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Letteratura e identità europea. Gerhild Fuchs intervista Alexandra Vranceanu e Angelo Pagliardini
Nel 2013 avete organizzato un colloquio internazionale all'Università di Innsbruck, con il sostegno
dell'Italien-Zentrum e del Frankreich-Schwerpunkt, su un tema attualissimo come la letteratura
europea, da cui avete poi pubblicato un volume di atti: Rifondare la letteratura nazionale per un
pubblico europeo. Da un'idea di Giuseppe Mazzini (Frankfurt, Peter Lang, 2015). Avendo assistito
al colloquio e potendo ora leggerne gli atti vi vorrei rivolgere alcune domande. Perché siete partiti
da Giuseppe Mazzini, le cui idee sull'Europa risalgono alla prima metà del XIX secolo, per trattare
un tema così presente nel dibattito attuale?
Siamo oggi di fronte ad una difficile congiuntura della storia europea, in quanto gli interessi e gli
estremismi nazionali sembrano minare la costruzione economico-politica dell'Unione europea. A
nostro avviso non è immune da responsabilità per questa crisi il fatto che poco o nulla si sia
investito nello studio e nella promozione della cultura e della letteratura europea. Per questo ci è
parso significativo che il maggior sostenitore dell'indipendenza e dell'identità nazionale italiana, già
nel 1829, guardasse alla letteratura come ad un importante elemento identitario dell'Europa. Uno dei
risultati emersi dalle relazioni e dalle discussioni del convegno è che già Mazzini nella prima metà
dell'Ottocento auspicava che lo studio delle letterature nazionali si accompagnasse all'interesse per
la letteratura europea e che si conoscessero e si leggessero in traduzione le opere prodotte in altre
lingue e culture europee. Ci sembrava inoltre opportuno mettere far interagire, all'interno di un
convegno, le precoci intuizioni di Mazzini con il dibattito critico contemporaneo sulla letteratura
europea. Un altro motivo è che, fra i fondatori della letteratura europea è stato riconosciuto un ruolo
centrale a Goethe e Madame de Stael, mentre il contributo di Mazzini è stato assai poco studiato.
Dai saggi del volume risulta l'importanza primaria che Mazzini attribuisce, da politico in esilio, al
«teatro europeo» a cui è necessario che gli scrittori italiani si rivolgano con le loro opere: dal suo
punto di vista lo scrittore deve tenere sempre presente il pubblico europeo e non soltanto quello
nazionale.
Mazzini è essenzialmente conosciuto come artefice della costruzione di una identità nazionale
italiana come presupposto per uno Stato nazionale. Come mai lo avete considerato un modello
esemplare di costruttore di una letteratura europea, e come viene concepita da lui tale letteratura
europea in rapporto a quella nazionale?
Ci è parso significativo che un personaggio come Mazzini, noto per aver lavorato tutta la vita, con
gli scritti e con l'azione, alla costruzione e alla realizzazione dell'unità nazionale italiana, avesse
espresso un interesse così forte per l'identità europea, sia politica che culturale. Per Mazzini la
concezione della letteratura europea non è concorrenziale, bensì complementare, rispetto all'identità
nazionale. Nel saggio Di una letteratura europea, del 1829, ma anche nelle prese di posizione
successive, Mazzini esprime in termini molto attuali sia l'esigenza sia la validità del concetto di
letteratura europea: l'estensione del pubblico da una dimensione nazionale a quella europea, la
necessità della circolazione europea delle opere letterarie in traduzione, l'idea che l'appartenenza al
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sistema letterario europeo offra un legittimazione alla propria letteratura nazionale, la necessità di
superare le distinzioni fra scrittori maggiori e minori. D'altra parte l'attenzione di Mazzini per la
letteratura europea va di pari passo con le sue idee politiche, dato che in campo politico Mazzini
progetta di inserire il suo progetto di un'Italia repubblicana e democratica all'interno di un'Europa
dei popoli, cioè un'Europa come libera associazione di Stati democratici, la Giovine Europa.
Come si affronta nel vostro libro il tema dei rapporti fra "grandi" e "piccole" letterature, fra centro
e periferie dell'Europa?
È esistito e tuttora viene percepito come valido un modello di letteratura europea fatto di un canone
di classici, cioè di opere considerate come universali e facenti parte del patrimonio culturale di ogni
europeo. In tale canone trovano posto opere prodotte nei maggiori centri culturali e nelle lingue e
culture considerate "maggiori". Il nostro volume mira a incrinare, se non a scardinare questo
modello basato sulla consacrazione di autori e letterature maggiori, che irradiano il loro prestigio
verso la periferia e verso le lingue e culture meno conosciute, un modello secondo cui le culture di
periferia "diventerebbero" europee solo leggendo e studiando tali autori. Per questo motivo Theo
D'haen parla del contributo del fiammingo August Vermeylen, che alla fine dell'Ottocento
sosteneva il rilievo europeo della lingua e della cultura fiamminga, nel suo difficile rapporto con la
letteratura belga francofona, con cui convive nella stessa tradizione nazionale, ma da cui rischia di
essere messa in ombra per l'appartenenza ad una lingua letteraria "maggiore". Alain Vuillemin ha
illustrato la figura dello scrittore bulgaro Lubomir Guentchev, che ha trovato nella lingua francese
la via per esprimersi nel segreto di opere rimaste inedite, ottenendo così sia l'accesso alla letteratura
europea che la libertà d'espressione negata dal regime comunista. Significativo anche il caso degli
scrittori romeni che hanno in qualche caso scelto di lasciare la madrelingua e scrivere in altre lingue
europee per far conoscere e diffondere la propria cultura nella repubblica delle lettere, come
Nicolaus Ohlaus nel Cinquecento o Constantin Cantacuzino Stolnicul e Dimitrie Cantemir fra
Seicento e Settecento. Inoltre ci sono stati scrittori romeni del Novecento, ad esempio Cioran, che
hanno scelto di scrivere in francese e di trasferirsi in Francia e sono entrati così solo per questa via
nel canone europeo, come mostra il saggio di Alexandra Vranceanu. Casi come questi rendono
necessaria una revisione della categoria della francofonia, in quanto molti scrittori romeni e di altri
paesi dell'Europa dell'Est hanno scelto la lingua francese non come espressione di una potenza
coloniale o ex-coloniale, ma come via di accesso alla letteratura europea attraverso una lingua di
grande circolazione.
Che senso ha parlare di letteratura europea nell'epoca della globalizzazione e dei mezzi di
comunicazione di massa?
A questa domanda si trovano risposte differenti leggendo trasversalmente i saggi del volume. Come
si è trovata una specifica rete di coordinate politiche per la costruzione istituzionale dell'Unione
Europea, parallelamente si dovrebbe trovare, nello spazio della storia di lunga durata e anche nella
cultura contemporanea una piattaforma di elementi comuni che individuano la letteratura europea.
Tuttavia Dethurens, che da un lato evidenzia tutta l'attualità degli interrogativi che si è posto
Mazzini, dall'altro individua nel concetto di letteratura europea un elemento di gerarchizzazione e di
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limitazione degli spazi delle singole letterature, soprattutto di quelle considerate minori e marginali.
Del tutto confluita nella letteratura globale appare la specificità della letteratura europea, per quanto
riguarda lo spazio virtuale della rete e dei social networks, esplorato da Gianni Turchetta. Negli altri
saggi si conferma quella comunità di intenti, secondo un'espressione di Mazzini, riconoscibile
anche in senso diacronico, che caratterizza la cultura europea, di cui è un indizio anche la
circolazione capillare delle idee catare e bogomile nell'Europa medievale, come mostra Francesco
Zambon. Questo volume mette in evidenza per la prima volta una nuova modalità di definire la
letteratura europea, partendo soprattutto dall'idea di crisi della coscienza europea causata proprio
dall'epoca della globalizzazione e dalla messa in discussione dell'eurocentrismo del XIX secolo. Ci
siamo proposti così di contribuire al dibattito teorico che sarebbe opportuno aprire sulla
formulazione di una nuova definizione di letteratura europea, che, senza pretese di imporsi agli altri
continenti la propria visione, ha tuttavia una sua storia e una sua geografia specifiche, che si
manifestano in un'identità individuale riconoscibile nel quadro generale della «letteratura globale».
Nei contributi del volume dedicati a casi letterari specifici, salta all’occhio che si tratta
prevalentemente di scrittori/scrittrici attivi all’inizio e nella prima metà del Novecento (H.
Vacaresco, A. Vermeylen, P. Valéry, E. Montale, E. Auerbach, E.R. Curtius). È particolarmente
grande l’importanza conferita alla letteratura europea in quel periodo?
Possiamo ricondurre le personalità che vengono nominate a due grandi tendenze, molto forti nella
prima metà del Novecento. Da un lato abbiamo i casi di H. Vacaresco e di A. Vermeylen, analizzati
rispettivamente da Helene Lenze Theo D'haen, che nell'Europa di inizio secolo e del primo
dopoguerra lavoravano per aprire la strada alle proprie lingue e culture, convinti che di qui passasse
la piena accoglienza nella famiglia europea dominata politicamente e culturalmente da poche
potenze: siamo in una fase ancora propositiva in cui si mira alla costruzione di un'Europa più
integrata anche dal punto di vista culturale. Dall'altro abbiamo la cifra della crisi che accompagna
sia il saggio di Helmut Meter su Valéry e Montale che quello di Roberto Antonelli su Auerbach e
Curtius: a fronte delle catastrofi dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale sia i poeti che i
filologi individuano la letteratura e la cultura come il possibile tessuto connettivo di un'Europa che
possa superare i traumi e le ferite interne, una lezione che non è stata però assimilata, data la
persistenza della cortina di ferro nella seconda metà del Novecento, di fatto, in termini socioeconomici e culturali, anche dopo il crollo del Muro di Berlino.
In questo volume sono state prese in considerazione anche altre definizioni della letteratura
europea, oltre a quella di Mazzini? In che modo sono ancora attuali?
Mazzini si accosta alla letteratura con l'attenzione sempre rivolta all'impegno politico e al valore
civile della letteratura, arrivando così ad una definizione dell'identità europea a metà strada fra
politica e cultura. Risulta del tutto orientata sulla storia culturale, fra cosmopolitismo e letteratura
comparata, la definizione di letteratura europea fornita nel saggio di Francis Claudon, mentre dal
saggio di Ceserani si ipotizza la ricerca di una nuova identità europea basata sulla definizione del
tipo di comunità sociale che si intende costruire, proponendo come possibile modello quello
dell'identità nazionale della Confederazione Svizzera. Un'altra dicotomia si può osservare fra la
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concezione di letteratura europea di Antonelli, basata sul canone delle opere di maggiore diffusione
e circolazione, e quella di Ceserani, che mira alla ricerca di una sintesi fondata sulla circolazione
osmotica delle differenti culture. Da tutti i modelli identitari proposti per l'Europa risulta l'attualità e
la necessità vitale di tale processo di definizione culturale, in quanto non potrà mai trovare piena
attuazione l'Europa istituzionale senza questa definizione delle coordinate culturali e letterarie dello
spazio europeo.