionale".4
Nella loro analisi5 sulle caratteristiche del modello eccezionalista e sul suo sviluppo
temporale Rosenbrock e colleghi, dividono in quattro fasi l'approccio sanitario al
fenomeno Aids nei paesi occidentali: 1° fase (1981-1986) il debutto dell'eccezione; 2°fase
(1986-1991) pratica e consolidazione dell'eccezione, 3° fase (1991-1996) sgretolamento
dell'eccezione e primi segnali di normalizzazione, 4°fase (dal 1996) normalizzazione.
Il carattere eccezionalista dell'approccio sanitario all'aids andrebbe ricercato per
Rosenbrock in principal modo nella strategia di "apprendimento sociale" messo in atto
dalle autorità sanitarie. Tale strategia si basa sull'educazione, prevenzione, mobilitazione di
risorse e di attori sociali, fa appello alla responsabilità individuale e comunitaria, e su un
modello di inclusione e cooperazione con il soggetto colpito, a rischio e la sua comunità.
Tende a creare un clima solidaristico verso le persone colpite e i gruppi sociali
maggiormente esposti (attraverso anche prese di posizione legislative contro le
discriminazioni) in modo da avvicinare i soggetti alle strutture sanitarie e alle misure
preventive e di evitare il formarsi di epidemie nascoste.
4
Sono gli stessi ufficiali sanitari americani a parlare della necessità di un approccio eccezionalista sull'aids a
partire fin dalla prima metà degli anni Ottanta.
Aids and Public Health. The Enduring Relevance of a Communitarian Approach to Disease Prevention in
«AIDS & Public Policy Journal», Volume 8, Number 4, Winter 1993, p.157-176.
5
Rosenbrock, Dubois-Arber, Moers, Pinell, Schaeffer, Setbon, La normalisation du sida en Europe de
l'ouest, in «INFOTEQUESIDA , Le Magazine de Sida», Info Doc. Suisse, 5/99, p. 4-15.
Anche consultabile in http/:hivnet.ch
33
I fattori che hanno presieduto all’elaborazione di tale statuto nella fase di debutto della
eccezione andrebbero cercati in una serie di elementi sociali, politici, medici ma anche
inerenti le caratteristiche della malattia:
- il carattere eccezionale dell'aids stesso, che nonostante la paura sociale, si trasmetteva,
come dimostravano le ricerche epidemiologiche, attraverso precisi e modificabili
comportamenti;
- l'incompatibilità dei modelli tradizionali con i sistemi giuridici impostati sui diritti civili e
la tutela dell'individuo;
- l'indebolimento nella autorità della medicina agli inizi dell'epidemia di aids avrebbe
favorito un’attenzione da parte degli ufficiali pubblici all'esistenza di modelli alternativi ai
sistemi classici;
- l'azione da parte della comunità gay, fin dagli esordi dell'epidemia, per la promozione di
modificazioni nel comportamento nei suoi ranghi e la richiesta di sostegno e di protezione
delle libertà civili conquistate durante il movimento liberazionista della fine anni ’60;
- la mobilitazione politico-sociale, in particolare sotto l'impulso delle comunità gay, degli
attivisti e delle associazioni per formare una sorta di “cordone sanitario e politico (alleanza
eccezionalista)”.
Al fine della nostra trattazione meritano attenzione in particolare gli ultimi tre punti.
Innanzitutto questi modelli alternativi di politica sanitaria erano stati progettati per
l'approccio alle malattie croniche (in particolare cardio-vascolari) e si trovavano in una fase
di sperimentalità e facevano leva su alcuni elementi (gli stessi che caratterizzeranno il
modello eccezionale applicato all'aids): mobilitazione, partecipazione dei gruppi per la
presa in carico delle strategie preventive e il sostegno sociale, orientamento verso la
comunicazione, incitamento positivo al cambiamento dei comportamenti, sviluppo
dell'empowerement e dell'attitudine alla responsabilità individuale e sociale come obbiettivi
e condizioni per la gestione del rischio di sviluppo della malattia. Questi elementi di
strategia preventiva in fase di sperimentazione furono applicati da parte delle autorità
sanitarie come approccio alla gestione dell'epidemia di Aids.
A livello politico, Rosenbrock sottolinea che la scelta di una strategia basata su tale
modello fu logica, perchè permetteva di integrare e utilizzare i movimenti e i modelli
sviluppatesi fin dagli esordi dell'epidemia nella comunità gay americana.
Nella seconda fase, quello della consolidazione e pratica dell'eccezione, Rosenbrock ritiene
si sia sviluppato un modello esemplare di una politica sanitaria moderna. In tale fase si
attuò una consolidazione dei processi di suddivisioni dei compiti e delle istituzioni nate nel
debutto eccezionalistico e scrive Rosenbrock:
Questo nuovo approccio alla prevenzione delle malattie sessualmente
trasmesse rappresenta il passaggio da una sorveglianza"dispotica",
34
individualizzata e diretta a dei meccanismi di controllo "infrastrutturale",
continuo e indiretto. Si passa da un sistema di controllo e esclusione a un
approccio di cooperazione e inclusione, da una strategia di dépistage
dell'individuo colpito a una strategia dell'apprendimento sociale.
Le caratteristiche di questa nuova fase furono:
- una forte partecipazione democratica nella negoziazione delle questioni fondamentali
inerenti la strategia da attuare; ad essa parteciparono sia i governi sia le professionalità
sanitarie sia le organizzazioni non governative; il risultato fu un livello elevato di
informazione e di conoscenza nella popolazione del fenomeno Aids;
- un’estesa costellazione di attori nel processo di elaborazione e di attuazione della politica
sanitaria: ciò legato in parte a quel indebolimento dell'autorità medica, di cui abbiamo già
parlato, in parte all'estensione sociale delle problematiche legate all'aids;
- lo sviluppo di un concetto di prevenzione nuovo (che Rosenbrock ritiene frutto
dell'esperienza della promozione e prevenzione della salute sviluppate a livello
comunitario e in base alle referenze esplicitate nella Carta di Ottawa), i cui cardini erano:
- sviluppo e utilizzazione di canali comunicativi appropriati (a tre livelli almeno:
popolazione generale, gruppi bersaglio, counselling individuale);
- necessità di messaggi di educazione e informazioni non equivoci. Le estensioni
logiche di questo modello preventivo furono sia il rifiuto di qualsiasi
discriminazione pubblica (che avrebbe reso impossibile la prevenzione nei gruppi
bersaglio e non credibile il partenariato tra comunità e autorità statali), sia un
"processo di costruzione comunitaria", ossia gli stili di vita, gli ambienti e le
strutture dei gruppi bersaglio dovevano essere compresi ed eventualmente sostenuti.
- la presa in carico da parte delle autorità sanitarie degli ammalati e l'orientamento
della ricerca verso i loro bisogni.
La terza fase è caratterizzata dalla perdita del fenomeno aids del suo statuto di eccezione
per ricollocarsi nell'alveo dei fenomeni conosciuti e abituali. Tale passaggio è
caratterizzato da una diminuzione dell'attenzione pubblica, dallo sviluppo di terapie che
aprono la porta ad una cronicizzazione dell'aids (a tal proposito ricordiamo che l'aids ha
goduto di un carattere eccezionale anche per la sua caratteristica di malattia fatale), dal
consolidamento della gestione dell'aids e dalla sua professionalizzazione.
Rosenbrock ritiene che i motivi che hanno spinto verso la normalizzazione dell'approccio
all'aids siano diversi, alcuni specifici alla malattia aids e altri non specifici. Tra i fattori non
specifici di normalizzazione, indica: il potenziale di adattamento ai rischi della società; la
pressione esercitata da altri problemi sociali; il clima di austerity della finanza pubblica
che non permette più un trattamento di "favore" verso l'aids; una crisi delle motivazioni
35
degli attori della prevenzione e del sostegno ai malati causata dall'abbassamento generale
dell'attenzione; la necessità di integrazione tipica di un passaggio alla normalizzazione, con
il conseguente rifiuto di soluzioni originali e azioni innovatrici, tipiche del debutto
eccezionale, porta ad una svolta: molti degli attivisti della prima ora, che avevano
intrapreso la lotta all'aids con specifiche esigenze, abbandonano e sono sostituiti da altri
attori con esigenze differenti; si assiste, in generale, ad una de-politicizzazione delle
istanze delle ONG (Organizzazioni Non Governative), in quanto nel loro passaggio ad una
fase di normalizzazione hanno mutato il loro carattere: da movimento sociale della prima
ora che basava il suo statuto sull'aiuto informale di mutua assistenza associativa ad un
aiuto informale di tipo caritativo parte integrante dello Stato-provvidenza e da esso
dipendente.
Tra i fattori specifici all'Aids, Rosenbrock indica: -il mancato verificarsi nei paesi
occidentali dello scenario catastrofico di ampiezza dell'epidemia annunciato ai suoi esordi;
- grazie alle terapie l'aids diventa nel corso del tempo sempre più maneggiabile e
controllabile: ciò ha per corollario di erodere uno dei fondamenti che ne avevano
determinato l'approccio eccezionale, ossia l'impotenza della medicina di fronte a questa
nuova malattia, e come conseguenza la medicina diventa l'attore principale nella sua
gestione (quindi nell'allocazione delle risorse per la ricerca in base alle proprie esigenze);
- la gestione dell'aids come malattia cronica permette di razionalizzare i conflitti politici e
sociali che hanno attraversato la politica dell'aids e di ritornare ad abitudini di risposta
tecnica ai problemi sociali; - si constata una diminuzione della volontà politica
nell'impegno finanziario (con una progressiva riduzione dei progetti sovvenzionati dallo
stato) e il tentativo di integrare l'aids all'interno delle attività dispieganti un funzionamento
regolare.
Nella quarta fase, quella della normalizzazione, si attuano tre processi principali:
-una diminuzione dell'importanza delle istituzioni e delle agenzie governative nate attorno
al fenomeno aids e una loro reintegrazione nell'organizzazione gerarchica e burocratica
normale;
-un taglio nelle risorse per la ricerca e la prevenzione, che alcune volte si traduce in uno
smantellamento;
- l'influenza cresciuta e in espansione della medicina determina un ridimensionamento
dell'assistenza orientata ai bisogni degli ammalati, tipica del debutto eccezionale e nelle
richieste dei primi attivisti, per una ricollocazione in termini più generalizzabili.
Ci siamo dilungati sull'analisi di Rosenbrock perchè ci permette di tracciare un quadro di
riferimento entro cui si è sviluppata la politica sanitaria sull'aids. Come si evince, essa è
stata il frutto di alcuni fattori concomitanti e di forti negoziazioni tra istanze differenti. In
particolare, a rischio di cadere nella semplificazione, sono stati tre gli attori principali di
queste negoziazioni, che abbiamo visto hanno portato ad una politica eccezionalista
36
sull'aids: i movimenti sociali, il corpo medico-scientifico, le autorità politiche. Il terreno di
confronto delle diverse istanze è stata la nascita del “ fenomeno Aids”: ossia di una
malattia, fortemente percepita nell'immaginario collettivo come capace di trasmettersi dai
margini della società all'intero corpo sociale. Margini percepiti come legati a
comportamenti riprovevoli. Sono state le caratteristiche stesse di quello che possiamo
definire "il fenomeno aids" a determinare questo intreccio di negoziazioni. Ciascuno di
esso ha risposto all'epidemia portando le proprie istanze e quelle dei propri referenti.
3.2
La criticità del test
Con l’introduzione a partire dal 1985 dei test di dépistage l’Aids assunse un volto nuovo:
sul nuovo concetto di sieropositività si delinearono i tratti della malattia e dell’epidemia. Il
suo ruolo nella definizione dalla malattia da un punto di vista scientifico e socio-politico è
stato enorme. Concepito per lo screening delle unità destinate alle banche del sangue, esso
fu il metro di giudizio attraverso cui l’epidemiologia affiancata dalla virologia concepì,
scoprì ed elaborò le caratteristiche del virus, la sua contagiosità, i mezzi e gli atti di
trasmissione, fornendo quel bagaglio di conoscenze alla base degli interventi pubblici e
sociali in materia di Aids. Possiamo affermare che è con il test di screening che l’aids
riceve il pieno statuto di malattia contagiosa.
Il test non fu solo uno strumento “scientifico” di conoscenza della malattia e di
delineazione dell’epidemia, ma esso fu investito di un forte peso sociale e politico, ed è su
di esso che più forti sono state le tensioni tra il modello eccezionalista e le urgenze di
natura più prettamente politica. Infatti, come strumento diagnostico per futuri casi di Aids
esso fu al centro di un fortissimo e profondo dibattito da parte di differenti attori sociali in
tutta la seconda metà degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta. Con la morte di Rock
Hudson, il test divenne il bersaglio delle proposte politiche per contenere, o spesso, per
"mappare" l’epidemia. Mosse dall’ansia di rassicurare la popolazione generale
circoscrivendo le categorie esposte al male, le proposte politiche di test obbligatorio
universale, o per le sole categorie a rischio, o i controlli alle frontiere furono all’ordine del
giorno in tutti gli stati alle prese con l’epidemia.6 Sull’onda emotiva del panico da Aids che
colpiva la popolazione in generale, esso facilitava e permetteva di riproporre gli strumenti
tradizionali utilizzati nel combattere le epidemie. Quale strumento di conoscenza
6
Nel 1986 il giornalista conservatore William F. Buckley raccomandò lo screening obbligatorio e il tatuaggio
sugli avambracci e sulle natiche di tutti gli individui risultati sieropositivi, in modo da essere chiaramente
riconoscibili da coloro con cui potevano attuare comportamenti a rischio.
A. M. Brandt, Aids:fromSocial History to Social Policy, in E. Fee and D. M. Fox (edited by) AIDS:The
Burdens of History, University of California Press, Berkeley 1988, p.158.
37
epidemiologica esso poteva puntellare l’ansia della popolazione generale di tracciare i
confini di una malattia che si presentava senza volto. Scrive nel 1987 Allan M. Brand,
quale riflessione del dibattito sullo screening:
l’Aids crea esplicitamente una tensione centrale nel nostro sistema politico: la
ricompensa che poniamo nei diritti dell’individuo come libertà civili
fondamentali contro la nozione del bene pubblico e del ruolo dello stato
nell’assicurare il benessere pubblico(…) In nessun luogo(tale tensione nda) è
più chiaramente visibile che nel corrente dibattito circa il test e lo screening per
anticorpi all’hiv7.
Ancora, il test richiamava il politico sulla necessità di mettere in atto delle misure che
servissero a fermare l’epidemia, a circoscriverne le possibilità di propagazione, e, non a
combattere il sieropositivo.
All’interno di questa dicotomia, il test presentava alcuni elementi critici, che si
enfatizzavano, allorquando era prevista la notifica obbligatoria all’autorità centrale dei casi
di sieropositività. A tal proposito, M. Kirby, nel 1989 nel pieno del dibattito internazionale,
nella sua esperienza di giudice della Corte Suprema australiana, ammonendo i propri
colleghi sulla improponibilità di decisioni rapide per sedare l’allarme montante, traccia un
bilancio molto pragmatico sugli obiettivi raggiungibili e negati nelle scelte legislative
implementabili sul test. Per Kirby i vantaggi del Test obbligatorio universale risiedevano:
in un vantaggio politico immediato, potendo mobilitare la popolazione generale attorno al
nuovo pericolo; nella possibilità di identificare persone infette che altrimenti non sarebbero
state trovate; nella possibilità di accompagnare il test a grandi campagne di informazione.
Gli svantaggi riguardavano: l’impossibilità di offrire cure o vaccinazioni; l’incapacità e la
non-economicità ad isolare gli individui infetti, vista anche la trasmissione legata
essenzialmente ad alcuni precisi comportamenti a rischio; l’alto costo sanitario di un
approccio del genere, che avrebbe stornato risorse per la ricerca e la prevenzione; la
necessità di ripetere il test, in quanto non capace di rilevare le infezioni nel cosiddetto
”periodo finestra”8; il rischio di forti discriminazioni nei confronti delle persone risultate
sieropositive, soprattutto se notificate ad un archivio centrale (ritenendo marginale il test a
fini epidemiologici). I vantaggi del test obbligatorio dei gruppi cosiddetti a rischio, invece
erano: il costo minore rispetto a quello obbligatorio universale; il non coinvolgimento
diretto della popolazione locale concentrandosi in principal modo su alcune categorie,
quali gli stranieri (studenti, immigrati, lavoratori stagionali). Però, per il giudice, gli
svantaggi potevano superare di gran lunga quelli del test obbligatorio perché creavano un
falso senso di sicurezza nella popolazione locale; spostando l’attenzione verso lo straniero,
7
A. M. Brandt Aids:fromSocial History to Social Policy cit., p.157.
8
Vedi Glossario
38
non solo potevano dare adito a sentimenti xenofobi, ma anche costituire una facile ricetta
rispetto all’azione mirata ai più difficili problemi della droga e della sessualità dei giovani.
Il vantaggio del test obbligatorio alla frontiera, con negazione ai sieropositivi di entrare, si
concretizzava nella sua forte popolarità, in quanto non intaccava la popolazione locale. In
più era una misura che nei paesi isolati e con bassa o nulla incidenza di infezione poteva in
qualche modo preservare il paese dall’epidemia. Però gli svantaggi di tale approccio erano
alti: non solo quelli già elencati per il test obbligatorio sui gruppi a rischio, ma anche la
possibilità di ritorsioni che avrebbero potuto intaccare la libertà dei traffici internazionali, e
quindi lo sviluppo economico internazionale.
Il pericolo, per Kirby, a cui le società democratiche andavano incontro, non era solo
nell’infezione dal virus, ma soprattutto nella possibilità di implementare legislazioni
inefficaci e controproducenti, lesive delle persone e fasce più deboli. E il suo invito a
riconsiderare l’attuazione di legislazioni regolatrici del comportamento umano, mirava ad
evitare politiche coercitive che avrebbero inevitabilmente finito per combattere più il
sieropositivo che l’espansione della malattia in sé.9
Questa tensione tra diritti del individuo e diritto dello stato a proteggere la salute pubblica
che si palesava nell’estensione sociale raggiungibile dai test si enfatizza, allorquando, si
prendeva in considerazione il tipo di notifica utilizzata per segnalare i casi all’autorità
sanitaria deputata. I fautori del test nominativo seguito dalla notifica obbligatoria
guardavano ad essi come strumenti che permettevano di seguire concretamente
l’evoluzione della malattia, di mettere in grado il sistema sanitario, attraverso magari
l’istituto del contact tracing (messo in atto in Svezia ed Israele, quale tradizionale misura
cui sono sottoposte le malattie veneree), di isolare l’infezione attraverso la proposizione
del test ai partner, di controllare i comportamenti a rischio della persona infetta (soprattutto
se il controllo fosse stato affiancato da sistemi punitivi o di isolamento). Gli scettici verso
un tale approccio ricordavano come non esistessero né cure né vaccini, quindi, la
proposizione del contact tracing non poteva essere giustificata perché incapace di portare
un beneficio qualsiasi all’individuo, in più, le eventuali brecce nella confidenzialità dei dati
avrebbero determinato l’attuarsi di discriminazioni10. Vedevano in tali misure più un
tentativo di schedatura di massa (già di per sé pericolosa in un sistema democratico, ma
ancora di più se essa fosse stata in mano a governi autoritari), di ingerenza delle autorità in
comportamenti privati, intimi, che non la volontà di fermare l’epidemia. Anche la notifica
9
M. Kirby, I nuovi virus dell’Aids: leggi ingiuste e inefficaci, in Aids: quali risposte istituzionali, in
«Politica del Diritto», anno XX, n. 1, marzo1989, p. 141-159.
Kirby parla direttamente di tre virus, da lui denominati HIL-I, HIL-II,HIL-III, nel riferirsi alla proposte di
test obbligatorio universale, sulle categorie ritenute a rischio, alle frontiere; tali virus, Higly Inefficient Law,
avrebbero intaccato il corpo sociale, e al pari della capacità del virus Hiv di mutare essi si sarebbero
presentati con gradi e sfumature differenti all’interno di molti paesi alle prese con l’epidemia.
10
Gli esperti hanno coniato un termine per indicare sia i casi di discriminazione sia i modi in cui essa si
manifesta: Discriminazione hiv-correlata
Tindall, Tillett, Aspetti etici e psicosociali dell'Aids, Discriminazione HIV-correlata, in «Bollettino
Farmacodipendenze e Alcolismo» XV(5-6) 1992 , p. 175-179.
39
criptata dei dati della persona sieropositiva attuata in alcune nazioni non era
completamente giudicata sicura, perché essa non era ritenuta capace di garantire realmente
l’anonimato nei centri abitati più piccoli. Il rischio era di creare un’epidemia sommersa, un
allontanamento dal sistema sanitario, un terrore ad avvicinarsi ad esso.
Anche nella professione medica esistevano interrogativi etici urgenti: il medico doveva
mantenere la confidenzialità della sieropositività anche quando il paziente non metteva in
atto i comportamenti per prevenire il contagio? Doveva informare i partner della persona
sieropositiva?
Le misure prese dalle autorità sanitarie variano notevolmente da paese a paese. I fattori che
hanno influenzato la loro adozione sono legati a caratteristiche epidemiologiche, culturali,
storiche, da prassi del diritto, da propensioni politiche, ma anche da fatti di cronaca.
Il test obbligatorio universale non ha trovato ampia applicazione a causa soprattutto dei
costi altissimi di tale misura11. Le categorie invece sottoposte a test obbligatorio con
notifica sono state: i detenuti in Costa Rica, negli Usa (dove sono sottoposti ad indagini
sierologiche su campioni random); le prostitute in Israele e Svezia (in questi due casi la
misura rientra tra gli approcci classici di questi due paesi alle malattie veneree); gli
stranieri in Bolivia, negli Usa12, in Irak, in Urss, in Mongolia, a Cuba (per gli stranieri
provenienti da aree endemiche) in Baviera (dove la richiesta di screening per gli stranieri
provenienti da un’area esterna alla Cee è stata ampiamente critica dai partner europei della
Germania), in Siria; i candidati agli uffici pubblici in Baviera; test-prematrimoniali in
Bulgaria; per le reclute negli Usa13; per i militari destinati al Territorio Metropolitano in
Francia. Misure di isolamento delle persone sieropositive sono state previste a Cuba, nella
provincia di Goa in India, in Svezia (ove è previsto l’isolamento coercitivo in ospedale per
le prostitute sieropositive che continuino ad esercitare la professione).14
Numerosi furono gli esempi di discriminazione attuate nei confronti delle persone
sieropositive o sospettate di esserlo in campo lavorativo, assicurativo, abitativo e sanitario.
Per cui ogni misura governativa riguardo alle caratteristiche del test (obbligatorio o
volontario, anonimo o nominativo, di massa o solo per categorie a rischio, solo per alcune
categorie, collegato o no alla pratica attuata in alcuni paesi per le malattie veneree del
contact tracing) ebbe, e continua ad avere, delle forti ripercussioni non solo sull’andamento
dell’epidemia, ma anche nel più ampio dibattito sui diritti umani e del cittadino.
11
A quanto ci risulta solo la Mongolia ha legiferato in tal senso. In parte test di screening di massa sono stati
compiuti nell'ex Unione Sovietica.
12
L'adozione di controlli alla frontiera da parte delle autorità federali nel 1987 ha sollevato un ampio
boicottaggio della prevista Conferenza di Boston nel 1992 da parte dell’Oms e di altre organizzazioni per i
diritti delle persone sieropositive. L’Oms in segno di protesta ha spostato la Conferenza ad Amsterdam;
attualmente gli Usa rilasciano alle persone sieropositive un visto di tre mesi.
13
La sieropositività non comporta la non idoneità al servizio, ma solo l’esclusione dal servizio oltremare;
giustificata dalle autorità federali dalla possibile necessità dell’utilizzo di sangue tra i commilitoni nelle zone
di guerra, è stata criticata dalle organizzazioni gay quale tentativo di scoprire gli omosessuali che si celano tra
le forze armate
14
Prevenzione dell'Aids. Le prospettive internazionali e nazionali della lotta contro l'AIDS. Sintesi critica
della legislazione, in « Bollettino Farmacodipendenze e Alcolismo» XV(5-6) 1992, p. 59-64.
40
Il dibattito attorno alle misure da adottare vide come partecipanti i politici, gli organismi
internazionali di tutela della salute pubblica come l’OMS, e gli esperti, identificabili sia tra
gli scienziati, sociologi, epidemiologi, legislatori ma anche nelle associazioni sviluppatesi
a tutela dei sieropositivi e malati di Aids.
Le associazioni gay e le associazioni nate per la difesa delle persone sieropositive hanno
visto nell’obbligatorietà, nelle misure restrittive alla mobilità delle persone sieropositive,
nella pratica del contact tracing, nella nominatività delle notificazioni, misure che ledono i
diritti umani e creano i presupposti per la nascita di un’epidemia clandestina: esponendo il
soggetto alle discriminazioni sociali e alla stigmatizzazione allontanano il soggetto dalle
istituzioni sanitarie e spingono la malattia e la sua diffusione in clandestinità.
Posizione dell’OMS:
- nel gennaio del 1988 nella Dichiarazione di Londra i ministri della salute riunitisi per il
summit mondiale organizzato dall’Oms in cooperazione con il governo inglese ritennero
che la discriminazione e la stigmatizzazione delle persone sieropositive e in Aids dovesse
essere evitata in quanto minava la salute pubblica;
- nel maggio 1988 la Dichiarazione di Ginevra della 41°Assemblea Mondiale della Salute
dell’Oms sollecitò gli stati membri ad evitare discriminazioni e stigmatizzazioni dei
sieropositivi e malati di aids nella prestazione di servizi, nei movimenti, nell’impiego e ad
assicurare la riservatezza del test per gli anticorpi anti-Hiv. 15
Posizione del Consiglio Europeo:
- Fin dal 1983 l’Europa dei Dodici si occupò dell’Aids. Alla prima Raccomandazione ai
centri trasfusionale per l’esclusione delle categorie a rischio dalla raccolta del sangue,
seguirono una serie di indicazioni che invitavano gli stati membri ad evitare le
discriminazioni e la stigmatizzazione dei malati e dei sieropositivi (in linea con i principi di
salvaguardia dei diritti dell’individuo alla base della sua azione) e ad armonizzare le azioni
legislative nell’area europea. Nel novembre del 1986 il Consiglio dei Ministri del
Consiglio d’Europa si espresse per la notifica dei casi di Aids e, negli Stati in cui previsto,
della sieropositività con regolamenti riservati. Ancora nel novembre del 1987 il Consiglio
dei Ministri ritenne che le misure di salute pubblica basate su i controlli sanitari, le
restrizioni negli spostamenti e l’isolamento dei portatori non dovessero essere introdotte,
quale regola generale, su basi obbligatorie. Nel 1988 l’Assemblea Parlamentare si
pronunciò contro l’isolamento dei detenuti sieropositivi e per una politica preventiva
15
H. Mahler, Preface, in M. Breum, A. Hendriks (edited by) Aids and Human Right An International
Perspective, The Danish Centre of Human Right, Akademisk Forlang, Copenaghen 1988, p.11-12.
41
basata su adeguati programmi di informazione e cure sanitarie (in tale ottica raccomandò
anche la disponibilità di preservativi e siringhe sterili). Nel 1989 l’Assemblea Parlamentare
nell’ottica della difesa dei diritti dell’uomo si pronunciò contro politiche volte
all’isolamento e alla negazione del diritto di asilo del portatore del virus. Nell’ottobre del
1989 la Raccomandazione n. R(89) 1416 del Consiglio dei Ministri affrontò i temi etici più
spinosi rispetto all’infezione. Come regola generale stabilì la convergenza degli interessi
dell’individuo e della società nella sorveglianza dell’infezione, ma allorché si
presentassero divergenti, le scelte finali andavano lasciate all’individuo e non alla società.
Si raccomandò per la priorità da assegnare al test volontario e previo consenso informato
(diritto all’autodeterminazione). Si espresse per la limitazione del test obbligatorio solo per
le attività volontariamente intraprese dal soggetto: donazione di sangue, sperma, latte
materno, tessuti e organi; contro le certificazioni di sieropositività per soggetti provenienti
da aree endemiche o per gli immigrati, le pratiche di test pre-matrimoniale, pre-impiego, le
richieste di test quale base per la stipula di contratti di assicurazione, di alloggio, o di
ammissione dei bambini alle comunità infantili, i test sulle reclute e i carcerati. Per la
questione riguardante la notifica e i dati della persona sieropositiva si espresse per la tutela
della segretezza e della riservatezza. In tale ottica: riguardo alla questione della rivelazione
ai partner dell’infezione, i medici erano invitati alla riservatezza, infrangibile sono in casi
molto gravi; le indagini epidemiologiche all’insaputa del singolo, allorché previste su base
nazionale, andavano effettuate rispettando l’anonimato.17
3.3
Educazione-Informazione-Prevenzione
L’aids come malattia trasmissibile attraverso il sangue e i rapporti sessuali aveva
risvegliato potenti fantasmi che si celavano nella società. Alle prese con una malattia che si
presentava fatale, con caratteristiche epidemiologiche che indicavano un aumento
esponenziale dei casi e soprattutto il passaggio alla popolazione generale, le autorità
politiche e sanitarie non poterono esimersi dal rispondere alla minaccia rappresentata
dall’infezione. Abbiamo visto come le misure tradizionale di approccio alle epidemie non
erano implementabili tout court a questa nuova minaccia, in più la mancanza di cure,
16
Ricordiamo che le Raccomandazioni del Consiglio dei Ministri rappresentano solo dei punti di riferimento
per i membri europei e non hanno valore di legge. Tale raccomandazione fu accolta con una riserva della
Svezia.
17
A. Hendriks, Introduction, in M. Breum, A. Hendriks (edited by) Aids and Human Right An International
Perspective cit., p. 13-21.
V. Boltho Massarelli, Ruolo del Consiglio di Europa nel Futuro dell'Aids cit. p. 113-122.
Prevenzione dell'Aids, in Le prospettive internazionali e nazionali della lotta contro l'AIDS. Sintesi critica
della legislazione cit., p. 59-64.
42
l’incertezza nel destino delle persone sieropositive, l’allarme nella popolazione generale
per le vie di trasmissione erano elementi che giocavano a sfavore di tali approcci.
Cardine della lotta alla malattia fu la prevenzione. Prevenzione dalla trasmissione che
presentava alcuni elementi critici che riguardavano i due modi principali attraverso cui
l’infezione si trasmetteva: i rapporti sessuali e lo scambio di siringhe tra i
tossicodipendenti. Analizzeremo più a fondo nel corso della trattazione tali elementi.
I primi esempi di prevenzione alla malattia vennero dalle stesse comunità gay americane
prima dell’individuazione dell’eziologia virale dell’Aids. Colpiti da una malattia che
faceva presupporre la trasmissione attraverso i rapporti sessuali, le comunità gay americane
codificarono alcune linee guida sulle possibilità di rischio delle varie pratiche sessuali
indicandole come a “basso” “medio” o “alto” fattore di rischio. Il loro fu un approccio
preventivo di tipo comunitario, cioè in cui la malattia era vista come una questione radicata
e di interesse della comunità18.
Ma è solo a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, con il crescere dell’allarme sulla
possibile trasmissione dell’infezione nella popolazione generale, che le caratteristiche e gli
obiettivi delle strategie preventive entrano di prepotenza al interno del dibattito politico e
sociale. L’Educazione e l’informazione furono individuati come elementi portanti di una
strategia preventiva che faceva leva soprattutto sulla responsabilità individuale, in linea
con le tendenze di salute pubblica che si erano palesate a partire dagli anni Settanta.
Ma quale informazione e educazione fornire quando si trattava di prendere in
considerazione temi quali la sessualità giovanile e l’uso di sostanze illecite? Quali
messaggi veicolare?
In linea generale possiamo dire che le strategie preventive sono state influenzate da diversi
fattori: dalla colorazione politica dei governi, dalle caratteristiche epidemiologiche
nazionali, dal legame stabilitosi tra le comunità o associazioni gay e le autorità politiche e
sanitarie, da pratiche e attitudini radicate nel costume politico e sociale nazionale. Sempre
in linea generale possiamo dire che il dibattito e le strategie attuate si sono focalizzate
lungo un continuum definibile pragmatico vs morale. Nel primo rientrano quegli approcci
che ritengono:
necessario offrire un’informazione igienica chiara, estremamente realistica e
più utile nell’immediato, che prenda atto dell’esistenza di comportamenti a
18
S. Watney, Safer sex as Community Practice, in P. Aggleton , P. Davies, G. Hart (edited by) Aids.
Individual, culture and Policy dimension , The Falmer Press, Bristol 1990, p. 19-33.
Da alcuni, tra cui Watney, l’approccio al safer sex di tipo comunitario è stato visto come un momento
importante e critico nell’acquisizione di un empowerement comunitario. Con l’allineamento delle
organizzazioni gay al modello sanitario americano che vedeva l’ aids come il problema di una malattia con
un’eziologia specifica e combattibile sul piano della responsabilità individuale, l'approccio comunitario ha
finito per esaurire la su carica.
43
rischio e inviti ad una loro attuazione meno pericolosa sul piano patogenico
(politica della riduzione del danno).
Nella seconda rientrano quegli approcci che fanno
leva sul richiamo a valori morali di fondo che rinviino al senso ultimo della
salvaguardia della salute, nel senso che coincide col rispetto della dignità
personale, con la promozione di una sessualità responsabile e la solidarietà
verso chi soffre19.
E’ all’interno di questo continuum che si sono sviluppati i messaggi informativi attuati
dagli enti governativi. Prima di procedere dobbiamo puntualizzare che possiamo
suddividere i messaggi informativi sviluppatesi dalle autorità sanitarie in due grossi filoni:
da un lato messaggi, informazione e opera di educazione rivolti alla popolazione generale e
dall’altro rivolti a target di popolazione. Nel primo ambito rientrano le campagne attuate al
fine di sollecitare la solidarietà verso i malati o sieropositivi e ad evitare le discriminazioni
o l’isolamento (come del resto veniva da un’indicazione dell’OMS), le informazioni sulle
modalità di contagio (spesso costruite in modo ambiguo, come si è presentata
l’informazione sui “fluidi corporei”; o ad evitare il malato, come “’alone viola”; costruite
sulla paura, come per esempio il primo messaggio della campagna nazionale australiana),
gli inviti in campo sessuale all’astinenza o all’utilizzo del condom. Nel secondo rientrano
le attività di prevenzioni attuate su alcune categorie individuate come a maggiore
esposizione (omosessuali, tossicodipendenti, prostitute), o verso i giovani (visto le
caratteristiche di malattia a maggiore incidenza giovanile).
Nel campo dell’educazione sessuale tre sono concetti attorno a cui si è catalizzata
l’attenzione degli attori sociali in gioco: safe sex, promiscuità, comportamento a rischio. La
promiscuità, elemento critico per la sua forte connotazione morale, fu tra i primi
comportamenti ad essere indicati come responsabili delle infezioni. Analizzando i primi
messaggi, sia nelle campagne preventive di massa sia in disparati studi epidemiologici
(intrapresi soprattutto nello studio dei comportamenti sessuali degli omosessuali), l’accento
è spesso messo sulla pericolosità di questo “stile di vita”20. Il safe-sex e il preservativo
furono gli elementi di una prevenzione pragmatica, quasi medica se vogliamo: il
comportamento non è indagato nella sua dimensione morale bensì nella sua capacità di
facilitare la trasmissione dell'infezione.
19
D. Morelli, Aids: quale strategia preventiva? Una questione non solo medica, in G. Michelone e P. C.
Rivoltella (a cura di) Aids&Media Malattia e sofferenza nella comunicazione di massa, Koinè Edizione,
1995, p 31-32 .
Morelli ritiene che non esista una incompatibilità di fondo tra le due strategie preventive. Bensì che esse
siano complementari in quanto, la conoscenza delle norme igieniche e delle condotte sicure non avrebbe
ragione di esistere senza il rimando ad una gerarchia di valori e, d’altro canto, un generico richiamo a valori
morali sarebbe sterile senza la completa informazione delle modalità di contagio.
20
Come vedremo soprattutto in Italia.
44
3.4
La riduzione del danno
L’aids cade all’interno del dibattito internazionale sulle strategie da attuare per combattere
il problema della droga nelle società occidentali. Gli orientamenti legislativi nazionali
nelle società occidentali in materia di droga differiscono notevolmente: alcuni sono
fortemente punitivi verso il tossicodipendente, altri puniscono maggiormente lo spaccio
rispetto al consumo, altri sono improntati al recupero sociale del tossicodipendente, altri
ancora sono costituiti da una miscela degli approcci precedenti. E’ all’interno di questo
quadro, semplicemente abbozzato, in cui si presentavano anche le strategie volte al
recupero del tossicodipendente (mantenimento a scalare metadonico, esperienza delle
comunità terapeutiche) che si affacciano le strategie di riduzione del danno, ossia di quelle
politiche che
suggeriscono una serie di modalità, strategie e attività in grado di raggiungere e
avvicinare il proprio target con un atteggiamento non discriminatorio, non
normante e non giudicante, allo scopo di trasmettere informazioni e messaggi
relativi alla prevenzione (dell’Hiv, ma non solo), all’educazione sanitaria e alla
cura di sé. Tali strategie non escludono certo il passaggio a regimi terapeutici
e/o riabilitativi veri o propri, anzi, casomai cercano di essere propedeutici, ma
affrontano i problemi con un corretto ordine di priorità: dai rischi più gravi ed
immediati (HIV, epatiti e patologie correlate) a quello più difficoltoso e lungo
da affrontare (l’abbandono della dipendenza), senza confonderli21
Gli strumenti utilizzabili ruotano attorno al concetto di “buco pulito”e si palesano nella
fornitura da parte delle autorità sanitarie di aghi sterili, di presidi sanitari per disinfettare
gli aghi, della possibilità di passare dall’assunzione di droghe per via endovenosa a quella
orale, di informazioni sugli effetti delle droghe, sulla fornitura di preservativi, nel cercare
di creare un clima che avvicini il tossicodipendente alle strutture sanitarie (con
l’immissione nel mercato di nuove droghe, soprattutto sintetiche, che non implicano il
buco, diventano importanti le informazioni sulle droghe). Tale approccio, per i loro fautori,
va inserito in un contesto legislativo di depenalizzazione della tossicodipendenza, al fine di
evitare il palesarsi di un’epidemia nascosta e, in una visione più ampia, di diminuire i reati
legati alla criminalità indotti dalla necessità di procacciarsi la dose quotidiana, di evitare le
morti per overdose. La filosofia sottesa è l’accettazione da parte delle autorità competenti
dello stile di vita delle persone rispetto cui sono indirizzate le strategie.
Per i detrattori di un tale approccio la fornitura di siringhe sterili o di altri presidi, o la
legalizzazione di alcune sostanze (come ad esempio chiesto da più parti rispetto alle
21
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 180.
45
droghe leggere), o la fornitura di eroina da parte dello stato (come attuato in Svizzera)
finirebbero per incentivare e favorire l’uso di sostanze psicotrope, accentuando i problemi
di microcriminalità legati alla tossicodipendenza.
Nel 1986 il Gruppo di Consulenza su Aids e droghe dell’Oms si espresse per la più alta
priorità da dare alla prevenzione dell’Hiv nei tossicodipendenti e alla necessità che le
politiche rivolte alla riduzione dell’uso di droga non pregiudicassero le misure da attuare
contro la trasmissione dell’Hiv. Nel 1988 l‘Advisory Council on the misuses of drugs
(Consiglio consultivo sull’abuso di droghe) del governo britannico si espresse a favore
dell’implementazione di strategie di riduzione del danno e, in particolare, per chi non fosse
persuaso della necessità di smettere di bucarsi, l’accesso ad aghi e siringhe sterili (la
soluzione offerta fu una combinazione di vendita nelle farmacie e di programmi di scambio
di siringhe).
Il Parlamento Europeo nel maggio del 1989 si espresse per l’implementazione nei paesi
CEE di programmi mirati alla distribuzione attiva e passiva di siringhe sterili ai
tossicodipendenti.
Il primo progetto di distribuzione di siringhe sterili fu implementato, già dal 1984 ad
Amsterdam. Nel febbraio del 1986 in Gran Bretagna a Dundee si attuò un progetto di
scambio di siringhe sterili. Nel 1988 a New York si ebbe il primo progetto ufficiale di
distribuzione di siringhe sterili negli Usa: però ben presto il Congresso si espresse contro
l’uso di fondi federali per il supporto di programmi di scambio di siringhe e il programma
fu chiuso nel 1990. Nel 1995 le conclusioni di due ricerche di scienziati governativi
raccomandarono all’amministrazione Clinton di togliere il bando ai fondi federali per lo
scambio di siringhe perché il programma era ritenuto in grado di ridurre effettivamente la
propagazione dell’infezione.
Altri esempi ci vengono da Liverpool dal 1990 e da Rotterdam.22 Scrive Agnoletto(Lila):
La velocità geometrica di diffusione del contagio, attraverso comportamenti a
rischio quali i rapporti sessuali non protetti e l'uso promiscuo di materiale
iniettivo, stimola fortemente le nazioni all'avvio di azioni specifiche e mirate di
prevenzione primaria, secondaria e terziaria, da affiancare alle attività di lotta e
repressione al narcotraffico. Questa decisone è orientata verso la salute del
corpo sociale e si basa sul presupposto, dimostrato da diverse ricerche, alcune
delle quali svolte in Italia, che una fascia di popolazione frequentemente
esposta al rischio di contagio da HIV può costituire un “vettore”di infezione
verso il resto della popolazione, nel caso dell'Aids in particolar modo per via
sesssuale.23
22
V. Agnoletto, La Società dell'Aids, Baldini&Castoldi, Milano 2000, p. 180.
V. Agnoletto, AIDS:UN PERCORSO NELLA COMPLESSITA'. Aspetti storici, clinici, preventivi e sociali, in
Quaderni del Centro di Psicologia e Analisi Transazionale 16-1995, Imprimitur editrice, Padova 1995, p.
195.
23
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 180.
46
Nel contesto occidentale in prima linea in questa battaglia per l’implementazione di
programmi di riduzione del danno vi sono state le associazioni di lotta all’aids e i gruppi di
tossicodipendenti o ex-tossicodipendenti. Essi sono stati i fautori di una politica non
repressiva nei confronti del consumatore, di una politica che si avvicinasse al consumatore
senza moralismi o pregiudizi e mirasse all’integrazione sociale dello stile di vita dei
consumatori, di una strategia preventiva che puntasse su l’autodeterminazione,
mobilitazione, autoindividuazione dei bisogni delle persone tossicodipendenti, in ciò
confortati dai dati epidemiologici che indicavano una diminuzione dei tassi di prevalenza
laddove tali approcci erano stati implementati.24 Esse attuarono sia attività di lobby, sia
implementarono alcuni progetti, sia in concerto con le autorità pubbliche, sia come
iniziativa personale, muovendosi spesso sul filo rosso dell’illegalità ( come ad esempio la
distribuzione di siringhe sterili effettuate da alcuni membri di Act Up a New York, Stato in
cui la semplice detenzione di una siringa rappresenta un’attività sanzionata dalla legge).
L’esempio più pregnante dell’attuazione da parte delle autorità statali delle politiche di
riduzione del danno ci viene dal Nord Europa. In particolare l’Olanda, tra le prime, in base
al carattere non punitivo del consumo della propria legislazione, le autorità sanitarie hanno
implementato ampie strategie di riduzione del danno (distribuzione di siringhe sterili e
preservativi, programmi per l’iniezione sicura, counselling), cercando spesso di
coinvolgere direttamente gruppi di tossicodipendenti (molti dei quali finanziati
direttamente dal governo).25
24
25
Repressione e Pregiudizio Nemici della prevenzione, in «Aspe» n. 13, 14 luglio 1992 , p. 9-10.
Ibid.
47
Cap 4 - La diffusione dell'epidemia in Italia -
In Italia i primi casi di Aids furono osservati a partire dal 1982: i primi due a Roma dal
Professor Fernando Aiuti. Si trattava di soggetti che indicavano preferenze sessuali di
natura omosessuale. Alla fine del 1983 dieci erano i casi diagnosticati nel nostro paese e le
caratteristiche epidemiologiche ricalcavano ciò che si era manifestato due anni prima negli
Usa e in gran parte del mondo occidentale, ossia i casi riguardavano soggetti che riferivano
abitudini sessuali di natura omosessuale e contatti più o meno sporadici con altri paesi.
Con la diagnosi del primo caso di Aids in un tossicodipendente milanese da parte del
professor Mauro Moroni nel secondo semestre del 1984 si inizia ad intravedere la
caratteristica precipua dell’epidemia italiana, ossia il colpire in particolar modo gli
utilizzatori di sostanze stupefacenti per via endovenosa.1 Si iniziava insomma a delineare il
modello mediterraneo (italiano e spagnolo) di diffusione dell’infezione.
I tossicodipendenti sono stati in Italia i più colpiti rappresentando circa il 58% dei casi di
Aids su un totale di 53.686 casi registrati sino al giugno 2004 (vedi Tabella I, p. 50).
Rispetto ai paesi (Usa, Regno Unito, Germania) in cui gli omosessuali sono stati i più
colpiti, in Italia i casi di Aids hanno interessato un numero maggiore di donne e giovani. Si
è avuto un numero maggiore di casi di aids al femminile perchè molte erano
tossicodipendenti, spesso costrette a prostituirsi per potersi procacciare la dose quotidiana
di eroina, altre partner di tossicodipendenti. Questa caratteristica della diffusione
dell'infezione in Italia ha determinato il più alto numero di casi di aids pediatrico in Europa
Occidentale. I casi di aids pediatrico totali al giugno 2004 sono stati 741, ma dall'inizio
dell'epidemia la loro percentuale è andata diminuendo per effetto dell'utilizzo delle terapie
antiretrovirali e del parto cesareo2.
I tossicodipendenti sono stati considerati dagli esperti il ponte di passaggio verso la
popolazione generale. Si ritiene che le prime infezioni tra i tossicodipendenti si siano avute
a partire dalla fine degli anni Settanta. La loro percentuale nei nuovi casi di Aids ha subito
nel corso degli anni un decremento anche cospicuo: infatti, se nel periodo 1982-1993 i
tossicodipendenti più i tossicodipendenti/omosessuali rappresentavano circa il 69%, negli
anni a seguire è iniziato una progressiva diminuzione dei casi ad essi attribuibili. Tanto è
che nel periodo a noi più recente i casi attribuibili alla tossicodipendenza si aggirano
attorno al 34% ( vedi Tabella I, e Grafico I, p. 52).
1
F. Aiuti, Nessuna Condanna cit, p. 1-20.
Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS) in Italia. Aggiornamento dei casi notificati al 30 Giugno
2004, Istituto Superiore di Sanità, Commissione Nazionale per la Lotta contro L’Aids , Ministero della
Sanità, p. 5-7.
Consultabile in http.//www.iss.it
2
48
Invece è andata progressivamente aumentando la percentuale dei casi di Aids attribuibili ai
rapporti sessuali.
Gli omosessuali sono stati il 2° gruppo esposto, rappresentando circa il 16%. Dopo una
diminuzione del loro numero sui nuovi casi negli anni 1994-95, si assiste oggi a un nuovo
aumento. I casi di aids in seguito a rapporti eterosessuali rappresentano circa il 19% del
numero totale, però sono andati progressivamente aumentando nel corso degli anni. Se
all'inizio degli anni Novanta rappresentavano circa l'11%, oggi sono invece di 39% (vedi
Tabella I e Grafico I).
Gli emofilici e i trasfusi non hanno avuto in Italia un grande peso come in altri paesi (come
il Regno Unito) e con i controlli sul sangue il loro numero è andato progressivamente
scemando fino quasi ad annullarsi ( vedi Tabella I e Grafico I).
Il numero di donne è andato progressivamente aumentando: se nel 1985 rappresentava
circa il 16% nei nuovi casi3, oggi esse rappresentano circa il 23-25%4.
A partire dalla fine degli anni Ottanta il numero di casi di Aids è andato progressivamente
aumentando per raggiungere il suo apice negli anni 1994-95, per poi decrescere
sensibilmente per l'utilizzo delle terapie antiretrovirali (vedi Tabella 2)5.
Le Regioni più colpite sono state nell'ordine: la Lombardia, il Lazio, l'Emilia Romagna, il
Piemonte e la Toscana (vedi Tabella 2, p.51).
In Italia il fenomeno è stato principalmente urbano con Milano e Roma le città più colpite;
ma anche le province e le isole hanno presentato tassi non indifferenti.6
Nel corso degli anni si è avuto un aumento nel numero di casi provenienti da paesi extraeuropei, in particolare da zone dove l'aids è endemico (Africa-subsahariana)7.
Il totale delle persone infettate si stima sia dall’inizio dell’epidemia tra le 140.000 180.000, mentre le persone con HIV (nel 2002) si stima tra le 110.000 e le 130.000. Nel
1986 si calcolava che il numero delle nuove infezioni per quel anno fosse tra le 14.000 e le
18.000 e l’uso di droghe per via endovenosa fosse la principale modalità di trasmissione,
mentre nel 2002 le nuove infezioni sono state stimate tra le 3500-4000 annue e i rapporti
sessuali si ritengono essere la principale modalità di trasmissione8. Gli esperti non sono
concordi nel indicare i motivi che hanno presieduto al calo delle infezioni: alcuni
propendono per l'efficacia delle strategie preventive, altri invece ritengono che si sia
raggiunto una saturazione nella categoria maggiormente esposta, i tossicodipendenti. In
questa ipotesi i tossicodipendenti che mettevano in atto i comportamenti maggiormente a
3
Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS) in Italia. Aggiornamento dei casi notificati al 31
dicembre 2000 , Istituto Superiore di Sanità, Commissione Nazionale per la Lotta contro L’Aids , Ministero
della Sanità, p. 9.
Consultabile in http//www.iss.it
4
Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS) in Italia Aggiornamento dei casi notificati al 30 Giugno
2004 cit., p. 5.
5
Ivi, p. 10.
6
Ivi, p. 3.
7
Ivi, p. 5.
8
G. Rezza, Epidemiologia dell'Hiv/Aids in Italia, in F. Dianzani, G. Ippolito, M. Moroni (a cura di ) Aids in
Italia 20 anni dopo cit., p. 18-19.
49
rischio (scambio di siringhe, rapporti sessuali occasionali senza preservativo) si sarebbero
infettati nei primi anni dell'epidemia, determinando l'alto numero di casi di aids alla metà
degli anni Novanta. Secondo questa ipotesi inoltre è cambiato il tipo di consumo di droghe:
si utilizzano sempre più droghe sintetiche, le quali non necessitano della pratica del
“buco”9.
Tabella I
Distribuzione dei casi di Aids in adulti per categorie di esposizione e per anno di diagnosi
Fonte: Istituto Superiore di Sanità. Aggiornamento dei casi notificati al 30 giugno 2004
LEGENDA
2004* : aggiornamento dei casi al 30 giugno 2004
TD-OMO** : soggetti che hanno riferito sia rapporti sessuali di natura omosessuale sia
utilizzo di sostanze stupefacenti per via endovenosa
Altro/Non det: soggetti di cui non è stato possibile o non è stato indicato il fattore di
esposizione alla trasmissione virale
9 A. Boschini, C. Smacchia, Aids e Tossicodipendenza, in F. Dianzani , G. Ippolito, M. Moroni (a cura di )
Aids in Italia 20 anni dopo cit., p. 42-43.
50
Tabella II
Distribuzione annuale dei casi prevalenti di Aids per regione di residenza
Fonte: Istituto Superiore di Sanità. Aggiornamento dei casi notificati al 30 Giugno 2004
51
Grafico I
Distribuzione casi di AIDS per categorie di esposizione dal 1994 al 2003
Fonte: Istituto Superiore di Sanità.
Distribuzione casi di AIDS per categorie di esposizione
12000
10000
Casi di AIDS
8000
Altro Indet.
Cont. Etero
Trasf.Emof.
TD-Omo
6000
Tossicod.
Omosess.
4000
2000
0
1994-95
1996-97
1998-99
2000-01
2002-2003
Anni
LEGENDA
Altro Indet: soggetti di cui non è stato possibile o non è stato specificato il fattore di
esposizione alla trasmissione virale
Cont. Etero: soggetti che hanno riferito come fattore di rischio rapporti sessuali non protetti
di natura eterosessuale
Trasf. Emof.: soggetti che hanno acquisito l’infezione attraverso trasfusione e/o utilizzo di
emoderivati per la cura dell’emofilia (fattore VIII e fattore IX)
TD-Omo: soggetti che hanno riferito sia rapporti sessuali di natura omosessuale sia utilizzo
di sostanze stupefacenti per via endovenosa
Tossicod: tossicodipendenti
Omosess: omosessuali
52
Capitolo 5 - I Protagonisti della lotta all'Aids e i punti
nodali di negoziazione -
Lo studioso David Moss, nel 1988, analizzando la risposta italiana all'epidemia di Aids
fino a quel momento, parla di “emergency in slow motion”: ossia di un’emergenza
nazionale dichiarata, soprattutto a partire dalla seconda metà del 1986, dalle autorità
politiche e sociali, visti i tassi di crescita degli ammalati nel periodo considerato, ma
tardiva e lenta nelle risposte1. Nonostante alcuni elementi che avrebbero potuto indurre a
una risposta incisiva2, per Moss la rapida crescita dei malati e le fosche previsioni per il
futuro3 sono l'indice della lentezza da parte politica a prendere coscienza della realtà
dell'infezione e dell'inefficacia della risposta all'epidemia. I motivi che spiegano una tale
risposta andrebbero ricercati in alcuni limiti strutturali della società italiana, nelle
caratteristiche epidemiologiche (come già accennato in Italia sono e sono stati soprattutto i
tossicodipendenti la categoria più colpita) e nei rapporti intercorsi tra cinque attori
principali: il governo centrale, il governo regionale, le organizzazioni dei membri dei
principali gruppi a rischio, le organizzazioni di volontariato stabilitesi specificatamente per
combattere l'aids, la Chiesa Cattolica. L'interazione tra questi cinque attori, alla ricerca essi
stessi di una loro collocazione e posizione all'interno del fenomeno aids, avrebbe
determinato le caratteristiche della risposta italiana. Moss mette in luce alcune
caratteristiche di questi rapporti.
Le caratteristiche del rapporto governo centrale-periferia sono:
a) una dispersione del potere in materia sanitaria tra il centro e la periferia: ciò legato sia
alla riforma in materia sanitaria del 1978 che attribuisce maggiori responsabilità alle Usl
1
D. Moss , Aids in Italy: Emergency in Slow Motion, Chapter 7, in B. Misztal, D. Moss (Edited by),
ACTION ON AIDS National Policies in Comparative Perspective cit., p. 135-166.
2
Moss ritiene che gli aspetti positivi per una risposta rapida ed incisiva risiedano :
a) la presenza di un governo continuo e stabile nel periodo 1983-87
b) l'avvicendarsi di due soli titolari del ministero della Sanità nel periodo considerato e sempre proveniente
dallo stesso partito ( la Democrazia Cristiana)
c) una continua erosione della forza elettorale del partito maggioritario di opposizione, il Pci : ciò avrebbe
dovuto favorire un'azione più libera del governo ad attuare politiche controverse o impopolari
d) l'esperienza e la mobilitazione popolare vistasi a partire dal introduzione del divorzio nel 1970 al
referendum sull'aborto nel 1981 avrebbero potuto trasferirsi in domande e piattaforme politiche attorno al
fenomeno aids sia a livello sociale che a livello parlamentare
e) la mancanza nella legislazione italiana di leggi restrittive dell'omosessualità, della detenzione di droga,
della privacy individuale avrebbero dovuto rimuovere gli ostacoli che in altre società hanno ostacolato una
risposta rapida all'aids
3
Moss scrive nel dicembre del 1988.
53
(Unità Sanitarie Locali)4, sia ad una separazione tra l'educazione centrale e i servizi radiotelevisivi rispetto ai servizi per la salute decentralizzati;
b) il potere di dichiarare emergenze e il potere finanziario detenuto dal ministro della
Sanità non sono stati usati per venire incontro alle esigenze più volte manifestate dalle
regioni maggiormente colpite dall'epidemia (Lombardia e Lazio)5;
c) l'uso invalso da parte del ministro della Sanità di attuare direttive nazionali attraverso
circolari6, piuttosto che di decreti (almeno nella prima parte dell’epidemia), al fine di
istituire una coordinazione centrale, piuttosto che un'azione di controllo sull'autonomia
regionale, ha determinato, nonostante alcuni aspetti positivi7, messaggi pubblici
contraddittori e un’incongrua previsione di servizi per i malati.
La mancata coordinazione tra il livello centrale e periferico ha determinato una disparità
tra i casi segnalati di malati dalle Regioni e quelli rilevati dal Centro Operativo Aids (Coa)
del ministero della Sanità: ciò ha secondo Moss determinato il prolungato fallimento da
parte del governo a riconoscere l'ampiezza dell'epidemia. Non solo, ma la presenza di
precedenti sistemi regionali per la notifica dei casi di Aids in Lombardia (dal gennaio
1986) e Lazio (giugno 1985), è stata alla base delle resistenze alla notifica nominativa dei
casi di Aids istituita dal ministro della Sanità presso il Coa a partire dal 1987.8
Specifichiamo che il Coa fu istituito con Decreto Ministeriale il 9 gennaio 1987 e fu
articolato in due settori: tecnico-epidemiologico (con sede presso l’Istituto Superiore di
Sanità e con scopo l'attività di sorveglianza epidemiologica e di ricerca) e amministrativo e
4
Unità Sanitaria Locale. Con la riforma del Sistema Sanitario nel 1978 la responsabilità della gestione e della
prevenzione delle malattie contagiose fu trasferita alle Usl, mentre il ministero della Sanità ha continuato a
detenere soprattutto un potere finanziario e il potere di istituire decreti di emergenza vincolanti le Regioni e
ordinare forme di trattamento obbligatorio per le persone infette
D. Moss , Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p.142.
5
Moss indica chiaramente come, fino al 1988, nessun fondo speciale per venire incontro alle esigenze di
finanziamento più volte manifestate dalla Regione Lombardia e Lazio sia stato messo a disposizione dal
ministro della Sanità.
6
Le circolari non hanno valore vincolante, ma sono delle raccomandazioni. In materia di aids il ministro della
Sanità ha emanato un lungo elenco di circolari. Le più importanti sono:
- la n. 64 del 3 agosto 1983 (la prima) in cui si pone all'attenzione dei Servizi Sanitari locali la presenza di
un nuovo tipo di patologia e la necessità che ogni caso sospetto venga segnalato al Ministero e all'Istituto
Superiore di Sanità,ove è stato creato un gruppo ad hoc;
-la n. 48 del 25 giugno 1984 in cui si fornisce una scheda di rilevamento ai Servizi Sanitari Locali per poter
meglio identificare i casi di Aids e da inviare al ministero e all'Istituto Superiore di Sanità;
-la n. 65 del 25 agosto 1984 in cui si forniscono misure di profilassi a Servizi Sanitari locali da seguire per il
ricovero dei pazienti con diagnosi accertata, le istruzioni per il personale sanitario, le modalità da seguire per
il trattamento dei materiali biologici, le modalità da seguire per gli esami anatomo-patologici
- la n. 28 del 17 luglio 1985 in cui il Ministero richiede alle Regioni di avvertire che il sangue delle persone a
rischio non verrà utilizzato e che ogni unità di sangue sarà soggetta alla ricerca degli anticorpi antiLav/HTLV-III
Per una panoramica sulle circolari ed una loro reperibilità rimandiamo agli allegati che accompagnano la
prima relazione del ministro della Sanità sull'attuazione della legge del 5 giugno 1990, n. 135
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e la
lotta contro l'aids (anni 1987-1995), Presentata dal Ministro della Sanità (Guzzanti), Comunicata alla
Presidenza il 27 dicembre 1995, Senato della Repubblica, XII Legislatura, Doc .XCVII n. 1, p. 415-488.
7
Tra gli aspetti positivi Moss indica l'estrema flessibilità di risposta locale alla malattia .
D. Moss, Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p. 142.
8
Ivi, p. 144-145.
54
dell'informazione (sede presso il ministero della Sanità). In particolare è stato posto alla
gestione e organizzazione del Registro Nazionale dei casi di Aids, fornendo bollettini
trimestrali sull'andamento dei casi di aids e svolgendo l'attività di sorveglianza
epidemiologica sulle nuove infezioni attraverso l'implementazione e il finanziamento di
studi di screening.9
La Chiesa Cattolica
Moss sottolinea il forte ruolo giocato dalla Chiesa Cattolica nella strategia di lotta all'aids,
attraverso:
a) i pronunciamenti delle sue gerarchie contro una scelta pragmatica nella prevenzione e la
proposizione di una drastica riforma dei costumi sessuali. A tal riguardo Moss ritiene che
si possa presumere un’influenza, difficile da determinare in modo preciso, sulle politiche
attuate dai politici e i professionisti della salute di area cattolica;
b) la presa in carico dei bisogni assistenziali dei malati di aids e dei sieropositivi da parte di
organizzazioni religiose a livello locale;
c) le numerose comunità terapeutiche private per tossicodipendenti, molte delle quali di
ispirazione religiosa.10
Ci siamo serviti dell'analisi di Moss per meglio collocare il quadro entro cui si è sviluppato
il “fenomeno aids” in Italia. Prima di procedere specifichiamo che, nel nostro lavoro, non
prenderemo in considerazione tutti e cinque gli attori indicati da Moss. In particolare
tralasceremo le singole iniziative a livello regionale o locale: di esse specificheremo solo
quelle che hanno avuto una rilevanza nel più largo dibattito nazionale. Questo in quanto a
partire, soprattutto, dalla creazione della Commissione Nazionale Aids, nel 1987, la
strategia governativa ha portato avanti un'azione di coordinamento nazionale.
Anche per quanto riguarda l'influenza della Chiesa Cattolica indicheremo, nel corso
dell'analisi, solo le prese di posizione o le linee di pensiero che hanno influenzato o creato
reazioni nei tre gruppi che saranno oggetto della nostra attenzione.
Nel nostro lavoro isoleremo quattro punti nodali di interazione nel panorama italiano tra tre
protagonisti principali: medici e scienziati (gli esperti), politici e amministratori, i
movimenti sociali. Tali punti sono stati affrontati anche in altre società occidentali,
sviluppando specificità nazionali.
I momenti cardine sono:
1) l’assistenza;
9
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e la
lotta contro l'aids (anni 1987-1995) cit., p. 39-41.
10
D. Moss, Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p. 143.
55
2) il dibattito sul test,
3) le campagne preventive;
4) l'aids e il carcere.
Tali passaggi, nel periodo da noi considerato (1983-1994) sono in grado di mostrarci
aspetti prettamente nazionali nell'interazione tra i tre protagonisti e, soprattutto l'ultimo,
riflettono la tipicità della strategia italiana all'implementazione della “eccezionalità”
sull'aids, mostrando le carenze e i limiti della strategia preventiva in carcere.
5.1
Medici e Scienziati
In Italia i medici a contatto con i primi malati di aids hanno avuto un grosso peso nel
richiedere alle autorità politiche attenzione verso la nuova patologia.11 Essi sono stati al
centro delle prime iniziative sia a livello locale sia nel dare vita ad alcune associazioni nate
per combattere l'aids. Vedremo nel corso della trattazione che spesso saranno al centro di
iniziative tese a sdrammatizzare il fenomeno aids appellandosi alle evidenze scientifiche di
trasmissione del virus, ad ottenere finanziamenti per l'adeguamento delle strutture ai
bisogni assistenziali, a conoscere le dimensioni reali della diffusione, da cui la richiesta di
studi epidemiologici ed infine ad essere i portavoce del disagio dei sanitari verso i
problemi derivanti da questa patologia nuova ed infettiva.
Alcuni di loro, come Fernando Aiuti e Vittorio Agnolotto, sono stati tra i protagonisti
della lotta all'epidemia sia perchè tra i fondatori di due tra le maggiori associazioni di lotta
all'aids italiane (rispettivamente l'Anlaids e la Lila), sia perchè spesso le loro iniziative si
sono mosse in polemica e come critica alla gestione politica dell'epidemia.
La presenza di scienziati ed “esperti” ha caratterizzato in modo particolare la Commissione
Nazionale Aids12, istituita nel 1987 con decreto dal ministro della Sanità, Donat Cattin,
11
Una testimonianza in tal senso ci viene dall'opera di Fernando Aiuti, in cui l'immunologo racconta le
esperienze sul campo e i rapporti difficili con il mondo politico italiano e l'insistenza con cui lui ed altri
medici si sono adoperati per porre all'attenzione del mondo politico i problemi sanitari legati alla nuova
patologia:
F. Aiuti, Nessuna Condanna. Dieci anni di Aids in Italia: le storie dei malati, la ricerca scientifica, le
battaglie sociali cit.
12
Commissione Nazionale Aids : è stata istituita con Decreto Ministeriale il 9 gennaio 1987, al fine precipuo
di indirizzare e coordinare l'attività del Servizio sanitario nazionale nella lotta all'aids. Con Decreto
Ministeriale del 19 giugno 1995 ha assunto la denominazione di Commissione Nazionale per la lotta contro
l'Aids e le patologie infettive emergenti riemergenti. Con la legge del 5 giugno 1990, n. 135 (articolo
1,comma 2) e i due Progetti obiettivo Aids (1990-1992 e 1994-1996) la Commissione ha il compito di
fornire periodicamente indicazioni epidemiologiche e previsioni sulle necessità assistenziali in merito
all'infezione da hiv. Essa è nominata annualmente; è presieduta dal ministro della Sanità.
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e la
lotta contro l'aids (anni 1987-1995) cit., p. 42-44.
56
come organo consultivo per l'azione programmatica del governo e al fine precipuo di
un'azione di coordinamento generale. I membri dei tre corpi, che andiamo ad analizzare
nelle loro interazioni, si sono appellati spesso alla “scientificità” dei pareri della
Commissione per dipanare i nodi di contrattazione irrisolti. Scientificità che derivava alla
Commissione sia dalla sua composizione (medici ma anche esperti di diritto, di etica, di
media) sia dal rapporto continuativo con l'Istituto Superiore di Sanità e con il COA.
Naturalmente, evidenziamo subito, la scelta dei membri è attuata dal ministro della Sanità
(che presiede la Commissione): per cui, come vedremo nel corso della trattazione ciò ha
influenzato, in primo luogo, il tipo di strategie preventive scelte.
Il peso dei pareri della Commissione nella definizione politica della strategia di lotta
all'aids è stato enorme. Basti pensare che alla base della legge 135 del giugno 1990 (legge
che ha dato una risposta legislativa all'epidemia, e che analizzeremo parlando
dell'assistenza) vi sono state le analisi sulla situazione epidemiologica effettuate dalla
Commissione. Ma non solo: essa istituisce i bandi di ricerca, approva i finanziamenti, ha
stilato le linee-guida per la prevenzione degli operatori sanitari, i Progetti Obiettivo. Visto
il ruolo enorme della Commissione come organo consultivo e propositivo, le associazioni
di lotta all'aids, nel periodo da noi considerato, hanno richiesto di entrare a farne parte. A
tale scopo, nel 1991, in occasione della Conferenza Internazionale di Firenze, è stata
istituita come provvedimento del ministro della Sanità, De Lorenzo, la Consulta del
Volontariato, composta dalle associazioni che si occupano di Hiv, al fine di approfondire le
esigenze che provengono dai sieropositivi e dai malati di aids e per un confronto sulle
politiche in materia di aids. Tale organo si affianca alla Commissione Nazionale Aids
quale elaboratore delle esigenze del volontariato.
L'enorme peso avuto soprattutto nei primi anni (1982-1987) dal corpo medico e, in seguito,
con la “forza scientifica” dei medici riuniti nella Commissione Nazionale Aids è stato
interpretato da due sociologi, Aggleton e Moerkerk, nella loro analisi, effettuata nel 1989,
di comparazione tra le politiche effettuate da alcuni paesi europei, come indice di una
soluzione “bio-medica” al fenomeno aids. Le caratteristiche delle soluzioni, adottate
dall'Italia e comuni ad altri paesi (Spagna, Belgio, Grecia, Francia) sarebbero: a) un
interesse di breve termine, più di natura cosmetica, legato più ad amministrare i problemi
che a negoziare su di essi da parte del governo; b) un forte peso nelle politiche ufficiali di
interventi da parte delle istituzioni mediche; c) un ruolo marginale giocato dalle
Organizzazioni Non governative e dalle Organizzazioni di servizio all'aids (Aids Service
Organizations). Naturalmente, come indicano i due autori, all'interno dei paesi considerati
non vi è un modello unico, ma siamo in presenza di sovrapposizioni dei quattro modelli di
risposte indicati: 1) risposta pragmatica; 2) risposta politica; 3) risposta biomedica; 4)
risposta emergente.13
13
Per risposta «Pragmatica » (Pracmatic response), i due autori intendono: a) un coinvolgimento precoce a
livello politico e sociale nei problemi legati all'epidemia, b) lo sviluppo di una strategia in cui l'enfasi è posta
sull'informazione e l'educazione, c) lo sviluppo di strategie a breve e medio termine, d) una strategia volta ad
57
5.2
Politici e Amministratori
Parlando del corpo politico in senso stretto dobbiamo subito evidenziare due livelli: da una
parte il governo e i ministeri maggiormente coinvolti nella gestione dell'epidemia, dall'altra
i partiti politici.
Il primo livello ha coordinato su scala nazionale la risposta all'epidemia. L'Italia tra il 1981
e il 1991 ebbe una certa continuità politica assicurata dai governi del penta-partito (DC,
PSI, PRI, PLI, PSDI): anche se la litigiosità dei partiti per spartirsi aree di potere portò
spesso a crisi di governo. Infatti, furono ben nove i governi in questi dieci anni. Dopo
l'esperienza di governo del repubblicano Spadolini, la Presidenza del Consiglio fu
dominata dall'alternanza di DC e PSI. Le due figure più eminenti del periodo furono De
Mita e Craxi. La politica del PSI cercò sia di acquisire voti dalla parte più a sinistra della
DC sia nell'area del PCI.14 Nel 1989 prese forma il cosiddetto Caf (Craxi, Andreotti,
Forlani): ossia un patto di governo tra questi tre uomini politici.15 I temi più importanti di
questo periodo riguardarono il rapporto con l'Europa (la lira fu vincolata allo SME, furono
abolite le restrizioni alla libera circolazione dei capitali), la lotta alla mafia. Furono attuate
numerose riforme importanti come: la legge anti-trust, la riforma della Presidenza del
Consiglio e delle amministrazioni locali, la legge che rendeva gli amministratori pubblici
responsabili dei loro atti verso i cittadini e la legge Mammì che poneva regole nel settore
dei mass-media.16 Nel 1991, il referendum promosso da Mario Segni, portò ad
un’importante riforma del sistema elettore: nacque il maggioritario.17 La prassi politica del
periodo fu caratterizzata da un’estesa corruzione sia a livello centrale sia locale e dalla
tendenza dei partiti politici ad occupare ogni spazio dell'amministrazione pubblica,
determinando forme di clientelismo e di lottizzazioni. Anche il Sistema Sanitario
impedire ostilità, discriminazione e basata sulla riduzione del rischio, e) la scelta di una strategia non basata
su misure coercitive ma sulla pianificazione, il consenso e il pragmatismo, f) un ruolo riconosciuto alle
organizzazioni di volontariato, libere nelle loro iniziative dai condizionamenti finanziari. I paesi in cui si è
sviluppata una tale risposta sono : Norvegia, Danimarca, Olanda, Svizzera.
Per risposta «Politica» (Political response), i due autori intendono: a) una strategia sviluppatesi in accordo
con cosa è politicamente possibile o politicamente desiderabile, b) il dettare da parte del governo la strategia
sull'aids, c) spesso il pragmatismo e l'anti-discriminazione sono state evitate in favore di approcci in linea con
l'orientamento politico del governo del momento; d) l'uso della legge come strumento per regolare i
comportamenti umani e controllare l'epidemia: ciò ha, per i due autori, creato grossi problemi alla
prevenzione nel raggiungere determinati target di popolazione. Esempi di paesi in tal senso sono : Regno
Unito, Germania, ma anche Austria, Irlanda, Finlandia, Islanda, Svezia.
La risposta «Emergente» (Emergent response) riguarda i paesi che da poco si sono affacciati all'epidemia ( i
due autori scrivono nel 1989), quali i paesi dell'Est Europa. Qui in mancanza di una strategia a breve o medio
termine si è fatto ricorso alla legislazione esistente come mezzo di controllo dell'aids.
H. Moerkerk, P. Aggleton, AIDS Prevention Strategie in Europe: A Comparision and Critical Analysis, in
P. Aggleton, P. Davies, G. Hart (edited by), Aids. Individual, culture and Policy dimension, The Falmer
Press, Bristol 1990, p.181-189.
14
P. Ginsborg, Storia d’Italia 1943-1996. Famiglia, società, Stato; Einaudi Editore, Torino 1998, p. 703-704.
15
Ivi, p. 735-739.
16
Ivi, p. 741-743.
17
Ivi, p. 753-756.
58
Nazionale, spesso inefficiente, costoso e con grandi differenze tra il Nord e il Sud del
paese, fu al centro, come gran parte dell'amministrazione pubblica, di questa prassi
politica.18 Sulle opere di edilizia sanitaria gravarono spesso le tangenti sugli appalti (come
vedremo ciò accadde in particolare con il ministro De Lorenzo). Contro l'inefficienza e gli
sprechi della pubblica amministrazione non furono portati serie riforme. Il deficit di
bilancio crebbe notevolmente e a partire dal 1991 divenne un tema molto pressante
nell'agenda politica italiana: le scadenze europeiste richiesero un taglio della spesa
pubblica. Fu Giuliano Amato (PSI) (Presidente del Consiglio dal giugno 1992) ad attuare
attraverso una pesante legge finanziaria il contenimento della spesa sociale, con tagli alla
spesa sanitaria. Tali tagli non riguardarono gli stanziamenti per l'aids essendo vincolati da
una legge speciale, che analizzeremo nel corso della trattazione. Ancora Amato diede il
via alle prime privatizzazioni19. Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta
fece la sua comparsa una forza politica nuova: la Lega Nord di Umberto Bossi20.
I temi politici più importanti del periodo furono la lotta alla mafia (che rilevò spesso gli
intrecci tra organizzazioni malavitose e politici ed amministratori) e naturalmente il
contenimento del deficit di bilancio21.
Il PCI, il secondo partito del paese, all'opposizione, dopo la caduta del Muro di Berlino
dimostrò un nuovo dinamismo, che lo portò a una ridefinizione dei propri obiettivi, tra cui
una maggiore attenzione ai temi della cittadinanza e dei diritti individuali. Nel 1991
abbandonò la propria sigla e divenne il Partito Democratico della Sinistra: presentandosi
come una forza progressista europeista22.
Tra il 1992 e il l993 si assistette ad un vero terremoto politico. Tangentopoli portò al
dissolvimento dei partiti che avevano guidato l'Italia nell'ultimo decennio: uscirono dalla
scena i partiti del pentapartito. La parola d'ordine della magistratura e di tutta la nazione
divenne: lotta alla corruzione23.
Nel periodo che andiamo a considerare 1983-1994 i ministri della Sanità coinvolti sono
stati sei: fino agli inizi del 1987 il senatore democristiano Costante Degan, dal 1987 al
1989 il democristiano Donat Cattin, dal 1989 al 1992 il liberale De Lorenzo, e infine dal
1992 al 1994 Maria Pia Garavaglia (governo Ciampi), Raffaele Costa (governo
Berlusconi), Guzzanti (governo Dini).
Nel corso della trattazione, affrontando i punti nodali indicati, prenderemo in
considerazione soprattutto l'opera dei ministri Donat Cattin e De Lorenzo (che hanno
gestito il periodo dell'emergenza aids), e vedremo come la provenienza politica dei ministri
interessati avrà una sua influenza nelle proposte attuate. Anticipiamo che vi fu una grossa
difficoltà di dialogo tra il ministro Donat Cattin e le associazioni di volontariato e i
18
Ivi, p. 773-778.
Ivi, p. 892-894.
20
Ivi, p. 756-757.
21
Ivi, p. 739-734.
22
Ivi, p. 730-731.
23
Ivi, p. 898-919.
19
59
movimenti delle categorie maggiormente colpite. Al contrario il ministero De Lorenzo ha
mostrato un’apertura maggiore alle istanze e alle proposte portate dalle associazioni: è sua
l'iniziativa di aprire un dialogo con il mondo del volontariato attraverso l'istituzione della
Consulta del Volontariato Aids24. Vedremo che altri ministeri saranno coinvolti nelle
strategie: in particolare, con le campagne di prevenzione e l'enfasi portata dalla politica
eccezionalista sull'aids per l'educazione, il ministero della Pubblica Istruzione.
Nel secondo livello, relativo ai partiti politici, evidenziamo che alcuni di essi, nel dibattito
sul test o nelle critiche o proposte di strategie preventive, hanno espresso una linea
maggiormente rigorista e coercitiva (Msi-Dn), oppure vincolata ad una concezione morale
dei comportamenti (Democrazia Cristiana), mentre altri, all'opposto, hanno fatto proprie le
istanze delle associazioni e hanno espresso una linea legata alla riduzione del danno (PCI,
Verdi, Sinistra Indipendente). Nel corso della trattazione entreremo nello specifico di
alcune questioni.
5.3
I movimenti sociali
Trattando dei movimenti sociali seguiamo ancora, brevemente, le analisi portate da Moss.
Innanzitutto per quanto riguarda le organizzazioni dei membri dei principali gruppi a
rischio, Moss rileva che, almeno fino al tardo 1986 (quanto si svilupperà all'interno
dell'Associazione Solidarietà Aids, un gruppo di sieropositivi) manca, al contrario ad
esempio degli Usa, una qualsiasi mobilitazione di pazienti con Aids o di sieropositivi.
Per quanto riguarda i tossicodipendenti, lo studioso indica alcune caratteristiche:
a) al contrario di altri paesi europei (come in Germania, o in Olanda)25 non si hanno in
Italia organizzazioni di tossicodipendenti o ex-tossicodipendenti difensive o portatrici di
proposte politiche capaci di esercitare pressioni a livello locale e politico;
b) dalla metà degli anni '70 le morti per overdose e i fenomeni di microcriminalià legati
alla necessità di procurarsi la dose giornaliera sono stati sempre più un problema pubblico
visibile;
c) la mancanza di un contatto effettivo a livello dei servizi locali con i tossicodipendenti
(ciò è per Moss una forte ipoteca nella possibilità di dare informazioni sull'Aids) e di una
reale conoscenza del fenomeno tossicodipendenza;
24
Per una panoramica delle prime associazioni aderenti (Lila, Arcigay, Coordinamento Nazionale persone
sieropositive, Gruppo Abele, le comunità di S.Egidio, San Patrignano, Ceis, la Caritas, Il gruppo Propositivo,
Associazione Politrasfusi, Il Coordinamento Lesbiche ed Aids, Addepos) e delle prime proposte attuate alla
Commissione Nazionale Aids e al ministro della Sanità rimandiamo a:
La Consulta sull'aids: un Occasione da Cogliere, in « Aspe » n. 15, 1 agosto 1991
25
Per una panoramica sui gruppi di tossicodipendenti o ex-tossicodipendenti a livello europeo rimandiamo
a: Cresce il self help tra i tossicodipendenti europei, in «Aspe» n. 1, 21 gennaio 1991
60
d) per Moss la legge 685/75, che ha legalizzato la possessione di una modica quantità di
droga, la facile accessibilità di siringhe (nelle farmacie senza necessità di prescrizione
medica) e le poche pressioni esercitabili su coloro che non ottemperano alle disposizioni
dei magistrati di seguire un programma di trattamento di disintossicazione presso i centri di
trattamento, sono tutti fattori che hanno facilitato, insieme alla centralità della posizione
italiana nel traffico internazionale di droga, l'estendersi del fenomeno droga.26
Aggiungiamo che al problema della dipendenza molti tossicodipendenti sperimenteranno
l'esperienza del carcere. Vedremo nel corso della trattazione che in Italia vi fu un grosso
dibattito attorno alle misure da implementare nell'ambiente carcerario alle prese con il
fenomeno aids.
Il movimento gay
Nel periodo preso in considerazione, Moss sottolinea la debolezza del movimento gay
italiano e la sua incapacità ad essere un valido e propulsivo interlocutore politico. Le
ragioni di ciò risiederebbero per Moss in fattori epidemiologici, sociali e politici. Dal punto
di vista epidemiologico i casi di Aids attribuibili a rapporti omosessuali hanno
un'estensione più limitata rispetto ad altri paesi dell'Europa Settentrionale o agli stessi Usa.
Tale caratteristica, legata anche alla diminuzione delle infezioni tra gli omosessuali a
partire dal 1986 (in base ad alcuni studi condotti a Roma, Milano, Bologna), secondo
Moss, non giustificherebbe un diretto coinvolgimento dei rappresentanti del movimento
gay in decisioni di misure di salute pubblica. Dal punto di vista sociale, due fattori
influenzerebbero la mobilitazione politica: la minore estensione di una rete densa di
relazioni sociali gay e di luoghi di ritrovo e una maggiore difficoltà, rispetto ad altri paesi,
a riconoscersi completamente in una chiara identità gay e a riconoscerla pubblicamente.27
Da un punto di vista politico, i pochi gruppi e collettivi gay presenti a Roma, Milano,
Bologna, Torino e anche la più estesa Arcigay28 non rappresenterebbero una forza politica
capace di influenzare i partiti politici o di interagire con il governo. Questo a causa sia dei
26
D. Moss, Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p.154-155.
A tal proposito, Moss prende in considerazione una serie di ricerche condotte sulle abitudini sessuali nel
mondo gay che indicano come non siano inconsueti i rapporti sessuali di natura eterosessuale e una loro
maggiore estensione tra gli omosessuali italiani. Da ciò Moss evince la maggiore difficoltà a dichiarare una
identità totalmente gay.
Ivi, p. 151-152.
28
L'Arcigay nasce nel 1985, come raggruppamento dei gruppi e circoli omosessuali esistenti sul territorio
nazionale. Affiliata alla Arci, il suo programma politico riguarda: a) la battaglia per l'acquisizione di diritti
concreti : provvedimenti legislativi antidiscriminatori, riconoscimento legale delle convivenze omosessuali;
b) rafforzamento del dialogo con le istituzioni politiche, le scuole, il mondo del lavoro, c) combattere
l'omofobia, d) la questione aids: affrontata attraverso la lotta alla fobia e all'ignoranza, l'informazione mirata
al mondo omosessuale per la prevenzione, l'assistenza alle persone sieropositive e malate, la richiesta alle
autorità sanitarie del loro impegno nella lotta all'epidemia, e) la ricerca di alleanze politiche per l'attuazione
dei suoi programmi
G. Rossi Barilli, Il Movimento Gay in Italia, Feltrinelli, Milano 1999, p. 158-162.
27
61
rapporti di potere che favorirebbero i partiti del centro sia per la propensione a livello
centrale di non riconoscere ai gay uno statuto di vittime e quindi a non riconoscerne la
funzione di interlocutore nelle strategie di lotta all'aids.
Una maggiore collaborazione, spesso di natura informale, tra le amministrazioni e gruppi o
circoli gay locali si è avuta in alcune città fin dai primi anni dell'epidemia. Ne sono
esempio la collaborazione tra alcuni medici e l’Istituto Superiore di Sanità con il circolo
romano “ Mario Mieli” fin dal 1983 per alcuni studi epidemiologici sulla nuova malattia e,
a Milano dal 1988 ha preso avvio una collaborazione tra l'Associazione Solidarietà Aids29 e
il Consiglio Comunale per approntare una serie di alloggi per malati di Aids.
Aggiungiamo a tale analisi che la situazione descritta da Moss è andata evolvendosi:
innanzitutto proprio con l'aids l'omosessualità e la “cultura gay” hanno avuto una visibilità
pubblica maggiore. Non solo, ma la stessa Arcigay ha visto crescere le occasioni di porsi
come interlocutore pubblico per quanto riguarda le scelte preventive in materia di Aids.
Dopo la difficoltà di rapporti, e il diniego da parte del ministro Donat Cattin di riconoscere
l'Arcigay come interlocutore, con il ministro De Lorenzo è iniziato un rapporto proficuo di
collaborazione. Dal canto suo il movimento gay, in particolare l'Arcigay, ha riconosciuto
l'importanza di portare avanti una strategia preventiva basata sull'informazione, sulla
solidarietà, sul sesso sicuro contro i richiami all'astinenza. La linea seguita dall'Arcigay,
oltre alle proprie iniziative di distribuzione di materiali informativi, si è focalizzata sul
pungolare le autorità a farsi carico del problema aids. Scrive a tal proposito Gianni Rossi
Barilli30:
L'Arcigay, quantomeno come struttura nazionale, assumeva l'Aids come una
parte (importante) della politica dei diritti civili, puntava anzitutto su
informazione, prevenzione e lotta alle discriminazioni e contava sul sostegno
pubblico per sviluppare le proprie attività anche nella direzione dell'assistenza
alle persone sieropositive e malate. 31
Le organizzazioni di volontariato sull'aids
- Anlaids (Associazione Nazionale per la Lotta contro l'Aids): è la prima associazione a
carattere nazionale ad essersi sviluppata. Nasce nell'estate del 1985 per iniziativa dell'allora
sottosegretario alla Sanità, De Lorenzo, in aperta polemica con l'inattività del ministro
29
Asa: Associazione solidarietà Aids, nata a Milano nel 1984 all'interno dei circoli gay cittadini e la cui
attività si svolge sia nella prevenzione e informazione sia nella assistenza ai malati di aids .
Gianni Rossi Barilli riporta nel suo libro una intervista rilasciata dal presidente dell'Asa, Mattia Moretta a
Babilonia (rivista di tematiche omosessuale dell'Arcigay): “ si è scelto cosi di organizzare in proprio dei
“servizi”, sull'esempio dei gruppi stranieri, senza aspettare che qualcun altro lo facesse per noi.(...)Un conto è
difendere i diritti civili e un altro lavorare per migliorare concretamente l'esistenza dell'omosessuale e
soccorrerlo come persona concreta e non come soggetto sociale”.
Ivi, p. 194-195.
30
Gianni Rossi Barilli, giornalista, da anni protagonista del movimento omosessuale italiano
31
G. Rossi Barilli, Il Movimento Gay in Italia cit., p.194.
62
della Sanità Donat Cattin.32Tra i soci fondatori vi sono i maggiori esperti medici e
scientifici italiani, Fernando Aiuti, Giuseppe Visco, Ferdinando Dianzani, Giovan Battista
Rossi, Mauro Moroni, e anche alcuni volti del giornalismo italiano come Luciano Ragno,
Luciano Lombardi.33 Fin dalla sua costituzione vi sono state forti tensioni e polemiche con
il ministro Donat Cattin: il presidente di allora dell'Anlaids, De Lorenzo, ha parlato del
lavoro dell'associazione quale compensazione per il fallimento della strategia
ministeriale.34 Torneremo nel corso del nostro lavoro a trattare di questa tensione
analizzando le campagne di prevenzione. L'attività dell'associazione si esplica soprattutto
nell'organizzare e finanziare ricerche scientifiche e programmi di educazione rivolti in
particolare ai sieropositivi. Ogni anno organizza un convegno cui partecipano i massimi
esponenti scientifici mondiali dibattendo sia aspetti medici legati alla terapia, sia aspetti
sociali legati alla prevenzione. Nel suo statuto è stata indicata chiaramente la volontà di
collaborare con le autorità politiche, amministrative, sanitarie per migliorare la
prevenzione, l'assistenza e la terapia dell'Aids. La sua struttura è formata da una rete di
segreterie regionali.35
- LILA (Lega Italiana Lotta all'Aids): nasce nel 1987 dagli ambienti della sinistra (dai
sindacati, Ggil, Cisl, Uil, ad esponenti del Coordinamento Nazionale Operatori per le
Tossicodipendenze, ad esponenti di Magistratura Democratica, Psichiatria Democratica)36
come un’organizzazione ombrello raggruppante e federata con altre associazioni (Gruppo
Abele, Arcigay, Asa, Circolo Mario Mieli, il comitato delle prostitute di Pordenone Le
lucciole, l'associazione dei detenuti di Rebibbia l'Albatros)37. Gli scopi primari
dell'organizzazione sono: a) la diffusione di un’efficace cultura della prevenzione, b) la
lotta alle discriminazioni dei sieropositivi e la difesa dei loro diritti, c) la lotta contro le
strumentalizzazioni moralistiche dell'epidemia.
Il solco della sua azione si è situato all'interno dei programmi di riduzione del rischio sia
con una prevenzione che fa leva sul sesso sicuro (distribuzioni di profilattici e informazioni
sulle malattie sessualmente trasmissibili) sia con la promozione locale di scambi di
siringhe e preservativi38 attraverso unità di strada. Forte il contatto con il mondo
associazionistico che si occupa di devianza e di carcere (come per esempio il Gruppo
Abele di Torino). Per esplicare senza condizionamenti la sua azione di critica ha stabilito
nel suo statuto di non accettare finanziamenti dalle case farmaceutiche. Seppure,
inizialmente la Lila, come sottolinea Moss39, non sia stata un interlocutore formale nella
politica governativa, e si sia distinta per le iniziative locali, nel corso degli anni il peso
32
D. Moss, Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p.143.
L. Ragno, AIDS Intervista ai perchè. Parlano gli esperti, Edizioni Beta, Roma 1985, p.61-63.
34
D. Moss, Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p.143.
35
L. Ragno, AIDS Intervista ai perchè. Parlano gli esperti cit., p. 61-63.
36
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 51.
37
G. Rossi Barilli, Il Movimento Gay in Italia cit., p. 178-179.
38
D. Moss, Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p.143.
39
Ibid.,
33
63
delle sue iniziative di riduzione del danno è stato riconosciuto ai livelli più alti della
compagine governativa.40 Nel 1988 ha stilato una Carta dei Diritti delle Persone
Sieropositive in cui si ribadisce il diritto alla cura, all'assistenza, alla non discriminazione.
Tra i diritti ribaditi vi è quello all'interruzione della gravidanza anche oltre il terzo mese di
gestazione per le donne sieropositive.41
Diverse sono le associazioni nate attorno al problema aids, nel periodo da noi considerato,
molte delle quali a sede ed azione locale, soprattutto nel nord e centro del paese. Alcune di
esse si sono occupate principalmente della assistenza, altre hanno portato avanti campagne
di prevenzione e di tutela dei diritti delle persone sieropositive. Ne elenchiamo alcune:
- Gruppo Solidarietà Aids: nasce nel 1987 a Torino. Si è occupato principalmente di
assistenza ospedaliera e domiciliare. Ha iniziato il suo lavoro tra gli omosessuali.
- Associazione Giobbe: nasce nel 1990. Gruppo di ispirazione cristiana, ha forti legami con
la Curia torinese da cui riceve parte dei finanziamenti. Ha una casa alloggio, convenzionata
con l'Usl, che ospita malati di Aids. Svolge attività soprattutto di assistenza domiciliare e
in ospedale.
- Sidarca: nata nel 1992, opera a Torino nella sede della Lila, e offre counselling telefonico
e assistenza domiciliare e ospedaliera. Tra le sue attività la difesa dei diritti delle persone
sieropositive.42
Molte sono state le associazioni nate nella prima decade dell'aids: nel 1989 sono nate l'Ala
(Associazione Lotta all'Aids), Il coordinamento Ligure persone sieropositive; nel 1990:
ASSA (Associazione Speranza e Solidarietà Aids), Dai (Donne Aids informazioni),
40
Ne è un esempio il finanziamento da parte del ministro della Sanità Rosy Bindi, attraverso il Coa (Centro
Operativo Aids), nel 1999, di un opuscolo della Lila inteso a limitare gli effetti collaterali delle pastiglie di
ecstasy o di altre droghe da parte degli assuntori. Su tale iniziativa si è scatenata una fortissima polemica e
varie interpellanze parlamentari di critica verso l'operato della Lila (si è parlato di istigazione all'uso) e del
ministro, soprattutto da parte di esponenti di Alleanza Nazionale
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 204-213.
41
Questo tipo di richiesta era legato soprattutto alla mancanza di cure per la patologia e all'impossibilità di
impedire la trasmissione materno-fetale e al fatto che la maggior parte delle donne sieropositive erano
tossicodipendenti, quindi con grossi problemi di gestione della sieropositività che, probabilmente,
un'eventuale gravidanza avrebbe aggravato.
La decisione di don Luigi Ciotti, allora coordinatore nazionale della Lila e fondatore del Gruppo Abele, di
presenziare la conferenza stampa in cui si annunciò, nel 1988, la Carta dei Diritti delle Persone Sieropositive,
scatenò contro di lui un attacco diretto da parte dell' «Avvenire», in particolare sulla questione della
interruzione della gravidanza. Dopo le polemiche che seguirono, tra cui sono da registrare anche le prese di
posizioni a favore di Ciotti di alcuni preti a contatto con il mondo dell'emarginazione e devianza, don Ciotti
preferì dimettersi dal suo incarico presso la Lila, pur ribadendo la sua volontà di una futura e continua
collaborazione.
Agnoletto osserva che la figura di don Ciotti come membro della Lila aveva il significato di un
coinvolgimento del mondo cattolico nella lotta all'aids contro l'intolleranza.
Ivi, p. 364-373.
42
S. Parodi, Iniziativa Sociale e Aids: il caso Anlaids, Tesi di Laurea di Scienze Politiche Università degli
studi di Torino, Relatore Dario Rei, anno 1998-99
64
ARCHE', Associazione Arcobaleno, Associazione Gianni Wendy e Michele (che si occupa
soprattutto di bambini sieropositivi), Informagay e ancora molte altre.
Indichiamo ancora la tendenza alla federazione da parte di molte di queste associazioni sia
a livello nazionale (un’espressione di ciò è la creazione nel 1991 del Forum Aids Italia a
cui hanno aderito la maggior parte delle associazioni italiane), sia a livello internazionale
( ne è un’espressione la nascita nel 1992 dell'Eatg, European Aids Treatment Group, a cui
aderiscono organizzazioni europee tese a migliorare la conoscenza sulle terapie e a
svolgere attività di lobby).
Se nei primi anni la sieropositività era vissuta con vergogna e nascondendosi, a partire dal
1989 il coraggio di alcune persone sieropositive, che manifestarono pubblicamente il loro
stato sierologico43, ha aperto la strada a una rivendicazione di diritti da parte degli stessi
sieropositivi. Ne sono un esempio la nascita del Coordinamento nazionale persone
sieropositive, o l'associazione romana Positifs (1990). Quest'ultima si è posta come
obiettivo principale l'attivismo farmacologico e sui trial clinici.
Queste associazioni nate precipuamente attorno ai problemi posti dall'aids, ma anche altre,
come il Gruppo Abele, a contatto con la tossicodipendenza, hanno richiesto al governo e
alle autorità sanitarie un maggiore coinvolgimento nell'implementazione delle strategie
preventive. Come già accennavamo un parziale accoglimento di questa esigenza è venuta
dalla creazione della Consulta del Volontariato Aids nel 1991. Seppure il peso della
Consulta, secondo gli osservatori,44sia stato scarso, esso è diventato un luogo di dibattito e
di scambio di esperienze e di proposte politiche.
Possiamo dire che tutte queste associazioni hanno svolto un ruolo di supporto al sistema
sanitario (nella prevenzione, nell'assistenza domiciliare, nella presa in carico del malato
anche per i bisogni abitativi, basti pensare alle case alloggio), in particolare dopo la
promulgazione della legge n. 266 del 1991, legge quadro sul volontariato, che ha sancito la
possibilità di stipulare convenzioni con gli enti pubblici. Con la loro azione hanno svolto
un ruolo di contraltare rispetto alla psicosi e alle tendenze allarmistiche domandando
un’informazione pragmatica e un'educazione alla sessualità lontano dai moralismi.
43
Scrive a tal riguardo Rossi Barilli: «Dai gruppi di autoaiuto affioravano i bisogni e le soggettività delle
persone sieropositive e con Aids, che cominciavano a prendere la parola per sè, a reagire uscendo allo
scoperto e umanizzando la malattia. Enrico Barzaghi, morto a ventinove anni il 15 gennaio 1990, fu un
simbolo di questa evoluzione. Era un portavoce dei sieropositivi anche Luigi Cerina, eletto consigliere
comunale a Roma nelle liste radicali con le elezioni dell'autunno del 1989 e successivamente fondatore
dell'associazione Positifs. Il 29 e 30 settembre 1990 si svolse poi a Milano il primo incontro nazionale delle
persone sieropositive, che fin dal titolo chiariva quanto stava avvenendo: Da vittime a protagonisti.»
G. Rossi Barilli, Il Movimento Gay in Italia cit., p. 195.
44
Ivi, p. 208.
65
Capitolo 6 - L'assistenza -
6.1
Le richieste di assistenza e cura
A partire dal 1985, con le prime indagini sierologiche, fu chiaro agli esperti che la
diffusione dell'epidemia aveva contorni più larghi rispetto ai pochi casi di Aids che si
erano verificati sino allora nel nostro paese. In più, ogni semestre, i nuovi casi di aids
aumentavano ad un livello esponenziale. In tale situazione di incertezza, i medici a diretto
contatto con i pazienti e le associazioni che per prime si erano confrontate con la
prestazione di cure e di assistenza (per esempio l'Asa di Milano)1 lanciarono i primi allarmi
sulle carenze strutturali ed organizzative degli ospedali italiani e sulla inadeguatezza
(spesso anche per incapacità o addirittura ritrosia2) del personale sanitario per gestire
l'aumento del numero di casi di Aids. I medici e le associazioni domandarono, sia agli
organi regionali preposti sia al ministero della Sanità, un intervento di presa in carico dei
bisogni assistenziali delle persone malate o sieropositive.
Se a livello centrale fino alla fine del 1986 non vi fu nessuna presa di posizione in tale
senso, le due regioni maggiormente colpite, Lombardia e Lazio, approntarono
rispettivamente fin dal novembre 1985 e dal marzo 1986 dei piani di intervento per l'aids,
strutturando, in qualche misura, delle prime iniziative organiche e coordinate.3
Come dicevamo, alla fine del 1986, si iniziò a parlare da parte dell'amministrazione
pubblica delle prime misure da attuare a livello nazionale, anche perchè si era visto che i
1
In un'intervista rilasciata a «Babilonia» nel dicembre 1989, Mattia Moretta, allora presidente dell'Asa,
dichiarava: « Il nostro obiettivo non era solo 'supplire' ma anche agire in parallelo all'istituzione. Tuttavia
questo è praticamente inevitabile dato che i servizi pubblici non hanno ancora organizzato una risposta seria
al problema(..)La nostra opera è di continua pressione sull'amministrazione comunale e sulle Usl affinchè
strutturino un'attività di assistenza domiciliare e si faccia strada il concetto di 'accompagnamento
psicologico', che vuol dire tenere conto delle dinamiche emozionali delle persone dal momento in cui
decidono di sottoporsi al test in poi. »
I gay e l'Aids.Una striscia di futuro. Intervista, di M. Anelli, in «Babilonia. Mensile di cultura e seduzione
gay», n. 73, dicembre 1989, p. 15-16.
2
Nella cronaca si registrarono casi di malati a cui i sanitari avevano rifiutato le cure per paura del contagio.
Un caso emblematico fu quello di una donna sieropositiva colpita da emorragia a cui fu prestata l'assistenza
sanitaria necessaria solo dopo l'intervento del magistrato.
Aids, tra un anno mille nuovi malati, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 19 novembre 1987.
3
In Lombardia il Consiglio Regionale deliberò il 22 novembre 1985 l' ”Approvazione del piano regionale
degli interventi per la lotta contro l'Aids e attuazione dei primi provvedimenti” (Deliberazione n.IV/79). Nel
Lazio si stilarono le Linee guida di sanità pubblica per l'Aids, prodotte dall'Osservatorio Epidemiologico:
erano dei codici di comportamento per gli operatori sanitari e contenevano un invito alla collaborazione tra le
strutture sanitarie.
E. Guzzanti, La strategia italiana per la lotta contro l'aids e la programmazione degli interventi, in
F. Dianzani, G. Ippolito, M. Moroni (a cura di), Il Libro Italiano dell'Aids, McGraw-Hill Libri Italia srl,
Milano 1994, p. 17.
Ma a Roma vogliono più collaborazione, in «La Repubblica», 6 gennaio 1987.
66
casi di Aids erano ormai segnalati in tutte le regioni. Il ministro della Sanità, Donat Cattin,
dichiarò pubblicamente, nel dicembre del 1986, di aver pronto un piano per far fronte
all'emergenza aids che si andava profilando. Il finanziamento del progetto, che si esplicava
su tre livelli (campagne preventive-informative, corsi di aggiornamento per medici e
sostegno alla ricerca) era indicato in 10 miliardi di lire.4 Nel piano del ministro rientrava la
costituzione della Commissione Nazionale Aids, che come abbiamo già indicato, aveva il
compito di organo consultivo per predisporre una strategia globale e coordinata a livello
nazionale. La Commissione, nel corso del 1987, diede avvio ad un'indagine conoscitiva5
sullo stato delle strutture ospedaliere italiane, in particolare dei reparti di malattie infettive,
e sulle condizioni di operatività del personale sanitario. Ritorneremo più avanti, nel corso
della trattazione, sui dati e sulle considerazioni emersi dall'indagine. Per ora sottolineiamo
l'importanza dell'indagine: essa fu alla base dell'elaborazione del I° Progetto Aids e della
legge 135 del 1990.
Già prima della conclusione dell'indagine della Commissione Nazionale Aids, a livello
politico, si era consci delle carenze strutturali e di personale in cui versavano i nosocomi
italiani e dell'aggravio in termini di costi che la nuova patologia avrebbe determinato.6
Alcuni organi istituzionali si mossero per domandare una strategia nazionale di assistenza e
di lotta alla patologia, in modo da non lasciare le regioni e le Usl sole ad affrontare gli
impegni e gli oneri assistenziali e soprattutto per ammodernare le strutture ospedaliere
italiane.
Nel febbraio del 1987 la XII Commissione Permanente, Affari Sociali, della Camera stilò
una risoluzione firmata da tutti i gruppi in cui si invitava il ministro della Sanità ad attuare
una risposta rapida e incisiva in campo previdenziale e assistenziale7.
4
Aids, una battaglia da 10 miliardi, di D. Mastrogiacomo, in «La Repubblica», 5 dicembre 1986.
E. Guzzanti, L'impegno per la lotta contro l'Aids in Italia: un modello di intervento per contrastare una
patologia a elevato impatto sociale, in F. Dianzani, G. Ippolito, M. Moroni (a cura di), AIDS in Italia 20
anni dopo, Masson, 2004 Milano, p .4-5.
6
L'articolo del marzo 1987, apparso su «La Repubblica» in cui vengono riportati i primi preventivi sui costi
per l'assistenza ai malati di aids stilati dal ministro Donat Cattin, sono un indice dell'incertezza e della non
conoscenza dello stato dei nosocomi italiani attraverso cui si doveva gestire la nuova emergenza. Si legge
nel testo: “La pressione dell'Aids sul sistema sanitario comincia a farsi sentire e diventerà sempre più forte
via via che il numero dei casi cresce. Di quali attrezzature vanno dotati gli ospedali per far fronte alla
malattia? Quanto grava sulla collettività, in termini economici, il trattamento dei malati? I conti dell'Aids
sono da oggi sul tavolo della commissione di esperti nominata dal ministro Donat Cattin e (..) fanno
prevedere un totale di quasi quattrocento miliardi per l'anno in corso e il prossimo.(..)Una delle voci al
momento ancora incerte è il costo dei posti letto da creare e da modificare per renderli adatti a ospitare questi
particolari malati, i quali vanno tenuti isolati più per difenderli dalle infezioni che altri degenti potrebbero
loro trasmettere che per il contagio di cui sono essi stessi veicoli. Il sistema immunitario dei colpiti da Aids è
infatti così mal ridotto che in un normale reparto di ospedale italiano cameroni promiscui, gabinetti in
comune, pulizia approssimativa la loro sopravvivenza sarebbe impossibile.(...) la stima di spesa all'esame
degli esperti parla di 30 milioni per l'adattamento di un letto esistente (consistente soprattutto
nell'installazione di un flusso d'aria verso l'esterno per evitare l'aggressione dei batteri) e di 90 milioni per la
creazione di un nuovo letto”.
Costa 200 milioni ogni anno di cure a un malato di Aids, di G. M. Pace, in «La Repubblica», 4 marzo 1987.
7
Tale risoluzione fu al centro dell'intervento dell 'onorevole Anna Maria Bernasconi ( Pci ) durante l'iter di
approvazione della legge 135, in cui criticava duramente la lentezza e l'impegno, ritenuto insufficiente, del
ministro Donat Cattin nel rispondere all'emergenza aids che si andava profilando e alle istanze che si erano
manifestate nella Commissione Affari Sociali.
5
67
Gli interventi di diversi gruppi politici manifestarono più volte, in sede parlamentare, la
necessità di una presa in carico dell'assistenza e della prevenzione all'infezione a livello
centrale.8 Nel corso del 1987 alle preoccupazioni riguardo la gestione del peso assistenziale
si aggiunsero le incertezze derivanti dal numero di casi di aids e di sieropositivi attesi. Con
un'indagine, l'Anlaids fornì, alla fine dell'anno, le prime cifre chiare sull'infezione: si stimò
in circa 200 mila il popolo dei sieropositivi.9
Finalmente nel corso del 1988, prima con una risoluzione del Consiglio dei ministri, poi
con il decreto legge del febbraio 10, che stabiliva che “per l'attuazione dei programmi e di
interventi mirati alla lotta e alla prevenzione delle infezioni da Hiv e delle sindromi
relative, il ministro della sanità provvede, anche in deroga alle norme vigenti ivi comprese
quelle di contabilità generale dello Stato, alla erogazione delle somme occorrenti per la
costruzione o per la ristrutturazione di appositi reparti o sezioni ospedaliere”11, il governo
iniziò a stanziare i primi finanziamenti. 38 miliardi furono stanziati per la ricerca (16%),
per corsi di aggiornamento per gli operatori sanitari (32%) e per la prima campagna
educativa nazionale (52%).12
Tali interventi rientravano nel quadro più ampio dell'azione di ammodernamento, di lotta al
degrado del sistema sanitario, di razionalizzazione della spesa sanitaria, e di riequilibrio
negli standard ospedalieri tra Nord e Sud del paese intrapresa dal governo (II governo
Craxi) con la legge finanziaria del 1988, con cui, a tal fine si stanziarono 30 mila miliardi
per interventi pluriennali13. La razionalizzazione della spesa sanitaria, invece, rientrava nel
più ampio piano di riduzione del deficit della spesa pubblica portato avanti dai governi in
carica. Naturalmente i costi per l'assistenza, la prevenzione, la ricerca che l'aids
comportava agivano in controtendenza rispetto ai piani dei governi.
Nel luglio del 1988 la Camera approvò un ordine del giorno in cui impegnava il governo:
a) ad elaborare entro 60 giorni un piano nazionale di prevenzione e di lotta all'aids,
utilizzando celermente le disponibilità finanziarie stanziate con la legge n. 109 del 1988, b)
impiegare subito i fondi disponibili per la ricerca, c)istituire centri di assistenza medica e
Seduta del 18 gennaio 1990 della XII Commissione Permanente ( Affari Sociali) della Camera, in
Documentazione e ricerche, Lavori preparatori della legge n. 135/90: Lotta contro l'AIDS, n. 142, Camera
dei deputati, Servizio Studi, XI Legislatura, ottobre 1993, p. 51.
8
Camera dei Deputati, X Leg. (1987-992),Disegno di Legge n. 4314,”Programma di interventi urgenti per la
prevenzione e la lotta contro l'AIDS, in Disegni e Proposte di legge-Relazioni, Volume CXXXIII, dal n.
4245- al n. 4320, Stabilimenti Tipografici Carlo Colombo, p. 2.
9
D. Moss, Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p. 147.
10
Decreto Legge 8 febbraio 1988, n. 27 “Misure urgenti per le dotazioni organiche del personale degli
ospedali e per la razionalizzazione della spesa sanitaria” in «Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana»,
Serie generale, n. 32, 9 febbraio 1988, p. 2-4.
Tale decreto fu convertito nella Legge del 8 aprile 1988 n. 109, “Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 8 febbraio 1988, n. 27, recante misure urgenti per le dotazioni organiche del personale
degli ospedali e per la razionalizzazione della spesa sanitaria” in «Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana», Serie generale, n. 83, 9 aprile 1988, p. 3-4.
11
Comma 1 art. 5 del D.L. 8 febbraio 1988, n. 27
12
D. Moss, Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p.142.
13
Comma 1 art. 20, Legge finanziaria 1988, n. 67, in «Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana»,
Supplemento ordinario, Serie generale, n. 61, 14 marzo 1988, p. 37.
68
psicologica per i sieropositivi e i malati non ospedalizzati, d) istituire un Comitato
Interministeriale per elaborare una strategia globale.14 Nel corso del 1988 si assistette ad un
balletto sulle cifre: nell'agosto la Commissione Sanità del Senato espresse l'allarme per la
diffusione dell'infezione nei rapporti eterosessuali e chiese al governo un maggiore
impegno finanziario. Nel settembre riportò la proiezione di 50 mila casi di aids entro la
fine del 199115. Alle cifre della Commissione ribatté il ministro Donat Cattin che,
dichiarando di essere l'unico vero conoscitore della realtà della diffusione dell'epidemia,
riportò l'elaborazione del Coa di una stima di oltre di 4600 casi entro la fine dell'anno e di
una proiezione di 26 mila casi alla fine del 1990. Questa volta, in linea con i senatori della
Commissione Sanità, manifestò pubblicamente la necessità di rivedere il Piano Sanitario
Nazionale e domandò maggiori fondi al ministro del Tesoro.16
Ma fu solo alla fine del 1988 che giunsero i primi sostegni finanziari specifici alle regioni
per l'assistenza ai malati di aids: con decreto ministeriale furono assegnati 71 miliardi a
carico del bilancio del ministero della Sanità per ammodernamento dei nosocomi, di cui 31
miliardi per il finanziamento di interventi di potenziamento dei reparti di malattie infettive
per le regioni con incidenza di Aids superiore al 6,5 per mille abitanti.
Le regioni interessate dai 31 miliardi furono la Lombardia (circa 12 miliardi), la Liguria
(circa 3 miliardi), l'Emila Romagna (quasi 6 miliardi), il Lazio (circa 9,5 miliardi).17
14
L'ordine del giorno nasceva dalle considerazioni emerse nella Conferenza di Londra dei ministri della sanità
e dalle raccomandazioni Oms che indicavano la necessità di un intervento attivo in campo preventivo, nonché
dall'aumento esponenziale dei casi di aids in Italia. In esso si indicava, anche, la necessità di un
coinvolgimento del volontariato, della promozione di un'azione coordinata nelle scuole, carceri e comunità di
tossicodipendenti. In più si ravvisava l'opportunità di tenere conto delle raccomandazioni internazionali circa
l'uso del profilattico nei rapporti sessuali a rischio.
Ordine del Giorno approvato dalla Camera dei deputati in data 26 luglio 1988, in Relazione sull'attuazione
della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'aids (anni
1987-1995) cit., p. 473.
15
Ormai la “la peste del secolo” non risparmia più nessuno, di A. Longo, in «La Repubblica», 3 agosto
1988.
Aids, 50 mila ammalati entro il 91, di D. Mastrogiacomo, in «La Repubblica», 28 settembre 1988.
La Commissione Sanità chiese: a) maggiore prevenzione nelle scuole, nelle caserme, nelle carceri; b) posti
letto, laboratori di microbiologia, day hospital, assistenza a domicilio; c) finanziamenti alla ricerca e
partecipazione a progetti internazionali.
16
“Solo io ho le cifre sull'Aids”, di A. Longo, in «La Repubblica», 5 agosto 1988.
17
D. M. del 20 dicembre 1988
Per una panoramica si rinvia a Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi
urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit.
69
6.2
Il I° Progetto Obiettivo Aids
Nel 1989 fu inserito da parte del ministro della Sanità, De Lorenzo, nel Piano Sanitario
Nazionale, il Programma n. 6 “Lotta all' Aids”. Specifichiamo subito che detto programma
(anche denominato Progetto Obiettivo Aids 1990-92), terminato di elaborare nel gennaio
del 1989, era stato concepito in sinergia col disegno di legge n. 431418 presentato dal
governo al Parlamento il 31 ottobre del 1989. I tempi lunghi dell'iter del disegno di legge
fecero inserire il programma nel Piano Sanitario Nazionale del 1990-1992, ed esso fu
approvato a stralcio del Piano sanitario nazionale con apposite risoluzioni della Camera il
21 marzo 1990 e del Senato il 16 maggio 1990.19
Detto progetto fu redatto dalla Commissione Nazionale Aids e prendeva avvio dai dati
emersi dall'indagine conoscitiva sulle strutture ospedaliere e sulla elaborazione dei dati
epidemiologici forniti dal Coa. Nel programma si indicava la necessità di agire nella lotta
all'aids secondo due strategie che dovevano muoversi in parallelo e in modo coordinato: 1)
una strategia assistenziale, 2) una strategia preventiva.20
La strategia assistenziale, articolata in tre livelli (terapia antivirale, diagnostica di
laboratorio, assistenza ospedaliera ed extra-ospedaliera), si basava soprattutto sulle
considerazioni deducibili dall'indagine conoscitiva.
L'indagine, conclusasi nel giugno 1988, aveva sottolineato il degrado delle condizioni dei
posti letto nelle normali strutture ospedaliere italiane. Tale motivo inficiava la possibilità,
secondo la Commissione, di destinare i malati di aids verso il ricovero indifferenziato,
come avveniva in altri paesi occidentali, dove gli standard erano però più elevati rispetto
alle strutture italiane. I motivi che spinsero la Commissione ad optare per l'utilizzo dei
reparti di malattie infettive, oltre al degrado degli altri reparti, furono: a) la tipologia21 delle
divisioni di malattie infettive era quella che maggiormente si prestava alla protezione dei
malati di aids; b) il personale dei reparti di malattie infettive possedeva una preparazione
specifica nel trattare le infezioni opportunistiche e nel trattare con i tossicodipendenti.
L'indagine segnalava però lo stato di abbandono e di degrado in cui versavano molte
divisioni di malattie infettive, nonché la mancanza di laboratori di microbiologia per le
analisi necessarie.
18
Il disegno di legge del governo n. 4314 “Programma per interventi urgenti per la prevenzione e la lotta
contro l'AIDS” ( al Senato, Disegno di legge n 2215) diventò dopo l'iter nelle varie commissioni la legge n.
135 del 5 giugno 1990 “Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'aids”.
19
Il Primo Progetto Obiettivo Aids 1990-1992, in Relazione sull'attuazione della legge concernente il
programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p .353.
20
Programma n. 6 del Piano Sanitario Nazionale “Lotta all'AIDS”, in Relazione sull'attuazione della legge
concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995)
cit., p. 555-566.
21
Esistenza di filtri d'aria, sistemi di condizionamento, percorsi esterni per i visitatori
70
L'elaborazione dei dati epidemiologici portò la Commissione a stimare in 200 mila, di cui
6 mila persone in Aids, cui apprestare assistenza nel 1990, e in 250 mila, di cui 15 mila in
Aids nel 1992.22 Visti i bisogni assistenziali differenti a seconda degli stadi in cui la
patologia si presentava, la Commissione ritenne che il 75% del fabbisogno andasse coperto
da posti letto nei reparti di malattie infettive, per il 20% da posti in day hospital e per il 5%
con forme di assistenza extra-ospedaliera (presso il domicilio del paziente, o in case
alloggio 23). A tal proposito la Commissione stimò:
- in 12.550 i posti letto nei reparti di malattie infettive necessari per i malati di aids, cui
aggiungere 3 mila posti necessari per le altre patologie infettive. Risultarono idonei 1.174
posti letto, da ristrutturare 2.575, da eliminare 2.309 e risultò necessaria la costruzione ex
novo di 8.750 posti letto entro il 1992;
- in 3120 i posti in day hospital necessari entro il 1992;
- in 2100 posti per forme di assistenza residenziale extra-ospedaliera entro il 1992.
Al fine di rendere riconvertibili i posti letto da ristrutturare o costruire ex novo una volta
che l'emergenza aids fosse cessata, la Commissione invitò il ministero della Sanità ad
optare per la formula della “concessione” basata sul concorso: tale scelta avrebbe permesso
di tipizzare in modo standard i reparti e anche di ridurre i tempi di realizzazione.
Il personale sanitario necessario alla gestione dei nuovi reparti di malattie infettive e di day
hospital si stimò in 3400 medici, 11.200 infermieri, 1.850 ausiliari.24
La Commissione ribadì nel programma la scelta di una rete assistenziale strutturata su tre
livelli:
1) al primo livello: servizi socio-assistenziali e sanitari di base, con compiti di educazione
sanitaria, di informazione, di prevenzione, di supporto psicologico e sociale, di
accertamento diagnostico;
2) al secondo livello: presidi ospedalieri, con reparti di malattie infettive per attività
terapeutica e diagnostica e in sede extra-ospedaliera, assistenza domiciliare o presso
22
Furono prese in considerazione 4 ipotesi di sviluppo dell'epidemia (cubica, esponenziale, quadratica,
logistica) e si ritenne che l'ipotesi cubica, che prevedeva un' oscillazione di casi cumulativi di aids tra i
14.284 casi nel 1990 ai 39.343 nel 1992, fosse la più vicina alla realtà. Si specificava che nessuna delle
previsioni formulate poteva però ritenersi sicura in quanto si era in presenza di una infezione di cui ancora
poco si conosceva la storia naturale e soprattutto che, essendo la sua diffusione legata ad aspetti
comportamentali, era impossibile valutare e prevedere scelte fortemente attinenti alla sfera individuale. La
Commissione avvertì che l'ipotesi su cui essa aveva formulato il programma era di una riduzione
dell'epidemia a partire dal 1990. Per cui si riteneva che il calcolo del fabbisogno assistenziale al 1992 fosse
sufficiente ad affrontare il problema assistenziale degli infetti anche per gli anni successivi.
Programma n. 6 cit., p. 558-559.
23
Le case alloggio e le comunità residenziali terapeutiche furono viste come strutture idonee a supplire alla
mancanza di abitazioni e di relazioni sociali stabili di molti tossicodipendenti.
24
Al giugno 1988 l'indagine fotografava in 891 medici, 2.470 infermieri, 1.272 ausiliari in servizio nelle
divisioni di malattie infettive.
71
residenze sanitarie assistenziali in collegamento con i servizi socio-assistenziali-sanitari di
primo livello;
3) al terzo livello: reparti ospedalieri e universitari in grandi complessi assistenziali con
finalità di ricerca, di centri di riferimento per le più complesse attività diagnostiche.25
Tenendo conto che l'epidemia era diffusa soprattutto nelle grandi aree urbane, il
programma indicava la necessità di intervenire con ristrutturazioni e edificazioni
prioritariamente in area metropolitana.26
Sottolineò la necessità di procedere a corsi di formazione e aggiornamento sia per il
personale sanitario sia per il personale laboristico. Si evidenziò l'esigenza di una copertura
dei centri di assistenza con laboratori di microbiologia.27
Per la terapia antivirale il programma ricordò come essa si basasse soprattutto sulla
somministrazione dell'Azt e di quanto fosse fondamentale continuare nell'attività di
farmaco-vigilanza centralizzata, iniziata nel luglio del 1988 con l'istituzione da parte della
Commissione del “Protocollo Nazionale Azt.”28
Si indicò la scelta di un sostegno mirato (senza interventi a pioggia) ad un'attività di
ricerca pluriennale e pluridisciplinare, ossia che trattasse problemi assistenziali, aspetti
psicologici, psichiatrici, clinici, terapeutici, diagnostici, epidemiologici, di
eziopatogenesi.29
La prevenzione, più dell'assistenza, fu vista come l'elemento cardine della strategia di lotta
all'aids. Il programma si pronunciò per una informazione-educazione mirata per
popolazioni a rischio (viste le caratteristiche epidemiologiche italiane si sottolineò
l'importanza delle attività svolte dai servizi di assistenza per i tossicodipendenti), ma,
anche, per un'attività preventiva verso la popolazione in genere soprattutto attraverso
l'attività di sorveglianza sulle donazioni di sangue e l'attività dei servizi per le malattie a
trasmissione sessuale.30
Secondo il programma gli interventi da compiere31 erano quindi:
- potenziamento dei laboratori ospedalieri di analisi sia in termini tecnici sia con unità di
personale32
- potenziamento e miglioramento della qualità delle misure di controllo sulle donazioni di
sangue nei centri di secondo e terzo livello33
25
Programma n. 6 cit., p. 556.
Ivi, p. 562.
27
Ibid..
28
Ibid..
29
Vedi Glossario
30
Programma n. 6 cit., p. 561-563.
31
Ivi, p. 564-566.
32
Costo dell'intervento: per l'intervento tecnico stimato in milioni 550 ad intervento (previsti un minimo di
100 interventi da compiere); per le spese di gestione: stimate in 10 miliardi nel 1990, 28 miliardi a regime.
26
72
-potenziamento dei servizi multizonali per malattie a trasmissione sessuale34
-potenziamento delle strutture di assistenza ai tossicodipendenti per compiti di prevenzione
delle infezioni da hiv35
-potenziamento del settore delle Usl che coordina le attività di lotta alle infezioni da hiv36
-copertura del fabbisogno residenziale extra-ospedaliero con ricorso ad istituzioni di
volontariato o ad organizzazioni assistenziali diverse convenzionate, fino ad un obiettivo
minimo di 2.100 posti da attivare gradualmente37
-potenziamento degli organici di personale dei reparti di malattie infettive38
-incentivazione economica del personale di malattie infettive che presta assistenza ai
malati di aids39
-attivazione del day hospital fino ad un 20% del fabbisogno assistenziale necessario40
-completamento del fabbisogno di posti letto ospedalieri nei reparti di malattie infettive
attraverso ristrutturazioni e costruzioni ex novo41
- supporto alle associazioni di volontariato42
- finanziamento della ricerca43
- iniziative di formazione e aggiornamento mirata per ambienti sia a livello locale sia a
livello centrale, tra cui borse di studio44
- campagne nazionali di informazione per la popolazione generale e mirate per ambiente45
- attivazione di 4 osservatori permanenti esterni al Servizio Sanitario Nazionale, su aspetti
funzionali, economici e di qualità dell'assistenza erogata46
- studio da parte di una commissione dei requisiti necessari per l'attivazione all'interno del
sistema informativo sanitario del modulo relativo alle infezioni da hiv47
- assicurazione alla struttura di coordinamento centrale di una potenzialità di lavoro
adeguata48 e all'Istituto Superiore di Sanità dei finanziamenti necessari per l'adeguamento
33
Costo dell'intervento: ad intervento stimato in 50 milioni (previsti un minimo di 40 interventi); per spese di
gestione: stimate in 3,2 miliardi l'anno per assunzione di personale, 10 miliardi annui per acquisto reattivi;
per controlli centrali: 3 miliardi annui.
34
Costo intervento: ad intervento 50 milioni ( previsti un minimo di 100 interventi); per spese di gestione : 6
miliardi a decorrere dal 1990.
35
Costo intervento: ad intervento 100 milioni (previsti 200 interventi); per spese di gestione : 20 miliardi nel
1990, 38 miliardi a regime.
36
Costo intervento: 29 miliardi spesa annua a regime.
37
Costo intervento: spesa globale annua di 20 miliardi nel 1990, 35 miliardi nel 1991, 60 miliardi dal 1992.
38
Costo intervento: miliardi 80 per 1990, miliardi 120 per il 1991, miliardi 415 ad ultimazione programma di
ristrutturazione-costruzione posti letto nei reparti di malattie infettive.
39
Costo intervento: spesa globale annua di 35 miliardi nel 1990, di 84 a regime.
40
Costo intervento: miliardi 156.
41
Costo intervento: per ristrutturazioni 258 miliardi; per edificazioni ex novo: 1.600 miliardi.
42
Costo intervento: 2 miliardi nel 1991; per spese correnti: 8 miliardi nel 1990, 18 miliardi a regime.
43
Costo intervento: 33,5 miliardi nel 1990, 36 miliardi nel 1991, 40 miliardi nel 1992 e anni successivi.
44
Costo intervento: per interventi formativi locali, 8 miliardi per 1990, 14 miliardi da dividere negli anni
successivi; per interventi formativi centrali: 15 miliardi nel 1990 e negli anni successivi.
45
Costo intervento: 35 miliardi nel 1990, 30 miliardi nel 1991, 25 miliardi nel 1992 e negli anni successivi.
46
Costo intervento : 1 miliardo per 1991, 2 miliardi negli anni successivi.
47
Costo intervento: 1 miliardo nel 1991.
48
Costo intervento: 1 miliardo nel 1991; per spese di gestione : 1,5 miliardi nel 1990, 2 miliardi nel 1991 e
anni successivi.
73
dei laboratori e dei servizi impegnati nell'attività di sorveglianza epidemiologica e di
ricerca.
Affinché la strategia risultasse efficace, si indicò nel programma che essa doveva
caratterizzarsi
per: a) tempestività e rapidità di intervento; b) globalità (sia attraverso il proseguimento di
una strategia basata sulla prevenzione e l'assistenza, sia nel coinvolgimento più ampio
possibile della intera società); c) coordinamento sia a livello amministrativo tra le varie
istituzioni interessate sia con le associazioni di volontariato; d) opportuni finanziamenti.49
I principi cardine dell'azione che si andava strutturando erano:
1) la riorganizzazione dei reparti di malattie infettive non doveva riguardare solo l'aids ma
esplicarsi contro il degrado e verso anche altre patologie infettive,
2) il perseguimento nella organizzazione della rete assistenziale di un clima di
“umanizzazione”, teso sia a permettere il mantenimento da parte del paziente delle
relazioni affettive e sociali sia a supplire ai bisogni abitativi (da cui il finanziamento alle
case alloggio),
3) l'inserimento del day hospital come possibilità di assistenza: sia per la sua natura
specialistica sia per evitare inutili ricoveri (con abbattimento dei costi, ma anche per
perseguire un clima di “umanizzazione” delle strutture ospedaliere),
4) la garanzia della tempestività diagnostica delle infezioni da hiv e delle malattie
opportunistiche ad esse associate,
5) la concretizzazione del concetto di “continuità assistenziale”: ossia della possibilità di
seguire il paziente dall'infezione allo sviluppo della malattia (soprattutto in considerazione
dei tempi di latenza molto lunghi). La possibilità dell'assistenza domiciliare aveva lo scopo
principale di portare a compimento tale concetto nella presa in carico da parte delle
strutture ospedaliere dei bisogni di cura ed assistenziali del malato.50
6.3
Il piano di intervento predisposto dal ministro della Sanità
All'inizio del 1989 il Presidente del Consiglio De Mita (I° governo De Mita) e il ministro
per gli Affari sociali, Rosa Russo Jervolino, presentarono un disegno di legge per la lotta
alla droga. Tale disegno di legge, che diventerà la legge 162 del 26 giugno 1990, fu
49
E. Guzzanti, L'impegno per la lotta contro l'Aids in Italia: un modello di intervento per contrastare una
patologia a elevato impatto sociale, in F. Dianzani, G. Ippolito, M. Moroni (a cura di), AIDS in Italia 20
anni dopo cit, p. 3.
50
E. Guzzanti, La strategia italiana per la lotta contro l'aids e la programmazione degli interventi, in F.
Dianzani, G. Ippolito, M. Moroni (a cura di), Il Libro Italiano dell'Aids cit, p. 20-21.
74
ampiamente criticato sia dai partiti politici della sinistra, sia dalle associazioni di lotta
all'aids.51 In particolare fu oggetto di critica la visione punitiva verso il tossicodipendente:
da cui il rischio, non solo di ingrossare le già carenti strutture carcerarie, ma anche di
allontanare i tossicodipendenti dai servizi di riabilitazione, creando in tal modo i
presupposti per il formarsi di epidemie nascoste. La legge52 approvata nel giugno stabilì la
punibilità del consumo di sostanze stupefacenti e l'istituzione dei Ser.T (Servizi per le
Tossicodipendenze)53
Come effetto immediato, ma lo vedremo nel capitolo dedicato all'incompatibilità tra aids e
carcere, portò ad un aumento della popolazione detenuta.
Nel marzo del 1989 un’ulteriore spinta ad una risposta rapida contro l'epidemia da parte del
ministro della Sanità venne dall'approvazione di un ordine del giorno da parte del Senato54.
Tale ordine del giorno, fondamentalmente, si muoveva in linea con le indicazioni che
provenivano dalla Commissione Nazionale Aids che, come abbiamo detto, si
concretizzarono nel I Progetto Obiettivo Aids. Esso fissava delle scadenze per la
presentazione dei progetti di strategia e impegnava il governo ad: 1) istituire entro 30
giorni un Comitato Interministeriale per l'elaborazione di una strategia globale nel campo
dell'informazione, prevenzione, cura e assistenza psicologica; 2) predisporre entro 30
giorni piani settoriali riguardanti le misure da adottare nelle scuole, nelle carceri, negli
istituti militari e nella ricerca scientifica; 3) presentare al Parlamento entro 90 giorni una
serie di interventi relativi alle campagne informative, al potenziamento e razionalizzazione
delle strutture sanitarie ed assistenziali nel quadro di un piano nazionale di prevenzione e
lotta all'aids; 4) predisporre interventi nell'assistenza sanitaria che garantissero contro
ghettizzazioni e discriminazioni. A tal fine gli interventi dovevano tendere ad una terapia
poli-specialistica, all'incremento qualitativo e quantitativo del personale infermieristico, a
fornire adeguata ospitalità presso strutture extra-ospedaliere nelle fasi di remissione della
malattia.
Nonostante le scadenze puntualmente definite dall'ordine del giorno del Senato, solo il 31
ottobre del 1989 il ministro della Sanità, De Lorenzo, presentò alla Camera il disegno di
51
Le critiche piovevano anche da alcuni esponenti della maggioranza al governo (il disegno di legge era
stato presentato per iniziativa comune della Dc e del Psi) : Mancino (DC) riteneva che era necessario mettere
la cura del tossicodipendente al primo posto, rispetto a qualsiasi volontà punitiva. Invece Craxi (segr. Psi)
difendeva strenuamente il disegno di legge e tuonava dal meeting internazionale delle comunità terapeutiche :
“ Da cinque anni si aspetta una legge. Occorre uscire dalla grande ipocrisia di vietare la vendita di droga, ma
di consentirne l'acquisto. Gli amici della modica quantità si nascondono dietro la falsa difesa dei
tossicodipendenti”.
Tra Dc e Psi un patto antidroga, di S. Mazzocchi, in «La Repubblica», 16 settembre 1989.
52
Legge 26 giugno 1990, n .62 “Aggiornamento, modifiche ed integrazioni della legge 22 dicembre 1987, n.
685, recante disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza” in « Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana», n. 147, 26 giugno
1990, Supplemento ordinario.
53
Vedi Glossario
54
Ordine del giorno approvato dal Senato in data 14 marzo 1989, in Relazione sull'attuazione della legge
concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995),
cit., p. 475.
75
legge del governo per la lotta all'Aids55. Visto che gli interventi coinvolgevano
amministrazioni pubbliche differenti esso recava la firma del ministro per gli Affari
Regionali e i problemi istituzionali (Maccanico), del ministro del Bilancio e della
programmazione Economica (Cirino Pomicino), del ministro del Tesoro (Carli), del
ministro dei Lavori Pubblici (Prandini), del ministro per i Beni Culturali e Ambientali
(Facchiano), del ministro dell'Ambiente ( Ruffolo), del ministro per la Funzione Pubblica
(Gaspari).
Come abbiamo accennato, il disegno di legge fu concepito in sinergia con il Programma
n. 6: esso doveva predisporre le norme per l'attuazione celere del Programma e stabilire le
modalità di interazione fra le diverse amministrazioni. Tra gli interventi urgenti, per il
contrasto preventivo alla diffusione dell'hiv e per assicurare idonea assistenza alle persone
affette da Aids, si indicava:
- nel comma 1 dell'art. 1:
a) la costruzione, ristrutturazione dei reparti per malattie infettive, compresa la
realizzazione di day hospital e il potenziamento dei laboratori ospedalieri di analisi, entro il
1992, per un ammontare complessivo massimo di 2.100 miliardi.56
b) l'assunzione di personale medico ed infermieristico per i vecchi e nuovi reparti di
malattie infettive e di day hospital, fino ad una spesa complessiva massima di 120 miliardi
a regime e di 40 miliardi per il 1989;
c) corsi di formazione e di aggiornamento professionale per il personale sanitario dei
reparti di malattie infettive, con incentivazione economica, per una spesa complessiva
annua di 35 miliardi;
d) potenziamento dei servizi di assistenza ai tossicodipendenti, di cui però non era indicata
la cifra di stanziamento
e) potenziamento dei servizi multizonali per le malattie a trasmissione sessuale attraverso
la graduale assunzione di personale tecnico e sanitario, da ripartire tra le regioni e province
autonome in base alle rispettive esigenze, e attraverso l'adeguamento delle strutture per una
spesa di 3 miliardi per il 1989 e di 2 miliardi per il 1990;
- nel comma 2 dell'art. 1: la promozione da parte delle Usl dell'attivazione dei posti di
ospedalizzazione a domicilio, da attuarsi attraverso più opzioni (mediante il personale
infermieristico e la consulenza dei medici del reparto di dimissione, o l'assistenza del
55
Disegno di Legge n. 4314 (al Senato n .2215),“Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la
lotta contro l'AIDS” in Atti Parlamentari Disegni di legge- Relazioni, Camera dei Deputati, Legislatura X,
1987-1992 cit., p. 1-17.
56
A tal riguardo si precisava, nella relazione di presentazione, che la spesa conseguente, comprensiva degli
interventi per i laboratori e le attrezzature era preventivata di massima in: - 1.700 miliardi per la costruzione
ex novo di 8.700 posti letto; - 250 miliardi per la ristrutturazione di 2.570 posti letto; - 150 miliardi per la
costruzione ex novo e/o ristrutturazione di 3.000 posti in day hospital (nel comma 3 si stabiliva la
proporzione di 1 posto di day hospital ogni 5 di degenza ordinari);
76
medico di famiglia, o quando possibile l'assistenza del volontariato), e attuabile sia presso
la residenza del paziente sia in idonee residenze collettive o case alloggio57;
-nel comma 4 si stabiliva che gli interventi di costruzione e/o di ristrutturazione e di
assunzione di personale sanitario potevano riguardare anche i reparti di immunologia
clinica, ostetricia, neonatologia e pediatria;
- nei commi 5, 6 e 7 si stabilivano le fonti del finanziamento58
Nell'art. 2 si stabilivano le modalità attraverso cui dovevano avvenire le costruzioni e
ristrutturazioni. Ci si atteneva alle valutazioni del Programma n. 6 dove si indicava la
preferenza per un concessionario attraverso gare di appalto. Si prevedeva la scelta di esso
da parte del CIPE. Per le commissioni giudicatrici delle gare di appalto si indicava la
presenza di due rappresentanti del ministero della Sanità.
L'art. 3 stabiliva la creazione di apposite Conferenze Regionali, cui avrebbero partecipato i
responsabili degli uffici amministrativi e degli enti statali, regionali e locali, tenuti ad
assumere atti di intesa, autorizzazioni e deliberazioni, col compito di acquisire e valutare
tutti gli elementi relativi alla compatibilità dei progetti con le esigenze ambientali,
territoriali, paesaggistiche e culturali e di esprimersi su di essi entro 15 giorni dalla
convocazione. Si stabiliva che l'approvazione all'unanimità sostituiva gli atti di intesa, le
concessioni e le autorizzazioni. In caso di mancata unanimità e su motivata richiesta del
ministro della Sanità si sarebbe provveduto con decreto del Presidente del Consiglio.
L'art. 4 riguardava le assunzioni del personale. Si stabiliva, che in deroga alle norme
vigenti, l'assunzione sarebbe avvenuta attraverso pubbliche selezioni regionali per titoli, da
effettuarsi a cura di un’apposita commissione nominata dall'assessore alla sanità della
regione o provincia autonoma. Il bando per la prima selezione avrebbe dovuto effettuarsi
entro 60 giorni dalla pubblicazione della legge. Alle Usl era delegato il compito di svolgere
i corsi di formazione e di aggiornamento.
All'art. 5 si stabiliva la costituzione del Comitato interministeriale per la Lotta all'AIDS,
presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, composto dal Presidente del Consiglio, dal
ministro della Sanità, per gli Affari Sociali, dell'Università e Ricerca scientifica e
tecnologica, della Pubblica Istruzione, del Lavoro e della Previdenza sociale, della Difesa,
di Grazia e Giustizia, dell'Interno. Il suo compito era di elaborare strategie politiche globali
in materia di lotta all'aids (in particolare riguardo l'informazione, la prevenzione, le cure e
l'assistenza psicologica) e di vigilare sull'attuazione dei programmi di intervento
valutandone i risultati e coordinando le iniziative delle singole amministrazioni.
57
A tal fine, seguendo il Programma n. 6, si stabiliva un limite massimo di 2.100 posti con un massimo di
spesa complessiva di 60 miliardi a regime e di 20 miliardi per il 1989.
58
Parte dei finanziamenti attraverso i 3 mila miliardi autorizzati dalla legge finanziaria del 1988 e rimasti in
parte inutilizzati (entro l'importo complessivo dei 30 mila miliardi destinati dal art. 20 della finanziaria per
interventi pluriennali di ammodernamento), parte attraverso quote del fondo sanitario nazionale di parte
corrente, parte sulla quota accantonata dal CIPE Comitato Interministeriale per la Programmazione
Economica) nel marzo 1989 (1.245 miliardi) e di cui si era riservato l'individuazione degli interventi da
finanziare.
77
Nella relazione di presentazione De Lorenzo specificò che tutto il provvedimento era
impostato in base all'esigenza di rapidità e di recupero del tempo trascorso. Per tale motivo
si era scelto nel disegno di legge di accentrare le responsabilità presso il ministero della
Sanità. Il CIPE era stato investito di un forte peso nella valutazione degli interventi perchè
si potessero ottenere criteri omogenei nella realizzazione delle opere e, vista la collegialità
dell'organo, rendere più trasparente e garantito l'operato del concessionario. La scelta del
concessionario seguiva le indicazioni della Commissione Nazionale Aids, ma inseriva
norme di controllo da parte della pubblica amministrazione.
La richiesta dell'unanimità nelle decisioni delle Conferenze Regionali mirava, per De
Lorenzo, a garantire che nessun interesse fosse sacrificato. L'intervento del Presidente del
Consiglio in caso di mancata unanimità era inteso a garantire e tutelare le amministrazioni,
gli enti e i cittadini in merito alle valutazioni da parte del governo di tutti gli interessi
coinvolti.
La disciplina derogatoria rispetto alle assunzioni del personale era ritenuta necessaria in
quanto seguire le normali procedure avrebbe messo in pericolo l'intero programma a causa
dei tempi troppo lunghi. L'istituzione del Comitato Interministeriale, come da
raccomandazione della Camera, aveva il fine di svolgere un'azione comune e coordinata,
ritenuta più proficua di iniziative settoriali.59
6.4
Il dibattito parlamentare sulla legge 135
Una volta che il disegno di legge approdò all'esame delle Commissioni a partire dalla metà
di novembre del 1989, De Lorenzo specificò la necessità di un iter rapido, altrimenti
avrebbe dovuto seguire il consiglio della Commissione Nazionale Aids di predisporre un
decreto legge. Consiglio che aveva rifiutato in quanto riteneva proficua una collaborazione
tra tutti i gruppi parlamentari, ma che avrebbe seguito se l'iter non avesse permesso
un’approvazione celere e una valutazione approfondita degli articoli in esso contenuti. Si
dichiarò disposto ad accogliere emendamenti migliorativi, ma non a stravolgere il testo.60
L'approvazione era ritenuta inderogabile61 per le previsioni epidemiologiche (che
59
Disegno di Legge n. 4314 (al Senato n. 2215),“Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la
lotta contro l'AIDS” in Atti Parlamentari Disegni di legge- Relazioni, Camera dei Deputati, Legislatura X,
1987-1992, Volume CXXXIII cit., p. 3-6.
60
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 18 gennaio 1990 della XII Commissione Permanente (Affari
Sociali) in sede referente , in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta
contro l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 62.
61
A tal proposito ricordiamo che la Commissione nazionale Aids aveva lanciato a novembre un ulteriore
allarme sulla diffusione dell'infezione tra gli eterosessuali e un appello per contrastare la strage di aids negli
ospedali e nelle carceri, ove vi era carenza di personale specializzato. A tal riguardo Elio Rondanelli,
vicepresidente della Commissione Nazionale Aids, dichiarava: «Non ce la facciamo più.(...) Io sarò grato a
chiunque mi fornirà gli indirizzi di centri di assistenza in grado di accogliere i malati di Aids ».
78
indicavano 30 mila casi per il 1992)62 e per porre un rimedio alla grandissima emergenza
che si andava palesando: a Roma, come indicava il ministro, il reparto del professor Aiuti
aveva dovuto chiudere per mancanza di posti letto63 e il Presidente della regione
Lombardia, in un incontro col ministro, aveva esposto la sua preoccupazione per le carenze
strutturali dei nosocomi e per le carenze di personale infermieristico64.
Il disegno di legge fu affidato in via legislativa alla Commissione Affari Sociali.
Indichiamo subito che su proposta dei gruppi della sinistra (PCI, Sinistra Indipendente)
furono aggiunti al provvedimento due articoli che riguardavano le modalità e i vincoli
all'accertamento dell'infezione (art 5. e 6. della legge 135/90). Tratteremo di essi nella
parte dedicata al dibattito sullo screening avvenuto in Italia.
All'interno delle Commissioni il testo in esame ricevette molte critiche soprattutto dai
gruppi della Sinistra. Furono richieste più volte delucidazioni al ministro sulla natura dei
finanziamenti. A tal riguardo De Lorenzo specificò che i finanziamenti derivavano da
somme già accantonate per altri interventi (tra cui i 10 mila miliardi stanziati dalla legge n.
67 del 1988 per l'ammodernamento delle strutture ospedaliere)65: la copertura del
provvedimento era attuata sulla base delle disponibilità esistenti in relazione a risparmi
effettuati su programmi speciali.66
Ma soprattutto la Sinistra ritenne che la logica sottesa al provvedimento fosse sbagliata per
diversi motivi. Innanzitutto criticarono la scelta centralizzatrice degli interventi: ritennero
che alle regioni dovesse essere assegnato un ruolo maggiore nelle scelte assistenziali,
anche per la miglior conoscenza delle realtà locali67. A tal fine l'onorevole Bassi Montanari
(Verdi) propose un emendamento che sopprimeva l'articolo del disegno di legge che
permetteva l'intervento del Presidente del Consiglio in caso di mancata unanimità
Aids, nuovo allarme “Non bastano più medici e infermieri”, in « La Repubblica», 10 novembre 1990.
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 29 Novembre 1989 della XII Commissione Permanente (Affari
Sociali) in sede referente , in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta
contro l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 45.
63 Camera dei Deputati, X leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 14 marzo 1990, p. 21.
64
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 17 Gennaio 1990 della XII Commissione Permanente (Affari
Sociali) in sede referente, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta
contro l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 56.
Nel incontro il Presidente della regione aveva ricordato al ministro che il clima di insoddisfazione e di
protesta del personale era assai serio e minaccioso.
65
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 21 febbraio 1990 della V Commissione Bilancio della Camera, in
Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro l'Aids n. 142, XI
Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 14.
66
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 18 aprile 1990 della V Commissione Bilancio, Sottocommissione
per i pareri, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro l'Aids n.
142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 110.
67
L'onorevole Bernasconi (Pci) sostenne che: «Alcune regioni non hanno fatto nulla, mentre altre dispongono
di piani relativi all'aids da anni: queste ultime possono contare non solo su una conoscenza dell'andamento
epidemiologico, ma anche su una visione approfondita delle realtà locali e delle condizioni dei servizi
sanitari. Ecco perchè insisto sul fatto che tutta la programmazione – a parte gli atti di indirizzo generale del
governo- dovrebbe essere demandata alle regioni».
Camera dei Deputati, X Leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari Sociali),
in sede legislativa, Seduta del 14 marzo 1990, p. 4.
62
79
all'interno delle Conferenze Regionali. L'emendamento fu respinto dalla Commissione
Affari Sociali.68 Allo scopo di affidare la concessione degli interventi alle Usl e alle
regioni, in modo da decentrare le responsabilità dei lavori, il senatore Berlinguer (Pci)
presentò due emendamenti alla Commissione Igiene e Sanità: anch'essi furono respinti.69 Il
deputato Benevelli (Pci) presentò un emendamento teso a dare centralità alla
programmazione regionale a scapito di quella attuata dalla Commissione Nazionale aids.
Anche questo emendamento fu respinto70.
In secondo luogo, criticarono la logica ospedalizzante dei provvedimenti urgenti a scapito
di finanziamenti alla prevenzione e di forme alternative di assistenza. Sottolinearono come
nel disegno di legge non fosse indicato l'ammontare del finanziamento ai servizi per i
tossicodipendenti e alle attività di prevenzione. L'onorevole Bernasconi (Pci) puntualizzò
che gli stanziamenti previsti per la prevenzione erano passati dai 191 miliardi promessi per
l'azione programmata agli attuali 46 miliardi71. A più riprese fu contestata la logica del
disegno di legge sulla droga, presentata da un altro membro del governo, in quanto
colpendo il consumatore finiva per emarginare il tossicodipendente e la capacità di
recupero e poteva portare ad epidemie nascoste. Si ritenne che esso stridesse con una
strategia seria di lotta all'aids.72
Dall'onorevole Alberti (Sin.Indip.) si avanzarono dubbi sul numero reale di posti letto
necessari e si criticò lo squilibrio che esisteva tra i finanziamenti destinati ai nuovi posti
68
Ivi, p. 11-12. emendamento 3.4
Senato della Repubblica , X leg. , Seduta del 16 Maggio 1990, n. 107(Antimeridiana) della XII
Commissione Igiene e Sanità, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90:
Lotta contro l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 135-136.
70
Camera dei Deputati, X Leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 14 marzo 1990, p. 13-14, subemendamento 0.1.14.2
71
Nella stessa seduta gli onorevoli Tagliabue, Benevelli, Brescia (Pci) avevano presentato un emendamento
che stabiliva, tra i provvedimenti urgenti, attività preventive rivolte alla popolazione a rischio. In particolare
sottolineavano l'importanza di operare scelte di riduzione del rischio tra i tossicodipendenti (distribuzione
gratuita di siringhe, organizzazione di unità di strada, dotazione di siringhe autobloccanti) e di
un'informazione sessuale nelle scuole, al fine di consentire a ciascuno di adottare scelte responsabili
nell'ambito delle proprie convinzioni. L'emendamento fu appoggiato anche dal gruppo della Sinistra
Indipendente, ma fu respinto dalla Commissione . Emendamento 1.1
Ivi, p. 5-10.
72
A tal proposito Berlinguer criticò aspramente il disegno di legge sulla droga in quanto, ponendo esso
l'accento soprattutto sulla punibilità dei consumatori di droga, non aiutava al contatto di tali soggetti col
Servizio Sanitario Nazionale. Servizio che avrebbe potuto svolgere un utile funzione di informazione e di
prevenzione all'infezione.
Senato della Repubblica , X leg. , Seduta del 14 Aprile 1990, n. 104 della XII Commissione Igiene e Sanità,
in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro l'Aids n. 142, XI
Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 150-151.
L'onorevole Gramaglia (Sin. Indip.) parlò di « visione simbolico-penale, punitiva-dissuasiva che sembra
prevalere nel dibattito sulle tossicodipendenze, che rischia di schiacciare l'ottica della prevenzione sociale,
soprattutto quanto alla connessione droga-AIDS».
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 18 gennaio 1990 della XII Commissione Permanente (Affari
Sociali), in sede referente, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta
contro l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 59.
Ancora l'onorevole Gramaglia ricordò, contestandolo, come nel disegno di legge sulle droghe vi fosse un
articolo che prevedeva pene fino a sei mesi di reclusione per chi abbandonasse siringhe.
Camera dei Deputati, X Leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 1 Marzo 1990, p. 10.
69
80
letto e quelli destinati all'assistenza domiciliare.73 Berlinguer parlò di un eccessivo
rigonfiamento dei posti letto indicati nel disegno di legge, e suppose che ciò fosse legato
alla presenza in Commissione Nazionale Aids di un numero elevato di esperti in assistenza
sanitaria (erano quasi tutti primari di reparti ospedalieri). Ritenne che il testo andasse
modificato in modo da convogliare maggiori risorse per l'assistenza domiciliare e
ambulatoriale e per il potenziamento di altri reparti oltre a quello di malattie infettive.74
L'onorevole Bertone (Sin. Indip.) osservò come l'80 per cento delle risorse del
provvedimento fosse concentrato sulla struttura ospedaliera, mentre soltanto il 2,8 per
cento di esse fosse riservato alle spese extraospedaliere e come fossero poco valorizzate le
esperienze di volontariato e di assistenza di base.75 L'onorevole Gramaglia (Sin. Indip.)
chiese meno ospedalizzazione e più finanziamenti alle comunità terapeutiche. 76
L'onorevole Melotto (DC) riportando i dati di uno studio effettuato dalla Regione Lazio,
che indicava la necessità di soli 7 mila posti letto, accusò il ministro De Lorenzo di voler
approfittare dell'allarme aids per allentare le regole nel campo degli appalti pubblici. 77
Dubbi furono espressi sulla necessità di costruire nuovi reparti e si avanzò la richiesta di
procedere primariamente alla ristrutturazione dei posti letti esistenti. L'onorevole Bassi
Montanari ritenne prioritario procedere alle ristrutturazioni, anziché alle costruzioni, nelle
regioni con la più alta incidenza di casi di aids78. Sapio (Pci) della Commissione Ambiente
stimò che i criteri di urgenza a cui erano ispirati i provvedimenti in esame contrastassero
con la tipologia degli interventi di edificazione, in quanto richiedevano un tempo lungo per
le costruzioni.79
In terzo luogo, si criticò lo stravolgimento delle procedure concorsuali per l'assunzione del
personale sanitario necessario a coprire i nuovi posti letto. L'onorevole Bernasconi (Pci) si
oppose all'assunzione di procedure di urgenza in quanto ritenne non esistesse solo
l'emergenza aids, ma esistessero anche altri fenomeni che a livello sanitario avrebbero
potuto richiedere provvedimenti urgenti, creando in tal modo ulteriore sconcerto e
anomalie. Espresse la contrarietà del suo gruppo all'accentramento regionale dei concorsi
73
Senato della Repubblica , X leg. , Seduta del 10 Maggio 1990, n. 105 (Antimeridiana) della XII
Commissione Igiene e Sanità, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90:
Lotta contro l'Aids n .142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 126.
74
Senato della Repubblica , X leg. , Seduta del 19 Aprile 1990, n. 104 della XII Commissione Igiene e
Sanità, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n .135/90: Lotta contro l'Aids n. 142,
XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 151.
75
Camera dei Deputati, X leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 1 Marzo 1990, p. 9.
76
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 18 gennaio 1990 della XII Commissione Permanente (Affari
Sociali) in sede referente, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta
contro l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 59.
77
Senato della Repubblica , X leg. , Seduta del 10 Maggio 1990, n. 105 (Antimeridiana) della XII
Commissione Igiene e Sanità, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90:
Lotta contro l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 123-124.
78
Camera dei Deputati, X leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 1 Marzo 1990, p. 14.
79
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 30 Novembre 1989 della VIII Commissione Ambiente, in
Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro l'Aids n .142, XI
Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 22.
81
per i tempi lunghi di espletamento e giudicò migliore la scelta delle Usl come responsabili
dei concorsi.80
Altre proposte riguardarono la necessità di apportare misure di controllo sull'operato dei
concessionari. Alcuni deputati espressero dubbi sulla necessità di istituire un Comitato
Interministeriale, reputandolo un inutile doppione dell'attività della Commissione
Nazionale Aids.
Alle perplessità espresse dai gruppi della Sinistra il ministro De Lorenzo replicò
puntualmente. Ricordò innanzitutto che il disegno di legge non era esaustivo dei
provvedimenti del governo: vi erano anche i provvedimenti indicati nel Programma n. 6, di
cui il disegno di legge rappresentava una parte.81
Ritenne che le lamentele rispetto alla mancanza di un'azione preventiva non avessero
tenuto in conto le misure previste nell'azione programmatica, le quali avevano già una
copertura finanziaria82. Indicò gli stanziamenti nella somma di 191 miliardi: - 10 miliardi
per il potenziamento dei laboratori di analisi; - 10 miliardi al controllo del sangue; - 20
miliardi ai servizi di assistenza ai tossicodipendenti; - 80 miliardi all'adeguamento degli
standard del personale dei reparti di malattie infettive; - 8 miliardi per i contributi alle
associazioni di volontariato; - 8 miliardi per corsi di formazione in ambito locale83.
Sottolineò che il CIPE aveva già ripartito 47 miliardi per l'azione programmata e non
riteneva necessario, come era stato indicato da alcuni emendamenti dell'opposizione,
indicare nel disegno di legge interventi di carattere legislativo per quelle parti che erano già
previste nell'azione programmatica.84 Ribadì che il disegno di legge conteneva misure
importanti dal punto di vista preventivo come il potenziamento dei servizi di assistenza ai
tossicodipendenti, il potenziamento dei servizi multizonali per le malattie a trasmissione
sessuale e il potenziamento dei ruoli del personale dell'Istituto superiore di Sanità.85
80
Camera dei Deputati, X leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 14 Marzo 1990, p. 17
Sulla stessa linea dell'onorevole Bernasconi furono i rilievi del deputato Pellegatti (Pci) sul fatto che si
invocasse l'urgenza per stravolgere le regole in materia di assunzione di personale.
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 24 Gennaio 1990 della XI Commissione Lavoro, in
Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro l'Aids n. 142, XI
Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 39.
81
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 18 gennaio 1990 della XII Commissione Permanente (Affari
Sociali), in sede referente, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta
contro l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 60.
82
Senato della Repubblica , Seduta del 10 Maggio 1990, n. 105 (Antimeridiana) della XII Commissione
Igiene e Sanità, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro l'Aids
n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 128.
83
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 18 gennaio 1990 della XII Commissione Permanente (Affari
Sociali), in sede referente in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta
contro l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 61.
84
Camera dei Deputati, X leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 1 Marzo 1990, p. 9.
85
Senato della Repubblica , Seduta del 10 Maggio 1990, n. 105 (Antimeridiana) della XII Commissione
Igiene e Sanità, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro
l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 129.
82
Per il fabbisogno indicato di 15 mila posti letto indicò che esso non era vincolante, in
quanto si prevedeva una graduale realizzazione delle opere in base alle indicazioni fornite
periodicamente dalla Commissione Nazionale Aids sentita la Conferenza Permanente per i
rapporti tra lo Stato e le Regioni ed il Consiglio sanitario nazionale. Per cui in caso si fosse
ritenuto necessario una modifica delle previsioni, in quanto ritenute eccessive, si sarebbe
potuto modificarle con una risoluzione da parte della Commissione Sanità del Senato86.
Ritenne impossibile per lo Stato procedere direttamente alla costruzione di residenze
protette per l'impossibilità di gestirle: meglio, a suo parere, stipulare convenzioni con
comunità terapeutiche e potenziare le strutture di day hospital.87 Reputò vi fosse un
equivoco di fondo sugli interventi per i posti letto in quanto, essi, come l'adeguamento
degli organici, potevano essere realizzati anche in reparti di immunologia clinica,
ostetricia, neonatologia e pediatria. Non vi era nessuna volontà di “ghettizzazione” del
malato di aids, ma si tendeva semplicemente a seguire il parere tecnico-scientifico
suggerito dalla Commissione Nazionale Aids di preferenza verso le divisioni infettive88. A
tal proposito accolse di inserire nella risoluzione di accompagnamento al Programma n. 6
che, qualora fosse utile al cittadino con infezione da hiv, egli potesse essere ricoverato
anche presso servizi e reparti diversi da quelli infettivi, purché fossero adeguatamente
attrezzati.89Giudicò il disegno di legge innovativo, soprattutto per l'inserimento
dell'assistenza domiciliare.90
Sottolineò la necessità di strumenti centralizzati di intervento al fine di garantire la
tempestività nel rispetto di norme trasparenti91 e palesò l'irremovibilità del governo da tale
scelta.92 Ritenne il disegno di legge non muoversi a detrimento delle competenze regionali:
infatti, alle regioni era demandata l'attivazione e il carico dell'assistenza domiciliare93. Ma
sostenne la necessità di mantenere la programmazione degli interventi all'interno del
Consiglio Sanitario nazionale, in quanto la programmazione regionale avrebbe impedito di
86
Ivi, p. 128.
Ivi, p. 129.
88
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 18 gennaio 1990 della XII Commissione Permanente (Affari
Sociali), in sede referente, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta
contro l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 61.
89
Senato della Repubblica , Seduta del 16 Maggio 1990, n. 107 (Antimeridiana) della XII Commissione
Igiene e Sanità, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro
l'Aids n .142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 159.
90
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 18 gennaio 1990 della XII Commissione Permanente (Affari
Sociali), in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro l'Aids n. 142,
XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 61.
91
Senato della Repubblica , Seduta del 10 Maggio 1990, n. 105 (Antimeridiana) della XII Commissione
Igiene e Sanità, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro
l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 129.
92
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 18 gennaio 1990 della XII Commissione Permanente (Affari
Sociali), in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro l'Aids n. 142,
XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 62.
93
Camera dei Deputati, X Leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 14 Marzo 1990, p. 4.
87
83
operare con l'urgenza richiesta dalla situazione.94 Giudicò essere le Regioni le vere
protagoniste del processo di applicazione della legge: l'organo deliberante non sarebbe
stato il ministero della Sanità, bensì il Consiglio sanitario nazionale, dove le regioni
sarebbero state rappresentate vista la presenza di tutti gli assessori regionali della sanità.95
Evidenziando l'esigenza fondamentale del reclutamento del personale sanitario ribadì che
le norme inserite nel disegno di legge non volevano lo stravolgimento delle procedure
concorsuale, ma miravano essenzialmente ad accelerare i concorsi, semplificandone le
procedure. Inoltre indicò che la legge in esame aveva effetti importanti nell'ambito dei
rapporti concernenti il personale infermieristico, proprio in un momento in cui stavano
giungendo massicce domande di dimissioni dai reparti di malattie infettive96.
Prima di esprimere il voto finale sul disegno di legge, sia la Commissione Igiene e Sanità
sia la Commissione Affari Sociali votarono una risoluzione comune. In essa, visto che: «il
programma di lotta all'aids prevede l'attuazione di iniziative di prevenzione, di
informazione e formazione, rispetto alle quali il provvedimento legislativo predisposto per
la lotta all'aids appare non esaustivo»97, si riteneva di dover integrare l'azione programmata
con alcuni interventi. In particolare sottolineiamo: 1) la necessità di procedere nella
prevenzione nell'area della tossicodipendenza attuando anche forme sperimentali quali le
“unità di strada”; 2) l'esigenza di integrare la composizione della Commissione Nazionale
Aids con rappresentanti delle Regioni e delle Province autonome, con epidemiologi,
esperti dell'informazione e rappresentanti del volontariato; 3) la richiesta che la
Commissione Nazione Aids, oltre a quella di organo consultivo del Ministero della Sanità,
svolgesse, ove richiesto, funzione di collaborazione con le Regioni e le Province
autonome; 4) l'esigenza di attivare nell'area metropolitana forme di assistenza per soggetti
emarginati alternative al ricovero ospedaliero, coinvolgendo anche il privato sociale; 5)
l'obbligo di ricercare le modalità per garantire la massima efficienza ed efficacia negli
interventi di ristrutturazione e costruzione al fine del miglioramento complessivo della
qualità dei servizi, anche al di fuori dell'ambito dell'aids.98
Nel testo definitivo del disegno di legge, licenziato dalle Commissioni, furono inseriti
alcuni articoli e accettate alcune proposte dell'opposizione. In particolare, come vedremo
94
Camera dei Deputati, X Leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 1 Marzo 1990, p. 13.
95
Senato della Repubblica, Seduta del 16 Maggio 1990, n. 107 (Antimeridiana) della XII Commissione
Igiene e Sanità, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro
l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 136.
96
Camera dei Deputati, X leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 22 Marzo 1990, p. 3.
97
Senato della Repubblica , Seduta del 16 Maggio 1990, n. 107 (Antimeridiana) della XII Commissione
Igiene e Sanità, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro
l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 154. , risoluzione n. 700003
98
Ivi, p. 154-158., risoluzione n. 7-00003
84
più avanti, furono inseriti gli articoli 5 (che nel comma 1 contiene l'obbligo per il sanitario
di prestare assistenza alla persona sieropositiva) e 6 sugli accertamenti sierologici.
Innanzitutto nel testo di legge fu inserita la priorità per le ristrutturazioni (in accoglimento
delle richieste dell'opposizione) e stabilita la graduale realizzazione delle nuove costruzioni
secondo le indicazioni periodicamente fornite dalla Commissione Nazionale Aids sentita la
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome e il
Consiglio sanitario nazionale, in relazione alle previsioni epidemiologiche ed
assistenziali99. Si stabilì in 80 miliardi lo stanziamento per l'assunzione del personale
sanitario per il 1990.100 Si definirono più chiaramente i modi attraverso cui potenziare i
servizi per le tossicodipendenze e si stanziarono 20 miliardi per il 1990 e 38 miliardi a
regime101. Si chiarirono i modi per potenziare l'Istituto superiore di sanità102. Si stabilì che
gli interventi potevano anche riguardare reparti, non specificatamente infettivi, che erano
impegnati nell'assistenza ai malati di aids103. Si stabilirono i tempi di attivazione per le
ristrutturazioni: in particolare entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge le
Regioni e Province autonome avrebbero dovuto indicare la distribuzione e localizzazione
degli interventi al ministro della Sanità. In caso di mancata osservanza del termine la
decisione sarebbe spettata al ministro della Sanità sentita d'urgenza la Commissione
Nazionale Aids104. Ancora: si stabilì che entro 60 giorni il CIPE avrebbe dovuto approvare
il programma degli interventi (suddiviso per localizzazioni e indicando le dimensioni delle
strutture da realizzare) e con la stessa deliberazione individuare i concessionari. La
convenzione con i concessionari sarebbe stata stipulata dal ministro della Sanità sentito il
ministro dei Lavori Pubblici105.
Furono meglio definiti gli obblighi del concessionario e le penalità in cui poteva incorrere,
nonché la composizione dei nuclei di valutazione106.
Per l'assunzione del personale e per la formazione si stabilì un peso maggiore delle Usl
come veniva dalla proposta del governo107. Venendo incontro alle richieste dei medici e
degli infermieri si inserì un articolo che prevedeva l'emanazione di un decreto del
Ministero della Sanità recante norme di protezione dal contagio professionale da hiv nelle
strutture sanitarie ed assistenziali, pubbliche e private108. Su richiesta della Commissione
Ambiente109 fu inserito anche il ministro dei Lavori Pubblici nella composizione del
99
Comma 1b art. 1 legge 135/90 del 5 giugno 1990 “Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la
lotta contro l'Aids”, vedere allegato n. 1
100
Comma 1c art. 1 legge 135/90
101
Comma 1e art. 1 legge 135/90
102
Comma 1g art. 1 legge 135/90
103
Comma 4 art. 1 legge 135/90
104
Comma 2 art. 2 legge 135/90
105
Comma 3 art 2 legge 135/90
106
Comma 4, 5, 6, 7 art 2 legge 135/90
107
Comma 3, 4, 5 art. 4 legge 135/90
108
art. 7 (Protezione dal contagio professionale) legge 135/90
109
Camera dei Deputati, X leg. , Seduta del 8 febbraio 1990 della VIII Commissione Ambiente, in
Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro l'Aids n. 142, XI
Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 37-38.
85
Comitato Interministeriale110 e si stabilì l'obbligo di una relazione annuale del governo in
sede parlamentare sullo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteggiare
l'infezione111. Si fissò il termine di 60 giorni entro cui le Regioni avrebbero dovuto
predisporre i programmi per l'assunzione del personale, i corsi di formazione, il
potenziamento dei servizi per l'assistenza ai tossicodipendenti e dei servizi multizonali per
malattie infettive. In caso di decorso del termine senza presentazione del programma il
ministro della Sanità avrebbe proceduto alla nomina di commissari.112 Su richiesta
dell'opposizione si istituirono i centri regionali di riferimento col compito di coordinare
l'attività dei servizi e delle strutture interessate alla lotta contro l'aids113.
Nel voto finale in Commissione Affari Sociali e Igiene Sanità del Senato i gruppi della
Sinistra votarono contro il disegno di legge (tranne per gli articoli 5 e 6). Il capo gruppo del
Pci, Bernasconi, dichiarò il voto contrario del suo gruppo in quanto, pur essendo stati
accolti alcuni emendamenti dell'opposizione, riteneva l'impianto del provvedimento
insoddisfacente, in particolare a causa dello stravolgimento delle norme concorsuali114. Il
senatore Berlinguer, motivando il voto contrario del suo gruppo, ritenne che non vi fosse
nessuna assicurazione nel testo contro il pericolo di gigantismo ospedaliero, come a suo
parere si andava profilando la strategia governativa, e nessuna garanzia contro le anomalie
e i possibili arbitrii relativi alle procedure e per la stipulazione dei contratti di appalto. In
più ritenne che il provvedimento privilegiasse la categoria degli infettivologi a detrimento
di altre categorie professionali115
Il provvedimento fu approvato a maggioranza e licenziato alla Camera il 5 giugno 1990
divenendo la legge 135.
La legge, nonostante la contrarietà della Sinistra, fu accolta con entusiasmo dalle
associazioni di volontariato: finalmente dopo 8 anni dal primo caso di aids si aveva a
disposizione un programma organico per supplire alle carenze e deficienze dell'assistenza
ospedaliera italiana. Alcune perplessità rimanevano per il ruolo che effettivamente il
volontariato avrebbe potuto svolgere sia nella cura sia nella prevenzione all'aids.
Fu salutata dal corpo medico e infermieristico con grosso entusiasmo: soprattutto per la
volontà di porre termine alle carenze strutturali della sanità italiana e di personale.
110
Comma 1 art 8 legge 135/90
Comma 3 art 8 legge 135/90
112
Comma 1 art 9 legge 135/90
113
Comma 2 art 9 legge 135/90
114
Camera dei Deputati, X leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 29 Marzo 1990, p. 6-7.
115
Senato della Repubblica , Seduta del 16 Maggio 1990, n. 107 (Antimeridiana) della XII Commissione
Igiene e Sanità, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro
l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio studi, p. 140.
111
86
Da alcuni operatori sanitari si palesarono, però, perplessità per la gestione ospedaliera
dell'epidemia e si ritenne solo accennato e poco approfondito il ruolo della prevenzione.
Ricordarono anche le difficoltà nel reperimento di personale specializzato.116
6.5
L'attuazione della legge 135
Nell'agosto del 1990 il Cipe stabilì che i progetti presentati portavano ad un totale di 6900
il numero dei posti da ristrutturare o costruire ex novo117.
Nei mesi che seguirono si diede avvio ai decreti attuativi della legge 135 e alle
deliberazioni del CIPE per i finanziamenti118.
Nel gennaio del 1991 la Corte Costituzionale si pronunciò sui ricorsi di illegittimità
costituzionale degli art. 1, 2, 3, 4 e 9 della legge 135/90 avanzati dalle province autonome
di Trento e Bolzano e della Regione Lombardia nel luglio del 1990. Si palesavano, in tal
modo, le tensioni tra il centro e le regioni sulla programmazione degli interventi che in
qualche misura si erano presentate durante il dibattito parlamentare di approvazione della
legge. Senza entrare nello specifico delle lamentele di incostituzionalità, le Province e la
Regione ritenevano che la legge 135/90 avesse accentrato funzioni di competenza
regionale e provinciale, attraverso interventi straordinari e derogatori, in mano a ministeri e
116
La legge De Lorenzo, di G. Codini, in «Vivereoggi, Mensile per una nuova cultura dell'assistenza» n. 7,
ottobre 1990, p. 20-24.
117
Deliberazione CIPE 3 agosto 1990 Approvazione del programma nazionale per gli interventi di edilizia
ospedaliera previsti dalla legge 5 giugno 1990, n. 135, e individuazione delle società concessionarie
incaricate della realizzazione del programma di cui all'articolo 1 della medesima legge, in «Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana», n. 213, 12 settembre 1990.
118
Indichiamo qui di seguito i decreti di attuazione della legge 135/90:
-D. M 28/9/90 “Norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed
assistenziali pubbliche”.
-D. M 27/10/90 “Modalità e procedure degli interventi per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS previsti
dalla legge 5 giugno 1990, n. 135”.
-D. M 30/10/90 “Disciplina dei corsi di formazione e di aggiornamento professionale per il personale dei
reparti di ricovero di malattie infettive”.
-D. M 14/12/90 “Approvazione del programma di interventi urgenti per la lotta contro l'AIDS”.
-D. M 1/2/91 “Rideterminazione delle forme morbose che danno diritto all'esenzione della spesa
sanitaria”.
-D. M 31/7/91 “Modificazioni al programma di interventi urgenti per la lotta all'AIDS”.
-D. M 13/9/91 “Approvazione degli schemi-tipo di convenzione per la disciplina dei rapporti inerenti al
trattamento a domicilio dei soggetti affetti da Aids e patologie correlate”.
-D. P. R 14/9/91 “Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per l'attivazione dei servizi di trattamento
a domicilio dei soggetti affetti da AIDS e patologie correlate”.
-7/11/91 “Atto di intesa tra Stato e regioni per la definizione di indirizzi ai fini di una organica distribuzione
dei compiti tra le strutture ospedaliere e i servizi territoriali nelle attività di prevenzione e assistenza delle
infezioni da HIV”.
-D. L 2/10/93 “Disposizioni in materia di edilizia sanitaria” .
Per una panoramica di tali decreti e delle deliberazioni del CIPE rinviamo a Dossier sullo stato di attuazione
delle leggi, Lotta contro l'AIDS (Legge 5/6/90, n. 135), n. 10, XI Legislatura, ottobre 1993, Camera dei
deputati, Servizio Studi, p. 85-180.
87
organi centrali. L'Avvocatura di Stato difese la legge sostenendo che gli interventi non
escludevano le competenze delle province e delle regioni e che le esigenze di urgenza,
organicità, uniformità giustificavano l'ingerenza dello Stato. La Corte Costituzionale
ritenne che la legge 135/90 si presentasse come una «prima risposta seria e non
frammentaria all'eccezionale situazione di emergenza sociale» determinata dall'aids. Per
cui inseguendo la legge «un interesse non frazionabile, ma concernente l'intera collettività
nazionale» risultavano compromissibili da parte della legge «ogni tipo di competenza
regionale o provinciale». Furono dichiarati incostituzionali unicamente il comma 2 dell'art.
2 in cui non si prevedeva che il ministro della Sanità sentisse preventivamente le regioni e
le province prima di sostituirsi ad esse nella compilazione dei programmi regionali; il
comma 4, art. 3, per gli stessi motivi del precedente: dove non si stabiliva di sentire
preventivamente le regioni e province interessate; comma 1, art. 9 nelle parti in cui,
nuovamente, non si stabiliva di sentire preventivamente le regioni e le province interessate
e nella parte in cui affidava a commissari nominati dal ministro gli atti sostitutivi previsti
nell'articolo.119
Mentre a Firenze dal palco della VII Conferenza Internazionale sull'aids, De Lorenzo
rassicurava la platea internazionale sulla serietà con cui era condotta la lotta all’aids in
Italia: era uno dei pochi paesi ad avere affrontato questa emergenza con una legge dello
Stato e i ministri della sanità della Cee avevano ritenuto il provvedimento italiano un
modello da imitare120, le associazioni di volontariato esprimevano forti lamentele. Scrive
Amalia Angotti:
Una critica trova pienamente d'accordo volontari laici e religiosi,
omosessuali e operatori di comunità per il recupero dei tossicodipendenti: di
fronte ad un male prorompente quale è l'Aids, le strutture pubbliche
continuano ad essere inadeguate, le istituzioni sono spesso “latitanti” e i soldi
vengono stanziati quasi unicamente per la ricerca e la creazione di nuovi
posti letto in ospedale. La conseguenza è che il vuoto nel campo
dell'assistenza sociale è ancora enorme e che quasi tutto è delegato di fatto ad
iniziative private121.
Alla enfatizzazione della legge da parte di De Lorenzo facevano da contraltare le
dichiarazioni di Elio Guzzanti, vice-presidente della Commissione Nazionale Aids, che
tracciavano un quadro più realistico sulla genesi e natura della legge 135/90. Infatti,
119
Sentenza 17-31 gennaio 1991-n.37 della Corte Costituzionale, in «Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana», n. 6, 6 febbraio 1991.
Per una panoramica sull'argomento rinviamo a Dossier sullo stato di attuazione delle leggi, Lotta contro
l'AIDS (Legge 5/6/90, n. 135), n. 10, XI Legislatura cit., p. 5-6.
120
Il Ministro De Lorenzo e la Conferenza Internazionale Firenze, di M. Lomonaco, in « Dossier Aids 91»,
agenzia Ansa, Anno 47, giugno 1991, p. 3.
121
Volontariato: non si arresta l'impegno, di A. Angotti, in « Dossier Aids 91» cit., p. 39.
88
giustificando tale provvedimento agli occhi degli osservatori internazionali, dal palco della
Conferenza affermò:
(può apparire) un caso particolare perchè ci si può domandare come mai
provvedimenti in qualche modo eccezionali, siano stati presi da un paese che è
tra i primi sei industrializzati nel mondo. La verità è che noi ci siamo trovati in
un momento di particolare debolezza dei nostri servizi sanitari con una
situazione ospedaliera degradata e che purtroppo non è stata in grado di
affrontare con i mezzi ordinari una situazione straordinaria. Altrimenti non si
comprenderebbe, specie da parte degli osservatori stranieri, perchè si è dovuto
provvedere ad una grande opera di riorganizzazione degli ospedali o di una
parte di essi. Se altrove questo è stato fatto per motivi di carattere generale, da
noi la spinta è stato l'esplodere dell'aids. In Italia, come altrove, la malattia ha
messo a nudo le pecche dei servizi sanitari, di quelli sociali e anche della
società nel suo insieme. 122
Un severo giudizio sull'attuazione della legge 135/90 venne dalla Corte dei Conti
nell'agosto del 1991. Pur riconoscendo un'intensa attività amministrativa per l'attuazione
della legge e del progetto obiettivo, nella sua relazione la Corte criticava la mancanza di
trasparenza e di funzionalità nell'aver collocato i finanziamenti in due capitoli di spesa
differenti (uno in capo al ministero e uno in capo all'Istituto Superiore di Sanità); si
esprimevano dubbi sulla programmazione e concreta utilizzazione delle risorse,
richiedendo una maggiore chiarezza sugli stanziamenti effettuati; si riteneva non definito il
ruolo del Comitato Interministeriale e non netta la sua separazione dalla Commissione
Nazionale Aids; rilevò che era in corso un'indagine istruttoria sugli 8 miliardi stanziati a
quattro comunità terapeutiche (Ceis di Roma, Gruppo Abele di Torino, Cooperativa
S.Patrignano, Comunità Incontro di Roma).123
Forti perplessità sulla conduzione degli interventi di ristrutturazione e costruzione dei posti
letto furono espresse da un’ulteriore relazione della Corte dei Conti nel 1992 in cui si
evidenziò che non risultavano impegnati gli stanziamenti previsti per il 92124.
Alla fine del 1992 la rivista «Aspe» del Gruppo Abele condusse un'inchiesta sull'attuazione
degli interventi: il quadro che ne emergeva era preoccupante. In Sicilia e in Campania gli
interventi in materia di costruzione edilizia e di assunzione di personale erano bloccati per
lentezze burocratiche125. Sempre in Campania emergevano difficoltà di convenzioni con le
associazioni di volontariato per l'assistenza extra-ospedaliera. La Lombardia stava vivendo
122
Commissione Aids: l'attività, di M. Lomonaco, in « Dossier Aids 91» cit., p. 31.
“Contro l'incubo aids il ministero sbaglia”, di M. Patucchi, in «La Repubblica», 14 agosto 1991.
124
Decisione e Relazione della corte dei conti sul rendiconto generale dello stato per l'esercizio finanziario
dello 1992, volume II, bozza di stampa, in Dossier sullo stato di attuazione delle leggi, Lotta contro l'AIDS
(Legge 5/6/90, n. 135), n. 10, XI Legislatura cit., p. 29-34.
125
135: in Sicilia nessun passo avanti, in «Aspe», n. 20, 20 novembre 1992.
Napoli: Senza letti e senza infermieri, in «Aspe», n. 20, 20 novembre 1992.
123
89
una forte emergenza per la mancanza di posti letto e di infermieri: non erano stati approvati
progetti esecutivi sia per le lungaggini burocratiche nel passaggio dallo stato alle regioni
sia per difficoltà di attuazione a livello locale126. Nel Lazio gli interventi erano bloccati a
causa di indagini su tangenti127. In Piemonte, la responsabile regionale per la lotta all'aids,
Anna Mirone, riteneva che la mancata costruzione di posti letto fosse da imputare alla
programmazione centralizzata. Affermava:
Lo spazio lasciato alla programmazione regionale è minimo.(..) A fronte della
nostra tempestività, i lavori di ristrutturazione non sono ancora iniziati perchè
progettazione e appalti, tutto viene stabilito a Roma.128
Da Roma invece Greco, Direttore del Coa, e Guzzanti, vice-Presidente della Commissione
Nazionale Aids controbattevano che i ritardi erano dovuti in principal modo alla scarsa
celerità della programmazione regionale129.
Il direttore dell'Osservatorio epidemiologico del Lazio, Carlo Perucci, intervistato
nell'inchiesta, riteneva che i posti letto fossero stati gonfiati in base a delle previsioni
palesemente errate. Diceva al riguardo:
A mio avviso, per ottenere finanziamenti si sono gonfiate le cifre con l'aiuto di
tecnici consenzienti. Addirittura le previsioni davano per la fine dell’92 in
Italia 250 mila casi di AIDS, cifra che non si è raggiunta né si raggiungerà
mai.130
Sempre Guzzanti e Greco rispondevano alle accuse di Perucci indicando che errori di
sovrastima erano stati comuni anche in altri paesi, ed erano dovuti ad errori metodologici e
non a cattiva fede.131
Al 31 dicembre 1992 al governo (Amato) in sede di Conferenza Stato- Regioni fu chiaro
che nessun intervento di posto letto nei reparti di malattie infettive era stato attivato.
All'inizio del 1993 la Lila e il Gruppo Abele presentarono un esposto alla Magistratura di
Milano e Roma perchè si definissero le responsabilità per i mancati interventi e se fossero
state pagate delle tangenti.132
Nel Dossier sullo stato di attuazione delle leggi di attivazione della legge 135/90 preparato
dal Centro Studi della Camera per l'ottobre del 1993 risultarono attivati sicuramente, alla
fine del 1992, soltanto parte dei posti di assistenza extraospedaliera: 219 presso il
126
In Lombardia ancora tutto da fare: mancano letti, infermieri e formazione, in «Aspe», n. 20, 20 novembre
1992.
127
Nel Lazio le tangenti bloccano i nuovi posti letto, in «Aspe», n. 20, 20 novembre 1992.
128
Il Piemonte delibera, ma tutto si ferma a Roma, in «Aspe», n. 20, 20 novembre 1992.
129
Conflitto Stato-Regioni:mancano i posti letto , in «Aspe», n. 20, 20 novembre 1992.
130
Stime e proiezioni: i conti non tornano, in «Aspe», n. 20, 20 novembre 1992.
131
Stime e proiezioni: i conti non tornano, in «Aspe», n. 20, 20 novembre 1992.
132
V. Agnoletto, La società dell'Aids cit., p. 289.
90
domicilio del paziente, 214 in residenze collettive. Le Regioni preannunciavano
l'attivazione di 920 posti di assistenza domiciliare e 151 in residenze collettive: ma a
livello centrale si manifestavano dubbi per questa cifra.133 Dal Dossier risultavano altresì
stanziati e ripartiti dal CIPE alle Regioni i finanziamenti per il triennio 1990-91 per
assunzione di personale, corsi di aggiornamento e formazione, potenziamento servizi
assistenza tossicodipendenti.
Ma cosa era successo? Perchè alla data di scadenza degli interventi i posti letto non erano
attivi? I finanziamenti stanziati per gli altri interventi significavano una loro reale
espletazione? Come si era proceduto negli interventi?
Perchè si avesse in qualche modo un chiarimento a livello parlamentare, dopo i burrascosi
anni di Tangentopoli, bisognò aspettare fino all'interpellanza del dicembre 1995134 del
senatore Libero Gualtieri (Sin. Democratica) alla Commissione Igiene e Sanità. In
soccorso, per capire la realtà dei fatti, ci vengono anche un'ulteriore relazione compiuta
sempre da Gualtieri di fronte alla Commissione parlamentare di inchiesta sulle strutture
sanitarie del Senato nel febbraio 1996135 e soprattutto la prima Relazione in Parlamento ad
opera del ministro della Sanità Guzzanti136. Specifichiamo che quest'ultima fu presentata
solo alla fine del 1995, nonostante la legge 135/90 avesse chiaramente stabilito l'obbligo
del governo di relazionare annualmente al Parlamento lo stato di attuazione degli
interventi.
Nella sua interpellanza e nella relazione il senatore Gualtieri ricostruiva l'iter di attuazione
degli interventi. Indicò che il “programma urgente” aveva messo a disposizione 2.761
miliardi di lire137 e che nonostante le procedure per l'implementazione degli interventi
fossero state abbreviate e accelerate, nessuno degli oltre 7.000138 posti-letto ultra-
133
Nel dossier si parla chiaramente di « fallimento del piano relativo alla costruzione e ristrutturazione dei
reparti ospedalieri per malattie infettive».
Dossier sullo stato di attuazione delle leggi, Lotta contro l'AIDS (Legge 5/6/90, n. 135), n. 10, XI
Legislatura cit., p. 3-4.
134
Senato della Repubblica, XII Legislatura, Atti Parlamentari, XII Commissione Permanente (Igiene e
Sanità), Seduta del 25 maggio 1995, Resoconti stenografici delle sedute della 12° Commissione Permanente,
Volume unico, Tipografia del Senato, Roma 1996, p. 2-19.
135
“Relazione sull'applicazione della Legge 5 giugno 1990 n. 135 relativa al programma di interventi
urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS”, presso la Commissione Parlamentare di inchiesta sulle
strutture sanitarie del Senato, del 15 febbraio 1996. Ampi stralci di essa sono riportati da Agnoletto nella
sua opera.
V. Agnoletto, La società dell'Aids cit., p. 288-295.
136
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit.,
137
Dice Gualtieri : « Una cifra che il Ministro della Sanità, onorevole Costa, ha definito nella sua audizione
al Senato del 24 marzo 1993 “generosa”».
Senato della Repubblica, XII Legislatura, Atti Parlamentari, XII Commissione Permanente (Igiene e Sanità),
Seduta del 25 maggio 1995 cit., p. 2.
138
Specifichiamo che i posti da ristrutturare e costruire erano in realtà 6900 come da delibera CIPE 3/8/90
“Approvazione del programma nazionale straordinario di investimenti nella sanità per il triennio 1989-91”
91
specialistici o degli altri interventi fosse stato realizzato139. A lui risultava che erano state
attuate solo quattro campagne di informazione, per una spesa di 140 miliardi e 468 milioni,
come previsto dal comma a) art. 1 della legge 135140.
Evidenziò come inizialmente il ministero della Sanità aveva avviato celermente le
procedure: sentito il Consiglio Sanitario Nazionale e i pareri delle Regioni, approvati dal
CIPE i programmi e individuate le società concessionarie, istituì le gare di appalto e prima
dei 60 giorni fissati dalla legge furono approvati sia i programmi sia le società
concessionarie. Commentò a tal proposito Gualtieri:
Con queste procedure veloci, da vero primato mondiale, il Ministero della
sanità anticipò di cinque giorni il termine (8 agosto 1990) fissato dalla legge.
Approvati i programmi e scelti i tre consorzi di impresa (CON.SOMI, FIS,
MED.IN.), l'obbiettivo di realizzare le strutture urgenti necessarie sembrava
raggiunto. Invece proprio da quel momento cominciarono a slittare tutti i
tempi141.
Da quel momento subentrò la lentezza della burocrazia italiana: i ministeri coinvolti
impiegarono mesi per compiere gli atti necessari di loro competenza142. Finalmente, con
notevole ritardo vista l'urgenza dei provvedimenti, alla data del 4 febbraio 1992 i progetti
esecutivi giudicati conformi dal ministero della Sanità furono pronti per l'attuazione. Però
specificò Gualtieri:
neanche questa volta ebbero termine i passaggi burocratici. A questo punto
entrarono in campo le regioni. 143
Iniziarono le Conferenze Regionali per la valutazione e l'autorizzazione dei progetti di
massima: alla data del 25 febbraio 1993, nonostante vari inviti del ministero della Sanità,
esse non si erano ancora concluse. Dei 95 progetti presentati, solo 57 risultavano approvati.
A chiusura dell'analisi dell'iter burocratico per gli interventi dei posti letto, Gualtieri
affermò:
così nell'aprile del 1993 non uno solo dei posti-letto previsti come operativi per
il 1992 è stato realizzato e prima di due anni, tanto infatti è il tempo perduto,
non è prevedibile che lo saranno. Questo, quanto meno, è quello che si ricava
139
Senato della Repubblica, XII Legislatura, Atti Parlamentari, XII Commissione Permanente (Igiene e
Sanità), Seduta del 25 maggio 1995 cit., p. 2-3.
140
Ivi, p. 3.
141
Ivi, p. 3-4.
142
Gualtieri evidenziò come il ministro del Bilancio impiegò 5 mesi per stipulare con decreto le convenzioni
di concessione; il ministro dei Lavori Pubblici , nonostante diversi solleciti del Ministero della Sanità, tre
mesi per esprimere parere favorevole sulle concessioni.
Ivi, p. 4.
143
Ibid..
92
dalle “comunicazioni ufficiali” dell'amministrazioni. Ma “altre comunicazioni”
dicono che le cose non sono rimaste ferme a causa del non completato iter
burocratico, che in molte parti si sono avviate iniziative edilizie su progetti non
autorizzati e non ancora approvati, che le società concessionarie avanzano
crediti e pretendono di essere pagate per lavori già svolti e che alcune regioni si
sono assunte la responsabilità di procedere al di fuori di ogni regola
programmatoria.144
Nell'interpellanza egli chiedeva al governo: 1) delucidazioni sulla composizione dei tre
consorzi, sui modi che avevano presieduto alla loro scelta e selezione, sugli interventi da
loro attuati a partire dal 1 agosto 1990 e sugli importi a loro erogati; 2) l'elenco degli
ospedali interessati alle ristrutturazioni e alle costruzioni; 3) gli importi impegnati; 4)
l'importo finanziario per acquisto di arredi e attrezzature; 5) il numero e la localizzazione
dei corsi di formazione professionale; 6) quali servizi per assistenza ai tossicodipendenti
fossero stati attivati; 7) quali servizi multizonali per le malattie infettive fossero stati
attivati; 8) le somme effettivamente impegnate e gli importi residuali.145
Nella sua risposta, il sottosegretario di Stato per la Sanità, Condorelli, specificava che i tre
consorzi erano stati scelti dal CIPE in base ad alcuni parametri: in particolare l'esperienza
in materia di concessione di servizi per l'appalto di opere nel settore ospedaliero. Il CIPE,
in base agli andamenti epidemiologici e alle indicazioni regionali delle strutture e
localizzazioni in cui intervenire aveva suddiviso gli interventi in tre grandi macro-aree
(corrispondenti all'incirca al Nord Ovest; Centro-Nord Est, il Sud Italia). A ciascuna di
queste aree era stato affidato un solo consorzio, in modo da garantire la non frazionabilità
degli interventi146. Senza entrare nei dettagli portati dal sottosegretario indichiamo che gli
impegni finanziari presuntivi dei progetti portati dai tre consorzi per la costruzione e
ristrutturazione dei posti letto in degenza e day hospital, per attrezzature e impianti, per il
potenziamento dei laboratori ammontavano a più di 890 miliardi di lire ed erano stati
pagati anticipi dal ministero della Sanità ai consorzi per circa 69 miliardi e 500 milioni. Le
regioni maggiormente interessate dai progetti erano state: la Lombardia, il Piemonte,
l'Emilia Romagna e la Toscana. Nei progetti figuravano anche interventi in reparti diversi
da quelli di malattie infettive147. Nel dicembre 1993 l'emanazione della legge 492 aveva
secondo Condorelli peggiorato la situazione in quanto ad essa era seguito un periodo di
incertezza da parte dei consorzi.148
Specifichiamo che la legge 492 era stata emanata con l'intento di accelerare i tempi di
attuazione degli interventi, attraverso la trasmissione delle competenze in materia edilizia
direttamente alle regioni e alle province autonome. Infatti, essa stabiliva che cessava
144
Ibid..
Ivi, p. 5.
146
Ivi, p. 5-7.
147
Ivi, p. 7-12.
148
Ivi, p. 19.
145
93
l'efficacia delle convenzioni stipulate dal ministero della Sanità con i consorzi per ricadere
sulle amministrazioni periferiche. Alle regioni e province autonome era lasciata la
possibilità di recidere i contratti con i concessionari, rifacendone di nuovi o di proseguire i
lavori con essi.
Scrive a tal proposito Agnoletto:
Per quasi un anno andò avanti un braccio di ferro tra le Regioni e lo Stato, in
quanto le prime non volevano assumersi la responsabilità di rompere con i
consorzi, forse per il timore di eventuali conseguenze legali (i consorzi
avrebbero potuto ricorrere contro la rottura unilaterale del contratto), forse per
ragioni meno comprensibili e meno confessabili.149
A seguito della legge 492 il ministero della Sanità erogava alle Regioni una somma di circa
325 miliardi e 468 milioni ( di cui circa 216 miliardi e 700 milioni per potenziamento o
istituzione di laboratori).150
All'invito del ministro della sanità nel marzo del 1995 di fornire indicazioni sullo stato di
attuazione degli interventi, rivelava Condorelli, avevano risposto solo 9 regioni e 1
provincia autonoma (Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia,
Lombardia, Liguria, Molise, Toscana, Veneto, e provincia di Trento).151 Esse indicavano
che alcuni progetti erano stati approvati, che altri erano in fase istruttoria e che altri ancora
sarebbero stati rimodulati in base alle nuove disposizioni del Progetto obiettivo Aids 199496. La sola provincia di Trento segnalò di aver provveduto all'acquisto delle attrezzature
per il potenziamento dei laboratori.152 Per le altre regioni i dati erano meno aggiornati e
comunque segnalavano un ritardo nell'iter degli interventi ancora maggiore rispetto alle
regioni che avevano risposto al ministro.153
Parimenti i dati sulle assunzioni di personale non risultavano aggiornati: da quelli
disponibili risultava al 1995 la copertura del 49,47% dei medici e del 31,20% degli
infermieri previsti dalla legge 135. Inoltre risultavano assunti 50 unità di personale tecnico
laureato non medico e 118 tecnici di laboratorio. Erano in atto concorsi per l'assunzione di
ulteriore personale. Alcune Usl avevano effettuato la chiamata diretta degli infermieri
nell'attesa dell'espletamento dei concorsi.154
Per l'assistenza domiciliare solo il 50% dei posti previsti risultava attuato (di cui 75% a
domicilio del paziente e il resto con convenzioni in case-alloggio o residenze collettive).
Anche scarso risultava il potenziamento dei servizi multizonali per malattie a trasmissione
sessuale. Per i corsi di aggiornamento professionale ( per cui nel 93 erano stati erogati alle
149
V. Agnoletto, La società dell'Aids cit., p. 292.
Senato della Repubblica, XII Legislatura, Atti Parlamentari, XII Commissione Permanente (Igiene e
Sanità), Seduta del 25 maggio 1995 cit., p. 13.
151
Ibid.
152
Ivi, p. 13-15.
153
Ivi, p. 15-16.
154
Ivi, p. 16.
150
94
regioni ulteriori 95 miliardi) non erano stati forniti dalle regioni dati che permettessero una
stima attendibile155.
Condorelli riferiva che il governo si era impegnato con la legge n. 100 del 1 aprile 1995 a
introdurre disposizioni per accelerare tutti i programmi di edilizia sanitaria.156
In chiusura della seduta Gualtieri si dichiarava insoddisfatto per la relazione presentata: era
palese la mancanza di conoscenza dello stato degli interventi. Il suo scontento riguardava
anche il fatto che si fossero finanziati reparti differenti da quelli indicati dalla legge 135.
Esprimeva il suo rammarico per la liberazione di carcerati, per effetto della legge di
incompatibilità tra aids e carcere157 (su cui ritorneremo nel prosieguo) senza che vi fossero
le strutture assistenziali idonee ad accoglierli e in tal modo contribuendo ai fenomeni di
microcriminalità che si erano verificati158.
Il giudizio di Gualtieri nella relazione di fronte alla Commissione parlamentare di
inchiesta fu altrettanto duro:
Quel che conta è lo spaventoso ritardo del programma e la quasi totale perdita
di controllo da parte del ministero di ciò che fanno (o non fanno) le Regioni.
Non esiste una relazione in cui, anno per anno, si possa leggere quali opere
sono state fatte e, accanto, gli importi pagati. Non esiste una relazione in cui si
veda quanti posti-letto per malattie infettive vi siano in Italia, dove siano, come
siano e da quanto e quale personale siano serviti (...) Conclusivamente: il
trasferimento delle competenze alle Regioni non lascia lo Stato “ irresponsabile
di quanto fanno le Regioni”. La programmazione, intesa come “giustizia
distributiva delle risorse “, rimane sua. Non si può lasciare che le Regioni più
pronte si impossessino di quote destinate ad altre meno pronte. Avremmo una
lotta contro l'AIDS fatta solo in poche parti del territorio159.
Nella sua Relazione il ministro della Sanità, Guzzanti, giustificava i ritardi imputandoli per
la prima fase agli adempimenti per la fattibilità degli interventi, alle proposte di varianti
rispetto al programma iniziale e alle difficoltà di funzionamento di alcune delle Conferenze
regionali160. Nella seconda fase, dopo la legge n. 492 del 1993, i ritardi si erano avuti per la
mancanza di una struttura organizzativa adeguata alle nuove responsabilità da parte di
155
Ivi, p. 17.
Ibid.
157
D. L 14/5/1993, n. 139 “Disposizioni urgenti relative al trattamento di persone detenute affette da
infezione da HIV e di tossicodipendenti”, in « Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana», n. 112, 15
maggio 1993.
158
Senato della Repubblica, XII Legislatura, Atti Parlamentari, XII Commissione Permanente (Igiene e
Sanità), Seduta del 25 maggio 1995 cit., p 18.
159
V. Agnoletto, La società dell'Aids cit., p. 294-295.
160
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 58.
156
95
alcune regioni e per i dubbi interpretativi sorti a riguardo delle procedure da osservare per
la prosecuzione del programma161.
Alla fine del settembre 1995 risultavano realizzati effettivamente circa 680 posti letto per
l'aids (una ben magra consolazione rispetto ai 6900 da attuare per il 1992): 301 con
finanziamenti diversi dagli stanziamenti della legge 135, 35 da finanziamenti della Regione
Lombardia, 340 (all'ospedale Spallanzani di Roma) dalla legge 135. Il Lazio e la
Lombardia erano le due regioni in cui erano stati portati a termine il maggior numero di
posti letto.162 Per le altre regioni la situazione appariva migliore rispetto a quella presentata
dal sottosegretario Condorelli: in molte si era raggiunta l'approvazione dei progetti di
massima. Purtroppo altre indicavano ancora che i progetti erano in esame per modifiche.163
Rispetto alla relazione di Condorelli appariva migliore anche la situazione delle assunzioni
di personale sanitario. I medici assunti risultavano 500 (quindi una copertura di circa il
65%), gli infermieri 1050 (una copertura di circa il 38%), e in 250 il personale con altre
qualifiche (laureato e non laureato). Anche nella relazione di Guzzanti mancavano i dati
del numero di personale assunto per chiamata diretta.164 Per le assunzioni nei reparti di
malattie infettive nel triennio 1990-1992 si erano stanziati 320 miliardi della parte del
Fondo Sanitario Nazionale vincolata per la legge 135. Le regioni che avevano avuto le
maggiori ripartizioni erano: la Sicilia (più di 43 miliardi), la Lombardia (quasi 40 miliardi),
il Lazio (circa 27 miliardi), la Puglia (circa 27 miliardi). Per le regioni del Nord era stato
ripartito circa il 40% degli stanziamenti, per il Sud ed isole circa il 46% e per il Centro il
19% (con la grande quota ripartita per il Lazio).165
Notizie confortanti giungevano dall'attuazione dei corsi di formazione ed aggiornamento:
essi erano stati compiuti in tutte le regioni ed ogni anno permettevano la formazione di
circa 1000 medici e di 1200 operatori sanitari166. Erano stati ripartiti nel quadriennio 199093 risorse per 140 miliardi. Altresì risultava attuato il potenziamento dei servizi di
assistenza per i tossicodipendenti, attraverso l'assunzione di personale, riordinati, dopo la
legge n. 162 del 1990, nei Ser.T 167. Risultavano ripartiti tra le regioni nel triennio 199092: 96 miliardi. La Lombardia aveva avuto il maggior stanziamento (circa 17 miliardi e
700 milioni), seguita dal Piemonte (11 miliardi e 700 milioni), dall'Emilia Romagna (circa
11 miliardi e 500 milioni), dal Lazio (circa 9 miliardi).
Anche l'Istituto Superiore di Sanità risultava potenziato con assunzioni di personale168.
161
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 59-60.
162
Ivi, p. 62-66.
163
Ivi, p. 62-64.
164
Ivi, p. 66-67.
165
Elaborazione personale dati delle tabelle allegate in Relazione sull'attuazione della legge concernente il
programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 536-539.
166
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 67.
167
Ivi, p. 68.
168
Ibid.
96
I posti di assistenza extra-ospedaliera attivati risultavano essere 867 sui 2100 previsti.169 Si
reputava che l'adeguamento delle mansioni degli infermieri fosse stato il motivo principale
del ritardo nella piena attuazione degli interventi di assistenza extra-ospedaliera170.
Nel quadriennio 1990-93 erano stati riparti fondi per il trattamento domiciliare per 200
miliardi. Al Nord era stato destinato il 62%, al Sud il 15%, e al Centro il 21%.
Ai consorzi erano stati assegnati un totale di circa 90 miliardi e restavano da assegnare
circa 32 miliardi per anticipi. 171
Nella relazione Guzzanti evidenziava che l'attenzione delle istituzioni verso il volontariato
era stata rilevante: tra il 1990 e il 1993 erano stati versati alle associazioni 32 miliardi per
attività di prevenzione e altri contributi erano giunti durante le 4 campagne informative del
ministero della Sanità172. Altri finanziamenti erano stati destinati alle regioni nel 1993 per
finanziare programmi di prevenzione in collaborazione con le associazioni di volontariato.
Nel 1994 nell'ambito del I° progetto di ricerca sugli aspetti etici, psico-sociali, giuridici,
comportamentali, assistenziali e della prevenzione, il ministero aveva finanziato 31
progetti di ricerca da parte delle associazioni.
Nel campo dell'assistenza erano state sovvenzionate alcune tra le maggiori comunità
terapeutiche per tossicodipendenti e gli interventi del mondo del volontariato per
l'assistenza extra-ospedaliera. In particolare i finanziamenti avevano riguardato la gestione
delle case alloggio: al 1 dicembre 1995 risultavano 378 posti attuati in 12 regioni
italiane.173 I maggiori finanziamenti alle associazioni di volontariato si erano avuti nel Nord
e nel Centro del paese.
Nella relazione erano riportate le conclusioni di un’indagine condotta dal Ministero della
Sanità nel 1992 sulle caratteristiche organizzative-funzionali delle Unità Operative di
Degenza (U.O.D).174Esse evidenziavano l'importante ruolo svolto nell'assistenza dei
pazienti con infezione da hiv degli ambulatori e dei posti di day hospital. Risultava che
alcune delle scelte organizzative non apparivano congrue rispetto all'impegno richiesto
dall'incremento delle necessità assistenziali dei malati di aids e ci si auspicava una
169
Nello specifico: La Lombardia era la regione con il maggior numero di posti di assistenza extraospedaliera previsti (707) e risultavano attivati quasi totalmente, soprattutto attraverso l'assistenza
domiciliare, ma forte era anche la componente nelle case alloggio (155 posti attivati); il Lazio era la seconda
regione con posti previsti (275) e risultavano tutti attivati (44 nelle case alloggio); seguivano L'Emilia
Romagna (204 previsti, 199 attivati di cui 40 in case alloggio), il Piemonte (150 previsti, 97 attivati di cui 37
in case alloggio), la Toscana (129 previsti, 53 attivati, di cui 8 in case alloggio).
Ivi, p. 69.
170
Ivi, p. 266.
171
Ivi, p. 60-61.
172
Ivi, p. 159.
173
Ivi, p. 160-161.
174
L'indagine ha censito circa il 73% (n. 108) delle Unità Operative di Degenza presenti nel 1992 sul
territorio italiano (n. 147). Sottolineamo che l''indagine è stata effettuata attraverso un questionario : a
nostro parere ciò è da tenere presente nella valutazione dei dati emersi. Sicuramente un'indagine ispettiva
avrebbe fornito una fotografia più reale delle condizioni operative degli ospedali.
Gli ospedali che avevano risposto al questionario avevano segnalato in totale 87,7% dei casi di Aids notificati
al 31/12/1991 al Coa.
Ivi, p. 245.
97
maggiore collaborazione tra l'ospedale e le strutture territoriali. Inoltre si faceva palese la
necessità di ricercare soluzioni per i bisogni non strettamente sanitari delle persone
sieropositive o malate. Si reputava che gli ospedali pubblici, nonostante avessero dovuto
confrontarsi con le tradizionali problematiche di natura gestionale e amministrativa,
fossero state in grado di impegnarsi per soddisfare le esigenze e le aspettative dei malati.175
L'innovazione nel campo dell'assistenza portata dai day hospital, specificava Guzzanti, era
stata il frutto dell'evento aids: il D.P.R del 30 ottobre 1992 (“Atto di indirizzo e
coordinamento alle Regioni per l'attivazione dei posti di assistenza a ciclo diurno negli
ospedali) riguardava tutti gli ospedali, ma era nato come decreto attuativo della legge 135.
Si legge nella relazione:
l'emergenza AIDS ha messo in moto una serie di iniziative che hanno finito per
avere una ricaduta positiva sul mondo della sanità in generale176.
Dopo questa estesa panoramica sulla situazione degli interventi della legge 135/90 non
possiamo esimerci dall'associarci al giudizio espresso dall'onorevole Gualtieri: la più totale
mancanza di regole programmatorie nello svolgimento dei lavori, sebbene la legge 135/90
fosse molto precisa sulle modalità di conduzione degli interventi e sulle scadenze.
Nonostante l'urgenza con cui già nell'iter di approvazione si era rincorso
l'ammodernamento e l'adeguamento dei reparti di malattie infettive, a 5 anni di distanza
dall'emanazione della legge mancavano i posti letto. A livello centrale, a dispetto della
presenza di un Comitato Interministeriale appositamente creato per vigilare ed essere
elemento propulsivo delle iniziative, non si aveva una conoscenza certa di come erano stati
impiegati i fondi. Sicuramente lo stallo politico e degli appalti createsi in seguito a
Tangentopoli aveva avuto una ricaduta nella celerità di conduzione degli interventi, ma in
realtà l'emergenza aids aveva portato, ancora una volta, alla luce le debolezze strutturali del
Paese Italia. Nata per supplire alle carenze strutturali del sistema ospedaliero era rimasta
irretita nelle lentezze burocratiche e nella mancata coordinazione programmatica. Infatti,
era mancato un coordinamento tra l'attività del centro e quello delle regioni: molte di esse
non avevano risposto agli appelli di chiarificazione del ministro, a livello centrale non si
sapeva come le Usl avessero portato a termine gli interventi di loro competenza (concorsi,
assunzione di personale), le somme stanziate erano rimaste inutilizzate, mentre le regioni si
dibattevano attorno alla fattibilità degli interventi. Alcune regioni, come si vede dal caso di
illegittimità presentato alla Corte Costituzionale, avevano dimostrato una sofferenza
rispetto alle decisioni prese a livello centrale, avvertendo una sorta di esautorazione del
loro potere.
In più si era creato proprio ciò che Gualtieri aveva fortemente evidenziato: alcune Regioni
più forti erano state in grado di meglio rispondere all'emergenza, utilizzando i fondi
175
176
Ivi, p. 245-258.
Ivi, p. 275.
98
disponibili (non a caso alcuni ospedali della Lombardia e del Lazio avevano alla fine del
1995 letti idonei).
Certo, alcuni elementi positivi vi erano stati: il personale sanitario era stato gradualmente
assunto (almeno per i reparti che esistevano), nel Nord e nel Centro i finanziamenti alle
case alloggio e alle comunità terapeutiche avevano permesso di supplire ai bisogni abitativi
di molti tossicodipendenti malati, in parte si erano potenziati i laboratori, la diffusione del
day hospital aveva permesso di ridurre i costi rispetto alla degenza ordinaria e di offrire un
clima più umano nel processo di cura, l'attività dei Ser.T aveva permesso un avvicinamento
programmatico al mondo della tossicodipendenza. Ma per quanto riguardava il punto
centrale della legge 135, l'adeguamento dei reparti di malattie infettive, al 1995 (anno in
cui si ebbe il maggior numero di nuovi casi di aids) si poteva dichiarare tranquillamente il
più totale fallimento. A un quadro di tale inefficienza andava sommata la brutta vicenda di
tangenti pagate per la costruzione di posti letto per i malati di aids, venuta alla luce durante
il processo a De Lorenzo nel 1995177. Ancora: altre polemiche, rispetto a quelle che
abbiamo già evidenziato, vi furono, una volta presentato il II° Progetto Obiettivo Aids,
attorno al fatto che le stime epidemiologiche effettuate da diverse istituzioni e da alcune
regioni fossero state gonfiate per ottenere un maggior finanziamento per posti letto178.
Nel 1994 fu redatto il II° Progetto Obiettivo Aids (1994-96): esso era un aggiornamento
della complessiva strategia di intervento nell'assistenza e nella prevenzione rispetto al I°
progetto. Cadeva in un periodo in cui i bisogni assistenziali delle persone sieropositive e
malate erano mutati. L'aids era e sempre più stava diventando una malattia cronica, sempre
più gestibili erano le malattie opportunistiche e si affacciava l'era della triplice terapia, che
avrebbe mutato completamente la storia naturale della malattia. Per cui, diventavano
sempre più importanti per l'assistenza le strutture di day hospital e ambulatoriali, relegando
i ricoveri ospedalieri alle fasi acute della malattia.179
Nel II° Progetto Obiettivo Aids, che non comportava spese aggiuntive rispetto a quelli
previsti dalla legge 135, fu deciso in particolare di ridurre di 900 unità i posti letto di
degenza ordinaria previsti programmaticamente dalla delibera CIPE del 1990 (soprattutto
in alcune regioni in cui l'andamento epidemiologico faceva supporre una diminuita
necessità). La somma così risparmiata si decideva di destinarla al miglioramento e
potenziamento dei servizi di trattamento domiciliare. Infatti, in base ad un’indagine
promossa dal ministero della Sanità risultava che l'8% dei pazienti ritenuto dismissibile dal
177
Così bruciammo tutto, di O. Ragone, in «La Repubblica», 14 gennaio 1995.
V. Agnoletto, La società dell'Aids cit., p. 295.
179
Si legge nel testo del Progetto Obiettivo Aids: «Negli ultimi anni, parallelamente al crescere del numero
dei casi e alla standardizzazione delle procedure diagnostiche , la durata delle degenza dei casi di AIDS nei
paesi occidentali incluso il nostro, si è ridotta.»
Decreto del presidente della Repubblica ,7 aprile 1994,” Approvazione del progetto-obiettivo«AIDS 19941996»” in Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la
prevenzione e la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 573.
178
99
ricovero non poteva essere dimesso per la mancanza di strutture alternative180. Le forme
alternative al ricovero d'altronde avrebbero permesso di promuovere una razionalizzazione
della spesa sanitaria.181 Nel programma si invitava a terminare sia gli interventi di edilizia
sia quello di potenziamento dei laboratori. Le aree ritenute sensibili e da sviluppare erano
quelle del coordinamento sia a livello centro-regioni, sia a livello locale attraverso i centri
di riferimento regionali stabiliti dall'art. 9 della legge 135/90182. Nel programma, visti le
mutate esigenze assistenziali, si parlava di necessità di procedere al “decentramento
coordinato”: cioè dell'impossibilità di continuare a gestire l'intera problematica riguardante
la malattia attraverso solo i reparti di malattie infettive e quindi della utilità di attivare un
maggiore coinvolgimento delle strutture cliniche di altre specialità.183
6.6
La Ricerca
Fino al 1988 mancò in Italia un piano di ricerca nazionale. Ciò non significò l'assenza nel
nostro paese di ricerche specifiche sull'aids. In effetti, gli esempi di un numero non
trascurabile di ricerche fu condotto a livello locale da alcuni gruppi di ricerca,
sponsorizzati da università, da alcuni enti pubblici, e da alcune associazioni (tra cui il
l'Anlaids, nata, lo ricordiamo, proprio per la raccolta di finanziamenti da destinare alla
ricerca). Parecchi furono i contributi di ricercatori italiani alla Conferenza Internazionale di
Stoccolma nel giugno 1988184. In tale sede Gallo invitò l'Italia a partecipare al pool
mondiale per lo studio del vaccino, di cui facevano parte sette paesi europei, il Canada e gli
Usa.185
I gruppi di ricerca italiani lavoravano in maniera per lo più autonoma e quindi mancavano
essenzialmente di un coordinamento e della possibilità di un confronto186. A livello centrale
era stato creato, fin dal 1985, un sistema di sorveglianza epidemiologica sulla malattia, con
sede presso l'Istituto Superiore di Sanità, ed avviate alcune ricerche finalizzate
all'isolamento del virus anche in pazienti italiani187.
La Commissione Nazionale Aids ritenne che la ricerca e la prevenzione fossero i due
elementi cardine su cui imbastire un'efficace strategia di lotta all'epidemia. Come abbiamo
180
Ivi, p. 574.
L' indagine evidenziava anche che circa il 63% dei bambini con malattia da hiv necessitava di trattamenti
domiciliari.
181
Ivi, p. 575.
182
Ivi, p. 578.
183
Ivi, p. 577.
184
D. Moss , Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p. 147.
185
Dal fronte anti-aids accuse all'Italia, di D. Mastrogiacomo, in «La Repubblica»,14 giugno 1988.
186
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 320.
187
Ibid.
100
visto, essa individuò nelle strutture di III ° livello la sede privilegiata per condurre attività
di ricerca, in particolare per lo studio e il monitoraggio della terapia basata sull'Azt.
Nel 1988 fu istituito uno specifico programma di ricerche, “Il Progetto AIDS”, le cui
finalità principali erano il coordinamento e il finanziamento dei gruppi che autonomamente
svolgevano ricerca in Italia188. Al fine di garantire una ricerca aggiornata ai risultati
scientifici internazionali più recenti fu stabilita la valutazione da parte di soggetti esterni,
nazionali e stranieri, dei progetti proposti189. Il Progetto fu articolato attraverso
l'indicazione a grandi linee delle tematiche di ricerca cui dovevano attenersi i progetti
presentati durante il bando annuale. Fu stabilito, altresì, che la Commissione Nazionale
Aids avrebbe approvato la predisposizione del bando, che i progetti fossero valutati da una
commissione di esperti nominata dal ministro della Sanità e presieduta dal Direttore
dell'Istituto Superiore di Sanità, che il Direttore del Laboratorio di Virologia dell’Istituto
Superiore di Sanità fosse il responsabile delle attività organizzative necessarie allo
sviluppo dei progetti190.
All'interno del Progetto Aids si sono creati alcuni progetti distinti, in quanto necessitanti di
una coordinazione centralizzata e pluriennale o legati ad apporti culturali tipici, in modo da
seguire alcuni aspetti ritenuti di particolare rilevanza dalla Commissione Nazionale Aids:
- Progetto chemioterapia antiretrovirale (1990)
- Progetto allestimento e sviluppo di modelli animali finalizzato alla ricerca sul vaccino per
l'aids (1990)
- I° progetto di ricerca sugli aspetti etici, psicosociali, giuridici, comportamentali,
assistenziali e della prevenzione (1994), definito anche “Progetto Aids Sociale”.191
Dal 1988 al 1994 si sono finanziati sette progetti di ricerca per un totale di 173 miliardi
stanziati, di cui circa 161 miliardi e 500 milioni assegnati. I finanziamenti sono andati
incrementandosi a partire dai 6 miliardi stanziati nel 1988 ai 32 miliardi nel 1994. Le unità
di ricerca finanziate sono state 1674.192 Gli obiettivi dei finanziamenti a livello centrale
sono:
- stimolare la ricerca al fine di conseguire competitività a livello internazionale;
- promuovere il coordinamento;
- promuovere l'interessamento alla ricerca sull'aids anche di gruppi impegnati in altri
settori.193
188
Ibid.
Ibid.
190
Ivi, p. 320-321.
191
Ivi, p. 321.
192
Ivi, p. 322.
193
Ivi, p. 322-323.
189
101
Il numero delle pubblicazioni di ricerche italiane, indice di valutazione internazionale per
la ricerca, è stato al gennaio 1994 di 3301. A tal proposito commenta la Relazione di
Guzzanti:
Questa rilevante produzione ha senz'altro contribuito a inserire adeguatamente
la ricerca italiana nel panorama internazionale nel settore dell'infezione da
hiv.194
Dal 1989 al 1995 l’Istituto Superiore di Sanità ha finanziato per un totale di 60 miliardi e
150 milioni, 989 borse di studio sia a cittadini italiani sia a cittadini stranieri. Le borse di
studio hanno sicuramente promosso la collaborazione della ricerca italiana con gruppi di
ricerca stranieri. 195
In accoglimento delle richieste piovute da parte delle associazioni di un loro
coinvolgimento e della necessità di una maggiore attenzione agli aspetti sociali e, nel clima
di collaborazione tra il ministero della Sanità e la Consulta del Volontariato, si è avviato il
Progetto Aids Sociale. Esso rappresenta un’importante novità nell'approccio alla ricerca
sulla malattia, non intesa ad indagare gli aspetti biologici e clinici, ma a dare significato e
spessore alla dimensione sociale della malattia. Con esso è iniziata un’intensa
collaborazione con le organizzazioni di volontariato da parte del ministero della Sanità. Il
progetto si è posto due propositi: 1) indagare attraverso attività di ricerca aspetti etici,
psico-sociali, giuridici, comportamentali, assistenziali e della prevenzione; 2) attuare
sperimentazioni e interventi diretti per migliorare gli approcci alla prevenzione e
all'assistenza196. Il suo finanziamento è stato di 5 miliardi e 153 milioni.197
Forti critiche sono giunte alle modalità di valutazione dei bandi e dei progetti di ricerca da
parte di alcuni esponenti delle associazioni di volontariato. Già nel 1992 Agnoletto (Lila)
aveva espresso forti dubbi sul valore dei progetti finanziati: «Molte volte i finanziamenti
sono stati distribuiti un pò a tutti e senza valutare la seria validità dei progetti»198.
Ma, in particolare, nel giugno del 1996, sotto i riflettori delle telecamere della Rai, durante
una serata di raccolta fondi per la ricerca, Agnoletto ha criticato i modi in cui venivano
valutati i progetti di ricerca199. Egli chiedeva al ministro della Sanità, Bindi, una nuova
procedura per la valutazione dei progetti che vietasse la presenza nelle commissioni
giudicatrici di presentatori dei progetti stessi. Scrive a tal proposito:
secondo calcoli realizzati dalla LILA, in nove anni una percentuale non
indifferente dei 217 miliardi destinati complessivamente alla ricerca sull'AIDS
194
Ivi, p. 324.
Ivi, p. 325-326.
196
Ivi, p. 347-348.
197
Ivi, p. 349.
198
Ma gli italiani sono bravi ricercatori, in «ASPE», n. 20, 20 novembre 1992.
199
V. Agnoletto, La società dell'Aids cit., p. 274-284.
195
102
sono stati concentrati nelle istituzioni di appartenenza (università, ospedali
ecc.) dei membri della commissione giudicatrice” (...) certamente alcuni di
questi professori sono direttori di istituti, di enti scientifici importanti ove è
naturale si concentri un'ampia attività di ricerca e non intendo qui certo negare,
pur senza enfatizzarlo, il contributo della ricerca scientifica italiana nella lotta
all'AIDS. So anche che, per le regole che la stessa commissione giudicatrice si
è data, il presentatore, quando si discute del suo progetto, abbandona
momentaneamente la sala, ma nel momento in cui si è in presenza di una così
ampia sovrapposizione mi pare di assistere ad un turbinio di viavai da hall di
grande albergo.200
Dopo questa denuncia il ministro Bindi ha dato via ad una commissione d'inchiesta interna
sull'utilizzo dei fondi aids. Ad essa è seguito una sostituzione dei membri della
Commissione Nazionale Aids che vi facevano parte da più tempo e stabilita
l'incompatibilità tra essere membro della Commissione Nazionale Aids e membro delle
commissioni giudicatrici dei bandi di ricerca.201
La ricerca italiana nel corso degli anni si è saputa distinguere per gli apporti originali e si è
inserita adeguatamente all'interno del panorama internazionale. Ne sono un esempio le
numerose pubblicazioni su riviste scientifiche dei ricercatori italiani e il numero elevato di
collaborazioni e scambi internazionali, nonché della partecipazione a studi multicentrici di
carattere epidemiologico e clinico.202 Tra i maggiori contribuiti a valenza internazionale
della ricerca italiana vi sono lo studio sull'azt, la ricerca sulla trasmissione verticale, la
ricerca sul vaccino.203
200
V. Agnoletto, La società dell'Aids cit., p. 300.
V. Agnoletto, La società dell'Aids cit., p. 285-286.
202
P. Verani, Il programma nazionale di ricerca sull'Aids, in F. Dianzani, G. Ippolito, M. Moroni (a cura
di), AIDS in Italia 20 anni dopo cit., p. 73-78.
203
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 327-331.
201
103
Capitolo 7 - Il dibattito sul test -
7.1
L'introduzione del Registro Nominativo
Il test e la nominatività dei casi di Aids sono stati al centro del dibattito politico e sociale
italiano, come già accaduto e come avveniva nello stesso periodo in altri paesi europei.1
Prima di esaminare alcuni elementi critici riguardo al test e alla segnalazione nominativa
dei casi di Aids alle autorità preposte nella realtà italiana, è necessario evidenziare alcune
caratteristiche riguardo alla malattia e alla dimensione del test.
Innanzitutto ricordiamo che nella prima parte (1985-87) del periodo considerato (19831994) l'aids aveva ancora contorni molto imprecisi sia dal punto di vista epidemiologico
sia da un punto di vista strettamente medico (non si conoscevano i tempi di latenza
dall'infezione allo sviluppo dell'aids conclamato né le probabilità che dalla sieropositività
si passasse allo sviluppo della malattia). Inoltre l'aids, nell'immaginario collettivo, e anche
nella pratica medica, si presentava come una malattia “cronica, irreversibile e progressiva”2
e naturalmente fatale. D'altro canto, nonostante la psicosi dei primi tempi sulla diffusione
dell'infezione, gli scienziati hanno dimostrato che è trasmissibile solo attraverso alcuni
comportamenti specifici e modificabili.
Lo screening aveva senza dubbio aspetti positivi per l'implementazione delle strategie di
lotta all'epidemia: a) dal punto di vista epidemiologico esso (come la nominatività3 dei casi
di Aids) permetteva di conoscere l'estensione dell'infezione (in tal modo consentiva alle
autorità preposte di programmare piani di intervento assistenziale); b) dal punto di vista
individuale poteva essere il primo momento per la presa di coscienza del proprio stato
1
Un caso particolare fu rappresentato dalle tensioni tra il Governo federale tedesco e la Baviera. In quest'
ultima il test fu reso obbligatorio su immigrati, sugli impiegati pubblici differenziandosi nettamente dalle
prese di posizione europee.
W. Bottke, Sida et droit en République Fédérale d'Allemagne, in J. Foyer, L. Khaïat (dirigé par) Droit e Sida
Comparaison internationale , CNRS DROIT, Paris 1992, p. 21-42.
2
In questo modo l'immunologo Aiuti definisce l'aids in una dichiarazione rilasciata al giornalista di «La
Repubblica» Aids,No al test obbligatorio per i militari e i poliziotti, di A.D'amico, in «La Repubblica», 21
novembre 1990
Come abbiamo evidenziato l'Azt, introdotto nel 1987 nella cura della patologia, era ancora sotto studio e il
corpo medico internazionale concordava nel carattere non risolutivo del farmaco: esso aveva piuttosto la
possibilità di rallentare la progressione della malattia. Gli altri farmaci utilizzati per contrastare le malattie
opportunistiche, seppure fossero stati studiati metodi di somministrazione per renderli più efficaci, non
agivano direttamente sulla deficienza immunitaria e quindi non rappresentavano una terapia risolutiva.
3
La nominatività dei casi di Aids al centro epidemiologico di riferimento evitava la sovrapposizione e
duplicazione di denunce
104
sierologico e la responsabilizzazione verso quei comportamenti capaci di favorire la
trasmissione del virus.
Esso presentava però alcuni aspetti critici e negativi, legati sia alla natura tecnica del test
sia alla realtà sociale della sieropositività:
a)dal punto di vista tecnico, il test poteva dar luogo a: dei “falsi negativi”, 4 determinando
quindi una falsa sicurezza nell'individuo; oppure a dei “falsi positivi”, al contrario
innescando tutta una serie di problemi psicologici e personali nella vita della persona
testata;
b)come abbiamo già evidenziato, la sieropositività o la supposta appartenenza a una delle
categorie indicate a rischio aids avevano determinato (e come la cronaca del periodo
continuava a registrare)5 fortissime discriminazioni in campo lavorativo, assistenziale,
assicurativo, abitativo, relazionale.
Da un punto di vista giuridico il tipo di screening proposto, come magistralmente ha
evidenziato Kirby nella sua analisi, riguardava direttamente i diritti della persona e
dell'individuo. Diritti che sono tutelati e salvaguardati nella maggior parte delle
Costituzioni dei paesi dell'Europa occidentale e dalla stessa Comunità Economica Europea.
Da un punto di vista politico, l'ansia di circoscrivere l'epidemia, visto l'allarmismo, poteva
innescare delle frizioni tra i diritti individuali e le esigenze di tutela pubblica.
L'attività ispettiva e di indagine sui casi di Aids da parte del ministro della Sanità (il
senatore democristiano Degane Costante) iniziò con la circolare n. 48 del 25 giugno 19846
con cui istituì una prima scheda di rilevamento, non nominativa, dei casi di Aids da inviare
4
I falsi negativi sono solitamente legati o alla scarsa sensibilità del test, o soprattutto a soggetti infetti che
hanno effettuato il test nel cosidetto "periodo finestra", ossia nel lasso di tempo che va dall'infezione alla
sieroconversione (alla produzione da parte dell'organismo di anticorpi contro il virus). Tale periodo di tempo
è variabile da soggetto a soggetto (soprattutto in base a caratteristiche genetiche), ma essenzialmente si
ritiene che esso sia compreso da 3 a 6 mesi.
I falsi positivi si registrano per reazioni crociate del test verso alcune proteine , o gli anticorpi per altri
virus, batteri o spesso anche nelle donne incinta, a causa del loro sistema immunitario iperstimolato. (Vedi
Glossario)
5
Scrive Rossi Barilli: «Le cronache parlavano di medici e infermieri che non volevano accettare pazienti
affetti da Aids per timore del contagio, di baristi ed avventori che insorgevano contro l'uso “promiscuo”di
tazzine da caffè e cosi via. Dibattiti al limite del delirio nascevano sulle modalità di trasmissione del virus
Hiv, responsabile dell'Aids. Se infatti era certo che il sangue e lo sperma erano veicoli di contagio, forti
sospetti si concentravano su altri liquidi corporei (come la saliva, il sudore e persino le lacrime), o sulla
possibilità di venire infettati attraverso punture di insetti o contatti umani poco impegnativi come le strette di
mano, a dispetto dei pareri scientifici in proposito.»
G. Rossi Barilli, Il Movimento Gay in Italia cit., p. 165.
6
Detta circolare, inviata ai Servizi Sanitari Locali, seguiva la precedente del 3 agosto 1984, in cui oltre a
informare detti servizi dei casi di Aids registratisi negli Usa, manifestava la volontà del Ministro della Sanità
e del Consiglio Superiore della Sanità di predisporre un gruppo di studio per una scheda di rilevamento
unificata. Da segnalare che in detta scheda vengono richieste: a)le abitudini sessuali del paziente
(eterosessuale, bisessuale ,omosessuale); b) il soggiorno o la provenienza da paesi stranieri (in particolare
Usa, Caraibi, Africa Equatoriale) del paziente e se ha avuto rapporti sessuali con abitanti di detti paesi; c) se
il paziente ha o ha avuto problemi di tossicodipendenza.
Per le dette circolari si rimanda agli allegati contenuti in Relazione sull'attuazione della legge concernente
il programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'aids (anni 1987-1995) cit., p. 415419.
105
al ministero e all'Istituto Superiore di Sanità. La scheda forniva delle linee guida per la
diagnosi della patologia.
Con la circolare n. 28 del 17 luglio 1985 fu istituita una nuova scheda di segnalazione, in
tal caso nominativa e fu raccomandato ai centri trasfusionali l'effettuazione di test di
screening di ciascuna unità di sangue donato.7 La prima nota ufficiale del ministero della
Sanità rispetto allo screening fu nel luglio del 19858, con cui si raccomandava ai centri
trasfusionali l'effettuazione del test su ciascuna unità di sangue e il test veniva
raccomandato ai soggetti a rischio appartenenti alle comunità chiuse. Con detta circolare,
che istituiva la nominatività delle segnalazioni all'Istituto Superiore di Sanità dei casi di
Aids il problema della riservatezza dei test si riversò nel dibattito politico-istituzionale.
Nella circolare del novembre 19859 rivolta ai servizi regionali per le tossicodipendenze, il
ministro della Sanità10 si pronunciò per la proposizione, a richiesta del tossicodipendente,
anonima e consensuale del test11.
In detta circolare, oltre alla raccomandazione di portare avanti da parte dei Centri una
politica non discriminatoria12 e di informazione dei soggetti a rischio, il ministero
intendeva perseguire attraverso il test tre obiettivi: a) epidemiologico, b) informativo (con
una serie di norme di comportamento da seguire si invitava alla responsabilizzazione del
sieropositivo), c) preventivo-assistenziale13. Sempre nel corso del 1985, il ministero, in
considerazione della probabile diffusione dell'infezione tra i detenuti, incoraggiò
l'effettuazione dei test nelle carceri14.Alla base di queste considerazioni vi era sia l'alto
numero di tossicodipendenti reclusi sia la possibile propagazione attraverso lo scambio di
siringhe e i supposti rapporti omosessuali.
Con il decreto ministeriale del 28 novembre 1986 l'Aids fu inserito tra le malattie infettive
e diffusive a notifica obbligatoria e diventò operativo a partire dal 13 febbraio 1987. Con la
circolare n. 5 del 13 febbraio 1987 fu specificato che tutti i casi di Aids andavano
7
E' interessante notare che la circolare sottolineava che tra i casi di aids segnalati fino al 31/3/85 in Italia vi
era un 63% di omosessuali o bisessuali maschi, e un 28% di tossicodipendenti per via endovenosa mentre 4
erano i casi in età pediatrica e tutti riferiti a madre tossicodipendente. Raccomandava ai centri trasfusionali
di sensibilizzare il donatore all'autoesclusione dalla donazione e di procedere all'introduzione di indagini
sierologiche, con esclusione dei campioni risultati positivi ai test di reazione anticorpale. Per le comunità che
operavano con i tossicodipendenti si raccomandava l'effettuazione di esami clinici e sierologici .
Per detta circolare si rimanda agli allegati contenuti in Relazione sull'attuazione della legge concernente il
programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'aids (anni 1987-1995) cit., p. 433-437.
8
Circolare n. 28 del 17 luglio 1985
9
Circolare n. 48 del 25 novembre 1985
10
ministro Sanità Costante Degan
11
La circolare parla di consenso informato in forma scritta, nel cui testo risulti: a) la volontà del Centro a non
utilizzare a fini discriminatori gli eventuali risultati positivi ; b) l'impegno del tossicodipendente (rispettando
ovviamente l'anonimato e il segreto professionale), in caso di positività, a rendersi disponibile per periodici
controlli,al fine di fornirgli eventuali futuri strumenti terapeutici
12
Come in una precedente nota inviata alle Comunità terapeutiche il Ministero metteva in guardia sulla
illegittimità e non eticità del discrimine basato sulla condizione sierologica portato avanti da alcune comunità
terapeutiche private. In più nella Circolare il ministero reguardiva sulla pericolosità di atteggiamenti che
isolassero i sieropositivi e della diffusione di notizie allarmistiche
13
Ne è un esempio l'invito rivolto alle Comunità e ai Centri di ripetere trimestralmente le analisi sierologiche
14
D. Moss , Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p. 145 .
106
comunicati al COA indicando il nome del paziente, mentre i casi di sieropositività non
andavano segnalati nominativamente. Come abbiamo già accennato, la Regione Lazio e
Lombardia manifestarono le loro perplessità sulla scelta di istituire un Registro Nazionale
di casi di Aids a livello centrale: le loro preoccupazioni, come quelle espresse da
parlamentari soprattutto della sinistra riguardavano il problema della riservatezza. Si
avanzavano dubbi sull'efficacia del sistema proposto nel garantire l'assenza di fughe di
notizie sui dati.
7.2
Il test nel dibattito politico-istituzionale
Ma è attorno alla gestione del test che in modo più chiaro possiamo rinvenire le
negoziazioni tra i diversi attori. I punti critici di negoziazione attorno a cui si è intessuto il
dibattito in Italia sono stati: a) la riservatezza del risultato come garanzia contro le
discriminazioni15 e come problema strettamente legato al rapporto medico-paziente
(segretezza dei dati clinici e delle diagnosi), b) la consensualità o volontarietà rispetto
all'obbligatorietà, c) il feed-back informativo del test (sia dal punto di vista delle
conoscenze del virus messe a disposizione dell'individuo sia dal punto di vista
epidemiologico e statistico come conoscenza istituzionale della espansione dell'infezione),
d) l'esistenza e la possibilità di test sistematici su alcune categorie.
Tra il 1985 e il 1986 sulla stampa nazionale iniziarono ad apparire articoli che affrontavano
il problema dello screening e il dibattito si nutrì delle proposte di test obbligatorio o
sistematico che provenivano da altri paesi, come ad esempio gli Usa16.
L'emanazione del decreto17 che rese l'Aids una malattia diffusiva a notifica obbligatoria
suscitò vive preoccupazioni sia nelle persone malate, sia nelle organizzazioni di difesa
delle categorie indicate a rischio. In particolare, all'annuncio del decreto, l'Arcigay
15
E' lo stesso argomento al centro delle resistenze delle Regioni Lombardia e Lazio all'implementazione di
una notifica nominativa per i casi di Aids e anche delle resistenze manifestatesi sia in Italia sia all'estero alle
proposte di notifica nominativa centralizzata dei casi di sieropositività. Tale argomento è stato ed è ancora al
centro di alcune proposte in tal senso per esempio anche a S. Francisco e ancora recentemente in Italia, dopo
l'introduzione della terapia antiretrovirale.
16
La proposta americana nell'estate del 1985 di sottoporre al test tutte le reclute dell'esercito americano fu
ribattuta dalla stampa e media nazionali e contro di essa si scagliarono in particolar modo la stampa vicina
alla sinistra.
Un esempio ci viene dall'articolo Il “Flagello” Aids di G. Neppi Modona, in « La Repubblica» , 8 settembre
1985, che sull'esempio delle campagne di modificazione dei comportamenti a rischio messi in atto nelle
comunità gay americane propendeva per un approccio responsabilizzante «senza -si legge a chiusura
articolo- la necessità di ricorrere a misure coercitive ed emarginanti di dubbia efficacia e che
determinerebbero certamente un sacrificio dei diritti di libertà ed un abbassamento dei livelli di civiltà.»
17
Decreto Ministeriale 28 Novembre 1986, “Inserimento nell'elenco delle malattie infettive e diffusive
sottoposte a notifica obbligatoria, dell'AIDS (SIDA), della rosolia congenita,del tetano neonatale e delle
forme di epatite distinte in base alla loro etiologia”, in « Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana » , n.
288, 12 dicembre 1986.
107
minacciò lo sciopero del test e il ritiro di qualsiasi collaborazione con il ministero della
Sanità se non fossero state attuate procedure capaci di garantire massima riservatezza e
discrezione.18
Nel corso del biennio 1986-1988 più volte si affacciarono nel dibattito e nelle proposte
politiche richieste di test obbligatorio e per alcune categorie, la possibilità di domandare il
test nei rapporti di lavoro e le questioni riguardanti la riservatezza.
A partire la 1987 la Commissione Nazionale Aids fu investita da parte del ministero della
Sanità del onere di esprimersi attorno a questi delicati problemi. Nel gennaio del 1987 si
pronunciò per la non schedatura dei malati di Aids e la notifica attraverso un codice
segreto, in modo da garantirne la riservatezza19. Nell'aprile del 1987 la Commissione
Nazionale Aids, in base al costo degli screening di massa e specifici e al numero elevato di
falsi positivi che si sarebbero verificati, ne sconsigliò fortemente l'implementazione.20
Sempre agli inizi del 1987 il ministro della Difesa, Spadolini, visto che le prime indagini
eseguite indicavano un aumento di casi, espresse la volontà di sottoporre a screening
sistematico le nuove reclute ritenute a rischio.21
In campo politico le maggiori perplessità verso la notifica nominativa dei malati di aids al
Istituto Superiore di Sanità e gli screening obbligatori o sistematici, nonché verso
particolari categorie vennero soprattutto da parte della sinistra e dai radicali.22Ne sono un
esempio le critiche alla Camera dei Radicali alla proposta del ministro della Sanità di
istituire un Registro nazionale dei casi di Aids alla fine del 1986 e la presentazione di un
progetto di legge nell'agosto del 198723 da parte del deputato Rodotà della Sinistra
Indipendente. La proposta Rodotà, che criticava l'istituzione di un Registro nazionale dei
casi di Aids, si poneva più obiettivi: a) tutelare il diritto alla riservatezza della persona
malata di Aids nell'ambiente sanitario (era fatto divieto di divulgazione di dati o notizie
relative alla persona malata o della divulgazione a terzi del esito delle analisi), b)l'impegno
18
Gay in rivolta per il decreto contro l'aids “Ci schedano”, in « La Repubblica », 16 dicembre 1986
Aids, bocciata la Schedatura. Per i malati un codice segreto, di D. Mastrogiacomo, in «La Repubblica»,
30 gennaio 1987
20
Le previsioni di costo per lo screening di massa si aggiravano sui 1450 miliardi di lire, mentre i falsi
positivi circa 3,5 milioni. Il falso positivo fu ritenuto un forte disincentivo alla pratica dello screening di
massa per le probabili richieste di interruzione di gravidanza richieste dalla donne incinta risultate falsamente
positive.
D. Moss , Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p.145-146.
21Le indagini sierologiche, indicate dal ministro della Difesa nel suo allarme, effettuate nel 1985 avevano
riscontrato sette casi di sieropositività, mentre nel 1987 ne risultavano 11, nel 85 i casi di Las erano 12
mentre nel 86 28, e 5 i casi di aids. Per le analisi della visita di leva il ministro della Difesa si espresse per la
volontarietà e la consensualità , trattandosi ancora di civili. Le categorie a rischio indicate erano
omosessuali, tossicodipendenti ed emofilici.
Ai soldati profilattici gratis, di D. Mastrogiacomo, in « La Repubblica » , 3 Febbraio 1987
22
Un esempio di tal genere è rappresentato dalle critiche di “schedatura in piena regola dei malati di Aids”
del radicale Angiolo Bandinelli nei confronti della decisione del ministro Donat Cattin di istituire un sistema
di notifica a doppio binario: nominativo per i casi segnalati all'Istituto Superiore di Sanità da parte del
medico curante e basato su un codice segreto per i casi notificati dall'ISS alle Regioni.
Anatema del Ministro, di S. Nirenstein, in « La Repubblica » , 5 febbraio 1987
23
Proposta di legge n. 1437” Norme sulla riservatezza della persona affetta da Aids e sieropositivi”, di
Iniziativa del deputato Rodotà, X Legislatura, presentata alla Camera il 25 Agosto 1987.
19
108
delle Usl di fornire notizie sui casi di Aids a livello centrale24 e di attrezzarsi per assicurare
analisi (obiettivo epidemiologico), c) assicurare alla popolazione un test anonimo e
consensuale, d) impedire l'utilizzo a fini discriminatori del test25.
Anche da parte dei sindacati (Cgil, Cisl, Uil), da parte di esponenti di Magistratura
Democratica, vicini alle istanze delle organizzazioni nate specificatamente attorno al
problema aids, in particolare la Lila26, vi fu un'attenzione particolare al problema della
riservatezza, quale modo per evitare le discriminazioni. L'attenzione della Lila, in
particolare, si focalizzò sulla tutela del diritto al lavoro della persona sieropositiva. In tal
senso, attorno alla richiesta da parte dell'Associazione delle Piccole Imprese nell'aprile del
1988 di sottoporre a test le persone in cerca di lavoro, vi furono energiche prese di
posizione27.
Nel corso del 1988 più volte gli operatori carcerari e le amministrazioni penitenziarie
lanciarono l'allarme sulla possibile emergenza Aids nelle carceri: sia per le condizioni di
sovraffollamento, che avrebbero potuto innescare reazioni di discriminazione e di
isolamento dei soggetti sieropositivi (o di coloro che avessero richiesto il test), sia per la
possibile diffusione dell'infezione (visto l'alto numero di tossicodipendenti). Il Direttore
degli Istituti di pena, Niccolò Amato, fu tra i più ferventi propugnatori della obbligatorietà
del test sui detenuti.28
La Commissione Nazionale, pur considerando l'esplosività della situazione carceraria e la
necessità di conoscere la diffusione dell'infezione sia a fini epidemiologici sia di
assistenza, non ritenne auspicabile uno screening obbligatorio (come era stato attuato per
esempio in alcuni stati degli Usa). Piuttosto ritenne che il test andasse incentivato, anche al
fine di attuare una seria opera di prevenzione all'interno delle strutture carcerarie. Sullo
stesso avviso la Lila e altre associazioni vicine alla quotidianità del carcere: esse però
auspicavano interventi energici in campo preventivo (politiche di riduzione del danno) da
affiancare alla volontarietà e consensualità del test.
24
Ai fini di una corretta rilevazione statistica poteva essere richiesta l'indicazione del sesso, della nascita e
della provincia di residenza
25
In tal senso era fatto divieto: a) ai datori di lavoro pubblici e privati di svolgere indagini riguardanti la
sieropositività, b) di dichiarare non idoneo al servizio militare colui che era sieropositivo, c)di negare il
rilascio del certificato di idoneità fisica per l'iscrizione alla scuola, per lo sport, l'accesso alla pubblica
amministrazione e ai posti di lavoro. Per la violazione di tutte le norme in questione era prevista sia la
reclusione da 6 mesi ad un anno e l'interdizione dai pubblici uffici per la stessa durata, sia un ammenda
pecuniaria.
26
La Lila ha tal fine elaborò, nel 1988, con l'ausilio di alcuni giuristi la Carta dei diritti delle persone
sieropositive.
27
V. Agnoletto, G. Rezza, A. Tarocchi, Aids and Legislation in Italy, in M. Breum, A. Hendriks (edited by)
Aids and Human Right An Internationali Perspective cit., p.91
28
Niccolò Amato, sottolineò la necessità del test obbligatorio sia come momento conoscitivo della
dimensione aids nelle carceri, sia per evitare possibili episodi di violenza,innescati dalla paura dell'aids tra i
detenuti, e sia per la necessità di tutelare gli operatori penitenziari.
L'Aids in carcere, un'emergenza, di A. D'Amico, in « La Repubblica », 8 maggio 1988
109
Nel settembre del 1988 da parte del deputato democristiano Vairo venne la proposta di
legge di obbligatorietà del test per tutti i reclusi da ripetere ogni sei mesi. 29
Soprattutto a partire dalla seconda campagna aids (1990-91) 30 del ministero della Sanità il
test fu incentivato come momento di presa di coscienza della propria condizione
sierologica e della responsabilizzazione individuale.
E' all'interno di questa eterogeneità di indirizzi e di richieste, (generanti spesso confusione
e allarmismo tra le persone sieropositive) che sono stati elaborati gli articoli 5 e 6 della
legge n. 135 del 5 giugno 1990: in essa si trova una soluzione parziale alle istanze portate
dai vari attori sociali. Parliamo di parzialità perchè, nonostante i due articoli diano una
chiara elaborazione politica dell'uso del test vi resteranno delle posizioni non affrontate,
soprattutto per quanto riguarderà le categorie assoggettabili. Su di essi si espressero la
sentenza del 1994 della Corte Costituzionale e alcune prese di posizione della
Commissione Nazionale Aids dopo l'istituzione della legge n. 135.
Notiamo subito che il solco entro cui si è mossa l'azione del governo è tracciato entro le
disposizioni elaborate a livello Comunitario.
7.3
Le discussioni in Parlamento: la tutela della riservatezza
Nell'articolare la proposta di legge n. 4314, poi legge 135 sull'aids, il governo e la
Commissione Nazionale Aids non avevano preso in considerazione i problemi legati al test
e alle discriminazioni hiv-correlate. Fu durante l'iter di approvazione della legge nelle varie
Commissioni, che i membri presero l'iniziativa di affrontare in maniera organica la materia
inserendo dei riferimenti legislativi espliciti. L'iniziativa venne da parte dei deputati della
Sinistra Indipendente che richiesero l'abbinamento della proposta di legge Rodotà alla
proposta di legge del governo31ritenendo necessario, nell'apportare interventi urgenti in
materia assistenziale e preventiva, predisporre norme di tutela della riservatezza per le
persone sieropositive o malate.
29
Nella proposta, probabilmente ai fini di tutela della popolazione carceraria, era inserito l'obbligo del test
per coloro che rientravano dai permessi. Specifichiamo subito che la proposta di legge Vairo giace ancora
oggi in sede referente presso la XII Commissione Affari Sociali della Camera.
Proposta di legge n. 3192 “ Norme per la prevenzione e l'accertamento di infezioni da Aids e sindrome
correlata all'interno degli Istituti penitenziari”, di Iniziativa del deputato Vairo, X Legislatura, presentata
alla Camera il 30 settembre 1988.
30
A tal fine la il test gratuito ed anonimo fu visto come favorente tale obbiettivo.
31
Il deputato Gramaglia (Sinistra Indipendente), richiamando i colleghi sul panico che diffondeva la
situazione di sieropositività, auspicava l'inserimento di procedure di tutela di riservatezza quali quelle
contenute nella legge n. 194 del 1978 a tutela della maternità .
Camera dei Deputati, X leg., Seduta del 18 gennaio 1990 della XII Commissione Permanente (Affari
Sociali) in sede referente, in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta
contro l'Aids n. 142, XI Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio Studi, p.60.
110
A causa dell'urgenza del provvedimento in esame il ministro De Lorenzo chiese ed ottenne
il ritiro dell'emendamento di abbinamento delle due proposte di legge e si impegnò a
inserire articoli riguardanti la riservatezza, valutando le parti più rilevanti della proposta di
legge Rodotà.32 Il testo approntato dal governo, su parere della Commissione Nazionale
Aids e prendendo come modello il testo Rodotà, intendeva raggiungere alcuni obiettivi: a)
coniugare la necessità di conoscenza epidemiologica con la salvaguardia della riservatezza;
b) mantenere la riservatezza nella prestazione dei servizi assistenziali; c) opporsi alla
discriminazione hiv-correlata sia nella scuola o nelle attività sportive sia nell'ambiente di
lavoro
Gli articoli aggiuntivi (4.03) del governo al disegno di legge, poi articoli 5 e 6 della legge
135, approdarono al esame della I Commissione Affari Costituzionali in sede consultiva
nel febbraio del 1990.
All'interno della Commissione si palesarono nettamente due anime: da una parte i gruppi
parlamentari che ritenevano fondamentale la tutela dell'individuo rispetto alle esigenze di
tutela della salute pubblica, dall'altra i gruppi o i deputati che, considerando l'aids o
l'infezione da hiv una malattia contagiosa come le altre, ritenevano circoscrivibili e
riducibili i diritti individuali rispetto al bene maggiore della tutela della salute pubblica. In
questa ultima linea di tendenza vanno inquadrati i riferimenti da parte del capogruppo del
Msi-Dn, Carlo Tassi, alla sua proposta di legge avanzata nel febbraio del 1989 per
sanzionare penalmente il procurato contagio dell'aids nei suoi interventi.
La riservatezza e la consensualità all'accertamento diagnostico da parte della persona
testata furono le questioni maggiormente dibattute e attorno a cui si confrontarono le due
visioni contrapposte. Nel testo elaborato dal governo si prevedeva l'obbligo della
consensualità al test come regola generale, e come eccezionalità la possibilità di deroga
alla consensualità solo “per motivi di necessità clinica e nel suo interesse”(ossia
nell'interesse della persona testata). La linea seguita dal governo si atteneva, come più
volte ribadito dagli interventi del ministro De Lorenzo, alla prassi in materia di test
auspicata dalle direttive Cee33 e alla esigenza, manifestata dalla Commissione Nazionale
Aids, di consentire indagini sulla sieropositività al fine di giungere a diagnosi corrette.
Critiche e dubbi sulla eccezione alla consensualità, come indicato nel testo del governo,
furono avanzate dal Presidente Labriola (PSI). Ritenendo che essa violasse le disposizioni
del articolo 32 della Costituzione, che tutela il rispetto della volontà del paziente, ne chiese
la soppressione. A tal proposito anche il deputato Ferrara (Sin. Indipendente) si espresse
per la soppressione dell'eccezionalità e il rafforzamento nel testo della consensualità.
Rafforzamento inteso, in particolare, con l'obbligo di fornire le informazioni più dettagliate
possibili al paziente, in modo che potesse esprimere un consenso pieno.
32
Ivi, p. 63.
A tal proposito, per ottemperare allo stesso tempo alle esigenze di conoscenza epidemiologica e di
riservatezza, nell'articolo 5 in esame, si stabiliva che le rilevazioni statistiche delle infezioni da Hiv erano
consentite, ma solo rendendo i campioni anonimi, in modo da rendere impossibile l'identificazione delle
persone interessate.
33
111
Per il deputato Lanzinger (Verdi), invece, l'eccezionalità andava mantenuta in quanto
avrebbe permesso di giungere a diagnosi certe, nei casi in cui la persona interessata si fosse
trovata in stato di incoscienza o non in grado di esprimere il suo consenso. Per il deputato
Soddu (DC) l'eccezione non violava l'art. 32 della Costituzione, in quanto la legge già
prevedeva alcuni Trattamenti Sanitari Obbligatori, per esempio le vaccinazioni contro
alcune malattie. Il deputato Tassi, ribadendo la necessità di prevedere sanzioni penali per il
contagio dell'aids e la priorità della tutela collettiva rispetto a quella individuale nei casi di
malattie contagiose, ritenne che, se la Commissione si fosse espressa per la soppressione
della eccezione alla consensualità, sarebbe stato auspicabile esonerare da ogni
responsabilità il medico che non avesse proceduto alle analisi34.
Nel voto finale (da cui si astenne il gruppo comunista) la Commissione ritenne non
auspicabile sopprimere l'eccezionalità soprattutto per non inserire un emendamento che
riguardava la deresponsabilizzazione del medico e per poter garantire una diagnosi certa
laddove il medico ne ravvisava l'opportunità. In questo ultimo caso si ritenne che lasciare
al medico questo tipo di decisioni costituisse una garanzia per il malato stesso35.
Per quanto riguarda la riservatezza, il testo del governo prevedeva non solo la conduzione
di indagine statistiche in anonimato ma anche la riservatezza dei dati clinici nel ambiente
sanitario. Anche su questo punto il deputato Tassi ribadì la necessità della difesa della
collettività indicando che la tutela assoluta del diritto alla riservatezza del singolo poteva
portare un danno alla collettività. Di parere opposto la maggior parte dei membri della
Commissione e in particolare il deputato Barbieri (PCI) che, ribadendo la necessità della
difesa dei diritti di riservatezza del singolo, accolse favorevolmente la parte del testo che
riguardava il divieto da parte dei datori di lavoro di svolgere accertamenti sullo stato di
sieropositività.
Anche in questo caso il voto finale della Commissione mantenne il testo proposto dal
Governo e accolse la proposta Barbieri intesa ad allargare lo spettro di azione del divieto di
discriminazione per non limitarlo esclusivamente all'ambiente scolastico, sportivo e
lavorativo.
E', soprattutto, all'interno delle discussioni nella XII Commissione Affari Sociali in sede
legislativa che si definirono e specificarono le estensioni dei due articoli, in particolare
attorno ai temi della riservatezza e della tutela del singolo contro le discriminazioni.
Furono i gruppi della sinistra (sia Sinistra Indipendente sia Pci) a portare critiche e
controproposte al testo elaborato dal governo.
34
Il relatore Mazzuconi alle prese di posizioni del deputato Tassi ricordò esplicitamente come il testo di legge
escludesse categoricamente che si potesse procedere agli accertamenti diagnositici per motivi di tutela della
collettività.
35
Dichiarazioni di De Lorenzo, sui motivi che hanno spinto la Commissione Affari costituzionali a lasciare
questa eccezionalità, durante la Seduta del 15 marzo 1990 della Commissione Affari Sociali in Sede
Legislativa
Camera dei Deputati, X leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari Sociali),
in sede legislativa, Seduta del 15 marzo 1990, p. 3-5.
112
La proposta della Sinistra Indipendente, oltre a stabilire una rilevazione statistica a base
locale (con una maggiore responsabilizzazione delle strutture ospedaliere competenti per
territorio) e l'obbligo di una notifica che non consentisse l'identificazione, introduceva tre
elementi nuovi nella discussione: a) la garanzia di anonimato per le analisi tendenti ad
accertare la sieropositività, b) l'obbligo del vincolo del più rigoroso segreto professionale
da parte dei sanitari sull'identità delle persone da loro assistite: era indicata esplicitamente
la pena da 6 mesi ad un anno di reclusione e l'interdizione di pari durata dai pubblici uffici
per i sanitari che non avessero ottemperato a tale obbligo, c) la comunicazione esclusiva
dei risultati alla persona che aveva effettuato le analisi.36
La proposta del Pci, che sostanzialmente ricalcava quella della Sinistra Indipendente per
quanto riguardava l'obbligo del segreto professionale, il vincolo della riservatezza per le
rilevazioni statistiche, l'obbligo della comunicazione personale ed esclusiva dei risultati
delle analisi, introduceva anch'essa elementi nuovi, quali: a) la necessità del consenso
informato per accertamenti diagnostici e trattamenti sperimentali; b) il divieto di richiesta
di accertamenti dell'infezione da hiv per qualsiasi certificazione di idoneità fisica e/o
sanitaria.37 Seppure simili le due proposte avevano intendimenti differenti: mentre la
Sinistra Indipendente riteneva di dover fare affidamento soprattutto alle comuni norme
deontologiche per la tutela della riservatezza e cercava di non drammatizzare il problema,
il gruppo del Pci considerava i diritti della persona elemento cardine della sua proposta. In
particolare il gruppo comunista ravvisava nella proposta dell'anonimato un possibile
elemento di discriminazione in quanto poneva il soggetto in uno stato di clandestinità per
quanto riguardava l'accesso e la fornitura di servizi assistenziali. Il gruppo comunista fu
particolarmente critico anche verso il testo di legge in materia del governo. In particolare,
vista l'impostazione di tutela dei diritti dell'individuo, si riteneva che l'eccezione alla
consensualità introducesse praticamente l'obbligatorietà del test. Tale impostazione era
ritenuta non necessaria in quanto era già prassi comune che il medico si adoperasse per
richiedere tutti gli accertamenti capaci di portare ad una corretta diagnosi. Essi
propendevano per l'obbligatorietà del consenso informato e ritenevano discriminante
indicare soltanto per l'aids e non per altre malattie il vincolo del segreto professionale.38 Un
ulteriore critica riguardo il testo del Governo concerneva l'accertamento dell'infezione da
hiv come elemento di discriminazione. Mentre nel testo del governo, che ricordiamo era
stato approvato dalla I Commissione Affari Costituzionali, si indicava che l'accertata
infezione non poteva costituire motivo di discriminazione, il gruppo comunista riteneva
che soltanto vietando la richiesta di accertamenti per eventuali certificazioni di idoneità
negli ambienti scolastici, sportivi e lavorativi, si potesse prevenire qualsiasi
36
Camera dei Deputati, X leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 14 marzo 1990, p. 15-16.
37
Ivi, p. 16.
38
Ivi, p. 23-24.
113
discriminazione, in quanto si toglieva ad esso ogni giustificazione sul piano sanitario.39
Questo emendamento fu ritirato dal gruppo comunista, su richiesta del ministro De
Lorenzo, in quanto questo punto del testo del governo era stato lasciato nella sua forma
originaria da parte della Commissione Affari Costituzionali per l'impossibilità di sciogliere
alcuni nodi riguardo la possibilità di richiesta del test in alcuni settori ( che come abbiamo
specificato riguardavano la responsabilizzazione del medico).40
La proposta della Sinistra Indipendente fu respinta dalla Commissione, mentre la proposta
del gruppo comunista fu ritirata. Nel testo posto in votazione il ministro De Lorenzo
accolse, però, la proposta palesata dai due gruppi della sinistra dell'esclusività della
comunicazione dei risultati delle analisi di accertamento alla persona interessata.41 Il testo
del governo così modificato fu approvato dalla Commissione con l'astensione dal voto del
gruppo comunista.42
Le prime perplessità rispetto agli articoli 5 e 6 furono espresse nel seguito dell’iter della
legge 135 nella XII Commissione Igiene e Sanità del Senato. Il presidente Zito (PSI)
interpellò il ministro De Lorenzo sulla possibilità di inserire nella legge l'obbligatorietà di
accertamenti di assenza di infezione per alcune categorie di persone che nell'espletamento
delle loro mansioni avrebbero potuto trasmettere il virus43. Da parte del senatore Azzaretti
(DC) vennero due proposte tese a privilegiare la tutela della collettività a detrimento dei
diritti della persona: a) propose un emendamento sostitutivo dell'articolo 5 in cui si
prevedeva l'obbligo di denuncia dei casi di sieropositività. A tale emendamento si associò
il senatore Ventre (DC), che aggiunse la necessità di controlli sanitari sulle prostitute
extracomunitarie; b)la soppressione dell'articolo 6, ossia del divieto da parte dei datori di
lavoro di svolgere indagini tese ad accertare la presenza dell'infezione.
Contro le due proposte si espressero sia l'intera Commissione che il Ministro De Lorenzo.
La sinistra criticò in particolar modo la tendenza all'isolamento dei sieropositivi delle due
proposte, sottolineando piuttosto la necessità di tutelare la riservatezza per garantire il
coinvolgimento dei sieropositivi nella prevenzione e mettendo in guardia sulla pericolosità
ai fini preventivi di misure di isolamento. Sul rafforzamento dei diritti del singolo come
premessa alla tutela della collettività si muovevano le proposte del senatore Alberti
(Sinistra Indipendente) e della senatrice Ongaro Basaglia (Sin.Indipend.) di rendere più
restrittiva l'eccezione alla consensualità del test. Il ministro De Lorenzo si oppose sia alle
39
Camera dei Deputati, X leg., Atti Parlamentari 1987-92, Discussioni della XII Commissione (Affari
Sociali), in sede legislativa, Seduta del 15 marzo 1990, p. 4-5.
40
Ivi, p. 5-6.
41
Ivi, p .6.
42
Ibid..
43
Il senatore Zito prendeva come esempio della sua ipotesi il provvedimento sulle tossicodipendenze che
aveva stabilito l'obbligatorietà di esami atti a verificare l'assenza di tossicodipendenza per alcune categorie di
lavoratori destinati a particolari mansioni che comportavano rischi per la sicurezza, l'incolumità e la salute di
terzi.
Senato della Repubblica, X leg., Seduta del 10 maggio 1990, n .105 della XII Commissione Igiene e Sanità,
in Documentazioni e ricerche, Lavori preparatori della Legge n. 135/90: Lotta contro l'Aids n. 142, XI
Legislatura- ottobre 1993, Camera dei Deputati Servizio Studi, p. 130.
114
proposte di Azzaretti e Ventre ritenendo fondamentale evitare qualsiasi discrezionalità
nell'espletamento di controlli44 sia alle proposte di ridurre il campo di azione della
eccezione sulla consensualità ripetendo i rilievi già espressi nella I Commissione Affari
Costituzionali.
Il testo, come era stato presentato alla Commissione dopo le modifiche subite nella
Commissione Affari Sociali, fu approvato.
7.4
Le critiche e i limiti degli articoli 5 e 6
All'indomani dell'approvazione della legge 135, gli articoli 5 e 6 furono salutati con grosso
entusiasmo da parte sia dei gruppi politici che maggiormente si erano adoperati per
l'inserimento di norme a tutela della riservatezza, della consensualità del test e contro le
discriminazioni, sia da parte delle associazioni di lotta all'aids. In particolare gli entusiasmi
riguardavano la garanzia dell'anonimato e della consensualità del test, il divieto di
accertamenti per i datori di lavoro, le norme anti-discriminazione e il diritto alla
riservatezza.45
Alcune critiche però furono sollevate da parte della Lila e di esponenti di magistratura
democratica sul comma 3 dell'art. 5 laddove era contemplata l'eccezione alla consensualità.
In particolare era contestato l'ampio margine di discrezionalità lasciato alla volontà del
medico a detrimento della volontà del paziente. A loro avviso in tema di salute l'unica
volontà detentrice di diritto era quella del soggetto, che doveva scegliere liberamente anche
la possibilità di non-conoscere e/o di non-cura. Scrivono a tal proposito nel 1990 Agnoletto
e Giuliano Pisapia (avvocato penalista, esponente di Iniziativa giuridica democratica):
Sotto il profilo giuridico, non si comprende come si possa giustificare un
intervento coattivo su un soggetto cosciente e consapevole, non in base ad
esigenze di tutela della collettività ma per pretese esigenze di salute
dell'interessato.46
E proseguendo l'analisi sulla pericolosità dell'eccezione alla consensualità scrivevano:
Concedere un potere decisionale al medico-anche se fosse motivato da ragioni
sociali od umanitarie (come, comunque, non è in questo caso) -non solo rischia,
44
Rispondendo alla proposta di Ventre di controlli sanitari sulle prostitute extracomunitarie il ministro De
Lorenzo osservò l'illiceità dell'espulsione dei sieropositivi in base alla normativa vigente e auspicò piuttosto
un rafforzamento dei centri per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmesse.
45
Aids, passa la legge. Vietate le indagini sui “casi sospetti”, di D. Mastrogiacomo in «La Repubblica», 17
maggio 1990
46
V. Agnoletto, G. Pisapia, Lotta all'Aids:diritti del singolo e doveri della collettività in Marginalità e
Società, 14/90, Franco Angeli, Milano 1990, p. 130.
115
dal punto di vista sanitario, di sortire effetti opposti a quelli voluti; ma finisce col
creare spiragli per arbitrii e violazioni della sfera di libertà dell'individuo che mal
si conciliano con i principi che permeano il nostro ordinamento costituzionale. 47
Dal punto di vista opposto, invece, alcuni medici avevano espresso, fin dalle prime notizie
del inserimento nel testo della 135 della consensualità al test, forti perplessità nel
ottemperare a tale disposizione a causa dell'insostenibile carico burocratico che tale
decisione avrebbe comportato per il personale sanitario.48
Ma fu all'interno dello stesso governo che si palesarono le maggiori perplessità.
Visti gli allarmi che venivano dall'ambiente carcerario per le drammaticità delle infezioni
nel corso del 1990 il ministro di Grazia e Giustizia, Vassalli, propose di modificare il testo
dell'art. 5 permettendo l'obbligatorietà dello screening per i reclusi. Nell'illustrare la sua
proposta, Vassalli intendeva perseguire alcuni obbiettivi: a) contrastare l'isolamento in cui
incorrevano i detenuti che richiedevano il test; b)determinare l'evoluzione precisa
dell'infezione; c)evitare la trasmissione del virus all'interno dell'ambiente carcerario;
d)garantire il personale carcerario; e)poter prestare assistenza e cura, approntando le risorse
e le strutture necessarie ad evitare la modestia e l'elementarietà dei servizi attualmente
disponibili.49
In un primo momento la Commissione Nazionale Aids e il ministro della Sanità, De
Lorenzo, accolsero la proposta di Vassalli, orientandosi, tuttavia, per un test obbligatorio
ma anonimo nelle carceri. Il fine perseguito in questo caso era soprattutto di indagine
conoscitiva. L'indagine avrebbe permesso, nelle intenzioni della Commissione e del
Direttore Generale degli Istituti di Pena, Amato, di predisporre un piano di azione. Ma in
un secondo momento, nel 1991, la Commissione, in ottemperanza alle disposizioni degli
articoli 5 e 6, censurò l'ipotesi di qualsiasi test obbligatorio e si espresse per il
mantenimento del test volontario ed anonimo. Il ministro De Lorenzo ritenne sufficiente ai
fini epidemiologici uno studio di prevalenza.50
Pochi mesi dopo la promulgazione della legge 135, il Presidente del Consiglio (Andreotti),
i ministri della Difesa, delle Finanze, del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione
Economica, dell'Interno (Gava), firmarono il decreto legge n. 276 del 4 ottobre 1990 per
l'aumento degli organici delle forze di polizia. Nell'articolo 15 si prevedeva che i nuovi
assunti nei Carabinieri, Polizia, Vigili del Fuoco, Forze armate, Polizia Giudiziaria, fossero
sottoposti obbligatoriamente al test anti-hiv qualunque fosse il servizio cui erano destinati;
per il personale già in servizio si prevedeva l'obbligo solo quando vi fossero fondati motivi.
La giustificazione a tale provvedimento da parte dei firmatari fu di ordine preventivo: ossia
impedire che un funzionario pubblico nell'espletamento del proprio servizio potesse
47
Ivi, p. 131.
Aids, per il test serve il consenso, di A. D'Amico, in « La Repubblica» , 14 febbraio 1990
49
Aids, test sui reclusi, di S. Nirestein , in « La Repubblica » , 18 settembre 1990
50
Indagini aids nelle carceri ma senza test obbligatorio, in « La Repubblica » , 27 febbraio 1991
48
116
trasmettere l'infezione.51 Fortissima fu l'opposizione all'art. 15 e piovvero richieste di
modifica da più parti. Nelle prime dichiarazioni pubbliche il ministro De Lorenzo espresse
parere positivo in quanto riteneva che l'articolo in questione non stravolgesse la legge 135,
che vietava l'obbligatorietà, in quanto quest'ultima si riferiva alla gente comune e non a
persone che avevano deliberatamente scelto di entrare nei corpi di pubblica sicurezza52. Ma
ben presto si associò al disappunto della Commissione Nazionale Aids per non essere stati
consultati. Sia De Lorenzo53 che la Commissione espressero la loro contrarietà all'articolo,
ritenendo non giustificata la motivazione preventiva sul piano scientifico e contrario alla
strategia seguita dalla legge 135.54
Fortissime preoccupazioni furono espresse dai sindacati e in particolare dal sindacato di
polizia (Siulp). Quest'ultimo ritenne l'articolo anticostituzionale, immotivato, in contrasto
con le direttive dell'Oms, discriminatorio e ne chiese l'immediata abrogazione55. Il
segretario generale della Uil (Giancarlo Fontanelli) parlò di “un'iniziativa da paese
schizofrenico” vista la recente approvazione dell'art. 6 della legge 135 che vietava gli
accertamenti diagnostici da parte dei datori di lavoro pubblici e privati.56 La Commissione
Affari Sociali della Camera bocciò il provvedimento: in particolare il gruppo del Pci, della
Sinistra Indipendente e dei Verdi votarono contro l'articolo.57La Lila ribadì l'inutilità sul
piano scientifico del test obbligatorio per alcune categorie, per il gran numero di falsi
positivi e falsi negativi e per l'assenza di casi di trasmissione da parte degli operatori di
sicurezza nell'espletamento delle loro mansioni.58 Per il senatore Rodotà il forte margine di
discrezionalità sull'effettuazione del test, che nell'articolo era lasciato alle decisioni delle
amministrazioni di appartenenza, poteva prestarsi ad abusi e discriminazioni.59Il presidente
dell'Associazione italiana di Epidemiologia, Berrino, ricordò l'inutilità sul piano preventivo
dell'articolo in particolare per la mancanza di cure risolutive per la malattia60
Una voce fuori del coro di critiche fu quella di Aiuti. L'immunologo, membro della
Commissione Nazionale Aids, pur se contrariato per la mancata consultazione della
Commissione, ritenne che iniziative del genere andassero valutate e se possibile studiare le
51
Il test Aids obbligatorio per militari e poliziotti, di A. D'Amico, in « La Repubblica », 24 ottobre 1990.
Ibid.
53
Aids, primo si della Camera ma De Lorenzo boccia il test, di A. D'Amico, in « La Repubblica », 23
novembre 1990.
54
Aids,no al test obbligatorio per militari e poliziotti, di A. D'Amico, in « La Repubblica », 21 novembre
1990.
55
Aids,levata di scudi contro il test, di A. D'Amico, in « La Repubblica », 25 ottobre 1990.
Il sindacato di polizia vuole l'abrogazione del test anti-aids, di A. D'Amico, in « La Repubblica » , 24
novembre 1990.
56
Aids, levata di scudi contro il test, di A. D'Amico, in « La Repubblica », 25 ottobre 1990.
57
La Camera dice no al test aids per agenti e militari, in « La Repubblica » , 31 ottobre 1990.
58
Aids, levata di scudi contro il test, di A. D'Amico, in « La Repubblica », 25 ottobre 1990.
59
Il test Aids obbligatorio per militari e poliziotti, di A. D'Amico, in « La Repubblica », 24 ottobre 1990.
60
Aids, primo si della Camera ma De Lorenzo boccia il test, di A. D'Amico, in « La Repubblica », 23
novembre 1990
52
117
modalità di estensione ad altre categorie al fine precipuo di individuare i malati ed iniziare
a curarli. 61
Il decreto e l'articolo in questione furono approvati dalla Camera ma con sostanziali
modificazioni. Le modificazioni apportate accolsero le proposte per l'effettuazione del test
avanzate dal senatore Rodotà e fatte proprie dalla maggioranza. Si stabilì nel comma 1,
dell'articolo 15 della legge n. 359 del 30 novembre 1990 che: «Per la verifica dell'idoneità
all'espletamento di servizi che comportano rischi per la sicurezza e l'incolumità e la salute
di terzi, possano essere disposti, con il consenso dell'interessato, accertamenti dell'assenza
di sieropositività all’infezione da HIV». I commi successivi tendevano a garantire il diritto
alla riservatezza e l'obbligo per le amministrazioni di non effettuare discriminazioni: a tal
fine, per il personale senza idoneità fu stabilito il diritto al passaggio ad altri ruoli della
amministrazione di Polizia dello Stato o di altre amministrazioni. Nell'articolo si stabilì
che fosse un decreto ministeriale ad indicare le mansioni a rischio di trasmissione e quindi
necessitanti l'obbligatorietà.
Mentre le discussioni e le polemiche sull'obbligatorietà del test per il corpo di polizia
infuriavano il senatore Azzaretti (Dc), che abbiamo già incontrato nelle discussioni in
Commissione Igiene e Sanità, quale rappresentante di quella che possiamo definire
“politica degli steccati”(la separazione fisica dal sieropositivo), avanzò una proposta di
legge in totale controtendenza con gli articoli 5 e 6 della legge 135. In essa si stabiliva: a)
la possibilità di richiedere il test da parte dei datori di lavoro ai dipendenti e a coloro che
chiedevano l'assunzione; b) l'accertamento obbligatorio per gli immigrati e le prostitute; c)
la possibilità di imporre il test anche senza consenso e l'annullamento del diritto
all'anonimato.62
Ad attenuazione delle norme contenute nell'art. 15 della legge n. 359 del 1990, i deputati
della Sinistra Indipendente, Diaz, Bertone, Rodotà, Gramaglia, Balbo, presentarono nel
gennaio del 1991 una proposta di legge che richiedeva la consensualità scritta per il test,
vietava qualsiasi discriminazione nei confronti di coloro che rifiutavano di sottoporsi al test
e ribadiva che in caso di accertata infezione nessun provvedimento particolare poteva
essere intrapreso.63
61
Aids, levata di scudi contro il test, di A. D'Amico, in « La Repubblica » , 25 ottobre 1990
Proposta di legge n. 2456, “Norme atte a prevenire la diffusione dell'infezione da HIV” di Iniziativa del
Senatore Azzaretti, X Legislatura, presentata al Senato il 18 ottobre 1990.
Specifichiamo che la proposta di legge fu assegnata alla XII Commissione (Sanità) in sede referente, e ad
oggi non è ancora iniziato l'esame.
63
Nella proposta si riteneva che l'unico provvedimento ipotizzabile, l'esclusione dallo svolgimento dei servizi
che comportino il contatto fisico con terze persone, rientrava nella specificità dell'articolo 32 della
costituzione che tutela l'interesse collettivo alla salute come interesse superiore rispetto all'interesse
individuale allo svolgimento dei servizi .
La proposta è stata assegnata alla XI Commissione (Lavoro pubblico e privato) in sede referente, dove non è
ancora attualmente iniziato l'esame.
Proposta di Legge n. 5403, “Disciplina degli accertamenti clinici per il personale civile e militare dello
Stato” di iniziativa dei deputati Diaz, Rodotà, Bertone, Gramaglia, Balbo, X Legislatura, presentata alla
Camera il 24 gennaio 1991.
62
118
Nonostante la legge 135 avesse chiaramente indicato la scelta della volontarietà e
consensualità del test, su alcune categorie si tentò di riproporre il test obbligatorio. In
particolare, richiami in tal senso vennero ancora alla fine del 1992 da parte della
Commissione Giustizia del Senato, che propose di affiancare al Decreto Martelli-De
Lorenzo, che stabiliva l'incompatibilità tra Aids e carcere (su cui ritorneremo nel corso
della trattazione), sia il test obbligatorio per tutti i detenuti sia l'assegnazione dei
sieropositivi in reparti e celle separate. Ferma e dura la condanna delle associazioni a tale
proposta 64. Uguale condanna da parte delle associazioni, da parte del ministro della Sanità,
da parte degli esperti alla proposta del Presidente del Consiglio Amato di allargare il test
obbligatorio alle partorienti, ai giovani di leva, ai neonati, ai tossicodipendenti, ai medici e
infermieri.65
Nel 1994 con la sentenza n. 218 la Corte Costituzionale66, interpellata nel 1993 dal Pretore
di Padova67 sulla questione di legittimità costituzionale degli art. 5, terzo e quinto comma,
e art. 6 della legge 135/90 rispetto all'art. 32 della Costituzione68, si pronunciò per
l'illegittimità costituzionale dell'art. 5, terzo e quinto comma, nella parte in cui «non
prevede accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositività all'infezione da Hiv come
condizione per l'espletamento delle attività che comportano rischi per la salute dei terzi».
Nella sentenza si specificava che «l'interesse comune alla salute collettiva e l'esigenza della
preventiva protezione dei terzi consentono in questo caso, e talvolta rendono obbligatori,
accertamenti sanitari legislativamente previsti, diretti a stabilire se chi è chiamato a
svolgere determinate attività, nelle quali sussiste un serio rischio di contagio sia affetto da
una malattia trasmissibile in occasione e in ragione dell'esercizio delle attività stesse».
Nella sentenza si specificava che era necessario un bilanciamento tra il diritto del singolo
«con il dovere di tutelare il diritto dei terzi che vengono in contatto con la persona per
attività che comportino un serio rischio, non volontariamente assunto, di contagio».
64
No al Test-Aids per i detenuti in « La Repubblica », 28 ottobre 1992.
Test obbligatorio contro l'aids? Cosi si creano gli untori, di A. D'Amico, in « La Repubblica », 16
dicembre 1992.
66
Sentenza del 23 maggio-2 giugno 1994 n. 218 della Corte Costituzionale, in « Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana » n. 24, 8 giugno 1992.
La sentenza riguardava il caso di una operatrice di assistenza, moglie di un uomo affetto da Aids, che si era
rifiutata di sottoporsi al test come richiestole dalla Casa di Cura presso cui lavorava e perciò sospesa
cautelativamente dal servizio, ma non dallo stipendio.
67
Si legge nella sentenza le motivazioni che hanno indotto il Pretore di Padova a ritenere i commi in
questione in contrasto con l'art. 32 della Costituzione: «Ad avviso del pretore di Padova questa disciplina, pur
essendo informata ai principi di alto valore sociale ed all'apprezzabile esigenza di non discriminare o isolare,
neppure sul lavoro, le persone sieropositive o affette da AIDS, sarebbe in contrasto con l'art. 32 della
Costituzione, che tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo ed interesse della collettività, nella
parte in cui non prevede, limitatamente alle attività che per la loro particolare natura presentano il rischio di
trasmissione dell'infezione, la possibilità di accertamenti sanitari, con garanzie di riservatezza, anche contro
la volontà degli interessati ».
68
Articolo 32 della Costituzione Italiana: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto e
interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato ad un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i
limiti imposti dal rispetto della persona umana».
65
119
A conclusione della nostra panoramica sullo screening possiamo dire che ancora oggi in
Italia non vi è nessuna categoria sottoposta obbligatoriamente al test. Infatti, parlando di
«accertamenti sanitari legislativamente previsti» la sentenza della Corte stabilisce che le
mansioni che comportano il rischio e quindi la necessità del test devono essere stabiliti per
legge o decreto. Ad oggi manca un decreto in tal senso. Manca anche il decreto legge che
indichi le mansioni che possono comportare il rischio di trasmissione a terzi per le forze di
polizia. Le uniche persone sottoposte obbligatoriamente al test sono i donatori di sangue:
ma in tal caso vi è la consensualità alle analisi che verranno effettuate.
Recentemente, nel 1999, con la possibilità di terapie efficaci, alcuni medici ed
epidemiologi hanno proposto, al fine di fornire le cure necessarie, di istituire un Registro
Nazionale dei Sieropositivi. Ad esso si sono opposti le associazioni di lotta all'aids, e la
Commissione Nazionale Aids si è appellata al Garante della Privacy, Rodotà. Il quale ha
ribadito che restano in vigore le norme contenute nella legge 135:
a)la consensualità all'accertamento, tranne per l'eccezione per necessità clinica e
nell'interesse della persona testata,
b)la rilevazione statistica effettuata con modalità che non permettono l'identificazione
della persona.69
69
V. Agnoletto, La società dell'aids cit., p. 333-341.
120
Cap. 8 La Prevenzione
Le prime notizie alla popolazione generale sulla “nuova” malattia che stava imperversando
negli Usa giunsero in Italia agli inizi del 1983. I primi articoli della stampa nazionale
riportavano spesso la dicitura “morbo o peste dei gay”: ad essi reagirono due circoli
omosessuali (il Fuori di Torino e il Mario Mieli di Roma) minacciando di querelare i
giornali che li avrebbero ancora utilizzati1.
Le prime campagne di prevenzione furono attuate da alcune associazioni di volontariato
(come l'Anlaids o l'Asa ) a partire dal 1985.
Come abbiamo indicato per quanto riguarda l'assistenza, fu dalle associazioni e dai medici
che vennero le richieste più pressanti per attuare delle campagne di informazione e
prevenzione. L'informazione era vista anche come momento per combattere le paure
infondate e l'isteria collettiva che aveva colpito la popolazione. Ma sicuramente quello
della prevenzione non era un terreno facile da affrontare. Scrive Aiuti:
ma cosa vuol dire fare prevenzione per l'Aids? Significa spiegare come la si
prende e come la si evita. Significa spiegare che il virus si trasmette solo
attraverso i liquidi biologici, sangue, sperma, secrezione vaginale. Significa
entrare nei santuari protetti dell'intimità delle persone e scendere nei bassifondi
della tossicodipendenza. Significa affrontare argomenti tabù, come i rapporti
anali eterosessuali e omosessuali, i rapporti orali, le pratiche sadomaso e il
sesso degli adolescenti. Significa forzare la resistenza delle persone verso realtà
rimosse per paura atavica, quali il sangue e le trasfusioni. Significa, infine,
urtare la sensibilità degli ematologi e dei chirurghi, gelosi della loro autonomia
professionale. A tutto questo si aggiunga, infine, l'aggravante che il terreno su
cui prolifera il virus dell'Aids è vigilato, e spesso celato, dalla dottrina morale
della Chiesa cattolica. E si avrà cosi un'idea dello scenario in cui ho combattuto
la mia battaglia in questi anni.2
A partire dal 1985 anche in Italia il profilattico e problemi legati alla trasmissione
attraverso lo scambio di siringhe tra i tossicodipendenti iniziarono a entrare nel dibattito
pubblico. I media si occuparono a più riprese degli esempi di campagne preventive che
venivano dall'estero.3
1
D. Minerva, R. Tomasetti, Aids e Mass media, in F. Dianzani, G. Ippolito, M. Moroni (a cura di), AIDS
in Italia 20 anni dopo cit, p. 98.
2
F. Aiuti, Nessuna Condanna cit., p. 45-46.
3
Un esempio in tal senso è l'articolo apparso su «La Repubblica» nel settembre del 1985 in cui vengono
presentate alcune posizioni sulle questioni citate all'interno delle comunità terapeutiche e guardando al
dibattito negli Usa. Il “flagello” AIDS, di G. Neppi Modona, in «La Repubblica», 8 settembre 1985.
121
A partire dalla fine del 1985 anche a livello parlamentare si iniziò a chiedere che il
governo predisponesse una campagna informativa a livello nazionale4.
Le prime iniziative di natura istituzionale vennero dal Nord Italia. Nel 1986
l'amministrazione comunale di Milano, la città col più alto numero di casi, iniziò a
discutere la possibilità di una campagna preventiva in collaborazione con l'Asa
(Associazione Solidarietà Aids). Nelle intenzioni si prevedeva la distribuzione gratuita di
preservativi e siringhe. 5
Ma fu solo all'inizio del 1987 che a Bologna si ebbe la prima iniziativa concreta: il
Comune predispose e distribuì alle famiglie bolognesi un depliant con indicazioni di
natura informativa sulle modalità del contagio e le caratteristiche della malattia.6
Per quanto riguarda le associazioni di volontariato e quelle delle categorie a rischio, nel
periodo considerato, esse attuarono vaste campagne, cercando sia l'incontro di natura
istituzionale, sia muovendosi in contrasto alle iniziative ministeriali. Il periodo considerato
fu un grosso laboratorio di strategie preventive: le associazioni cercarono di attuare
campagne mirate per target specifici e implementarono approcci nuovi e diversificati per
gruppi bersaglio.
8.1
La prevenzione secondo Donat Cattin
Nel momento in cui il ministro Donat Cattin decise di dare il via a un piano nazionale antiaids, da un'indagine effettuata, nel dicembre del 1986, risultò che le conoscenze degli
italiani sulla nuova sindrome erano scarse: il 33% degli intervistati non aveva mai sentito
nominare il termine “aids”. Fra coloro che conoscevano la malattia, ben un 67% non
sapevano descriverne nessun sintomo.7
Come abbiamo visto il piano del ministro, dichiarato pubblicamente nel dicembre 1986,
prevedeva 10 miliardi per campagne preventivo-informative, corsi di aggiornamento e
ricerca.
Tra Donat Cattin e le associazioni di lotta all'aids e quelle delle categorie maggiormente
esposte non esisteva, però, un rapporto “idilliaco”. Abbiamo già parlato di come l'Anlaids
sia nata programmaticamente in critica al modo in cui il ministro stava attuando la politica
in materia di Aids. Nei mesi che seguirono vi furono alcune tensioni tra l'Arci-gay e Donat
Cattin. Quest'ultimo in un'intervista nel gennaio del 1987 aveva definito gli omosessuali
“maniaci”. L'Arci-gay aveva querelato il ministro per diffamazione e ne aveva chiesto le
4
Sull' Aids risponde il governo, in «La Repubblica», 13 novembre 1985.
Campagna anti-aids. A Milano accolte le proposte dei gay, in «La Repubblica», 18 marzo 1986.
6
A Bologna depliants per prevenire, in «La Repubblica» , 6 gennaio 1987.
7
D. Moss, Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p. 148.
5
122
dimissioni criticando il modo di rapportarsi al problema aids. La segreteria
dell'associazione accusò il ministro di grave inefficienza, affermando:
Le parole di Donat Cattin dimostrano che in Italia la prevenzione contro l'Aids
è stata praticamente impossibile negli ultimi quattro anni a causa dei pregiudizi
ideologici e religiosi dei ministri e degli assessori alla sanità democristiani. La
situazione italiana non ha paragoni nel resto del mondo civile dove gli stessi
ministri alla sanità democristiani collaborano e finanziano i gruppi gay nella
lotta contro l'aids. 8
Sempre all'inizio del 1987 un'altra frase di Donat Cattin scatenò le ire delle associazioni e
dei partiti politici all'opposizione. Commentando il piano anti-aids predisposto insieme
alla Commissione Nazionale, il Ministro profetizzò che dopo detto piano “ l'aids ce l'ha
solo chi se lo va a cercare”9. Dai partiti di sinistra vi fu una grandissima indignazione e si
richiese una campagna non moraleggiante ma capace di dare informazioni. Il Pci accusò il
ministro di condurre una crociata da medioevo, attuando un processo di colpevolizzazione
del malato e bollarono come “innaturali” anche le dichiarazioni di Buttiglione, leader di
Comunione e Liberazione, che aveva indicato nella fedeltà e nell'indissolubilità del
matrimonio l'antidoto alla diffusione dell'epidemia.10 Da Democrazia Proletaria venne la
richiesta di dimissioni del ministro. Rutelli, leader dei radicali, parlò di una gestione
irresponsabile della salute pubblica e indicò nella frase del ministro: “ il simbolo di una
cultura aberrante, crudele e semplicistica circa le condizioni in cui milioni di persone,
soprattutto giovani, vivono oggi le relazioni affettive e sessuali”.11 Dalla Fgci (Federazione
giovanile del Pci) si chiese al ministro l'attuazione di un vasto programma di educazione
sessuale e l'abbandono di qualsiasi spirito di crociata.12
Nel gennaio 1987, la Commissione Nazionale, appena insediatasi, indicò una serie di
misure da seguire, per la popolazione, per evitare la diffusione dell'infezione. Si legge nel
documento: ”non fare uso di droghe, anche perchè la droga deprime le difese immunitarie;
evitare i rapporti sessuali occasionali o con partner sospetti o almeno usare sempre il
profilattico; usare soltanto siringhe a perdere ed evitare assolutamente lo scambio o la
riutilizzazione (...) evitare rapporti sessuali occasionali; ridurre il numero di partner
occasionali; usare regolarmente il profilattico”13. I soggetti sieropositivi furono invitati ad
evitare i rapporti sessuali o almeno ad usare sempre il profilattico. Per i soggetti
appartenenti alle categorie a rischio vi era l'invito a sottoporsi ad esami clinici o di
laboratorio al fine di verificare il proprio stato. Si specificava che il virus non era
8
“Non siamo maniaci”, l' Arci-gay querela il ministro, in «La Repubblica», 7 gennaio 1987
Anatema del Ministro, di S. Nirenstein, in «La Repubblica», 5 febbraio 1987
10
“E' una crociata da medioevo” , di D. Mastrogiacomo, in «La Repubblica», 6 febbraio 1987
11
Ibid.
12
Ibid.
13
La prevenzione secondo la Commissione, 23 gennaio 1987, in 1981-2005 25 ANNI DI AIDS La malattia
che ha cambiato il mondo raccontata dall'ANSA cit., p. 60
9
123
trasmissibile attraverso contatti casuali (strette di mano), altri liquidi biologici (saliva,
lacrime, urina) o vettori quali zanzare o altri animali. 14
Queste erano indicazioni di massima: ora si trattava di articolare messaggi in grado di
portare ad un cambiamento delle abitudini. Sicuramente non bastava un generico “ no alle
droghe” perchè il tossicodipendente smettesse di bucarsi e gli inviti all’astinenza, passato
il clima di paura, sarebbero sicuramente caduti nel vuoto.
Ciò che il corpo medico chiedeva era un’informazione chiara, non dilazionabile, in quanto
ritenevano che in mancanza di un vaccino la prevenzione avesse un ruolo cruciale: il
preservativo doveva essere pubblicizzato quale unica barriera sicura (come veniva dalle
disposizioni dell'Oms e da studi scientifici effettuati)15. Alle indicazioni dei medici si
affiancavano quelle delle associazioni di lotta all'aids, in particolare l'Arcigay, che
propagandavano il Safe Sex (Sesso Sicuro). A tal riguardo, Grillini, Presidente dell'Arcigay, in un'intervista spiegò la visione dell'associazione:
La migliore opera di prevenzione è innanzitutto la chiarezza. Alla gente
consigliamo di continuare a fare sesso, ma sesso sicuro. E per fare sesso
sicuro, il vecchio preservativo allo stato attuale è lo strumento che offre
maggiori garanzie16.
Nella primavera fortissime polemiche suscitarono le parole del Arcivescovo di Genova,
cardinale Siri, che indicò nell'aids un “castigo di Dio “ per i peccatori17. Senza soffermarci
sulla vicenda, che abbiamo voluto sottolineare per dare un’idea del clima che si respirava
in Italia, indichiamo che molte furono le prese di distanza anche nel mondo cattolico
rispetto a tale visione. Prese di distanza che non riguardavano naturalmente l'opposizione a
qualsiasi pubblicità al preservativo. La fedeltà e i rapporti di coppia eterosessuali
nell’ambito del matrimonio erano per la Chiesa gli unici strumenti validi e moralmente
accettabili per la lotta all'epidemia18.
Nel luglio del 1987 un ulteriore capitolo nella battaglia sul preservativo si aprì con la
presentazione della campagna della Pubblicità Progresso sulle reti Rai e Fininvest. Tale
campagna aveva l'obiettivo primario di creare un clima di solidarietà verso le persone
sieropositive19 e indicava il preservativo come mezzo per impedire il contagio. Ma la
14
La prevenzione secondo la Commissione, del 23 gennaio 1987, in 1981-2005 25 ANNI DI AIDS La
malattia che ha cambiato il mondo raccontata dall'ANSA cit., p. 59-60.
15
“Aids, viaggio dentro la paura”, di D. Mastrogiacomo, in «La Repubblica», 27 febbraio 1987.
16
Ibid.
17
Anatema di Siri “L'Aids punisce voi peccatori”, in «La Repubblica», 24 marzo 1987.
18
L'Arci Gay e i teologi si schierano conto Siri, in «La Repubblica», 25 marzo 1987 .
19
Spiegava in un'intervista, Luca Linder, uno dei responsabili dell' agenzia pubblicitaria che aveva realizzato
gli spot della Pubblicità Progresso (associazione nata nel 1972):” In Inghilterra dovevamo sensibilizzare la
gente sul terribile virus. Noi invece arriviamo quando l'opinione pubblica è già abbastanza preoccupata. Il
nostro compito è quello di portare a pensare, a non discriminare i sieropositivi.”
Da luglio in Tv campagna anti-Aids, di D. Brancati, in «La Repubblica», 18 giugno 1987.
124
parola “preservativo” fu censurata nella trasmissione degli spot da entrambe le reti. De
Lorenzo, al momento Presidente dell'Anlaids, attaccò le due emittenti televisive, in
particolare la Rai, ritenendo che non fosse stata veicolata un’informazione chiara, ma si
fosse preferito sottomettersi all'oscurantismo che proveniva dalle file democristiane. Il
Ministro Donat Cattin rispose, a chi lo chiamava in causa come uno degli autori della
censura, affermando:
So bene che qualcuno ci chiede di mettere il timbro del ministero sulla reclame
dei preservativi, ma noi non lo faremo di certo. Il profilattico non dà garanzie
totali contro l'Aids ma assicura soltanto una protezione dell'85 per cento. E se
in tv una pubblicità lo presentasse come l'unica difesa contro la malattia,
sarebbe un consiglio sbagliato.20
Altro grande censore della strategia di Donat Cattin fu Aiuti, membro della Commissione
Nazionale Aids e, come abbiamo indicato, tra i fondatori dell'Anlaids, che in più occasioni
accusò pubblicamente il ministro di inefficienza e di incomprensibili dilazioni nell'attuare
serie strategie preventive. Nel febbraio del 1988 il ministro escluse Aiuti dalla
Commissione Nazionale Aids: l'allontanamento era ritenuto necessario da Donat Cattin
vista la mancanza di fiducia che più volte pubblicamente l'immunologo aveva dimostrato
verso il suo operato. Per Aiuti i motivi del suo allontanamento risiedevano principalmente
nel suo impegno per la diffusione del preservativo21. Specifichiamo a tal riguardo che
Donat Cattin preferiva l'utilizzo della parola “profilattico” al posto di “preservativo” in
quanto il primo termine si riferiva allo strumento come barriera verso le malattie veneree,
mentre il secondo richiamava la funzione anti-concenzionale del condom.
La vicenda riaccese le polemiche sull'operato del ministro: l'opposizione chiese la
riammissione di Aiuti e di superare i pregiudizi sul profilattico nei rapporti a rischio.
Donat Cattin, fermo nella sua decisone di esclusione, rispose che, per quanto riguardava la
prevenzione, egli intendeva attenersi alle decisioni recenti della Commissione Nazionale
Aids: la distribuzione gratuita di profilattici e siringhe. Alcuni esponenti del mondo
scientifico bollarono la decisione di escludere Aiuti come dovuta alla lotta per la
spartizione di fondi e potere. Criticarono il piano della Commissione Nazionale di
costruzione di nuovi reparti: ritenevano più proficuo finanziare campagne preventive.22
Finalmente, dopo un anno e mezzo di attesa dalle prime dichiarazioni ministeriali, nel
luglio 1988, giunse la prima campagna nazionale. Ricordiamo che negli altri paesi
dell'Europa Occidentale le campagne governative erano partite tra il 1986-1987.23 I motivi
20
“Mai dire preservativo”, di L. Delli Colli, in «La Repubblica», 9 luglio 1987.
Sul fronte aids un “caso politico”, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 25 febbraio 1987.
22
Ancora la scure del Ministro sulla Commissione Anti-Aids, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 26
febbraio 1988.
23
M. Pollak, AIDS Policy in France: Biomedical Leadership and Preventive Impotence, Chapter 4, in B.
Misztal, D. Moss (Edited by), ACTION ON AIDS National Policies in Comparative Perspective cit., p. 87.
21
125
del ritardo erano imputabili soprattutto a mancanza di fondi stanziati da parte del governo
e alle difficoltà a livello ministeriale ad articolare la campagna24. A Milano, Bologna,
Genova (dove per la prima volta in Italia si era permessa la vendita dei preservativi dal
tabaccaio)25 erano state attuate, nel frattempo, delle prime iniziative locali guidate dalle
amministrazioni comunali, anche in collaborazione con le associazioni di volontariato.
L’obiettivo primario della prima campagna (campagna ministeriale 1988-89) fu di
dissipare i timori infondati sulla trasmissione e di fornire le conoscenze di base sulla
malattia. Si utilizzarono più mezzi per informare: dagli spot televisivi, agli annunci
stampa, ad opuscoli per tossicodipendenti ed omosessuali e inserti su riviste seguite da tali
soggetti. Il personale sanitario fu raggiunto attraverso opuscoli o filmati. Le famiglie
furono indicate come un obiettivo privilegiato. Fu pubblicizzato il Telefono Verde Aids,
nato nel giugno del 1987 per iniziativa del Istituto Superiore di Sanità e della
Commissione Nazionale Aids, come strumento per ricevere informazioni sulla malattia e
sui centri diagnostici.26 Il costo della campagna fu di 18 miliardi. 27
In questa prima parte della campagna si prese in maggiore considerazione la trasmissione
sessuale rispetto alle problematiche legate all'uso di sostanze stupefacenti.28
Gli spot televisivi furono trasmessi a reti unificate e contenevano messaggi sui modi di
trasmissione del virus: l'attenzione si concentrò sui “comportamenti a rischio”29 e non sulle
categorie a rischio. Il profilattico fu indicato come mezzo di prevenzione per i rapporti
sessuali definiti “occasionali”.30 Si decise di non dare un taglio incentrato sulla paura per
l'aids, come era avvenuto in altri paesi (per esempio l'Australia).31
I messaggi veicolati furono al centro di vivaci polemiche. Le associazioni, in particolare
la Lila, che parlò di “un’informazione scientifica subordinata a falsi moralismi e false
coscienze”32, contestarono:
24
D. Moss , Aids in Italy: Emergency in Slow Motion cit., p. 148.
Il condom dal tabaccaio, di P. Valentino, in «La Repubblica», 17 marzo 1988.
26
Campagne informative per la prevenzione dell'Aids dal 1988 al 1992, Ministero della SanitàCommissione Nazionale per la lotta all'Aids, Grafiche Mariano, Milano 1992, p. 5-6.
27
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995), cit., p. 75-76.
28
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 155.
29
Vedi Glossario
30
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 52.
31
In un articolo di «La Repubblica», Guidotti, uno dei curatori dell'agenzia Armando Testa , realizzatrice
degli spot spiegò: “ Nel mondo finora c'erano state due linee per affrontare il problema. La prima
corrisponde al filone terroristico. Giocando sugli ingredienti tipici della pubblicità commerciale, prima si
attira l'attenzione con l'elemento a sorpresa, poi si conclude con l'effettaccio. Così abbiamo visto lo spot
australiano: una rastrelliera raccoglie venti persone e le deposita su un piano. Il campo si allarga e si vede la
morte che prende una palla da bowling, la lancia uccidendo tutti per una, due, tre volte. E' stato ritirato
perchè procurava incubi ai bambini. Gli inglesi hanno scelto la scena di un eruzione, seguita da uno scalpello
che incideva la parola Aids su una pietra tombale. Gli Usa hanno una vera e propria serie di film del terrore
o anche molto realistici.(..) Il terrore crea il rifiuto del messaggio da parte dello spettatore e l'informazione
non passa. Per conciliare questa necessità con un buon livello stilistico e l'esigenza di mantenere l'attenzione
abbiamo scelto come testimoni quei due ballerini di danza classica che, sia pure nudi, non hanno il benché
minimo connotato di erotismo.”
Non è uno spot amorale, di O. La Rocca, in «La Repubblica», 22 luglio 1988.
32
Non è uno spot amorale, di O. La Rocca, in «La Repubblica», 22 luglio 1988
25
126
- lo slogan scelto, “Aids: se lo conosci lo eviti”, in quanto poteva portare ad un
atteggiamento discriminatorio verso le persone sieropositive o ammalate,33
- il riferimento ad “una normale vita di coppia” come modo per non venire a contatto del
virus,
- l'uso moralistico e discriminante del preservativo.
Scrive a tal proposito Patrizia Perone, della Lila Lazio, nel suo studio sulle campagne
preventive:
Non appena si entra nella sfera sessuale viene subito chiamato in causa il
concetto di normalità: l'Aids non si trasmette conducendo una “normale” vita
di coppia. In realtà l'unica coppia che non corre alcun rischio di infezione
(oltre a quella che usa il profilattico) è quella in cui ognuno dei due partner è
l'unico compagno sessuale per l'altro per tutta una vita, da sempre e per
sempre. Questo modello di coppia è più unico che raro.(...) Il riferimento alla
normalità rinforza ancora una volta l'idea che i comportamenti che trasmettono
il virus sono diversi e perciò devianti. I comportamenti sessuali che vengono
indicati come comportamenti a rischio di infezione sono i “rapporti sessuali
occasionali con persone sconosciute”. In realtà un rapporto sessuale non
protetto è un rapporto a rischio di infezione da Hiv; un rapporto protetto dal
profilattico è un comportamento sicuro, chiunque sia il partner. Questa è
l'informazione sanitaria. Il messaggio della campagna, invece, è ambiguo: non
ha connotazioni scientifiche ma relazionali. Ad esempio che cos'è un rapporto
“occasionale”? Con quali criteri lo si può definire in anticipo?(...) il rischio è
messo in relazione con il fatto che il partner sia una persona sconosciuta;
niente di più che uno stereotipo paranoico: lo straniero è per definizione
minaccioso. “E meglio evitare” questo tipo di rapporti, viene suggerito.
L'indicazione del preservativo come mezzo di profilassi arriva per ultima e
solo nel caso, appunto, di rapporti sessuali occasionali con persone sconosciute
che non si siano proprio riusciti ad evitare: “cercare almeno di proteggersi col
profilattico”. Il profilattico come estremo rimedio a cui ricorrere per tentare di
proteggersi, ma senza certezze, dal rischio di contagio: un messaggio né
convincente né rassicurante34.
Ma l'attacco più forte agli spot venne dal Vaticano. Dalle colonne dell' “L'Osservatore
Romano”, giornale della Santa Sede, eminenti prelati condannarono la logica perversa del
permissivismo, l'amoralità dei messaggi35, la teoria profilattica che non si curava degli
aspetti morali e che rappresentava un rimedio peggiore del male che si voleva combattere,
33
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 52.
P. Perone, Il profilattico nell'era dell'aids, a cura della Lila, settembre 2003, in
http:www.lila.it/doc/documentazione/prev/profilattico_era_aids.pdf , al 1 maggio 2007, p. 7-8.
35
Il direttore dell' Osservatore Romano, Mario Agnes, bollò gli spot come sottesi da un filosofia che aveva
due punti fermi: marciapiede e siringa.
Non è uno spot amorale, di O. la Rocca, in «La Repubblica», 28 luglio 1988
34
127
ed indicarono nell'astinenza l'unico modo valido e moralmente accettabile per fermare
l'Aids36.
Dal canto suo, Donat Cattin, difese i messaggi veicolati dalle accuse di amoralità: il parere
degli esperti di bioetica ed etica cui aveva sottoposto gli spot incriminati aveva indicato la
mancanza di elementi alteranti i comuni concetti di morale. Comunque, precisò, ravvisava
nel giudizio del Vaticano elementi di cui avrebbe sicuramente tenuto conto37.
E così fece: nel dicembre del 1988 nella lettera inviata a casa di 20 milioni di italiani,
come proseguo della prima campagna ministeriale, si vide chiaramente quanto aveva a
cuore le istanze del Vaticano. Infatti, scrisse:
Il ministro della Sanità è tenuto a dare indicazioni utili e il più possibile
complete per far conoscere e combattere la malattia a chi si attiene alla morale
di radice religiosa o anche laica e a chi ne vuole essere estraneo. Con i primi il
problema è più semplice. Con i secondi è più complesso: campagne di ogni
tipo vorrebbero persuadere della perfetta possibilità di prevenire la malattia e,
insieme, di praticare stili di vita rischiosi. Le cose non stanno così. Chi afferma,
ad esempio, l'assoluta sicurezza offerta dal preservativo, è smentito da quasi
tutti gli esperti. L'informativa americana avvisa: «Il preservativo è ben lontano
dall'essere sicuro». Noi abbiamo scritto: «Non è del tutto sicuro». Il profilattico
è oggi l'unica barriera per rapporti sessuali pericolosi, ma una barriera con dei
limiti: ecco il motivo dell'assurdità della tesi secondo la quale esso consente
senza rischio qualsiasi stile di vita.38
Specifichiamo al riguardo che l'informativa americana indicata da Donat Cattin nella sua
lettera è tratta da un documento dell'Oms (Organizzazione mondiale della Sanità) che
indica che il preservativo non è sicuro se non utilizzato nel modo giusto e se mancano
controlli di qualità39.
La lettera proseguiva invitando una “persona sana” ad attenersi ad “ un'esistenza normale
nei rapporti affettivi” e, per i sieropositivi faceva appello alla loro responsabilità,
esortandoli ad attenersi alla castità, come veniva da un'indicazione dell'Oms. Il test era
indicato come momento per prendere coscienza delle proprie responsabilità, in modo da
non incorrere nel Codice Penale. 40
Piovvero critiche da ogni parte contro l'iniziativa definita ”moralistica” del ministro:
Democrazia Proletaria, i Verdi, i Radicali, la Lila, l'Arcigay, la Federazione giovanile
36
Il Vaticano contro la Rai:”Quello spot è perverso”, di O. La Rocca, in «La Repubblica», 27 luglio 1988.
Non è uno spot amorale, di O. La Rocca, in «La Repubblica», 22 luglio 1988.
38
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 134-135.
39
Ivi, p. 141.
40
Ivi, p. 135.
37
128
comunista, il Pci, Sinistra Indipendente chiesero le dimissioni di Donat Cattin41. Benevelli,
capogruppo dei comunisti alla Commissione Affari sociali della Camera, criticò
l'iniziativa del Ministro ritenendola tesa a propagandare i suoi convincimenti piuttosto che
a fare una seria opera di prevenzione42.
Occhetto, segretario del Pci, parlò di informazione “terroristica e disorientante”43. I liberali
e i repubblicani ritennero che l'iniziativa del ministro mostrasse un’inconsapevolezza del
suo ruolo istituzionale: fare appello alla moralità e alla castità finiva per dividere gli
italiani in buoni e cattivi. Forse, suggerì «La Voce Repubblicana», il Ministro avrebbe
fatto meglio, vista la sua propensione di fustigatore dei costumi sessuali, a intraprendere
una carriera diversa da quella di uomo politico.44
Grosse critiche anche dal mondo medico e scientifico. Alcuni esperti di politica sanitaria
richiamarono il ministro alla necessità di non creare colpevolizzazioni nei confronti della
malattia e della sessualità in quanto esse avrebbero favorito il diffondersi dell'epidemia. 45
Il professor Carotenuto, esperto di psicologia analitica, intervistato da «La Repubblica»
spiegò:
Un' informazione, anziché chiarire le idee e aiutare la gente a scegliere il
comportamento migliore, diventa solo fonte di angoscia e disorientamento
quando è ambigua e incompleta: dire che i preservativi non proteggono dal
contagio senza spiegare poi perchè, in quali casi, se c'è un modo sicuro di
usarli, quali marche più affidabili e cosi via, vuol dire solo fare del terrorismo.
Ci sarà allora chi rimarrà paralizzato dall'angoscia e si ritroverà casto senza
neanche averlo deciso coscienziosamente. Ma chi faceva l'amore senza
precauzioni continuerà a farlo mentre molti di quelli che le adottavano saranno
tentati di non farlo.46
Aiuti e Visco, primario di reparti di malattie infettive, richiamarono Donat Cattin alla
necessità di non appellarsi alla castità nella lotta all'aids, ma piuttosto a spingere perchè i
preservativi si usassero e a spiegare come utilizzarli efficacemente.47
41
Le dimissioni di Donat Cattin da parte delle forze politiche veniva chiesta, oltre che per la lettera, anche
per altre questioni di politica sanitaria che riguardavano la legge 194 sull'aborto e alcune ispezioni sanitarie
effettuate.
“Un coro di critiche contro Donat Cattin “Se ne deve andare”, di L. Bartoletti, in «La Repubblica», 26
gennaio 1989.
42
“Via l'ayatollah Donat Cattin”, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 5 gennaio 1989.
43
Aids, l'accusa di Occhetto “Ministro irresponsabile”, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 6 gennaio
1989.
44
Via l'ayatollah Donat Cattin”, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 5 gennaio 1989.
45
Ibid.
46
Il ministro detta le regole dell'amore, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 4 gennaio 1989.
47
Il ministro detta le regole dell'amore, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 4 gennaio 1989.
Aids, l'accusa di Occhetto “Ministro irresponsabile”, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 6 gennaio 1989.
129
Un membro della Commissione Nazionale Aids rivelò in anonimato ai giornalisti che la
lettera non era stata concordata con gli esperti della Commissione ma che era frutto della
sola iniziativa del ministro.48
Il ministro respinse gli inviti alle dimissioni e difese la sua iniziativa: riteneva fosse in atto
una campagna laicista contro di lui e ribadì la validità scientifica delle indicazioni presenti
nella lettera49.
Guzzanti, vice-presidente della Commissione Nazionale Aids, difese la lettera del Ministro
in quanto rientrava nella strategia preventiva della campagna ministeriale e chiarì:
la strategia generale della prevenzione prevede approcci educativi che
tendono ad influenzare i soggetti a rischio e la popolazione in generale in
modo da ottenere una serie di comportamenti e di gradualità diverse: dalle
misure totali, fra cui l'astinenza e la monogamia a quello che lo sono un pò
meno, come la riduzione del numero dei partners, citata proprio dall'Oms,
soprattutto per quelli che sono dediti alla prostituzione50
Nel marzo del 1989, la lettera del Ministro fu al centro di una discussione parlamentare al
Senato: il Pci indicò che l'informazione fornita da Donat Cattin agli italiani andava
completata con le marche di preservativi ritenute sicure e con le informazioni per il loro
corretto uso.51
Agnoletto (Lila) esprimendo la necessità che le campagne ministeriali e preventive in
genere utilizzino linguaggi e strumenti specifici al loro target- bersaglio, commenta in
questi termini la vicenda della lettera di Donat Cattin:
l'obiettivo ( della lettera, nda), almeno quello dichiarato, era il tentativo di
convincere gli italiani a ridurre i rapporti sessuali, specialmente quelli
extraconiugali, per limitare la diffusione dell'HIV. Ma l'obiettivo stesso non
era chiaro nella sua completezza: si voleva consigliare l'uso del profilattico a
chi comunque non rispettava gli inviti alla castità oppure no? Al di là
dell'astinenza extraconiugale non vi era alcuna altra possibilità? Questa
assenza di precisione degli obiettivi ha inciso pesantemente sui possibili
risultati dell'iniziativa ministeriale. Inoltre la lettera voleva parlare a
tutti..(...)chi per propria scelta aveva già optato per una sessualità contenuta
nell'ambito coniugale o comunque rapporti assolutamente monogamici ha
trovato nel contenuto della lettera un rafforzativo delle proprie scelte(...) Chi
per precedenti scelte o per condizioni oggettive non intratteneva rapporti
sessuali non si è probabilmente sentito più di tanto coinvolto nella lettera
48
Aids, l'accusa di Occhetto “Ministro irresponsabile”, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 6 gennaio
1989.
49
“Via l'ayatollah Donat Cattin”, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 5 gennaio 1989.
50
“Via l'ayatollah Donat Cattin”, di A. D'Amico, in «La Repubblica», 5 gennaio 1989.
51
Prevenzione dell'Aids. Polemiche al Senato, in «La Repubblica», 15 marzo 1989.
130
stessa.(...) non sono queste le fette di popolazione maggiormente esposte al
rischio di contagio, infatti non è tra costoro che ritroviamo un'alta percentuale
di malati di Aids..(..) Ma verso coloro i quali conducono una vita non segnata
né dall'astinenza né dalla monogamia, e che intrattengono relazioni sessuali
con diversi partner, quale effetto ha avuto tale missiva? Ma prima ancora,
verso costoro qual era l'obiettivo ministeriale? Convincerli a modificare i
propri comportamenti e condurli alla rigida monogamia? Evitiamo di discutere
sulla leicità di tali obiettivi e chiediamoci solamente qual era l'obiettivo (...) da
raggiungere. Ed è qui che l'effetto ottenuto è esattamente l'opposto di quello
auspicato: Se devo convincere qualcuno che non vuole diminuire il numero dei
partner ad usare il profilattico, e costui vive tale strumento con noia, rifiuto e
fastidio, devo almeno evidenziargli alcuni vantaggi. 52
Nella sua avversione al preservativo Donat Cattin non si ritrovava di certo solo. Il sindaco
di Pavia, Sandro Bruni, democristiano, a capo di una coalizione comunale di DC, Pci,
Psdi, Pli e Verdi, rimbalzava, nel febbraio del 1989, agli onori della cronaca nazionale per
essere il primo sindaco italiano a imporre il divieto di distribuire preservativi in piazza,
durante una manifestazione di prevenzione organizzata dalla Fgci e dall'Arci-gay. 53
Invece da Modena veniva la richiesta al ministro di omologare, permettere di produrre e
vendere le siringhe monouso autobloccanti.54
Le associazioni, e la Lila in particolare, contestarono anche la campagna del 1989 per i
tossicodipendenti: ritenevano che essa fosse insufficiente. Scrive Agnoletto:
Pensare che per chi non ha voluto, o non è stato capace, di interrompere la
dipendenza dall'eroina possa realizzare una tale modificazione della propria
vita semplicemente perchè affascinato da manifesti giganti, sembra perlomeno
illusorio. Quella campagna d'informazione sembrava più finalizzata ad un altro
specifico obiettivo: ricercare il consenso dell'opinione pubblica, preoccupata
per il diffondersi dell'Aids, individuata spesso come la malattia dei
tossicodipendenti; il messaggio, non scritto, era in questo senso molto preciso:
«Non preoccupatevi, a loro ci pensa il ministro». 55
Il ministero della Sanità ha reso noto i risultati di un'indagine condotta dall'Abacus prima e
dopo la campagna nazionale televisiva ( tra il luglio e il novembre 1988) che indicavano:
- la percezione dell'aids come malattia grave per la salute era passata dal 36% al 51%;
- il 77% di coloro che conoscevano l'aids era consapevole che essa poteva colpire tutti;
52
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 139-140.
Il sindaco insorge per i preservativi regalati a Pavia, in «La Repubblica», 24 febbraio 1989.
54
Sono siringhe che possono essere utilizzate una sola volta e ritenute dagli esperti in grado di impedire il
contagio in quanto non sono riutilizzabili
Ecco il self service della siringa pulita, in «La Repubblica», 25 novembre 1990.
55
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 141.
53
131
- prima della campagna un quarto degli intervistati non era in grado di indicare modalità di
prevenzione. Dopo la campagna questa quota si era ridotta all'8%;
- 84% degli intervistati aveva appreso notizie sull'aids dalla televisione. 56
Altri sondaggi però presentano un'altra realtà. Scrive Perone:
I sondaggi sugli effetti di questa prima campagna mettono in luce risultati
prevedibili: in particolare tra i giovani sembra essersi diffusa la pericolosa
convinzione che per proteggersi dal rischio di infezione sia “sufficiente ridurre
al massimo ogni contatto con i drogati o con la gente dall'apparenza “ a
rischio” e frequentare solo le persone conosciute o dall'aspetto normale con le
quasi si può abbandonare ogni precauzione.(Pragma, 1989)57
8.2
La prevenzione secondo De Lorenzo
Con il nuovo ministro alla Sanità De Lorenzo, subentrato nel luglio del 1989 con il VI
governo Andreotti, iniziò un rapporto più collaborativo con le associazioni di volontariato,
che culminò nella creazione nel 1991 della Consulta Volontariato Aids.
Durante il suo dicastero fu organizzata la VII Conferenza Internazionale dell'Aids di
Firenze del giugno 1991. Come abbiamo già ricordato, un altro momento importante fu la
presentazione del I° Progetto Obiettivo Aids e della legge 135 del 1990, in cui si
prevedevano stanziamenti specifici a livello preventivo.
Tra le prime iniziative intraprese vi fu la nomina della nuova Commissione Nazionale
Aids: tra i nuovi membri figuravano esperti che si erano fortemente opposti alla linea
preventiva portata avanti da Donat Cattin, quali Visco ed Aiuti. La nuova Commissione
nell'ottobre del 1989 stabilì che nella campagna di prevenzione ministeriale, che
proseguiva quella iniziata da Donat Cattin, si sarebbe parlato di preservativo
consigliandone l'uso. Questa decisione provocò le dimissioni del giornalista Alberto Luna,
che si era opposto al forte peso del preservativo nella campagna preventiva.58 La seconda
campagna (1990-91) si pose più obbiettivi:
1) aumentare la consapevolezza della popolazione generale sui problemi legati alla
malattia, in modo da ottenere un'attenzione permanente sul problema AIDS
56
Campagne informative per la prevenzione dell'Aids dal 1988 al 1992 cit., p. 6.
P. Perone, Il profilattico nell'era dell'aids cit., p. 9.
58
Gli esperti anti-Aids hanno deciso: propaganda al profilattico, in «La Repubblica», 4 ottobre 1989.
57
132
2) creare un clima solidaristico verso i sieropositivi e i malati: a tal fine il tema della
solidarietà fu al centro dei messaggi e si cercò un coinvolgimento delle associazioni di
volontariato
3) ribadire che l'infezione poteva riguardare tutti, in quanto dipendeva essenzialmente da
comportamenti a rischio e non da categorie
4) promuovere un atteggiamento nuovo, più maturo e realistico della realtà dell'infezione
attraverso il proseguimento di un’impostazione non terroristica
5) sviluppare una prevenzione che tenesse conto dei target di riferimento
I settori di popolazione “bersaglio” delle campagne, in quanto considerati a rischio,
furono:
a) la popolazione giovanile: sia per l'aspetto propriamente sessuale sia in considerazione
della giovane età in cui spesso ci si avvicinava alle droghe. Furono compiuti interventi nei
principali luoghi di aggregazione (scuole, discoteche, circoli sportivi) con videoclip,
creazione di fotoromanzi a tema, inserzioni sulle riviste giovanili, opuscoli;
b) i tossicodipendenti: la scuola fu visto come il luogo per fornire informazioni sulla droga
e le sue connessioni con l'aids;
c) la donna: per il rischio di acquisire l'infezione e i problemi connessi alla gravidanza;
d) gli omo-bisessuali: a tal fine le iniziative furono realizzate in collaborazione con le
associazioni di volontariato, che già conoscevano il terreno e avevano sperimentato forme
di prevenzione. I mezzi utilizzati furono inserzioni su riviste specifiche, opuscoli nei
luoghi di aggregazione e un filmato specifico;
e) gli operatori sanitari: si fornirono informazioni più aggiornate per i medici e infermieri
visto il previsto aumento dei casi di aids e di sieropositivi nelle strutture sanitarie italiane;
f) le forze armate: il periodo della leva fu visto come un momento ideale per raggiungere i
giovani attraverso locandine, opuscoli e videocassette.
Il costo complessivo della campagna fu di 24 miliardi.59
La campagna televisiva fu lanciata nel 1990: lo slogan, nonostante le rimostranze delle
associazioni, rimase immutato. Più marcata, rispetto agli spot precedenti, la prevenzione
nel mondo della tossicodipendenza. Furono confezionati tre spot principali: il primo,
quello che nell'immaginario collettivo è rimasto come “lo spot dell'alone viola” era
indirizzato alla popolazione; gli altri due ai giovani.
Il primo spot, che fu al centro di vivacissime polemiche da parte delle associazioni, una
persona contornata da un tratteggio viola, che indicava la sieropositività, attraverso un
rapporto sessuale, trasmetteva l'alone viola ad un’altra persona. Questa a sua volta lo
trasmetteva ad un'altra scambiando una siringa con un altro tossicodipendente, e così, a
mano a mano, che lo spot procedeva venivano infettate nuove persone. In chiusura dello
59
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995), cit., p. 76-79
133
spot, l'ultimo uomo con l'alone viola tornava a casa e trasmetteva alla moglie l'infezione.
A quel punto compariva un preservativo in primo piano, sullo sfondo la coppia, entrambi
con l'alone viola, che passeggiava nelle vie della città.60 Scrive Perone:
In questo spot viene evidenziato che l'Hiv può colpire chiunque e che vanno
protetti anche i rapporti stabili.61
Le associazioni contestarono questo alone in quanto videro in esso un segno di stigma e di
discriminazione che avrebbe portato le persone sieropositive a nascondersi.62
Nei due spot rivolti ai giovani, uno era dedicato alla trasmissione sessuale dell'infezione e
l'altro a quella della trasmissione attraverso lo scambio di siringhe nei tossicodipendenti.
Nel primo si riprendeva l'idea dello spot rivolto alla popolazione generale che l'infezione
si trasmettesse nei rapporti sessuali occasionali e si raccomandava di conoscere il partner
prima di fare l'amore, oppure di utilizzare il preservativo. Nel secondo spot si vedeva una
siringa da cui usciva una traccia di sangue che si coagulava formando la scritta “Aids”: a
quel punto la voce di un ragazzo fuori campo raccontava del suo primo buco. Lo spot
terminava con lo slogan: ”Dì no alla droga, dì no all'Aids”.63 Scrive Perone, che
ricordiamo appartiene alla Lila, :
più che veicolare un messaggio di prevenzione rispetto all'Hiv/Aids, è una vera
e propria campagna contro la droga che utilizza l'Aids come
deterrente.(...)Certamente viene data l'indicazione che l'Hiv può trasmettersi
attraverso lo scambio di siringhe, ma manca il messaggio di prevenzione!
L'indicazione di non utilizzare siringhe usate è sparita ed è stata sostituita dalla
raccomandazione di non drogarsi. Non viene data nessuna alternativa per
proteggersi dall'infezione a chi non può o non vuole smettere di drogarsi64.
Sicuramente, aggiungiamo noi, l'ultimo spot era in linea con gli indirizzi in materia di
droga portati avanti dalla legge n. 162, che come ricordiamo aveva un carattere fortemente
punitivo del consumo. Le osservazioni della Perone ci mostrano quanto si fosse distanti in
Italia dagli approcci di riduzione del danno. Approcci che venivano richiesti dagli
antiproibizionisti e dalla Lila che guardava come esempio le sperimentazioni attuate negli
altri paesi europei.
60
Per riferimenti sulla campagna preventiva rimandiamo agli estratti dello spot contenuti nello studio di
Patrizia Perone.
P. Perone, Il profilattico nell'era dell'aids cit., fig. 9, p. 10.
61
Ivi, p. 9.
62
V. Agnoletto, La Società dell’Aids cit., p. 157.
63
Per riferimenti sulla campagna preventiva rimandiamo agli estratti dello spot contenuti nello studio di
Patrizia Perone.
P. Perone, Il profilattico nell'era dell'aids cit., fig. 10, p.11.
64
Ivi, p. 10.
134
Quindi questa campagna, rispetto alla precedente, fu più mirata per target di riferimento e
maggiormente collaborativa con le associazioni di volontariato. Portò temi nuovi quali
quello della solidarietà, dell'aids pediatrico, invitando le donne in gravidanza ad effettuare
il test, della donna (in linea con le indicazioni che provenivano dalla Conferenza di
S. Francisco che lanciò l'allarme sull'aids al femminile)65 e pose una maggiore enfasi
all'aids del tossicodipendente.
La terza campagna ministeriale (1991-92) ebbe una spesa complessiva di 35 miliardi di
lire. Si mirò ad un coinvolgimento della popolazione intera attorno ai problemi posti dalla
malattia. A tal fine fu scelto lo slogan: ”AIDS la voglia di fermarlo è contagiosa”.
In essa si continuò a portare avanti una prevenzione basata su obiettivi mirati: adolescenti,
giovani, donne in età fertile, omo-bisessuali e tossicodipendenti.
Le finalità perseguite furono la sensibilizzazione, la responsabilizzazione e la solidarietà.
Una maggiore enfasi vi fu verso la sensibilizzazione all'utilizzo del test: si invitò la
popolazione a conoscere il proprio stato sierologico per poter meglio controllare
l'infezione66. Nella terza campagna fu notevole la sperimentazione di linguaggi mirati e
dell'utilizzo di più mezzi di informazione: radio, riviste seguite dalle popolazioni
bersaglio, affissioni di manifesti alle stazioni ferroviarie, spazi televisivi, creazione di
fumetti, inserti per informare sulle nuove conoscenze acquisite sulla malattia, video negli
schermi degli stadi, coinvolgimento del mondo della musica. Furono effettuate due
campagne parallele a tiratura nazionale sulle reti Mediaset (campagna Stop Aids) e Rai. I
temi dei quattro spot sulle reti private furono: test, gravidanza, preservativo.
Gli spot sulle reti Rai invitavano la popolazione a partecipare alla lotta all'aids,
affrontavano il tema dell'aids pediatrico, della solidarietà e della presa in carico
individuale delle difficoltà riguardo la malattia67.
Perseguendo l'avvicinamento mirato dei giovani attraverso l'utilizzo di linguaggi specifici
furono utilizzati due personaggi dei fumetti amati dal pubblico giovanile: Dylan Dog e
Lupo Alberto. Il primo fu utilizzato dalla provincia di Milano per la prevenzione contro le
droghe. Secondo Agnoletto(Lila), che pure lodava l'iniziativa di cercare un avvicinamento
con il mondo giovanile attraverso questo mezzo, nel fumetto il problema droga era trattato
in modo moralistico e semplicistico.68 Sicuramente il modo di affrontare il problema droga
del fumetto era molto lontano dai programmi di riduzione del danno propugnati dalla Lila.
Il secondo fumetto, quello di Lupo Alberto, ci mostra quanta difficoltà vi era all’interno di
un certo mondo politico a parlare di sessualità e di preservativo ai giovani. L'opuscolo,
indirizzato agli adolescenti, utilizzava un linguaggio vicino alla quotidianità della
popolazione bersaglio e con ironia e humour si davano informazioni di natura preventiva:
65
Le donne sono la nuova categoria a rischio, 22 giugno 1990, in 1981-2005 25 ANNI DI AIDS La
malattia che ha cambiato il mondo raccontata dall'ANSA cit., p. 85.
66
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 79-80.
67
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 157-159.
68
Ivi, p. 159.
135
si parlava con tono spigliato e non accademico di preservativo e di come utilizzarlo. Esso
fu predisposto dalla Commissione Nazionale Aids e dal Ministro della Sanità per essere
distribuito all'interno delle scuole italiane. Dopo essere stato stampato, era pronta la
consegna, quando il ministro della Pubblica Istruzione, la democristiana Rosa Russo
Jervolino, ne bloccò la distribuzione. Forti furono le polemiche al riguardo: le associazioni
si scagliarono contro la miopia del ministro Russo Jervolino chiedendosi come era
possibile che un opuscolo che portava la firma di un altro dicastero potesse essere così
smentito da un altro membro dello stesso governo. Dallo stesso ministro De Lorenzo
furono chiesti chiarimenti alla propria collega del dicastero della Pubblica Istruzione.
Aiuti, Agnoletto, De Lorenzo accusarono il Ministro di sottostare ai dettami della Chiesa
Cattolica senza rendersi conto della necessità di avvicinarsi con un linguaggio e degli
scopi mirati alla prevenzione nel mondo giovanile. 69 Ma il divieto di distribuzione
all'interno degli istituti rimase.
La quarta campagna ministeriale (1992-93) costò 48 miliardi. In questa campagna furono
affrontati alcuni temi nuovi o meno trattati dalle altre campagne. In particolare, in
considerazione dell'aumentato numero di casi nella popolazione extracomunitaria si
realizzò un opuscolo in quattro lingue, distribuito nelle questure e nei centri di
accoglienza. Si cercò di dissipare con campagne mirate i timori sulla sicurezza degli
emoderivati emersi nella popolazione e di pubblicizzare anche i mezzi alternativi alla
trasfusione. Il mondo del lavoro (attraverso il coinvolgimento dei sindacati), dello sport e
della scuola furono oggetto di particolare attenzione quali ambienti ritenuti ricettivi per
veicolare messaggi preventivi.
In particolare per la scuola presero avvio i programmi formativi rivolti ai presidi delle
scuole secondarie superiore, nell'ambito del progetto di promozione alla salute.70
Le campagne preventive dal 1995, dopo due anni di silenzio dall'ultima campagna
ministeriale e la quasi totale assenza di messaggi preventivi durante il governo Berlusconi,
sono caratterizzate da una sempre maggiore collaborazione tra il ministero e le
associazioni, da un utilizzo di linguaggi comunicativi sempre più mirati alle popolazioni
bersaglio e che sempre più utilizzano messaggi che si rifanno alle strategie derivanti dalle
impostazioni della riduzione del danno.71 I modelli basati sull'educazione tra pari (peer
education) sono ritenuti più efficaci, in quanto coinvolgono emotivamente e
relazionalmente l'individuo e il gruppo di cui fa parte. Tali modelli tendono a sostituire i
modelli classici di informazione-educazione basati su un'impostazione normativa, quasi
imperativa (usa il preservativo, non avere rapporti occasionali). Si porta a piena
maturazione la diversificazione dei linguaggi, sperimentata a partire dalla seconda
69
Censurato Lupo Alberto anti-Aids, di M. Garbesi, in «La Repubblica», 17 maggio 1992.
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 80-85.
71
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 159-160.
70
136
campagna preventiva. Emerso il fenomeno delle nuove droghe sintetiche, le campagne
preventive hanno inteso avvicinarsi a nuovi comportamenti a rischio (vista la capacità
disinibente delle nuove droghe). A tal riguardo, come abbiamo già ricordato, vi è stato una
collaborazione nel 1999 tra la Lila e il ministro della Sanità Bindi per la redazione di un
opuscolo inteso a indicare come limitare gli effetti negativi delle varie sostanze psicotrope.
Internet è sempre più utilizzato come canale privilegiato per veicolare informazione e le
campagne preventive hanno utilizzato il linguaggio del mondo virtuale72.
Le associazioni di lotta all'aids hanno individuato nella scuola un ambiente privilegiato per
veicolare messaggi di prevenzione in considerazione sia della facilità a raggiungere un
maggior numero di giovani sia della giovane età delle persone colpite dalla patologia.
Purtroppo, lamentano che in Italia vi è stata e continua ad esserci una grossa difficoltà a
parlare di sessualità e di tossicodipendenza nella scuola. Imputano tale difficoltà a una
mancanza di volontà da parte dei ministri dell'Istruzione: abbiamo visto che la Russo
Jervolino impedì la distribuzione all'interno degli istituti scolastici dell'opuscolo Lupo
Alberto. Indice di questa difficoltà, che la Lila ritiene provenga sia dalla cultura cattolica
dei ministri della Pubblica Istruzione che si sono avvicendati, ma anche ad un imbarazzo
connaturato alla stessa classe politica italiana73 é la mancanza in Italia di un programma
nazionale di educazione sessuale e di prevenzione all'aids per le scuole. Ritengono che
nelle scuole si sia veicolato spesso un messaggio da parte del ministero di una sessualità
vissuta con colpa, alla stregua delle prime campagne preventive nazionali e che si sia
spesso trasmesso un messaggio di sessualità legato a colpe e tabù invece di proporre
un’educazione all'affettività. Spesso, lamentano, le iniziative isolate che è stato possibile
attuare sono dipese dalla sensibilità delle singole istituzioni scolastiche e dalla
disponibilità delle amministrazioni locali74. Ciò ha generato, sicuramente, una diffusione
ineguale e diversificata della prevenzione sul territorio nazionale.
Una ricerca interessante è stata condotta nel 2002 all'interno del progetto
Pammy75(Prevention of Aids through Mass media among Mediterranean Youth) intesa a
correlare le campagne preventive svolte in sei paesi dell'area mediterranea nel periodo che
va dal 1985 agli anni Duemila. A conclusione dell'analisi svolta sui messaggi e materiali
delle campagne preventive attuate in Italia si traccia sinteticamente il solco entro cui si è
sviluppata la prevenzione nel nostro paese:
Ciò che invece è sempre rimasto fuori dalla scuola è l'educazione sessuale,
oggetto di continue controversie a livello ideologico e politico. In Italia non
72
Ivi, p. 160-163.
Scrive Agnoletto: «...cambiano i ministri, dall'ex democristiana Jervolino all'ex comunista Berlinguer, ma
l'accordo sembra totale almeno su una cosa: agli studenti non far sapere»
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 146.
74
Ivi, p. 146-153.
75
E' un progetto creato dal Gruppo Abele e co-finanziato dalla Commissione Europea. Ad esso hanno
partecipato associazioni dei sei paesi presi in esame (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Marocco),
l'Usl di Reggio Emilia e un professore dell'Università Cattolica di Milano, Rivoltella.
73
137
esiste formalmente tale materia, ma tutto è lasciato a iniziative dei singoli,
spesso in collaborazione con i presidi sanitari sul territorio. Nel 1999 sono state
elaborate alcune linee guida per affrontare l'educazione sessuale a scuola, ma
nel 2000 il Movimento dei genitori cattolici si è opposto alla parte che
riguardava l'uso del preservativo come barriera per difendersi dalle malattie
sessualmente trasmissibili, tra cui l'AIDS.(...) In relazione alla trasmissione del
virus, fino agli inizi degli anni Novanta è stata forte l'idea che ci fossero
comunque alcune categorie più a rischio di altre, quali i tossicodipendenti e gli
omosessuali.(..) Tale convinzione, la difficoltà di parlare esplicitamente delle
modalità di trasmissione in certi ambiti, l'assenza di un intervento coordinato
all'interno delle scuole, ha spesso causato un approccio informativo e
comunicativo controverso. A livello centrale sono state privilegiate le grandi
campagne informative, che nel corso degli anni hanno saputo trasformarsi dai
primi messaggi più allarmistici a un approccio più complesso volto alla
responsabilizzazione. Un ruolo fondamentale è stato però svolto dalle
associazioni del privato sociale che hanno agito a livello territoriale, ma che
spesso hanno ideato campagne di azione mirate a target specifici e capaci di
utilizzare diverse strategie76
A conclusione di questa panoramica sulle campagne di prevenzioni ministeriali in cui
abbiamo preso in considerazione i tipi di messaggi veicolati e le strategie che si vennero
ad attuare, purtroppo dobbiamo ricordare che la gestione De Lorenzo si macchiò del mal
costume del periodo richiedendo tangenti sugli spot televisivi, come era avvenuto per le
costruzioni edilizie.77
8.3
La riduzione del danno in Italia
Parlando di riduzione del danno (o limitazione del danno) dobbiamo specificare
immediatamente che esse non riguardano solo le strategie di lotta all' hiv, ma rientrano nel
campo più vasto degli approcci alla tossicodipendenza. Derivano dalle esperienze attuate
da alcuni tossicodipendenti in Olanda prima dell'esperienza Aids. 78 I tossicodipendenti
olandesi misero in atto delle pratiche per evitare i danni diretti dall'iniezione di eroina
(infezioni, overdose): fra queste misure furono promosse la distribuzione di siringhe o la
loro disinfezione, e informazioni sugli effetti delle droghe in modo da poterle gestire. E'
76
Dalla “peste” al silenzio? Aids & giovani. Rapporto del progetto Pammy (Prevention of Aids through
Mass media among Mediterranean Youth), a cura del Centro Studi del Gruppo Abele, Edizioni Gruppo
Abele, Torino 2002.
77
Sulla campagna anti-aids un carosello di mazzette, in «La Repubblica», 25 giugno 1993.
78
Verso un paradigma di sanità pubblica, di G. Zuffa, in «Animazione Sociale», n. 2, febbraio 2003,
p. 9.
138
proprio nei paesi del Nord Europa, con la nascita del fenomeno Aids, che le autorità
sanitarie iniziarono a metà degli anni Ottanta, forme di sperimentazioni di riduzione del
danno.79 Dal quel momento si sperimentarono nuovi progetti e, come dicevamo, la
riduzione del danno entrò nel dibattito sul modo di rapportarsi alla tossicodipendenza.
Senza entrare nello specifico, in quanto la complessità del problema richiederebbe una
ricerca finalizzata esclusivamente al settore della tossicodipendenza, indichiamo alcune
linee di approccio e sviluppo in questo campo.
Prima di parlare di queste strategie affrontiamo brevemente gli interventi e gli
orientamenti attorno al discorso delle tossicomanie avutesi in Italia, ma ciò vale anche in
campo internazionale.
In una prima fase si vide la tossicomania come un problema essenzialmente medico. Il
tossicomane, in questa visione, è un malato. Spiega Grazia Zuffa80:
Il modello disease (o medico), per parte sua, introduce il concetto di
dipendenza e la definisce come una malattia che richiede il trattamento e la
riabilitazione. Sul piano delle politiche, l'obiettivo è di ridurre, fino ad
eliminare, la domanda di droga81.
La legge n. 685/75 sulla tossicodipendenza esprimeva questa linea di pensiero: il
tossicodipendente era delegato al medico, all'assistente sociale e allo psicologo.82 Ciascuna
figura professionale agiva separatamente. Scrive a tal riguardo Paolo Rigliano83:
Il tossicodipendente passava dalla visita medica al colloquio con l'assistente
sociale e con lo psicologo e ogni figura professionale rimaneva -e rimaneisolata con i propri strumenti e la propria operatività: presumendo di sommarla
a quella altrui, così ricostituendo un oggetto misterioso dopo averlo
smembrato. Il modello è quello di una sommatoria di impressioni e percezioni
separate, al di fuori di una cornice significante e di un processo di
coinvolgimento di tutti gli operatori da parte di chi deve saper leggere la
sofferenza 84.
La finalità dell'approccio medico era il recupero del tossicodipendente portandolo
all'astinenza: la somministrazione del metadone85 era uno degli strumenti utilizzati.
79
P. A. O'Hare, Prefazione. Note sul concetto di riduzione del danno, in P. A. O'Hare, R. Newcombe, A.
Matthews, E. C. Buning, E. Drucker (a cura di) La Riduzione del Danno, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1994, p. 1-2.
80
Grazia Zuffa è docente di Psicologia delle Tossicodipendenze presso l'Università di Firenze.
81
Verso un paradigma di sanità pubblica, di G. Zuffa, in «Animazione Sociale» cit., p. 11.
82
P. Rigliano, Nonostante il Proibizionismo, Edizioni Unicopli, Milano 1995, p. 26.
83
Paolo Rigliano, medico e chirurgo, nonché criminologo e psichiatra. Ha lavorato presso il Nucleo
operativo per le tossicodipendenze di Milano.
84
P. Rigliano, Nonostante il Proibizionismo cit., p. 26-27.
85
Vedi Glossario
139
In una seconda fase si vide la tossicodipendenza come un comportamento da punire e
reprimere: il tossicodipendente considerato un deviante. Questo è il modello morale, così
chiarito da Grazia Zuffa:
Per il modello morale, l'uso di droghe è attribuibile a un deficit di moralità,
(...), del consumatore: sul piano delle politiche, questo si traduce nell'approccio
penale più rigido, con il ridurre, fino ad eliminare, l'offerta di droga. E' la
strategia della war on drugs.86
La legge 162/90 sulla droga, nata come aggiornamento della legge precedente, la 685/75,
somma in sé le due visioni: medica e punitiva. Scrive Rigliano:
Una sfida continua è stata posta tra contesto di appartenenza e strutture
deputate alla cura e soprattutto al controllo, da una parte e, dall'altra, il
tossicodipendente, delinquente da reprimere/malato-da-curare, se necessario
contro la sua stessa volontà, visto che la dipendenza annulla la sua capacità di
intendere e di volere. Nello stesso tempo però, il sistema d'intervento subiva un
radicale cambiamento di funzioni e di immagine, assumendo compiti di
controllo. La dinamica creata dalla legge è quella di una contrapposizione,
irriducibile tra persona e istituzioni.(...) Si è prodotta dunque una
marginalizzazione di soggetti, respinti nella clandestinità, che è andata di pari
passo con un cambiamento della loro immagine sociale, nel senso di una
sempre più evidente criminalizzazione. Tutto questo ha provocato un'ambigua
commistione di controllo e terapia, che ha spinto sempre più i tossicomani nella
clandestinità, che a sua volta ha reso impossibile adottare misure contro la
diffusione del virus. C'è stato un aumento del numero dei tossicodipendenti in
galera, dove è facilissimo venire in contatto col virus o subire una reinfezione.
E d'altronde non si è permesso una reale emersione del fenomeno. 87
La finalità era sempre portare il tossicodipendente all'astinenza e la comunità terapeutica
(ampiamente diffusa in Italia) il luogo maggiormente deputato per raggiungere questo
scopo.88 A tal proposito, ricordiamo come esperti nazionali e internazionali di strategie
preventive indicarono fin da subito che questa legge, in cui erano previste pene più severe
per il possesso di sostanze stupefacenti, avrebbe ostacolato la lotta all'aids creando
un'epidemia sommersa.89
86
Verso un paradigma di sanità pubblica, di G. Zuffa, in «Animazione Sociale» cit., p. 10.
P. Rigliano, Nonostante il Proibizionismo cit., p. 28-29.
88
Ivi, p. 29.
89
R. Power, G.V. Stimson, J. Strang, Prevenzione delle sostanze psicotrope e stupefacenti e politica
sull'hiv, in «Bollettino per le farmacodipendenze e l'alcolismo» n-5-6, Anno XV 1992, Serie Aids, p. 121.
87
140
In questi due approcci90 si sono sviluppate e scontrate visioni differenti sul modo di agire
nel mondo della tossicodipendenza: operatori che privilegiavano la dimensione
psicologica, o contrari al metadone, favorevoli o contrari alle comunità terapeutiche,
favorevoli o contrari alla medicalizzazione della tossicodipendenza, favorevoli o contrari
alla repressione del consumo.91 Sullo sfondo di questo dibattito la lotta internazionale alle
droghe iniziato nei primi anni Ottanta, con due grandi filosofie contrapposte: il
proibizionismo e l'anti-proibizionismo.
Le strategie di riduzione del danno si inserirono in questo dibattito, in Italia spesso
ideologizzato.92
Gli obiettivi delle strategie di riduzione del danno partono dall'assunto che nonostante anni
di politica sulle droghe di tipo proibizionistico i tassi di tossicodipendenza nella
popolazione giovanile non sono diminuiti e che ampio è il numero di soggetti che non si
avvicinano ai servizi per le tossicodipendenze, primo fra tutti i Ser.t93 (dove vengono
proposti strumenti terapeutici eterogenei). La strategia di riduzione del danno indica la
necessità di modulare l'intervento: sia rispetto ad una gerarchia dei danni e dei rischi sia
rispetto alle caratteristiche dell'uso di droga e dell'individuo.94 L'evento Aids nel tentativo
di frenare la diffusione dell'infezione tra i tossicodipendenti (visti anche come ponte per la
trasmissione nella popolazione generale) ha dato impulso alle strategie di riduzione del
danno a livello internazionale. 95 In Italia i dubbi, i limiti, le critiche ai modelli di intervento
basati sulla visione medica e sulla visione repressivo-punitiva portata avanti dalla legge
162/90 sono stati fattore di forte attivazione di quegli approcci che si avvicinavano alla
limitazione del danno. Con il referendum del 18 aprile 1993, che depenalizzò il consumo
90
Per ulteriori approfondimenti rimandiamo a:
L. Pepino, Introduzione. Riduzione del danno e «caso italiano», in P. A. O'Hare, R. Newcombe, A.
Matthews, E. C. Buning, E. Drucker (a cura di) La Riduzione del Danno cit. , p. V-XII.
91
P. Rigliano, Nonostante il Proibizionismo cit., p. 29-31.
92
Scriveva Leopoldo Grosso (responsabile del settore accoglienza del Gruppo Abele) nel 1994: « Un rischio
tutto italiano è che la riduzione del danno non venga valutata, di volta in volta, per quello che offre, in base
al pragmatismo che le è proprio, ma diventi vittima di imprigionamenti ideologici. La riduzione del danno
non rappresenta l'ennesima nuova svolta nella politica per le tossicodipendenze. Non si caratterizza come
monorisposta al problema, né come risolutrice di situazioni là dove altri interventi hanno fallito. E'
semplicemente un insieme di strumenti in più, riconducibili ad un'attenzione, soprattutto sanitaria, ai rischi
in cui le persone tossicodipendenti incorrono nel periodo di uso ed abuso delle droghe. Non esistono
strumenti “conservatori” ed altri “progressisti”. La riduzione del danno non è né “di destra” né di “sinistra”,
così come non lo è lo strumento comunità terapeutica.»
L. Grosso, Postfazione. Riduzione del danno e liberazione dalla droga: un'alleanza possibile, in P. A.
O'Hare, R. Newcombe, A. Matthews, E. C. Buning, E. Drucker (a cura di) La Riduzione del Danno cit.,
p. 274.
93
Vedi Glossario
94
P. Rigliano, Nonostante il Proibizionismo cit., p. 116-117.
95
Scriveva nel 1994 P. O'Hare (in qualità di Direttore del Mersey Drug Training and Information Centre,
cioè uno dei centri di trattamento per tossicodipendenti nella regione britannica del Merseyside): « Il
concetto di riduzione del danno è divenuto di uso comune alla fine degli anni '80 in risposta a due particolari
emergenze. La prima era la diffusione dell'infezione da HIV tra i consumatori di droghe per via iniettiva (..)
La seconda, il sospetto che le strategie che avevamo adottato per far fronte al consumo di droghe avevano
aggravato il problema invece di contenerlo».
P. A. O'Hare, Prefazione. Note sul concetto di riduzione del danno, in P. A. O'Hare, R. Newcombe, A.
Matthews, E. C. Buning, E. Drucker (a cura di) La Riduzione del Danno cit., p. 1.
141
di sostanze stupefacenti, si aprirono spazi più ampi per l'implementazione di questa
strategia. 96
Gli obiettivi principali della riduzione del danno sono:
- raggiungimento delle fasce sommerse di tossicodipendenti e riduzione del loro numero,
-riduzione dei rischi di infezione da hiv, da epatiti e da altre patologie connesse alla
tossicodipendenza,
-riduzione delle morti per overdose,
-riduzione del numero complessivo dei consumatori e dei consumatori spacciatori,
-riduzione della microcriminalità,
-aumento dei soggetti in trattamento presso i servizi,
-diminuzione dei tossicodipendenti in carcere e tutela della loro salute,
-l'incremento quantitativo e qualitativo dei dati epidemiologici sul territorio.97
Specifica Rigliano:
E' possibile definire e concettualizzare la strategia di rdd (Riduzione del danno)
secondo una scala di livelli, dal minimo al massimo, dopo c'è solo il passaggio
a strategie fuori dal proibizionismo:
1) distribuzione di materiale con unità di strada;
2) distribuzione nel servizio di preservativi e siringhe;
3) distribuzione di metadone a bassa soglia, a tutti coloro con cui non si riesce
a concordare un programma “più emancipativo”;
4) distribuzione anche di metadone con unità di strada;
5) distribuzione di eroina con prescrizione medica.98
Esistono più filosofie sottese agli interventi da compiere nel campo delle strategie di
riduzione del danno e in campo internazionale si sono visti esempi assai differenti. Alla
base di ognuno di questi interventi si mira alla protezione della salute fisica del
tossicodipendente da attuarsi attraverso una sua responsabilizzazione, di cui la conoscenza
degli effetti della sostanza stupefacente utilizzata è uno dei primi passi, e non si propone
come fine l'astinenza.99
L'accettazione di tale modello è stato abbastanza trasversale nel panorama italiano. Ma
forti sono state le prese di posizioni fortemente contrarie.
96
P. Rigliano, Nonostante il Proibizionismo cit, p. 116.
R. De Facci (a cura di), Droga in Frontiera, promosso da C. N .C.A.(Coordinamento Nazionale delle
Comunità di Accoglienza), Comunità Edizioni, Capodarco di Fermo (AP) 1997, p. 76-77.
P. Rigliano, Nonostante il Proibizionismo cit., p. 113-114.
98
P. Rigliano, Nonostante il Proibizionismo cit., p. 114.
99
Ivi, p. 112-113.
97
142
Alcuni medici vedono la riduzione del danno coerente con un modello medico che
interpreta l'uso di droghe come tossicomania causata da un danno biologico: in particolare
con l'utilizzo del metadone come sostitutivo dell'eroina.100
I propugnatori del proibizionismo sono fortemente contrari ad ogni misura di riduzione del
danno, in quanto ritengono che ogni concessione ad essa porterebbe ad una maggiore
accettazione delle droghe e ad una loro legalizzazione101.
Il campo dell'antiproibizionismo esprime una maggiore eterogeneità di vedute rispetto alla
riduzione del danno.
Per alcuni antiproibizionismo e riduzione del danno non sono la stessa cosa: le misure di
riduzione del danno nella sua versione medica, la depenalizzazione e la decarcerizzazione
sono solo tappe intermedie verso la legalizzazione dell'uso delle sostanze stupefacenti. Un
esponente di tale tendenza, espressa fin dal 1991, è Marco Taradash del Partito Radicale
Italiano.102
Per altri antiproibizionismo e strategie di riduzione del danno sono strettamente connesse
nella progettazione di forme di legalizzazione delle droghe. Esponente di questa tendenza
è stato fin dai primi anni Novanta Manconi (senatore dei Verdi nel 1996 ).103
Molti operatori dei servizi sociali, comunità terapeutiche e gruppi di lavoro sulla
tossicodipendenza hanno propugnato le strategie di riduzione del danno.104 Altre, a dire il
vero una parte abbastanza massiccia e importante (le comunità di Don Mazzi, di don
Benzi, di don Picchi) hanno osteggiato tali strategie in quanto ritengono che la riduzione
del danno impedisca al tossicodipendente di subire tutti quei danni derivanti
dall'assunzione delle droghe capaci di fargli prendere coscienza della necessità
dell'astinenza. La riduzione del danno in tale visione sarebbe solo una tolleranza della
tossicomania che non porterebbe al recupero.105
Nel maggio del 1989 il governo italiano non firmò una risoluzione presentata dai Ministri
della Sanità Cee che raccomandava di rendere disponibili aghi e siringhe nel quadro di
un’iniziativa politica di riduzione del danno. Il motivo indicato fu che l'Italia si apprestava
a varare una legge (la 162/90) che penalizzava il possesso di droghe e quindi non poteva
aderire ad un'iniziativa che promuoveva ufficialmente un mezzo indispensabile per un atto
illegale. In seguito però nel 1990 la risoluzione fu approvata anche dall'Italia e, alla
risoluzione si aggiungeva l'opportunità di rendere disponibili siringhe di nuovo tipo, ossia
100
Ivi, p. 124.
Ivi, p. 126.
102
Ivi, p. 125-126.
103
Ivi, p. 124-125.
104
R. De Facci (a cura di), Droga in Frontiera cit., p. 75-80.
105
P. Rigliano, Nonostante il Proibizionismo cit p.124
101
143
autobloccanti (che potevano essere utilizzate una sola volta, impedendo in tal modo il loro
riutilizzo)106.
La prima iniziativa istituzionale verso la riduzione del danno fu il decreto di finanziamento
nel 1990 da parte del Ministro De Lorenzo della produzione e commercializzazione delle
siringhe autobloccanti. A tutt'oggi queste siringhe non sono mai state né finanziate né
commercializzate107.
La prima iniziativa di riduzione del danno volta ad impedire specificatamente la
trasmissione dell'hiv fu attuata nel 1991 dalla Lila di Milano: un'unità di strada finanziata
dalla Provincia di Milano e condotta in collaborazione il Ser.T della Ussl 57 della Regione
Lombardia.108 L'iniziativa prevedeva la distribuzione di siringhe e di profilattici: si
prefiggeva di attuare un'indagine conoscitiva della realtà di intervento. Da quel momento
presero avvio, con delle forti differenze locali, le collaborazioni tra le associazioni di lotta
all'aids e soprattutto delle associazioni che si occupavano dei tossicodipendenti con le Ussl
e i Ser.t locali per progetti di sperimentazione di distribuzione di profilattici, di siringhe, di
informazioni su come rendere le siringhe sterili e su come gestire gli effetti delle sostanze,
e sui trattamenti terapeutici disponibili per chi desiderasse intraprenderli. Però, è solo dopo
il referendum del 1993 che le strategie di riduzione del danno hanno sempre più coinvolto
gli interventi portati avanti dai Ser.t e dalle Usl locali. Nella seconda metà degli anni
Novanta vi sono state diverse iniziative al riguardo: con forti differenze locali e le unità di
strada sono state spesso la via più seguita.109
Forte oppositore alle strategie di riduzione del danno fu il ministro della Sanità del
governo Berlusconi, Raffale Costa.110 Già nel 1992, in qualità di ministro per gli Affari
Regionali nel governo Amato, aveva bocciato una legge della regione Umbria che
permetteva l'installazione di macchinette scambia siringhe.111 La brevità del governo
Berlusconi non ha permesso di mettere in atto decisioni che bloccassero i programmi
106
C. Vetere, L'infezione da HIV nella legislazione sanitaria dei Paesi membri dell'OMS, in «Bollettino per
le farmacodipendenze e l'alcolismo» Numero Speciale Aids, Anno XXI 1998 n. 4, p. 321.
107
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 54.
108
P. Rigliano, Nonostante il Proibizionismo cit , p. 204.
109
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 181.
110
In un intervista rilasciata al «Giornale di San Patrignano» nel 1994 il ministro Costa si esprimeva in
questi termini riferendosi alla riduzione del danno: « Per me è una soluzione complessivamente negativa,
che qualcuno accetta, di cui qualcuno si accontenta.»
Droga: che succede ora? , di C. Forquet in «Il Giornale di San Patrignano», Anno X, n. 59, Luglio/Agosto
1994, p. 6.
111
Alcuni comuni hanno scelto di installare macchinette scambia siringhe nei punti di maggior spaccio
soprattutto per contrastare il fenomeno delle siringhe abbandonate.
Nel 1990, sottolineamo, dall'amministrazione comunale di Modena fu installata la prima macchinetta
scambia siringhe in Italia: una siringa nuova per una siringa vecchia consegnata. Il sindaco Alfonsina
Rinaldi, membro del comitato per l'applicazione della legge antidroga del Ministro Jervolino, spiegò che il
suo no alla droga era fermo e che l'iniziativa aveva la funzione di tutelare la salute dei cittadini contrastando
il diffondersi della sieropositività e di togliere dalla circolazione le siringhe abbandonate per strada o nei
parchi. In tale città si era già tentato un primo approccio di scambio di siringhe nella sede del CTST
(Coordinamento tutela e salute dei tossicodipendenti), non andato a buon fine, a detta degli organizzatori
perchè il servizio era fortemente orientato al recupero e al raggiungimento dell'astinenza stabile.
Ecco il self service della siringa pulita, di R. Franchini, in «La Repubblica», 25 novembre 1990.
144
sperimentali di riduzione del danno. Con il II Progetto Obiettivo 1994-96 la Commissione
Nazionale Aids ha indicato chiaramente la necessità di promuovere programmi di
riduzione del danno sia per i tossicodipendenti (unità di strada, trattamento farmacologico
sostitutivo) sia nel mondo della prostituzione, spesso anche tossicodipendenti
(informazioni, distribuzione di preservativi, programmi volti alla conoscenza del
fenomeno prostituzione)112. In questo ultimo caso sottolineiamo che l'attenzione verso il
mondo della prostituzione fu iniziata sempre dalle associazioni di lotta all'aids: in
particolare dalla Lila, che ha tra i suoi federati alcune associazioni di prostitute.113
Con il ministro Bindi è iniziata una proficua collaborazione con le associazioni per
l'implementazione di campagne di riduzione del danno all'interno del fenomeno delle
nuove droghe sintetiche. Ma è solo alla fine del 2000 che si avranno le prime Linee guida
sulla riduzione del danno firmate dal Ministro della Sanità, Veronesi, e per la Solidarietà
Sociale, Livia Turco e indirizzate agli operatori sociali. Tra gli esperti che hanno
presieduto alla loro redazione anche Vittorio Agnoletto della Lila. Si legge nel testo di
presentazione:
Oggi nessuno più contesta la necessità che al centro dell'interesse dei servizi,
sia pubblici che del volontariato e privato sociale, per i consumatori di droghe,
ci debba essere la “persona” con i suoi problemi e le sue esigenze.(...) Il
riferimento alla centralità della persona può sembrare un concetto abusato,
ripetendosi spesso nelle dichiarazioni di intenti, e di fatto sarebbe rimasto un
semplice auspicio se in questi anni un crescente numero di operatori, in Italia e
in Europa, non avessero, tra difficoltà di ogni genere, perseguito l'obiettivo di
aiutare tutte le persone con problemi di droga nell'ottica di “ridurre i danni” e i
rischi che caratterizzano il consumo di stupefacenti. Una strategia che appare
oggi ancor più indispensabile adottare non solo per aiutare chi usa eroina e ha
gia sviluppato una dipendenza, ma anche per costruire percorsi possibili verso
l'universo giovanile dei “nuovi utilizzi” e nuovi comportamenti rischiosi,
evitando il ripetersi di stigmatizzazioni e pericolose emarginazioni. 114
112
Decreto del presidente della Repubblica ,7 aprile 1994, Approvazione del progetto-obiettivo «AIDS
1994-1996», in Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la
prevenzione e la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 572.
113
P. Rigliano, Nonostante il Proibizionismo cit , p. 97.
114
Ministero della Sanità, Linee guida sulla riduzione del danno, Roma Novembre 2000, p. 3.
Consultabile presso Centro Studi Gruppo Abele, Torino, collocazione C4518
145
Cap 9 - Aids e Carcere -
9.1
La diffusione dell’aids nelle carceri
Un aspetto interessante da analizzare è quello della diffusione dell'epidemia nei
penitenziari italiani visti i dibattiti e le discussioni avutesi in Italia già dagli anni ottanta.
Discussioni e dibattiti, sia in campo politico che sociale, che mettevano in luce i problemi
che una patologia complessa dal punto di vista medico-sociale come l’aids o la
sieropositività innescavano in una comunità totale come il carcere.
In Italia, nel rispetto integrale dei dettami della legge 135/90, lo screening sierologico
anche nelle carceri non è obbligatorio, ma è basato sul consenso informato e volontario.
Molto probabilmente i dati ufficiali disponibili riflettono una realtà sottostimata nelle
infezioni da HIV.
I dati forniti dal DAP (Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria) indicano che la
popolazione giornalmente residente nel 1990 era di circa 25.000 unità contro le 56.000
circa del 2003: mentre nello stesso periodo la prevalenza dei detenuti che si dichiara
tossicodipendente per via endovenosa si è mantenuta stabile (tra il 25-30%). La
popolazione detenuta straniera ha subito nello stesso periodo un cospicuo incremento
passando da 10.072 detenuti del 1990, pari al 15,3% di tutti i detenuti nuovi giunti, a
31.873 nuovi giunti stranieri (38,5%) del 2003.
Nel corso degli anni si è registrato un decremento proporzionale dei test eseguiti sul totale
dei detenuti passando da circa il 49% del 1991 al 32,5% del 2003(con variazioni
considerevoli sia in ambito regionale che locale dei detenuti che si sottopongono al test).
La prevalenza di positività nei test effettuati ha subito un decremento nel corso degli anni,
passando da un 9,7% nel 1990 a un 2,6% nel 2003. Anche la prevalenza di positività per
HIV nei detenuti tossicodipendenti è passata dal 32,6% nel 1990 al 8,1% nel 2003.
Dall’elaborazione di uno studio condotto dal DAP, su una percentuale maggiore di
screening sierologico rispetto quello ufficiale, si stima che il numero dei sieropositivi
giornalmente detenuti negli istituti penitenziari italiani sia di 4-5000 unità. I dati ufficiali
del DAP indicano che i detenuti con diagnosi di Aids, per effetto delle modifiche apportate
dalla Corte Costituzionale nel 1994 alla legislazione in vigore dal 1990, sono aumentati dal
1,6% del 31/12/1990 al 11,9% del 31/12/2002.
I nuovi casi di AIDS notificati al Coa sono diminuiti nel corso degli anni passando da 280
nel 1993 a 101 nel 2002.
Per quanto riguarda la sierologia effettuata sui detenuti stranieri si può dire che il tasso di
infezione si aggira su un valore del 3.7-3,9% alla fine del 2002.1
Come abbiamo indicato, parlando dei test obbligatori e per categorie, le problematiche
legate alla detenzione sono entrate nel dibattito sulle misure da intraprendere per
fronteggiare l'epidemia. Il numero rilevante di tossicodipendenti negli Istituti penitenziari
italiani ha posto all'attenzione del legislatore, degli operatori penitenziari, delle
1
S. Babudueri, G. P. D'Offizi, G. Stagnini, L'infezione da HIV nel sistema penitenziario italiano, in F.
Dianzani ,G. Ippolito, M. Moroni (a cura di ) Aids in Italia 20 anni dopo cit., p-129-135.
146
associazioni e delle forze politiche, la questione aids-carcere. Il sovraffollamento2 delle
carceri italiane e il numero in aumento dei tossicodipendenti e delle persone sieropositive3
hanno posto nuove sfide sia per la prevenzione sia per l'assistenza. Le associazioni di lotta
all'aids hanno insisto sulla necessità di porre in atto campagne di formazione per gli
operatori sanitari e di informazione per la popolazione carceraria. Spesso tali programmi
furono eseguiti con collaborazioni tra le prigioni e le associazioni4.
9.1
Prevenzione e problemi delle persone sieropositive
I problemi principali per le persone sieropositive riguardavano:
1) la mancata riservatezza in molte occasioni del risultato del test, nonostante l'art. 5 della
legge 135/90, obbligasse alla tutela del risultato. Ciò poteva innescare, in un ambiente
sovraffollato, atteggiamenti discriminatori con reazioni molto forti da parte degli altri
detenuti5. Al riguardo evidenziamo che la paura di reazioni incontrollate da parte dei
detenuti fu alla base della circolare dell'Amministrazione penitenziaria che impedisce alle
persone sieropositive le attività di lavoro legate alla manipolazione e distribuzione di
generi alimentari6
2) i problemi derivanti dalla condizione di tossicodipendenza per quanto concerne l’attività
di riabilitazione e dello scambio di siringhe e di circolazione della droga nelle carceri.
Questi problemi sono stati spesso sollevati dalle associazioni di lotta all'aids nel periodo da
noi considerato, 7in particolare dopo l'approvazione della legge 162/90 sulle droghe. Le
2
Tra il 1990 e il 1994 la popolazione carceraria è raddoppiata : da circa 25 mila e 500 unità a circa 50 mila e
700 a fronte di una disponibilità di posti di 35 mila 500 rimasta invariata e tollerabile fino a 42 mila 900
posti circa.
D. De Martino, L'AIDS in carcere, in F. Dianzani, G. Ippolito, M. Moroni (a cura di) Il Libro Italiano
dell'Aids cit., p. 105.
3
Nel 1987 i tossicodipendenti sul totale della popolazione carceraria erano circa il 17%, nel 1990 il 28%,
nel 1991 il 32%, nel 1992 il 31% e nel 1994 superavano il 30%. Alla fine del 1991 un rilevamento
epidemiologico individuava circa un 9% di detenuti con infezione da hiv: circa 2700 detenuti . Di questi ,
400 avevano manifestazioni cliniche evidenti e 48 erano in Aids conclamato. Ma si reputava fosse una realtà
sottostimata per la volontarietà del test.
D. De Martino, L'AIDS in carcere cit., Tabella 1 e 2, p. 105-106.
Il problema droga e Aids, equipe Centrale dell'Amministrazione penitenziaria (a cura di), in «NUOVA
POLIZIA E RIFORMA DELLO STATO», n. 2, febbraio 1992, p. 26-27.
4
Battaglie civili e progetti concreti contro l'aids, in «Aspe» n. 10, 25 maggio 1992, p. 7
5
Scrive D. De Martino, della Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, citando una indagine
effettuata dai D.A.P. (Dipartimento dell' Amministrazione Penitenziaria): « Secondo lo studio effettuato dai
D.A.P., nella quasi totalità degli Istituti l'esito del saggio diagnostico viene comunicato al direttore; in oltre la
metà dei penitenziari è comunicato anche al personale sanitario, nella persona del maresciallo, e
all'educatore. Solo nel 40% degli Istituti vengono informati anche lo psicologo e lo psichiatra, mentre
l'assistente sociale viene ufficialmente a conoscenza della cosa nel 30% delle prigioni. La cosa più
sorprendente non è la palese e sistematica violazione della legge, quanto la considerazione che vengono
ammesse all'informazione persone non deputate a fornire alcuna assistenza psicologica al detenuto (come
l'agente di polizia penitenziaria, per il quale conoscere lo stato di sieropositività del soggetto significa spesso
starne “alla larga”), mentre ne sono esclusi, o comunque ammessi in forma più limitata, le professionalità
elettive a un approccio psicologico, quale l'educatore, 'assistente sociale o lo psicologo».
D. De Martino, L'AIDS in carcere cit., p. 107.
6
Ivi, p. 107.
7
Scrive Agnoletto: « Un altro tema spigoloso, sempre taciuto o scarsamente evidenziato, è quello della droga
in carcere; nelle carceri italiane è possibile procurarsi l'eroina mentre è quasi impossibile procurasi una
147
perplessità maggiori riguardavano l'impostazione repressiva della legge che, nonostante
fosse nata per colpire lo spaccio8, finiva per aumentare il numero dei tossicodipendenti
all'interno del sistema carcerario9. In Italia, nonostante le richieste della Lila, del Gruppo
Abele e di altre associazioni di distribuzione di siringhe, l'Amministrazione Penitenziaria
non ha preso in considerazione tali programmi: in ciò omologandosi alla prassi seguita
quasi ovunque nei penitenziari delle nazioni occidentali. I motivi portati per escludere la
possibilità di tali programmi sono stati: a) illiceità del consumo di sostanze stupefacenti nel
nostro ordinamento e quindi l'impossibilità di promuoverlo istituzionalmente, b)
naturalmente, la negazione della circolazione di droghe nei penitenziari c) la possibilità di
utilizzare le siringhe come armi contro la polizia penitenziaria. 10
Parimenti le associazioni hanno richiesto la distribuzione di preservativi ai detenuti in
considerazione dei presunti rapporti omosessuali. L'amministrazione penitenziaria non ha
avallato tali programmi seppure non negandoli esplicitamente. Scrive De Martino:
L'amministrazione penitenziaria si è guardata bene dall'impartire esplicite
direttive al riguardo, ma, di fatto, la distribuzione dei profilattici è preclusa. Si
è sostenuto che un atteggiamento diverso comporterebbe la legittimazione
dell'omosessualità in carcere, ovvero legittimerebbe una condotta che integra
un'ipotesi di reato posto che la cella è considerata, per giurisprudenza costante,
luogo aperto al pubblico, cosicché il rapporto sessuale tra detenuti
configurerebbe il reato di “atti osceni in luogo pubblico”.(...) Più seriamente, si
è ritenuto che la distribuzione istituzionale dei profilattici, avallando e
incoraggiando l'omosessualità, non sarebbe coerente con la scelta di una
politica del trattamento, che valorizza le relazioni con l'ambiente esterno e che
incoraggia il reinserimento. A tali affermazioni può però contrapporsi la
considerazione che non esistono prove che la distribuzione di profilattici
incoraggi l'omosessualità, mentre c'è l'assoluta certezza che la loro disponibilità
impedisce la trasmissione del virus.11
L'amministrazione penitenziaria si è anche espressa chiaramente contro l'isolamento della
persona sieropositiva, in ciò seguendo le direttive Cee.12
Le decisioni dell'Amministrazione Penitenziaria italiana erano in linea con quelle di altre
nazioni dell'area occidentale per quanto riguardava le siringhe mentre invece si
distanziavano per i preservativi. Infatti, da alcune indagini, condotte nei primi anni
Novanta, nelle carceri nei paesi dell'area occidentale si evinceva che in nessuno, tranne per
un progetto a Montreal, era permessa la distribuzione di siringhe. Però in alcuni paesi si
accettava la distribuzione di disinfettanti. Molto più diffusa era la distribuzione di
preservativi ( in 26 paesi era accettata come pratica). Per quanto riguarda l'isolamento esso
era praticato in alcune carceri Usa.13
siringa pulita; il risultato è scontato: il sistema penitenziario italiano è oggettivamente corresponsabile della
diffusione del virus HIV tra la popolazione detenuta ».
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 393.
8
La legge annullava il concetto della modica quantità della impostazione precedente per introdurre quello di
“dose media giornaliera” : in tal modo si presumeva lo spaccio al di sopra di un determinato quantitativo. Fu
voluta da Craxi, molto probabilmente per accapparrarsi il voto dei moderati.
9
“Limitare il danno” anche in carcere, di C. Sorgi, in «Aspe» n. 4, 17 marzo 1992, p. 14.
10
D. De Martino L'AIDS in carcere cit., p. 109.
11
Ibid.
12
Ibid.
13
Aids e prigioni, in « Bollettino per le farmacodipendenze e l'alcolismo» n-5-6, Anno XV 1992, Serie Aids,
p. 69.
148
3) l'inadeguatezza del servizio sanitario penitenziario ad occuparsi dei bisogni assistenziali
dei malati di aids, da cui la necessità, in condizioni spesso difficili, del supporto dei reparti
di malattie infettive.14
9.2
Incompatibilità tra aids e carcere
Su un punto le associazioni e l'Amministrazione penitenziaria furono fin dall'inizio
concordi: l'impossibilità a gestire una patologia tanto complessa come l'Aids attraverso il
servizio sanitario penitenziario. Vi era il rischio concreto che il regime carcerario avrebbe
aggravato le già precarie condizioni della persona ammalata, a causa delle fatiscenti
strutture infermieristiche e della scarsa igiene, e si era consci della incapacità di fornire
un'assistenza valida e continuativa come richiedeva la patologia. Nelle preoccupazioni
dell'Amministrazione Penitenziaria, anche se non palesemente manifestate, vi era anche la
necessità di venire incontro alle paure di contagio che molti operatori penitenziari e reclusi
avevano manifestato nei confronti delle persone in Aids.
A tal fine la Commissione Nazionale Aids fu interpellata fin dal 1988 dal Direttore degli
Istituti di pena, Nicolò Amato, su quale strategia adottare. Nel marzo del 1989 essa si
pronunciò per l'incompatibilità del regime carcerario per le persone in Aids conclamata e la
necessità del loro ricovero ordinario nei reparti di malattie infettive o dove possibile in day
hospital.15
L'Autorità giudiziaria espresse molte cautele sulle possibili scarcerazioni per il timore che
le persone rilasciate, di cui la maggior parte tossicodipendenti, potessero una volta tornate
in libertà compiere atti illeciti e manifestarono dubbi sui luoghi di destinazione dei malati.
Il ministro di Grazia e Giustizia chiese alla Commissione di fornire ai giudici indicazioni
chiare per poter valutare le condizioni di salute delle persone ammalate.
Nel maggio del 1989 la Commissione ribadì la necessità di ritenere incompatibili con il
sistema carcerario le persone in Aids conclamato.16
Invitò i giudici a tenere presente nella valutazione il caso singolo e di non attenersi
strettamente alle classi di Aids conclamato come figuravano nella classificazione
internazionale: essa era stata elaborata a fini epidemiologici e spesso non rispecchiava la
realtà del quadro clinico.17
L'applicazione di questa indicazione portò ad esiti difformi sul territorio nazionale nelle
scarcerazioni. Per tale motivo il ministro di Grazia e Giustizia chiese alla Commissione
Nazionale un'indicazione chiara dei parametri da seguire nella valutazione dei casi. Nel
14
D. De Martino L'AIDS in carcere cit., p. 107.
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995), cit., p. 363.
16
Ricordiamo che sono stati classificati diversi stadi di Aids e che quando si parla di Aids conclamato si
intendono delle classi di riferimento precise stabilite fin dai primi anni della malattia e recepite in Italia nel
1987: VI, B, C1;D. Senza entrare nello specifico, ciascuna classe indica la manifestazione di un quadro
clinico che si basa sia sulla presenza di una o più patologie opportunistiche, sia sul conteggio dei T- Cd4 o
anche Cd4. I Cd4 sono le cellule del sistema immunitario(linfociti) colpite e distrutte dal virus Hiv. Una loro
diminuzione indica un peggioramento delle condizioni della persona sieropositiva. Una persona in condizioni
di salute normale ha un numero di Cd4 per mmc (millimetro cubico) di sangue di 800-1200. Solitamente
sotto una soglia di 200 Cd4 iniziano a manifestarsi le malattie opportunistiche più gravi. Ma già prima di
raggiungere questa soglia si ha un peggioramento del quadro clinico: è la fase denominata per lungo tempo,
Arc (Aids Related Complex ossia Complesso che si accompagna all'aids).
17
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 364.
15
149
marzo del 1992 essa stilò un documento (n. 42) in cui indicò che i criteri clinici e
epidemiologici dovevano essere integrati con altri di natura biologica più idonei a
fotografare le condizioni di salute dell'ammalato.18
Tale documento proponeva l'assoluta l'incompatibilità per i casi che presentavano: a) un
deficit immunitario pari o inferiore ai 100/mmc di Cd4; b) infezioni opportunistiche gravi
in atto; c) tumori con localizzazioni gravi viscerali; d) la sindrome AIDS dementia
complex (sindrome da demenza correlata all'aids).19
Sia le associazioni sia il ministero di Grazia e Giustizia espressero la necessità di procedere
non con una semplice circolare ma con un atto legislativo che fornisse un criterio unico di
valutazione. Per le associazioni il criterio unico serviva a tutelare il malato dalla
discrezionalità del giudice. La Consulta del volontariato ritenne che fissare la soglia per
l'incompatibilità a 100 Cd4 non fosse corretto in quanto già a 200 si manifestavano gravi
patologie che il regime carcerario avrebbe soltanto favorito nel loro infausto decorso.20La
Commissione Nazionale Aids fissò questo limite perchè preoccupata dal numero di
persone che sarebbero potuto uscire dal carcere e quindi aggravando la già drammatica
mancanza di posti letto21. Infatti, come abbiamo visto, al 1992 i lavori di edilizia sanitaria
non erano ancora stati attuati.
La Consulta chiese che i malati di Aids rilasciati non fossero ghettizzati in reparti appositi
all'interno delle strutture ospedaliere, come era emerso da alcune indagini. Inoltre bocciò la
proposta del ministro della Salute De Lorenzo di utilizzare per i detenuti con hiv/aids gli
ospedali militari, in quanto si rischiava di creare un circuito sanitario di second'ordine e di
non essere in grado di fornire le terapie e attrezzature sperimentali. Chiese un maggiore
finanziamento per l'assistenza extraospedaliera (case alloggio.)22
Nel settembre del 1992 da parte di alcuni deputati della sinistra e dei radicali fu presentato
un disegno di legge di modifica della legge 135/90 (quindi da inserire negli interventi
urgenti per fronteggiare l'aids) che accoglieva le proposte delle associazioni.23
Nel luglio del 1992 il governo aveva presentato un decreto di modifica del codice di
procedura penale in cui si stabiliva: a) il divieto di custodia cautelare per la persona
sieropositiva, quando essa si fosse trovata in una delle situazioni di incompatibilità con lo
stato di detenzione come da decreto emanato dai ministri di Grazia e Giustizia e della
Sanità. Il giudice poteva disporre il ricovero provvisorio in un'idonea struttura del Sistema
Sanitario Nazionale, adottando se necessario provvedimenti idonei a prevenire la fuga e,
cessate le esigenze, disporre gli arresti domiciliari; b) la sospensione della pena per i casi di
incompatibilità; c) lo stanziamento di fondi per l'attivazione dei posti letto necessari. 24
La Consulta del Volontariato chiese un maggiore automatismo nella decisione della
scarcerazione o della sospensione della pena e di fissare un limite di tempo entro cui il
magistrato avrebbe dovuto pronunciarsi. Contestò la visione che vedeva nell'ospedale una
18
Ivi, p. 365.
Documento n. 42 “ Valutazione in merito alla compatibilità del regime carcerario per gli ammalati di
Aids”
Il ministero sulla compatibilità, in «Aspe» n. 10, 28 maggio 1992, p. 6.
20
Commentò al riguardo Agnoletto: « sul piano clinico sotto i 100 T Cd4 è come dire zero, e la scelta sembra
quindi poco giustificata scientificamente».
Novità su carcere e Aids, ma è una vittoria a metà, in «Aspe» n. 10, 28 maggio 1992, p. 6.
21
Ibid.
22
Ibid.
Carcere e Aids, decreto inefficace, in «Aspe» n. 14, 30 luglio 1992, p. 8-9.
23
Proposta di Legge n. 1585“Modifiche alla legge 5 giugno 1990, n. 135, in materia di provvedimenti per i
malati terminali di AIDS nelle carceri e per l'assistenza alle persone affette da AIDS” , XI Legislatura,
presentata il 21 settembre 1992
24
Decreto legge n. 335 del 13 luglio 1992 “Disposizioni urgenti concernenti l'incremento dell'organico del
Corpo di polizia penitenziaria ed il trattamento dei persone detenute affette da infezione” in « Gazzetta
Ufficiale della Repubblica Italiana », n. 164, 14 luglio 1992.
19
150
tappa obbligata per la scarcerazione e chiese fondi per l'assistenza domiciliare e per
soddisfare i bisogni abitativi e sociali dei detenuti rilasciati. 25
Nel maggio del 1993 il Governo emanò un decreto, convertito nella legge n. 222 del 14
luglio 1993, sull'incompatibilità di Aids e carcere. Con esso si stabilì il divieto di custodia
cautelare per la persona sieropositiva in cui ricorrevano le condizioni di incompatibilità
stabilite con decreto dai ministri di Grazia e Giustizia e della Sanità. Si indicò che
l'incompatibilità sussisteva, ed era dichiarata dal giudice, nei casi di “ aids conclamata o di
grave deficienza immunitaria”, mentre negli altri casi, l'incompatibilità era valutata dal
giudice in base al periodo residuo di custodia cautelare e degli effetti che sulla pericolosità
del detenuto avevano le sue condizioni fisiche. Anche per la sospensione della pena si
stabilirono gli stessi criteri e procedure.26
Nel maggio del 1993 fu emanato un decreto interministeriale27 che individuò i criteri di
incompatibilità. Per l'aids conclamato si indicava la sua definizione stabilita fin dal 1987 e
utilizzata in tutti gli ospedali. Per “grave deficienza immunitaria” si stabiliva un numero di
Cd4 pari o inferiore a 100/mmc. Per i casi di deficit immunitario soggetti alla valutazione
del giudice per determinare l'incompatibilità si stabiliva essere compreso tra i 100 e i
200/mmc di Cd4: in tal modo si accoglievano in parte le richieste delle associazioni.
Come abbiamo detto i tribunali di sorveglianza avevano espresso forti perplessità
sull'incompatibilità. Essi temevano che non fosse tutelata la collettività dagli episodi di
microcriminalità che avrebbero potuto innescarsi con il rilascio dei detenuti malati. Un
primo attacco all'impianto della legge del 1993 venne da Torino. Infatti, nel 1994 la Corte
Costituzionale si pronunciò sul ricorso presentato dal Tribunale di sorveglianza di Torino
che riteneva illegittimo l'art. 2 della legge del 14 luglio 1993, n. 222 che prevedeva il
rinvio della pena per incompatibilità. Per il Tribunale di sorveglianza di Torino le
disposizioni palesavano una scarsa attenzione alle esigenze di tutela della collettività e un
privilegio accordato alle persone con aids rispetto ad altre patologie ugualmente gravi. La
Corte ritenne che non vi fosse incostituzionalità in quanto: a) le situazioni di pericolo non
erano determinate dal differimento della pena, bensì dalla mancanza di strumenti
preventivi che impedissero al condannato rilasciato di commettere nuovi reati; b) non
esisteva nessuna discriminazione tra malati comuni e quelli in Aids in quanto, per i
secondi, le disposizioni giustificavano un trattamento particolare essendo incentrate sulla
necessità di salvaguardare il bene della salute nello specifico contesto dell'ambiente
carcerario. Il rinvio della esecuzione di pena per le altre malattie aveva lo scopo di venire
incontro alle esigenze del singolo, mentre nel caso dei malati di aids la finalità era la tutela
della popolazione carceraria.28
L'orientamento della Corte fu a favore della tutela della popolazione carceraria. Scrive De
Martino a commento della sentenza:
25
Carcere e Aids, decreto inefficace, in «Aspe» n. 14, 30 luglio 1992, p. 9.
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e
la lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit. p. 366.
Legge n. 222 del 14 Luglio 1993 “Disposizioni urgenti relative al trattamento di persone affette da infezione
da Hiv e di tossicodipendenti” in «Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana» n. 163, 14 luglio 1993.
27
Decreto interministeriale del 25 maggio 1993 “Definizione della condizione di incompatibilità con lo stato
di detenzione per le persone con infezione da HIV” in «Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana» n. 130,
5 giugno 1993
28
Sentenza del 21 febbraio-3 marzo 1994 n. 70 della Corte Costituzionale, in «Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana» n. 11, 6 marzo 1994.
Relazione sull'attuazione della legge concernente il programma di interventi urgenti per la prevenzione e la
lotta contro l'aids ( anni 1987-1995) cit., p. 367.
26
151
La Corte Costituzionale sembra dunque adottare un orientamento del tutto
contrastante con quello che ispirava la legge del 199029, che incentrava la
normativa sulla valenza individuale della malattia e aveva di mira
essenzialmente l'interesse dell'ammalato. Le nuove affermazioni evidenziano
invece(...) un'inversione di tendenza verso la protezione della comunità dei
sani. Ma queste argomentazioni non paiono condivisibili: la tutela della
collettività carceraria non è argomento da prendere in considerazione, sia
perchè, come si è più volte ribadito, per la comunità detenuta come per la
comunità esterna non vi sono occasioni di contagio se si evitano i
comportamenti a rischio, sia perchè, se l'esigenza da tutelare fosse questa, la
scarcerazione dovrebbe allora essere disposta anche per i sieropositivi
asintomatici, allo stesso identico modo in grado di trasmettere l'infezione. 30
Nel 1995 sull'onda emotiva degli episodi di microcriminalità della cosiddetta “Banda
dell'Aids”31 ci fu un grosso dibattito sulla legge di incompatibilità tra aids e carcere tra
detrattori e favorevoli. Alcuni esponenti di An (Alleanza Nazionale) chiesero la pena di
morte per quegli individui che lo Stato non era in grado di controllare e si fossero
macchiati di crimini particolarmente gravi32. La Commissione Nazionale Aids propose
modifiche alla legge del 1993 aumentando il valore soglia (sopra i 200 Cd4) entro cui far
scattare l'automatismo della scarcerazione. In tal modo si riteneva possibile rimettere in
libertà solo le persone più malate garantendo loro il diritto alla cura e ad una morte
serena33.
Dal canto loro le associazioni ritennero che la legge andasse mantenuta e che gli episodi
verificatisi fossero da imputare alla mancanza di stanziamenti per attività di assistenza
extra-ospedaliera, in particolare di assistenza domiciliare, e di sostegno con attività
alternative ai reparti di malattie infettive. Puntarono il dito sia verso i ritardi di attuazione
delle opere di edilizia sanitaria stabiliti dalla legge 135 sia verso la mancanza di
stanziamenti per centri di accoglienza, di sostegno psicologico e sociale.34
Riportiamo un articolo apparso in quei giorni su “La Repubblica” che coglie alcuni aspetti
interessanti del dibattito e della natura della legge del 1993:
Come è noto una legge del 1993 ha stabilito che le persone condannate o in
stato di custodia cautelare affette da Aids conclamata o portatrici di grave
deficienza immunitaria, devono essere immediatamente scarcerate,
riconoscendo così il diritto di questi malati senza speranza di essere assistiti,
curati e di morire in libertà. Questa civilissima e umana scelta legislativa è però
nata con un vizio di origine, di cui ora stiamo pagando le conseguenze.
Malgrado i consapevoli e premonitori avvertimenti della Lila(...) la nuova
disciplina è stata soprattutto ispirata dalla paura dal contagio della comunità
carceraria (operatori penitenziari e detenuti sani). Nella relazione ministeriale
alla legge non compare tanto l'esigenza di assistere e curare in libertà questi
malati, quanto la preoccupazione di purificare-bonificare l'ambiente
carcerario(...).Sotto questo punto di vista, la legge del 1993 riflette il generale
atteggiamento socio-culturale nei confronti dell'Aids: rimuovere e allontanare
29
La legge 135/90 del 5 giugno 1990
D. De Martino, L'AIDS in carcere cit., p. 108.
31
Così definiti due detenuti scarcerati per la legge sull'incompatibilità tra aids e carcere che agli inizi del
1995 si resero protagonisti di una serie di rapine nel torinese. Catturati furono nuovamente scarcerati sempre
per la legge sull'incompatibilità e nuovamente posero a segno altre rapine. La vicenda fu molto seguita dai
media.
32
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 390.
33
“La banda dell'aids diventa un film negli Usa”, di M. Novelli, M. Trabucco, in «La Repubblica», 9
settembre 1995.
34
L' aids in carcere, di L. Manconi, in «La Repubblica», 7 giugno 1995.
30
152
la tragedia dei malati dalla società dei normali e dei sani. Cadute nel vuoto le
istanze della Lila perchè la legge fosse accompagnata dalla realizzazione di
strutture di accoglienza, di cura, di accompagnamento verso l'invitabile esito
della malattia (i settemila posti letto per malati di Aids previsti da un legge del
1990 sono ancora in gran parte sulla carta e le case-alloggio sono per ora
soltanto una quarantina), gli affetti dal virus scarcerati sono stati
semplicemente scaricati dalla prigione e buttati nella società libera, segnati dal
doppio stigma di emarginazione e di colpa di essere nello stesso tempo autori
di reato e malati di aids.(...) Si stanno così scontrando due paure e due volontà
di esclusione e di rimozione: della comunità carceraria, che è riuscita a liberarsi
di questi malati, e della società libera, che di fronte alla scarcerazione dei
malati di Aids ha denunciato la creazione di una categoria di “intoccabili”, di
cui è stata di fatto riconosciuta una totale immunità penale, con conseguente
sacrifico delle esigenze di tutela della collettività dal delitto.(...) La via di uscita
è quella, ripetutamente indicata dalla Lila e da Don Ciotti del gruppo Abele, di
una responsabile presa in carico da parte della società e delle istituzioni di tutti
i casi di infezione da Hiv, mediante apposite strutture di accoglienza e di
appoggio e, se del caso, del ricovero.(...) La legge del 1993 consente di
sostituire al carcere gli arresti domiciliari, che possono essere disposti anche in
case-alloggio o residenze collettive, ove più facili, più efficienti e meno onerosi
sarebbero i controlli nei confronti di quei pochi malati che hanno dimostrato
una forte propensione a continuare a delinquere.35
Come si vede il fallimento di attuazione dei lavori di edilizia sanitaria e il mancato
coordinamento tra centro e regioni per la conoscenza dei posti di assistenza extraospedaliera disponibili, condizionavano politiche che travalicavano il solo settore sanitario.
Nuovamente l'aids aveva mostrato le debolezze della società e i pericoli per i diritti
individuali e della collettività che potevano derivare da scelte legislative miopi, non
supportate da interventi diretti sul piano sociale e strutturale, come la legge del 1993.
Nel corso del 1995 due sentenze della Corte Costituzionale abrogarono di fatto la legge
sull'incompatibilità tra aids e carcere. Finì il meccanismo dell'automatismo e si stabilì che i
casi di incompatibilità erano soggetti alla discrezionalità del giudice: spettava al magistrato
valutare caso per caso, tenendo anche conto delle strutture disponibili36. Forti furono le
proteste delle associazioni, che lamentavano la possibilità di molti abusi nelle decisioni dei
giudici37. Esse riuscirono ad ottenere nel 1999 una nuova legge che ristabilì
l'incompatibilità tra aids e carcere. La nuova legge stabilì che se il detenuto scarcerato si
fosse macchiato di qualche reato sarebbe tornato in carcere. Al giudice fu lasciato il potere
discrezionale di rifiutare le misure alternative ai detenuti che pur rientrando nei casi di
incompatibilità fossero considerati ad alta pericolosità sociale. La legge fu estesa anche ad
altre patologie oltre all'aids.38
35
Malati di Aids a piede libero, di G. Neppi Modona, in «La Repubblica», 9 agosto 1995.
Sentenza del 18 Ottobre 1995 n. 438 della Corte Costituzionale, in «Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana» n. 44, 25 ottobre 1995.
Sentenza del 18 Ottobre 1995 n. 439 della Corte Costituzionale, in «Gazzetta Ufficiale della Repubblica
italiana» n. 44, 25 ottobre 1995.
37
V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 391.
38
Legge n. 231 del 12 Luglio 1999 “Disposizioni in materia di esecuzione della pena, di misure di sicurezza
e di misure cautelari nei confronti di soggetti affetti da AIDS conclamato o da grave deficienza immunitaria
o da altra malattia particolarmente grave” , in « Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana », n. 167, 19
luglio 1999.
Per una panoramica V. Agnoletto, La Società dell'Aids cit., p. 394.
36
153
Conclusioni
Analizzando la risposta italiana all'epidemia di aids abbiamo visto che essa è venuta a
strutturarsi a partire dagli anni 86-87. Prima di allora, a parte le circolari che riguardavano i
centri trasfusionali le iniziative si erano svolte soprattutto a livello locale, nelle città
maggiormente colpite. In questo periodo, le poche associazioni nate avevano iniziato le
prime campagne di prevenzione cercando il coinvolgimento delle amministrazioni
comunali. Le sollecitazioni dei medici e l'allarme provocato dalla propagazione tra i
tossicodipendenti, a cui si aggiungevano i problemi derivanti dal sovraffollamento
carcerario, hanno indotto il ministro Donat Cattin a intraprendere una prima risposta
nazionale. Risposta nazionale necessaria proprio per la complessità dei problemi sollevati
dall'aids, e non affrontabili meramente a livello locale: carcere, tossicodipendenza,
campagne di prevenzione, problemi legati alle discriminazioni e alla riservatezza dei dati
diagnostici, il problema dell'assistenza e le necessità della ricerca.
Il ritardo nella risposta italiana è comune anche a molti altri paesi europei: basti pensare
che la maggior parte delle campagne nazionali iniziano solo verso la fine del 1986 e l'inizio
del 1987. Tali ritardi vanno imputati spesso all'incertezza derivante dai dati epidemiologici
o al rifiuto di un'azione politica verso una malattia che era ritenuta colpire soltanto gruppi
di popolazione marginale1.
La prima risposta nazionale che si è venuta a determinare è stata molto timida se la
paragoniamo alla risposta francese, ove a partire dal 1987 vi è stato un coinvolgimento
attivo delle istituzioni e la creazione di organismi ad hoc.2
La scelta italiana di creare una Commissione Nazionale di esperti, come era già avvenuto
in Belgio, indicava la volontà di affrontare le problematiche portate dall'Aids soprattutto
attraverso quella che è stato definita una visione “bio-medica”. Ciò aveva come
conseguenza, come più volte abbiamo notato, che il ministro della Sanità demandava alla
Commissione le decisioni, che finivano per assumere spesso una natura politica perchè
riguardavano anche altri Dicasteri. Abbiamo visto ciò sia nel caso delle richieste di test sui
carcerati avanzati dal ministro di Grazia e giustizia sia nello stabilire i criteri per
l'incompatibilità tra aids e carcere. La Commissione Nazionale, però, è stato un organo
debole, senza alcun potere in grado di incidere direttamente sulle condizioni che
limitavano o impedivano le strategie di lotta all'epidemia, soprattutto a causa della sua
funzione di organo consultivo direttamente alle dipendenze del ministro della Sanità.
Pur non intendendo svalutare l'importante ruolo della Commissione, vogliamo sottolineare
come questo tipo di risposta, seppure valida per quanto attiene la necessità di conoscere,
mappare, comprendere le esigenze portate da una patologia così complessa, ha finito per
non dare luogo ad un'azione globale su tutti i problemi strutturali italiani che necessitavano
per la loro risoluzione di una forte e decisa azione politica.
Il mancato coordinamento con il Comitato Interministeriale ha quindi inciso pesantemente
sulla risoluzione di alcuni dei problemi strutturali che abbiamo indicato (mancato
coordinamento centro-periferia, carenze strutture sanitarie, assenza di controlli sulla
edilizia sanitaria), finendo per dilazionare gli urgenti interventi necessari o proponendo
soluzioni miopi come il caso della legge di incompatibilità tra aids e carcere.
1
B. A. Misztal, D. Moss, Conclusion, in B. A. Misztal, D. Moss (edited by), ACTION ON AIDS National
Policies in Comparative Perspective cit., p. 236.
2
J. Foyer, L. Khaïat, Droit et Sida: la situation française, in J. Foyer, L. Khaïat (dirigé par) Droit e Sida
Comparaison internationale , CNRS DROIT, Paris 1992, p.215-217.
154
Guardando il rapporto della Commissione con i ministri, abbiamo visto che con Donat
Cattin alcuni temi ritenuti importanti da alcuni dei suoi membri (come quello del safe sex e
del profilattico come corollario) hanno portato all'allontanamento di coloro che non erano
in linea con le idee del ministro.
Se consideriamo a tal proposito la situazione francese, dopo le prime incertezze del
governo socialista sulle scelte politiche da intraprendere, in virtù soprattutto di calcoli
politici visto l'approssimarsi delle elezioni del 1987, il nuovo governo gollista ha preso in
mano direttamente la problematica aids, permettendo la vendita delle siringhe senza
necessità di prescrizione medica e togliendo il bando alla pubblicità del preservativo:
divieti che esistevano fino ad allora e tolti proprio per dare un indirizzo forte alla lotta
contro l'aids3.
Se paragoniamo tale decisione alle incertezze governative della prima fase riguardo il
preservativo e in seguito con la proposizione della legge 162/90 sulle tossicodipendenze, si
vede chiaramente come gli indirizzi portati dal governo agissero in controtendenza con le
richieste della Commissione di una forte pubblicità del preservativo e dell'attuazione di
strategie di riduzione del danno e indicassero anche un tentennamento dei governi in carica
verso azioni ritenute impopolari dalla propria base elettorale.
La scelta di una commissione di esperti, per la maggior parte medici, ha determinato,
almeno inizialmente il mancato coinvolgimento delle associazioni e dei movimenti sociali
nella predisposizione delle strategie: ciò ha portato a non riconoscere la dimensione sociale
e a sopravvalutare la dimensione medica del fenomeno aids. Solo con De Lorenzo vi è
stato un riconoscimento, seppure ancora in forma tiepida, dell'esperienza del privatosociale.
Il mancato coinvolgimento delle associazioni nella prima risposta nazionale all'epidemia ha
determinato un'ambiguità nei messaggi delle prime due campagne di prevenzione:
soprattutto quella operata sotto il ministro Donat Cattin.
Stupisce che il ministro abbia, a proposito delle polemiche scaturite dalla sua lettera alle
famiglie italiane, reagito accusando di essere oggetto di una polemica di stampo laicista.
Stupisce se pensiamo al ruolo da lui ricoperto di tutore della salute pubblica in uno stato
laico; forse stupisce molto di meno se vediamo in lui semplicemente un uomo politico alle
prese con la sua base elettorale e soggetto alle forti pressioni che subiva a tal proposito
dalla Santa Sede.
Notiamo al riguardo che in altri paesi di tradizione cattolica, quali la Francia e la Spagna,
le Chiese nazionali hanno presentato un profilo più defilato rispetto al Vaticano, spesso
non ingerendosi nelle campagne preventive che proponevano il preservativo come misura
di profilassi4.
Se guardiamo agli anni gestiti dal ministro Donat Cattin dobbiamo esprimere sul suo
operato un giudizio ambivalente. Da una parte ha dimostrato tutto l'imbarazzo della
vecchia classe politica democristiana verso questa nuova malattia, che veniva dagli Usa
con i suoi slogan di sesso sicuro e con il nuovo protagonismo gay, così sconosciuto nella
realtà italiana e che richiedeva di parlare di sessualità in modo chiaro e aperto: il sesso
vecchio tabù dei democristiani. Questo imbarazzo può essere uno dei motivi, non
confessati, del ritardo della prima campagna televisiva.
3
M. Pollak, Aids Policy in France: Biomedical Leadership and Preventive Impotence, in B. A. Misztal, D.
Moss (edited by), ACTION ON AIDS National Policies in Comparative Perspective cit., p. 86-89.
4
Ivi, p. 90.
Per quanto riguarda la situazione spagnola, l'influenza della Chiesa Cattolica si è fatta sentire nella prima
campagna preventiva. Dopo di allora la Chiesa si è tenuta più distante dalle questioni politiche relative
all'aids. Solo le autorità ecclesiastiche più conservatrici continuano ad esprimere la loro contrarietà
all'incoraggiamento del preservativo.
Dalla “peste” al silenzio? Aids & giovani. Rapporto del progetto Pammy (Prevention of Aids through Mass
media among Mediterranean Youth) cit., p. 125.
155
Dall' altra parte, Donat Cattin ha avuto il merito di dare vita alla prima risposta nazionale,
con la creazione della Commissione Nazionale Aids, nonostante i suoi limiti di potere, e
dal punto di vista della ricerca ha svolto una prima azione coordinatrice. Se invece
guardiamo all'efficacia della sua azione verso l'implementazione di quel modello
eccezionalista, che andava costituendosi negli altri paesi occidentali e che richiedeva un
coinvolgimento delle associazioni e delle categorie a maggiore esposizione di trasmissione,
egli si è mosso completamente in controtendenza. In controtendenza perchè non solo si è
inimicato con le sue esternazioni le associazioni di lotta all'aids e l'emergente movimento
gay, ma soprattutto si è spesso arroccato sulle sue decisioni e visioni della società senza
metterle a confronto con chi probabilmente meglio conosceva la situazione della patologia
e dei suoi problemi.
D'altro canto, va ricordato come egli non abbia approfittato dell'emergenza Aids per
arricchire se e il suo partito con tangenti, come invece ha fatto il suo successore.
Per quanto riguarda la gestione De Lorenzo, egli ha avuto grossi meriti: innanzitutto ha
dato il via alle strutture portanti del modello eccezionalista, quali una politica di inclusione
e coinvolgimento delle associazioni sia per l'attività di prevenzione sia per la presa in
carico dei malati. In secondo luogo sotto il suo dicastero è stata emanata la legge 135/90,
tesa a porre rimedio alle carenze degli ospedali italiani e che ha recepito la necessità di
interventi multidisciplinari nell'affrontare una malattia come l'aids: oltre ai reparti
ospedalieri, una grossa spinta verso i day hospital, l'assistenza domiciliare e i servizi per i
tossicodipendenti e per le malattie sessualmente trasmissibili. Inoltre nella legge era
presente l'intenzione di coinvolgere l'intera società attraverso alcuni elementi di
decentramento degli interventi a livello locale. I pur timidi esperimenti di riduzione del
danno attuati sotto il suo ministero e il confronto diretto con le associazioni hanno portato
allo sviluppo di strategie nuove nell'affrontare l'epidemia che si paleseranno meglio e più
profondamente nella seconda metà degli anni novanta. A inficiare la positività di questo
giudizio vi è l'aver approfittato degli ingenti fondi stanziati per l'emergenza Aids per
ottenere tangenti.
Per quanto concerne i problemi legati al test, abbiamo visto che la posizione italiana si è
mossa in linea con le indicazioni europee: quindi, facendo affidamento sulla responsabilità
individuale ed escludendo qualsiasi screening alle frontiere, proponendo un test
consensuale, anonimo, ed escludendo qualsiasi categoria obbligatoriamente assoggettabile
(in esso non rientrano i donatori di sangue, per cui si considera abbiano dato il loro
consenso, e le forze armate e di polizia, nel cui caso però, abbiamo visto, non è stato
emanato il decreto che stabilisce i casi ritenuti a rischio nell'espletamento delle loro
mansioni). Questa posizione, che è uno dei capisaldi del modello eccezionalista che si è
venuto a determinare, è stata fatta propria anche dagli altri paesi dell'area occidentale. Se
ne sono discostati in parte il Belgio, la Baviera, la Svezia, gli Usa e la Grecia. In Belgio nel
1987 era stato reso obbligatorio lo screening per gli studenti stranieri, visto che il maggior
numero di casi di aids era di immigrati centro-africani. Esso fu molto mitigato nella sua
formulazione originaria per la forte opposizione delle organizzazioni universitarie e dei
diritti umani5.
La Baviera ha rappresentato un caso unico nel panorama europeo: infatti, qui i test sono
stati resi obbligatori sulle prostitute, gli immigrati sospetti di essere infetti, tutti i candidati
ai pubblici uffici, dando luogo a una politica fortemente repressiva. Ciò ha determinato
forti tensioni sia con il governo federale, che ha scelto una politica in linea con i dettami
della Comunità Europea, sia con la stessa Comunità Europea6.
5
B. A. Misztal, D. Moss, Conclusion cit., p. 237.
M. Pollak, Aids in West Germany: Coordinating Policy in a Federal System, in B. A. Misztal, D. Moss
(edited by), ACTION ON AIDS National Policies in Comparative Perspective cit., p. 129-131.
6
156
In Svezia l'aids è stato inserito tra le malattie veneree e quindi soggetto alla pratica del
contact tracing.7
Negli Usa, come abbiamo visto, è stato istituito un bando immigratorio sugli immigrati
sieropositivi e le reclute americane sono soggette a test obbligatorio e in alcuni stati i
carcerati sono sottoposti a test obbligatorio. Anche la Grecia ha imposto il test obbligatorio
sui reclusi.8
Nel dibattito italiano una forte preoccupazione ha riguardato il problema della riservatezza
del dato diagnostico. Una preoccupazione sentita in modo particolare dai partiti politici
della sinistra italiana. Già con la proposta di legge Rodotà e poi con gli art. 5 e 6. della
legge 135/90 la sinistra ha ritenuto che una politica globale di interventi dovesse indicare
chiaramente la tutela della persona sieropositiva sia nell'ambiente sanitario sia lavorativo o
scolastico: in ciò palesando pienamente la richiesta di inclusione, di avvicinamento, di
fiducia nei servizi e di non discriminazione come richiedeva quel modello eccezionalista
cha si andava formando in Italia. Notiamo che il problema dell'inserimento di specifici
articoli per la tutela della persona sieropositiva non è stato preso in considerazione né dal
governo né dalla Commissione Nazionale Aids: ciò depone nuovamente per la mancanza
di una scelta politica precisa nel modello bio-medico che si era venuto ad instaurare.
Anche in Italia, come abbiamo visto, si sono palesate richieste di “politiche degli steccati”,
in particolare dal Msi e dalla destra della Democrazia Cristiana. Esse non hanno però
trovato fautori al di là di questi gruppi: essendo state ritenute da più parti forme inutili per
combattere l'epidemia e fortemente discriminatorie. Le richieste di test obbligatorio per i
carcerati portate dal Direttore degli Istituti Penitenziari, oltre che frutto di paure
ingiustificate sulla trasmissione e della esigenza di conoscere l'estensione dell'epidemia per
predisporre l'assistenza, sono state il riflesso del sovraffollamento delle carceri italiane.
Per quanto riguarda le politiche di Riduzione del Danno, la legge 162/90 sulle
tossicodipendenze, l'impreparazione culturale della classe politica italiana, divisa in modo
ideologico tra proibizionisti e antiproibizionisti, le resistenze di fette consistenti delle
comunità terapeutiche, non hanno permesso che fossero introdotte precocemente, come è
avvenuto in altri paesi europei, esperienze in tal senso. L'impulso è venuto dalle
associazioni di lotta all'aids e del privato sociale vicine al mondo della tossicodipendenza:
gli anni 92-94 sono stati un forte laboratorio di linguaggi, strumenti, strategie portando ad
una concezione nuova del tossicodipendente (prima di tutto “persona”) e ad una migliore
conoscenza dei fenomeni. Probabilmente senza l'aids la situazione sarebbe ancora ferma
alla finalità dell'astinenza propria delle comunità terapeutiche, con l'abbandono a sé dei
soggetti incapaci o non desiderosi di intraprendere questo cammino.
Quanto all'associazionismo italiano legato all'aids, esso è molto diverso da quello
statunitense e francese: in particolare, pur essendovi stati alcuni esempi quali l'Asa
(Associazione Solidarietà Aids) e il Gsa (Gruppo Solidarietà Aids), non è in genere nato
nella comunità gay. A tal proposito ricordiamo che sia negli Usa sia in Francia esistono
associazioni di medici gay che hanno avuto un forte peso nella contrattazione nazionale
sulle strategie di prevenzione9.
Il movimento gay è ancora oggi molto debole, se lo paragoniamo al suo omologo Usa, e
l'Arcy-gay italiana, pur programmaticamente inserendo la lotta all'Aids tra i suoi obiettivi,
non ne ha fatto uno dei suoi principali cavalli di battaglia e nella sua azione ha cercato
alleanze politiche puntando maggiormente sui problemi della diversità in generale piuttosto
7
Prevenzione dell'Aids. Le prospettive internazionali e nazionali della lotta contro l'AIDS. Sintesi critica
della legislazione, in « Bollettino Farmacodipendenze e Alcolismo» XV(5-6) 1992, p. 59-64.
8
B. A. Misztal, D. Moss, Conclusion cit., p. 244.
9
M. Pollak, Aids Policy in France: Biomedical Leadership and Preventive Impotence cit., p. 83-84.
157
che focalizzare l'attenzione sull'aids negli omosessuali. Ciò ha permesso sicuramente una
maggiore visibilità per le due associazioni principali di lotta all'aids: la Lila e l'Anlaids.
Esse hanno posto attenzione ai diritti delle persone sieropositive, alle necessità della
ricerca, ai bisogni assistenziali dei malati e dei tossicodipendenti, sperimentando spesso
strategie innovative.
Le associazioni, seppure non ai livelli di integrazione avutesi in Germania10, in Spagna11
sono riuscite a interagire, dopo il periodo iniziale di chiusura con Donat Cattin, con le
istituzioni politiche, grazie soprattutto ai legami con le organizzazioni e i partiti politici
della Sinistra. La loro azione si è svolta nel richiedere alle istituzioni di impegnarsi nella
lotta all'aids e di farsi carico dei problemi ad esso inerenti. In Italia non si sono visti gli
esempi di GMHC (Gay Men Health Crisis) o del London Lighthouse in Gran Bretagna12
dove la comunità gay ha creato centri specialistici per i malati di Aids. Su ciò hanno pesato
tre motivi: 1) la mancanza di una forte comunità gay; 2) le associazioni italiane sono nate
più per finanziare la ricerca e la prevenzione, e per la tutela dei diritti; 3) i
tossicodipendenti sono stati i più colpiti e ciò ha impedito sicuramente una presa in carico
autogestita dei loro bisogni di cura. D'altro canto però il volontariato italiano ha
collaborato con il Sistema sanitario nazionale per l'assistenza domiciliare delle persone
malate.
Le associazioni italiane si sono mobilitate fortemente per contrastare qualsiasi
discriminazione nei confronti delle persone sieropositive o malate e, con la creazione della
Consulta del Volontariato Aids, nelle strategie di lotta all'aids si è potuto inserire più
profondamente il loro bagaglio esperienziale.
La diffusione dell'epidemia ha fatto affiorare all'interno del paese Italia tutta una serie di
problematiche, che sono state vissute a livello emergenziale, non solo per la mancanza di
dati certi (situazione comune ad altri paesi)13 ma soprattutto per le carenze strutturali e
amministrative italiane. Abbiamo visto lo stato di degrado e le forti differenze regionali del
Sistema Sanitario nazionale: da ciò è derivato che collocare i malati di aids esclusivamente
nei reparti di malattie infettive è stata più che una decisione coscientemente intrapresa, una
scelta obbligata, vista l'impossibilità di fornire le cure adatte per una patologia così
complessa negli altri reparti, che erano fortemente degradati. Ciò è stato differente da altri
paesi, come per esempio la Francia, ove i malati sono stati curati nei normali reparti di
degenza, affiancando ad essi forme di ospedalizzazione domiciliare14.
Inoltre la legge sull'incompatibilità tra Aids e carcere, più che per una scelta umanitaria, è
parsa dettata dall'esigenza di prevenire i rischi di forti reazioni nei confronti dei
sieropositivi o malati da parte degli altri carcerati e del personale sanitario, visto il
sovraffollamento delle carceri italiane, e soprattutto dall'incapacità del Sistema Sanitario
Penitenziario di provvedere adeguatamente alla cura dei malati. A ciò va aggiunto
l'incapacità di offrire agli scarcerati non solo letti idonei ma anche strutture abitative e
riabilitative, vista la mancata attuazione della legge 135/90.
Tale ritardo nell'attuazione della legge 135/90 ha palesato i problemi di controllo e di
gestione nel rapporto tra il centro e la periferia, e ha sottolineato che gli strumenti di
supervisione messi in atto si sono rilevati più che mai inefficaci: il Comitato
10
Dove vi è stato un fortissimo finanziamento alle associazioni di volontariato e una forte presa in carico
delle loro esigenze nell'implementazione delle strategie preventive .
M. Pollak, Aids in West Germany: Coordinating Policy in a Federal System cit., p. 125-127
11
Dalla “peste” al silenzio? Aids & giovani. Rapporto del progetto Pammy (Prevention of Aids through
Mass media among Mediterranean Youth) cit., p. 125-126.
12
Per una panoramica sul centro London LightHouse inglese rimandiamo a :
M. Rizzi, F. Suter, Evoluzione dell'assistenza alle persone con infezione da hiv, in F. Dianzani, G. Ippolito,
M. Moroni (a cura di), AIDS in Italia 20 anni dopo cit., p. 141.
13
B. A. Misztal, D. Moss, Conclusion cit., p. 236.
14
J. Foyer, L. Khaïat, Droit et Sida: la situation française cit., p. 299.
158
Interministeriale non ha avuto alcuna funzione di indirizzo e coordinamento, lasciando
l'iniziativa in mano ad alcune regioni più forti e determinate, e dando luogo, in tal modo a
forti differenze regionali nell'implementazione delle strutture sanitarie. Un esempio
dell'inconsistenza del compito di controllo e coordinamento affidato al Comitato
Interministeriale è stato anche l'introduzione del test di screening obbligatorio alle forze di
polizia, subito dopo che la legge 135/90, voluta dal Governo, aveva stabilito il divieto di
richieste di qualsiasi test in ambito lavorativo.
In sostanza, se guardiamo al modello eccezionalista venutosi a creare in Italia possiamo
dire che dopo il primo imbarazzo iniziale e alcune richieste in controtendenza ad esso da
parte di alcuni dicasteri, esso è venuto a strutturarsi soprattutto a partire dalla legge 135/90.
L' Italia ha scelto la linea della solidarietà verso i malati e indicato delle procedure
legislative atte ad impedire le discriminazioni, ha perseguito sempre più una politica di
inclusione delle associazioni e dei gruppi maggiormente a rischio, di cui uno dei frutti
maturi è l'istituzione del I° Progetto Aids sociale nel 1994.
Purtroppo abbiamo visto come il concetto di responsabilità individuale, elemento portante
del modello eccezionalista, è stato in qualche modo ostacolato dalla difficoltà italiana di
una chiara educazione sessuale in ambito scolastico.
Le contrattazioni tra i tre protagonisti principali hanno fornito, insomma, il modello entro
cui le problematiche legate all'aids saranno affrontate nella seconda decade dell'epidemia,
ampliando e approfondendo tutti gli aspetti sociali così importanti in una patologia legata
alla trasmissione comportamentale.
159
Glossario
A.I.D.S: l’acronimo Acquired Immunodeficiency Syndrome, indica una serie di quadri
clinici ritenuti causati in modo quasi unanime dal mondo medico - scientifico
dall'infezione dell'organismo umano con il con il virus HIV (Human Immounodeficency
Virus).Fu coniato nell'estate del 1982 dalla task force dei CDC di Atlanta che indagava
sugli inconsueti, nuovi quadri patologici riscontrati, a partire dal 1981, su alcuni giovani
omosessuali.
Prima dell'acronimo, la nuova malattia aveva avuto altre denominazioni: GRID, GayRelated Immune Deficiency oppure il Cancro dei gay
Dal 1982 l'acronimo fu accettato universalmente. Dal 1984 l'Aids si definisce “ una
patologia infettiva grave- a lunga incubazione e a decorso protratto- che provoca uno stato
marcato di deficienza delle difese immunitarie, causata dal virus HIV”( in effetti, prima
dell'adozione internazionale di tale sigla il virus era chiamato HTLV-III o Lav). Nella
tabella I sono indicate le patologie indicative di Aids.
Tabella I
Patologie indicative di Aids
Fonte: M. Piazza, M. D'Abbraccio, Storia naturale dell'infezione da Hiv, in F. Dianziani,
G. Ippolito, M. Moroni ( a cura di), Il Libro Italiano dell'AIDS cit., tabella 2, p.155
-Candidosi di bronchi, trachea, polmoni
-Candidosi esofagea
-Carcinoma invasivo della cervice *(incluso dal 1993)
-Coccidioidomicosi, disseminata o extrapolmonare
-Criptococcosi extrapolmonare
-Criprosporidiosi intestinale cronica (durata maggiore di un mese )
-Malattie da Cytomegalovirus (CMV) eccetto localizzazioni epatica, splenica e linfonodale
-Retinite da CMV (con perdita della vista)
-Encefalopatia HIV-correlata (AIDS-dementia complex)
-Herpes simplex: ulcera/e cronica/che di durata>1 mese; o bronchite, polmonite o esofagite
-Istoplasmosi,disseminata o extrapolmonare
-Isosporiasi intestinale cronica ( durata> 1 mese)
-Sarcoma di Kaposi
-Linfoma di Burkitt ( o termine equivalente)
-Linfoma immunoblastico ( o termine equivalente)
-Linfoma primario del cervello
-Mycobacterium avium complex o M.kansasii, disseminati o extrapolmonari
-Mycobacterium tuberculosis, qualsiasi localizzazione (polmonare *(inclusa dal 1993) o
extrapolmonare)
-Mycobacteria, altre specie o specie non identificate, disseminate o extrapolmonari
-Polmonite da Pneumocystis carinii
-Polmoniti batteriche ricorrenti *( inclusa dal 1993)
160
-Leucoencefalite multifocale progressiva
-Setticemia ricorrente da salmonelle
-Toxoplasmosi cerebrale
-Wasting syndrome dovuta ad HIV
Anticorpi: proteine dirette contro vari agenti esterni (virus, batteri, proteine delle
vaccinazioni). Ci proteggono dalle infezioni. Nel caso dell'hiv la presenza di anticorpi
verso il virus non significa protezione.
Arc: Aids related complex: un complesso di sintomi e segni clinici correlati all'infezione
Hiv.Questa sigla viene utilizzata per indicare la fase precedente all'Aids conclamata
Azt: Zidovudina o azidotimidina; è il primo farmaco utilizzato contro la replicazione virale
dell'Hiv.
Biopsia: prelievo di una porzione di tessuto o di organo al fine di sottoporla ad esami
medici.
Carica virale: vedi Viremia.
Categorie a rischio: nei primi tempi dell'Aids venivano considerati categorie a rischio gli
omosessuali, gli utilizzatori di droghe per via endovenosa, le persone sessualmente
promiscue, i politrasfusi. Oggi il concetto di categoria a rischio è superato e si preferisce
parla di comportamento a rischio (vedi). Gli spagnoli parlano di categoria esposta.
CDC: Center for Disease Control : ente statunitense per il controllo delle malattie infettive.
Ha sede ad Atlanta.
Cd4 o T4: sottopopolazione di linfociti(vedi); hanno funzioni molto importanti per il
sistema immunitario in quanto presiedono alla sua regolazione. Il virus hiv colpisce in
particolare queste cellule immunitarie.
Cd8 : sottopopolazione di linfociti (vedi) che hanno funzione di difesa nel sistema
immunitario. Un’inversione nel rapporto Cd4/Cd8 indica la possibilità di un danno al
sistema immunitario.
Citomegalovirus o CMV: virus causa di un’infezione che colpisce l'occhio, i polmoni e
l'intestino. La sua azione è particolarmente grave nei malati di Aids.
Co-fattore: ciò che contribuisce ad accrescere la possibilità di contrarre e sviluppare una
malattia.
Comportamenti a rischio: tutte le azioni che favoriscono la diffusione delle infezioni. Lo
scambio di siringhe e i rapporti sessuali senza preservativo sono comportamenti a rischio
di infezione da Hiv(vedi).
Dementia Complex: sindrome neurologica correlata all'infezione da Hiv.
161
Dépistage: ricerca ed evidenziazione di dati relativi a casi e fenomeni scientifici o sociali,
condotta secondo criteri su un gruppo di individui.
DNA: Acido desossiribonucleico. E' il portatore dell'informazione genetica per tutti gli
organismi.
Emofilico: individuo affetto da emofilia, una malattia di origine ereditaria (colpisce solo i
maschi ed è trasmessa dalle madri). L'emofilia, che si manifesta con frequenti emorragie, è
dovuta alla mancanza di sostanze nel sangue indispensabili per la coagulazione. L'emofilia
si cura con i derivati del sangue, in particolare il fattore VIII e IX (vedi). Gli emoderivati
possono contenere i virus provenienti dai donatori e quindi trasmettere malattie, tra cui
l'aids.
Endemia: manifestazione morbosa di malattia a carattere diffusivo, circoscritta a un
limitato territorio.
Enzima: proteina prodotta da una cellula. Serve per accelerare le reazioni chimiche che
avvengono all’interno di una cellula.
Epidemia: manifestazione improvvisa di malattia a carattere estensivo, o con un'elevata
incidenza, in un certo luogo ed in un determinato periodo di tempo.
Epidemiologia: studio delle cause della comparsa, della scomparsa o del diffondersi delle
malattie.
Eziologia: lo studio delle cause delle malattie.
Eziopatogenesi: indagine sul modo in cui è iniziata e si è sviluppata una malattia.
Fattore VIII e XI: preparati di emoderivati per la cura dell’emofilia (vedi Emofilico).
Fda: Food and Drug Administration, Ente Usa per il controllo degli alimenti e dei farmaci.
Farmaci antiretrovirali: farmaci che agiscono sui retrovirus impedendone la replicazione.
HAART: Highly Active Antiretroviral Therapy, terapia utilizzata contro l’infezione da hiv
a partire dal 1995 e basata sulla combinazione di tre farmaci principali che agiscono su
processi differenti e fondamentali della replicazione virale. Abbassano il livello di viremia
(vedi) e permettono il ripristino dei Cd4 (vedi).
Hiv: Human Immunodeficiency Virus: virus dell'immunodeficienza umana. E' il
responsabile dell'Aids. E' classificato tra i Retrovirus(vedi), ossia aventi l'RNA(vedi) come
acidonucleico e tra i Lentivirus(vedi), ossia la sua azione si svolge nel lungo periodo e
l'infezione presenta un andamento di tipo cronico. La particella virale ha un diametro di
100-110 nanometri (milionesimi di millimetri). Le cellule del sistema immunitario(vedi) in
modo principale colpite dal virus sono i Cd4 (vedi). In esse si integra e si riproduce
provocando la morte della cellula.
Immunodepressione: diminuzione delle difese immunitarie di un organismo.
162
Immunosoppressione: abolizione parziale o totale delle risposte immunitarie in un
individuo indotta da farmaci o infezioni.
Infezione opportunistica: infezione dovuta a un microrganismo generalmente ben tollerato
dall'organismo e che diventa patogeno in condizioni di immunodepressione.
Infezioni da EBV: infezione da Epstein Barr virus o mononucleosi, è un’infezione comune
alla popolazione in genere.
Las: Linfo Adenopathy Sindrome, ossia sindrome lionfoadenopatica, o linfoadenopatia
persistente generalizzata. Rappresenta uno stato di contenimento del virus da parte del
sistema immunitario. Per lungo tempo è stato uno dei sistemi di classificazione della
patologia.
Lentivirus: ciascun retrovirus (vedi) che causa malattie infettive negli animali e nell’uomo
caratterizzate da una lunga incubazione, decorso lento e spesso mortale.
Linfociti: popolazione dei globuli bianchi responsabili della regolazione del sistema
immunitario. Esistono varie sottopopolazioni.
Linfocitopenia: diminuzione del numero dei linfociti circolanti.
Metadone: composto chimico sintetico che possiede proprietà analgesiche e stupefacenti
analoghe a quelle della morfina, usato anche nel trattamento delle tossicodipendenze.
Nci: National Cancer Insitute, Istituto Nazionale dei tumori americano.
Nosologia: classificazione sistematica delle malattie.
Pandemia: malattia che colpisce tutti gli abitanti di una regione.
PCR: Polymerase Chain Reaction, complesso metodo di laboratorio che consente di
“fotocopiare” innumerevoli frammenti di DNA per analizzarli in dettaglio.
Pentamidina: farmaco utilizzato per la cura e la profilassi delle infezioni causate dal
microrganismo Pneumocystis carinii.
Periodo finestra: lasso di tempo tra l'infezione e lo sviluppo di anticorpi. Nel caso dell'Hiv
può durare fino a 6 mesi.
Placebo: ogni preparato privo di sostanze attive somministrato ad un paziente con disturbi
di origine non organica per suggestionarlo facendogli credere che si tratta di cura reale,
oppure usato in sostituzione di un farmaco per misurarne l'azione farmacologica.
Politrasfuso: chi ha subito numerose trasfusioni di sangue.
Polmonite da Pneumocystis carinii: infezione ai polmoni da un microrganismo che provoca
malattia solo in soggetti immunodepressi.
Popper: o nitrito di amile, sostanza vasodilatatrice (allarga le vene e i vasi sanguigni)
ritenuta in grado di provocare transitoriamente un potenziamento dell'erezione maschile.
163
Proteasi: enzima coinvolto nell’attività di replicazione del virus Hiv.
Profilassi: insieme di provvedimenti da realizzare per prevenire il diffondersi di una
malattia.
RNA: Acido Ribonucleico, fa parte con il Dna del sistema di riproduzione delle cellule.
Resistenza ai farmaci antiretrovirali: fenomeno per cui i farmaci non riescono più ad agire
sul virus. E’ legato a fattori diversi, in particolare alla caratteristica del virus di replicarsi
molto velocemente e commettere una serie di errori nell’attività di replicazione. Queste
nuove copie di virus con errori sfuggono all’azione delle molecole dei farmaci.
Retrovirus: tipo di virus con RNA a singola elica che, mediante transcriptasi inversa (vedi),
trasferisce l’informazione genetica dal suo RNA al DNA della cellula infetta.
Sarcoma di Kaposi: tumore maligno caratterizzato dalla comparsa di noduli rosso-violacei
sulla pelle o in organi interni.
Screening: controllo tramite test su gruppi molto estesi di popolazione.
Ser.T: Servizi per le Tossicodipendenze. Sono servizi pubblici del Sistema Sanitario
Nazionale dedicati alla cura, alla prevenzione ed alla riabilitazione delle persone che hanno
problemi conseguenti all’abuso di sostanze psicoattive (droghe o alcool) che generano
dipendenza dalle stesse.
Sieroconversione: passaggio dallo stato di sieronegatività (vedi) allo stato di sieropositività
(vedi).
Sieronegatività: indica l'assenza di anticorpi verso il virus. Ciò significa che la persona non
è stata infettata dal virus: tranne il caso che si trovi nel periodo finestra (vedi).
Sieropositività: indica la presenza nel sangue di anticorpi in reazione al virus. Per
determinarla si utilizzano i test. La presenza degli anticorpi significa che la persona è
entrata in contatto col virus hiv e può trasmetterlo ad altre persone. Normalmente entro i 6
mesi il sistema immunitario ha sviluppato gli anticorpi contro l'hiv. Se la persona è testata
nel periodo di tempo prima della comparsa degli anticorpi risulterà sieronegativa (vedi
sieronegatività) pur essendo venuta in contatto col virus. Si parla in questo caso di periodo
finestra (vedi).
Sindrome: gruppo di sintomi e segni che, quando considerati insieme, caratterizzano una
malattia.
Sistema Immunitario: costituito da cellule (globuli bianchi, macrofagi) capaci di inglobare
e digerire le sostanze estranee all'organismo ( germi, cellule).
Test (per la determinazione della sieropositività): consiste nel prelievo di un campione di
sangue e nel suo trattamento con reagenti per il virus Hiv. I più conosciuti sono l'Elisa e il
Western Blot (test di conferma).
164
Trascrittasi (o Transcriptasi) Inversa: enzima che consente ai retrovirus (vedi) di copiare le
informazioni genetiche contenute nel loro RNA e trascriverle in una molecola di DNA. Il
materiale genetico del virus, così trasformato, può inserirsi nel DNA della cellula e dare il
via alla replicazione virale.
Trial: studio di controllo su un certo numero di soggetti per verificare l’efficacia o gli
effetti collaterali di un composto farmaceutico.
Viremia: quantità di virus (numero di copie) presente nel sangue.
Virus: un organismo unicellulare che ha bisogno della cellula ospite per riprodursi e a tal
fine ne sfrutta le risorse e i componenti.
Wasting Syndrome: deperimento organico dovuto all'azione del virus
165
Appendice
LEGGE 5 GIUGNO 1990 N. 135
Piano degli interventi urgenti in materia di prevenzione e lotta all'AIDS
(Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 132, 8 giugno 1990)
Articolo 1
Piano di interventi contro l'AIDS
1. Allo scopo di contrastare la diffusione delle infezioni da HIV mediante le attività di
prevenzione e di assicurare idonea assistenza alle persone affette da tali patologie, in
particolare quando necessitano di ricovero ospedaliero, è autorizzata l'attuazione dei
seguenti interventi, nell'ambito dell'apposito piano ministeriale predisposto dalla
Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS:
a. interventi di carattere poliennale riguardanti la prevenzione, l'informazione, la
ricerca, la sorveglianza epidemiologica ed il sostegno dell'attività del volontariato,
attuati con le modalità previste dall'azione programmata del Piano sanitario
nazionale riguardante la lotta all'AIDS, e nei limiti degli stanziamenti ivi previsti
anche a carico del bilancio del Ministero della Sanità;
b. costruzione e ristrutturazione dei reparti di ricovero per malattie infettive,
comprese le attrezzature e gli arredi, la realizzazione di spazi per attività di
ospedale diurno e l'istituzione o il potenziamento dei laboratori di virologia,
microbiologia e immunologia negli ospedali, nonché nelle cliniche ed istituti
previsti dall'Art. 39 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, per un ammontare
complessivo massimo di lire 2.100 miliardi, con priorità per le opere di
ristrutturazione e con graduale realizzazione delle nuove costruzioni, secondo le
indicazioni che periodicamente verranno date dalla Commissione nazionale per la
lotta contro l'AIDS sentiti la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le
regioni e le province autonome e il Consiglio sanitario nazionale, in relazione alle
previsioni epidemiologiche e alle conseguenti esigenze assistenziali;
c. assunzione di personale medico e infermieristico a completamento degli organici
delle strutture di ricovero di malattie infettive e dei laboratori di cui alla lettera b), e
del personale laureato non medico e tecnico occorrente per gli stessi laboratori
166
negli ospedali, nonché nelle cliniche ed istituti di cui all'Art. 39 della legge 23
dicembre 1978, n. 833, a graduale attuazione degli standard indicati dal decreto
ministeriale 13 settembre 1988, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 225 del 24
settembre 1988, fino ad una spesa complessiva annua di lire 120 miliardi, a regime,
e di lire 80 miliardi per l'anno 1990;
d. svolgimento di corsi di formazione e di aggiornamento professionale per il
personale dei reparti di ricovero per malattie infettive e degli altri reparti che
ricoverano ammalati di AIDS da tenersi fuori dall'orario di servizio, con obbligo di
frequenza e con corresponsione di un assegno di studio dell'importo di lire 4
milioni lordi annui, fino ad una spesa annua complessiva di lire 35 miliardi;
e. potenziamento dei servizi di assistenza ai tossicodipendenti mediante la graduale
assunzione di unità di personale sanitario e tecnico, da ripartire tra le regioni e le
province autonome in proporzione alle rispettive esigenze, fino ad una spesa
complessiva annua di lire 38 miliardi a regime e di lire 20 miliardi per l'anno 1990;
f. potenziamento dei servizi multizonali per le malattie a trasmissione sessuale
mediante la graduale assunzione di unità di personale sanitario e tecnico, da
ripartire tra le regioni e province autonome in proporzione alle rispettive esigenze,
fino ad una spesa complessiva annua di lire 6 miliardi, a regime;
g. potenziamento dei ruoli del personale dell'Istituto superiore di sanità. Per far
fronte alle esigenze di cui al presente articolo, ai fini del raggiungimento degli
obiettivi di cui alla presente legge, le dotazioni organiche dei ruoli dell'Istituto
superiore di sanità previste dalla tabella B, quadro I lettere a) e b), quadro II lettere
a) e b), quadro III lettera a) e quadro IV, annessa alla legge 7 agosto 1973, n. 519 e
successive modificazioni, sono incrementate, a partire dal 1° gennaio 1991,
rispettivamente di 4, 20, 5, 5, 5 e 20 unità. Al relativo onere, valutato in lire 2.018,5
milioni in ragione d'anno, si provvede mediante quota parte delle maggiori entrate
di cui al successivo periodo. Le tariffe dei servizi a pagamento resi a terzi
dall'Istituto superiore di sanità sono adeguate entro il 31 dicembre 1990, con la
procedura di cui al comma terzo dell'Art. 3 della legge 7 agosto 1973, n. 519, in
modo da assicurare un gettito in ragione d'anno non inferiore a lire 10.000 milioni.
Le unità di personale di cui ai quadri II, III e IV, portati in aumento, potranno essere
reperite, in deroga alle vigenti disposizioni, mediante utilizzo delle graduatorie dei
concorsi espletati nell'ultimo quinquennio.
2. Le unità sanitarie locali, sulla base di indirizzi regionali, promuovono la graduale
attivazione di servizi per il trattamento a domicilio dei soggetti affetti da AIDS e patologie
167
correlate, finalizzati a garantire idonea e qualificata assistenza nei casi in cui, superata la
fase acuta della malattia, sia possibile la dimissione dall'ospedale e la prosecuzione delle
occorrenti terapie presso il domicilio dei pazienti. Il trattamento a domicilio ha luogo
mediante l'impiego, per il tempo necessario, del personale infermieristico del reparto
ospedaliero da cui è disposta la dimissione che opererà a domicilio secondo le stesse norme
previste per l'ambiente ospedaliero con la consulenza dei medici del reparto stesso, la
partecipazione all'assistenza del medico di famiglia e la collaborazione, quando possibile,
del volontariato e del personale infermieristico e tecnico dei servizi territoriali. Il
trattamento a domicilio, entro il limite massimo di 2.100 posti da ripartire tra le regioni e le
province autonome in proporzione alle rispettive esigenze ed entro il limite di spesa
complessiva annua di lire 60 miliardi, a regime, e di lire 20 miliardi per il 1990, può essere
attuato anche presso idonee residenze collettive o case alloggio, con il ricorso ad istituzioni
di volontariato o ad organizzazioni assistenziali diverse all'uopo convenzionate o a
personale infermieristico convenzionato che opererà secondo le indicazioni dei
responsabili del reparto ospedaliero. Le modalità di convenzionamento sono definite da un
apposito decreto ministeriale.
3. Gli spazi per l'attività di ospedale diurno, da realizzare secondo le previsioni del comma
1, lettera b), sono funzionalmente aggregati alle unità operative di degenza, nel rapporto di
un posto di assistenza a ciclo diurno per ogni cinque posti di degenza ordinari, tra loro
pienamente equivalenti agli effetti degli standard di personale. Con atto di indirizzo e
coordinamento, da emanare ai sensi dell'Art. 5 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, sono
stabiliti criteri uniformi per l'attivazione da parte delle unità sanitarie locali dei posti di
assistenza a ciclo diurno negli ospedali, con particolare riguardo ai reparti di malattie
infettive e alle specifiche esigenze di diagnosi e cura delle infezioni da HIV, nonché criteri
uniformi per l'attivazione dei servizi di cui al comma 2 e sugli organici relativi.
4. Nelle singole regioni e province autonome, gli interventi di costruzione e ristrutturazione
dei posti letto e quelli di adeguamento degli organici, entro le complessive previsioni
quantitative stabilite al comma 1, lettere b) e c), possono essere realizzati anche in altri
reparti che siano prevalentemente impegnati, secondo i piani regionali, nell'assistenza ai
casi di AIDS, per oggettive e documentate condizioni epidemiologiche.
5. Al finanziamento degli interventi di cui al comma 1, lettera b), si provvede con
operazioni di mutuo, con la BEI, con la Cassa depositi e prestiti e con gli istituti e aziende
di credito all'uopo abilitati, secondo modalità e procedure da stabilirsi con decreto del
Ministro del tesoro. I finanziamenti predetti sono iscritti in apposito capitolo dello stato di
previsione del Ministero della sanità. Alla relativa gestione si provvede con le modalità di
cui al comma 1 dell'Art. 5 del decreto-legge 8 febbraio 1988, n. 27, convertito, con
modificazioni, dalla legge 8 aprile 1988, n. 109. All'onere di ammortamento dei mutui,
168
valutato in ragione di lire 250 miliardi annui a decorrere dall'anno 1990, si fa fronte in
relazione alla mancata utilizzazione della quota di lire 3.000 miliardi autorizzata per il
1988 dal comma 5 dell'Art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67.
6. Al finanziamento degli interventi di cui al comma 1, lettere c), d) ed e), e al comma 2 si
provvede con quote del fondo sanitario nazionale di parte corrente, che vengono vincolate
allo scopo.
7. l finanziamento degli interventi di cui al comma 1, lettera f), si fa fronte con gli
stanziamenti di cui al capitolo 2547 dello stato di previsione del Ministero della sanità.
Articolo 2
Interventi in materia di costruzioni e ristrutturazioni.
1. In considerazione della eccezionale urgenza degli interventi in materia di strutture
ospedaliere per malattie infettive, sulla base del fabbisogno di posti letto per l'anno 1992
indicato nel piano triennale della Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS in
relazione all'andamento epidemiologico stimato di tale patologia, all'attuazione degli
interventi necessari si provvede con le modalità di cui al presente articolo.
2. In relazione alle indicazioni tecniche della Commissione nazionale per la lotta contro
l'AIDS, le regioni e le province autonome determinano e comunicano al Ministro della
sanità, entro il termine perentorio di 30 giorni dalla data di entrata in vigore della presente
legge, la distribuzione e la localizzazione degli interventi di ristrutturazione edilizia e di
edificazione di nuove strutture per malattie infettive. In caso di mancata osservanza del
termine, decide sulla materia il Ministro della sanità, sentita in via di urgenza la
Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS.
3. Il CIPE, su proposta del Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale,
approva entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il programma
degli interventi, suddiviso per regioni e province autonome e con l'indicazione delle
localizzazioni e del dimensionamento delle strutture da realizzare. Con la stessa
deliberazione il CIPE individua tra società con idonea qualificazione uno o più soggetti
incaricati dell'espletamento, in concessione di servizi, dei compiti organizzativi afferenti
all'esecuzione del programma. La deliberazione del CIPE è resa esecutiva con decreto del
Ministro del bilancio e della programmazione economica, di concerto con il Ministro della
sanità. La dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza è implicita per tutte le
opere indicate nel decreto. La convenzione con il soggetto o i soggetti incaricati
concessionari è stipulata dal Ministro della sanità sentito il Ministro dei lavori pubblici.
169
4. Il concessionario o i concessionari, anche mediante affidamento di incarichi
professionali, provvedono:
al compimento di tutte le operazioni preliminari, ivi compresi gli studi geologici e le
espropriazioni; alla redazione dei progetti; all'assistenza ed istruttoria relativa agli appalti;
alla direzione dei lavori, alla contabilità e all'assistenza fino ai collaudi. Il concessionario o
i concessionari rispondono, altresì, mediante la previsione di penalità contrattuali, di
eventuali carenze progettuali, nonché del rispetto dei tempi convenuti per le opere da
eseguire.
5. Il nucleo di valutazione di cui all'Art.20, comma 2, della legge 11 marzo 1988, n. 67,
esprime sui singoli progetti il parere di conformità per quanto concerne gli aspetti tecnicosanitari e di coerenza con il programma nazionale. Sui progetti predisposti dal
concessionario o dai concessionari il parere del nucleo di valutazione si estende, altresì,
alla congruità della soluzione, ai prezzi applicati, alle singole categorie di opere e ai tempi
di realizzazione.
6. Alla esecuzione degli interventi si provvede mediante contratti di appalto, previa gara da
espletarsi ai sensi dell'Art. 3 della legge 17 febbraio 1987, n. 80, tra imprese di costruzione,
anche cooperative, consorzi o raggruppamenti temporanei di imprese, in possesso dei
requisiti minimi di carattere economico-finanziario e tecnico-organizzativi ivi indicati. Per
le opere di minore consistenza e comunque inferiori a 20 miliardi o nell'eventualità di
opere da realizzare in sedi con lavori già in corso, si provvede utilizzando le più adeguate
modalità previste dalla normativa vigente in materia di esecuzione delle opere pubbliche. I
contratti di appalto devono globalmente riguardare il complesso delle opere e forniture
necessarie per il funzionamento delle strutture di ricovero e dei laboratori, comprese le
attrezzature e gli arredi, nonché gli impianti e le attrezzature inerenti ai servizi di
diagnostica per immagini ad elevata tecnologia, da realizzare, ove mancanti, nei centri
ospedalieri di più alta qualificazione.
7. Delle commissioni giudicatrici delle gare di cui al comma 6 fanno parte un
rappresentante del Ministro della sanità e un rappresentante del Ministro dei lavori
pubblici. Il Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Ministro della sanità, nomina
con propri decreti le commissioni di collaudo e assicura l'esercizio delle funzioni di alta
sorveglianza.
170
Articolo 3
Conferenze regionali
1. Per consentire l'immediata realizzazione degli interventi previsti dalla presente legge, il
Ministro della sanità promuove, d'intesa con ciascuna regione, un'apposita conferenza alla
quale partecipano i responsabili dei competenti uffici delle amministrazioni e degli enti
statali, regionali e locali comunque tenuti ad assumere atti di intesa, autorizzazioni,
approvazioni, concessioni e nulla osta previsti da leggi statali e regionali.
2. La conferenza acquisisce e valuta tutti gli elementi relativi alla compatibilità dei progetti
con le esigenze ambientali, territoriali, paesaggistiche e culturali ed entro quindici giorni
dalla convocazione si esprime su di essi nella seduta all'uopo convocata.
3. L'approvazione assunta all'unanimità sostituisce ad ogni effetto gli atti di intesa, i pareri,
le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta previsti dalle leggi statali e regionali. Ad
essa si applicano le disposizioni di cui ai commi primo, quarto e quinto dell'Art. 1 della
legge 3 gennaio 1978, n. 1 e successive modificazioni.
4. In assenza di unanimità e su motivata richiesta del Ministro della sanità, si provvede con
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio
medesimo. Tale decreto ha gli stessi effetti previsti dal comma 3.
5. Non sono comunque derogabili le norme della legge 13 settembre 1982, n. 646 e
successive modificazioni, nonché i vincoli di inedificabilità e le prescrizioni sostanziali
contenute in vincoli previsti dalle leggi in materia paesaggistica, ambientale e storicomonumentale.
Articolo 4
Norme in materia di personale.
1. Nei limiti delle dotazioni organiche e di spesa di cui all'Art. 1, comma 1, lettera c), alla
copertura di posti vacanti di personale medico e laureato nelle strutture di ricovero per
malattie infettive e nei laboratori nel triennio 1990-1992, si provvede, in deroga alle
vigenti disposizioni, mediante pubbliche selezioni regionali per titoli, da effettuarsi a cura
di apposita commissione nominata dall'assessore alla sanità della regione o provincia
autonoma e composta dallo stesso assessore o da un suo rappresentante, con funzioni di
presidente, da un professore universitario titolare di cattedra di malattie infettive, da un
rappresentante dell'ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri del capoluogo di regione
o della provincia autonoma, da un funzionario dirigente del Ministero della sanità
designato dal Ministro, da un medico di ruolo in posizione apicale, incluso nell'elenco
171
nazionale della disciplina delle malattie infettive, e da un funzionario della carriera
amministrativa della regione o provincia autonoma, con funzioni di segretario. Si
applicano alle selezioni i criteri di valutazione dei titoli previsti dalle vigenti disposizioni
per i corrispondenti pubblici concorsi, con particolare considerazione, nell'ambito del
curriculum formativo, alle attività svolte nel settore delle infezioni da HIV. Il bando per la
prima selezione è emanato, per i posti disponibili, entro 60 giorni dalla data di entrata in
vigore della presente legge. Si applica, in caso di inadempienza, il disposto di cui al
comma 2 dell'Art. 6 della legge 23 ottobre 1985, n. 595.
2. Nei limiti delle dotazioni organiche e di spesa di cui all'Art. 1, comma 1, lettera c), e in
deroga alle vigenti disposizioni, alla copertura dei posti vacanti del personale non medico
nelle strutture di ricovero per malattie infettive, nel triennio 1990-1992, si provvede
mediante pubbliche selezioni per titoli presso ciascuna unità sanitaria locale. Si applicano a
tali selezioni le norme vigenti, per i corrispondenti pubblici concorsi, in materia di
composizione delle commissioni esaminatrici e di criteri di valutazione dei titoli, con
particolare considerazione, nell'ambito del curriculum formativo, alle attività svolte nel
settore delle infezioni da HIV.
3. Le unità sanitarie locali, entro la concorrenza di spesa di cui all'Art. 1, comma 1, lettera
d), organizzano annualmente corsi di formazione e di aggiornamento per il personale che
opera presso i reparti ospedalieri di malattie infettive, con specifico riferimento ai problemi
tecnico-sanitari connessi con l'attività di assistenza, ai problemi psicologici e sociali e a
quelli che derivano dal collegamento funzionale nel trattamento a domicilio. Il Ministro
della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale, con proprio decreto disciplina
l'istituzione e l'effettuazione dei corsi, nonché le modalità di erogazione dell'assegno da
corrispondere ai partecipanti.
4. Con le stesse procedure previste dal presente articolo si provvede alla assunzione delle
unità di personale sanitario e tecnico di cui all'Art. 1, comma 1, lettera f), del personale dei
laboratori di cui all'Art. 1, comma 1, lettera b), e del personale occorrente per
l'adeguamento degli organici nei reparti di cui all'Art. 1, comma 4, utilizzando, per le
commissioni di cui al comma 1 del presente articolo, docenti universitari e medici delle
specifiche discipline.
5. Per far fronte alle esigenze assistenziali connesse agli interventi previsti dalla presente
legge e nei limiti dei posti previsti nelle piante organiche, le unità sanitarie locali possono
provvedere, in deroga alle vigenti disposizioni, all'assunzione per chiamata diretta di
infermieri professionali, con rapporto di lavoro a tempo parziale, da reperirsi tra gli
infermieri professionali in quiescenza che non abbiano raggiunto i limiti d'età per il
pensionamento. Le assunzioni per chiamata diretta sono possibili solo qualora le procedure
172
di reclutamento per titoli previste dal comma 2 non abbiano coperto le dotazioni organiche
disponibili. Il reclutamento per chiamata diretta è effettuato sulla base di graduatorie per
titoli. Il rapporto di lavoro è disciplinato con contratto di diritto privato a tempo
determinato e con la tutela previdenziale propria di tale tipo di rapporto.
6. L'assunzione ha luogo sulla base di graduatorie predisposte dai coordinatori
amministrativi e sanitari tenendo conto dei punteggi previsti dalle vigenti norme sui
pubblici concorsi per i titoli di carriera, di studio ed accademici.
7. Il trattamento giuridico ed economico del predetto personale viene definito nell'ambito
della contrattazione per il comparto del Servizio sanitario nazionale.
Articolo 5
Accertamento dell'infezione
1. Gli operatori sanitari che, nell'esercizio della loro professione, vengano a conoscenza di
un caso di AIDS, ovvero di un caso di infezione da HIV, anche non accompagnato da stato
morboso, sono tenuti a prestare la necessaria assistenza adottando tutte le misure occorrenti
per la tutela della riservatezza della persona assistita.
2. Fatto salvo il vigente sistema di sorveglianza epidemiologica nazionale dei casi di AIDS
conclamato e le garanzie ivi previste, la rilevazione statistica della infezione da HIV deve
essere comunque effettuata con modalità che non consentano l'identificazione della
persona. La disciplina per le rilevazioni epidemiologiche e statistiche è emanata con
decreto del Ministro della sanità che dovrà prevedere modalità differenziate per i casi di
AIDS e i casi di sieropositività.
3. Nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare
l'infezione da HIV se non per motivi di necessità clinica nel suo interesse. Sono consentite
analisi di accertamento di infezione da HIV, nell'ambito di programmi epidemiologici,
soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità
di pervenire alla identificazione delle persone interessate.
4. La comunicazione di risultati di accertamenti diagnostici diretti o indiretti per infezione
da HIV può essere data esclusivamente alla persona cui tali esami sono riferiti.
5. L'accertata infezione da HIV non può costituire motivo di discriminazione, in particolare
per l'iscrizione alla scuola, per lo svolgimento di attività sportive, per l'accesso o il
mantenimento di posti di lavoro.
173
Articolo 6
Divieti per i datori di lavoro
1. E' vietato ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo svolgimento di indagini volte ad
accertare nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l'instaurazione di un
rapporto di lavoro l'esistenza di uno stato di sieropositività.
2. Si applica alle violazioni delle disposizioni contenute nel comma 1 il sistema
sanzionatorio previsto dall'Art. 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300
Articolo 7
Protezione dal contagio professionale
1. Il Ministro della sanità, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge,
emana, sentiti la Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS e l'Istituto superiore di
sanità, un decreto recante norme di protezione dal contagio professionale da HIV nelle
strutture sanitarie ed assistenziali, pubbliche e private.
Articolo 8
Comitato interministeriale per la lotta all'AIDS
1. E' istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il Comitato interministeriale
per la lotta all'AIDS, presieduto dal Presidente del Consiglio o da un suo delegato, del
quale fanno parte i Ministri della sanità, per gli affari sociali, dell'università e della ricerca
scientifica e tecnologica, della pubblica istruzione, del lavoro e della previdenza sociale,
della difesa, di grazia e giustizia, dell'interno e dei lavori pubblici.
2. Il Comitato interministeriale coordina gli interventi per la attuazione del piano globale di
lotta all'AIDS e indica le misure necessarie per adattare gli interventi e le risorse
finanziarie alle evoluzioni della epidemia da HIV.
3. Il Governo riferisce annualmente al Parlamento sullo stato di attuazione delle strategie
attivate per fronteggiare l'infezione da HIV.
Articolo 9
Programmi delle Regioni e delle Province autonome
1. Le regioni e le province autonome, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, predispongono i programmi per le attività di cui all'Art. 1, comma 1, lettere
174
c), d), e) e f), e comma 2. Decorso tale termine senza che siano stati adottati da parte delle
regioni e delle province autonome i suddetti programmi, il Ministro della sanità procede
alla nomina di commissari per il compimento degli atti necessari.
2. Le regioni e le province autonome, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della
presente legge, utilizzando personale già in servizio o personale in posizione di comando
dalle unità sanitarie locali, istituiscono centri di riferimento aventi il compito di coordinare
l'attività dei servizi e delle strutture interessate alla lotta contro l'AIDS, di attuare la
sorveglianza epidemiologica e di pianificare gli interventi di informazione e formazione.
La responsabilità dei centri deve essere affidata a personale medico che sia almeno in
possesso dell'idoneità nazionale per le funzioni di primario di malattie infettive.
Articolo 10
Entrata in vigore.
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale.
175
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«Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana» n. 130, del 5 giugno 1993.
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