Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 LA TASSAZIONE DOMESTICA E INTERNAZIONALE DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI A cura Dott. Gilberto Gelosa INDICE I. LA TASSAZIONE DOMESTICA SOCIETA’ DI CAPITALI DEL REDDITO DELLE pag.10 I.A. LA TASSAZIONE DEL REDDITO DELLE SOCIETÀ I.A.1. Le fonti normative: principi generali 1. Le finalità dell’ordinamento tributario 2. Le norme costituzionali 2.1.1. Articolo 23 Cost. - La riserva di legge in materia tributaria 2.1.2. Articolo 53 Cost. – Contenuto e funzioni della normativa fiscale 3. Le fonti del diritto tributario 3.1. Le leggi regionali e quelle statali in materia di tributi locali. 3.2. Le fonti comunitarie I.A.2. L’imposta sul reddito delle società di capitali (IRES): definizione, presupposti e determinazione pag.14 1.1. Definizione 1.2. Presupposti 1.3. Determinazione del reddito imponibile 1.4. Variazioni del risultato di bilancio 1.5. Determinazione dell’imposta I.A.3. I principi di tassazione del reddito delle società di capitali pag.26 I.A.4. Il reddito d’impresa: analogie e differenze con il reddito delle società pag.32 I.A.5. I diversi regimi di tassazione delle società (di persone e di capitali) e riflessi sui soci pag.36 5.1. Società di persone 5.2. Le società di capitali I.A.6. Il regime di tassazione degli enti commerciali I.A.7. La nozione di costo fiscale 7.2. Il costo dei beni rivalutati (articolo 110, comma 1 lett. c)) 7.3. Il costo delle azioni e degli strumenti finanziari pag.10 pag.10 pag.41 pag.42 Pagina 1 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.8. I Componenti Positivi Del Reddito Delle Società 8.1. Considerazioni Preliminari 8.2. L’area Operativa 8.3. L’area Finanziaria 8.4. L’area Straordinaria 8.5. Componenti Positive Esenti 8.6. Analisi Delle Singole Componenti Reddituali 8.7. Ricavi 8.7.1. Ricavi propri 8.7.2. Ricavi da cessioni di attività finanziarie 8.7.3. Indennità per la perdita o danneggiamento di beni 8.7.4. Contributi 8.7.5. Assegnazione ai soci 8.8. Plusvalenze patrimoniali 8.9. Plusvalenze esenti 8.10. Sopravvenienze attive 8.11. Dividendi ed interessi 8.12. Proventi immobiliari 8.13. Proventi ed oneri non computabili nella formazione del reddito 8.14. Variazioni delle rimanenze 8.15. Opere, forniture e servizi di durata ultrannuale 8.16. Valutazione titoli I.A.9. Le variazioni delle rimanenze 9.1. Le rimanenze 9.2. Opere, forniture e servizi di durata ultrannuale 9.3. Rimanenze di titoli I.A.10. I componenti negativi di reddito pag.62 10.1. La valutazione dei titoli 10.1.2. Le regole di valutazione 10.2. Gli interessi passivi 10.2.1. Interessi di funzionamento 10.2.2. Interessi capitalizzabili 10.2.3. Interessi su obbligazioni 10.3. Le spese per prestazioni di lavoro 10.4. Gli oneri fiscali e contributivi 10.5. Oneri di utilità sociale 10.6. Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite 10.6.1. Minusvalenze 10.6.2. Sopravvenienze passive 10.6.3. Perdite. 10.7. Ammortamenti 10.7.1. Ammortamento tecnico 10.7.1.1. Ammortamento dei beni materiali 10.7.1.2. Ammortamento dei beni immateriali 10.7.1.3. Beni inferiori a 516.46 Euro 10.7.2. Ammortamento finanziario 10.8. Accantonamenti 10.8.1. Accantonamenti di quiescenza e previdenza 10.8.1.1. Accantonamenti relativi al lavoro dipendente (art. 105 c. 1, 2. 3 DPR 917/86) pag.45 pag.55 Pagina 2 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 10.8.1.2. Accantonamenti per rischi su crediti 10.8.1.3. Altri accantonamenti 10.8.1.3.1. Accantonamenti per maggiori imposte accertate (art. 99 c. 2 DPR 917/86) 10.8.1.3.2. Accantonamenti per operazioni e concorsi a premio (art. 107 c. 3 DPR 917/86) 10.8.1.3.3. Accantonamenti per opere pubbliche gratuitamente devolvibili (art.107 C. 2 DPR 917/86) 10.8.1.3.4. Accantonamenti per manutenzione e revisione di navi ed aeromobili (art. 107, 1 DPR 917/86) 10.9. Spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione 10.10. Spese pluriennali 10.11. La deducibilità dei costi sostenuti con soggetti esteri I.A.11. pag.86 La thin capitalization ed il pro-rata patrimoniale 11.1. Thin Capitalization: generalità e finalità della disciplina 11.1.1. Modalità di applicazione della Thin Capitalization 11.1.2. Osservazioni e valutazioni di casi particolari 11.1.2.1. Remunerazione Dei Finanziamenti Eccedenti – Assimilazione Agli Utili Distribuiti 11.1.2.2. Rapporti Con Altre Norme Sulla Indeducibilità Degli Interessi Passivi 11..1.2.3.Capacita’ Di Credito – Prova Contraria 11.2. Il pro-rata patrimoniale 10.3. Il pro-rata generale di indeducibilità degli interessi passivi I.A.12. La valutazione delle partecipazioni sociali e il regime delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni sociali (participation exemption) pag.98 12.1. 12.2. 12.3. 12.4. 12.4.1. 12.4.2. 12.4.3. Trattamento fiscale delle plusvalenze Strumenti finanziari che generano plusvalenze Distribuzione di utili e riserve di capitali Operazioni straordinarie Conferimento Fusione Scissione I.B. I DIVERSI REGIMI DI DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE SOCIETA’ E DELL’OBBLIGAZIONE D’IMPOSTA pag103 I.B.13. pag.103 Le società di comodo (dormant company) 13.1. Presupposto Soggettivo 13.2. Presupposto oggettivo 13.3. Analisi del risultato 13.4. Individuazione delle voci da considerare per il calcolo dei ricavi effettivi 13.5. La determinazione del reddito minimo 13.6. La prova contraria I.B.14. Stabili organizzazioni ed uffici di rappresentanza di soggetti non residenti: pag.118 definizione e tassazione 14.1. La definizione dell’amministrazione finanziaria 14.2. La definizione della giurisprudenza Pagina 3 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 14.3. 10.4. I.B.15. La definizione fornita dall’OCSE Regole civilistiche e fiscali La trasparenza fiscale delle società di capitali 15.1. Profili generali 15.2. Finalità e vantaggi 15.3. Condizioni soggettive 15.4. Condizioni oggettive 15.5. Esercizio dell’opzione I.B.15.bis. La trasparenza fiscale delle società a ristretta base proprietaria 15-bis.1. Il quadro normativo – finalità e vantaggi 15-bis.2. Ambito soggettivo 15-bis.2.1. Cause specifiche di esclusione 15-bis.3. Esercizio e durata dell'opzione 15-bis.4. Decadenza dal regime 15-bis.5. Imputazione del reddito della società partecipata 15-bis.6. Regole residuali applicabili alle società a responsabilità limitata I.B.16. Il consolidato fiscale nazionale 16.1. Condizioni soggettive 16.2. Condizioni oggettive 16.4. Determinazione di un unico reddito complessivo consolidato 16.5. Obblighi e facoltà della controllante 16.6. Svalutazioni dedotte su partecipazioni consolidate I.B.17. Il riporto delle perdite fiscali 17.1. Disposizioni di carattere generale 17.2. Regole di imputazione I.B.18. I patrimoni destinati I.B.19. La cessione delle eccedenze d’imposta 19.1. Cessione crediti d’imposta a terzi 19.2. Cessione crediti d’imposta all’interno di un gruppo 19.3. La disciplina civilistica I.D. L’IMPOSIZIONE LOCALE SULLE SOCIETÀ I.D.25. IRAP 25.1. 25.2. 25.2.1. 25.3. 25.4. 25.5. I.D.26. ICI 26.1. pag.125 pag.141 pag.146 pag.153 pag.155 pag.160 pag.175 pag.175 Premessa Gli obiettivi e il presupposto Il presupposto oggettivo e la base imponibile Il presupposto soggettivo Le aliquote IRAP Trattamento fiscale ai fini irap di alcuni componenti positivi e negativi di reddito di impresa commerciale pag.195 Definizioni: fabbricati, aree fabbricabili e terreni Pagina 4 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 26.1.1. 26.1.2. 26.1.3. 26.1.4. Disciplina generale Fabbricati: casi particolari Area fabbricabile: casi particolari Terreno agricolo: casi particolari 26.2. 26.2.1. 26.2.2. 26.2.3. Gli Immobili Che Non Pagano Imposta (Esenti) Le esenzioni Il caso degli oratori Cooperative assistenziali 26.3. I Soggetti Passivi D’imposta 26.3.1. Disciplina generale 26.3.2. Casi particolari 26.3.2.1. Il leasing 26.3.2.2. Il diritto di superficie 26.3.2.3. Contitolarità 26.3.2.4. Le procedure concorsuali 26.3.2.5. Contratto di anticresi 26.3.2.6. Procedimento di espropriazione 26.3.2.7. Il concessionario 26.3.2.8. La multiproprietà 26.4. La base imponibile 26.4.1. I fabbricati 26.4.2 La rendita presunta 26.4.3. Gli immobili dell’impresa 26.4.4. Immobili di interesse storico o artistico 26.4.5. Aree fabbricabili 26.4.6. Terreni agricoli 26.5. Le aliquote 26.5.1. I Minimi e i massimi 26.6. L'abitazione principale 26.6.1. Le aliquote 26.6.2. La detrazione 26.6.3. Le pertinenze 26.6.4. Le parti condominiali 26.7. Le altre detrazioni e gli altri sconti 26.7.1. Fabbricati inagibili o inabitabili 26.7.2. I Fabbricati costruiti per la rivendita 26.7.3. Terreni condotti direttamente 26.8. I versamenti 26.8.1. I cambiamenti della situazione 26.9. Modalità di versamento 26.9.1. Metodi di versamento 26.10. 26.10.1. 26.10.2. 26.10.3. Accertamento e liquidazione L’avviso di liquidazione e l’accertamento I termini L’autotutela 26.11. Le sanzioni 26.11.1. Le misure 26.11.2. Il ravvedimento Pagina 5 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 26.11.3. Accertamento con adesione 26.12. Rimborso 26.13. Il Condono edilizio 26.13.1. Dichiarazione Ici 26.13.2. Versamento Ici 26.14. 26.14.1. 26.14.2. 26.14.3. 26.14.4. 26.14.5. II. La riclassificazione degli immobili L’aumento dei valori Le micro-zone comunali La rideterminazione della rendita dei singoli immobili La richiesta di classamento Come difendersi LE OPERAZIONI STRAORDINARIE pag.229 II.1. Le fusioni e le operazioni di leveraged buy-out 1. Il principio di neutralità 1.1. L'intassabilità delle plusvalenze latenti 1.2. Le differenze di fusione 1.3. Il concambio delle partecipazioni 2. I fondi in sospensione 3. Le perdite 4. La retrodatazione 5. Le dichiarazioni e i versamenti - Gli acconti 5.1. La presentazione della dichiarazione 5.2. I versamenti a saldo 5.3. Gli acconti 6. Le operazioni di fusione e l’applicazione della norma antielusiva II.2. Le operazioni di scissione e spin-off 2.1. Considerazioni preliminari 2.2. Scissione: definizione e modifiche trattamento fiscale 2.3. Avanzo e disavanzo da scissione 2.4. Riporto delle perdite 2.5. Obblighi di versamento 2.6. Le pronunce del comitato anti-elusivo II.3. I conferimenti di aziende, partecipazioni e beni pag.286 3.1. Premessa 3.2. Alcuni dati di partenza. 3.3. Assenza di corrispettività e necessità di valorizzazione oggettiva dei beni trasferiti in occasione del conferimento 3.4. Assenza di corrispettività, funzione organizzativa e continuità dei valori fiscali fra beni di "primo" e di "secondo" grado: condizione di neutralità speciale o generale? 3.5. Il conferimento di azienda 3.6. I conferimenti di partecipazioni, il rapporto con la cosiddetta participation exemption e la prospettiva di una neutralità sistematica 3.7. Regole fiscali tra tradizione e novità dei modelli di conferimento pag.229 pag.255 Pagina 6 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 3.8. 3.9. 3.10. Incremento del capitale e insorgenza dello status di socio tra mancato adempimento e garanzia del terzo I conferimenti non proporzionali Gli apporti diversi dai conferimenti "tipici". II.4. La trasformazione di società 4.1. Disciplina fiscale della trasformazione 4.1.1. Le trasformazioni eterogenee 4.1.2. Le trasformazioni omogenee 4.1.3. Il riporto delle perdite II.5. La liquidazione delle società 5.1. 5.2. 5.3. 5.4. 5.5. 5.6. 5.7. 5.8. 5.9. pag.301 pag.317 Bilancio di liquidazione La tassazione nella liquidazione Persone fisiche Imprese individuali Società di capitali Disciplina delle perdite Responsabilità fiscale dei liquidatori Dichiarazione dei redditi Revoca dello stato di liquidazione II.6. La cessione di azienda II.7. pag.329 L’elusione fiscale, le norme antielusive ed il diritto di interpello 7.1. La scelta del contribuente di fronte all’obbligo tributario. 7.2. Il contrasto al fenomeno elusivo 7.2.2. Principi generali. 7.2.3. La sentenza interpretativa “Leur Bloem” della Corte di giustizia CE 7.2.4. La dottrina aziendalistica. 7.2.5. La dottrina giuridica. 7.2.6. La prassi. 7.2.7. La giurisprudenza nazionale 7.2.8. Considerazioni finali. III. LA TASSAZIONE INTERNAZIONALE III.1. Le convenzioni contro le doppie imposizioni e le direttive comunitarie: rapporti con la normativa interna pag.345 1.1. 1.2. III.2. pag.325 pag.345 La doppia imposizione economica e la doppia imposizione giuridica Le convenzioni contro le doppie imposizioni Dividendi, interessi e royalties di fonte estera: regime convenzionale e comunitario pag.355 2.1. 2.1.1. 2.1.2. Dividendi Definizione di utile e di proventi equiparati Trattamento fiscale degli utili e proventi equiparati Pagina 7 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 2.1.3. Sviluppi giurisprudenziali e orientamenti in merito al trattamento fiscale comunitario e convenzionale degli utili e proventi equiparati 2.2. 2.2.1. 2.2.1.1. 2.2.1.2. 2.2.1.3. Interessi e royalties La Direttiva n. 2003/49/CE del 3 giugno 2003 L'imposizione "ordinaria" dei redditi dei non residenti Gli effetti distorsivi del sistema delle ritenute alla fonte La definizione dei "canoni" nel Modello di Convenzione OCSE e nella Direttiva del Consiglio 2.2.1.4. La tassazione delle royalties in ambito OCSE 2.2.1.5. Le royalties derivanti dai diritti scambiati attraverso software e commercio elettronico 2.2.1.6. La nozione di "stabile organizzazione" 2.2.1.7. La Direttiva del Consiglio n. 2003/49/CE: i "considerando" 2.2.1.8. Le novità della Direttiva III.3. I prezzi infragruppo 3.1. Definizione di transfer pricing 3.2. Motivazioni dell’alterazione dei prezzi. 3.3. Genesi ed evoluzione della disciplina del transfer pricing. pag.370 3.4. 3.4.1. 3.4.2. 3.4.3. Disciplina dei prezzi di trasferimento secondo l’OCSE Presupposto soggettivo Presupposto oggettivo Direttive generali per la determinazione del prezzo di libera concorrenza: fattori generali da considerare preventivamente 3.4.3.1. Analisi comparativa ed elementi da considerare per accertare la comparabilità. 3.4.3.1.1.Le caratteristiche del bene o del servizio che ne influenzano il valore nel mercato libero. 3.4.3.1.2.L’analisi funzionale. 3.4.3.1.3.Condizioni contrattuali. 3.4.3.1.4.Circostanze economiche oggettive (il mercato). 3.4.3.1.5.Circostanze economiche soggettive (business strategies). 3.4.3.2. Qualificazione civilistica del rapporto giuridico stabilita dalle parti: eccezioni al principio 3.4.3.3. Valutazione separata delle singole transazioni ed unitaria di quelle connesse. 3.4.3.4. Uso di una gamma di prezzi di libera concorrenza. 3.4.3.5. Uso di dati relativi a più anni. 3.4.3.6. Perdite. 3.4.3.7. Gli effetti di politiche governative. 3.4.3.8. Compensazioni. 3.4.3.9. Uso di valutazioni doganali. 3.4.3.10. Uso dei diversi metodi di calcolo del prezzo di libera concorrenza. 3.4.4. Metodi per la determinazione del prezzo di libera concorrenza 3.4.4.1. I metodi tradizionali (traditional transaction methods). 3.4.4.1.1.Il metodo del confronto di prezzo (comparable uncontrolled price methodCUP). 3.4.4.1.2.Il metodo del prezzo di rivendita (resale price method). 3.4.4.1.3.Il metodo del costo maggiorato (cost plus method). 3.4.4.2. I metodi reddituali (transactional profit method o profit based method). Pagina 8 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 3.4.4.3. 3.4.4.4. 3.4.5. 3.4.6. 3.4.7. 3.4.8. 3.4.9. III.4. I metodi globali (formulary method). Best method rule: regola per scegliere il metodo più adatto al caso concreto Rettifiche al valore normale delle operazioni tra imprese associate Accertamento in aumento ed in diminuzione del reddito; rettifiche primarie e secondarie. La documentazione Le sanzioni amministrative e penali. Conflitti. Stabili organizzazioni e uffici di rappresentanza all’estero: definizione e tassazione Pag.417 4.1. 4.2. 4.3. La stabile organizzazione secondo l’OCSE e la disciplina interna Stabile organizzazione all’estero: adempimenti contabili e determinazione del reddito Rapporti fra soggetti residenti in Italia e stabili organizzazioni all'estero III.5. Il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero 5.1. La nozione di credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero 5.2. Condizioni per la fruizione del credito 5.3. Società di persone e credito d'imposta III.6. Il trasferimento all’estero della sede sociale pag.432 6.1. Disciplina fiscale 6.1.1. Ambito soggettivo 6.1.2. Ambito oggettivo 6.1.3. La tassazione delle plusvalenze latenti 6.1.4. Le società di persone 6.1.5. Effetti dell'introduzione di una definizione di stabile organizzazione sull'applicabilità del regime di realizzo dei plusvalori latenti 6.1.6. Riserve e fondi in sospensione d'imposta III.7. Imprese estere controllate (Controlled Foreign Companies) e collegate (Related pag.439 Foreign Companies) 7.1. Imprese estere controllate (Contolled Foreign Companies) 7.2. Imprese estere collegate (Related Foreign Companies) III.8. Transazioni con soggetti domiciliati in paesi a bassa fiscalità 8.1. Ambito oggettivo della disciplina 8.2. Ambito soggettivo di applicazione 8.3. Interrelazioni tra art. 110 del Tuir e art. 167 del Tuir 8.4. L'allargamento dell'Unione europea III.9. Gruppi Europei di interesse economico III.10. Il consolidato fiscale mondiale pag.453 10.1. Considerazioni generali 10.2. I soggetti abilitati ad esercitare l'opzione 10.3. Le condizioni di efficacia dell'opzione e gli effetti del consolidamento 10.4. Il perimetro di consolidamento 10.5. Il metodo di consolidamento pag.424 pag.442 pag.451 Pagina 9 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 10.6. 10.7. 10.8. 10.9. Credito per le imposte sul reddito pagate all'estero a titolo definitivo Eventi interrottivi dell'efficacia dell'opzione per il consolidamento su base mondiale Controlled Foreign Companies Norma transitoria Allegati: Allegato 1 – cap. IA Allegato 2 – cap. IA Allegato 3 – cap. III.1 – Model Tax Convention 2005 Allegato 4 – cap. III.1. – Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia Allegato 5 – cap. III.1. – Commento Convenzione ITA-USA Pagina 10 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 LA TASSAZIONE DOMESTICA DEL REDDITO DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI I.A. La tassazione del reddito delle società I.A.1.Le fonti normative: principi generali (a cura di Fabio Colombo) 1. Le finalità dell’ordinamento tributario Il diritto tributario deve contemperare diverse esigenze ed interessi che si ripercuotono sulla sfera della collettività, da un lato, e sulla sfera privata, dall’altro lato: l’ordinamento tributario, infatti, deve garantire una serie di norme che permettano il perseguimento di obiettivi collettivi volti a finanziare le spese pubbliche attraverso i tributi senza, però, trascurare le esigenze del privato relativamente all’integrità patrimoniale ed alla libera iniziativa economica. In questo scenario e nell’ottica della duplice finalità sopra esposta, le fonti normative dell’ordinamento tributario trovano il loro fondamento in alcuni principi fondamentali, contenuti nelle norme costituzionali, che si pongono alla base delle scelte legislative ed esprimono il sentire comune della collettività. Le norme costituzionali rappresentano una sorta di solco e limite entro cui il legislatore può operare attraverso l’emanazione di regole prestabilite, uguali per tutti e certe, di cui i contribuenti possano avere sufficiente conoscenza. Tali regole sono soggette solo a sindacabilità esterna, ossia per vizi tecnici ovvero logico-giuridici, non essendo, infatti, in alcun modo possibile determinarne aprioristicamente il contenuto con le norme costituzionali che, invece, possono solo delimitare il campo delle scelte operate dal legislatore. 2. Le norme costituzionali Le norme costituzionali, come sopra accennato, delimitano l’operato del legislatore definendo le modalità di produzione (articolo 23 Costituzione e riserva di legge in materia tributaria) ed il contenuto e le funzioni della normativa fiscale (articolo 53 Costituzione). 2.1. Articolo 23 Cost. - La riserva di legge in materia tributaria Con riguardo alle modalità di produzione della normativa fiscale l’articolo 23 della Costituzione ne attribuisce pieno potere al parlamento, ossia all’organo rappresentativo dell’intera collettività. Il citato articolo prevede, infatti, che nessuna prestazione personale o patrimoniale possa essere imposta se non in base alla legge ovvero ad altri atti aventi forza di legge: trattasi di leggi, decreti legge, decreti legislativi, ossia di atti che, pur differenziandosi per le specifiche modalità di emanazione, promanano ed assumono vigore solo a seguito di intervento del parlamento. Trattasi di una riserva di legge che opera in materia tributaria in modo che le scelte di politica tributaria siano sottratte all’organo esecutivo e siano, invece, attribuite al legislatore ordinario, rappresentativo della collettività. Tale riserva è relativa e non assoluta: la costituzione consente, infatti, alla legge di predeterminare solo gli aspetti principali della materia (i.e. soggetti passivi, presupposti dell’imposta, criteri di determinazione dell’imposta, sanzioni) demandando all’esecutivo la regolamentazione delle questioni di dettaglio. Se, da un lato, il Parlamento vaglia le principali scelte di politica tributaria attraverso fonti normative primarie (i.e. leggi o atti aventi forza di legge), il governo delegifica in merito agli aspetti secondari o di dettaglio indicati dalla legge stessa attraverso fonti normative secondarie (i.e. decreti ministeriali, regolamenti, deliberazioni di enti locali). Pagina 11 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Con riguardo alle problematiche oggetto del presente paragrafo si ritiene opportuno porre l’attenzione su due ulteriori aspetti che si pongono alla base della disciplina di formazione e garanzia dell’efficacia ed efficienza delle norme tributarie: il primo riguarda lo Statuto del Contribuente ed il secondo il referendum popolare in materia tributaria. Con riferimento al primo aspetto, lo Statuto del Contribuente rappresenta un atto avente forza di legge ordinaria: volto a tutelare il contribuente, lo Statuto contiene disposizioni aventi valore di principi generali dell’ordinamento tributario e che possono esser derogate o modificate solo espressamente. L’articolo 75, comma 2 della Costituzione vieta espressamente la possibilità di abrogare le norme tributarie tramite un referendum popolare onde evitare che suggestioni demagogiche volte alla riduzione di carichi impositivi – arrechino “danni” al funzionamento ed alla gestione della politica economica nazionale. 2.2. Articolo 53 Cost. – Contenuto e funzioni della normativa fiscale L’articolo 53 della costituzione stabilisce che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è improntato a criteri di progressività”. Il dettato dell’articolo evidenzia da subito la funzione garantista e quella solidaristica dell’ordinamento tributario italiano: da un lato, infatti, limita il concorso alle pubbliche spese in funzione della capacità contributiva di ciascuno (funzione garantista); dall’altro lato, realizza una solidarietà economica e sociale attraverso la partecipazione alle spese pubbliche in base alla propria capacità contributiva in modo proporzionalmente maggiore man mano che la base imponibile aumenta. Le funzioni testé citate sono alla base del rapporto tra legislatore e Corte Costituzionale: gli obiettivi politici di efficienza, equità e semplificazione che dovrebbero essere alla base delle scelte del legislatore hanno portato la Corte Costituzionale ad assumere, il più delle volte, un atteggiamento poco critico nei confronti della discrezionalità del legislatore, limitando il proprio operato a sentenze-monito che invitano il legislatore a riconsiderare la materia secondo i principi e le motivazioni indicate dalla Corte Costituzionale al fine di evitare una successiva dichiarazione di incostituzionalità. Questo modus operandi, giustificato anche dal pericolo di vuoti legislativi che potrebbero conseguire a dichiarazioni di incostituzionalità di norme tributarie, è anche volto a tutelare la certezza e l’esigenza di garantire la riscossione dei tributi. 3. Le fonti del diritto tributario Tornando alle fonti vi è da ricordare come allo Stato, data la complessità cui l’universo giuridico è giunto, il primo impulso normativo può essere fornito da disposizioni appartenenti a più livelli nel sistema delle fonti del diritto: direttive della Comunità Europea anche immediatamente eseguibili all’interno degli Stati membri; leggi formali statali, regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano; decreti ministeriali di rango regolamentare e non (atti normativi i primi, provvedimentali i secondi), deliberazioni dei consigli regionali, provinciali e comunali (per le caratteristiche e le modalità applicative dei tributi affidati all’autonomia delle regioni e degli enti territoriali), decreti – legge e decreti legislativi delegati. Oltre all’illustrata stratificazione normativa, che – anche se in attesa di codificazione – caratterizza un sistema fiscale complesso e “casistico” come quello italiano, va rammentato che l’interpretazione ufficiale dell’Amministrazione – resa attraverso circolari, risoluzioni, risposte a istanze d’interpello, note, comunicati, istruzioni alla modulistica, etc. – cerca di Pagina 12 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 colmare ogni dubbio interpretativo, venendo a costituire un necessario supporto per ogni operatore o interprete dei fenomeni tributari. Accanto a quella di provenienza “ministeriale”, va rammentata la prassi “ufficiosa” diramata da organismi quali l’Assonime, l’ABI, Confindustria, etc., che – pur rivolgendosi a soggetti propri consociati – possono essere riprese e “messe in circolo” dalla pubblicistica, concorrendo così alla definizione delle conoscenze generali. Notevole valenza interpretativa hanno inoltre le sentenze degli organi giurisdizionali speciali, di merito (commissioni tributarie) e di legittimità (Sezione Tributaria della Corte di Cassazione), oltre a quelle di altre giurisdizioni (ad esempio, del giudice penale che decide in materia di reati fiscali,con riflessi anche sul corretto inquadramento di fattispecie tributarie sostanziali). Infine, con la consapevolezza che l’elenco delle “fonti” e “quasi – fonti” del diritto tributario è destinato a rimanere aperto, si sottolinea l’impatto della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (le cui sentenze costituiscono il “diritto comunitario vivente”) e quello delle convenzioni internazionali, soprattutto contro le doppie imposizioni, fondate sul Modello di convenzione dell’OCSE. Questo mondo giuridico – tributario in perenne cambiamento è l’oggetto dell’indagine di una vasta pubblicistica, a carattere sia teorico - dottrinale che pratico - applicativo, nonché degli studi e delle elaborazioni di organismi della più varia natura (associazioni di categoria e sindacali, centri studi, ordini professionali, etc.), i quali sono spesso ascoltati dal Legislatore nel corso delle audizioni che costituiscono parte integrante dei lavori parlamentari preliminari all’emanazione delle leggi. Per effetto di tale situazione, il presupposto impositivo, frutto di un’opzione normativa, può ricollegarsi a un complesso lavoro d’interpretazione e qualificazione normativa, con possibilità di conflitti tra diverse impostazioni. 3.1. Le leggi regionali e quelle statali in materia di tributi locali. Sebbene la potestà normativa tributaria spetti in gran prevalenza allo Stato, in parte, la stessa viene attribuita anche alle Regioni a statuto ordinario nelle forme e nei modi stabiliti dalle leggi della Repubblica. Ai sensi del disposto dell’articolo 119 della Costituzione, infatti, nell’ambito delle disposizioni e dei principi di carattere generale disciplinati dalle leggi dello Stato, alle regioni, alle Province ed ai Comuni è data facoltà di apportare modifiche nei limiti di quanto già stabilità dalle leggi stesse. E’ il caso, ad esempio, dell’imposta comunale sugli immobili, appositamente ed esaustivamente disciplinata dal Decreto Legislativo n.504/1992: ai singoli Comuni è data facoltà di apportare variazioni e modifiche, mediante appositi regolamenti comunali, circoscritti nell’ambito di quanto disposto dal citato decreto legislativo. I singoli Comuni possono, infatti, procedere a determinare l’aliquota dell’imposta tra un minimo ed un massimo stabilito dalla legge statale. 3.2. Le fonti comunitarie L’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea comporta una serie di condizionamenti in materia di potestà impositiva, anche con riferimento all’ordinamento tributario. Tale condizionamento non è tanto in termini positivi – l’Unione Europea, infatti, non impone modelli impositivi e tributi omogenei – quanto in termini negativi – comportanti, cioè, il divieto di operare discriminazioni tributarie ovvero di legiferare in modo da minare la neutralità nell’allocazione degli investimenti. A latere di questi limiti negativi, la potestà impositiva dell’Unione si esprime principalmente attraverso regolamenti e direttive: i primi sono atti sopranazionali direttamente esecutivi nel nostro ordinamento tributario senza necessità di ratifica parlamentare; le direttive, invece, non hanno efficacia diretta negli ordinamenti dei singoli stati in quanto devono essere espressamente recepite dal Parlamento. Pagina 13 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.2. L’imposta sul reddito delle società di capitali (IRES): definizione, presupposti e determinazione (a cura di Damiano Cazzetta) Le regole di tassazione diretta delle società di capitali sono (fondamentale) contenute nel testo unico delle imposte sul reddito ed in particolare nel titolo II “Imposte sul reddito delle società” (artt. 72 – 161) oltre che nel titolo III “Disposizioni comuni” (artt. 162 –184). La normativa è stata modificata ed innovata dal D.Lgs. n.344/2003. La riforma del sistema fiscale intervenuta grazie a tale provvedimento ha inteso adeguare il sistema impositivo nazionale a quello adottato dalla maggior parte dei Paesi europei, in considerazione del sempre più elevato grado di apertura e di globalizzazione dei mercati. In tale scenario, l'ordinamento tributario vigente nel nostro Paese si è mosso in direzione dell'armonizzazione con gli ordinamenti degli altri Stati per evitare dannosi particolarismi e rendere neutrale la variabile fiscale rispetto alle decisioni degli operatori economici. Scopo professato della riforma è stato quello di tendere alla progressiva riduzione del prelievo conseguente, da un lato, alla riduzione delle aliquote, dall'altro, all'allargamento della base imponibile. Traendo spunti dai progetti di riforma tributaria già attuati nella maggior parte dei paesi europei, il legislatore italiano ha introdotto nel nostro ordinamento istituti nuovi, omogenei a quelli adottati dai partner europei, con l'obiettivo di eliminare ingiustificate distorsioni e opportunità di arbitraggi e, nel lungo periodo, facilitare l'adozione di un sistema fiscale unico per l'Europa. In quest'ottica si inseriscono come passaggi intermedi, coerenti con gli indirizzi definiti a livello comunitario, l'introduzione della nuova disciplina dei rapporti tra la fiscalità delle società e dei soci, il consolidato nazionale e quello mondiale, nonché altre significative misure fiscali previste dalla legge. Attraverso l'omogeneità al modello europeo si punta altresì alla semplificazione della struttura del prelievo. In particolare, si è passati da un sistema di tassazione duale (quello caratterizzato dalla presenza della DIT e dall'applicazione d'imposte sostitutive sulle operazioni straordinarie) ad un sistema di tassazione ad aliquota unica. Si tratta, come già evidenziato, di un obiettivo coerente con le raccomandazioni rivolte agli stati membri dell'Unione Europea, contenute nel documento emanato dal Consiglio europeo straordinario di Lisbona del marzo 2000, riguardanti l'attivazione di sistemi di tassazione tra loro confrontabili. A tale scopo il Legislatore italiano ha previsto l'adozione dell'aliquota del 33%, pari alla media europea, nonché la progressiva abolizione dell'IRAP e la definitiva abolizione della DIT. 2.1. Definizione Le società di capitali, come disposto dall’articolo 73 del Testo Unico delle imposte sui redditi (di seguito TUIR), sono soggetto passivo IRES, la cui disciplina, ai sensi dell’articolo 75 del TUIR, è prevista dagli articoli di cui alla Sezione I del Capo II del Testo Unico. A tal proposito è opportuno precisare che la citata normativa di riferimento ha subito importanti modifiche in seguito all’entrata in vigore (dal 1 gennaio 2004) del decreto legislativo n.344 del 12 dicembre 2003. Le modifiche di riforma del sistema fiscale introdotte, volte ad adeguare il sistema impositivo nazionale a quello adottato dalla maggior parte dei Paesi europei, hanno particolare impatto sui criteri di determinazione del reddito imponibile, pertanto si rinvia la trattazione al paragrafo successivo. L’introduzione dell’IRES – avvenuta con il D.Lgs.n.344 del 12.12.2003, attua le previsioni dell’art. 4 della legge – delega. Pagina 14 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 La nuova imposta societaria, che guarda al prevalente modello europeo, racchiude i seguenti elementi qualificanti, riconducibili ai principi e criteri direttivi indicati nelle lettere da a) ad o) dell’art. 4, comma 1, della Legge 7.4.2003, n. 80: tassazione consolidata a livello di gruppo (consolidato fiscale nazionale e mondiale); nuovo regime dei dividendi e delle plus e minusvalenze realizzate su cessioni di partecipazioni (participation exemption); introduzione di norme finalizzate al contrasto della sottocapitalizzazione delle imprese (thin capitalization rule); introduzione di un’aliquota d’imposta unica al 33%, con la conseguente eliminazione della DIT e dell’imposta sostitutiva sulle operazioni straordinarie d’impresa; regime opzionale di trasparenza fiscale per le società di capitali. Il nuovo Tuir accoglie infine, adeguandosi alle esigenze di coordinamento imposte dalla riforma del diritto societario (di cui al D.Lgs. 17.1.2003, n. 6, che ha attuato la delega contenuta nella Legge 3.10.2001, n. 366), le norme intese all’eliminazione delle divergenze tra disposizioni fiscali e civilistiche. Si rammentano, in particolare: - le disposizioni di cui al nuovo art. 109, comma 4, e della relativa norma transitoria di cui all’art. 4, lett. h) del D.Lgs. di riforma, volte a disciplinare le conseguenze sul piano fiscale del c.d. “disinquinamento” del bilancio derivante dall’abrogazione del comma 2 dell’art. 2426 del c.c.; - le disposizioni dei commi 3 e 4 dell’art. 110, recante norme generali sulle valutazioni, i quali tengono conto delle modifiche ai criteri di valutazione di crediti e debiti in valuta, di cui all’art. 2426, comma 1, n. 8 - bis; - i riferimenti agli strumenti finanziari assimilati alle azioni, contenuti tra l’altro nel comma. 2 del nuovo art. 44 del Tuir; - le disposizioni del nuovo art. 171, recante la disciplina fiscale del nuovo istituto della trasformazione c.d. “eterogenea”, disciplinata dagli artt. 2500 - septies e 2500 - octies del c.c. 2.2. Presupposti Presupposto dell’IRES è, come previsto dall’articolo 72, il possesso di un reddito in denaro o in natura. Al reddito imponibile fiscalmente viene applicata l’aliquota del 33%, mentre qualora si venisse a realizzare una perdita, la stessa può essere riportata a scomputo degli eventuali redditi realizzati negli anni successivi. Modalità e limiti di utilizzo delle perdite pregresse sono previsti dall’articolo 84 del TUIR. In particolare le perdite non sono riportabili oltre il quinto esercizio successivo a quello in cui le stesse sono state conseguite, salvo che non siano state realizzate nei primi tre esercizi di vita dell’impresa, nel qual caso risultano riportabili illimitatamente. Altri vincoli di natura puramente antielusiva sono poi disciplinati al comma 3 dello stesso articolo che prevede ad esempio l’impossibilità di riporto delle perdite pregresse qualora venga modificata l’attività esercitata dall’impresa rispetto al momento in cui si è verificato il risultato negativo. Secondo la dottrina, il presupposto corrisponde al fatto o alle circostanze al cui verificarsi la legge ricollega la nascita dell’obbligazione tributaria. Il presupposto è, dunque, anteriore all’eventuale attività di accertamento svolta dall’Amministrazione, e deriva dall’individuazione di fatti o circostanze quali situazioni generatrici dell’obbligo fiscale. Tale individuazione, operata dal Legislatore, trova i propri chiari riferimenti negli artt. 23 e 53 della Costituzione, secondo i quali, come illustrato al capitolo IA1: Pagina 15 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta, se non in base alla legge (riserva di legge relativa); ognuno deve concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva; il sistema fiscale segue (nel suo complesso) un criterio di progressività. E’ quindi il diritto positivo a far sorgere “l’evento” dal quale deriva l’obbligazione tributaria. Secondo l’art. 1140 del c.c., il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà, o di un altro diritto reale. Il comma 2 dell’articolo aggiunge che il possesso può essere diretto, ovvero esercitato attraverso una terza persona. Di fronte a una nozione sfuggente e “fluida” per definizione, quale quella di “reddito”, la nozione civilistica di “possesso” incontra qualche difficoltà; il reddito non consiste infatti in un “bene” con natura patrimoniale, ma semmai nel conseguimento (secondo i criteri individuati dal Legislatore fiscale, ovvero cassa e competenza, distinti per tipologia di contribuente) di somme o del “valore normale” di beni (i quali però sono considerati in quanto elementi del reddito, e non in quanto “cespiti” di per sé costituenti il reddito stesso). Non si può sottacere come a livello dottrinale sono presenti quanto meno due diverse teorie con riguardo all’esatta interpretazione da assegnare al possesso richiamato dal legislatore tributario. Se una parte della stessa ha assimilato la nozione tributaria di possesso a quella codificata dal codice civile, altra parte preferisce legare il possesso rilevante fiscalmente alla disponibilità economica del reddito, ovvero è possessore colui che ha la materiale disponibilità di utilizzare il reddito senza alcun vincolo di destinazione. Nel contesto della disciplina riservata alle società e agli enti soggetti all’IRES, il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie individuate dall’art. 6 del Testo Unico può condurre: - alla rilevanza fiscale dei redditi posseduti in quanto “redditi d’impresa”, secondo l’espresso disposto dell’art. 81, nel caso in cui il soggetto passivo sia una società o un ente commerciale, residente o non residente (art. 73, comma 1, lett. a) e b), e art. 152, comma 1, del Tuir); - alla rilevanza fiscale dei redditi medesimi all’interno delle varie tipologie reddituali previste per i soggetti IRPEF – IRE, per gli enti non commerciali, residenti e non residenti (art. 144, comma 1, e art. 154, comma 1, del Tuir). 2.3. Determinazione del reddito imponibile Il reddito è un concetto dinamico, che corrisponde all’incremento patrimoniale in un periodo determinato (cioè entro il periodo d’imposta); inoltre, soprattutto in campo IRES, esso è inteso al netto delle spese necessarie a produrlo. Nel dibattito tradizionale sul concetto di reddito, erano state enucleate le due categorie del “reddito prodotto” e del “reddito entrata”, quest’ultima comprendente – oltre agli “arricchimenti” frutto di un’attività del contribuente oppure di fonti di natura patrimoniale – anche le entrate di natura straordinaria e non preordinate. Le tipologie di reddito indicate nell’art. 6 del Testo Unico sono discriminate in base alle opzioni del Legislatore, sicché, a fronte di redditi determinati in forma sintetica, con deduzioni e detrazioni schematiche e forfettizzate (come il reddito di lavoro dipendente), sono presenti redditi la cui determinazione è estremamente analitica (come quelli d’impresa). Si rammenta che le categorie di reddito individuate dal Tuir sono (art. 6, comma 1): redditi fondiari; redditi di capitale; Pagina 16 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 redditi di lavoro dipendente; redditi di lavoro autonomo; redditi d’impresa; redditi diversi. I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto della cessione dei relativi crediti, e le indennità risarcitorie, anche in forma assicurativa, per perdite di redditi, insieme agli interessi moratori e a quelli per dilazione di pagamento, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli “principali”, dei quali sono sostituti o accessori (art. 6, comma 2). Così evidenziato sinteticamente il contenuto della norma in commento è possibile riepilogare gli elementi da cui è possibile individuare l’esistenza del presupposto d’imposta: - possesso del reddito; manifestazione dello stesso in forma monetaria o in sotto forma di beni o servizi (in natura); - appartenenza del reddito ad una della categorie di cui all’art. 6 del TUIR. Secondo la formulazione dell’art. 75 del Testo Unico, che in buona parte ricalca quella del vecchio art. 89, l’IRES insiste sulla base imponibile costituita dal reddito complessivo netto, calcolato: per le società e gli enti commerciali residenti, secondo le norme della Sez. I del Capo II; per gli enti non commerciali residenti, secondo le norme del Capo III; per le società e gli enti non residenti, secondo le norme dei Capi IV e V. Inoltre, il comma 2 dell’articolo introduce, per le società di capitali residenti e per quelle non residenti, la possibilità di determinare il proprio reddito secondo i criteri forfetari individuati nel Capo VI del Titolo II (“Determinazione della base imponibile per alcune imprese marittime”: si tratta della c.d. “tonnage tax”). Le disposizioni contenute nel comma 1 dell’art. 75 non sembrano incontrare particolari difficoltà interpretative; occorre però circoscrivere concettualmente la nozione di “reddito complessivo netto”, e considerare meglio l’estensione del rinvio, operato dalla norma in commento, ai settori del Tuir nei quali sono contenute le disposizioni di riferimento. La normativa fiscale, senza espressamente definire la nozione di “reddito”, la utilizza ponendola a base di una complessa architettura normativa; tale concetto è vitale, nella logica delle entrate erariali, perché è in grado di esprimere la variazione della ricchezza in un determinato arco temporale (generalmente corrispondente all’anno solare). E’ evidente che il vincolo della capacità contributiva, ex art. 53 Cost., al quale il sistema tributario deve complessivamente adeguarsi, si trova in particolare sintonia con la rappresentazione della “ricchezza” come flusso registrabile in un determinato lasso di tempo (corrispondente, d’altro canto, all’incremento del patrimonio nel corso di un periodo dato). Il reddito è generalmente inteso al netto dei costi correlati alla sua produzione, i quali sono spesso analiticamente quantificabili (come nel reddito d’impresa, a fronte della cui determinazione vi sono stringenti obblighi contabili e documentali), ma talvolta sfuggono a una precisa individuazione, e perciò vengono forfettizzati (come nei redditi di lavoro dipendente, ma anche, per determinati componenti reddituali negativi, in quelli d’impresa e professionali) o non considerati (come nei redditi di capitale). La nozione di reddito attualmente assunta dal Legislatore fiscale risente di un pluridecennale dibattito tra le opposte teorie del “reddito prodotto” (che non tiene conto delle entrate di natura straordinaria) e del “reddito entrata” (che considera invece qualunque provento, come ad esempio la plusvalenza incassata attraverso la cessione di un bene patrimoniale). Pagina 17 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Il corrente concetto di reddito, valido ai fini impositivi, si impernia sul concetto di “reddito entrata”, il quale comunque presuppone, da parte del percettore, una qualche prestazione, e non il mero incremento patrimoniale gratuito (come nel caso delle successioni e delle donazioni). La nozione di “reddito complessivo” intende invece includere tutti i redditi, appartenenti alle varie categorie reddituali di cui all’art. 6 dello stesso Tuir, ovvero: redditi fondiari (disciplinati dal Capo II del Tit. I, artt. 25 – 43); redditi di capitale (disciplinati dal Capo III del Tit. I, artt. 44 – 48); redditi di lavoro dipendente (disciplinati dal Capo IV del Tit. I, artt. 49 – 52); redditi di lavoro autonomo (disciplinati dal Capo V del Tit. I, artt. 53 – 54); redditi d’impresa (disciplinati in campo IRPEF – IRE dal Capo VI del Tit. I, artt. 55 – 66, ma determinati, secondo le nuove norme fiscali, in primo luogo secondo le disposizioni della Sez. I del Capo II del Tit. II, ovvero secondo le norme valevoli per l’IRES, ai sensi dell’art. 56, co. 1); redditi diversi (disciplinati dal Capo VII del Tit. I, artt. 67 – 71). Si rammenta che, nell’ambito dei soggetti IRES, il reddito complessivo: per le società di capitali e per gli enti commerciali residenti è sempre considerato reddito d’impresa, da qualsiasi fonte esso provenga (art. 81); per gli enti non commerciali residenti, è determinato discriminando i redditi in base alla fonte, secondo le categorie di cui al predetto art. 6 (art. 143), con eccezione dei redditi di lavoro dipendente e autonomo, che, per ovvii motivi legati al carattere personale delle relative prestazioni, non possono essere percepiti da tali enti; per le società e per gli enti commerciali non residenti: in presenza di stabile organizzazione nel territorio dello Stato, è determinato secondo le disposizioni della Sez. I del Capo II del Tit. II, sulla base di apposito conto economico (art. 152, comma 1); in assenza di stabile organizzazione, è determinato cumulando i vari redditi prodotti, in relazione alle varie categorie nelle quali essi rientrano (art. 152, comma 2); per gli enti non commerciali non residenti, è determinato secondo le disposizioni del Tit. I, ovvero secondo le norme IRPEF – IRE sul concorso al reddito per categorie tra loro distinte (art. 154, comma 1). Dal reddito complessivo si giunge al reddito complessivo netto, che costituisce la base imponibile dell’IRES come dell’IRPEF (e, in un prossimo futuro, dell’IRE), scomputando le perdite, il credito d’imposta sui dividendi (evidentemente, per il solo periodo d’imposta 2003, ancora soggetto all’IRPEG e non all’IRES), il credito d’imposta sui fondi comuni d’investimento e le perdite dei periodi precedenti. 2.4. Variazioni del risultato di bilancio Come anticipato, la determinazione del reddito avviene in ragione delle variazioni in aumento ed in diminuzione sul risultato ante imposte emergente dal bilancio d’esercizio. I criteri guida per considerare rilevanti, ai fini fiscali, i costi ed i ricavi risultanti dal bilancio, sono dettati dall’articolo 109 del TUIR. In particolare è determinante il criterio dell’inerenza sancito dal comma 5; ovvero viene ammessa la deducibilità delle spese se e nella misura in cui queste siano riconducibili ad attività generatrici di ricavi o altri proventi imponibili. I ricavi concorrono a formare il reddito imponibile anche se non imputati a conto economico (comma 3) differenziandosi così dalla disciplina prevista per i costi (comma 4) per la quale si rinvia a quanto detto al paragrafo precedente. Pagina 18 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Anche in ambito fiscale i costi ed i ricavi concorrono alla determinazione del reddito seguendo il principio della competenza economica, secondo i criteri di cui al comma 2. In particolare, si distingue tra i corrispettivi ed i costi scaturenti da cessione e quelli derivanti da prestazioni di servizi. Per i primi l’elemento temporale di riferimento è dato dalla data di consegna o spedizione per i beni mobili, da quella di stipulazione del contratto in caso di beni immobili; per i secondi invece si deve prendere come riferimento la data di ultimazione della prestazione, eccetto che i contratti per cui c’è una erogazione periodica del corrispettivo (possono essere da esempio i contratti di mutuo e di locazione), nel qual caso la competenza ha come riferimento la data di maturazione del corrispettivo. La normativa tributaria prevede per talune tipologie di costi, quali ad esempio le immobilizzazioni (materiali ed immateriali) gli oneri pluriennali e gli accantonamenti per rischi su crediti. La deducibilità degli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali e possibile a partire dal momento in cui i beni sono entrati in funzione nel processo produttivo (articolo 102 comma 1), espressione che si differenzia da quanto previsto dai principi contabili di redazione del bilancio, per i quali detti costi concorrono alla formazione del risultato dell’esercizio dal momento in cui gli stessi sono utilizzabili ancorché utilizzati ((par. D.XI principio contabile n.16). Viene inoltre posto un limite all’ammontare dell’importo deducibile per ciascun esercizio, infatti tale quota non può essere superiore (salvo il caso di esercizio della facoltà dell’ammortamento anticipato di cui al comma 3) a quella prevista dai coefficienti stabiliti con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale (comma 2). Per il primo anno di utilizzo dei beni detti coefficienti sono ridotti alla metà. Parallelamente anche le relative spese di manutenzione (ordinaria) dei beni subiscono delle limitazioni in merito alla possibilità di riconoscimento fiscale del costo; infatti concorrono alla formazione del reddito imponibile in misura non superiore al 5% calcolata sul valore complessivo dei beni all’inizio dell’esercizio (comma 6). Relativamente ai beni immateriali, all’articolo 103 sono previsti i limiti massimi di ammortamento, mentre per quanto riguarda gli oneri pluriennali (articolo 108) viene stabilito il periodo massimo di ammortamento del costo qualora si sia optato per la sua capitalizzazione. Infine per quanto riguarda i limiti di deduzione degli accantonamenti per rischi su crediti l’articolo 106 pone quale limite quello dello 0,5% calcolato sul valore nominale risultante da bilancio. Tale accantonamento risulta deducibile fino al raggiungimento della quota del 5% del valore dei crediti risultanti dall’ultimo bilancio approvato. 2.5. Determinazione dell’imposta Una volta effettuate le variazioni sul risultato civilistico e determinato il reddito imponibile, l’IRES viene calcolata applicando a quest’ultimo l’aliquota del 33% (con la riforma è stata introdotta l’aliquota unica che ha sostituito il regime precedente caratterizzato dalla D.I.T., che prevedeva la possibilità di poter applicare, in taluni casi, per una parte di reddito, l’aliquota del 19%). Eventuali ritenute d’acconto subite (quali ad esempio quelle relative agli interessi bancari percepiti) dovranno essere portate a scomputo dall’imposta così calcolata. Vanno inoltre scomputati gli eventuali acconti d’imposta dovuti in corso d’anno. L’acconto, per ciascun anno va calcolato sull’imposta al netto delle ritenute. Il calcolo può essere effettuato su base storica o previsionale. Nel primo caso viene determinato in misura percentuale sull’imposta (tale percentuale viene determinata ogni anno con la legge finanziaria, per il 2005 è stata commisurata al 99% dell’imposta risultante per l’anno 2004); nel secondo (utilizzato nel caso in cui si preveda un reddito inferiore rispetto a quello Pagina 19 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 risultante per l’anno corrente) non vi è alcun limite di importo se non quello di corrispondere comunque, complessivamente, un ammontare non inferiore alla stessa percentuale d’imposta prevista per il metodo storico (per il 2005 il 99%) calcolata, in questo caso, sull’imposta effettiva dell'anno. L’importo dell’acconto, ai fini del pagamento, viene suddiviso in due, nella misura del 40% e del 60%. Una volta dedotti gli acconti, l’eventuale imposta dovuta costituisce il saldo dovuto dal contribuente, nel caso contrario in cui gli acconti siano superiori all’imposta effettivamente dovuta, si genererà un credito per l’impresa che potrà essere portato in detrazione negli anni successivi. Una compendio degli articoli di riferimento che, nel nuovo Tuir, guidano alla determinazione della base imponibile delle società di capitali e degli enti commerciali residenti, è compiuta nella tabella che segue. Determinazione della base imponibile per Spa, Srl, sapa, cooperative, soc. di mutua assicurazione ed enti commerciali residenti (artt. 81 – 116 del Tuir) Articol Rubrica Contenuto o Reddito Il reddito complessivo dei soggetti considerati è sempre 81 complessivo considerato reddito d’impresa. Cessioni Le plusvalenze imponibili relative ad azioni o quote alienate per obbligatorie obbligo di legge (come le azioni proprie) concorrono al reddito, di 82 alternativamente: nell’esercizio; (ovvero) con rateazione partecipazion nell’esercizio di realizzo e in quelli successivi, ma non oltre il i sociali quarto. Determinazio Il reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alla 83 ne del reddito perdita risultanti dal conto economico le variazioni fiscali in complessivo aumento o in diminuzione. 84 Riporto delle perdite 85 Ricavi Le perdite di un periodo d’imposta possono essere scomputate dal reddito dei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il quinto; se realizzate nei primi tre periodi d’imposta, non vi è alcun limite di tempo. Sono considerati ricavi: - i corrispettivi delle cessioni e prestazioni relativi all’attività caratteristica dell’impresa; - i corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, semilavorati e altri beni mobili, esclusi quelli strumentali; - i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie; - i corrispettivi delle cessioni di strumenti finanziari assimilati alle azioni che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie; - i corrispettivi delle cessioni di obbligazioni e altri titoli in serie o di massa che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie; Pagina 20 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 86 Plusvalenze patrimoniali 87 Plusvalenze esenti 88 Sopravvenie nze attive 89 Dividendi ed interessi 90 Proventi immobiliari 91 92 - le indennità risarcitorie, anche in forma assicurativa, per la perdita di beni che generano ricavi; - i contributi in denaro o in natura spettanti sotto qualsiasi denominazione in base a contratto; - i contributi spettanti in conto esercizio a norma di legge. Le plusvalenze, generate dai beni diversi da quelli che producono ricavi, concorrono al reddito se sono realizzate a titolo oneroso, ovvero attraverso il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento di beni. Non concorrono alla formazione dell’imponibile le plusvalenze relative a partecipazioni, con i seguenti requisiti: - ininterrotto possesso dal 1° giorno del 12° mese precedente quello della cessione; - classificazione tra le immobilizzazioni finanziarie nel 1° bilancio chiuso nel periodo di possesso; - residenza fiscale della partecipata in Stato o territorio non – black list; o esito positivo dell’interpello; - esercizio da parte della partecipata di impresa commerciale. Si tratta dei proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, nonché dei proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso al reddito in precedenti esercizi e della sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi. Sono inoltre sopravvenienze attive le indennità, anche assicurative, conseguite per il risarcimento di danni su beni non produttivi di ricavi, né di plusvalenze, nonché i contributi e le liberalità, anche per l’acquisto di beni ammortizzabili. Gli utili distribuiti dai soggetti IRES sono esenti dal reddito dei percipienti che siano anch’essi soggetti IRES nella misura del 95% dell’ammontare. I redditi degli immobili non strumentali, né “merce”, concorrono al reddito secondo le disposizioni relative ai redditi fondiari in campo IRPEF (Tit. II, Capo II); se situati all’estero, si applicano le regole dell’art. 70. Non concorrono al reddito: - i proventi dei cespiti esenti da imposta; Proventi e oneri - i proventi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o a non computabili imposta sostitutiva; nella - in caso di riduzione del capitale mediante l’annullamento di determinazione azioni proprie, la differenza tra il costo delle azioni annullate e la del reddito corrispondente quota del patrimonio netto; - i sopraprezzi di emissione delle azioni o quote e gli interessi di conguaglio versati dai sottoscrittori di nuove azioni o quote. Variazioni Le variazioni delle rimanenze finali dei beni produttivi di ricavi delle ex art. 85, comma. 1, lett. a) e b), rispetto alle esistenze iniziali, rimanenze concorrono al reddito dell’esercizio. Pagina 21 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 93 Opere, forniture e servizi di durata ultrannuale 94 Valutazione dei titoli 95 Spese per prestazioni di lavoro 96 Interessi passivi 97 Pro rata patrimoniale 98 Contrasto all’utilizzo fiscale della sottocapitaliz zazione 99 Oneri fiscali e contributivi Le variazioni delle rimanenze finali delle opere, forniture e servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale, rispetto alle esistenze iniziali, concorrono al reddito dell’esercizio. I titoli produttivi di ricavi (art. 85, comma 1, lett. c), d), e)), esistenti al termine di un esercizio, sono valutati secondo le regole generali valide in tema di variazione delle rimanenze (art. 92, commi 1, 2, 3, 4, 5, 7). Le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori. La quota di interessi passivi che residua dopo l'applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 97 e 98 (ovvero pro-rata patrimoniale e “thin capitalization rule”) è deducibile per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Se alla fine del periodo d'imposta il valore di libro delle partecipazioni esenti ex art. 87 supera quello del patrimonio netto contabile, la quota di interessi passivi che residua dopo l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 98 (“thin capitalization rule”), al netto degli interessi attivi, è indeducibile per la parte corrispondente al rapporto fra tale eccedenza ed il totale dell'attivo patrimoniale ridotto dello stesso patrimonio netto contabile e dei debiti commerciali. La parte indeducibile così determinata è ridotta in misura corrispondente alla quota imponibile dei dividendi percepiti relativi alle stesse partecipazioni esenti. Se l’ammontare complessivo dei finanziamenti erogati eccede il rapporto di 4/1 rispetto al patrimonio netto contabile, la remunerazione dei finanziamenti eccedenti, direttamente o indirettamente erogati o garantiti da un socio qualificato o da una sua parte correlata, computata al netto della quota di interessi indeducibili in applicazione dell'art. 3, comma 115, della Legge 28.12.1995, n. 549, è indeducibile dal reddito imponibile, a condizione che anche il rapporto tra la consistenza media durante il periodo d'imposta dei finanziamenti di cui e la quota di patrimonio netto contabile di pertinenza del socio medesimo e delle sue parti correlate, aumentato degli apporti di capitale effettuati dallo stesso socio o da sue parti correlate in esecuzione dei contratti di associazione in partecipazione e di cointeressenza con apporto di capitale, sia superiore a 4/1. Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione; le altre imposte sono deducibili nell'esercizio in cui avviene il pagamento. Gli accantonamenti per imposte non ancora definitivamente accertate sono deducibili nei limiti dell'ammontare corrispondente alle dichiarazioni presentate, agli accertamenti o provvedimenti degli uffici e alle decisioni delle commissioni tributarie. I contributi ad associazioni sindacali e di categoria sono deducibili Pagina 22 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 100 Oneri di utilità sociale 101 Minusvalenz e patrimoniali, sopravvenien ze passive e perdite nell'esercizio in cui sono corrisposti, se e nella misura in cui sono dovuti, in base a formale deliberazione dell'associazione. Le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi. Sono inoltre deducibili, entro limiti prescritti, le erogazioni liberali a favore di persone giuridiche che perseguono finalità “meritevoli”, nonché quelle a favore di persone giuridiche con sede nel Mezzogiorno, dedite alla ricerca scientifica, oltre che a favore di università e di una nutrita serie di altri enti, secondo le indicazioni dell’art. 100, comma 2, lettere da a) ad o). Le minusvalenze dei beni relativi all'impresa, diversi da quelli produttivi di ricavi e da quelli rientranti nell’ambito applicativo della participation exemption, determinate con gli stessi criteri stabiliti per la determinazione delle plusvalenze, sono deducibili se sono realizzate ai sensi dell'articolo 86, commi 1, lettere a), b) e c), e 2 (ovvero a titolo oneroso, o tramite risarcimento anche assicurativo, o mediante destinazione a finalità extra-aziendali o assegnazione ai soci). Le quote di ammortamento del costo dei beni materiali strumentali per l'esercizio dell'impresa sono deducibili a partire dall'esercizio di entrata in funzione del bene. La deduzione è ammessa secondo i coefficienti del D.M. 31.12.1998; è inoltre ammesso l’ammortamento anticipato, in relazione alla più intensa utilizzazione del bene rispetto alla norma. Le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione di opere dell'ingegno, dei brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico sono deducibili in misura non superiore a 1/3 del costo; quelle relative al costo dei marchi d'impresa sono deducibili in misura non superiore a 1/10 del costo. Per i diritti di concessione e per gli altri diritti iscritti nell'attivo patrimoniale, la deducibilità delle quote corrisponde alla durata di utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge. Le quote di ammortamento del valore di avviamento iscritto nell'attivo patrimoniale sono invece deducibili in misura non superiore a 1/10 del valore stesso. 102 Ammortamento dei beni materiali 103 Ammortamento dei beni immateriali 104 Ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili Per i beni gratuitamente devolvibili alla scadenza di una concessione è consentita, in luogo dell'ammortamento ordinario, la deduzione di quote costanti di ammortamento finanziario. 105 Accantonamenti di quiescenza e previdenza Gli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente, se costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti, sono deducibili nei limiti delle quote maturate nell'esercizio in conformità alle Pagina 23 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei dipendenti stessi. 106 Svalutazione dei crediti e accantonamenti per rischi su crediti 107 Altri accantonamenti 108 Spese relative a più esercizi 109 Norme generali sui componenti del reddito d’impresa Le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l'importo non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle cessioni di beni e dalle prestazioni di servizi produttivi di ricavi, sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,50% del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi, tenendo conto anche di accantonamenti per rischi su crediti. La deduzione non è più ammessa quando l'ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti ha raggiunto il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell'esercizio. Sono inoltre deducibili: - gli accantonamenti per lavori ciclici di manutenzione o revisione di navi e aeromobili, nei limiti del 5% del costo di ciascuna nave o aeromobile; - gli accantonamenti per il ripristino o la sostituzione di beni gratuitamente devolvibili da parte di imprese concessionarie di opere pubbliche, nei limiti del 5% del costo di ciascun bene; - gli accantonamenti a fronte di oneri derivanti da operazioni e concorsi a premio, nella misura massima del 30% e del 70% degli impegni assunti nell’esercizio. Sono deducibili in più esercizi: - le spese per studi e ricerche, nell’esercizio di sostenimento e nei successivi quattro esercizi; - le spese di pubblicità, nell’esercizio di sostenimento e nei successivi quattro esercizi; - le spese di rappresentanza, deducibili solo per 1/3, nell’esercizio di sostenimento e nei successivi quattro esercizi; - le altre spese relative a più esercizi, nei limiti della quota imputabile a ciascun esercizio. I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti del Tuir non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni. I ricavi, gli altri proventi di ogni genere e le rimanenze concorrono a formare il reddito anche se non risultano imputati al conto economico. Le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all'esercizio di competenza. Sono tuttavia deducibili: - quelli imputati al conto economico di un esercizio precedente, se la deduzione è stata rinviata in conformità alle precedenti norme della presente sezione che dispongono o consentono il rinvio; - quelli che pur non essendo imputabili al conto economico, sono deducibili per disposizione di legge. Gli ammortamenti dei beni materiali ed immateriali, le altre rettifiche di valore e gli accantonamenti sono deducibili se in apposito prospetto della dichiarazione dei redditi è indicato il Pagina 24 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 loro importo complessivo, i valori civili e fiscali dei beni e quelli dei fondi. Le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi. 110 Norme generali sulle valutazioni 115 Opzione per la trasparenza fiscale 116 Opzione per la trasparenza fiscale delle società a ristretta base proprietaria Agli effetti dell’IRES: - il costo è assunto al lordo delle quote di ammortamento già dedotte; - si comprendono nel costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali; - il costo dei beni rivalutati, diversi da quelli di cui all'art. 85, lett. a) e b) (ricavi della “gestione caratteristica”) non comprende le plusvalenze iscritte ad esclusione di quelle che per disposizione di legge non concorrono a formare il reddito; - il costo delle azioni, delle quote e degli strumenti finanziari similari alle azioni non comprende i maggiori o minori valori iscritti i quali conseguentemente non concorrono alla formazione del reddito, né alla determinazione del valore fiscalmente riconosciuto delle rimanenze di tali azioni, quote o strumenti; - per i titoli a reddito fisso, che costituiscono immobilizzazioni finanziarie e sono iscritti come tali in bilancio, la differenza positiva o negativa tra il costo d'acquisto e il valore di rimborso concorre a formare il reddito per la quota maturata nell'esercizio. Il regime della trasparenza fiscale, che trova la propria normativa attuativa nel DM 23.4.2004, prevede che le società di capitali residenti, partecipate da altre società di capitali residenti, in misura percentuale dal 10% al 50%, possano imputare i propri redditi per trasparenza alle società – socie, indipendentemente dall’effettiva percezione. La stessa opzione è esercitabile anche dalle s.r.l. il cui volume di ricavi non supera la soglia massima prevista ai fini degli studi di settore, con soci persone fisiche in numero non superiore a 10 (20 se si tratta di una società cooperativa). Pagina 25 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.3. I principi di tassazione del reddito delle società di capitali (a cura di Giuseppe Di Garbo) Gli elementi di reddito devono essere quantificati nel rispetto di alcuni principi di tassazione, occorre precisare che alcuni di essi si riferiscono indifferentemente agli elementi di reddito positivi e negativi, mentre altri solo a quelli negativi. I principi di carattere generale sono i seguenti: a) principio di territorialità; b) principio di competenza; c) principio di certezza e determinabilità d) principio di corretta valutazione; e) principio di continuità; I principi riguardanti solamente gli elementi negativi di reddito sono i seguenti: f) principio di inerenza dei costi; g) principio di contabilizzazione a conto economico a) Principio di territorialità Dal punto di vista territoriale, occorre distinguere tra imprese residenti e non residenti in Italia. Infatti, la normativa interna italiana, in materia di principi di tassazione, è basata su due criteri: - principio della tassazione su base mondiale; - principio della tassazione su base territoriale. Il principio della tassazione su base mondiale (detto anche principio del "world-wide income") è applicato nei confronti dei soggetti residenti. Sulla base di tale principio, il soggetto, una volta qualificato come residente, è assoggettato a tassazione su tutti i suoi redditi ovunque prodotti, per il solo fatto che questi sono riferibili al suddetto beneficiario. Al contrario, il principio della tassazione su base territoriale (detto anche principio della fonte) interviene nel caso in cui il soggetto venga qualificato come non residente e si fonda sul criterio dell'assoggettamento a tassazione in base alla localizzazione dei redditi nello Stato. Pertanto, in applicazione di tali principi, per le imprese residenti il reddito comprende non solo i redditi prodotti in Italia ma anche quelli prodotti all'estero, mentre per le imprese non residenti è tassato in Italia l'eventuale reddito prodotto nel nostro Paese mediante una stabile organizzazione. b) Principio di competenza Il reddito d’impresa va determinato nel rispetto del principio di competenza che rileva ilo momento di maturazione dei fatti gestionali e non quello dell’incasso o del pagamento (art. 109, c. 1, TUIR). A tal fine le regole variano a seconda che si tratti di cessioni di beni o prestazioni di servizi. Il principio di competenza impone di ricercare al massimo la corrispondenza in ciascun esercizio tra ricavi e proventi da una parte e costi ed oneri dall’altra relativi alle medesime operazioni contabilizzate. Tale corrispondenza può essere perseguita nella misura in cui ciascuna delle voci attive e passive sopraccitate risultano contemporaneamente e tempestivamente certe e determinate o quanto meno determinabili. La prassi ministeriale stabilisce che, R.M. 2 giugno 1998 n. 52/E, il principio di competenza deve essere inteso nel senso che i costi seguono i ricavi e non viceversa. In particolare, determinato l’esercizio di competenza dei ricavi, diventano automaticamente deducibili in quello stesso esercizio tutti i costi relativi, ad esso correlati. La correlazione tra costi e ricavi, secondo i principi contabili, si può verificare: Per associazione di causa ed effetto tra costi e ricavi; Pagina 26 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Per ripartizione dell’utilità o funzionalità pluriennale su base razionale e sistematica, in mancanza di una più diretta associazione; Per imputazione diretta di costi al conto economico dell’esercizio, o perché associati al tempo o perché sia venuta meno l’utilità o la funzionalità del costo. Per quanto concerne la cessione di beni (art. 109, c. 2, lett. a, TUIR) si fa una distinzione tra beni mobili ed immobili. Se oggetto della cessione sono i beni mobili, i corrispettivi si considerano conseguiti e le spese sostenute alla data della consegna o spedizione del bene. Il perfezionamento del contratto di cessione prima della consegna o spedizione è irrilevante. Si deve prestare attenzione al momento in cui l’acquirente entra nell’effettiva disponibilità del bene immediatamente, se il trasporto del bene viene effettuato dall’acquirente stesso, alla consegna materiale se, invece, avviene a cura del venditore. Se oggetto della cessione sono beni immobili e le aziende, i ricavi si considerano conseguiti e le spese sostenute nel momento della stipulazione dell’atto di trasferimento, a meno che il trasferimento della proprietà si abbia in un momento successivo. In questo caso i ricavi si considerano conseguiti, e le spese sostenute, in questo secondo momento. L’art. 109 c. 2 contempla anche l’ipotesi in cui l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale si verifichi in data diversa e successiva. Nella risoluzione ministeriale 9/1370 del 26/06/1980 è stato precisato che rientrano in tale fattispecie sia l’ipotesi di gradimento (art. 1520 c.c.) che quella della vendita a prova (art. 1521 c.c.). Secondo la risoluzione citata, la clausola di gradimento non necessita di una forma particolare, essendo sufficiente che nei normali rapporti di corrispondenza si evinca la volontà di concludere un contratto salvo il gradimento dell’acquirente mentre per quanto concerne la vendita a prova, l’efficacia della vendita dipende dall’esito obiettivo della prova. Per quanto concerne le prestazioni di servizi (art. 109, c.2 lett. b, TUIR) i corrispettivi delle prestazioni di servizi e le relative spese, in generale, si considerano rispettivamente conseguiti e sostenuti quando le prestazioni sono ultimate. Nel caso di contratti di durata, che cioè prevedono corrispettivi periodici che maturano costantemente nel tempo, quali i contratti di locazione, di mutuo, di assicurazione, di lavoro interinale, i corrispettivi e le spese vanno imputati agli esercizi di maturazione. Con riguardo ai contratti di concessione di diritti di utilizzazione economica di beni immateriale (es. concessione di licenza), la dottrina ha evidenziato la loro assimilazione a quelli di cui all’art. 109, c. 2 lett. b), e ciò sia nel caso in cui siano previsti corrispettivi periodici (royalties), sia in quello in cui sia previsto un corrispettivo unico. L’art. 109 c.2 lett. c) stabilisce che per le società e gli enti che hanno emesso obbligazioni o titoli similari la differenza tra le somme dovute alla scadenza e quelle ricevute in dipendenza dell’emissione è deducibile in ciascun periodo di imposta per una quota determinata in conformità al piano di ammortamento del prestito. La diretta conseguenza dell'applicazione del principio di competenza è che, alla data di chiusura dell'esercizio, i componenti di reddito siano certi nell'esistenza e determinati o oggettivamente determinabili nell'ammontare. In alcuni casi, tassativamente previsti dalla legge, il legislatore fiscale ha stabilito che la regola della competenza venga sostituita dal “criterio di cassa”. Si tratta dei seguenti casi: • contributi associativi e sindacali (art. 99, c.3 TUIR); • compensi agli amministratori di società di persone e di capitali (art. 95, c.5 TUIR). Si rammenta che si tratta di compensi corrisposti sia in misura fissa che variabile, sia anche sotto forma di partecipazione agli utili. La partecipazione agli utili, anche erogate ai soci promotori o soci fondatori, sono deducibili anche se non imputate al conto economico. Ai sensi dell’art. 95, c.5 del TUIR, per i compensi corrisposti ai soci promotori e soci fondatori di società di capitali valgono le stesse regole; • indennità di fine mandato per amministratori di società di persone e di capitali (art. 17, c. 1 lett. c) ed art. 105 c. 1 e 4 TUIR). Tuttavia, diversamente dai compensi in Pagina 27 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 misura fissa, che come detto sopra sono deducibili per cassa, l’indennità di fine mandato va accantonata annualmente ad apposito fondo ed il regime fiscale è differente a seconda del momento di attribuzione all’amministratore del diritto all’indennità. Se il diritto all’indennità risulta da tata verta anteriore all’inizio del mandato ad amministrare, avremo: le quote maturate in ciascun esercizio ed accantonate ad apposito fondo sono deducibili per competenza dal reddito societario; l’indennità è assoggettata tassazione separata in capo all’amministratore al momento della percezione (principio di cassa), tuttavia l’amministrazione finanziaria in sede di controllo applica il regime di tassazione ordinario se più favorevole al contribuente. Se il diritto all’indennità è successivo all’inizio del mandato, ovvero non risulta da data certa: le quote maturate in ciascun esercizio ed accantonate ad apposito fondo sono deducibili per cassa dal reddito societario, cioè al pagamento dell’indennità; l’indennità è assoggettata a tassazione ordinaria in capo all’amministratore al momento della percezione. Si applica una ritenuta d’acconto (art. 25, c.1, DPR 600/1973). • tributi deducibili (art 99, c.1 TUIR). Si tratta delle imposte diverse da quelle sui redditi e per le quali è prevista la rivalsa; • contributi in conto capitale (art. 88, c.3 lett. b, TUIR). I proventi in denaro o natura conseguiti a titolo di contributo in conto capitale o di liberalità anche in natura, esclusi quelli che costituiscono ricavi nonché quelli erogati per l’acquisto di beni ammortizzabili, costituiscono sopravvenienza attiva e sono tassati alternativamente a scelta del contribuente: secondo il criterio di cassa nell’esercizio in cui sono percepiti; in quote costanti nell’esercizio stesso ed in quelli successivi sino al quarto. • Dividendi (art. 59, c.1 TUIR). La tassazione per cassa opera nella misura del 40% del loro ammontare se percepiti da imprese individuali o società di persone, ovvero del 5% del loro ammontare se percepiti da società di capitali o enti commerciali. Si fa presente che gli utili derivanti da associazioni in partecipazione sono equiparati agli utili derivanti da partecipazione in società di capitali e tassati secondo il principio di cassa nelle stesse misure di cui si diceva sopra a seconda del soggetto percipiente. c) Principio di certezza e determinabilità Ai sensi di quanto disposto dall’articolo 109, comma 1 del TUIR, la corretta imputazione in base al principio di competenza deve avvenire solo qualora, alla data di chiusura dell’esercizio, si verifichino contemporaneamente i seguenti presupposti: - i componenti di reddito devono essere certi nell’esistenza (ad esempio vedasi stipula atto pubblico, spedizione o consegna merce); - i componenti di reddito devono essere determinati o oggettivamente determinabili nell’ammontare, ossia risultino da atti o documenti probatori che consentano una quantificazione oggettiva e non basata su stime discrezionali. Pagina 28 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Per certezza deve intendersi, quindi, certezza giuridica del credito o del debito, giustificata dall’esistenza di un titolo produttivo di effetti giuridici al termine dell’esercizio. Quindi, l’elemento reddituale deve essere collegato ad una situazione giuridica definita. Quanto al requisito dell’oggettiva determinabilità, si osserva che il esso assume valore relativo e non assoluto. Tuttavia, le valutazioni tese a determinare l’entità del costo o del ricavo devono fondarsi su criteri suffragati da elementi oggettivi e non da valutazioni meramente soggettive. Nella verifica della sussistenza dei requisiti della certezza e dell’obiettiva determinabilità è particolarmente importante stabilire se tali requisiti debbano o meno sussistere dalla data di chiusura dell’esercizio quale condizione per dedurre il costo in tale esercizio. La risposta a tale quesito va data in senso positivo. La legge prevede una deroga alla contemporanea sussistenza dei suddetti requisiti sia con la possibilità di effettuare accantonamenti deducibili per costi futuri, maturati nell’esercizio corrente, ma incerti nell’ammontare, sia con la possibilità di operare rettifiche qualora, in esercizi successivi a quello in cui la componente di reddito è stata imputata, si accerta che gli stessi sono determinabili in maniera diversa da quella originaria. A norma dell’art. 14 del DPR n.600 del 1973 secondo il quale le società e gli enti che approvano il bilancio per legge o per statuto possono effettuare nelle scritture contabili gli aggiustamenti consequenziali all’approvazione stessa fino al termine stabilito per la presentazione della dichiarazione dei redditi. La funzione dell’art. 14 finisce per essere quella di delimitare l’arco temporale entro il quale l’impresa effettuerà gli aggiustamenti contabili necessari affinché le scritture contabili tengano conto degli accadimenti noti dopo la chiusure dell’esercizio. Questa affermazione consente anche di risolvere una ulteriore e rilevante questione , consistente nello stabilire se le certezza e l’obiettiva determinabilità dei costi e dei proventi di cui ci parla l’art. 109 c.1 del TUIR debbano essere già note all’imprenditore allo spirare del periodo di imposta, oppure se tali circostanze possano divenire a lui note anche successivamente. E, qui, la risposta non può che essere la seconda. d) Principio di corretta valutazione I diversi componenti di reddito, siano essi positivi che negativi, devono essere espressi in moneta corrente, anche quando sono in natura ovvero in valuta estera e devono essere quantificati al valore normale. Per valore normale si intende il prezzo o il corrispettivo, assunto al netto dell’IVA (Ris. Min. 26/3/2004 n. 54/E), mediamente praticato: • per i beni e servizi della stessa specie o similari; • in condizioni di libera concorrenza ed al medesimo stadio di commercializzazione; • nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquistati o prestati. e) Principio di continuità Richiamato espressamente dall’articolo 2423-bis del codice civile e dai principi contabili, stabilisce che le valutazioni delle voci di bilancio devono essere fatte nella prospettiva di continuazione dell’attività: in quest’ottica, pertanto, i beni dell’impresa assumono valore unicamente in funzione della capacità di produrre un reddito futuro. Un chiaro esempio applicativo di tale principio è rappresentato dalle rimanenze di esercizio che costituiscono una componente positiva a fine esercizio e, specularmene, una componente positiva all’inizio dell’esercizio successivo. Pagina 29 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 f) Principio di inerenza dei costi I costi e le spese sono deducibili quando riguardano beni o attività da cui derivano ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi (art. 109, c. 5, TUIR). La deducibilità suddetta varia a seconda dell’inerenza dei costi all’attività d’impresa. I costi relativi ai beni destinati alla vendita (o ai servizi prestati) influenzano la determinazione del reddito nell’esercizio in cui tali ricavi sono conseguiti. Se, tuttavia, i costi in oggetto si riferiscono indistintamente sia ad attività o beni produttivi di reddito imponibile, sia ad attività o beni produttivi di ricavi non tassati, in quanto esenti, la loro deducibilità è limitata. Per la deducibilità dei costi risulta comunque condizione sufficiente che l’inerenza sia rapportabile all’attività dell’impresa e non , quindi, ad una specifica singola componente di reddito positiva. Pertanto, sono deducibili anche i costi e gli oneri sostenuti per conseguire vantaggi di impresa futuri. In ogni caso, l’amministrazione finanziaria può negare la deduzione dei costi che riflettono comportamenti dell’imprenditore ritenuti dalla stessa antieconomici, dunque non inerenti. Esistono tuttavia delle deroghe specifiche al principio di inerenza. Generalmente tali deroghe consentono la deducibilità dei costi anche se non è dimostrata l’inerenza; esse si riferiscono ad alcuni oneri riguardanti la generalità dei soggetti passivi e ad altri oneri riguardanti il costo di beni ceduti gratuitamente per scopi sociali. Le deroghe riguardanti la generalità dei soggetti si riferiscono: • agli interessi passivi, la cui deducibilità è ammessa per intero (in assenza di proventi esenti e di altri elementi che ne limitano la deducibilità) o in misura forfetaria anche se non sono inerenti; • agli oneri fiscali e contributivi e a quelli di utilità sociale che sono sempre deducibili, alla sola condizione che siano imputati a conto economico; • ai costi di gestione delle partecipazioni possedute da soggetti IRES che, in caso di cessione, danno diritto a plusvalenze esenti sono comunque deducibili (art. 109, c. 5, TUIR). Analogamente sono deducibili le spese sostenute in relazione alla gestione di partecipazioni da cui derivino dividendi esclusi da tassazione per il 95%. Per quelle possedute da imprese individuali e società di persone, invece, si applica la regola generale, senza deroghe: pertanto i costi di gestione delle partecipazioni che danno luogo a plusvalenze tassate al 40% sono deducibili per il 40%. Non è tuttavia deducibile il costo sostenuto per l’acquisto del diritto d’usufrutto o altro diritto analogo relativamente ad una partecipazione societaria da cui derivino utili esclusi per il 95% del loro importo (art. 109, c.8, TUIR). g) Principio di iscrizione a conto economico Salvo le deroghe espressamente previste, il principio in oggetto stabilisce, in linea generale, la deducibilità dei componenti negativi a condizione che gli stessi siano imputati a conto economico dell’esercizio di competenza (art. 109, c.4, TUIR). Tale norma, che può subire delle deroghe, ha due conseguenze: • se il costo non è stato imputato al conto economico, esso non può essere considerato né dal contribuente, in occasione della determinazione del reddito imponibile nella dichiarazione dei redditi, né dall’Amministrazione Finanziaria in sede di accertamento, salvo l’eccezioni più avanti riportate; • se il costo viene imputato al conto economico in misura inferiore alla quota fiscalmente ammessa in deduzione, la conseguente deduzione è limitata al valore risultante dal bilancio. Pagina 30 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 La regola dell’indeducibilità per mancata imputazione del costo al conto economico prevede alcune deroghe, fra cui spicca quella derivante dal c.d. disinquinamento del bilancio, introdotto con la riforma del diritto societario mediante l’abrogazione dell’art. 2426, c. 2 c.c, che impedisce l’indicazione in bilancio di rettifiche di valori ed accantonamenti giustificati solo da disposizioni tributarie. Volendo fare una elencazione delle deroghe, si può dire che: • qualora il componente negativo risulti annotato nelle scritture contabili ed abbia concorso alla determinazione del risultato netto del conto economico, pur non essendo specificatamente evidenziato in esso, si considera ugualmente imputato a conto economico (art. 2, c. 6 bis, DL 90/90); • sono deducibili quei costi la cui deducibilità è prevista espressamente dalla legge, anche se sono imputati a conto economico; • sono deducibili le spese e gli altri componenti negativi non imputati al conto economico dell’esercizio perché già imputati ad esercizi precedenti; • sono deducibili le spese e gli oneri non imputati a conto economico specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi che concorrono a formare il reddito, se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi. Dal 2004 gli ammortamenti dei beni materiali ed immateriali, le altre rettifiche di valore e gli accantonamenti sono deducibili anche se non transitano nel conto economico purché sia indicato in apposito prospetto della dichiarazione dei redditi (quadro EC) il loro importo complessivo, i valori civili e fiscali dei beni e quelli dei fondi (principio del c.d. disinquinamento del bilancio, Circolare Ministeriale 16/06/2004 n. 25/E). La deducibilità dei citati componenti che non transitano nel conto economico è ammessa anche per le imprese che non hanno utili o riserve di patrimonio netto. Tuttavia, laddove esistano, essi sono soggetti ad un vincolo creato al fine di evitare che vengano distribuiti utili derivanti da costi dedotti fiscalmente ma non ancora maturati economicamente. Infatti, in caso di distribuzione delle riserve e degli utili d’esercizio, concorrono a formare il reddito se e nella misura in cui l’ammontare delle restanti riserve di patrimonio netto, diverse dalla riserva legale, e dei restanti utili portati a nuovo, risulti inferiore all’eccedenza degli ammortamenti, delle rettifiche di valore e degli accantonamenti dedotti rispetto a quelli imputati a conto economico, al netto del fondo imposte differite (comprensivo dell’IRAP) correlato agli importi dedotti. Il quarto comma dell’art. 109 del TUIR costituisce la specificazione del concetto primario che si incentra sulla individuazione del momento di deducibilità fiscale dei componenti negativi rinviando alla ulteriore condizioni nell’iscrizione a conto economico dell’esercizio di competenza, vale a dire l’esercizio in cui si è verificato il fenomeno che assume anche rilevanza ai fini fiscali e che non può essere trattato secondo le specifiche deroghe previste del medesimo comma. Pagina 31 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.4. Il reddito d’impresa: analogie e differenze con il reddito delle società (a cura di Ottavio Mannara) Redditi d’impresa (articolo 55 TUIR) Sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art.2195 del codice civile e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell’art.32 del TUIR che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma di impresa. Appare di immediata evidenza che la disciplina in oggetto non fornisce una definizione di reddito d’impresa, ma la ricollega all’esercizio “dell’impresa commerciale”. Come desumibile dai rinvii civilistici previsti dal citato articolo 55 del TUIR, infatti, il reddito d’impresa risulta essere quello: - derivante dall’esercizio di attività organizzate in forma di imprese dirette alla prestazione di servizi che rientrano nell’articolo 2195 del codice civile (trattasi di impresa commerciale costituita dall’attività industriale diretta alla produzione di beni e servizi, all’attività intermediaria nella circolazione di beni, di trasporto per terra, acqua ed aria, bancaria ed assicurativa ed ausiliarie alle precedenti); - derivanti dallo sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni ed altre acque interne; - dei terreni, per la parte derivante dall’esercizio di attività agricole di cui all’art.32, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività d’impresa. Ai sensi del disposto dell’articolo 2082 del codice civile, perché vi sia attività di impresa è necessario il verificarsi di una serie di presupposti di seguito sintetizzati: - esercizio di attività economica, nel senso di attività produttiva di nuova ricchezza o, più genericamente, di nuove utilità; - finalizzata alla produzione ovvero allo scambio di beni e servizi: nell’ottica indicata al paragrafo precedente, l’attività economica, quando diretta allo scambio di beni o servizi – cioè ad una interposizione tra chi produce e chi consuma – può sempre assumere i caratteri di impresa; il termine servizio va inteso in senso molto ampio, consistendo in qualsiasi vantaggio o utilità cha sia comunque richiesta dal mercato e sia suscettibile di scambio. Al contrario, non sempre l’attività produttiva di beni e servizi può assumere i caratteri di impresa: occorre, a tal fine, che l’attività sia svolta per il mercato, per il soddisfacimento di bisogni altrui; - in modo organizzato e con il carattere della professionalità. Attività “organizzata” significa attività che si avvale di elementi estranei per esercitarla: l’opera di altre persone, beni, macchine o, più genericamente, capitali. Attività “professionale” significa attività abituale, svolta sistematicamente e si contrappone ad attività sporadica od occasionale. Le disposizioni in materia di imposte sui redditi che fanno riferimento alle attività commerciali, si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate nel presente articolo. Redditi di società, di enti commerciali e di altri soggetti Per espressa previsione normativa, tutti i redditi prodotti da società, siano esse di persone ovvero di capitali, e da enti commerciali costituiscono redditi d’impresa. Così per esempio, l’attività di gestione immobiliare, svolta sia da società di persone, sia da società di capitali, si configura sempre come reddito d’impresa. Pagina 32 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Precisa, infatti, l’articolo 6, comma 3 del TUIR che “i redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e qualsiasi sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi d’impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi”. Similmente, l’articolo 5, comma 3 lettera b) del TUIR statuisce che “le società di fatto sono equiparate alle società in nome collettivo o alle società semplici secondo che abbiano o non abbiano per oggetto l’esercizio di imprese commerciali”. Analogamente, per le società di capitali, l’articolo 81 del TUIR stabilisce che “il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 73, da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito d’impresa”. Si fornisce di seguito un quadro sintetico delle analogie e delle differenze tra reddito d’impresa e reddito delle società, rinviando ai capitoli successivi per una trattazione esaustiva degli stessi. Valutazione dei titoli (articolo 94) La norma si applica sia con riferimento ai soggetti IRPEF in contabilità ordinaria che ai soggetti IRPEF in contabilità semplificata, in virtù, in quest’ultimo caso, del rinvio contenuto nelle disposizioni di cui all’articolo 66 del TUIR. Spese per prestazioni di lavoro (articolo 95) I principi contenuti nell’articolo 95 si applicano anche ai soggetti IRPEF come specificamente indicato nell’articolo 60 del TUIR laddove si disciplina l’ipotesi, non afferente al campo IRES, della indeducibilità dei componenti spettanti per il lavoro prestato dall’imprenditore, dal coniuge, dai figli in determinate condizioni o in determinate fasce d’età. La non concorrenza al reddito dei percipienti dei componenti negativi non deducibili è prevista dall’articolo 8 comma 1 del nuovo TUIR. La norma si applica anche ai soggetti IRPEF che operano in contabilità semplificata in virtù dello specifico richiamo contenuto nell’articolo 66, comma 3 del TUIR. Interessi passivi (articolo 96) La norma si applica anche ai contribuenti IRPEF con la precisazione contenuta nell’articolo 61 del TUIR che gli interessi passivi computati nella determinazione del reddito non danno comunque diritto alla detrazione di imposta di cui all’articolo 15, comma 1 lettere a) e b) del TUIR. La norma si applica anche ai contribuenti in contabilità semplificata. Pro rata patrimoniale (articolo 97) La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria e con le specificità dell’articolo 62 del TUIR in base al quale il valore di libro delle partecipazioni di cui all’articolo 87 viene assunto in misura pari al 60 % del loro ammontare. Sottocapitalizzazione delle imprese (articolo 98) La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria, tenendo in considerazione l’ammontare dei ricavi di cui al comma 7 dell’articolo 98 del TUIR. Inoltre, l’articolo 63 del TUIR precisa che, per l’applicazione delle regole in materia di sottocapitalizzazione (i.e. thin capitalization) alle imprese individuali, il riferimento al socio si intende fatto all’imprenditore e nelle imprese familiari anche ai soggetti di cui all’articolo 5, comma 5 (cioè il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo). Oneri fiscali e contributivi (articolo 99) La norma si applica integralmente ai contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria, ad eccezione del comma 2 dello stesso articolo che trova altresì applicazione anche per i contribuenti in contabilità semplificata in quanto non trovano applicazione le regole in materia di accantonamenti. Pagina 33 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Oneri di utilità sociale (articolo 100) La norma si applica a tutti i contribuenti IRPEF a prescindere dal tipo di contabilità adottata. Minusvalenze, sopravvenienze passive e perdite (articolo 101) La norma si applica ai contribuenti IRPEF tenendo presente che: - per coloro che operano in contabilità ordinaria, le minusvalenze da realizzo delle partecipazioni di cui all’articolo 87 sono indeducibili per il 60% del loro ammontare come pure i costi specificatamente inerenti il realizzo medesimo (art. 64, comma 1); - per coloro che operano in contabilità semplificata si fa rinvio ai commi 2 e 3 dell’art. 66 e dell’art. 101 del TUIR. In ogni caso, ovviamente , sono deducibili le minusvalenze da realizzo delle partecipazioni in quanto tali contribuenti non fruiscono mai delle disposizioni di cui all’articolo 87 del TUIR. Ammortamento dei beni materiali (articolo 102) Nell’ambito dei contribuenti IRPEF viene previsto: - nell’art. 64 la deducibilità limitata delle spese relative all’acquisto di beni mobili adibiti promiscuamente all’attività di impresa ed all’uso personale o familiare. La predetta deducibilità è fissata in misura pari al 50%; - analoga deducibilità è prevista in relazione agli immobili utilizzati promiscuamente. Per i contribuenti in contabilità semplificata, l’articolo 66, comma 2, richiama le condizioni di deducibilità previste dagli articoli 102 e 64, comma 2 a condizione che sia tenuto il registro dei beni ammortizzabili. L’indicazione delle quote di ammortamento può essere effettuata anche secondo le modalità di cui all’articolo 13 del D.P.R. n.435 del 2001 ovvero secondo le disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1 del D.P.R. n.695 del 1996. Ammortamento dei beni immateriali (articolo 103) La norma si applica anche ai contribuenti IRPEF a prescindere dal tipo di contabilità. Per coloro che tengono la contabilità semplificata, sono richieste le medesime condizioni viste ai fini degli ammortamenti dei beni materiali. Ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili (articolo 104) La norma viene applicata ai soli contribuenti in contabilità ordinaria. Accantonamenti di quiescenza e previdenza (articolo 105) La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria, mentre per quelli in contabilità semplificata il comma 3 dell’art. 66 del Tuir dispone comunque la deducbilità degli accantonamenti a condizione che risultino iscritti nei registri di cui all’articolo 18, comma 1, del D.P.R. n.600 del 1973. Svalutazione dei crediti ed accantonamenti per rischi su crediti (articolo 106) La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria Altri accantonamenti (articolo 107) La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria Spese relative a più esercizi (articolo 108) La norma si applica a tutti i contribuenti IRPEF indipendentemente dal regime contabile adottato. Norme generali sui componenti del reddito d’impresa (articolo 109) La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria. In relazione ai contribuenti in contabilità semplificata si applicano le disposizioni in merito al calcolo del pro Pagina 34 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 rata di spese generali, interessi di mora ed indeducibilità delle remunerazioni relative ai contratti di associazione in partecipazione e cointeressenza agli utili. Criteri generali di valutazione (articolo 110) La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria. Limiti di deduzione alle spese e degli altri componenti negativi relativi ai mezzi di trasporto (articolo 164) La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria. Pagina 35 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.5. I diversi regimi di tassazione delle società (di persone e di capitali) e riflessi sui soci (a cura di Giuseppe Di Garbo) 5.1. Società di persone Per i soggetti di cui all’articolo 5 del Tuir trova applicazione il principio di trasparenza. Lo stesso dispone che “I redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”. In sostanza per quanto concerne le imposte sui redditi il debitore dell’imposta non è il contribuente titolare del reddito bensì il soggetto che lo partecipa: il socio della snc o l’associato dello studio costituito tra più professionisti. I motivi che hanno portato il legislatore ad adottare tale soluzione sono stati individuati in una sorta di cautela fiscale. Tali soggetti pur se privi di personalità giuridica sono certamente dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria e potevano quindi essere ritenuti titolari del rapporto di debito (credito) conseguente agli obblighi di dichiarazione. Ma la considerazione che il capitale sociale (se esistente) non tutelato così come quello delle società di capitale, gli obblighi e le responsabilità minori degli organi sociali hanno portato il legislatore a preferire che i redditi venissero trasferiti ai singoli soci, ritenendo tale soluzione maggiormente sicura per le casse dell’erario. Il principio di trasparenza Gli enti collettivi di cui all’art. 5 del Tuir Godono di autonomia patrimoniale e finanziaria Non sono soggetti passivi d’imposta I redditi Producono redditi Chi tassa i redditi I soci o i partecipanti degli enti collettivi Come si dividono i redditi Esistono regole differenziate per la suddivisione in capo ai partecipanti dei redditi L’IRAP Il principio di trasparenza non vale per l’IRAP Come si imputano i redditi Le società Quando trova applicazione il principio di trasparenza le quote di partecipazione agli utili (e quindi il reddito imputabile ai singoli soggetti che fanno capo all’ente associativo) si presumono proporzionate al valore dei conferimenti dei soci. Ciò trova un’eccezione nel caso in cui le quote risultano determinate in modo diverso dall'atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata di costituzione o da altro atto pubblico o scrittura autenticata di data anteriore all'inizio del periodo d'imposta. Ciò significa che è perfettamente lecita una società in nome collettivo in cui le quote sono equamente divise tra due soci ma il cui atto costitutivo disponga che gli utili siano invece suddivisi in quote ad esempio pari al 90 e al 10%. In questo caso ai fini dell’imputazione del reddito imponibile in capo a ciascun socio prevarranno le regole indicate nell’atto costituivo. Un ultimo caso può accadere qualora il valore dei conferimenti non si determinato così da rendere impossibile una suddivisione basata su tale fatto. In questo caso le quote si presumono uguali. Gli studi associati Pagina 36 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Le regole sopra descritte trovano un ulteriore eccezione nel caso delle associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l'esercizio in forma associata di arti e professioni. Le stese sono infatti equiparate alle società semplici ma l’atto con cui si determina la suddivisione del reddito può essere redatto fino alla presentazione della dichiarazione dei redditi dell'associazione. Le imprese familiari. Le imprese familiari sono regolate dall’art. 230-bis del codice civile. In questo caso vi è una presunzione che assegna in ogni caso all’imprenditore almeno il 51% dei redditi prodotti. La restante parte (49%) può essere imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell'impresa. L’imputazione avviene in misura proporzionale alla sua quota di partecipazione agli utili. Tale regole per trovare applicazione deve essere sorretta da alcune condizioni: i familiari partecipanti all'impresa devono risultare nominativamente, con l'indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l'imprenditore, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo d'imposta, recante la sottoscrizione dell'imprenditore e dei familiari partecipanti; la dichiarazione dei redditi dell'imprenditore deve recare rechi l'indicazione delle quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l'attestazione che le quote stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell'impresa, in modo continuativo e prevalente, nel periodo d'imposta; ciascun familiare deve attestare, nella propria dichiarazione dei redditi, di avere prestato la sua attività di lavoro nell'impresa in modo continuativo e prevalente. Come si imputano i redditi Le società Gli studi associati Le imprese familiari le quote di partecipazione agli utili e quindi il reddito imputabile ai singoli soggetti che fanno capo all’ente associativo si presumono proporzionate al valore dei conferimenti dei soci. Le quote e il diritto agli utili possono essere determinate in modo diverso dall'atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata di costituzione o da altro atto pubblico o scrittura autenticata di data anteriore all'inizio del periodo d'imposta anche . Se il valore dei conferimenti non è determinato le quote si presumono uguali. nel caso degli studi associati costituiti fra persone fisiche per l'esercizio in forma associata di arti e professioni l’atto con cui si determina la suddivisione del reddito può essere redatto fino alla presentazione della dichiarazione dei redditi dell'associazione vi è una presunzione che assegna in ogni caso all’imprenditore almeno il 51% dei redditi prodotti. La restante parte (49%) può essere imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell'impresa. L’imputazione avviene in misura proporzionale alla sua quota di partecipazione agli utili. I familiari partecipanti all'impresa devono risultare nominativamente, con l'indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l'imprenditore, da atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo d'imposta, recante la sottoscrizione dell'imprenditore e dei familiari partecipanti. Pagina 37 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Le cessione di quote di società di persone Il socio che recede (o è escluso o vende la partecipazione) nel corso del periodo d’imposta non dovrà essere considerato quando applicando il principio di trasparenza, alla chiusura del periodo d’imposta il reddito verrà suddiviso tra tutti i soci. La suddivisione del reddito deve infatti essere effettuata solo tra coloro i quali risultano soci nel momento di chiusura del periodo d’imposta. Quindi nel caso di cessione di quote di società di persone intervenuta nel corso dell'esercizio, gli utili dell’anno sono da imputare al cessionario e non ad esempio ad entrambi i soci (il cedente e il cessionario della quota) in misura proporzionale al periodo di partecipazione alla società nel corso dell'esercizio. Questa soluzione discende dal fatto che scegliendo la tesi della suddivisione pro quota degli utili sarebbe stato impossibile individuare un criterio per la ripartizione degli utili tra il cedente ed il cessionario. L’utile non viene a formarsi infatti in modo necessariamente costante nel corso dell’esercizio. 5.2. Le società di capitali Oltre al regime di tassazione ordinario, le società di capitali possono essere soggette a regimi di tassazione diversi, applicabili per esplicita scelta effettuata dalla società. In via ordinaria, l’utile d’esercizio delle società di capitale è assoggettato sia all’IRES che all’IRAP. La riforma fiscale ha introdotto un nuovo ed opzionale criterio di tassazione dei redditi derivanti dalla partecipazione a società di capitali, ossia la tassazione “per trasparenza” del reddito, che consiste nella possibilità di attribuire in capo a ciascun socio una quota del reddito imponibile della società stessa, indipendentemente dall’effettiva percezione ed in relazione alla quota detenuta di partecipazione agli utili. Il reddito imputato ai soci è il reddito imponibile, considerato dunque al netto di perdite pregresse della società partecipata. Lo scopo è, verosimilmente, quello di compensare (parzialmente) l’eliminazione del credito di imposta. La tassazione per trasparenza del reddito consente di “saltare” la tassazione IRES per le società di capitali. Infatti : - l’imputazione del reddito avviene nei periodi d’imposta delle società partecipanti in corso alla data di chiusura dell’esercizio della società partecipata; - le ritenute operate a titolo d’acconto sui redditi di tale società, i relativi crediti d’imposta e gli acconti versati si scomputano dalle imposte dovute dai singoli soci secondo la percentuale di partecipazione agli utili di ciascuno; - le perdite fiscali della società partecipata relative a periodi in cui è efficace l’opzione sono imputate ai soci in proporzione alle rispettive quote di partecipazione ed entro il limite della propria quota del patrimonio netto contabile della società partecipata; - ai soggetti partecipanti si applicano le disposizioni le disposizioni previste in tema di accertamento (unico per partecipata e partecipanti) dall’articolo 40, comma 2, del D.P.R. n. 600/73 - per le relative partecipazioni, il costo è aumentato, o diminuito, dei redditi e delle perdite imputati ai soci ed è altresì diminuito, fino a concorrenza dei redditi imputati, degli utili distribuiti ai soci. In merito alla riserve già esistenti in bilancio della partecipata, è interessante rilevare che la norma dispone che l’esercizio dell’opzione non modifica il regime fiscale in capo ai soci di quanto distribuito dalla società partecipata utilizzando riserve costituite con utili di precedenti Pagina 38 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 esercizi o riserve di capitale. Inoltre, durante i periodi di validità dell’opzione, e sempre fatta salva una diversa esplicita volontà assembleare, si considerano prioritariamente distribuiti gli utili imputati ai soci in base al regime della trasparenza. In caso di coperture di perdite, si considerano prioritariamente utilizzati gli utili imputati ai soci in base allo stesso regime di trasparenza. L’opzione deve essere esercitata da tutte le società e comunicata all’Amministrazione finanziaria, entro il primo dei tre esercizi sociali predetti, secondo le modalità indicate in un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, ed è irrevocabile per tre esercizi sociali della società partecipata. Le condizioni per accedere la trasparenza nelle SPA, SRL e SAPA (articolo 115 TUIR) a tale regime sono: che i soci siano solo società di capitali residenti in Italia; che la partecipazione di ciascun socio-società sia almeno pari al 10%, e non superiore al 50%; tale percentuale si riferisce sia al voto in assemblea, sia agli utili; che vi sia specifica opzione da comunicare entro il primo esercizio e vincolante per un triennio. I requisiti suddetti devono sussistere a partire dal primo giorno del periodo d’imposta della partecipata in cui si esercita l’opzione e permanere ininterrottamente sino al termine del periodo di opzione. Inoltre, nel caso in cui i soci con tali requisiti non siano residenti in Italia, l’esercizio dell’opzione è consentito a condizione che non vi sia obbligo di ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti. È prevista la responsabilità solidale della partecipata per imposte, sanzioni, ed interessi di ciascun socio, conseguenti all’obbligo di imputazione del reddito. Impossibilità di esercitare l’opzione L’esercizio dell’opzione non è consentito nel caso in cui la società partecipata: 1. abbia emesso strumenti finanziari partecipativi di cui all’articolo 2346, ultimo comma, del Codice Civile; 2. eserciti l’opzione per il consolidato. Nel caso vengano meno le condizioni per l’esercizio dell’opzione, l’efficacia cessa fin dall’inizio dell’esercizio sociale in corso della società partecipata. Gli effetti dell’opzione non vengono meno nel caso di mutamento della compagine sociale della società partecipata mediante l’ingresso di nuovi soci con i requisiti predetti. La facoltà di avvalersi di questo nuovo istituto non è comunque limitata alle società e alle compagni sociali prima dette. Una ulteriore possibilità è data alle SRL (articolo 116 TUIR), in presenza delle seguenti condizioni: - che il volume dei ricavi caratteristici (quelli cioè che sono indicati alla voce A1 del bilancio) non superi € 5.164.569 (ossia la soglia prevista per l’applicazione degli studi di settore); - che i soci siano solo persone fisiche, e in numero massimo di 10 (20 per le S.c.a.r.l.); - che vi sia una specifica opzione da comunicare entro il primo esercizio e vincolante per un triennio; - che la s.r.l. non detenga immobilizzazioni finanziarie esenti da Ires. La trasparenza fiscale e lo spostamento della tassazione in capo ai soci. Sotto il profilo applicativo, rendere la società produttrice del reddito da tassare “trasparente”, significa spostare tutto il carico tributario, in termini di imposta personale sul reddito, dalla società ai soci. In altre parole, questo significa che, l’obbligazione tributaria si sposterà dalla società ai soci, analogamente a quanto già accade per le società di persone, che sono tassate, in proprio, solo ai fini IRAP. La domanda principale che sorge conseguentemente in rapporto alle società “trasparenti” è la seguente: se il reddito della società che ha optato per la trasparenza fiscale viene rettificato in aumento, cosa succede ai redditi originari imputati ai soci ? La risposta è semplice: caduto lo schermo protettivo assicurato dalla duplice condizione della personalità Pagina 39 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 giuridica della società e della tassazione su quest’ultima ai fini IRES., si verificherà l’imputazione pro-quota ai soci partecipanti, dei maggiori redditi societari. Ciò vale a dire che, abbattuto il muro protettivo con l’opzione per la trasparenza fiscale, i soci dovranno far fronte, in proprio, alle maggiori richieste del Fisco, perché i mezzi di tutela del credito erariale saranno esperibili direttamente su soci delle società trasparenti, considerati diretti responsabili delle imposte sul reddito prodotto dalla società. Questo è sicuramente un primo aspetto che merita un’attenta valutazione da parte dei soci partecipanti. Anche su questo versante, la novella non è “scevra da spine”. Il comma 8, dell’art. 115 del TUIR. cosi recita: La società partecipata è solidalmente responsabile con ciascun socio per l’imposta, le sanzioni e gli interessi conseguenti all’obbligo di imputazione del reddito. La stessa disposizione si applica alle persone fisiche che partecipano alla trasparenza di cui all’art. 116 del TUIR per effetto del richiamo contenuto in quest’ultimo, alle condizioni previste dall’art. 115 sopra citato. La solidarietà passiva tra società e soci, come innanzi detto, riguarderà: imposte sanzioni interessi. Importanti, si intuisce, saranno le conseguenze patrimoniali sulla società di siffatta scelta. Così come prescrive l’art. 13, periodo 2°, del D.M. 23/04/2004 contenente le norme di attuazione della trasparenza fiscale ex art. 115 e 116 del TUIR, non vi sarà solidarietà passiva nel caso di omesso o carente versamento dell’imposta da parte dei soci o nel caso di omessa o parziale indicazione dei redditi della società che produce reddito imputato per trasparenza (per un approfondimento sul regime di tassazione per trasparenza si rimanda a quanto espresso nel capitolo I.B.15). Pagina 40 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.6. Il regime di tassazione degli enti commerciali Le regole contenute nel Tuir assoggettano ad Ires gli enti commerciali residenti secondo le ordinarie regole applicabili alle società di capitali. Si rimanda pertanto a quanto espresso nel capitolo I.A.3 Pagina 41 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.7. La nozione di costo fiscale (a cura di Fabio Colombo) La nozione di costo, così come dettata dal Legislatore tributario, è enunciata all'articolo 110, comma 1 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi: essa è stato più volte modificato negli anni al fine di adeguarla alla nozione di costo prevista dalla normativa civilistica, di cui all’articolo 2426, comma 1 del codice civile. Anche a seguito della riforma del diritto tributario, la nuova formulazione dell’articolo in oggetto presenta alcune modifiche proprio con riguardo alla nozione di costo di cui al comma 1 che verranno illustrate di seguito. 7.1. La nozione di costo fiscale e sua determinazione Per il codice civile, nella nozione di costo di acquisto devono includersi i costi accessori, ad esempio: spese notarili, di trasporto, di perizia, ecc. Per la norma fiscale il costo è assunto al lordo delle quote di ammortamento già dedotte e include gli oneri accessori di diretta imputazione. A partire dal 1 gennaio 1998, i contributi per l’acquisto dei beni ammortizzabili, a prescindere dal finanziamento adottato, non concorrono più a formare reddito d’impresa: tale comportamento è stato riflesso e ripreso dall’articolo 110, comma 1 lett. a) che, con effetto a far data dal citato 1 gennaio 1998, stabilisce che il costo non debba più essere assunto al lordo di eventuali contributi. Si precisa che la suddetta definizione di costo fiscale, così come si evince dal comma 1 lett. a) dell’articolo 110 trova applicazione non solo per la determinazione dei beni ammortizzabili, ma anche per la determinazione delle manutenzioni e delle riparazioni deducibili. Particolare attenzione deve esser posta agli oneri accessori di diretta imputazione: a seguito del D.Lgs.n.38/2005 sono state introdotte modifiche alla disciplina previgente, come è possibile individuare dal raffronto dei testi normativi in cui si sottolinea la parte abrogata e/o modificata. Il vecchio articolo 76 del TUIR, al comma 1 lett. b) stabiliva, infatti, che “[…] si comprendono nel costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali. Tuttavia, per i beni materiali ed immateriali strumentali per l’esercizio dell’impresa si comprendono nel costo, fino al momento della loro entrata in funzione e per la quota ragionevolmente imputabile ai beni medesimi, gli interessi passivi relativi alla loro fabbricazione, interna o presso terzi, nonché gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro acquisizione, a condizione che siamo imputati nel bilancio ad incremento del costo stesso. Nel costo di fabbricazione si possono aggiungere con gli stesi criteri anche i costi diversi da quelli direttamente imputabili al prodotto, per gli immobili alla cui produzione è diretta l’attività dell’impresa si comprendono nel costo gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro costruzione o ristrutturazione […]”. Il novellato articolo stabilisce, invece, che “[…] si comprendono nel costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali. Tuttavia, per i beni materiali ed immateriali strumentali per l’esercizio dell’impresa si comprendono nel costo gli interessi passivi iscritti in bilancio ad aumento del costo stesso per effetto di disposizioni di legge. Nel costo di fabbricazione si possono aggiungere con gli stessi criteri anche i costi diversi da quelli direttamente imputabili al prodotto; per gli immobili alla cui produzione è diretta l’attività dell’impresa si comprendono nel costo gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro costruzione o ristrutturazione […]” Pagina 42 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Sulla base di quanto modificato, la dottrina prevalente ha sottolineato come il legislatore tributario abbia proceduto con l’intento di eliminare le discrasie con la disciplina civilistica, precisando quanto segue: 1. per la capitalizzazione la norma tributaria non fissa più il vincolo temporale dell’entrata in funzione del bene; 2. la norma tributaria non distingue nemmeno più tra beni fabbricati – internamente o presso terzi – e beni acquisiti e sembra rinviare alle previsioni civilistiche secondo cui se gli interessi sono portati ad aumento del costo, essi vengono a far parte del valore del bene appostato nell’attivo di bilancio e non costituiscono, invece, voce autonoma di costo. Dal momento, però, che, civilisticamente, la capitalizzazione degli interressi è ammessa solo per i beni costruiti internamente o esternamente, anche da un punto di vista fiscale, la capitalizzazione degli interessi passivi di finanziamento per l’acquisto di immobili non è ammessa, non essendo appunto ammessa civilisticamente. 3. con riferimento alla facoltà di patrimonializzazione degli “altri costi” e degli “oneri relativi al finanziamento”, la norma tributaria (articolo 110 del TUIR) sembra discostarsi nettamente da quanto previsto civilisticamente: se, infatti, dal punto di vista fiscale l’espressione “si comprendono” è letta dalla dottrina maggioritaria come una facoltà e non come un obbligo, da un punto di vista civilistico, la relazione ministeriale al D.Lgs.n.127/1991 afferma che “[…] l’espressione può comprendere non intende attribuire ai redattori di bilancio una facoltà di scelta arbitraria, ma si riferisce alla ragionevole applicazione della discrezionalità tecnica […]”. Come sottolineato dal novellato disposto dell’articolo 110, comma 1 lett. b) del TUIR, nel costo di fabbricazione si possono aggiungere con gli stessi criteri anche i costi diversi da quelli direttamente imputabili al prodotto. La norma si riferisce, in altre parole: - al costo fiscale di tutti i beni materiali ed immateriali strumentali; - al costo fiscale dei cosiddetti immobili merci. È quindi una regola generale, suscettibile di applicazione non solo per la definizione del costo fiscale dei beni strumentali e degli immobili merce ma in genere per tutti i beni costituenti magazzino. La disciplina dei beni merce non è stata oggetto di modifiche da parte del legislatore tributario: nel loro valore i comprendono gli interessi passivi su prestiti contratti per la loro costruzione o ristrutturazione che possono, per l’appunto, essere capitalizzati fino al momento di ultimazione della costruzione. I prestiti di cui sopra devono intendersi quelli corrisposti in relazione ad un’apertura di credito su uno specifico conto corrente utilizzato solo per quell’opera e, di conseguenza, a questa specificamente imputabile; sembra doversi escludere la possibilità di imputare interessi passivi relativi al generale conto corrente dell’impresa. Con riferimento agli immobili merce sembra, pertanto, che le nozioni di costo di acquisto civilistica e tributaria coincidono. 7.2. Il costo dei beni rivalutati (articolo 110, comma 1 lett. c)) Particolare attenzione merita, inoltre, la ricomprensione delle plusvalenze iscritte in bilancio nel costo dei beni rivalutati: la soppressione dell’articolo 54, lett. c) ha comportato che le plusvalenze sui beni iscritte in bilancio siano divenute fiscalmente neutre con la conseguenza che esse, così come non sono tassabili, non possono neppure esser portate in aumento del costo fiscale dei beni. Tale esclusione non vige, però, nel caso di plusvalenze che non concorrono a formare il reddito per effetto di specifiche disposizioni . La suddetta disciplina non trova applicazione, inoltre, con riferimento ai beni di cui all’articolo 85, comma 1, lett. a), b) ed e) ossia a: Pagina 43 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa; materie prime e sussidiarie, semilavorati ed altri beni mobili, esclusi quelli strumentali acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione; - obbligazioni ed altri titoli in serie o di massa diversi da quelli di cui alle lettere c) (azioni o quote) e d) (strumenti finanziari) che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie La ratio di tale disposizione consiste nel fatto che gli eventuali plusvalori iscritti su tali beni merce, proprio perché certamente tassabili, concorrono, simmetricamente, alla determinazione del costo. Si segnala, infine, che, con riferimento ai beni di cui all’articolo 85, comma 1 lett. e) (obbligazioni ed altri titoli in serie o di massa) che costituiscono, però, immobilizzazioni finanziarie, le plusvalenze sono tassabili fino alla quota delle minusvalenze dedotte, mentre sono intassabili per la quota eccedente. 7.3. Il costo delle azioni e degli strumenti finanziari Del tutto innovativa rispetto alla previgente disposizione di cui all’articolo 76 del TUIR è quella contenuta nel comma 1 lett. d) dell’articolo 110 secondo cui il costo fiscale delle azioni, delle quote e degli strumenti finanziari non deve comprendere maggiori o minori valori iscritti: tali differenze non concorrono alla formazione del reddito né alla determinazione del valore fiscalmente riconosciuto delle rimanenze dei beni indicati. Pagina 44 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.8 I Componenti Positivi Del Reddito Delle Società (a cura di Damiano Cazzetta) 8.1 Considerazioni Preliminari Nella illustrazione dei componenti positivi di reddito è opportuno suddividerli in relazione alla loro tipicità o meno rispetto all’attività aziendale. Pertanto, in relazione al fatto che la normativa fiscale consideri quale conto economico di riferimento quello di cui all’articolo 2425 del codice civile, si dovrà distinguere tra le componenti appartenenti all’area operativa, da quelle dell’area finanziaria, per concludere con quelle straordinarie. 8.2 L’area Operativa Rientrano nell’ambito dell’area operativa i ricavi di cui alla lettera A) del conto economico di cui all’art. 2425 del codice civile. In particolare l’articolo 85 del T.U.I.R. individua alle lettere a) e b) le fattispecie rilevanti dal punto di vista fiscale. Rientrano tra i ricavi di cui alla lettera a) quelli derivanti dalla vendita di merci prodotti o prestazioni di servizi rientranti nell’attività normale d’impresa; tra quelli di cui sub b) rientrano i corrispettivi scaturenti dalla vendita di materie prime e sussidiarie, semilavorati ed altri beni mobili (esclusi gli strumentali) che sono stati acquistati o prodotti nell’ambito dell’attività produttiva.. A differenza della prima, la seconda ipotesi è la conseguenza di un utilizzo non naturale dei fattori produttivi, che vengono ceduti a terzi invece di essere utilizzati direttamente. Anche le indennità risarcitorie di cui alla lettera f) possono rientrare nell’ambito dei cosiddetti ricavi tipici. Tale situazione si viene a verificare quando le somme percepite si riferiscono a beni produttivi di ricavi. Quando invece si riferiscono a beni diversi da quelli indicati all’articolo 85, costituiscono plusvalenze (rientrando quindi nell’area straordinaria). Ai fini della rilevanza fiscale, concorrono alla formazione del reddito dell’esercizio per competenza, ovvero nel momento in cui diventano certe e determinabili, indipendentemente dall’effettivo momento dell’incasso. Possono altresì rientrare tra le componenti positive di reddito appartenenti all’area ordinaria, i contributi di cui alle lettere g) ed h) del comma 1 dell’articolo 85. In particolare sono soggetti a tassazione i contributi in denaro o in natura, spettanti alle imprese in base a contratto, da chiunque corrisposti, nonché quelli, spettanti esclusivamente in conto esercizio, svincolati da contratto in quanto erogati sulla base di specifiche disposizioni di legge. Detti contributi, rientreranno invece nell’ambito dell’area finanziaria, qualora volti alla riduzione di interessi passivi, mentre saranno da considerare appartenenti all’area straordinaria se connessi ad eventi straordinari (si veda a tal proposito il documento n°12 dei principi contabili). In merito alla determinazione dell’esercizio di competenza dei contributi considerati ricavi, non vi è una regola generale di interpretazione. A tal riguardo occorre fare riferimento alla risoluzione ministeriale del 4 maggio 1979 n° 9/606 ed alla circolare ministeriale del 27 maggio 1994, n° 73/E. In particolare, per citare qualche esempio, si evince che, per quanto riguarda i contributi erogati da un ente pubblico il momento rilevante ai fini della determinazione della competenza economica dell’operazione è rappresentato dal momento in cui il soggetto beneficiario del contributo viene a conoscenza della liquidazione dello stesso. La conoscenza si ha, nel caso in cui il decreto di liquidazione abbia natura recettizia, mediante notificazione del provvedimento, ovvero in caso contrario, a seguito della pubblicazione del provvedimento. Pagina 45 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Per i contributi la cui procedura di liquidazione non prevede atti formali ed esterni risulta determinante il momento in cui risultano verificate tutte le condizioni oggettive che sottendono il diritto all’ottenimento del contributo. Sempre con riferimento alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 85, contribuiscono alla formazione del reddito dell’esercizio, ex articolo 92 del T.U.I.R., le variazioni delle rimanenze finali rispetto alle iniziali di detti beni. In particolare si avrà una componente positiva di reddito in caso di incremento delle rimanenze rispetto all’esercizio precedente (in quanto da un punto di vista civilistico si ha un rinvio alla competenza degli esercizi successivi dei costi che non hanno ancora trovato il loro corrispettivo ricavo). Diventa pertanto determinante il criterio di valutazione del magazzino. Il legislatore con l’emanazione del decreto legge 416/1994 si è allineato a quanto previsto dalla normativa civilistica, riconoscendo validità, accanto al LIFO a scatti (che rimane il criterio base), anche al metodo del LIFO continuo, della media ponderata e del FIFO. Indipendentemente dal criterio adottato il costo del bene cui ci si deve riferire per la determinazione del valore complessivo del magazzino è quello definito dall’articolo 110 del T.U.I.R. E’ altresì possibile che da un esercizio all’altro si vada a variare il criterio adottato per la valutazione delle rimanenze. Il cambiamento di criterio deve essere comunicato all’amministrazione finanziaria che, se da un lato non può opporsi alla scelta effettuata, dall’altro può comunque andare a verificare che il nuovo metodo di valutazione utilizzato sia previsto dalla normativa fiscale e in caso contrario sarà possibile modificare il valore di magazzino utilizzando i criteri di cui all’articolo 92 del Testo Unico. In relazione all’introduzione degli IAS (che prevedono quali criteri da adottare il FIFO ed il costo medio ponderato), l’articolo 13 del decreto legislativo n° 38 del 28 febbraio 2005 prevede (previa opzione irrevocabile da esercitare in sede di dichiarazione dei redditi) la possibilità di mantenere ai fini fiscali i criteri di valutazione precedentemente utilizzati andando così ad avere una doppia valutazione ovvero una civilistica, conforme agli IAS, ed una fiscale. L’articolo 93 disciplina la valutazione delle rimanenze relative ad opere forniture e servizi di durata ultrannuale. Trattasi nello specifico di prestazioni relative a contratti il cui oggetto è indivisibile in parti predeterminate e che hanno un tempo di esecuzione che va oltre la durata del singolo esercizio. Possono citarsi a titolo esemplificativo l’appalto, la vendita su ordinazione e la somministrazione. Ai sensi del comma 2 la valutazione viene fatta sulla base del corrispettivo pattuito (salvo quanto poi previsto dai commi successivi in relazione alle maggiorazioni di prezzo ed al rischio contrattuale), derogando così all’articolo 109 che considera i corrispettivi delle prestazioni di servizi conseguiti alla data in cui le stesse sono ultimate. Da un punto di vista pratico la valutazione viene quindi effettuata moltiplicando l’importo pattuito per la percentuale di avanzamento del lavoro. In deroga a ciò è possibile effettuare la valutazione in base ai costi sostenuti, ma è necessario che vengano rispettate due condizioni: Anche in bilancio la valutazione deve essere effettuata con lo stesso criterio; La scelta deve essere autorizzata dall’Ufficio delle imposte (che si intende accordata qualora, a seguito di richiesta presentata o spedita a mezzo raccomandata, non venga notificato un avviso contrario entro tre mesi). L’autorizzazione ha effetto, per l’esercizio in corso alla scadenza dei tre mesi ed a condizione detto criterio del costo venga adottato per tutte le commesse, forniture o servizi. 8.3 L’area Finanziaria Sono da considerarsi proventi dell’area finanziaria quelli di cui alle lettere c), d) ed e) dell’articolo 85 del Testo Unico. Pagina 46 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 E’ opportuno precisare che da un punto di vista fiscale vengono considerati ricavi le cessioni relative ad azioni, quote di partecipazione in società obbligazioni ed altri titoli di massa che non risultino ricompresi nell’ambito delle immobilizzazioni finanziarie, nel qual caso la cessione dà luogo a plusvalenze (ovvero minusvalenze) che pertanto verranno considerate quale provento dell’area straordinaria. Contabilmente detti ricavi troveranno collocazione in bilancio alla voce C.15 (“Proventi da partecipazioni”) se scaturiscono da una cessione di azioni e quote di partecipazione, mentre saranno ricompresi nella voce C.16. c) (“Altri proventi finanziari”) qualora derivino dalla cessione di obbligazioni o di altri titoli in serie o di massa. Non vengono presi in considerazione i ricavi derivanti dalla cessione di partecipazione in società di persone, pertanto si deve ritenere che, fiscalmente, indipendentemente dalla collocazione in bilancio, queste vengano considerate quali plusvalenze (ovvero minusvalenze). 8.4 L’area Straordinaria Rientrano in tale area i componenti positivi di reddito annoverati tra le plusvalenze patrimoniali di cui all’articolo 86 del T.U.I.R. e le sopravvenienze attive di cui all’articolo 88. Le plusvalenze vengono generate in seguito a cessioni a titolo oneroso di beni patrimoniali ad un valore superiore rispetto a quello fiscale; tuttavia non tutte le cessioni generano plusvalenze, in quanto sulla base di quanto esaminato nei precedenti paragrafi restano ovviamente esclusi i beni al cui scambio è diretta l’attività d’impresa ex articolo 85. Per quanto concerne le sopravvenienze, queste si possono, a loro volta, suddividere in ulteriori due categorie; le sopravvenienze attive proprie e quelle improprie. Partendo dal presupposto che la sopravvenienza non è necessariamente legata ad un evento estraneo all’attività d’impresa, rientrano nel primo gruppo quei proventi (derivanti da maggiori ricavi rispetto a quelli già contabilizzati, o da minori costi) che hanno un nesso di causalità con accadimenti aziendali appartenenti ad esercizi precedenti. Si possono considerare appartenenti alle sopravvenienze improprie quei proventi che non hanno alcun nesso di causalità con avvenimenti di anni precedenti, come ad esempio i contributi e liberalità non rientranti nell’ambito di quelli di cui alle lettere g) ed h) del comma 1 dell’articolo 85. 8.5 Componenti Positive Esenti non tutte le plusvalenze concorrono alla formazione del reddito fiscalmente imponibile. L’articolo 87 del Testo Unico, prevede infatti a determinate condizioni, l’esenzione dall’imponibilità delle plusvalenze realizzate ai sensi dell’articolo 86 commi 1, 2 e 3. Per una trattazione completa di tale regime di esenzione, denominato participation exemption, introdotto con la riforma fiscale, a seguito del recepimento da parte del legislatore dell’articolo 4, comma 1 lettera c) della legge delega 80/2003, si rinvia al capitolo relativo. 8.6 Analisi Delle Singole Componenti Reddituali Verranno ora analizzate le singole componenti di reddito prima esposte in considerazione della loro area di appartenenza. Contribuiscono a formare il reddito d’esercizio i seguenti elementi: Ricavi Plusvalenze patrimoniali Plusvalenze esenti Sopravvenienze attive Dividendi ed interessi Proventi immobiliari Variazioni delle rimanenze Titoli Pagina 47 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 8.7 RICAVI Come già evidenziato in precedenza i ricavi sono disciplinati dall’articolo 85 del T.U.I.R. Rispetto al testo previgente sono stati inseriti nell’ambito dei ricavi i corrispettivi derivanti dalla cessione degli strumenti finanziari non iscritti tra le immobilizzazioni, mentre viene rinviato all’articolo 57 la tassazione dell’autoconsumo dei beni dell’impresa da parte degli imprenditori persone fisiche. È possibile quattro tipologie differenti di proventi che danno luogo a ricavi: Ricavi propri; ricavi da cessione di attività finanziarie; indennità costituenti ricavi; contributi costituenti ricavi. 8.7.1 RICAVI PROPRI I ricavi propri di cui alla lettera a) del primo comma dell’articolo 85 dalle cessioni di beni e/o dalle prestazioni di servizi, rientranti nell’attività caratteristica dell’impresa, effettuati dietro il pagamento di un corrispettivo. Si sottintende quindi un rapporto sinallagmatico tra cedente e cessionario; qualora questo non sussistesse la tassazione potrebbe essere altresì effettuata (con esclusivo riferimento alla fuoriuscita dalla sfera imprenditoriale di beni da cui derivano ricavi) facendo ricorso al successivo comma 2 dell’articolo 85 che prevede la tassazione del valore dei beni destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa o assegnati ai soci. Si tratta, ovvero, di cessioni di beni il cui impiego nel ciclo produttivo e la successiva rivendita avrebbero prodotto ricavi nell’attività tipica dell’impresa. Se ne deduce che anche in presenza di un utilizzo diverso dei fattori produttivi vi è comunque una assimilazione ai ricavi dei proventi scaturenti da una loro cessione. Parimenti la cessione di beni diversi da quelli di cui alla lettera b) non determina ricavi, bensì plusvalenze e minusvalenze di cui agli articoli 86 e 101 del TUIR per la cui trattazione si rinvia ai paragrafi successivi ed al capitolo dei costi. 8.7.2 RICAVI DA CESSIONI DI ATTIVITA’ FINANZIARIE Sono definiti alle lettere c) d) ed e) dell’articolo 85 e ricomprendono i proventi derivanti da: cessione di partecipazioni sociali; cessione di strumenti finanziari; cessione di obbligazioni. A partire dal 1 gennaio 2004 c’è stata una modifica delle disposizioni in oggetto. Infatti con riferimento alle lettere c) e d) è previsto un regime di esenzione delle partecipazioni (partecipation exemption) per la cui trattazione completa si rinvia all’apposito capitolo. Ulteriore novità è data dall’aver inserito gli strumenti finanziari nell’ambito delle attività finanziarie. I corrispettivi derivanti dall’alienazione di dette attività finanziarie sono da considerarsi ricavi anche se la loro cessione non rientra nell’attività tipica dell’impresa, purché esse non siano iscritte in bilancio tra le immobilizzazioni finanziarie. La cessione delle partecipazioni sociali, o di altre fattispecie contrattuali simili riguarda partecipazioni al capitale di società ed enti soggetti IRES, che non sono iscritte tra le immobilizzazioni e che non hanno i requisiti per fruire delle partecipation exemption. A tal proposito si ricorda che ai sensi dell’articolo 2424 del Codice Civile, i beni che non sono destinati ad essere durevolmente utilizzati nell’attività imprenditoriale vanno iscritti nell’attivo Pagina 48 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 circolante e pertanto solo con riferimento alla loro cessione si produrranno ricavi ai sensi della lettera c) dell’articolo 85 del TUIR. Relativamente alla cessione di quote di società di persone, poiché non menzionate nella lettera c) dell’articolo 85, il corrispettivo pattuito sarà sempre fonte di plusvalenze o minusvalenze, salvo, ovviamente il caso in cui la cessione non rientri nell’ambito dell’attività tipica della società cedente, nella cui fattispecie i proventi rientreranno nei ricavi di cui al primo comma lettera a) dello stesso articolo. La cessione di strumenti finanziari di cui alla lettera d) è stata introdotta in conseguenza della riforma del diritto societario operata con il decreto legislativo n° 6 del 2003. Le caratteristiche di detti strumenti finanziari sono esplicitate nella circolare n° 26 del 16/06/2004¸ anche in questo caso, al fine di iscrivere tra i ricavi i proventi della cessione, è necessario che tali attività non siano iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie e non possano usufruire del regime di esenzione previsto dell’articolo 87 del TUIR. I corrispettivi della cessione delle obbligazioni e di altri titoli, di cui alla lettera e) comma 1 dell’art.85, costituiscono ricavi con la sola eccezione per quelli iscritti tra le immobilizzazioni, non sussistono invece vincili in merito alla disciplina di esenzione di cui all’articolo 87, in quanto tali attività finanziarie non hanno la caratteristica di titoli di partecipazione per i quali può rendersi applicabile la disciplina di esenzione. 8.7.3 INDENNITA’ PER LA PERDITA O DANNEGGIAMENTO DI BENI La lettera f) del primo comma dell’articolo 85 include tra i ricavi le indennità, conseguite a titolo di risarcimento, anche assicurativo, per la perdita o il danneggiamento di beni da cui derivano ricavi. A titolo esemplificativo, detti indennizzi possono riguardare il risarcimento da parte del trasportatore per il deperimento della merce da consegnare, l’indennizzo assicurativo liquidato per il furto delle materie prime, il risarcimento per furto di titoli (anche se non rientranti fra i beni al cui scambio è diretta l’attività d’impresa), purché non costituiscano immobilizzazioni finanziarie e non rientrino tra quelli cui è applicabile il regime di esenzione ex articolo 87. I risarcimenti concorreranno alla formazione del reddito nell’esercizio in cui sono diventate certe ed obiettivamente determinabili (generalmente coincidente con l’esercizio in cui si è verificato l’evento dannoso), le eventuali maggiori o minori somme liquidate negli esercizi successivi costituiranno sopravvenienze attive o passive ai sensi rispettivamente dell’articolo 89 comma 1 e 101 comma 4 del TUIR. 8.7.4 CONTRIBUTI Tali proventi, ricevuti in denaro o in natura possono essere suddivisi in due categorie: contributi che generano ricavi; contributi ed altre liberalità che generano sopravvenienze attive (il cui trattamento fiscale è disciplinato dall’articolo 88 del TUIR). Quanto ai primi si tratta dei contributi di cui alle lettere g) ed h) dell’articolo 85, ovvero di quei contributi spettanti sotto qualsiasi denominazione in base a contratto (lettera g) nonché di quelli spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge (lettera h). A titolo esemplificativo di quelli di cui alla lettera g) si possono ricordare i contributi promozionali in contratto dal fornitore, i contributi concessi a titolo di concorso spese, i contributi previsti come anticipazioni per la costruzione di attrezzature. L’amministrazione finanziaria ha considerato rientranti in questo ambito i contributi erogati per: acquisto di specifici impianti da utilizzare esclusivamente per l’esecuzione di commesse su contratti di fornitura (Risoluzioni del Ministero delle Finanze n°521 e n°559 del 1979) corsi di formazione, riconversione, ecc. del personale (articolo 8 comma 34 legge 67/1988). Per quanto riguarda i contributi di cui alla lettera h) trovano giustificazione negli interventi normativi del legislatore per sostenere l’attività di determinati settori imprenditoriali. Pagina 49 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 A norma dell’articolo 28 del DPR 600/1973 è prevista una ritenuta a titolo di acconto, nella misura del 4% sui contributi corrisposti alle imprese, da regioni, province, comuni ed altri enti pubblici, con esclusione di quelli erogati per l’acquisto di beni strumentali. Detta ritenuta deve essere effettuata anche sui contributi in conto esercizio, mentre restano esclusi i contributi in conto impianti che hanno il carattere di pagamento di un capitale.(macchinari, impianti, ecc.). 8.7.5 ASSEGNAZIONE AI SOCI Al comma 2 dell’articolo 85 viene sancita l’annovero tra i ricavi delle assegnazioni ai soci e della destinazione a finalità estranee all’esercizio delle imprese dei beni da cui si generano ricavi. In entrambi i casi di autoconsumo, la determinazione dell’ammontare da tassare è effettuata applicando il criterio del valore normale di cui all’articolo 9 comma 3 del TUIR, mentre per i beni di cui alle lettere c), d) ed e) dell’articolo 85 tale valore normale è determinato ai sensi del comma 4 dell’articolo 9 del TUIR. 8.8 PLUSVALENZE PATRIMONIALI Le plusvalenze patrimoniali sono disciplinate dall’articolo 86 del TUIR. Al fine di chiarire come vengono realizzate è opportuno suddividere i beni dell’impresa in due categorie: Beni di cui all’articolo 85 destinati all’oggetto specifico dell’attività d’impresa non iscritti nelle immobilizzazioni, la cui cessione produce ricavi; Beni relativi all’impresa diversi dai precedenti, la cui cessione, in caso di maggior valore rispetto all’ultimo fiscalmente riconosciuto, determina una plusvalenza imponibile. Le modalità di conseguimento delle plusvalenze sono determinate dalle lettere a) b) e c) del comma 1 dell’articolo 86. Alla lettera a) sono individuate le plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso dei beni. Ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 9 del TUIR vengono assimilati a tale fattispecie contrattuali (si veda in tal senso la Risoluzione ministeriale 12/01/1993 prot. 77/020) gli atti a titolo oneroso che comportano la costituzione, o il trasferimento di diritti reali di godimento (uso, usufrutto, enfiteusi, superficie, ecc.). In virtù di tale assimilazione, anche il conferimento in società o enti aventi ad oggetto i beni di cui all’articolo 86 può generare plusvalenze. In questo caso per la determinazione della plusvalenza dovrà confrontarsi l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto dei beni conferiti con il valore normale delle azioni o titoli similari ricevuti in cambio. Il riferimento al valore normale è valido solo nel caso in cui dette azioni o titoli vengano negoziati in mercati regolamentati (italiani o esteri), in caso contrario si dovrà fare riferimento alla quota di patrimonio netto (a valori correnti) della società conferitaria ed agli atti che ne dispongono il trasferimento. La lettera b) individua le plusvalenze scaturenti dal risarcimento anche assicurativo per la perdita o il danneggiamento dei beni patrimoniali. Tali indennizzi riguardano: beni strumentali diversi da quelli già individuati di cui all’articolo 85; beni relativi all’impresa (immobili e mobili non strumentali); azioni o quote di partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diverse da quelle per cui è applicabile l’articolo 87; obbligazioni ed altri titoli diversi da quelli di cui al punto precedente che costituiscono immobilizzazioni finanziarie e per le quali non è applicabile l’articolo 87. Infine per quanto riguarda la lettera c) vengono individuate tra le plusvalenze, quelle scaturenti da: assegnazione dei beni ai soci; destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Pagina 50 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 In questi casi il presupposto impositivo trova la sua giustificazione per il fatto che con l’assegnazione e/o la destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, i beni escono dal ciclo produttivo come se fossero ceduti a terzi. A tal proposito con nota del 21/06/1996 prot. N° 28409, l’Agenzia delle Entrate – DRE – Emilia Romagna, ha considerato da assoggettare a tassazione il conseguimento di plusvalenze scaturenti dalla trasformazione di una società commerciale in società semplice. Lo stesso non avviene invece in caso di scioglimento di società di persone, qualora in caso di mancata ricostituzione della pluralità dei soci, il socio superstite continui l’attività, mantenendo inalterati i valori dei beni. Al comma 2 dell’articolo 86 vengono prese in considerazione le modalità di determinazione delle plusvalenze. Le plusvalenze individuate a norma del comma 1, lett. a) e b), sono costituite dalla differenza tra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito al netto degli oneri accessori di diretta imputazione ed il costo non ammortizzato. Tra gli oneri accessori deducibili dal corrispettivo possono, a titolo di esempio, ricomprendersi: i compensi di mediazione, le spese legali, le spese di perizia e più in generale ogni altro costo direttamente connesso all’operazione di vendita ed alla quantificazione del corrispettivo. Occorre precisare che il costo non ammortizzato debba essere inteso come costo fiscalmente riconosciuto, pertanto stante la diversità tra le disposizioni civilistiche e fiscali, la plusvalenza fiscale realizzata potrebbe divergere da quella iscritta in bilancio. Per quanto riguarda l’ammortamento dei beni nell’anno in cui sono ceduti, l’amministrazione finanziaria, con la risoluzione n° 41 del 12 febbraio 2002 ha previsto la possibilità del calcolo degli ammortamenti “pro rata temporis” purchè tale scelta venga utilizzata uniformemente per tutti i beni dimessi nell’esercizio. In base alla nuova formulazione dell’articolo 103 sono stati fugati i dubbi circa l’impossibilità di recuperare, anche in sede di calcolo della plusvalenza, la differenza della quota di ammortamento operata in misura inferiore alla metà della misura massima. Le plusvalenze di cui alla lettera c) del primo comma vengono calcolate, a norma del comma 3 come differenza tra il valore normale (di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 9 del TUIR) ed il costo non ammortizzato dei beni. L’imputazione temporale della plusvalenza, avviene, sia da un punto di vista fiscale che civilistico, nel momento in cui le stesse sono realizzate, è però prevista la possibilità, ex comma 4 dell’articolo 86 del TUIR, di rateizzare la stessa fino a cinque anni. Tale opzione è concessa per le plusvalenze realizzate riferite a beni in posseduti per un periodo superiore ai tre anni (ovvero 1 anno nel caso di società sportive). Con Risoluzione ministeriale n° 42 del 14/02/2002 è stato previsto che detto termine deve essere calcolato secondo le disposizioni di cui all’articolo 2963 del codice civile. Poiché il legislatore fa espresso riferimento al concetto che tali plusvalenze siano realizzate, ne consegue che la facoltà di rateazione è concessa solo per quelle plusvalenze ex lett. a) e b) del comma 1, non essendo quindi possibile nel caso di autoconsumo ex lett. c). Nel caso di cessione d’azienda la rateizzazione è concessa nel caso in cui l’alienante conservi la qualifica di imprenditore. In caso contrario, come confermato con circolare ministeriale n° 320 del 19/12/1997, tale facoltà è esclusa in quanto, nei periodi d’imposta successivi alla realizzazione della plusvalenza viene a mancare il reddito d’impresa in cui inserire la quota di reddito frazionata. In caso di concordato preventivo la cessione di beni non costituisce realizzazione di plusvalenza in quanto, come chiarito con risoluzione n°29 dell’Agenzia delle Entrate, la ratio della norma è quella di “ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione concordataria”. Pagina 51 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 8.9 PLUSVALENZE ESENTI Si rinvia la trattazione al capitolo 12. 8.10 SOPRAVVENIENZE ATTIVE Le sopravvenienze attive, le cui fattispecie sono individuata al comma 1 dell’articolo 88, sono generalmente correlate a componenti economiche o patrimoniali rilevate in esercizi precedenti. Non mancano tuttavia casi in cui ciò non avviene, e come riportato dalla prassi ministeriale, ne è un esempio il conseguimento di un’indennità di preavviso scaturente da una risoluzione anticipata di un contratto. La ratio di tale orientamento è da ricondurre alla mancanza del requisito di competenza economica che spinge a qualificare tale evento come sopravvenienza attiva. Ai fini della tassazione delle sopravvenienze occorre che ci sia correlazione con un costo iscritto e dedotto in esercizi precedenti. Tuttavia anche in questo caso bisogna operare delle distinzioni, in quanto non sempre una insussistenza del passivo porterà ad una sopravvenienza imponibile. Infatti come pronunciato dalla Suprema Corte con sentenza n° 16470 del 22/11/2002, una insussistenza del passivo generata da un errore contabile può non generare una sopravvenienza attiva tassabile. La fattispecie prevista dal comma 2 dell’articolo 88 del TUIR, in quanto riferita alle indennità risarcitorie, richiama in parte quanto previsto dall’articolo 86 esaminato precedentemente. Elemento di distinzione è il momento in cui si consegue l’indennizzo. Infatti si andrà a realizzare una sopravvenienza in luogo della plusvalenza nel caso in cui l’indennizzo venga conseguito in un esercizio differente rispetto a quello in cui si è verificato l’evento dannoso. Costituiscono inoltre fattispecie generativa di sopravvenienze attive anche le indennità che non sono connesse a beni strumentali o beni merce è il caso, ad esempio dei contributi per la rottamazione delle licenze di commercio. I contributi sono da considerare sopravvenienze attive se in conto capitale, mentre quelli in conto impianti, in quanto presentano vincolo di destinazione, sono ricavi anticipati (con tassazione secondo il criterio di competenza). I contributi classificabili tra le sopravvenienze attive sono gli unici tassabili secondo il criterio di cassa, con possibilità di rateazione della sopravvenienza in cinque quote, a partire dall’esercizio d’incasso. Sarà pertanto necessaria la rilevazione delle imposte differite al fine di non realizzare un utile su cui le imposte verranno pagate negli esercizi successivi. Ai sensi del comma 4 non sono invece considerate sopravvenienze imponibili i versamenti a fondo perduto e le rinunzie a precedenti versamenti effettuate dai soci. Infine il quinto comma prevede, in caso di cessione del contratto di leasing, la realizzazione di una sopravvenienza pari al valore normale del bene, cui dovrà essere sottratto l’importo delle rate ancora da pagare. Peraltro con circolare ministeriale 108/96 è stato altresì specificato che i valori delle rate ancora da pagare devono essere attualizzati alla data in cui viene effettuata la cessione. Nel caso in cui oggetto della sopravvenienza siano beni a deducibilità ridotta (come nel caso di automobili per le quali è prevista una deducibilità al 50%, in quanto beni ad utilizzo promiscuo), per contro la sopravvenienza realizzata verrà tassata proporzionalmente alla quota rilevante fiscalmente. Ai fini IRAP, come si evince dalla relazione ministeriale al decreto correttivo 176/99, l’imponibilità delle sopravvenienze è connessa al fatto che i componenti straordinari siano correlabili a componenti riferite ad esercizi precedenti che erano state ricompresse in voci dell’area ordinaria (valore o costi della produzione). 8.11 DIVEDENDI ED INTERESSI Pagina 52 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 L’articolo 89 del TUIR, nella parte relativa ai dividendi distingua a seconda che essi vengano percepiti da società semplici o da società di capitali residenti (e non). Per effetto della Riforma del diritto Societario è ora possibile, anche per una società di capitali di detenere partecipazioni in società di persone. Gli utili verranno imputati in base alla quota posseduta e tassati indipendentemente dalla loro effettiva percezione. Gli utili percepiti da una società di capitali a norma del comma 2 sono da considerare esclusi dalla tassazione nella misura del 95%. I dubbi relativi alla tassazione secondo il criterio di competenza, anche per le società di capitali, anche in relazione alla lettera dell’articolo 81 del TUIR sono stati fugati dalla circolare 26/E dell’agenzia delle Entrate che ha chiaramente affermato che gli utili concorrono alla formazione del reddito della società ricevente nell’esercizio in cui sono effettivamente percepiti, confermando quindi l’applicazione del principio di cassa. Relativamente ai dividendi di fonte estera, in seguito alle modifiche del TUIR, questi sono ora da equiparare ai dividendi tra soggetti residenti, a condizione che:la remunerazione sia costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altra appartenente allo stesso gruppo e che gli utili vengano distribuiti da una società che non abbia residenza in uno dei Paesi a regime fiscale privilegiato (cosiddetta black list). Gli interessi concorrono alla formazione del reddito nella misura in cui sono stati pattuiti in forma scritta tra finanziato e finanziatore. Ai sensi dell’articolo 2702 del codice civile, relativamente alla forma da adottare ai fini della validità dell’accordo, è sufficiente una scrittura privata avente data certa. Qualora non risulti alcun dato circa la misura del saggio d’interesse, lo stesso è da intendersi assunto al saggio legale (2,5%). È possibile che la tassazione degli interessi attivi avvenga attraverso una ritenuta alla fonte come ad esempio nel caso di quelli maturati su obbligazioni, titoli di Stato e conti corrente bancari (nelle prime due fattispecie l’aliquota delle ritenuta è pari al 12,5%, nella terza al 27%). Infine sono operazioni generatrici di interesse i contratti “pronti contro termine” stipulati generalmente tramite una banca ed un cliente. In forza di tale contratto la banca vende titoli (generalmente obbligazioni) al cliente ad un determinato prezzo che verranno poi rivenduti dal cliente ad un prezzo concordato. La rivendita non è di per se un obbligo, ma rappresenta la fattispecie trattata dall’articolo 89. In particolare con la rivendita, ai fini delle imposte sui redditi, si possono creare due componenti positive di reddito, ovvero gli interessi prodotti dai titoli nel periodo di possesso e la differenza tra prezzo di rivendita e prezzo di acquisto che, se positiva, concorre alla formazione del reddito secondo il principio di competenza, 8.12 PROVENTI IMMOBILIARI Sono disciplinati dall’articolo 90 del TUIR. Al fine di individuare come concorrano alla formazione del reddito d’impresa è opportuno suddividerli in tre categorie: Strumentali; Alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa; Beni diversi dai precedenti. I primi, che a loro volta si suddividono in strumentali per destinazione e per natura, concorrono alla formazione del reddito in base ai costi e ricavi contabilizzati ed in caso di cessione, ai sensi dell’articolo 86 possono dar luogo a plusvalenze. La seconda fattispecie è caratteristica delle società immobiliari. Nel caso in cui si tratti di società immobiliari di costruzione, gli immobili vengono trattati alla stregua di beni merce, mentre qualora siano società immobiliari di pura gestione occorrerà distinguere tra gli immobili Pagina 53 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 commerciali, il cui reddito sarà determinato sulla base delle risultanze di bilancio e le abitazioni la cui determinazione avverrà secondo quanto disposto dall’articolo 37 del TUIR. Quanto alla terza categoria, ai sensi dell’articolo 90, sarà necessario distinguere gli immobili situati nel territorio dello Stato da quelli situati all’estero. Per i primi il reddito sarà determinato ai sensi dell’articolo 37, per i secondi deve invece distinguersi il se il bene all’estero sia o meno soggetto ad imposte. Se è soggetto ad imposta l’imponibile è dato dalla valutazione effettuata dallo Stato estero nel periodo d’imposta corrispondente, in caso contrario l’imponibile è dato dall’ammontare percepito nel periodo d’imposta ridotto della deduzione forfetaria pari al 15%. La previsione di questa deduzione forfetaria fa sì che per tale categoria residuale di beni immobili non sia possibile la deduzione di ulteriori costi. Sono tuttavia esclusi dal principio dell’indeducibilità i costi non strettamente connessi con gli immobili, nonché gli interessi passivi scaturenti da prestiti contratti per l’acquisto degli stessi. 8.13 PROVENTI ED ONERI NON COMPUTABILI NELLA FORMAZIONE DEL REDDITO L’articolo 91 del TUIR prevede per alcuni redditi, che pur concorrono alla formazione dell’utile civilistico, un regime di esclusione degli stessi dal calcolo della base imponibile. Sono redditi esclusi dall’imponibile fiscale: Redditi esenti Redditi con ritenuta alla fonte Redditi soggetti ad imposta sostitutiva Per i primi vige un regime di esenzione stabilito dalla Legge (ne costituiscono un esempio gli interessi relativi a titoli pubblici emessi fino al 20/09/1986). Quanto ai secondi si distingue il caso in cui la ritenuta sia a titolo d’acconto dal caso in cui venga applicata a titolo d’imposta. Nel primo caso il reddito dovrà essere comunque assoggettato a tassazione (la ritenuta subita andrà a sottrarsi all’ammontare d’imposta determinato), nel secondo la tassazione è definitiva e pertanto tale componente positivo di reddito sarà escluso dal computo della base imponibile (ne costituisce un esempio la ritenuta del 12,5% sugli interessi relativi ai titoli di Stato emessi dopo l’01/09/1987. La terza fattispecie è relativa a quelle tipologie di reddito che sono assoggettate ad altre tipologie di imposizione o che vengono sottoposte ad un regime fiscale derogatorio; ne sono un esempio le imposte sulle assicurazioni e l’imposta sui capital gains. Sono escluse dalla base imponibile le operazioni (comportanti differenze positive o negative) relative alla riduzione del capitale sociale sono fiscalmente neutrali. Analoga soluzione è stata optata per le differenze positive scaturenti da emissione di azioni con sopraprezzo. L’irrilevanza in questione o connessa al fatto che i versamenti aggiuntivi dei nuovi soci costituiscano riserva di capitale. Una successiva distribuzione delle stesse comporterà come conseguenza una riduzione del costo fiscalmente riconosciuto alle azioni o quote. 8.14 VARIAZIONI DELLE RIMANENZE Si rinvia la trattazione al capitolo successivo. 8.15 OPERE, FORNITURE E SERVIZI DI DURATA ULTRANNUALE Si rinvia la trattazione al capitolo successivo. 8.16 VALUTAZIONE TITOLI Si rinvia la trattazione al capitolo successivo. Pagina 54 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.9 Le variazioni delle rimanenze (a cura di Giuseppe Di Garbo) 9.1. Le rimanenze Quando si parla di rimanenze occorre precisare, innanzitutto, cosa si intende con il termine rimanenze di esercizio. In genere, con tale locuzione si intendono sia beni che formano oggetto dell'attività imprenditoriale sia altri beni materiali che intervengono nella catena produttiva o beni immateriali iscritti nell'attivo circolante. In particolare, sono oggetto di valutazione sia civilistica che fiscale i seguenti beni: prodotti finiti semilavorati prodotti in corso di lavorazione materie prime e materie sussidiarie titoli iscritti nell'attivo circolante. Tali beni acquistano rilevanza in quanto la variazione delle “giacenze” alla fine dell'esercizio rispetto a quanto imputato in bilancio all'inizio dell'esercizio ha un impatto sulla determinazione del risultato dell'esercizio sia dal punto di vista prettamente civilistico che da quello fiscale. Le categorie di beni, che sono oggetto di rimanenze, devono essere raggruppate in categorie omogenee per natura e valore (art. 92, c.1, TUIR). A tal proposito si fa presente che: l’omogeneità per “categorie” presuppone un raggruppamento dei beni aventi in base al titolo di proprietà ed alle caratteristiche merceologiche (stesso genere anche se di diverso tipo); l’omogeneità per “valore” presuppone un raggruppamento di beni aventi un identico contenuto economico (con riferimento al “valore normale” nel momento di effettuazione di tale raggruppamento. L’omogeneità per valore deve considerarsi rispettata quando il valore dei beni si scosta entro margini del 10% rispetto al valore medio o del 20% rispetto a quello minimo. In ogni caso la scelta e la composizione delle categorie omogenee deve essere effettuata sulla base di criteri obiettivi basati sull’effettiva realtà aziendale). Successivamente al relativo raggruppamento in categorie omogenee attraverso le modalità sopra descritte, le rimanenze devono essere valutate ad un valore non inferiore a quello risultante (art. 92, c.c. 2 e 4, TUIR): dall’applicazione del metodo del LIFO a scatti annuale; dall’applicazione del metodo della media ponderata , ovvero FIFO o LIFO; qualsiasi altro metodo diverso dai precedenti purchè non porti a valori inferiori a quelli derivanti dall’applicazione del metodo del LIFO a scatti annuali. Il valore delle rimanenze ottenuto mediante l’applicazione del LIFO a scatti costituisce,quindi, il valore minimo fiscalmente riconosciuto delle rimanenze se le stesse sono valutate con un criterio diverso dalla media ponderata, FIFO o LIFO (ad esempio se le rimanenze sono valutate ad un valore costante ai sensi dell’art. 2426, c.1, n.12 C.c. e questa valutazione determina un valore a quello che scaturirebbe dall’applicazione del metodo del LIFO a scatti, la differenza dovrà essere ripresa a tassazione). In base a quanto riportato l'articolo 92 del Tuir, ai commi 1-5, è possibile sintetizzare il trattamento fiscale delle rimanenze nel seguente modo: - le rimanenze finali di beni, la cui valutazione non sia stata effettuata a costi specifici, devono partecipare al reddito per un importo non inferiore a quello che si ottiene raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato secondo le disposizioni che seguono; - nel primo esercizio in cui le rimanenze si formano la valutazione si effettua al costo unitario ponderato annuale, comprendendo nel costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali; Pagina 55 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - negli esercizi successivi la valutazione si effettua applicando il criterio del LIFO a scatti annuale. o In tale ultima fattispecie si possono presentare due casi: - se una determinata categoria omogenea di merci presenta alla fine dell'esercizio una quantità superiore a quella che esisteva all'inizio del periodo considerato, le rimanenze finali vengono scisse in due blocchi: • la quantità corrispondente alle rimanenze iniziali viene valutata allo stesso valore che era stato attribuito alle rimanenze alla fine dell'anno precedente; • la quantità eccedente sulle rimanenze iniziali viene valutata in base al costo medio ponderato annuale. - se, invece, la quantità in rimanenza finale è inferiore alla quantità esistente all'inizio dell'esercizio, in base al LIFO a scatti si considerano vendute per prime le quantità acquistate nell'anno e poi quelle entrate negli anni precedenti a cominciare dai più recenti. Infine, se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato in base a quanto detto sopra, è superiore al valore normale medio di essi nell'ultimo mese dell'esercizio, il valore minimo utile per la valutazione è determinato moltiplicando l'intera quantità dei beni, indipendentemente dall'esercizio di formazione, per il valore normale. Come consueto, per valore normale, ai sensi dell'articolo 9 del Tuir, si intende il prezzo mediamente praticato per beni della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni sono stati acquistati e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per le imprese che esercitano il commercio al minuto è previsto un ulteriore metodo di valutazione delle rimanenze. Infatti, tali soggetti possono adottare il metodo di valutazione del prezzo al dettaglio, in base al quale dai prezzi di vendita dei beni viene scorporata la percentuale di ricarico e determinato il relativo costo. A tal fine è necessario osservare i seguenti obblighi: - tenere una particolare contabilità di magazzino; - indicare e illustrare il metodo adottato in sede di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi. I prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione al termine dell'esercizio sono valutati in base alle spese sostenute nell'esercizio stesso, salvo quanto verrà detto successivamente per le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale. Vale la pena di ricordare che il decreto legislativo approvato il 25 febbraio 2005 contenente l'adeguamento delle norme del Tuir ai principi contabili internazionali ha previsto una norma transitoria in merito alla valutazione delle rimanenze. Infatti, è disposto che, se le società, nell'esercizio di prima applicazione dei principi contabili internazionali, anche su opzione, cambiano la valutazione dei beni fungibili passando dai criteri di cui all'articolo 92, commi 2 e 3, del Tuir, a quelli previsti dai citati principi contabili, possono continuare ad adottare ai fini fiscali i precedenti criteri di valutazione. Questa disposizione si applica ai soggetti che hanno adottato i suddetti criteri per i tre periodi d'imposta precedenti a quello di prima applicazione dei principi contabili internazionali o dal minor periodo che intercorre dalla costituzione. Per rendere effettive le scelte, il contribuente deve esercitare apposita opzione, non revocabile, nella dichiarazione dei redditi. Pagina 56 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Per comprendere appieno la modalità di funzionamento della norma fiscale, si consideri una società che nei primi quattro esercizi ha effettuato i seguenti acquisti relativi a una determinata merce: Esercizio Tonnellate (a) N N+1 N+2 N+3 1.000 1.200 1.100 1.300 Costi per acquisti Costo medio d'acquisto Rimanenze sostenuti nell'anno (b) dell'anno per tonnellata (b/a) tonnellate 1.000.000,00 1.000,00 20 1.320.000,00 1.100,00 30 1.298.000,00 1.180,00 45 1.625.000,00 1.250,00 25 in Si procede nel seguente modo: Esercizio N: Le rimanenze finali vengono valutate in base al costo unitario medio ponderato. Pertanto occorre moltiplicare le tonnellate rimaste per il costo medio. Rimanenze esercizio N = 1.000,00 x 20 = 20.000,00 euro Esercizio N + 1: Nel secondo esercizio, la quantità di merce in rimanenza finale (30) è superiore a quella che era esistente all'inizio dell'esercizio (20). Pertanto, la rimanenza finale viene divisa in due parti: - fino a concorrenza della quantità iniziale (20), le rimanenze si considerano allo stesso valore di quelle iniziali e, quindi, pari a 20.000,00 euro; - per l'eccedenza (pari a 30-20 = 10) la valutazione si effettua al costo medio ponderato annuale e, quindi, pari a 1.100,00 x 10 = 11.000,00 euro. Rimanenze esercizio N + 1 = 20.000,00 + 11.000,00 = 31.000,00 euro Esercizio N + 2 Anche nel terzo esercizio, la quantità di merce in rimanenza finale (45) è superiore a quella che era esistente all'inizio dell'esercizio (30). Pertanto, la rimanenza finale viene valutata per strati di formazione e cioè divisa in tre parti: - 20 tonnellate valutate a 1.000,00 euro e, quindi, pari a 20.000,00 euro; - 10 tonnellate valutate a 1.100,00 euro e, quindi, pari a 11.000,00 euro; - 15 tonnellate valutate a 1.180,00 euro e, quindi, pari a 17.700,00 euro. Rimanenze esercizio N + 2= 20.000,00 + 11.000,00 + 17.700,00 = 48.700,00 euro Esercizio N + 3 Nel quarto esercizio, invece, la quantità di merce in rimanenza finale (25) è inferiore a quella che era esistente all'inizio dell'esercizio (45). In applicazione del LIFO a scatti annuale si considerano già scaricate tutte le quantità acquistate nell'esercizio. La quantità rimanente (45 - 25 = 20), andando a ritroso, si scarica: per un importo pari a 15 tonnellate dall'incremento delle rimanenze del terzo anno per il residuo pari a 5 tonnellate dall'incremento del secondo anno. Pertanto, la rimanenza finale di 25 tonnellate viene valutata per: Pagina 57 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - 20 tonnellate a 1.000,00 euro e, quindi, pari a 20.000,00 euro; - 5 tonnellate a 1.100,00 euro e, quindi, pari a 5.500,00 euro. Rimanenze esercizio N + 3= 20.000,00 + 5.500,00 = 25.500,00 euro. Riepilogando si avrà: Esercizio N N+1 N+2 N+3 Rimanenze finali (in tonnellate) 20 30 45 25 Costo medio ponderato annuale N N+1 N+2 1.000,00 1.100,00 1.180,00 20 20 10 20 10 15 20 5 Valutazione N+3 rimanenze 1.250,00 20.000,00 31.000,00 48.700,00 25.500,00 Il metodo del costo medio ponderato considera le unità acquistate o prodotte di un bene in datye diverse ed a diversi costi come componenti di un insieme, in cui i singoli acquisti e le singole produzioni non sono più identificabili, ma tutte ugualmente disponibili. Il costo medio può essere ponderato: • per movimento: in tal caso il costo medio è calcolato dopo ogni singolo acquisto in base al rapporto esistente tra il costo totale delle unità residue prima dell’ultimo ricevimento e il totale delle unità residue dopo l’ultimo ricevimento; diversamente, le vendite vengono scaricate al costo medio calcolato dopo l’ultimo acquisto effettuato; • per periodo: in tal caso alle quantità ed ai costi risultanti nell’inventario all’inizio del periodo occorrerà sommare gli acquisti o la produzione di un periodo (mese, trimestre, ecc.) e determinare in tal modo i nuovi costi medi ponderati. Gli incarichi del periodo dovranno essere valorizzati in base al costo medio ponderato così come determinato alla fine del periodo stesso. Con il metodo LIFO (Last in First out) i costi più recenti vengono contrapposti ai ricavi più recenti. In tal modo, in fase di prezzi ascendenti, il metodo LIFO attenua gli effetti dell’inflazione sui risultati d’esercizio rispetto al metodo FIFO o del costo medio, poiché la valutazione del magazzino viene effettuata ai costi più remoti. In periodo di aumento dei prezzi, questo metodo può creare effetti distorsivi in bilancio, poiché è in grado di determinare un valore di magazzino inferiore ai costi del momento. Viceversa, in fase di prezzi discendenti, il metodo LIFO contrappone ai ricavi iscritti in conto economico i prezzi più bassi, lasciando quelli più elevati in magazzino. Il metodo FIFO (First in First out) tende a contrapporre ai ricavi recenti i costi meno recenti, e, pertanto, questa valutazione può essere considerata in linea con l’andamento del mercato. Attraverso il criterio FIFO, gli acquisti o le produzioni più remoti sono considerati venduti per primi, e, pertanto, in magazzino rimangono le quantità in acquisto o in produzione più recenti. L’adozione di tale criterio implica una valutazione delle rimanenze in base agli ultimi costi sostenuti per le ultime quantità acquisite nell’esercizio, ai penultimi costi sostenuti le penultime quantità acquisite, e così via fino a coprire tutte le giacenze. Il FIFO ha il pregio di rispettare l’andamento dei prezzi di mercato e offrire, quindi, buoni risultati nelle economie caratterizzate da elevata inflazione. Per quanto concerne le opere ed i servizi di durata infrannuale in corso di esecuzione al termine dell’esercizio devono essere valutati sulla base delle sperse effettivamente sostenute nell’esercizio ( art 92, c.6, TUIR). Tale valutazione deve essere effettuata sommando i costi diretti relativi alla lavorazione, al netto dei corrispettivi previsti contrattualmente e degli eventuali rischi o oneri futuri inerenti alla lavorazione. Pagina 58 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 9.2. Opere, forniture e servizi di durata ultrannuale Le opere ed i servizi in corso di durata ultrannuale partecipano alla formazione del reddito in base al valore eseguito fin dall’inizio dell’esecuzione del contratto, sulla base dei corrispettivi pattuiti (art. 93, cc. 1 e 4, TUIR), e, in tal senso, sono comprensivi della quota di utili attribuibile alle prestazioni/opere già eseguite nell’esercizio (c.d. metodo della percentuale di completamento). L’esecuzione di opere e servizi aventi durata pluriennale e derivanti da contratti di appalto, somministrazione e simili può generare due tipi di componenti positivi di reddito (circolare ministeriale n. 36 del 22/09/1982): - “rimanenze finali”, per le opere (o parte di esse) realizzate e non ancora consegnate al committente, o per la parte di forniture e servizi resi che non configurano prestazioni ultimate e, comunque, per tutte le prestazioni i cui corrispettivi non sono stati liquidati in via definitiva; - “ricavi”, per le opere o per le parti di esse realizzate e consegnate al committente, o per la parte di forniture eseguite e servizi resi che rappresentano delle prestazioni ultimate. La liquidazione dei corrispettivi a titolo definitivo si realizza con la loro quantificazione giuridicamente accettata dal committente, il che comporta il sorgere di un vero e proprio diritto di credito da parte dall’appaltatore del servizio o dell’opera, sufficiente a quantificare, ai fini fiscali, il ricavo da imputare al conto economico. Formano ricavi anche le maggiorazioni di prezzo richieste al committente, ai sensi dall’art. 93, c.2, TUIR, in merito bisogna distinguere due ipotesi: - setali richieste sono avanzate in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali, finchè non sono definitivamente approvate, se ne tiene conto nalla valutazione delle rimanenze in misura non inferiore al 50%dell’importo della maggiorazione stessa. Quando vengono accettate dal committente sono interamente imputate a ricavi (circolare ministeriale 36/1982); - se le richieste costituiscono semplici pretese dell’imprenditore nei confronti del committente, sono imputate quali componenti positivi di reddito solamente se e quando vengono accettate da quest’ultimo, cioè quando si verificano i requisiti generali di certezza e di obiettiva determinabilità (Risoluzione ministeriale .9/2214 del 30/12/1977 e norma di comportamento n.157/2004 dell’associazione dei dottori commercialisti di Milano). La valutazione delle rimanenze va effettuata sulla base dei corrispettivi pattuiti, o stabiliti per legge, al netto della parte che sia stata imputata ai ricavi. Ciò significa che la valutazione delle rimanenze è effettuata in base ai ricavi e non ai costi, in modo che una percentuale di utile venga imputata ad ogni singolo esercizio interessato all’esecuzione delle opere o alla prestazione del servizio. La norma fiscale non precisa il metodo da adottare per determinare il valore da attribuire alla parte dei lavori eseguita, a tal riguardo lo stesso ministero delle finanze con risoluzione n. 9/2942 del 31/01/1981 ha ribadito l’indifferenza del tipo di metodologia di calcolo adottato. 9.3. Rimanenze di titoli I titoli che, in base alla loro valutazione civilistica, non costituiscono immobilizzazioni ( es. azioni, obbligazioni, altri titoli in serie o di massa) concorrono alla formazione del reddito d’impresa con la medesima valutazione prevista per di c.d. “bene – merce”, ovvero (art. 94, c.1, TUIR): - a costi specifici; - ad un valore non inferiore alla valutazione con il metodo del c.d. LIFO a scatti annuali (art 92, cc. 2 e3, TUIR); Pagina 59 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - con il metodi FIFO, costo medio o altre variazioni del metodo a LIFO a scatti annuale (art. 92, c. 4, TUIR), se già utilizzati nel bilancio civilistico (anche se inferiori alla valutazione a LIFO a scatti annuale); - se con altri metodi diversi dai precedenti, purchè non inferiori al valore minimo previsto dalla normativa fiscale. In quest’ultimo caso, se le rimanenze sono iscritte in bilancio ad un valore superiore a quello minimo fiscalmente riconosciuto, tale valore assumerà rilevanza anche fiscale. Valutazione civilistica Valutazione fiscale Costo specifico Costo specifico Costo medio ponderato Costo medio ponderato LIFO a scatti LIFO a scatti LIFO LIFO FIFO FIFO Altri metodi Se il valore civilistico > del valore fiscale:valore civilistico; se il valore civilistico < del valore fiscale: valore fiscale; L'articolo 94 del Tuir prevede che i titoli indicati nell'articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e), esistenti al termine di un esercizio, sono valutati applicando le disposizioni dell'articolo 92, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7, salvo quanto stabilito di seguito. Le cessioni di titoli, derivanti da contratti di riporto o di "pronti contro termine" che prevedono per il cessionario l'obbligo di rivendita a termine dei titoli, non determinano variazioni delle rimanenze dei titoli. Ai fini del raggruppamento in categorie omogenee non si tiene conto del valore e si considerano della stessa natura i titoli emessi dallo stesso soggetto e aventi uguali caratteristiche. Riguardo alle disposizioni dell'articolo 92, comma 5, il valore minimo è determinato: A. per i titoli negoziati in mercati regolamentati, in base ai prezzi rilevati nell'ultimo giorno dell'esercizio ovvero in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese. Non si applica, comunque, l'articolo 109, comma 4, lettera b), secondo periodo (1) B. per gli altri titoli, secondo il valore normale determinato in base all'articolo 9, comma 4, lettera c) (2). In caso di aumento del capitale della società emittente mediante passaggio di riserve a capitale, il numero delle azioni ricevute gratuitamente si aggiunge al numero di quelle già possedute in proporzione alle quantità delle singole voci della corrispondente categoria e il valore unitario si determina, per ciascuna voce, dividendo il costo complessivo delle azioni già possedute per il numero complessivo delle azioni. L'ammontare dei versamenti fatti a fondo perduto o in conto capitale alla società dai propri soci o della rinuncia ai crediti nei confronti della società dagli stessi soci, si aggiunge al costo dei titoli e delle quote di cui all' articolo 85, comma 1, lettera c), in proporzione alla quantità delle singole voci della corrispondente categoria; la stessa disposizione vale relativamente agli apporti effettuati dei detentori di strumenti finanziari assimilati alle azioni. Le disposizioni sopra riportate si applicano anche per la valutazione delle quote di partecipazione in società ed enti non rappresentate da titoli, indicati nell'articolo 85, comma 1, lettera c), del Tuir. In base a quanto sopra detto, pertanto, la valutazione dei titoli, per espresso richiamo, segue gli stessi criteri previsti per le rimanenze di merci, cui si rimanda, fatte salve alcune disposizioni specifiche che riguardano la determinazione del valore normale, l'aumento di capitale gratuito, i versamenti dei soci e le rinunce dei crediti. Pagina 60 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.10. I componenti negativi di reddito (a cura di Ottavio Mannara) Il legislatore, nel disciplinare il trattamento tributario dei componenti negativi di reddito, stabilisce precise regole per la loro deducibilità. Accanto ai principi generali validi per tutti i componenti di reddito (i.e. principio di competenza, di certezza e determinabilità e di continuità), la deducibilità fiscale delle componenti negative di reddito è subordinata altresì al rispetto dei principi di inerenza ed imputazione a conto economico. Per una loro trattazione esaustiva si rinvia al capitolo I.A.3. Per i singoli costi ed oneri sono previste, inoltre, regole di deducibilità specifiche che si procede ad analizzare di seguito. Si tenga presente, da ultimo, che ai sensi del disposto dell’articolo 110, comma 5 del TUIR, se la durata dell’esercizio è superiore o inferiore a 12 mesi, i seguenti componenti negativi di reddito devono essere ragguagliati alla effettiva durata dell’esercizio: - ammortamenti ordinari, compresi quelli relativi a beni concessi in leasing; - spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione; - accantonamenti per rischi su crediti; - accantonamenti di imprese di costruzione di opere pubbliche; - accantonamenti per lavori ciclici di manutenzione di navi ed aeromobili 10.1. La valutazione dei titoli Con l’introduzione del novellato articolo 94 del TUIR il legislatore ha introdotto una netta distinzione nel regime impositivo dei titoli partecipativi e di debito: i primi (i.e. titoli partecipativi o di “equity”) non sono mai suscettibili di svalutazioni quale che ne sia l’allocazione in bilancio (attivo immobilizzato o attivo circolante); mentre i secondi (i.e. titoli di debito) sono altresì idonei a garantire la deducibilità fiscale di eventuali minusvalenze da valutazione. In particolare il comma 4 dell’articolo 94 del TUIR prevede l’applicazione della disciplina valutativa delle rimanenze ai soli titoli obbligazionari ed ai titoli di serie e di massa diversi da quelli rappresentativi di una partecipazione al capitale ovvero al patrimonio (ossia diversi dai titoli di “equity”). Valutazione dei titoli: quadro sinottico Vecchio TUIR Nuovo TUIR Ambito applicativo articolo 61, comma 1 articolo 94, comma 1 - azioni e quote articolo 53, comma 1, lett.c) articolo 85, comma 1, lett.c) strumenti finanziari non presente assimilati alle azioni articolo 85, comma 1, lett.d) - obbligazioni articolo 85, comma 1, lett.e) articolo 53, comma 1, lett.c) Il campo di applicazione dell’articolo 94, definito attraverso il rinvio all’articolo 85, ricomprende titoli di proprietà dell’impresa, non iscritti in bilancio come immobilizzazioni finanziarie, ma facenti parte dell’attivo circolante; le partecipazioni, anch’esse non rappresentate da titoli (i.e. quote di S.r.l.); le obbligazioni e titoli similari. Con riferimento a questi ultimi, occorre precisare Pagina 61 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 che il novellato articolo 94, facendo rinvio all’articolo 85, comma 1 lett.e) attribuisce un campo applicativo oggettivamente più ampio rispetto alla mera categoria delle obbligazioni (e titoli similari) includendo anche i cosiddetti titoli atipici. La circolare dell’Agenzia delle Entrate n.26/E del 16 giugno 2004 fornisce chiarimenti in merito alle definizioni di cui sopra. In particolare, se, da un lato, i c.d. titoli atipici sono così caratterizzati per: (i) una remunerazione non costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente, di società dello stesso gruppo o di un affare (nel qual caso sarebbe un titolo similare alle azioni) (ii) della mancanza di taluno degli elementi essenziali per essere qualificati come titolo di debito. dall’atro lato, la circolare citata ha confermato la sostanziale identità definitoria dei titoli similari alle obbligazioni rispetto al passato ricomprendendovi i buoni fruttiferi emessi da società esercenti la vendita a rate di autoveicoli e, più in generale, i titoli di massa che contengono l’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi indicata, con o senza la corresponsione di proventi periodici, e che non attribuiscono alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione della società emittente (o dell’affare in relazione al quale sono stati emessi), né di controllo sulla gestione stessa (§ 2.5. della citata Circolare). Un aspetto di notevole rilevanza, contenuto nella circolare di cui sopra, riguarda la prevalenza sostanziale rispetto alla forma dei titoli di cui trattasi: a prescindere dalla denominazione formale che assumono (denominazione che, pertanto, potrà anche deporre nel senso dell’ascrivibilità alla categoria dei titoli di debito) i titoli per i quali l’eventuale remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione (anche indiretta) ai risultati economici dell’emittente si verte nella categoria dei titoli similari alle azioni e non alle obbligazioni. 10.1.2. Le regole di valutazione Per poter procedere ad una valutazione dei titoli a fine esercizio, occorre preliminarmente raggrupparli per categorie omogenee per natura, ossia per titoli emessi dallo stesso soggetto ed aventi uguali caratteristiche; a nulla rileva il loro valore. Ne consegue che: - le azioni e gli strumenti finanziari similari sono raggruppati per società emittente e per categoria: i.e. ordinarie, privilegiate, azioni di risparmio; - i titoli obbligazionari sono raggruppati in base all’emittente, al tasso, alla durata ovvero in base alle caratteristiche loro proprie (i.e. la convertibilità, l’indicizzazione…); - le quote di fondi comuni di investimento sono raggruppati per ciascun fondo. La loro valutazione deve essere effettuata secondo la metodologia cosiddetta a costi, ricavi e rimanenze, con criteri analoghi a quelli delle rimanenze di merci. In tal caso, pertanto, occorre determinare un valore minimo da attribuire ai titoli: se il valore iscritto in bilancio risulta inferiore al suddetto valore minimo, dovrà esser apportata una integrazione in sede di dichiarazione dei redditi al fine di raggiungere tale valore minimo. Ai sensi dell’articolo 94, comma 4 del D.P.R. n.917/1986, il valore minimo attribuibile alle rimanenze di titoli è il minore tra il valore normale ed il valore determinato sulla base dei criteri fiscalmente ammessi (FIFO, LIFO, costo medio ponderato). Più precisamente, il valore normale viene così determinato: - per le azioni, indipendentemente dal fatto che siamo o meno quotate, è il costo relativo, non comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti i quali non concorrono alla formazione del reddito, né alla determinazione del valore fiscalmente riconosciuto delle rimanenze di tali azioni, quote o strumenti; Pagina 62 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - per le obbligazioni quotate in mercati regolamentati italiani o esteri è dato dalla media aritmetica dei prezzi dell’ultimo mese ovvero (a scelta) dalla quotazione dell’ultimo giorno dell’esercizio; per le obbligazioni non quotate è determinato sulla base del valore normale di titoli quotati aventi analoghe caratteristiche ovvero (in mancanza) sulla base di elementi determinabili in modo obiettivo 10.2. Gli interessi passivi Gli interessi passivi sono oneri di natura finanziaria; a secondo della loro natura essi possono essere distinti in interessi di funzionamento, interessi capitalizzabili, interessi su prestiti obbligazionari o titoli similari emessi da società non quotate. Le somme versate dai soci a favore delle società, siano esse di persone ovvero di capitali, ed di enti commerciali generano interessi passivi in quanto si presumono date a mutuo se dal bilancio non risulta che i versamenti siano fatti ad altro titolo (articolo 46 del TUIR). 10.2.1. Interessi di funzionamento La disciplina generale di deducibilità degli interessi passivi di funzionamento è stata profondamente modificata dagli articoli 96 – 97 – 98 del TUIR, di cui si offre ampia trattazione nel capitolo successivo. 10.2.2. Interessi capitalizzabili Per quanto riguarda la disciplina che regola la deducibilità degli interessi capitalizzabili, ossia imputabili ad aumento del costo dei beni, contenuta nell’articolo 110, comma 1 lett. b) del TUIR si rinvia a quanto illustrato nel capitolo I.A.7. 10.2.3. Interessi su obbligazioni Nel caso di società non quotate che emettono prestiti obbligazionari o titoli similari aventi, alla data di approvazione della delibera di emissione, un tasso di rendimento effettivamente superiore ai limiti di cui sotto, gli interessi passivi eccedenti sono indeducibili, mentre la parte rientrante nei suddetti limiti è disciplinata secondo le regole di deducibilità previste agli articolo 96-97-98 del TUIR. Ai sensi dell’articolo 3, comma 115 della Legge n.549/1995, per gli interessi relativi alle obbligazioni e titoli similari emessi a partire dal 30.06.1997 ed esigibili a partire dal 01.07.2000, i limiti cui si fa riferimento sono: - per le obbligazioni e titoli similari negoziati in mercati regolamentati di paesi aderenti alla UE ovvero collocati mediante offerta al pubblico => il doppio del tasso ufficiale di sconto. - per le obbligazioni e titoli similari diversi dai precedenti => il tasso ufficiale di sconto aumentato di 2/3. 10.3. Le spese per prestazioni di lavoro Le spese per prestazioni di lavoro nell’ambito dell’impresa possono riguardare: - spese e compensi ai lavoratori dipendenti; - compensi agli amministratori, promotori e soci fondatori; - compensi agli associati in partecipazione; - compensi dell’imprenditore individuale e dei suoi familiari. Le regole, disciplinate dall’articolo 95 del TUIR, prevedono sostanzialmente che: Pagina 63 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - - - le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili sono quelle sostenute in denaro ovvero in natura a favore dei lavoratori dipendenti (i.e. salari, stipendi, contributi previdenziali, accantonamenti ai fondi di quiescenza e previdenza…) e comprendono, altresì, quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità, fatta salva l’eccezione prevista per le spese relative ad opere e servizi utilizzabili dai dipendenti e sostenute volontariamente per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto. La risoluzione n.158/E del 27 maggio 2002, ha riconosciuto rilevanza fiscale anche ai compensi per lavoro dipendente corrisposti al socio accomandante (purché riferibili a prestazioni effettivamente rese e non volte a mascherare una distribuzione di utili). Rebus sic stantibus, salvo casi particolari (i.e. trasferte, veicoli ed immobili concessi in uso, versamenti a fondi pensione complementari…), tutto quanto corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro subordinato è, per l’impresa, costo deducibile dal reddito imponibile. non sono deducibili i canoni di locazione, anche finanziaria, e le spese relative al funzionamento di strutture recettive per dipendenti (con eccezione delle mense e alloggi destinati alla generalità dei dipendenti e quelli destinati ai dipendenti in trasferta temporanea). I canoni e le spese relative agli alloggi concessi in uso ai dipendenti sono deducibili a seconda dell’utilizzo cui sono destinati: alloggio dei dipendenti in trasferta Sono deducibili nei limiti giornalieri di Euro 180,76 ovvero di Euro 258,23 per quelli siti all’estero Concessione a dipendenti che hanno trasferito la loro residenza per esigenze di lavoro Sono integralmente deducibili limitatamente al periodo d’imposta in cui c’è il trasferimento e nei 2 successivi. Altri scopi la deducibilità è ammessa per un importo non superiore a quello che costituisce reddito per il dipendente le spese di vitto e alloggio sostenute per trasferte effettuate fuori dal territorio comunale dai lavoratori dipendenti e dai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sono ammesse in deduzione secondo le seguenti regole: Rimborsi analitici per vitto e alloggio Sono deducibili integralmente se sostenute nel territorio del comune ove l’imprenditore ha la sede dei propri affari ovvero per un ammontare giornaliero non superiore ad euro 180,76 euro 258,23 rispettivamente in caso di trasferte fuori dal suddetto comune o all'estero. Tali limiti non riguardano i rimborsi forfetari e misti che, come precisato dalla circolare n.188 del 16 luglio 1998, sono integralmente deducibili. Rimborsi dei biglietti di viaggio Sono integralmente deducibili Pagina 64 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Rimborsi chilometrici - - - Se riguardano l’utilizzo di veicoli appartenenti al dipendente autorizzato, anche informalmente, ad utilizzare il proprio veicolo per una specifica trasferta, sono deducibili nei limiti del costo di percorrenza o delle tariffe di noleggio di automezzi con cilindrata non superiore a 17 CF se a benzina ovvero 20 CF se diesel. Per la quantificazione dei costi si fa riferimento alla media dei costi appositamente calcolata dall’ACI. - Se i veicoli sono di proprietà dell’impresa, se vengono concessi in uso esclusivo al personale, l’impresa può dedursi dal reddito il solo importo che costituisce reddito in capo ai dipendenti; se vengono concessi in uso promiscuo, l’impresa può dedursi integralmente i costi e le spese relative a tali veicoli; infine, se vengono adibiti ad esclusivo uso aziendale, le relative spese non sono considerate spese per prestazioni di lavoro, ma costi relativi a beni ammortizzabili. le imprese di autotrasporto in luogo della deduzione delle spese sostenute in relazione alle trasferte effettuate dal proprio dipendente fuori del territorio comunale, possono dedurre un importo pari a euro 59,65 al giorno, elevate a euro 95,80 per le trasferte all'estero, al netto delle spese di viaggio e di trasporto; i versamenti diretti a fondi pensione complementari sono integralmente deducibili; se tali versamenti vengono effettuati a seguito di una devoluzione di una quota dell’accantonamento al TFR sono deducibili solo nel limite del 3% annuale; nel caso di trasformazione del TFR in titoli (c.d. cartolarizzazione del TFR) l’impresa può effettuare un accantonamento ad una riserva in sospensione d’imposta deducibile nel limite del 3% delle quote di accantonamento annuale al TFR) i compensi spettanti agli amministratori sono deducibili per cassa (quelli erogati sotto forma di partecipazione agli utili sono deducibili anche se non imputati al conto economico); le partecipazioni agli utili spettanti ai lavoratori dipendenti, e agli associati in partecipazione sono computate in diminuzione del reddito dell'esercizio di competenza, indipendentemente dalla imputazione al conto economico. E’ opportuno ricordare, a riguardo, la nuova previsione di indeducibilità dei compensi agli associati in partecipazione per i quali sia previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi. 10.4. Gli oneri fiscali e contributivi La disciplina, contenuta nell’articolo 99 del TUIR, prevede che non tutti gli oneri fiscali e contributivi siano deducibili. Di seguito si riepilogano gli oneri indeducibili e quelli deducibili: - le imposte sui redditi (IRES ed IRPEF) e quelle per le quali è prevista la rivalsa ad esempio l’IVA), anche facoltativa (ad esempio cessioni gratuite), le imposte indeducibili Pagina 65 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - - - per legge (IRAP ed ICI) non sono ammesse in deduzione: le “imposte” da condono, l'imposta sostitutiva per la rivalutazione dei beni dell'impresa, l'imposta sostitutiva per l'affrancamento dei fondi in sospensione di imposta, l’IVA che non costituisce costo. l’indeducibilità vale anche per le imposte sui redditi pagate all’estero, recuperate in Italia con il meccanismo del credito d’imposta di cui all’articolo 165 del TUIR. sono indeducibili anche i rimborsi delle imposte indeducibili e le imposte trattenute mediante ritenuta alla fonte dell’imprenditore e che sono a carico del terzo. Sono indeducibili le sanzioni penali ed amministrative, anche se pagate a titolo di mora ed ogni altro tipo di sanzione pecuniaria come quelle irrogate dalla UE o da altri organismi quali l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La ratio di tale indeducibilità è legata al fatto che i comportamenti illeciti non possono essere considerati inerenti l’attività d’impresa. Vi è parte della giurisprudenza, tuttavia, che a riguardo ritiene deducibili le sanzioni rispondenti ai requisiti di inerenza, certezza ed oggettiva determinabilità: i.e. le sanzioni irrogate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato. le altre imposte sono deducibili per cassa nell’esercizio in cui sono stati effettivamente pagati: ad esempio l’imposta di registro, la tassa di concessione governativa, l’imposta di bollo ed i dazi doganali. Sono deducibili per competenza l’IVA, quando costituisce un costo. A riguardo, si ritiene opportuno precisare che, in generale, l’IVA, gravando sul consumatore finale non impatta sul conto economico e non rileva, pertanto ai fini de quibus. Quando, invece, l’IVA è indetraibile e resta, pertanto, a carico dell’impresa occorre distinguere la causa di in detraibilità: Indetraibilità per destinazione, indetraibilità oggettiva ed indetraibilità per effetto dell’opzione per la dispensa agli adempimenti => l’IVA deve aggiungersi al costo del bene o servizio cui si riferisce; Indetraibilità per pro-rata generato da operazioni esenti => l’IVA è un costo di conto economico ed è ammessa in deduzione secondo le regole previste per le spese generali; In tutti i casi l’IVA è dedotta per competenza. gli accantonamenti per imposte non ancora definitivamente accertate sono deducibili nei limiti dell'ammontare corrispondente alle dichiarazioni presentate, agli accertamenti o provvedimenti degli uffici e alle decisioni delle commissioni tributarie. i contributi ad associazioni sindacali e di categoria sono deducibili per cassa, ossia nell’esercizio in cui sono effettivamente corrisposti, se e nella misura in cui sono dovuti, in base a formale deliberazione dell'associazione. Ne consegue che non sono pertanto deducibili le somme aventi natura di liberalità. 10.5. Oneri di utilità sociale La disciplina relativa a quanto in oggetto, regolata dall’articolo 100 del TUIR, può così essere così sintetizzate: - le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi; - sono inoltre deducibili una serie di erogazioni liberali individuate esplicitamente dall’articolo 100, comma 2 del Tuir. A titolo esemplificativo, di seguito si riportano alcune delle suddette erogazioni liberali: Pagina 66 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Tipologia Limite di deducibilità iniziative sociali ed umanitarie Erogazioni fatte a persone giuridiche che perseguono esclusivamente finalità di Ammontare non superiore al 2% del reddito educazione, istruzione, ricreazione, assistenza d’impresa (al netto delle liberalità stesse) sociale e sanitaria, culto o ricerca scientifica Contributi, donazioni e oblazioni erogate a favore di organizzazioni non governative Ammontare non superiore al 2% del reddito riconosciute idonee per gli aiuti ai paesi in via d’impresa (al netto delle liberalità stesse) di sviluppo Importo non superiore a 2.065,83 Euro Erogazioni in denaro alle ONLUS o alle ovvero, se eccedente, al 2% del reddito aziende pubbliche di servizi alla persona d’impresa assunto al netto delle erogazioni risultanti dalla trasformazione delle IPAB liberali Spese per l’impiego di lavoratori dipendenti utilizzati per eseguire prestazioni di servizi, non inerenti l’attività di impresa, a favore di ONLUS Importo non superiore allo 0,50% dell’ammontare complessivo delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi Cultura, spettacolo e arte Erogazioni in denaro allo stato, alle regioni, agli enti locali territoriali, a enti o istituzioni pubbliche, a fondazioni e ad associazioni Interamente deducibili legalmente riconosciute, per la realizzazione di programmi culturali e dello spettacolo Università, ricerca scientifica Erogazioni fatte ad università e istituti di Ammontare non superiore al 2% del reddito istruzione universitaria d’impresa (netto delle liberalità stesse) Beni vincolati, parchi e riserve Erogazioni in denaro ad organismi di gestione di parchi e riserve rurali, terrestri e marittimi, stati e regionali e di ogni altra zona di tutela Interamente deducibili speciale paesistico-ambientale, nonché gestita dalle associazioni e fondazioni private legalmente riconosciute - le erogazioni liberali per le quali non è prevista in modo esplicito la deducibilità non sono ammesse in deduzione. La deducibilità delle erogazioni avviene in base al principio di cassa (risoluzione ministeriale n.147 del 1 luglio 2003). 10.6. Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite Pagina 67 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 La disciplina relativa a quanto in oggetto, regolata dall’articolo 101 del TUIR, non prevede rilevanti novità rispetto al testo precedente del TUIR. Di seguito gli aspetti fondamentali. 10.6.1. Minusvalenze Le componenti negative di reddito che emergono a seguito di cessione di un particolare bene dell’impresa conduce ad un risultato negativo. Come previsto dal previgente articolo 66 del TUIR, anche secondo l’attuale normativa tributaria, i beni che generano minusvalenze sono i medesimi che generano plusvalenze. La norma di cui all’articolo 101, comma 1 e 2 del TUIR non elenca i beni che rientrano nel campo di applicazione, ma li individua in negativo, per esclusione: “[…] diversi da quelli indicati negli articoli 85, comma 1 e 87 […]”: sono, cioè, escluse le minusvalenze derivanti da beni rientranti nella disciplina della participation exemption e quelli dalla cui cessione derivano ricavi. Definito l’ambito applicativo del trattamento tributario delle minusvalenze, l’articolo che qui si commenta stabilisce le regole di deducibilità delle stesse precisando che, in genere, le minusvalenze dei beni relativi all'impresa sono deducibili integralmente ed immediatamente solo se “realizzate” mediante: - cessione a titolo oneroso (ivi compresa la cessione a titolo oneroso dell’azienda); - risarcimento per la perdita o distruzione del bene; - autoconsumo, ossia destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa tra cui rientra, in caso di società, l’assegnazione ai soci Per la corretta determinazione della minusvalenze si rinvia, analogicamente, a quanto detto in tema di plusvalenze. Particolari disposizioni riguardano, tuttavia, le minusvalenze legate a immobilizzazioni finanziarie che si distinguono in minusvalenze da cessione e minusvalenze da valutazione. Minusvalenze da cessione Partecipazioni con requisiti Pex Per le società di capitali ed enti commerciali Per le imprese individuali e le società di persone Interamente indeducibili Deducibili per il 40% del loro ammontare Partecipazioni prive dei requisiti Pex Interamente deducibili, indipendentemente dalle caratteristiche del cedente (impresa individuale, società di persone, società di capitali) Tale principio di deducibilità relativo alle partecipazioni prive dei requisiti Pex non trova applicazione per le vendite realizzate nel 2006 a cui si applicano congiuntamente i seguenti requisiti (articolo 109, comma 3-bis e 3-ter del TUIR): - le azioni, quote e strumenti finanziari similari ceduti siano stati detenuti da non più di 36 mesi; - sussistano, al momento dell’acquisto della partecipazione, i requisiti oggettivi Pex di commerciabilità e residenza al di fuori di paradisi fiscali; - nei 36 mesi precedenti la vendita siano stati incassati dividendi non imponibili parzialmente. Tale eccezione trova il proprio fondamento nell’intento antielusiva di contrastare il c.d. dividend washing, ossia la fattispecie per cui le partecipazioni aventi i requisiti Pex che, in precedenza, Pagina 68 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 consentivano all’acquirente la percezione di dividendi detassati e la successiva rivendita effettuata realizzando una minusvalenze deducibile. Infine, per monitorare eventuali operazioni elusive attuate in passato, è stato introdotto l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati relativi alle minusvalenze di ammontare superiore a 50.000 Euro realizzate nel 2004 e relative ad operazioni effettuate in mercati regolamentati italiani o esteri. Qualora tale comunicazione venga omessa, o contenga dati incompleti o sia infedele, la minusvalenze è integralmente indeducibile. Minusvalenze da valutazione Le minusvalenze da valutazione (c.d. svalutazioni) sono deducibili interamente solamente se si riferiscono ad obbligazioni e titoli similari alle seguenti condizioni: - devono essere imputate a conto economico; - in misura non eccedente la differenza tra il valore fiscalmente riconosciuto e quello determinato per i titoli quotati => dalla media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo semestre; per i titoli non quotati => dal raffronto con titoli aventi caratteristiche analoghe. Le svalutazioni relative a partecipazioni, sia qualificate che non qualificate, sono, invece, indeducibili. 10.6.2. Sopravvenienze passive Sono sopravvenienze passive quelle componenti negative di reddito che, a differenza delle minusvalenze, non derivano dalla cessione di un bene materiale dalla sua distruzione fisica ovvero dalla perdita del relativo diritto. Tali voci sono deducibili se derivano da: - mancato conseguimento di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, - sostenimento di maggiori spese, perdite od oneri a fronte di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi (ad esempio i maggiori contributi INPS accertati in un esercizio successivo) - sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, come nel caso di furto o distruzione di un bene strumentale. Nel caso di perdita o distruzione di beni, deve esser fornita la relativa prova al fine di vincere la presunzione degli stessi. Va precisato che la sopravvenuta insussistenza delle partecipazioni con i requisiti Pex, se possedute da società IRES, sono totalmente indeducibili, mentre se possedute da imprese individuali sono deducibili solo per il 40% del loro ammontare. 10.6.3. Perdite Sono elementi straordinari di reddito le perdite di beni patrimoniali, le perdite su crediti e le perdite su cambi. Di norma, la perdita possa essere dedotta solo quando risulta da elementi certi e precisi. 10.6.3.1. Perdite di beni patrimoniali (articolo 101, comma 5 del D.P.R. n.917/86) Rappresentano perdite di beni patrimoniali quelle perdite involontarie per furto, smarrimento, incendio, distruzione ecc. avvenute nello stesso esercizio in cui i beni sono entrati a far parte del patrimonio aziendale. Se gli stessi eventi si verificano in esercizi successivi si tratterà, invece, di sopravvenienze passive, cui si rimanda. Tali perdite sono deducibili sulla base del costo risultante dalla fattura di acquisto ovvero, se i Pagina 69 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 beni cui ineriscono sono a deducibilità limitata, rilevano in misura proporzionale agli ammortamenti che concorrerebbero, in assenza della perdita del bene, alla formazione del reddito. Per dimostrare la perdita involontaria dei beni, in linea generale, è necessario essere in possesso di idonea documentazione di un organo della pubblica amministrazione o, in mancanza, di dichiarazione sostitutiva di atto notorio, resa e firmata, entro 30 giorni dall'evento o dalla data in cui se ne ha conoscenza, da cui risulti il valore complessivo dei beni perduti. L'imprenditore deve, inoltre, essere in grado di fornire all’amministrazione finanziaria che glielo richieda i criteri e gli elementi in base ai quali è stato determinato il valore complessivo dei beni perduti (art. 2 c. 3 DPR 441/97). La documentazione e la comunicazione di cui sopra non sono richieste nel caso di: - distruzioni non volontarie connesse a situazioni ricorrenti (es. cali e sfridi); - trasformazione delle merci in beni residuali rientrante nell’attività propria dell’impresa; - consegna a terzi autorizzati allo smaltimento dei rifiuti; - cessione ad altri imprenditori. Perdite su crediti (articolo 101, comma 5 del D.P.R. n.917/86) Le perdite su crediti, sia nazionali che esteri, sono deducibili solo se risultano da elementi certi e precisi ovvero quando si è in presenza di procedure concorsuali. L’esercizio di competenza per operare la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perché in quel momento stesso si materializzano gli elementi “certi e precisi” della sua irrecuperabilità. Pertanto, il contribuente non può, una volta che la perdita sia diventata certa, decidere di differire la deduzione in un anno successivo (Cass. 3 agosto 2005 n. 16330). La rinuncia al credito da parte di una società deve essere deliberata dagli organi societari e nel caso di inconsistenza patrimoniale del debitore non è condizionata al modesto importo del credito. Per i crediti esteri garantiti, la definitività della perdita potrà essere ottenuta con una dichiarazione di insolvenza emessa dalla Sezione speciale per l'assicurazione del credito all'esportazione (Circ. Min. 10 maggio 2002 n. 39/E) , mentre per i crediti esteri non garantiti può assumere rilevanza probatoria anche una documentazione di parte, quale potrebbe essere un'apposita dichiarazione fornita dall'organo di controllo della società (Ris. Min. l aprile 1981 n. 9/016). Nella cessione di credito a prezzo inferiore a quello nominale, la differenza è ammessa in deduzione quale perdita nel solo caso della cessione pro-soluto, in cui il cedente garantisce solo l'esistenza del credito, mentre non è ammessa in caso di cessione pro-solvendo, in cui il cedente garantisce anche la solvibilità del debitore (Ris. Min. 13 marzo 1982 n. 9/634). In senso parzialmente contrario, è stato tuttavia sostenuto che la cessione pro-soluto comporta la deducibilità della perdita solo se l'imprenditore riesce a provare, mediante elementi certi e precisi, che la perdita si era già verificata al momento della cessione ovvero che a tale data il debitore era assoggettato a procedure concorsuali (Cass. 23 maggio 2002 n. 7555; Cass. 4ottobre 2000 n. 13181). Tale posizione secondo la dottrina appare eccessiva, soprattutto se si considera la possibilità dell'amministrazione finanziaria di disconoscere eventuali operazioni elusive. In presenza di procedure concorsuali, nazionali o estere, è riconosciuta la sussistenza dei requisiti di certezza e precisione della perdita, che diviene pertanto deducibile senza bisogno di attendere la conclusione delle stesse. Il debitore si considera assoggettato alla procedura concorsuale dalla data: - della sentenza dichiarativa del fallimento; - del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa; Pagina 70 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo; del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Si tenga presente che, fra le procedure concorsuali rilevanti è esclusa l'amministrazione controllata e gli istituti analoghi previsti in Stati esteri. In Questi casi quindi torna applicabile la regola generale (certezza e precisione della perdita). Per la determinazione del periodo in cui dedurre la perdita su crediti, occorre far riferimento all’esercizio in cui è avvenuta l'imputazione della stessa a bilancio, il che può accadere nello stesso esercizio di emanazione dei provvedimenti suddetti o anche in esercizi successivi, quando cioè l'imprenditore ritiene sussistenti, nel caso concreto, i requisiti di certezza e determinabilità della perdita (Cass. 4 settembre 2002 n. 12831). E’ necessario tener presente, infine, che, se sono state effettuate delle svalutazioni crediti o se esiste un fondo per rischi su crediti, la perdita va necessariamente imputata al fondo rischi fino alla sua completa utilizzazione e, solo per la parte eccedente costituisce un componente negativo di reddito. Anche nel caso di procedure concorsuali, la perdita deve in primo luogo assorbire il fondo rischi su crediti, mentre il residuo importo non assorbito sarà dedotto interamente nell'anno di imputazione. Perdite su cambi Le perdite su cambi derivanti da riscossioni o pagamenti effettuati nel corso dell’esercizio sono integralmente deducibili, non essendo ammessi accantonamenti per rischi su cambi. 10.7. Ammortamenti 10.7.1. Ammortamento tecnico L’ammortamento è una procedura tecnico-contabile che permette di ripartire il costo sostenuto per l’acquisto di beni strumentali di durata pluriennale fra tutti gli esercizi di utilizzo; tale procedura è esclusa in tutti i casi in cui il bene di proprietà dell’impresa non è strumentale all’esercizio dell’impresa medesima e nel caso de terreni che sono ritenuti beni non deperibili. L’ammortamento ha lo scopo di evitare che il costo del bene strumentale abbia impatto negativo in bilancio solo nell’esercizio di acquisto permettendone, invece, la ripartizione su tutti gli esercizi di utilità. All’acquisto del bene, si iscrive lo stesso nell’attivo dello stato patrimoniale e, in ogni esercizio di utilizzo, si deduce da tale valore la quota di ammortamento di competenza. L’ammortamento riguarda sia i beni materiali che i beni immateriali sia i beni di importo inferiore ad Euro 516,46. 10.7.1.1. Ammortamento dei beni materiali La norma in materia di ammortamenti, ora contenuta nell’articolo 102 TUIR, quanto a impianto complessivo non si discosta sensibilmente rispetto alla disposizione di cui al vecchio articolo 67, tuttavia contiene novità di rilievo: oltre ad una riorganizzazione della numerazione dei commi, sono state soppresse alcune sue parti importanti, essendo questo dovuto all’ingresso nel nostro ordinamento dell’istituto cosiddetto del disinquinamento del bilancio, che opera in forza della soppressione del comma 2 dell’articolo 2426 del codice civile e del disposto dell’articolo 109 comma 4 lett. b) TUIR. Pagina 71 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Aspetti generali 1° aspetto generale - costo da ammortizzare Cercando di combinare opportunamente le disposizioni civilistiche in materia di ammortamenti dei beni materiali – quindi il riferimento è al Principio Contabile n. 16 – con le disposizioni fiscali, la prima questione da affrontare riguarda la base su cui calcolare gli ammortamenti, che il comma 1 dell’art. 102 individua nel costo, la cui definizione si desume dall’articolo 110 del TUIR: 1. il costo è assunto al lordo delle quote di ammortamento già dedotte; 2. il costo deve comprendere anche gli oneri accessori di diretta imputazione, di cui la norma fiscale non si occupa, rinviando alle tecniche contabili di rilevazione di questi componenti. A titolo esemplificativo possiamo ricordare i seguenti oneri accessori con riferimento ai: FABBRICATI: - spese notarili per la redazione dell'atto di acquisto e tasse per la registrazione dell'atto; - onorari per la progettazione dell'immobile; - costi per opere di urbanizzazione primaria e secondaria poste dalla legge obbligatoriamente a carico del proprietario; - compensi di mediazione; IMPIANTI E MACCHINARIO: - spese di progettazione, installazione, montaggio, posa in opera, messa a punto; - trasporti; - dazi su importazione; - spese ed onorari di perizie e collaudi. 3. l’articolo 110, come primo approccio, esclude dal concetto di costo gli interessi passivi e le spese generali, componenti che devono ricevere un trattamento separato in presenza di proventi esenti. La norma, in ogni caso, prevede che per i beni materiali (e immateriali) strumentali per l’esercizio dell’impresa si possano comprendere nel costo, e ciò fino all’esercizio della loro entrata in funzione, gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro fabbricazione interna o presso terzi, ovvero per prestiti impiegati per il loro acquisto, la condizione che dal bilancio risultino imputati ad aumento del costo; la norma, in sostanza, non obbliga alla capitalizzazione degli interessi passivi – in ciò allineandosi al Principio Contabile 16, che vede con una certa diffidenza questa capitalizzazione – ma prende atto di una eventuale scelta in tal senso operata dall’impresa; in ogni caso la regola è la seguente: Gli interessi passivi eventualmente capitalizzabili sono solo quelli sostenuti prima dell’entrata in funzione del bene, essendo concessa una doppia facoltà: - la CAPITALIZZAZIONE, il che si desume se dal bilancio risultano portati ad incremento del costo di acquisizione; - la DEDUZIONE, se non si verifica la condizione precedente. Gli interessi passivi sostenuti dopo l’entrata in funzione del bene possono solo essere portati a costo, con le regole generali di deducibilità proprie di questi componenti. 2° aspetto generale - strumentalità del bene E’ il requisito indispensabile ai fini della deducibilità delle quote di ammortamento. Se il bene non è riferibile all’attività che caratterizza l’impresa in quanto tale, esso fiscalmente non genera ricavi e, pertanto, in virtù del principio di inerenza, nemmeno i costi ad esso afferenti potranno essere considerati componenti negativi ai fini della determinazione del reddito d’impresa; Pagina 72 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 3° aspetto generale - entrata in funzione del bene La stretta correlazione costi per ammortamenti – ricavi (indiretti) derivanti dall’impiego del bene ammortizzabile, così come voluta dal legislatore fiscale, si evidenzia proprio nel fatto che la deduzione è ammessa solo quando il bene è entrato in funzione e così, indirettamente, partecipa alla produzione dei ricavi; questa è una delle differenze fondamentali con l’approccio civilistico, per il quale le quote di ammortamento devono essere stanziate a partire dal momento in cui il bene è pronto per l’uso, ancorché non effettivamente utilizzato. 4° aspetto generale – modalità di ammortamento e coefficienti Il comma 2 dell’articolo 102 del TUIR si preoccupa di definire le modalità per misurare le quote di ammortamento ordinario, che presuppongono l’applicazione al costo, come definito nel paragrafo precedente, di appositi coefficienti che, in sostanza, indicano la misura massima dell’ammortamento deducibile e non la misura effettivamente obbligatoria: tali coefficienti sono calcolati in funzione del normale periodo di deperimento e consumo proprio di ciascun settore produttivo, con ciò allineandosi a quelle che sono le esigenze civilistiche di calcolo delle quote di ammortamento. Viene mantenuta la regola per cui, nel primo esercizio, le quote ordinarie devono essere ridotte alla metà. In tal modo si forfettizzano i casi tanto del bene entrato in funzione in corso d’anno, in un momento vicino all’inizio dell’esercizio, quanto del bene entrato in funzione verso la fine dell’esercizio. I coefficienti di ammortamento c.d. ordinari sono stabiliti, per i beni entrati in funzione dal 1 gennaio 1989 ed in relazione alla tipologia di bene ed al settore di utilizzo del possessore, dal DM 31.12.1988. Se per un dato bene manca, per il settore interessato, il relativo coefficiente, occorre far riferimento al coefficiente previsto per lo stesso bene con riferimento ad un settore con caratteristiche similari (ris.min. n.9/1980). Il comma 3, al primo periodo, si occupa del cosiddetto ammortamento accelerato, che rappresenta una prima deroga al limite massimo di deducibilità delle quote d’ammortamento; poiché i coefficienti di cui si è detto tengono conto del fatto che, in determinati settori, la produzione può avvenire anche su più turni lavorativi, l’effettivo più intenso utilizzo rispetto alla media è prova il cui onere ricadrà sul contribuente, che potrà avvalersi di elementi prevalentemente tecnici a testimonianza della necessità di dedurre quote di ammortamento più elevate rispetto a quelle ordinarie. Il comma 3 prosegue occupandosi dell’ammortamento anticipato, sostanzialmente affermando che di questo l’impresa può beneficiare senza dover offrire nessuna specifica giustificazione o prova. Dal punto di vista fiscale, infatti, non c’è nessun collegamento con l’utilizzazione maggiore o minore del cespite, né il legislatore fiscale è particolarmente sensibile al fatto che esso sia civilisticamente giustificato o meno. La fattispecie dell’ammortamento integrale si ripropone nel comma 6 dell’articolo 102, e quello della deducibilità integrale delle spese o costi per beni di valore non superiore a Euro 516,46 non è criterio obbligatorio e quindi esclusivo, nel senso che è rimessa alla libera scelta dell’imprenditore optare per la deduzione integrale stessa ovvero per l’ordinaria procedura di ammortamento in quote annuali (a conferma di tale orientamento la RM 9/1551 del 19 ottobre 1976, con riguardo alle imprese minori, affermò che queste possono optare mediante una espressa manifestazione di volontà risultante dalla dichiarazione dei redditi, per l’ammortamento a quote annuali in luogo della deduzione in unica soluzione). Casi particolari 1° caso particolare - beni ad uso promiscuo Pagina 73 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Innanzitutto si considerano beni ad uso promiscuo quei beni che vengono utilizzati sia per l’attività d’impresa che per l’uso personale dell’imprenditore. Vi sono casi in cui la promiscuità è presunta, indipendentemente dall’uso che ne fa l’imprenditore (i.e. cellulari e mezzi di trasporto a motore). L’articolo 102 comma 9 contiene una presunzione assoluta di strumentalità parziale che riguarda, in buona sostanza, i telefoni cellulari, prevedendo che qualunque spesa ad essi riconducibile sia da considerare fiscalmente rilevante solo al 50%. È concessa una deroga, che riporta la deducibilità al 100%, nel caso di impianti utilizzati su veicoli adibiti al trasporto merci da parte di imprese di autotrasporto, e limitatamente a un solo impianto per ciascun veicolo. Questa norma trova un omologo nel comma 2 dell’articolo 64 nel quale, peraltro, la presunzione è sostanzialmente relativa, e coinvolge qualunque bene, mobile o immobile, che l’imprenditore individuale utilizza promiscuamente, vale a dire in parte per l’attività d’impresa e in parte nella sfera privata. La regola, anche in questo caso, è quella della deducibilità dei costi limitata al 50%. Con particolare riferimento all’ammortamento dei beni in questione, occorre distinguere tra beni immobili e beni mobili: per gli immobili utilizzati promiscuamente è deducibile una somma pari al 50% della rendita catastale o del canone di locazione per i beni mobili ad uso promiscuo, le quote di ammortamento e tutte le spese ad essi relativi sono generalmente deducibili al 50% 2° caso particolare - beni in leasing Un discorso a parte meritano i beni strumentali acquisiti in locazione finanziaria (c.d. leasing finanziario), in quanto il loro trattamento fiscale è differente a seconda che si consideri l’impresa utilizzatrice ovvero l’impresa concedente. Impresa utilizzatrice Ai fini contabili i beni strumentali presi in leasing possono essere rilevati secondo due criteri: - in base al criterio patrimoniale: consente l'iscrizione nell'attivo dello stato patrimoniale solamente quando, alla scadenza del contratto, l'impresa decide di riscattare il bene. Fino ad allora si rilevano i canoni di locazione maturati nel corso dell'esercizio, poiché il bene non è di proprietà dell'impresa utilizzatrice; - in base al criterio finanziario: assimila il leasing all'acquisto vero e proprio e di conseguenza prevede l’iscrizione immediata nell'attivo patrimoniale del bene e l’imputazione nel conto economico del relativo ammortamento del costo pluriennale Ai fini fiscali, tuttavia, indipendentemente dal criterio di contabilizzazione adottato, prima dell'eventuale riscatto del bene (cioè lungo tutta la durata del contratto di leasing), sono deducibili esclusivamente i canoni purché siano rispettate contemporaneamente le seguenti condizioni: 1) oggetto del contratto: il bene ottenuto in leasing deve essere un bene strumentale ammortizzabile 2) durata del contratto: occorre distinguere a seconda che si tratti di beni mobili o immobili: - beni mobili, il contratto di leasing deve avere una durata non inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente ordinano, stabilito con decreto in relazione all'attività esercitata dall'impresa (senza considerare che per il primo esercizio di ammortamento il coefficiente e ridotto alla metà). Ad esempio, se il coefficiente di ammortamento è del 20%, la durata deve essere non inferiore a 30 mesi (ovvero 2,5 anni, corrispondente alla metà di 5 anni che è il periodo di ammortamento corrispondente a un coefficiente del 20%). Per le autovetture il cui coefficiente di ammortamento è del 25%, la durata del contratto deve essere non inferiore a 24 mesi; - beni immobili: occorre distinguere a seconda della data di stipula del contratto: per i contratti stipulati fino a13 dicembre 2005, la deducibilità è ammessa solo se la durata prevista in contratto non è inferiore a 8 anni; Pagina 74 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 per i contratti stipulati dal 4 dicembre 2005, il contratto di leasing deve avere una durata non inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente ordinario, stabilito con decreto in relazione all'attività esercitata dall'impresa (senza considerare che per il primo esercizio di ammortamento il coefficiente è ridotto alla metà) e comunque con un minimo di 8 anni e un massimo di 15 anni. Il termine di 15 anni rappresenta quindi la durata massima che può assumere il limite minimo corrispondente al periodo di ammortamento. AI momento del riscatto, invece, il valore di riscatto deve essere fiscalmente ammortizzato sulla base dei coefficienti stabiliti dal ministero. Trattandosi di bene usato, l'ammortamento anticipato può essere effettuato solo nell'esercizio in cui il bene è stato riscattato. Se il riscatto del bene non supera i 516,46 euro, l’impresa può dedurre l'intero valore di riscatto nell'esercizio di effettuazione dello stesso. La condizione della durata minima del contratto prevista per i beni mobili si applica anche nel caso di leasing di beni immateriali ammortizzabili, quali ad esempio i marchi d'impresa (per i quali. pertanto, il contratto deve avere una durata di almeno 5 anni, visto che il periodo di ammortamento è di 10 anni) (Ris. Min, 25 febbraio 2005 n.27/E). Nel caso di diritti di utilizzazione di opere dell'ingegno, di brevetti industriali ecc, (ammortizzabili in 3 anni) la durata del contratto di leasing deve essere di almeno 18 mesi La cessione anticipata del contratto di leasing determina, per il cedente, l'insorgere di una sopravvenienza attiva, anche in assenza di un corrispettivo. Per il subentrante, invece, il costo di acquisto del contratto subisce un trattamento diverso a seconda che l'operazione sia rivolta al godimento pluriennale del bene o, al contrario, sia rivolta all'acquisto potenziale del bene. Nel caso di operazione rivolta al godimento pluriennale, che generalmente si verifica quando il subentro avviene all'inizio del contratto, il costo si deduce nei limiti della quota imputabile a ciascun esercizio secondo i criteri civilistici, cioè per quote rapportate alla durata residua del contratto. Nel caso, infine, di operazione volta all'acquisto potenziale, che generalmente si verifica quando il subentro avviene in prossimità del riscatto del bene, il costo viene sospeso e, unitamente al prezzo di riscatto, verrà ammortizzato secondo le regole ordinarie. Impresa cedente Anche in tale ipotesi occorre distinguere a seconda che, contabilmente, l’impresa utilizzi il criterio patrimoniale piuttosto che quello finanziario. Nel primo caso (i.e. criterio patrimoniale) l’impresa concedente iscrive il bene ceduto in leasing nell’attivo del proprio bilancio e procede al suo ammortamento a partire dall’esercizio in cui lo consegna. Tale comportamento rispecchia anche la disciplina fiscale. Nel secondo caso (i.e. metodo finanziario) l’impresa concedente iscrive nel proprio stato patrimoniale il credito per l’operazione di leasing e a conto economico i relativi interessi attivi, mentre il canone di locazione, per la parte imputabile alla restituzione del capitale, va a riduzione del credito. Da un punto di vista fiscale sono tassati esclusivamente gli interessi attivi imputati nel conto economico. Dismissione di beni non completamente ammortizzati Il comma 5 dell’articolo 102 riprende il caso dell’eliminazione di beni dal processo produttivo, ipotizzando la loro dismissione. Con tale termine si indicano diverse situazioni, tra le quali la cessione gratuita del bene, la demolizione volontaria etc. La norma ammette la deducibilità del Pagina 75 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 valore residuo, dato dalla differenza tra valore iscritto in bilancio e ammortamenti effettivamente operati fino al momento dell’eliminazione, e ciò nell’esercizio in cui avviene l’eliminazione stessa. Qualora la dismissione implichi una cessione a titolo oneroso, si rientra nel caso della rilevazione di plusvalenze o minusvalenze, a seconda del fatto che: - valore di realizzo > valore netto contabile = plusvalenza - valore di realizzo < valore netto contabile = minusvalenza 10.7.1.2. Ammortamento dei beni immateriali Con riferimento ai beni immateriali, l’ammortamento è determinato in funzione della tipologia del bene: non si applica la disciplina dell’ammortamento anticipato né di quello accelerato e decorre dall’acquisto del diritto, indipendentemente dall’utilizzazione. Il costo ammortizzabile dei beni immateriali è comprensivo degli oneri accessori e degli interessi passivi secondo le disposizioni che regolano anche i beni materiali. Nei beni immateriali si comprendono: - Diritti di utilizzazione della proprietà industriale Ricomprendono diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, brevetti industriali, processi, formule e informazioni relative ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico (incluso anche il Know-how). Nel caso in cui tali costi siano stati sostenuti per l’acquisto dei suddetti beni immateriali sono deducibili in quote, non necessariamente costanti, non superiori ad 1/3 del costo per ogni esercizio. Nel caso in cui tali beni siano prodotti internamente, essi rappresentano “spese di ricerca” fino al totale completamento del bene stesso, e sono soggette ad ammortamento a partire dall’esito della ricerca stessa. Ricomprendono altresì i marchi di impresa, il cui costo è deducibile in quote non superiori a 1/10 dello stesso per ogni esercizio. - Diritti di concessione Ricomprendono i diritti di concessione per l’occupazione del suolo pubblico, per la derivazione delle acque pubbliche, per il corrispettivo pagato dall’affiliato nel contratto di franchising. Tali costi, iscritti nell’attivo di bilancio, sono deducibili in quote costanti in ragione della durata dell’utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge. - Software Pagina 76 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Se il software è stato prodotto ovvero ne è stata acquistata la proprietà, esso rientra nei diritti di utilizzazione della proprietà industriale, di cui sopra, ed è soggetto alle regole relative. Se, invece, è stata acquistata la concessione in uso per lo sfruttamento commerciale del software, esso è qualificato come diritto di concessione e la sua deduzione viene effettuata in quote costanti come prescritto per i diritti di concessione di cui al paragrafo precedente). Se, infine, il software è stato acquistato per farne uso diretto, senza possibilità di sfruttarlo commercialmente, si deve, a sua volta distinguere come segue: - software di sistema: si considera facente parte del bene su cui è utilizzato e senza il quale non potrebbe essere usato. Si procede al suo ammortamento secondo le modalità di ammortamento proprie del bene cui inerisce; - software applicativo: ha utilità pluriennale e la sua deduzione va effettuata in base alle quote imputabili ai singoli esercizi. - Avviamento Ai sensi dell’articolo 103, comma 3 del TUIR, l’avviamento iscritto in bilancio secondo i corretti principi contabili è deducibile, in quote costanti, in misura non superiore ad 1/18. La nuova misura, introdotta con la finanziaria 2006, rappresenta il periodo minimo della durata dell’ammortamento e si applica anche alle residue quote di ammortamento del valore di avviamento iscritto in periodi d’imposta precedenti. 10.7.1.3. Beni inferiori a 516.46 Euro Per tali beni, indipendentemente dal fatto che il loro utilizzo avvenga in più esercizi o meno, il contribuente può, in alternativa, decidere di dedurre il costo di acquisto interamente nell’esercizio di sostenimento (articolo 102, comma 5 del D.P.R. n.917/1986) 10.7.2. Ammortamento finanziario L’ammortamento finanziario è una particolare procedura con cui le imprese concessionarie di beni gratuitamente devolvibili (i.e. autostrade, linee ferroviarie), allo scadere della concessione, possono dedursi una quota di costo pari al costo complessivo del bene diviso per il numero di anni di durata della concessione, considerando anche le frazioni. Questo processo fa si che, al momento della devoluzione del bene, questo sia completamente ammortizzato. E’ opportuno ricordare che, in caso di variazioni della durata della concessione ovvero del valore dei beni, la quota di ammortamento finanziaria aumenta o diminuisce. Per le concessioni relative alla costruzione ed all’esercizio di opere pubbliche, le singole quote di ammortamento finanziario sono differenziate e calcolate sull’investimento complessivo realizzato; in particolare, sono determinate con decreto, in relazione al piano economico della concessione. In tale fattispecie, nel costo ammortizzabile vanno inclusi anche gli interessi passivi. 10.8. Accantonamenti Pagina 77 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Con gli accantonamenti l’imprenditore anticipa all’esercizio in corso una quota di costi che avranno la loro manifestazione numeraria in un esercizio futuro. Si pensi all'accantonamento al fondo T.F.R. del lavoratore dipendente: esso rappresenta la provvista per un debito che sarà pagato dall'imprenditore solo nel momento di cessazione del rapporto di lavoro del dipendente. Contabilmente, gli accantonamenti costituiscono componenti negativi del conto economico che, se riferiti a voci dell'attivo, trovano contropartita finanziaria nella loro riduzione. Ai sensi del disposto dell’articolo 107, comma 4 del D.P.R. n.917/1986, dal momento che si tratta di deduzioni di costi in via anticipata rispetto alloro effettivo sostenimento, non sono ammesse deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalla legge: appare icto oculi che gli accantonamenti operati in sintonia con le disposizioni civilistiche (esempio: l'accantonamento al fondo manutenzione per fronteggiare manutenzioni non ricorrenti) e non previsti dalle disposizioni tributarie sono fiscalmente indeducibili e vanno recuperati con variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi. Gli accantonamenti previsti dall’ordinamento tributario e, pertanto, deducibili sono: - l'accantonamento di quiescenza e previdenza - l'accantonamento e le svalutazioni per rischi su crediti - l'accantonamento a fronte di maggiori imposte accertate - l'accantonamento per oneri derivanti da operazioni e concorsi a premi - l'accantonamento per spese di sostituzione e ripristino di beni gratuitamente devolvibili - l'accantonamento per lavori ciclici di manutenzione A far data dal 2004 non è più previsto l'accantonamento per rischi di cambio. 10.9.1. Accantonamenti di quiescenza e previdenza Riguardano sia quelli relativi al personale dipendente, sia quelli relativi alle indennità di cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di agenzia e di attività sportive. 10.8.1.1. Accantonamenti relativi al lavoro dipendente (art. 105 c. 1, 2. 3 DPR 917/86) Gli accantonamenti al fondo T.F.R. e al fondo previdenza del personale dipendente sono deducibili nel rispetto di particolari condizioni: nei limiti delle quote maturate nell'esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei singoli dipendenti solo se costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti e sempreché rispecchino i requisiti di cui all'art. 2117 c.c. (c.d. fondi interni aventi il divieto di distrazione dal fine previdenziale/assistenziale e il divieto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore). In caso contrario non sono deducibili, ma resta ferma la deducibilità delle somme erogate a titolo di prestazione. A tal fine, è necessario che nel libro paga o nel libro matricola (o, eventualmente, in analoghi documenti contabili sostitutivi) siano iscritti gli accantonamenti imputabili a ciascun lavoratore dipendente (Circ. Min. 20 marzo 2001 n. 29/E). Tali quote sono deducibili anche se versate, in tutto o in parte, a fondi pensione complementari. Inoltre, è deducibile un importo non superiore al 3% delle quote di accantonamento annuale del TFR destinate a fondi pensione. È, tuttavia, possibile dedurre maggiori accantonamenti effettuati al fine di adeguare i fondi a Pagina 78 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 sopravvenute modifiche normative e retributive: tali costi sono deducibili nell'esercizio nel quale ha effetto la modifica – ossia nell’esercizio in cui il nuovo contratto è stato sottoscritto e non quello da cui decorrono gli effetti del rinnovo - oppure in quote costanti in tre esercizi (quello nel corso del quale ha effetto la modifica e nei due successivi). Ai sensi dell’articolo 105 comma 4 del D.P.R. n.917186, sono deducibili, con le stesse modalità previste per il TFR di cui sopra, i seguenti accantonamenti per indennità di cessazione: dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, se previste da atto scritto con data certa anteriore a quella di inizio del rapporto. dei rapporti di agenzia (trattasi, in particolare, delle seguenti indennità previste dall'articolo 1751 c.c. e dall'accordo economico collettivo per la disciplina del rapporto di agenzia: indennità di risoluzione del rapporto, indennità suppletiva di clientela e indennità meritocratica. La determinazione degli accantonamenti deve essere effettuata ipotizzando che la cessazione di tutti i rapporti avverrà per causa non imputabile all'agente, considerando quindi tutte le predette indennità. Non rileva la circostanza che talune indennità abbiano natura aleatoria, cioè in alcuni casi non siano dovute: infatti nella suddetta circostanza (es. cessazione per causa imputabile all'agente), l'indennità non dovuta e il relativo importo, precedentemente accantonato e dedotto, è tassato come sopravvenienza attiva (Ris. Min. 9 aprile 2004 n. 59/E). Eventuali accantonamenti non dedotti in precedenti esercizi potranno essere dedotti solo quando le relative somme saranno corrisposte all'agente; di attività sportIva, a favore di sportivi professionisti. 10.8.1.2. Accantonamenti per rischi su crediti I principi di redazione del bilancio prevedono che i crediti siano iscritti in bilancio al valore di presumibile realizzo determinando, così, la facoltà, per l’imprenditore di svalutarli ogni volta che il loro valore nominale risulta superiore a quello di effettiva esigibilità. La norma fiscale considera deducibili tali svalutazioni e accantonamenti, purché imputati in bilancio e sempre nel rispetto dei seguenti limiti: LIMITI QUALITATIVI (articolo 106, comma 1 del D.P.R. n.917/86) Per la determinazione della quota da accantonare a fronte dei rischi su crediti devono considerarsi solamente i crediti: commerciali: tale squisito deve essere verificato caso per caso facendo riferimento all'attività di ogni singola impresa non assicurati iscritti in bilancio da cui derivano ricavi di esercizio. Sono esclusi dal calcolo della quota deducibile: i crediti che nascono da cessioni di beni che non danno origine a ricavi (es. beni strumentali, crediti nei confronti di fornitori o di dipendenti); i crediti coperti da garanzia assicurativa, nei limiti di questa; infatti, la prestazione di una fideiussione non costituisce, per il prestatore, un credito nei confronti dei beneficiari ma solo una garanzia (Ris. Min. 23 marzo 1979 n. 9/414); i crediti commerciali iscritti nei conti d'ordine in quanto ceduti dall'impresa a vario titolo (i.e. crediti oggetto di sconto o ceduti in factoring) LIMITI QUANTITATIVI (articolo 106, comma 1 e 2 del D.P.R. n.917/86) La legge consente la deducibilità, in ciascun esercizio, di un importo per svalutazione ed Pagina 79 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 accantonamento non superiore allo 0,50% del valore nominale o di acquisizione dei crediti sopra indicati, cioè di un valore non influenzato dai precedenti accantonamenti e/o svalutazioni. Ai fini del limite bisogna considerare congiuntamente l'importo della svalutazione e quello dell'accantonamento ad apposito fondo di copertura di rischi su crediti effettuato in conformità alla legge L'eventuale maggior accantonamento rispetto a quello imputabile in bilancio può essere dedotto utilizzando il quadro EC della dichiarazione dei redditi. La deduzione non è più consentita quando l'ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti abbia raggiunto il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti commerciali risultanti in bilancio alla fine dell'esercizio. Se, per il diminuire dei crediti nel corso dell'esercizio, le svalutazioni operate e il fondo già accantonato risultano superiori al 5% dei crediti a fine esercizio, l'eccedenza concorre a formare il reddito dell'esercizio stesso come sopravvenienza attiva. L'utilizzo del fondo rischi per svalutare dei crediti - anziché per coprire una perdita su crediti effettiva costituisce una sopravvenienza attiva tassabile. Gli interessi di mora rilevano fiscalmente nell'esercizio in cui vengono percepiti/corrisposti secondo il principio di cassa, di conseguenza non è ammessa alcuna svalutazione o alcun accantonamento in merito agli stessi. 10.8.1.3. Altri accantonamenti Nella voce altri accantonamenti a rischi e crediti sono, in genere, ricomprese le seguenti voci: - accantonamenti per maggiori imposte accertate; - accantonamenti per operazioni e concorsi a premio; - accantonamenti per opere pubbliche gratuitamente devolvibili; - accantonamenti per manutenzione e revisione di navi ed aeromobili. Si fornisce di seguito un’analisi della disciplina degli stessi. 10.8.1.3.1. Accantonamenti per maggiori imposte accertate (art. 99 c. 2 DPR 917/86) È possibile dedurre gli accantonamenti effettuati a fronte di maggiori imposte accertate e non ancora definite, relativamente alle imposte deducibili per un importo pari a quello esposto in dichiarazione, a quello accertato ovvero a quello stabilito dai provvedimenti degli uffici e dalle decisioni delle Commissioni tributarie. L'eventuale maggior accantonamento fiscale rispetto a quello imputabile in bilancio può essere dedotto utilizzando il quadro EC della dichiarazione dei redditi. Non sono, invece, deducibili gli accantonamenti a fronte di sanzioni amministrative. 10.8.1.3.2. Accantonamenti per operazioni e concorsi a premio (art. 107 c. 3 DPR 917/86) Gli accantonamenti per operazioni a premio sono deducibili in misura percentuale pari all'ammontare degli impegni assunti nell'esercizio, a condizione che gli oneri siano distinti per esercizio di formazione e, se non imputati in bilancio, siano indicati nel quadro EC della dichiarazione dei redditi. Da un punto di vista quantitativo, la deducibilità è ammessa nei seguenti limiti: - per le operazioni a premio al 30%, - per i concorsi a premio al 70%. Successivamente gli oneri relativi ai singoli esercizi devono essere confrontati con i corrispondenti accantonamenti sulla base del valore unitario di formazione degli stessi e le eventuali differenze emergenti costituiscono sopravvenienze attive (tassabili) o passive (deducibili). L’ammontare degli accantonamenti non utilizzato al termine del terzo esercizio successivo a Pagina 80 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 quello di formazione, concorre alla determinazione del reddito dell'esercizio stesso. Se, tuttavia, l’operazione o il concorso a premio hanno una scadenza inferiore a 3 anni, l'ammontare dell'accantonamento non utilizzato concorre alla determinazione del reddito dell'esercizio in cui si verifica tale scadenza. 10.8.1.3.3. Accantonamenti per opere pubbliche gratuitamente devolvibili (art.107 C. 2 DPR 917/86) Le imprese concessionarie (e le loro subconcessionarie) della costruzione e dell'esercizio di opere pubbliche, successivamente gratuitamente devolute allo Stato, possono dedurre, a titolo di spese di ripristino o di sostituzione e di spese di manutenzione, riparazione, trasformazione ed ammodernamento dei beni gratuitamente devolvibili un ammontare pari, in ciascun esercizio, al 5% del costo del singolo bene. Tale importo, se non imputato in bilancio, deve essere indicato nel quadro EC della dichiarazione dei redditi, nel quale devono essere evidenziati i valori civili e fiscali del fondo. 10.8.1.3.4. Accantonamenti per manutenzione e revisione di navi ed aeromobili (art. 107, 1 DPR 917/86) È deducibile l'accantonamento per lavori clinici di manutenzione e revisione delle navi e degli aeromobili nella misura del 5% del costo di ciascuna nave o aeromobile, quale risulta, all'inizio dell'esercizio, dal registro dei beni ammortizzabili o dai registri sostitutivi. L'eventuale maggior accantonamento fiscale rispetto a quello imputabile in bilancio può essere dedotto utilizzando il quadro EC della dichiarazione dei redditi, mentre la differenza tra quanto effettivamente speso e quanto complessivamente accantonato concorre alla formazione del reddito nell'esercizio in cui ha termine il ciclo (sia come componente positiva sia come componente negativa). 10.9. Spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione La possibilità di incorporare nel valore del bene i costi sostenuti per lavori eseguiti sullo stesso, è ammessa solo qualora da essi derivi un concreto aumento di utilità del bene (estensione della vita utile, incremento della potenzialità produttiva…). In proposito il Principio Contabile 16 è particolarmente rigido, affermando che la capitalizzazione delle spese per migliorie, modifiche, ristrutturazioni, rinnovamenti è ammessa a condizione che da esse derivi un incremento significativo e misurabile della capacità produttiva, della sicurezza o della vita utile del bene su cui è avvenuto l’intervento. Se invece i lavori hanno la sola funzione di mantenere all’originario livello la funzionalità del cespite, cade il supporto logico alla capitalizzazione dei costi sostenuti. Secondo tale impostazione, quindi, solo le spese di ammodernamento e trasformazione potrebbero dar luogo a incrementi di valore, mentre le spese di manutenzione e riparazione riguarderebbero interventi volti a mantenere costante o ripristinare l’originaria funzionalità del bene (ciò vale, oltre che per quelle ordinarie, anche per le manutenzioni straordinarie, dato che la straordinarietà si riferisce solo alla periodicità dei lavori e non alla natura dell’intervento4). La norma prevede che: - le spese in oggetto, se non sono state portate in aumento del valore del cespite, sono deducibili in ciascun esercizio per un importo non superiore al limite forfetario del 5% del costo complessivo dei beni materiali ammortizzabili, risultanti dall’apposito registro all’inizio dell’esercizio; - per le imprese di nuova costituzione, e limitatamente al primo esercizio, il calcolo si effettua sul costo complessivo risultante dal registro al termine dell’esercizio; Pagina 81 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - se un bene viene ceduto nel corso dell’esercizio, la deduzione potrà essere effettuata in misura proporzionale alla durata del possesso, con riferimento, per il cessionario, al costo di acquisizione; - qualora i costi effettivamente sostenuti nel periodo eccedessero la misura massima indicata in precedenza, la parte eccedente potrà essere dedotta in quote costanti nei 5 esercizi successivi. In definitiva, se le spese di competenza sono 1.000 ma la quota deducibile, determinata in funzione del plafond del 5%, è 500, l’eccedenza di 500 sarà deducibile in quote costanti di 100 in ciascuno dei cinque periodi d’imposta successivi a quello di competenza. Questa variazione temporanea tra risultato civilistico e reddito d’impresa genera imposte anticipate. 10.10. Spese pluriennali Le spese pluriennali (i.e. spese per studi e ricerche, spese di pubblicità e spese di rappresentanza) sono spese che hanno una utilità pluriennale, che interessa cioè esercizi successivi a quello in cui sono state sostenute. A differenza dei beni materiali ed immateriali non si riferiscono ad alcun bene o diritto che abbia un suo proprio valore di mercato per cui la loro rappresentazione in bilancio è quella di costi che si riferiscono a più esercizi. Per le imprese di nuova costituzione la deduzione delle spese pluriennali è ammessa a partire dall’esercizio in cui sono conseguiti i primi ricavi ovvero i primi corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o scambio è diretta l’attività di impresa (articolo 108, comma 4 del TUIR) Spese per studi e ricerche Ricomprendono le spese per studi e ricerche finalizzate ad apportare migliorie ai prodotti o all’organizzazione aziendale nonché le spese per l’aggiornamento professionale dell’imprenditore e dei suoi dipendenti. Tali spese possono essere dedotte interamente nell’esercizio in cui sono state sostenute ovvero, in quote costanti, nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto. La descrizione presa dal contribuente nel primo esercizio è vincolante anche per i successivi. Come accennato nei paragrafi precedenti, con riferimento alle immobilizzazioni immateriali, se, a seguito di ricerche e studi, si ottiene un bene immateriale, la spesa per la ricerca non ancora dedotta dal reddito concorre a formare il costo del bene immateriale e verrà ammortizzata con le relative regole. Spese di pubblicità e rappresentanza Nell’ambito della determinazione del reddito di impresa, uno degli aspetti di maggiore controversia, anche dottrinaria, riguarda la esatta classificazione di alcune spese tra cui, appunto, quelle di pubblicità e di rappresentanza: tra i criteri da seguire per poter distinguere tra spese di pubblicità e spese di rappresentanza, si rileva sempre meno efficace quello incentrato sul collegamento diretto tra pubblicità del prodotto e ricavo, dal momento che, come visto, il prodotto ha cessato di essere l'unico obiettivo della pubblicità stessa, per cedere il posto ad altre strategie commerciali legate all'immagine "sociale" di un'azienda. Un criterio valido è quello in base al quale, sono da considerare di pubblicità le spese che prevedono a carico dell'altra parte impegni a fare o permettere oppure obbligazioni derivanti da accordi contrattuali; d'altro canto sono individuabili come di rappresentanza quelle spese caratterizzate dalla "gratuità", ovvero dalla mancanza di corrispettivo da parte dei destinatari di Pagina 82 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 una determinata prestazione, dovendosi contrastare possibili abusi nell'utilizzo di oneri talora privi di un sicuro collegamento con l'attività d'impresa. Tra di esse, per espressa previsione normativa, rientrano i contributi erogati per l'organizzazione di convegni e simili. Tutto ciò premesso, ai sensi del disposto 108, comma 2 del TUIR, le spese di pubblicità sono totalmente deducibili ed il contribuente ha facoltà di scegliere tra: deduzione totale nell’esercizio di sostenimento del costo; ripartizione in 5 esercizi, in quote costanti (i.e. 20% della spesa per ogni esercizio considerato) Ai sensi del citato articolo 108, comma 2 del TUIR, le spese di rappresentanza sono deducibili solo per 1/3 del loro ammontare e, questo 1/3, deve essere ripartito in 5 esercizi in quote costanti. Per un’analisi più approfondita delle spese di rappresentanza e pubblicità si rinvia all’allegato 1. 10.11. La deducibilità dei costi sostenuti con soggetti esteri La previsione contenuta nell’articolo 110 del TUIR e, segnatamente, nei commi 10 ed 11 disciplina: - l’indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali considerati privilegiati. Ai fini della individuazione dei predetti Stati la norma rinvia ad un apposito decreto che elenca Stati o territori in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri criteri equivalenti. Ai fini dell’applicazione della norma in questione si fa riferimento al Decreto del 23 gennaio 2002 dal quale devono essere eliminati gli Stati di Malta e Cipro in virtù del loro ingresso nell’Unione Europea così come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 96 del 30 luglio 2004; - la possibilità di disapplicare la disposizione di cui al comma 10 nell’ipotesi in cui l’impresa residente in Italia fornisca la prova che le imprese estere svolgono prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse abbiano avuto concreta esecuzione. All’amministrazione finanziaria interessa, in altre parole, evitare che i corrispettivi siano manovrati ovvero che vi sia un’attribuzione di redditi imponibili a società, del gruppo o meno, situate in stati a bassa fiscalità: per queste motivazioni, prima di procedere alla notifica di un avviso di accertamento, l’amministrazione finanziaria ha l’onere di richiedere al contribuente le prove prima richiamate fornendo la documentazione utile per evitare l’applicazione delle CFC (i.e. atto costitutivo, statuto, fatture delle utenze elettriche, contratti di lavoro dei dipendenti…). Il contribuente deve fornire le proprie indicazioni entro 90 giorni dalla richiesta e, laddove le prove non siano fornite, l’amministrazione dovrà farne specifico riferimento nell’avviso di accertamento. In ogni caso, la deduzione delle spese e dei componenti negativi è comunque subordinata alla separata indicazione in sede di dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari dedotti. L’effettivo interesse economico - che permetterebbe al contribuente di giustificare i costi in oggetto – sussiste in presenza di una valida giustificazione economica connessa, in modo particolare, con l’entità del prezzo praticato, la qualità dei prodotti forniti e la tempistica e puntualità della consegna in rapporto a quanto offerto da analoghi fornitori nazionali. Pagina 83 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Ai fini dell’applicazione di tale disposizione, il contribuente può comunque inoltrare una preventiva istanza di interpello secondo le modalità di cui all’articolo 21 della legge 413 del 1991. Come è evidente, dunque, è questa una norma il cui ambito di applicazione è potenzialmente molto ampio (il rinvio è alle spese ed ai componenti negativi di qualunque tipo) e comporta una serie di oneri, ulteriori rispetto a quelli sopra specificati, per il contribuente tra i quali l’indicazione in dichiarazione dei redditi a pena di indeducibilità del costo medesimo. Per un’analisi più approfondita si rinvia all’allegato 2. Pagina 84 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.11. La thin capitalization ed il pro-rata patrimoniale (a cura di Fabio Colombo) Sono tre le norme che si occupano di indeducibilità degli interessi passivi: - Art. 96, commi 1 e 2 del Tuir: trattasi del pro-rata generale di deducibilità degli interessi passivi, originariamente disciplinato nell’art. 63 del vecchio Tuir, con cui si individua la percentuale di deducibilità sulla base del seguente rapporto: ricavi e proventi che concorrono a formare il reddito tutti i ricavi e proventi, sia che concorrano sia che non concorrono a formare il reddito - - Art. 96, comma 3 del Tuir: stabilisce che se nell'anno sono stati conseguiti interessi o altri proventi esenti da imposta derivanti da obbligazioni pubbliche o private sottoscritte, acquistate o ricevute in usufrutto o pegno a decorrere dal 28 novembre 1984, gli interessi passivi non sono ammessi in deduzione fino a concorrenza dell'ammontare complessivo degli interessi o proventi esenti. L’eccedenza di interessi passivi è deducibile in base al pro-rata generale di cui al punto precedente senza tenere conto, tuttavia, nel rapporto, dell'ammontare degli interessi e proventi esenti corrispondente a quello degli interessi passivi non ammessi in deduzione. Art. 97 del Tuir: trattasi del pro-rata patrimoniale di indeducibilità degli interessi passivi. Si applica se il valore di libro delle partecipazioni PEX detenute dall’impresa alla fine del periodo d’imposta è maggiore del patrimonio netto contabile dell’impresa stessa. Art. 98 del Tuir: disciplina la Thin Capitalization, ossia l’indeducibilità degli interessi passivi concernenti finanziamenti erogati o anche solo garantiti da soci qualificati e da loro parti correlate laddove essi superano di 4 volte il patrimonio netto della società (5 volte per il primo anno di applicazione della disposizione). Le disposizioni di cui sopra devono essere applicate secondo una specifica sequenza espressamente stabilita dal legislatore: prioritariamente trova applicazione la disciplina della Thin Cap (articolo 98 del Tuir), successivamente la disciplina del pro-rata (articolo 97 del Tuir) ed infine la disciplina degli interessi passivi di cui all’articolo 96 del Tuir. Pagina 85 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 11.1. Thin Capitalization: generalità e finalità della disciplina La Thin Capitalization è una novità fiscale introdotta a seguito delle modifiche apportate al Testo Unico delle Imposte sui Redditi dal D.Lgs.n.344 del 12 dicembre 2003 in vigore a partire dal 1 gennaio 2004. La disciplina oggetto del presente capitolo è contenuta nell’articolo 98 del TUIR. La disciplina in oggetto stabilisce l’indeducibilità della remunerazione degli interessi passivi relativi ai finanziamenti erogati o garantiti dal socio qualificato e dalle sue parti correlate per la parte eccedente prestabiliti limiti riferiti al patrimonio netto. La sottocapitalizzazione della società rispetto all’attività di impresa esercitata ed il contestuale finanziamento della stessa con apporto di capitale di credito da parte dei soci qualificati consente di trasformare dividendi in interessi passivi per la società partecipata e attivi per i soci qualificati. Il vantaggio fiscale ottenibile da tale trasformazione di flussi reddituali consiste: - per la società partecipata, nell'imposta che la stessa risparmia grazie alla deducibilità dal suo reddito d'impresa degli interessi passivi corrisposti ai soci, rispetto alla diretta corresponsione di dividendi fiscalmente indeducibili; - per i soci qualificati, nel minore o nullo ammontare dell'imposta che gli stessi assolvono sugli interessi attivi percepiti rispetto all'ammontare dell'imposta che avrebbero scontato sui dividendi. Ovviamente tale vantaggio fiscale sussiste solo in presenza di regimi impositivi internazionali differenti: infatti, fermo restando il risparmio d'imposta che, in ogni caso, consegue la società partecipata, al fine di minimizzare o azzerare il carico impositivo in capo ai soci qualificati, spesso si utilizzano strutture societarie residenti in Stati che, al fine di attrarre capitali in uno scenario di concorrenza fiscale internazionale, esentano da imposizione gli interessi attivi percepiti dalle società ivi residenti. In caso contrario, in assenza di un arbitraggio fiscale favorevole, non può attribuirsi alla capitalizzazione sottile alcuna rilevanza tributaria. Si pensi, a riguardo, al caso in cui il socio qualificato sia un soggetto residente nel territorio dello Stato di residenza della società partecipata e sia assoggettato al medesimo regime impositivo della società partecipata. In tale ipotesi, nonostante la società partecipata continui a conseguire il risparmio d'imposta derivante dalla deduzione dal suo reddito d'impresa degli interessi passivi, gli speculari interessi attivi concorreranno alla determinazione del reddito d'impresa del socio qualificato, generando - a parità di regime impositivo - uno speculare maggiore reddito d'impresa e, di conseguenza, uno speculare maggiore carico impositivo. Prima della riforma dell’ordinamento tributario operata dal citato D.Lgs.n.344 del 12 dicembre 2003, il fenomeno della sottocapitalizzazione veniva contrastato principalmente tramite l’IRAP e la DIT. A riguardo, si ricorda come la riforma operata dal ministro Visco nel 1997-1998 favorisse il ricorso alla capitalizzazione delle imprese, scoraggiando, al tempo stesso, il ricorso al capitale di debito con la dual income tax (DIT) e con l'IRAP: la prima consentiva l'applicazione dell'IRPEG ad aliquota ridotta solo allorché fosse investito capitale "fresco" nell'impresa; la seconda non ammetteva la deduzione degli interessi passivi dalla relativa base imponibile. A tal fine, mentre la DIT è stata definitivamente abrogata dall'articolo 3, comma 3 del D.Lgs.n.344 del 2003, l'IRAP è tuttora vigente. 11.1.1. Modalità di applicazione della Thin Capitalization Per l’applicazione della Thin Capitalization è necessario analizzare l’indebitamento della società sia dal punto di vista qualitativo che dal punto di vista quantitativo – con riguardo ai Pagina 86 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 finanziamenti erogati o garantiti dalla totalità dei soci qualificati, anche tramite loro parti correlate. Ambito soggettivo di applicazione La normativa anti-thin capitalization si applica alla remunerazione dei finanziamenti eccedenti, determinati secondo le modalità che si vedranno in seguito, direttamente o indirettamente erogati o garantiti da un socio qualificato o da una sua parte correlata. Il socio è qualificato quando: - direttamente o indirettamente controlla ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile il soggetto debitore, oppure - partecipa al capitale sociale dello stesso debitore con una percentuale pari o superiore al 25 per cento, alla determinazione della quale concorrono le partecipazioni detenute da sue parti correlate. Non si considerano soci qualificati i soggetti di cui all'articolo 74 del TUIR, cioè gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli a ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i comuni, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori del demanio collettivo, le comunità montane, le province e le regioni. Si considerano parti correlate al socio qualificato le società da questi controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile e, se persona fisica, anche i familiari di cui all'articolo 5, comma 5 del TUIR, cioè il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado. Tuttavia, sono esclusi dall'ambito di applicazione della normativa anti-thin capitalization: - i contribuenti il cui volume di ricavi non supera le soglie previste per l'applicazione degli studi di settore, e - i finanziamenti assunti nell'esercizio dell'attività bancaria o dell'attività svolta dai soggetti indicati nell'articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87. Infine, la normativa anti-thin capitalization si applica in ogni caso alle società-holding che esercitano in via esclusiva o prevalente l'attività di assunzione di partecipazioni. Ambito oggettivo di applicazione Con riferimento all'ambito oggettivo di applicazione della normativa anti-thin capitalization, l'attenzione dovrà concentrarsi sulla nozione di finanziamenti, direttamente o indirettamente, erogati o garantiti dal socio qualificato e da sue parti correlate. Per "finanziamenti" si intendono quelli derivanti da mutui, da depositi di denaro e da ogni altro rapporto di natura finanziaria. Per "garantiti" si intendono i debiti assistiti da garanzie reali, personali e di fatto fornite dal socio qualificato o da sue parti correlate anche mediante comportamenti e atti giuridici che, seppure non formalmente qualificandosi quali prestazioni di garanzia, ottengono lo stesso effetto economico. Modalità di calcolo La remunerazione dei finanziamenti eccedenti, direttamente o indirettamente, erogati o garantiti da un socio qualificato o da una sua parte correlata - computata al netto della quota di interessi indeducibili in applicazione dell'articolo 3, comma 115, legge n. 549 del 1995 - è indeducibile dal reddito imponibile qualora il rapporto tra la consistenza media durante il periodo d'imposta dei finanziamenti e la quota di patrimonio netto contabile di pertinenza del socio medesimo e delle sue parti correlate, aumentato degli apporti di capitale effettuati dallo stesso socio o da sue parti correlate in esecuzione dei contratti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b), del TUIR, sia superiore a quello di 4 a 1 (5 a 1 per il primo periodo d'imposta che inizia a decorrere dal 1° gennaio 2004, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera b), del D.Lgs.n. 344 del 2003). Pagina 87 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I due fondamentali termini del rapporto di 4 a 1 sono costituiti dalla "consistenza media dei finanziamenti, direttamente o indirettamente, erogati o garantiti dai soci qualificati e da loro parti correlate" e dalla "quota di patrimonio netto contabile di pertinenza del socio e delle sue parti correlate" (fatti salvi gli apporti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b), del TUIR). Tuttavia, nonostante tale rapporto possa superare quello di 4 a 1, la normativa anti-thin capitalization non si applica nel caso in cui: - l'ammontare complessivo dei finanziamenti non eccede quattro volte il patrimonio netto contabile (determinato con i criteri che si analizzeranno) - il contribuente debitore fornisce la dimostrazione che l'ammontare dei finanziamenti erogati o garantiti dai soci qualificati e da loro parti correlate è giustificato dalla propria esclusiva capacità di credito e che conseguentemente gli stessi sarebbero stati erogati anche da terzi indipendenti con la sola garanzia del patrimonio sociale. Ai fini del calcolo del predetto rapporto di 4 a 1, ai finanziamenti erogati o garantiti dal socio qualificato si aggiungono quelli erogati o garantiti da sue parti correlate. Circa la determinazione della "quota di patrimonio netto contabile di pertinenza del socio e delle sue parti correlate", occorre considerare il patrimonio netto contabile, così come risultante dal bilancio relativo all'esercizio precedente, comprensivo dell'utile dello stesso esercizio non distribuito, rettificato in diminuzione per tenere conto: - dei crediti risultanti nell'attivo patrimoniale relativi ad obblighi di conferimento ancora non eseguiti - del valore di libro delle azioni proprie in portafoglio - delle perdite subite nella misura in cui entro la data di approvazione del bilancio relativo al secondo esercizio successivo a quello cui le stesse si riferiscono non avvenga la ricostituzione del patrimonio netto mediante l'accantonamento di utili o l'esecuzione di conferimenti in danaro o in natura - del valore di libro, o se minore del relativo patrimonio netto contabile, delle partecipazioni in società controllate e collegate di cui all'articolo 73, comma 1, lettera a), e all'articolo 5, diverse da quelle relative a società che esercitino attività bancaria o attività svolta ai sensi dell'articolo 1 del Dlgs n. 87 del 1992. A sua volta, la "consistenza media dei finanziamenti, direttamente o indirettamente, erogati o garantiti dai soci qualificati e da loro parti correlate" si determina sommando il relativo ammontare complessivo esistente al termine di ogni giornata del periodo d'imposta e dividendo tale somma per il numero dei giorni del periodo stesso. Non concorrono alla determinazione della consistenza i finanziamenti infruttiferi erogati o garantiti dai soci qualificati o da loro parti correlate, a condizione che la remunerazione media non sia superiore al tasso ufficiale di riferimento maggiorato dell'1 per cento. La "remunerazione media" è il tasso derivante dal rapporto tra la remunerazione complessiva dei finanziamenti erogati o garantiti dai soci qualificati e da loro parti correlate maturata nel periodo d'imposta e la consistenza media degli stessi. Infine, la "remunerazione dei finanziamenti eccedenti" indeducibile dalla determinazione del reddito d'impresa è calcolata applicando ai finanziamenti eccedenti la remunerazione media. Si ricorda poi, che ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera e), seconda parte del TUIR, "è ricompresa tra gli utili la remunerazione dei finanziamenti eccedenti di cui all'articolo 98 direttamente erogati dal socio o dalle sue parti correlate, anche in sede di accertamento". Inoltre, in virtù dell'articolo 89, comma 2, secondo periodo, del TUIR, "la stessa esclusione [del 95 per cento dell'ammontare degli utili percepiti] si applica […] alla remunerazione dei finanziamenti eccedenti di cui all'articolo 98 direttamente erogati dal socio qualificato o dalle sue parti correlate, anche in sede di accertamento". Pagina 88 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Analisi qualitativa – finanziamenti rilevanti Ai fini della disciplina in oggetto, devono essere considerati solo i debiti connessi ad operazioni di natura finanziaria, mentre sono esclusi quelli finalizzati all’acquisto di beni o servizi (es. per forniture di merci, per risarcimenti di danni, per depositi cauzionali etc.). La nozione di parte correlata rilevante ai fini della “Thin capitalization” è più restrittiva rispetto a quella fornita dalla CONSOB che, riprendendo quanto previsto dallo IAS 24, include nella nozione di parti correlate anche coloro che hanno un rapporto di collegamento, che esercitano una “influenza notevole”, che aderiscono a patti parasociali, coloro ai quali sono attribuiti poteri e responsabilità in ordine all’esercizio delle funzioni di amministrazione, direzione e controllo nell’emittente e, da ultimo, le imprese che hanno in comune la maggioranza degli amministratori. Ai fini del calcolo dei parametri per l’applicazione della “Thin capitalization” rilevano anche i finanziamenti concessi o garantiti (dal socio o da una sua parte correlata) in un momento anteriore a quello in cui il socio ha assunto lo status di socio qualificato. Ciò non vale ai fini della determinazione della consistenza media dei finanziamenti laddove i finanziamenti concessi o garantiti dal socio qualificato, anche tramite parti correlate, concorrono per i giorni in cui il socio è qualificato. Esempio: Consistenza media dei finanziamenti = Fin x gg/365 (366); Finanziamento socio qualificato – saldo dall’1/1/04 al 31/5/04 = € 500 GG durata finanziamento = 152 gg Nuovo finanziamento 1/6/04 = € 20 Saldo complessivo = € 520 Durata saldo complessivo dall’1/6/04 al 31/12/04 = 214 gg GG periodo d’imposta = 366 gg Consistenza media = [(€ 500 x 152) + (€ 520 x 214)]/366 = € 512 A contrariis, nel caso di perdita della qualifica di socio qualificato i finanziamenti diventano irrilevanti a partire da tale momento. Analisi qualitativa – finanziamenti erogati In sede di applicazione della “Thin capitalization” rilevano i finanziamenti dei soci e delle parti correlate ovvero i rapporti giuridici in relazione ai quali vi sia un obbligo di restituzione del denaro e delle altre cose fungibili oggetto di finanziamento. In tal senso, non rilevano in alcun caso i versamenti soci a fondo perduto o in conto capitale (manca qualsiasi obbligo di restituzione per il debitore). Analisi qualitativa – finanziamenti erogati fruttiferi I finanziamenti fruttiferi non concorrono alla determinazione della consistenza media a condizione che la remunerazione media non sia superiore al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di un punto percentuale. Esempio: Finanziamenti infruttiferi 1.000 - Finanziamenti fruttiferi 1.500 a) TUS di riferimento: 2% Pagina 89 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 b) Tasso medio di riferimento: 4% c) 4%>(2%+1%) => nella determinazione della consistenza media dei finanziamenti va considerato anche l’importo dei finanziamenti infruttiferi (1.000) 11.1.2. Osservazioni e valutazioni di casi particolari 11.1.2.1. RENUNERAZIONE DEI FINANZIAMENTI ECCEDENTI – ASSIMILAZIONE AGLI UTILI DISTRIBUITI L’assimilazione agli utili è prevista esclusivamente per le remunerazioni dei finanziamenti eccedenti che sono direttamente erogati dal socio e dalle sue parti correlate e non anche per le remunerazioni dei finanziamenti eccedenti erogati indirettamente e per quelli semplicemente garantiti dal socio o dalle sue parti correlate, che continueranno ad essere trattati come interessi attivi (v. anche Circolare n. 26/E, del 16/6/04, par. 2.6). Posto che l’assimilazione della remunerazione indeducibile dei finanziamenti agli utili distribuiti comporta che la tassazione di questi ultimi avvenga “per cassa” e non “per competenza”, occorre che in sede di dichiarazione dei redditi venga effettuata una variazione in diminuzione nell’anno della maturazione del provento (che pertanto viene escluso dalla tassazione) che andrà ripreso nell’anno in cui gli interessi attivi vengono incassati con una variazione in aumento pari alla quota imponibile del relativo ammontare Qualora il finanziamento sia stato erogato da una parte correlata al socio qualificato (che non ha alcuna partecipazione al capitale sociale della società finanziata), per stabilire la ritenuta applicabile sui proventi riqualificati come utili si deve fare riferimento all’entità della partecipazione (qualificata o non qualificata) detenuta dal socio qualificato al quale detta “parte” risulta correlata (v. Circolare n. 26/E, par. 4.2). Qualora invece i finanziamenti siano stati erogati sia dal socio qualificato che da sue parti correlate, è necessario determinare la quota di utile (risultante dalla riclassificazione degli interessi attivi) di competenza del socio qualificato e della sua parte correlata, in proporzione ai rispettivi interessi maturati. L’assimilazione agli utili distribuiti delle remunerazioni indeducibili relative a finanziamenti direttamente erogati dal socio qualificato o da sue parti correlate comporta l’applicazione del regime di esonero dalla ritenuta sui dividendi distribuiti a soggetti non residenti da parte di soggetti residenti (v. regime “Madre-figlia” di cui all’art. 27-bis D.P.R. n. 600/73). 11.1.2.2. RAPPORTI CON ALTRE NORME SULLA INDEDUCIBILITA’ DEGLI INTERESSI PASSIVI La remunerazione dei finanziamenti eccedenti di cui all’art. 98, comma 1, Tuir deve essere computata: - al netto della quota di interessi indeducibili in applicazione dell’art. 3, comma 115, L. 28 dicembre 1995, n. 549 => nel caso in cui il tasso di rendimento effettivo sugli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e titoli similari sia superiore al doppio del tasso ufficiale di rendimento (v. art. 26, comma 3, D.P.R. n. 600/73) gli interessi passivi eccedenti l’importo derivante dall’applicazione di tale tasso sono indeducibili in sede di determinazione del reddito d’impresa – Indeducibilità oggettiva; - Idem con riferimento all’indeducibilità degli interessi passivi derivante dall’applicazione della normativa sul “transfer pricing”; - Legge Prodi (art. 7, D.L. 323/96) – il prelievo aggiuntivo del 20% deve essere applicato sui proventi derivanti dai depositi di denaro, di valori mobiliari e di altri titoli diversi dalle azioni e da titoli similari che persone fisiche residenti pongono a garanzia di finanziamenti erogati a imprese residenti. Ai fini della “Thin cap” l’AdE afferma che devono essere assoggettati a tale prelievo solo i proventi corrisposti a favore di soci qualificati e di loro Pagina 90 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - parti correlate, persone fisiche, a fronte di depositi di denaro, di valori mobiliari e di altri titoli diversi dalle azioni e da titoli similari posti dagli stessi a garanzia dei finanziamenti erogati all’impresa residente. Al riguardo, non è chiaro il motivo per cui la circolare circoscriva il prelievo in esame ai soli soci qualificati e relative parti correlate. Il prelievo Prodi non si riferisce affatto a tali soggetti ma più genericamente interessa tutte le persone fisiche residenti che garantiscono finanziamenti erogati a imprese residenti. Il prelievo riguarda i proventi maturati nei periodi d’imposta dell’impresa finanziata che iniziano a decorrere dal 1° gennaio 2004 e si applica esclusivamente alla quota di detti proventi che corrisponde al rapporto fra finanziamenti erogati o garantiti che risultano non eccedenti la soglia prevista e l’intero importo dei finanziamenti erogati o garantiti. Il sostituto d’imposta dovrà continuare ad applicare il prelievo del 20% sull’intero importo dei proventi corrisposti in relazione ai depositi a garanzia, in quanto all’atto dell’erogazione degli interessi non è possibile conoscere l’esatto importo cui assoggettare il prelievo. L’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 11/E, afferma che a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di effettuazione del prelievo, al percettore sia riconosciuto un credito d’imposta (utilizzabile in compensazione), che deve essere debitamente certificato dal soggetto che eroga i proventi… Problema: Ci si chiede sulla base di quale norma viene chiesto ai sostituti d’imposta di certificare la spettanza di un credito d’imposta ai propri clienti sulla scorta della dichiarazione dei redditi da questi presentata. Si ritiene che gli intermediari possano al massimo attestare l’ammontare della ritenuta applicata alla stregua di quanto avviene ad esempio per l’imposta sostitutiva di cui all’art. 6, D.Lgs. n. 461/97. La “Thin cap” si applica anche con riferimento agli interessi capitalizzati sostenuti per il finanziamento di determinati beni. In particolare: Gli interessi passivi - ricompresi nel costo dei beni materiali e immateriali strumentali per l’esercizio dell’impresa (fino al compimento della loro entrata in funzione e per la quota ad essi imputabile) – sostenuti per la loro fabbricazione interna o presso terzi, nonché gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro acquisizione, a condizione che gli stessi siano imputati nel bilancio ad incremento del costo stesso; Gli interessi passivi su prestiti contratti per la costruzione o ristrutturazione di immobili alla cui produzione è diretta l’attività dell’impresa, a condizione che gli stessi siano imputati nel bilancio ad incremento del costo stesso. 11..1.2.3. CAPACITA’ DI CREDITO – PROVA CONTRARIA L’istituto della “Thin capitalization” non si applica (e quindi vi è piena deducibilità degli interessi passivi) nel caso in cui la società dimostri che il finanziamento erogato o garantito dai soci o dalle sue parti correlate è giustificato dalla oggettiva capacità di ottenere credito con la sola garanzia del proprio patrimonio sociale e che lo stesso sarebbe comunque stato erogato anche da terzi finanziatori. Non è possibile disapplicare la “Thin capitalization” proponendo istanza di interpello ai sensi dell’art. 37-bis, comma 8, DPR n. 600/73. Requisito capacità di credito => patrimonio sociale congruo in relazione all’importo e alle caratteristiche del finanziamento ricevuto (vedi condizioni soggettive del contribuente) L’Agenzia delle Entrate precisa che il patrimonio sociale si differenzia dal mero valore contabile del PN in quanto ricomprende le attività, le passività e il PN dell’impresa, considerati al loro valore corrente, nonché le attività e le passività potenziali connesse agli impegni e ai rischi assunti. Pagina 91 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Occorre valutare l’effettiva capacità di credito insita nel patrimonio sociale, rilevando in proposito ogni elemento utile, idoneo a comprovare la sussistenza dei requisiti richiesti per l’esimente Non sono idonee a certificare la capacità di credito del soggetto finanziato: - Le certificazioni rilasciate dalle banche; - Le perizie contabili rese da professionisti; - Si ritiene che tale capacità esista laddove il finanziamento venga raccolto tramite: l’emissione di un prestito obbligazionario, tenuto conto delle garanzie previste dal codice civile per l’emissione di tali titoli (v. limite all’emissione pari al doppio della somma del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato; divieto di distribuire riserve o ridurre il capitale sociale fino a che la loro somma non superi l’ammontare delle obbligazioni ancora in circolazione etc..). Altra ragione ovvia di tale previsione nasce dalla considerazione che le obbligazioni sono titoli al portatore per i quali sarebbe stato alquanto difficoltoso associare al relativo possessore la qualifica di socio o parte correlata; il rilascio in pegno da parte dei soci delle azioni della stessa società (garanzia data dalla valutazione del corrispettivo che si otterrebbe con la vendita delle azioni stesse) 11.2. Il pro-rata patrimoniale Con l’articolo 97 del Tuir, in attuazione dell’articolo 4 della legge delega n. 80 del 7 aprile 2003, viene introdotto un particolare pro-rata di indeducibilità degli interessi passivi specificamente riferito all’ipotesi in cui l’impresa possegga delle partecipazioni che si qualificano per l’esenzione (cd. participation exemption). Le regole del pro-rata partecipativo sono disciplinate, da un punto di vista generale, nell’ambito del titolo II, Capo II, Sezione I; le particolarità applicative per le imprese individuali e per le società di persone sono disciplinate nell’articolo 62 e 58, comma 2. Ambito soggettivo di applicazione La disposizione in esame si applica: - alle persone fisiche titolari di reddito d’impresa, - alle società di persone, - alle società di capitali e enti commerciali - che, al termine del periodo d’imposta, posseggono partecipazioni che si connotano per l’esenzione ai sensi dell’articolo 87 del Tuir. La disciplina non risulta applicabile alle imprese che determinano il reddito in base alle disposizioni dell’articolo 66 del nuovo Tuir, ossia alle imprese in contabilità semplificata e a quelle che determinato il reddito con criteri forfetari. Ambito oggettivo di applicazione Soddisfano i requisiti oggettivi di applicazione della disciplina in oggetto le partecipazioni di cui all’articolo 87 del Tuir, ossia quelle partecipazioni che sono: - iscritte nelle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio in cui si è acquisita la partecipazione; - possedute ininterrottamente dal primo giorno del dodicesimo mese precedente la cessione; Pagina 92 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - esercizio da parte della partecipata di un’impresa commerciale ai sensi del disposto dell’articolo 55 del Tuir; - residenza fiscale della partecipata in uno stato o territorio diversi da quelli della black list ovvero dimostrazione, mediante esercizio dell’interpello, che dalle partecipazioni non si è conseguito l’effetto di localizzare i redditi in stati e territori a regime fiscale privilegiato Non devono esser considerate, ai fini dell’applicazione della disciplina in oggetto: - le partecipazioni in società controllate incluse nel consolidato fiscale (disciplinato dagli articoli da 117 a 143); per effetto di quanto disposto dal combinato disposto degli articoli 97, comma 2 e 124, comma 1, lett.a), in materia di consolidato nazionale, nel caso in cui il requisito del controllo cessi, per qualsiasi motivo, prima del triennio di validità dell’opzione per la partecipazione al consolidato, il reddito dell’ente o società controllante per il periodo d’imposta in cui viene meno il requisito medesimo, deve essere aumentato di un importo corrispondente agli oneri finanziari dedotti nei precedenti esercizi del triennio, per effetto di quanto previsto dall’articolo 97 che disciplina, appunto, il pro-rata partecipativo. - le partecipazioni in società in cui il reddito è tassato per trasparenza in capo ai soci (disciplina contenuta negli articoli 115 e 116); in base a quanto precisato nel n. 2, lett. b), comma 2 dell’articolo 97, se entro il terzo anno successivo all’acquisto dovesse avvenire la cessione di tali partecipazioni, il reddito imponibile deve essere rettificato in aumento dell’importo corrispondente a quello degli interessi passivi dedotti nei precedenti esercizi per effetto dell’esclusione delle partecipazioni in argomento dal pro-rata partecipativo. Anche in questa ipotesi si tratta di rideterminare, ora per allora, il pro-rata partecipativo e individuare la (maggior) quota di interessi passivi netti indeducibili. La conseguente rettifica dell’imponibile deve avvenire nel periodo d’imposta in cui si verificano le fattispecie sopra indicate. Modalità di calcolo In presenza di partecipazioni rilevanti ai fini del nuovo pro-rata di indeducibilità degli interessi passivi al netto degli interessi attivi che soddisfano i requisiti soggettivi ed oggettivi di cui sopra, la partecipante deve individuare il valore complessivo di libro delle predette partecipate così come risulta dal proprio attivo di stato patrimoniale e raffrontarlo al proprio patrimonio netto contabile. - Se il patrimonio netto contabile è maggiore del valore di libro delle partecipazioni esenti non si verifica il presupposto per la rettifica degli oneri finanziari: PN > Valore libro Partecipazione non si rettificano gli oneri finanziari - Se il patrimonio netto contabile, viceversa, è inferiore al valore di libro delle predette partecipazioni, si verifica il presupposto per la rettifica degli oneri finanziari. Pagina 93 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 PN < Valore libro Partecipazione si rettificano gli oneri finanziari come segue: 1. Individuare l’eccedenza del valore di libro di tutte le partecipazioni esenti rispetto al patrimonio netto contabile; 2. calcolare il residuo attivo di bilancio, costituito dalla differenza tra il totale attivo di Stato patrimoniale da un lato e l’importo delle partecipazioni “annullato” dal patrimonio netto aumentato dei debiti commerciali dall’altro; 3. rapportare l’eccedenza “non finanziata” dal PN con il residuo attivo di stato patrimoniale. Ne emerge una percentuale. 4. applicare la percentuale al totale degli interessi passivi (al netto degli interessi attivi) per individuare la quota di essi indeducibile. I debiti commerciali partecipano alla formula riducendo il denominatore e quindi aumentano la percentuale di indeducibilità degli interessi: l’intento perseguito dal legislatore consiste nell’evitare che l’impresa economicamente dominante, piuttosto che finanziarsi mediante indebitamento bancario che produce interessi passivi (in parte indeducibili), allunghi i tempi di pagamento nei confronti dei propri fornitori. Merita di essere ricordato che le disposizioni del presente articolo si applicano sulla quota di interessi passivi che residua dopo l’applicazione delle disposizioni dell’art. 96 che disciplina la thin capitalization, ossia l’indeducibilità degli interessi passivi relativi ai finanziamenti erogati o garantiti dai soci, mentre precede quella stabilita dalle disposizioni contemplate nell’art. 96 in materia di pro-rata generale. Il pro-rata partecipativo nelle imprese individuali e nelle società di persone Con riferimento alle società di persone ed alle imprese individuali, i presupposti per l’applicazione della pro-rata ed il suo meccanismo applicativo non si discostano rispetto alle società di capitali e così anche il meccanismo applicativo, salvo alcuni aspetti specificamente disciplinati al fine di tenere in giusta considerazione le caratteristiche di questi soggetti passivi d’imposta. In particolare: - l’articolo 62 prevede che ai fini dell’applicazione dell’articolo 97, comma 1, il valore di libro delle partecipazioni di cui all’articolo 87, rileva nella stessa percentuale di cui all’articolo 58, comma 2 secondo cui “[…] le plusvalenze di cui all’articolo 87 non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti limitatamente al 60 per cento del loro ammontare”. - non risulta applicabile ai soggetti in argomento la disposizione che prevede la non rilevanza, ai fini del pro-rata, delle partecipazioni esenti che determinano il reddito per trasparenza ai sensi dell’articolo 115, in quanto ai sensi di quest’ultimo articolo tutti i soci debbono essere società di capitali. - resta confermato per questi soggetti che, se nel corso del periodo d’imposta la Pex, società di capitali, dovesse distribuire dividendi, gli interessi passivi netti indeducibili per effetto del pro-rata sono resi deducibili per un importo pari ai dividendi imponibili erogati dalla Pex. 10.3. Il pro-rata generale di indeducibilità degli interessi passivi Pagina 94 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 La disciplina contenuta nel novellato articolo 96 del Tuir riprende la disposizione contenuta nell’articolo 63 del vecchio Tuir il quale stabiliva che nella determinazione del reddito d'impresa gli interessi passivi sono deducibili limitatamente alla parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi, previa, a seconda dei casi, l'esclusione ovvero l'inclusione di determinati componenti positivi specificatamente previsti dal legislatore. Il novellato articolo 96 del Tuir, contenuto nell’ambito delle disposizioni dell’IRES, pur riprendendo nella sostanza le disposizioni del citato articolo 63, le modifica adattandole e coordinandole con le nuove disposizioni introdotte dalla riforma (i.e. la participation exemption, la non imponibilità dei dividendi societari) al fine di fare in modo che, se l’impresa produce dei componenti positivi che non concorrono alla formazione del reddito (ad. esempio perché esenti ovvero non imponibili), una parte dell’indebitamento oneroso contratto dall’impresa è al “servizio” dell’attività non tassata. Per questo motivo il legislatore, con presunzione assoluta, ha disposto che la parte di interessi passivi percentualmente riferibili all’attività non imponibile sia specularmene resa indeducibile ai fini delle imposte sui redditi. Tale presunzione, come detto, non ammette alcuna prova contraria. Il meccanismo limitativo La corretta definizione del rapporto di deducibilità degli interessi passivi, da individuarsi a consuntivo in base agli elementi riferibili all’intero periodo d’imposta, è stata oggetto di chiarimento da parte del Ministero delle finanze, con C.M. 18 febbraio 1986, n. 4 in cui è stata fornita la seguente formula: A : B = X : 100 dove: - A indica l'ammontare dei (soli) ricavi ed altri proventi che concorrono a formare il reddito d'impresa; B l'ammontare di tutti (indistintamente) i ricavi e proventi, compresi quelli costituiti da redditi esenti o non imponibili; X la percentuale degli interessi deducibili da individuare. Merita di essere ricordato che il meccanismo limitativo alla deducibilità degli interessi passivi si applica, per espressa disposizione normativa contenuta nel comma 1 dell’articolo 96 sulla quota di interessi passivi che residua dopo l’applicazione della thin capitalization di cui all’art. 98 e del pro-rata patrimoniale partecipativo di cui all’art. 97. Il comma 2 dell'articolo 96, oltre ad indicare in modo specifico i ricavi e i proventi che concorrono alla formazione del rapporto di deducibilità in parola, stabilisce, relativamente ad alcuni di essi, i limiti in cui gli stessi rilevano ai fini del rapporto di deducibilità, ossia come devono essere trattati rispetto al numeratore e al denominatore che individua la frazione da cui scaturisce la percentuale: - non si tiene conto delle sopravvenienze attive accantonate a norma dell’ articolo 88, dei proventi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva e dei saldi di rivalutazione monetaria che per disposizione di legge speciale non concorrono a formare il reddito; Pagina 95 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - i ricavi derivanti da cessioni di titoli e di valute estere si computano per la sola parte che eccede i relativi costi e senza tenere conto delle rimanenze; le plusvalenze realizzate si computano per l'ammontare che a norma dell'articolo 86 concorre a formare il reddito dell'esercizio; le plusvalenze di cui all’articolo 87, si computano per il loro intero ammontare; gli interessi di provenienza estera ed i dividendi si computano per l’intero ammontare indipendentemente dal loro concorso alla formazione del reddito; i proventi immobiliari di cui all'articolo 90 si computano nella misura ivi stabilita; le rimanenze di cui agli articoli 92 e 93 si computano nei limiti degli incrementi formati nell'esercizio. Pagina 96 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.A.12. La valutazione delle partecipazioni sociali e il regime delle plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni sociali (participation exemption) Secondo il disposto normativo di cui all’articolo 2426 del codice civile la valutazione delle partecipazioni sociali assume connotati differenti in relazione al fatto che facciano o meno riferimento ad imprese controllate o collegate. Criterio guida previsto per la valutazione delle partecipazioni, sia che siano riclassificate tra le immobilizzazioni finanziarie, che nell’attivo circolante è quello del costo di acquisto o di produzione (articolo 2426 del codice civile, rispettivamente commi 1 e 9). Tuttavia il comma 4 prevede, relativamente alle immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate, la possibilità di iscrivere in bilancio un valore pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto di dette società risultante dall’ultimo bilancio approvato. In questo caso la disciplina fiscale coincide con quella civilistica, pertanto, in sede di calcolo del reddito imponibile, non ci saranno da operare variazioni in aumento o in diminuzione. 12.1 Trattamento fiscale delle plusvalenze Relativamente al regime fiscale delle plusvalenze derivanti dalla cessione delle immobilizzazioni finanziarie occorre fare riferimento agli articoli 86 ed 87 del Testo Unico. Infatti se da un lato a norma dell’articolo 86, il maggior corrispettivo pattuito per la vendita (rispetto al costo sostenuto per l’acquisto) costituisce la plusvalenza da assoggettare a tassazione, dall’altro, secondo quanto disposto dal successivo articolo 87, in particolari condizioni è possibile che le plusvalenze derivanti dalla cessione di immobilizzazioni finanziarie vengano esentate dall’imposizione fiscale. Possono accedere a tale istituto i soggetti passivi Ires di cui all’articolo 73 del T.U.I.R., e le società di persone e persone fisiche titolari di redditi d’impresa (per espresso rinvio del comma 2 dell’articolo 58 alle disposizioni di cui all’articolo 87). Per quanto concerne le società di capitali l’esenzione sarà totale, mentre per gli altri è previsto un regime di esenzione parziale (60%). Vediamo ora in dettaglio i requisiti necessari affinché la partecipazione possa godere di tale regime privilegiato. Si distinguono due categorie di requisiti, ovvero requisiti di carattere oggettivo e requisiti di carattere soggettivo; i primi sono da verificare in capo alla società partecipata, mentre i secondi in capo alla società partecipante. Quanto alla prima categoria, a norma del comma 1, lettera a) dell’articolo 87, è necessario che vi sia possesso ininterrotto della partecipazione per i dodici mesi precedenti alla cessione (ai fini della determinazione del periodo di possesso si considerano cedute prima quelle acquistate per ultime). A tal proposito, con la circolare n° 36/E del 04/08/2004, è stato chiarito dall’Agenzia delle Entrate che l’adozione del criterio del Lifo è funzionale alla sola determinazione delle partecipazioni che possono fruire della participation exemption. Pertanto le società saranno libere di adottare eventuali altri criteri per la determinazione del costo della partecipazione. Sempre al primo comma, lettera b) è previsto l’ulteriore requisito relativo alla collocazione in bilancio della partecipazione; la stessa deve, infatti, essere ricompresa nella voce B.III dello stato patrimoniale (quindi tra le immobilizzazioni finanziarie) nel primo bilancio chiuso nel periodo di possesso. Anche in questo caso ci sono stati dei chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate che, nella stessa circolare, ha evidenziato come sia fondamentale il primo anno di iscrizione. Infatti qualora in momenti successivi vengano effettuate delle variazioni rispetto alla riclassificazione originaria, le stesse saranno irrilevanti ai fini dell’ottenimento dell’esenzione della plusvalenza. Sempre nella stessa circolare viene inoltre chiarita l’esclusione da tale istituto da parte dei soggetti in contabilità semplificata. Tali soggetti non sono obbligati alla redazione del Pagina 97 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 bilancio d’esercizio con la conseguenza dell’impossibilità di poter verificare il possesso dei requisiti previsti dalla legge. Ulteriore condizione per poter usufruire dell’istituto è quello della residenza fiscale del soggetto partecipato, infatti come disposto dalla lettera c) del comma 1 dell’articolo 87, è necessario che esso non risieda in uno Stato a regime fiscale privilegiato di cui al decreto ministeriale del 21 novembre 2001 e successive modificazioni (cosiddetta “black-list”), tale requisito deve essere posseduto ininterrottamente nel triennio precedente a quello del realizzo indipendentemente dal fatto che la partecipazione sia stata posseduta per un periodo inferiore. Tuttavia anche qualora il soggetto partecipato risieda fiscalmente in un Paese appartenente alla black-list, è comunque possibile ottenere l’esenzione d’imposta per la plusvalenza realizzata a seguito di risposta positiva ad istanza d’interpello. Attraverso questo istituto, cui si può accedere secondo le modalità di cui all’articolo 167 comma 5 lettera b) del T.U.I.R., il soggetto partecipante è chiamato a dimostrare che almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta antecedente alla cessione, non si sia ottenuto l’effetto di localizzare redditi in Paesi con regime fiscale privilegiato. Nello specifico sempre la circolare 36/E precisa che è necessario dimostrare che i redditi della partecipate sono stati prodotti in misura non inferiore al 75% in Paesi differenti da quelli inclusi nella black-list e siano ivi assoggettati integralmente a tassazione ordinaria. Infine, ultimo requisito da verificare in capo alla partecipata è quello dell’esercizio di impresa commerciale, come definita ai sensi dell’articolo 55 del Testo Unico. In questo caso, come per il precedente, il possesso del requisito deve essere ininterrotto almeno a partire dall’inizio del terzo periodo d’imposta antecedente alla cessione (articolo 87 comma 2); a tal proposito è intuibile la finalità antielusiva volta ad evitare che venga prevista l’operatività della società solo in prossimità della vendita della partecipazione. Anche per questo requisito ci sono stati dei chiarimenti forniti dalla circolare 36/E, che ha precisato che, nel caso in cui la partecipata sia stata costituita da un periodo inferiore al triennio previsto dalla Legge, la commercialità sia da riferirsi “al minor periodo intercorso tra l’atto costitutivo e la cessione della partecipazione”. Il legislatore ha peraltro previsto due fattispecie che derogano a questo requisito oggettivo; infatti la commercialità della partecipata diventa irrilevante qualora i titoli della stessa (nello specifico la circolare 36/E ha specificato che trattasi di titoli azionari) siano quotati in mercati regolamentati. Parallelamente, nel caso in cui il patrimonio della partecipata sia costituito prevalentemente da immobili non strumentali, il requisito della commercialità non ricorre per presunzione assoluta. Non rientrano nel computo gli immobili al cui scambio o produzione è diretta l’attività d’impresa, gli impianti ed i fabbricati strumentali. La ratio della norma risiede nella necessità di voler impedire che la cessione di una partecipazione in una società immobiliare nasconda il trasferimento di beni in regime di esenzione. Ulteriori chiarimenti in merito al possesso del requisito della commercialità nel caso in parola sono stati forniti dalla circolare 10/E del 16/03/2005, che precisato che lo stesso sussiste qualora a partire dall’inizio del terzo periodo d’imposta antecedente il realizzo della plusvalenza il patrimonio della partecipata non sia mai stato costituito in prevalenza da immobili non strumentali o che al cui scambio o produzione non sia diretta l’attività dell’impresa. Nel caso in cui la partecipata sia una holding, ovvero una società avente come oggetto esclusivo o prevalente delle propria attività l’acquisto di partecipazioni occorre fare riferimento a quanto previsto dal comma 5. Infatti in questo caso, ai fini del rispetto dei requisiti oggettivi di residenza fiscale e di commercialità devono essere verificati non solo in capo alla partecipata, ma anche, in capo alle partecipate dalla holding. Tuttavia con la circolare 10/E dell’agenzia delle Entrate è stato specificato che l’attività prevalente o esclusiva di assunzione delle partecipazioni deve essere verificata solo al momento Pagina 98 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 della cessione della partecipazione, in quanto il vincolo temporale del triennio previsto dal comma 2 dell’articolo 87 è previstoselo per i requisiti di cui alle lettere c) e d). 12.2 Strumenti finanziari che generano plusvalenze Come disciplinato dal comma 3 dell’articolo 86, rientrano nel novero delle partecipazioni, gli strumenti finanziari la cui remunerazione è costituita interamente dalla partecipazione al risultato economico della società emittente. A tal proposito nello stesso comma vengono citati i contratti di cui all’articolo 109 comma 9 lett. b), ovvero quelli di associazione in partecipazione e di cointeressenza (disciplinati, rispettivamente, agli articoli 2549 e 2554 del codice civile). La plusvalenza emerge in caso di cessione del contratto. Tuttavia è necessario precisare che relativamente ai contratti di associazione in partecipazione, in quanto caratterizzati dall’intuitu personae, è scarsamente plausibile una fattispecie di cessione. Quanto ai contratti di cointeressenza, è possibile realizzare una plusvalenza solo nel caso di cointeressenza impropria (fattispecie che prevede apporto senza partecipazione alle perdite). Infatti, come rilevato dalla circolare ministeriale 26/E del 16/06/2004, i contratti di cointeressenza propri (ovvero senza apporto), non essendo riconducibili, alla disciplina dei contratti di associazione in partecipazione, vengono di fatto esclusi dalla possibilità di generare plusvalenze ex articolo 87. 12.3 Distribuzione di utili e riserve di capitali A norma del comma 6, qualora vi sia distribuzione di riserve di capitali, nel caso in cui sussistano i presupposti di esenzione per la partecipazione, non vi è tassazione per il socio sulla differenza tra il valore normale del bene ricevuto ed il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione. La ratio della norma è quella di riconoscere la stessa esenzione beneficiabile in sede di cessione della partecipazione, alla situazione in cui la distribuzione di riserve faccia emergere un reddito imponibile. Dall’analisi della lettera della disposizione, sembrerebbe inoltre che alla stessa conclusione potrebbe giungersi anche nel caso in cui la somma restituita non presenti natura di capitale. È questo il caso della distribuzione di riserve di utili nel caso della riduzione del capitale cui siano state precedentemente imputate le stesse riserve. Infatti, in presenza delle condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 87, l’esenzione trova applicazione anche sulla differenza tra somme ricevute a titolo di ripartizione del capitale e valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione. Pertanto sembrerebbe che potrebbe verificarsi una disparità di trattamento nel caso di distribuzione di utili (che scontano una tassazione del 5%), rispetto alla fattispecie in cui la stessa distribuzione avvenga sotto forma di riduzione del capitale. Il punto è stato peraltro trattato nella Relazione Governativa in cui si affermava che anche nei casi di cui all’articolo 87 comma 6, qualora vi sia riduzione di capitale, precedentemente aumentato con riserve di utili, si ha la tassazione del dividendo. Tuttavia è d’obbligo precisare, che se pur condivisibile, tale passaggio non trova comunque adeguato supporto dal testo normativo. Eccezion fatta per il caso esaminato, l’esenzione è condizionata dalla natura delle riserve che vengono distribuite e non spetta per quelle appartenenti alla categoria di quelle di utili. 12.4 Operazioni straordinarie 12.4.1 Conferimento Pagina 99 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Nell’ambito dell’operazione straordinaria del conferimento, la fattispecie del conferimento neutrale ex articolo 176 del TUIR assume rilevanza anche ai fini delle plusvalenze esenti ex articolo 87. Infatti per effetto del principio di continuità, di cui al comma 4 dell’articolo 176, le partecipazioni ricevute per effetto dei conferimenti, si intendono iscritte nell’attivo, quali immobilizzazioni finanziarie, a partire dalla data in cui gli stessi erano detenuti. In caso di conferimento di azienda, le partecipazioni ricevute sono iscritte nell’attivo immobilizzato a far data dal possesso dell’azienda conferita. Pertanto la partecipazione potrebbe essere ceduta anche immediatamente dopo il conferimento in regime di esenzione, senza dover attendere il decorso del periodo minimo richiesto ex articolo 87 comma 1 lett a). Parimenti è da segnalare che nel caso di conferimento di partecipazioni, oltre alla componente temporale viene ereditata anche la componente contabile. Quindi non sarà possibile poter usufruire del regime di esenzione nel caso in cui tali partecipazioni siano state iscritte nell’attivo circolante. Con riguardo ai requisiti oggettivi che disciplinano l’esenzione (commercialità, di cui si è detto nel paragrafo 12.1) è da segnalare che il caso di conferimento d’azienda che ne abbia il possesso, nei confronti di altro soggetto che ne sia sprovvisto. In tale fattispecie il soggetto conferitario acquisirà il requisito dell’esercizio di impresa commerciale retroattivamente. 12.4.2 Fusione Dal punto di vista della società partecipante l’operazione straordinaria di fusione non ha particolari risvolti sui requisiti oggettivi della partecipazione. Sul punto è intervenuta la circolare ministeriale 36/04 che estende anche alla fusione ed alla scissione le stesse conclusioni raggiunte in tema di conferimento neutrale, in quanto tali operazioni “…Realizzano un effetto di sostanziale successione tra soggetti secondo caratterizzazioni di neutralità fiscale.” Anche in questa fattispecie restano però ferme, ai fini fiscali, le qualifiche soggettive delle partecipazioni ante fusione. Pertanto una eventuale modifica della collocazione contabile delle stesse avrà effetti soltanto in ambito civilistico. Dal punto di vista della società partecipata è possibile che si verifichino delle conseguenze con riguardo ai requisiti oggettivi che caratterizzano la disciplina dell’esenzione, ed in particolare quello della commercialità. La posizione presa dalla circolare ministeriale 36/04 fa ritenere che detto requisito venga a manifestarsi qualora la maggior parte del patrimonio della nuova società derivi da quello di società commerciali. Allo stesso modo dicasi per il correlato requisito temporale, non è necessario che si manifesti sulla società di nuova costituzione, ma è sufficiente che lo stesso sia detenuto dalla società prevalente. 12.4.3 Scissione Relativamente a quest’ultima operazione straordinaria occorre focalizzare l’attenzione sullo status delle partecipazioni scaturenti da tale operazione che potrebbero assumere connotati differenti rispetto alla scissa con riferimento ai requisiti di commercilaità e residenza. Inoltre conseguenze potrebbero manifestarsi anche in relazione al periodo di decorrenza triennale dei requisiti. Punto di partenza è la società scissa: se essa presenta i requisiti oggettivi, essendo decorso il triennio già al momento della scissione, le partecipazioni nelle beneficiarie commerciali presentano l’esenzione immediatamente, in caso contrario le partecipazioni ricevute potranno beneficiare del regime dell’esenzione solo decorsi tre anni dall’atto di scissione. Unica eccezione in merito si realizza nel caso in cui la beneficiaria sia precostituita ed abbia un patrimonio commerciale prevalente su quello “non commerciale” apportato dalla scissione. Pagina 100 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.B. I DIVERSI REGIMI DI DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE SOCIETA’ E DELL’OBBLIGAZIONE D’IMPOSTA I.B.13. Le società di comodo (dormant company) (a cura di Norberto Villa) La norma che regola il fenomeno delle società non operative è l’articolo 30 della Legge del 23 dicembre 1994, n. 724, il cui contenuto è stato integralmente innovato dall’articolo 3, commi da 37 a 45 della Legge del 23 dicembre 1996, n. 662 (Legge Finanziaria 1997), integrato a sua volta dal D.L. n. 50 del 1997 che ha introdotto un ulteriore caso di esclusione dalla disciplina in esame con riguardo ai soggetti societari con un numero di soci non inferiore a 100. Ulteriori chiarimenti circa l’applicazione delle nuove disposizioni sono stati forniti successivamente dal Ministero delle Finanze con la circolare 48/E del 26 febbraio 1997. La disciplina delle società di comodo è inoltre commentata dalla circolare Assonime nr. 46 del 22 aprile 1997. SOGGETTI INTERESSATI 1. società per azioni; 2. società in accomandita per azioni; 3. società a responsabilità limitata; 4. società in nome collettivo; 5. società in accomandita semplice; 6. soggetti equiparati ai sensi dell’articolo 5 del TUIR (società di armamento e società di fatto); 7. società ed enti di ogni tipo non residenti con stabile organizzazione nel territorio dello stato. Le verifiche e gli accorgimenti che devono essere seguiti dal contribuente sono: individuazione soggettiva: occorre verificare se il contribuente rientra tra i soggetti ai quali si applica la disciplina delle società non operative; determinazione dei ricavi presunti: sono tali quelli ipoteticamente ritraibili dagli “investimenti” posseduti dall’impresa e che vengono determinati, come vedremo, applicando agli stessi diversi coefficienti di rendimento; confronto dei ricavi presunti con i ricavi effettivamente rilevati dal soggetto passivo; qualora i ricavi effettivi risultino inferiori a quelli presunti la società non operativa deve procedere alla determinazione del reddito minimo presunto determinato applicando appositi coefficienti di redditività allo stesso valore degli elementi dell’attivo rilevanti ai fini della determinazione dei ricavi presunti. 1.1. PRESUPPOSTO SOGGETTIVO La disciplina delle società di comodo ricomprende al suo interno non solo soggetti passivi Ires ma anche le società commerciali residenti di tipo personale e quelle ad esse equiparate ai sensi dell’articolo 5 del TUIR. Le società non residenti sono assoggettate alla disciplina delle società di comodo soltanto se sono dotate di stabile organizzazione nel territorio Italiano: quelle società che siano prive di tale stabile organizzazione (per esempio, le immobiliari non residenti), in quanto non produttive di reddito d’impresa, non possono essere destinatarie della disciplina in oggetto. Esistono però delle eccezioni. Pagina 101 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Non rientrano infatti nell’ambito soggettivo di applicazione del provvedimento, oltre alle imprese individuali ed ai non produttori di redditi d’impresa, anche: - le società cooperative e di mutua assicurazione, gli enti commerciali e non commerciali residenti, ciò in quanto tali soggetti non sono espressamente richiamati dalla norma tra i soggetti destinatari della disciplina in esame; - le società consortili, in quanto si riscontra il medesimo scopo mutualistico che caratterizza le società cooperative e quelle di mutua assicurazione. CASI DI ESCLUSIONE La disciplina delle società non operative elenca una serie di condizioni il cui verificarsi comporta la non applicazione automatica della normativa in esame senza che occorra a tal fine fornire la prova contraria. Rimangono pertanto estranei applicazione della disciplina sulle società non operative: 1. i soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali; 2. i soggetti che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attività; 3. le società in amministrazione controllata o straordinaria, relativamente ai periodi di imposta interessati da tali procedure; 4. i soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta. Al riguardo, il Ministero delle Finanze, con la circolare 48/E, ha precisato che: “...il primo periodo d’imposta è quello di inizio di attività, coincidente con l’apertura della partita IVA, a prescindere dall’inizio dell’attività produttiva”; 5. le società esercenti pubblici servizi di trasporto; 6. le società e gli enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani; 7. le società con un numero di soci non inferiore a 100. Al “semplice” verificarsi di tali eventi, i soggetti interessati possono determinare le imposte sul proprio reddito, senza attribuire alcuna importanza alla determinazione del reddito minimo imponibile. Relativamente alle cause di esonero sopra indicate osserviamo quanto segue: A..Soggetti ai quali è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali Il Ministero delle Finanze, al fine di evitare errate interpretazioni circa l’inquadramento della categoria, ha fornito un’elencazione dei soggetti che, in quanto obbligati a rivestire tale veste giuridica, sono esclusi dalla disciplina delle società non operative. Sono pertanto da includere in tale ambito: - le società finanziarie, indicate nell’articolo 106 del D.Lgs. 385/’93 (Testo Unico della legge bancaria), per le quali vige l’obbligo di iscrizione in un apposito elenco generale tenuto dal Ministro del tesoro; - i centri autorizzati di assistenza alle imprese e ai lavoratori dipendenti (CAA) istituiti dall’articolo 78 della L. 413/’91; - le società sportive che, dovendo stipulare contratti con atleti professionisti, sono costituite, secondo le disposizioni dell’articolo 10 della L. 23/03/’81, n. 91, nella forma di società per azioni o di società a responsabilità limitata; - le società per azioni costituite dagli enti locali territoriali ai sensi dell’articolo 22 della L. 8/06/’90, n. 142 e dell’articolo 12, comma 1, della L. 23/12/’92, n. 498 (società a capitale misto pubblico - privato). - A questo elenco vanno inoltre ad aggiungersi: Pagina 102 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - le banche, che ai sensi dell’articolo 14, c. 1, del D.Lgs. 385/’93, devono costituirsi sotto forma di società per azioni o di società cooperative per azioni; le società di factoring (articolo 1, c, 1, lett. A), D.m. 12/05/’92, n. 349); le imprese di assicurazione (articolo 7, c. 1, D.Lgs. 175/’95 e articolo 5, c.1, D.Lgs. 174/’95); le SICAV (articolo 1, c.1, L. 84/’92); le società di intermediazione mobiliare (articolo 2, lett. A), L.1/’91); gli organismi preposti all’attività di organizzazione e gestione di mercati regolamentati di strumenti finanziari che, ai sensi dell’articolo 46 del D. Lgs. 415/’96, devono costituirsi sotto la forma di società per azioni. B. Periodo di non normale svolgimento di attività La presenza di alcune tra le cause di esclusione è immediatamente e oggettivamente verificabile (per esempio, nei casi in cui le società si trovano nel primo periodo d’imposta ovvero nelle ipotesi in cui la società è soggetta alle procedure dell’amministrazione controllata o straordinaria). Diversa è invece la situazione nel caso in cui la fattispecie attinente alla “anormalità” del periodo d’imposta che potrebbe di per se legittimare esclusione del contribuente dalla disciplina in esame. In questa ipotesi deve essere compiuta una valutazione soggettiva e, quindi, discrezionale, immediatamente applicabile e che, stando alle affermazioni ministeriali, non necessita di prova contraria. Non trattandosi di un evento di per se facilmente documentabile, riteniamo comunque che l’Amministrazione Finanziaria, data l’aleatorietà della fattispecie, possa controllare ed eventualmente contestare la decisione del contribuente. Il Ministero delle Finanze, sempre con la circolare 48/E, ha fornito alcune precisazioni relativamente al concetto di periodo anormale di attività ed ha elencato una serie di ipotesi in cui non può considerarsi integrato il requisito della normalità. In particolare, “...va considerato periodo di normale svolgimento dell’attività quello in cui è stata svolta l’attività produttiva prevista dall’oggetto sociale”. Pertanto, non si considera periodo normale di svolgimento dell’attività: - quello da cui decorre la messa in liquidazione ordinaria ovvero l’inizio delle procedure di liquidazione coatta amministrativa o del fallimento. Ne consegue, quindi, che l’attività svolta in tali periodi non è, infatti, da considerare “normale”, in quanto finalizzata alla definizione dei rapporti della società con i terzi per consentire la ripartizione del patrimonio residuo tra i soci. Il periodo che precede quello in cui ha avuto inizio la liquidazione è considerato normale (e pertanto assoggettato alle regole che presiedono la disciplina delle società non operative) anche se di durata inferiore a quella prevista ordinariamente dall’atto costitutivo. Per quel che concerne il caso di revoca della liquidazione, invece, il Ministero delle Finanze, nella precedente circolare 140/E del 1995, ebbe a precisare che l’esclusione dall’applicazione della disciplina sulle società non operative non avrebbe dovuto operare “[...] relativamente a tutti i periodi d’imposta interessati dallo scioglimento medesimo [...]”; ad analoga conclusione pervenne anche con riferimento all’ipotesi di periodi di liquidazione superiori ai 5 anni. Sul punto, nel rilevare che il comma 37 dell’articolo 3 della legge 662 non reca elementi di particolare novità e, inoltre, che nella circolare ministeriale 48/E in commento manca al riguardo uno specifico chiarimento, sembra potersi desumere che i motivi cautelativi posti alla base delle precedenti interpretazioni possano essere considerati validi anche nel nuovo contesto normativo. Pagina 103 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - quelli successivi al primo periodo d’imposta, qualora la società, negli stessi periodi, non abbia ancora avviato l’attività produttiva prevista dall’oggetto sociale perché: la costruzione dell’impianto da utilizzare per lo svolgimento dell’attività si è protratta oltre il primo periodo d’imposta, per cause non dipendenti dalla volontà dell’imprenditore; non sono state concesse le autorizzazioni amministrative necessarie per lo svolgimento dell’attività, a condizione che le stesse siano state tempestivamente richieste; viene svolta esclusivamente un’attività di ricerca propedeutica allo svolgimento di altra attività produttiva di beni e servizi, sempreché l’attività di ricerca non consenta di per se la produzione di beni e servizi e quindi la realizzazione di proventi. Di contro, viene altresì specificato che deve considerarsi periodo normale di attività: - quello relativo ad un esercizio di durata inferiore a quella stabilita dall’atto costitutivo a causa di intervenute modifiche che determinano l’interruzione della durata dell’esercizio medesimo, senza comunque incidere sul tipo di attività svolta, come, per esempio, nei casi di fusione, scissione e trasformazione; - quello in cui la società ha affittato o concesso in usufrutto l’unica azienda posseduta. C. Le società in amministrazione controllata o straordinaria, relativamente ai periodi di imposta interessati da tali procedure Per questa categoria esistono pochi (o nessun problema) di identificazione della fattispecie. D. I soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta D.1. fusioni e scissioni Alcuni dubbi potrebbero sorgere a proposito dell’esclusione soggettiva dalla disciplina delle società di comodo nel caso di società risultante da un’operazione di fusione propria o nel caso di società beneficiarie nell’ipotesi di scissione. In tali ipotesi il soggetto risultante dalla fusione o la società beneficiaria è effettivamente nel primo periodo di imposta anche se non si trova nella fase di avvio della propria attività, in quanto prosegue di fatto l’attività già svolta dalle società fuse, nel primo caso, o dalla società scissa, nel secondo caso. Al riguardo l’Assonime nella circolare n, 46 del 22 aprile 1997, propone due diverse chiavi di lettura della problematica: - la prima, secondo la quale, in tali fattispecie, pur non sussistendo dubbi sulla circostanza che, relativamente al soggetto che viene ad esistenza a seguito di tali operazioni, si è effettivamente in presenza del primo periodo d’imposta, da un punto di vista sostanziale non sembrerebbero ricorrere le circostanze che presiedono alla causa di esclusione in esame; cioè che l’impresa si trovi nella fase di avvio della propria attività. Ne discende quindi che, tanto per la società risultante dalla fusione, quanto per quella beneficiaria nella scissione, non dovrebbe parlarsi di inizio “ex novo” dell’attività ma, più precisamente, di una prosecuzione della attività già svolta dalle società fuse o scisse, con la conseguenza che troverebbe piena applicazione la disciplina delle società non operative; - la seconda, in virtù della quale - essendo fondata su una interpretazione letterale della norma e, in quanto tale, non potendo prescindere dal fatto che ci si troverebbe comunque nel primo periodo d’imposta - non potrebbe essere messo in discussione il diritto all’esonero dalla medesima disciplina delle società di comodo. Pagina 104 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 D.2.trasformazioni La disciplina delle società di comodo è, invece, sicuramente applicabile al caso dei società trasformate anche se l’operazione di trasformazione comporti il passaggio dall’ambito Irpef all’ambito Irpeg o viceversa. Nei confronti della società trasformata infatti (tanto nel caso di passaggio da soggetto IRPEF a soggetto IRPEG, quanto nel caso opposto) potendosi legittimamente dubitare che si sia in presenza di un “nuovo” soggetto rispetto a quello precedente, sembra ragionevole ritenere che la causa di esclusione non debba operare. D.3. stabili organizzazioni Per quanto attiene alle stabili organizzazioni di società o di enti esteri, deve considerarsi primo periodo d’imposta quello in cui si è verificato l’insediamento delle stesse organizzazioni nello Stato Italiano. A tal fine risulta del tutto irrilevante sia la data di costituzione del soggetto di cui sono promanazione, sia la circostanza che il soggetto estero, in precedenti periodi d’imposta ed in assenza di stabile organizzazione, abbia prodotto altre categorie di redditi che hanno scontato la tassazione nello Stato. E. Le società esercenti pubblici servizi di trasporto Devono intendersi ricomprese in tale categoria, le società che esercitano, in regime di concessione, pubblici servizi di linea per il trasporto di persone o cose, sia terrestri (e, quindi, ferroviari, tranviari, automobilistici, teleferici), sia marittimi, lacuali, fluviali e aerei. Le motivazioni di tale esclusione sono da ricercare non soltanto nel particolare interesse pubblico che tali attività rivestono, ma anche, e per lo più, nei vincoli tariffari che le società in oggetto sono tenute a rispettare nello svolgimento di tale attività e che, evidentemente, non possono non incidere sulla capacità reddituale delle medesime. F.Le società e gli enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani In ordine a tale causa di esclusione, l’importante precisazione fornita dall’Assonime nella circolare 22/04/’97, n. 46, attesta che il riferimento agli enti, è fatto al fine di rendere eventualmente applicabile l’esimente in questione anche alle stabili organizzazioni di enti esteri i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani. Peraltro, atteso che non si pone alcun dubbio circa l’applicabilità dell’esclusione nei casi in cui oggetto della negoziazione siano i titoli di partecipazione al capitale della società o dell’ente interessato, può sorgere qualche dubbio, ai fini dell’esclusione, nelle ipotesi in cui la negoziazione riguardi soltanto titoli obbligazionari o similari emessi dalla società o dall’ente in questione. Tenendo presenti, anche in questo ambito, le autorevoli interpretazioni della citata Associazione secondo la quale l’esclusione in parola trova ragione nelle garanzie che offrono e nei controlli cui devono sottoporsi i soggetti i cui titoli siano ammessi alla negoziazione in borsa e negli altri mercati regolamentati nazionali - “...si dovrebbe propendere per una interpretazione estensiva della norma”, e considerare, quindi, applicabile la causa di esclusione in oggetto anche per tali fattispecie. Peraltro, un dubbio che era stato manifestato dalla predetta Associazione e che ha trovato un definitivo riscontro nella circolare del Ministero delle Finanze 15/05/’97, n. 137/E, concerneva l’ambito temporale a decorrere dal quale trovava applicazione tale causa esimente. In altre parole, ci si poneva il problema se, perché potesse operare detta esclusione, era sufficiente che la società interessata avesse inoltrato la domanda di ammissione alla quotazione o, al contrario, necessitava la formale delibera della Consob. In virtù delle risposte fornite dal Ministero, quindi, possiamo concludere che: - non opera la causa di esclusione (con conseguente assoggettamento alla disciplina delle società non operative) nei casi in cui la società o l’ente abbia “semplicemente” richiesto Pagina 105 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - l’ammissione alla quotazione nella borsa valori e negli altri mercati regolamentati nazionali, reputandosi invece necessario che entro la chiusura del periodo d’imposta di riferimento sia intervenuta, da parte della Consob, la delibera di ammissione alle negoziazioni; l’esclusione opera in ogni caso, qualora nel periodo d’imposta interessato si sia verificata la sospensione della negoziazione dei titoli. Un caso particolare di esclusione In riferimento ad un caso pratico di sequestro conservativo delle quote di una società a responsabilità limitata, verificatosi nella vigenza della vecchia normativa contenuta nell’articolo 30 della L. 724/’94, la Corte dei Conti ha posto un quesito al Ministero delle Finanze, tendente a conoscere se, in casi analoghi, le società interessate dovevano essere assoggettate o meno alla disciplina delle società non operative. Con la risoluzione 14 marzo 1997, n. 43/E l’amministrazione finanziaria ha espresso il principio secondo il quale “...il sequestro conservativo delle quote di una srl costituisce una causa legittima di esclusione dalla disciplina delle società non operative, senza la necessità di fornire la prova contraria. Ciò in quanto l’ente societario non si trova in un periodo di normale svolgimento di attività e l’obiettivo del custode giudiziario è quello di conservazione del patrimonio e non quello di assunzione del rischio imprenditoriale”. Detta risposta, dunque, orientata alla predetta esclusione, trova fondamento nell’articolo 65 del Codice di Procedura Civile il quale implica, in sostanza, una situazione anomala di gestione. L’importanza di questa pronuncia quindi verte su un duplice ordine di motivi: - in primo luogo, perché nella elencazione delle cause di esclusione dalla disciplina in esame viene ad aggiungersi un nuovo motivo per nulla contemplato dalla normativa delle società non operative (tanto dalla vigente, quanto dalla precedente); - in secondo luogo perché tale motivo, se ritenuto valido in vigenza della precedente normativa, deve confermarsi altrettanto valido anche dopo le modifiche apportate a quella dall’articolo 3, commi da 37 a 45 della L. 662/’96. 1.2. PRESUPPOSTO OGGETTIVO I soggetti sopra individuati ai quali si applicano le disposizioni delle società di comodo devono verificare la loro operatività accertando cioè che il volume di ricavi, delle rimanenze e proventi ordinari non sia inferiore all’importo risultante applicando determinate percentuali di redditività presunta a ben individuati beni dell’attivo patrimoniale. Come indicato dalla Legge 662/96 la ratio del calcolo da effettuare per verificare se la società risulta non operativa consiste nel fatto che “con un utilizzo appropriato dei beni sociali i ricavi devono coprire almeno l’ammortamento del costo dei beni e delle spese generali”. ammontare complessivo di ricavi, incrementi di rimanenze e proventi, esclusi quelli straordinari, inferiore risultanti dal conto economico, ove prescritto (ricavi effettivi) ai ricavi presunti dati dalla sommatoria degli importi che risultano applicando: l’1% al valore “medio” dei beni indicati nell’articolo 85 del TUIR, anche se costituiscono immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti; il 4% al valore “medio” delle immobilizzazioni costituite da beni immobili e da beni indicati nell’articolo 8-bis, comma 1, lett. a) del DPR 633/’72, anche in locazione finanziaria; il 15% al valore “medio” delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziaria. Pagina 106 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 1.3. ANALISI DEL RISULTATO Qualora dal raffronto tra i ricavi presunti e quelli effettivi, questi ultimi risultano superiori a quelli convenzionali, la società non è di comodo e, pertanto, il contribuente può determinare le imposte d’esercizio sulla base del proprio reddito. Viceversa, qualora i ricavi effettivi risultino inferiori a quelli convenzionali, la società è qualificabile come non operativa e, quindi, sarà necessario determinare il reddito minimo presunto (la cui rilevazione è presieduta da autonome regole), il quale costituirà la base imponibile per la determinazione delle imposte di competenza. 1.4. INDIVIDUAZIONE DELLE VOCI DA CONSIDERARE PER IL CALCOLO DEI RICAVI EFFETTIVI (Ricavi, Incrementi di Rimanenze e Proventi risultanti dal conto economico - ricavi effettivi) Ricavi Occorre preliminarmente specificare che per quel che concerne la determinazione delle voci di riferimento per l’effettuazione del calcolo, la disciplina delle società non operative si fonda quasi esclusivamente sui dati contabili emergenti dal bilancio d’esercizio (ovvero, per le società in contabilità semplificata, sulle scritture contabili prescritte dall’articolo 18 del DPR 600/’73). Al riguardo infatti, il Ministero delle Finanze (paragrafo 2 della circolare 48/E) ha avuto modo di precisare che: “I componenti da considerare ai fini della verifica dell’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, sono quelli desumibili dal conto economico”. Con riferimento ai soggetti tenuti alla redazione del bilancio, pertanto, occorre tener conto di tutti i dati contenuti nella voce “A) - Valore della Produzione” del conto economico stesso. Si tenga presente, quindi, che il valore della produzione è dato dai ricavi delle vendite, cui si sommano l’incremento dei valori delle rimanenze di prodotti e di semilavorati e di prodotti in corso di lavorazione (il decremento delle rimanenze si sottrae) e il valore delle costruzioni in economia, il tutto integrato dagli altri ricavi e proventi connessi con la gestione caratteristica ordinaria e i contributi in conto esercizio. Entrando più nel dettaglio il Ministero, per i ricavi, ha chiarito che occorre tener conto della somma dalle voci 1 e 5 dello schema di conto economico previsto dall’articolo 2425 del C.C., e cioè: - ricavi delle vendite e delle prestazioni; - altri ricavi e proventi, compresi i contributi in conto esercizio. Il primo punto accoglie i ricavi relativi alla vendita per cessione dei beni e dei servizi che costituiscono la specifica attività aziendale, rettificati per l’importo dei resi, sconti e abbuoni, che abbiano natura contrattuale e non natura finanziaria. Inoltre, è necessario che per essi, come per i costi, venga rispettato il principio della competenza secondo il quale i ricavi “appartengono” all’esercizio in cui i lavori sono effettuati e i prodotti sono venduti (principio di realizzazione), indipendentemente dalla fatturazione delle operazioni. Il secondo punto, invece, corrispondente alla voce A) 5) dello schema scalare del conto economico, presenta carattere residuale, comprendendo tutti i ricavi della gestione, non inclusi in voci precedenti, che non siano considerati proventi finanziari, rivalutazioni di attività finanziarie e proventi straordinari. Pertanto, dato il suo carattere di voce residuale, possono in taluni casi sorgere problemi di contabilizzazione per alcuni componenti positivi di reddito la cui allocazione non è certa. In ogni caso, riscontrata l’importanza di tale sistemazione contabile, sia per quel che concerne il rispetto del principio di rappresentazione veritiera e corretta del bilancio d’esercizio, sia per l’effetto che Pagina 107 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 può esplicare ai fini della determinazione dell’operatività o meno di una società, riteniamo che la valutazione da parte del redattore del bilancio deve essere accurata e specificamente motivata nella nota integrativa. Per quanto riguarda l’individuazione di altri proventi risultanti dal conto economico rilevanti ai fini del calcolo in esame, il Ministero, con riferimento alle imprese industriali e commerciali, ha precisato che, qualora siano tenuti a redigere il bilancio secondo lo schema di cui all’articolo 2425 del C.C., devono tener conto - anche - degli importi emergenti dalle voci C15 e C16 dello predetto documento contabile (cioè i proventi da partecipazioni ed altri proventi finanziari). Detta inclusione, che rappresenta una novità rispetto alla precedente disciplina, comporta quindi che assumono diretta rilevanza sia i dividendi e le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni, dalla vendita di diritti di opzione, eccetera, sia gli interessi derivanti da finanziamenti, da titoli obbligazionari, gli utili da negoziazione di titoli, eccetera. Particolare attenzione deve poi essere posta all’esclusione dal calcolo delle società di comodo dei proventi straordinari. Seguendo gli schemi del conto economico, il riferimento è agli importi iscritti nella voce E20 per le imprese industriali e commerciali e nella voce 80 per i soggetti che redigono il bilancio secondo le regole dettate dal decreto legislativo 87/’92. Al fine di poter utilmente individuare la “straordinarietà” o meno di un provento, merita precisare che con detto termine (straordinario), non ci si riferisce all’eccezionalità o alla anormalità dell’evento, bensì all’estraneità della fonte dello stesso all’attività ordinaria dell’impresa. Tale impostazione, è stata interpretata in più modi: a) secondo una prima interpretazione: - tutte le sopravvenienze attive rappresentano proventi straordinari, ed in quanto tali, vanno raccolte nel gruppo E) del conto economico e non possono quindi essere raccolte nel gruppo A) dello stesso documento contabile, - le plusvalenze da realizzo di beni patrimoniali vanno accolte nel gruppo A) se derivano da vendite ricorrenti di singole immobilizzazioni, mentre vengono raccolte nel gruppo E) se riguardano vendite eccezionali di immobilizzazioni, legate a operazioni straordinarie (ad esempio, cessioni di aziende o di rami aziendali, cessazioni di singole attività aziendali, ecc.); b) in base ad una seconda interpretazione: - le sopravvenienze attive si rilevano nei conti del gruppo A) se riguardano operazioni ripetitive (ad esempio arrotondamenti ottenuti a saldo di debiti del precedente esercizio, ecc.), mentre vengono accolte in conti del gruppo E) se si riferiscono ad eventi eccezionali (ad esempio, risarcimento di danni di precedenti esercizi non previsti); - tutte le plusvalenze patrimoniali si rilevano nei conti del gruppo E), perché l’attività di vendita delle immobilizzazioni non è mai un fatto da considerarsi connesso con la gestione ordinaria; c) secondo una terza interpretazione si deve procedere caso per caso, esaminando le singole fattispecie; d) dal punto di vista dei Principi Contabili Italiani, invece, si considerano straordinari: - plusvalenze e minusvalenze derivanti da operazioni o eventi che hanno un effetto rilevante sulla struttura aziendale (cessioni di rami aziendali, scorpori, ristrutturazioni, ecc.); - plusvalenze e minusvalenze derivanti da cessioni di immobili civili e da altri beni non strumentali, non afferenti la gestione finanziaria; - sopravvenienze e minusvalenze derivanti da errori di rilevazione o di valutazione o da cambiamento dei criteri di valutazione. Tutti gli altri elementi che vengono definiti plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze, insussistenze vengono considerati ordinari. Pagina 108 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Incrementi di rimanenze In riferimento a detta voce, il Ministero ha chiarito che deve prendersi in considerazione la somma delle variazioni - positive - delle voci A 2) - A 3) e B 11) risultanti dal conto economico, e cioè: - variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti; - variazione dei lavori in corso su ordinazione; - variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci. L’ammontare delle predette voci va assunto quale risulta dal conto economico, anche quando il relativo importo deriva dalla somma algebrica di sottovoci con opposto segno algebrico. Le suddette considerazioni si estendono anche alle società e agli enti non residenti che svolgono attività commerciale in Italia mediante stabile organizzazione. In tali casi, infatti, si deve tener conto dei “soli” ricavi, incrementi di rimanenze e proventi, esclusi quelli straordinari, conseguiti dalla stabile organizzazione stessa. Anche con riferimento agli incrementi delle rimanenze, vengono utilmente sollevati, agli effetti della disciplina in parola, alcuni interessanti dubbi, concernenti: - l’incidenza assunta dalle rivalutazioni dei beni di magazzino eventualmente iscritte in bilancio dall’impresa ai sensi dell’articolo 2426, n. 9 del Codice Civile; - l’inclusione o meno nel computo dei ricavi, degli incrementi di immobilizzazioni per lavori interni (voce 4 della sezione A) del conto economico). In ordine alla prima questione, sembra opportuno sottolineare che la norma, con il termine incrementi, abbia inteso riferirsi soltanto agli incrementi di carattere fisico delle rimanenze di magazzino e non alla valorizzazione delle stesse. Difatti, sebbene la “mera” rivalutazione del magazzino esistente non possa assurgere a sintomo di operatività dell’impresa (a differenza degli incrementi di carattere fisico), la questione assume importanza soprattutto alla luce delle considerazioni in tema di omogenea comparazione tra i valori contabili presi a base per il computo in parola. Quanto detto tiene conto, in particolar modo, del fatto che, ove si ritenesse di dover escludere dette rivalutazioni dal computo dei ricavi effettivi, si dovrebbe allo stesso modo - e a maggior ragione - cercare di “neutralizzare” l’effetto (distorsivo) che potrebbe verificarsi qualora si provvedesse a svalutare i medesimi beni. Per quel che concerne la seconda questione, invece, sulla base delle indicazioni ministeriali, devono ritenersi esclusi dal computo dei ricavi effettivi rilevanti ai fini del calcolo, gli importi eventualmente indicati nella suddetta voce 4 del conto economico. Tale conclusione non viene condivisa dall’Assonime secondo cui, da tale valore, oltre a potersi desumere il carattere di operatività dell’impresa, possono emergere elementi rilevanti ai fini del calcolo dei ricavi convenzionali (ad esempio, occorre considerare che nel processo per la costruzione in economia di immobilizzazioni tecniche, l’impresa utilizzi, in tutto o in parte, propri beni strumentali, il cui valore potrebbe essere preso a base per il calcolo dei ricavi presunti). A detta dell’Associazione, questo è un tipico caso in cui può verificarsi quella disomogeneità di cui si è fatto cenno alla nota 11, con la conseguenza che, se i beni strumentali impiegati nella costruzione in economia di impianti ed immobilizzazioni tecniche sono suscettibili di generare ricavi presunti, anche i relativi incrementi di tali immobilizzazioni, che concorrono a formare il valore della produzione dei singoli esercizi, dovrebbero assumere rilievo ai fini del calcolo dei ricavi effettivi. Imprese in contabilità semplificata. Pagina 109 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Per i soggetti non tenuti ai fini fiscali alla redazione del bilancio (cioè quelli in contabilità semplificata), il valore dei ricavi, incrementi di rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, va desunto dalle scritture contabili previste dall’articolo 18 del DPR 600/’73 (registri IVA integrati con l’annotazione delle operazioni non soggette all’IVA, ma rilevanti per la determinazione del reddito; registro dei cespiti ammortizzabili o - in base alle novità introdotte dal DPR 695/’96 in materia di semplificazioni contabili - annotazioni relative agli stessi beni, pena la indeducibilità delle quote di ammortamento, nel registro IVA acquisti). I beni e le immobilizzazioni rilevanti Esaurito l’esame degli elementi determinanti per il calcolo della media dei ricavi effettivi (risultanti dal conto economico o dalle scritture contabili) prodotti dalla società nei periodi d’imposta di riferimento, è necessario passare all’ulteriore fase della determinazione dei ricavi convenzionali, i quali dovranno essere raffrontati con i primi per verificare l’operatività o meno dell’impresa. La differenza sostanziale che caratterizza la suddetta analisi da quella vista precedentemente, consiste, in primo luogo, nel fatto che i valori costituenti la base di calcolo, vengono assunti direttamente dallo stato patrimoniale. Pertanto, verificato il loro valore di libro (eventualmente ragguagliato ai giorni di effettivo possesso da parte della società) e calcolata la media triennale di questi, viene effettuata la somma degli importi risultanti dall’applicazione di specifiche percentuali ai valori così determinati. Prima di procedere all’analisi dettagliata delle varie componenti che concorrono alla determinazione di questo calcolo, si ritiene innanzitutto utile precisare che, non essendoci nella normativa fiscale relativa alla determinazione del reddito d’impresa una definizione precisa di “immobilizzazione”, occorre fare riferimento, ai fini di cui trattasi e per i soggetti tenuti alla redazione del bilancio, alle immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie assunte secondo la disciplina civilistica, ma al lordo degli ammortamenti. Beni di cui all’art. 57, lett. C), Tuir e crediti - immobilizzazioni finanziarie, anche se allocate in attivo circolante Dal tenore letterale della norma in oggetto, quindi, trattasi di azioni o quote di partecipazioni in società ed enti, ivi incluse quelle non rappresentate da titoli, nonché le obbligazioni e gli altri titoli in serie o di massa. Dalla elencazione sopra menzionata non sono state prese in considerazione le partecipazioni in società di persone. La giustificazione di tale esclusione è stata data dallo stesso Ministero delle Finanze nella circolare 48/E, nella quale è stato precisato che: “...esse, non essendo ricomprese fra i beni indicati nell’articolo 53, comma 1, lett. c) del TUIR, sono rilevanti ai fini della disciplina in esame come “altre” immobilizzazioni cui si applica la percentuale del 15%, sempreché evidentemente costituiscano immobilizzazioni finanziarie”. Anche in questo ambito, l’Amministrazione Finanziaria chiarisce quali devono essere i valori da prendere in considerazione secondo lo schema di bilancio previsto dal D.Lgs. 127/’91. Ovviamente, alla luce delle considerazioni fatte in precedenza, tali beni possono essere diversamente allocati; pertanto: 1) qualora siano contabilizzati come immobilizzazioni finanziarie, interesseranno i seguenti punti dello schema di stato patrimoniale di cui all’articolo 2424 del C.C.: • B, III, 1) - partecipazioni; Pagina 110 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 • B, III, 3) - altri titoli; • B, III, 4) - azioni proprie; 2) qualora siano invece allocati come attivo circolante, saranno interessati i seguenti punti del predetto schema dello stato patrimoniale: • C, III, 1), 2), 3), e 4) - partecipazioni; • C, III, 5) - azioni proprie; • C, III, 6) - altri titoli. Imprese in contabilità semplificata Naturalmente per i soggetti non tenuti ai fini fiscali alla redazione del bilancio, il valore dei beni e delle immobilizzazioni va desunto direttamente dalle scritture contabili previste dall’articolo 18 del DPR 600/’73. Valore dei crediti Rispetto alla originaria impostazione letterale del disegno di legge n. 2372, il quale menzionava soltanto i beni/partecipazioni come sopra individuati, la versione definitiva della disciplina delle società non operative ha integrato la suddetta voce con l’importo dei crediti. L’importo di tale voce non include tutti i crediti emergenti dal bilancio d’esercizio (commerciali, nei confronti dell’Erario, ecc.) ma soltanto i crediti di natura finanziaria. Infatti, dal tenore letterale della norma, che recita “...l’1 per cento del valore dei beni (partecipazioni) aumentato del valore dei crediti”, concorrono a formare il costo della partecipazione non solo i versamenti in conto capitale, ma anche i crediti per i finanziamenti fatti. Questa conclusione ha, peraltro, trovato l’ulteriore conforto nella circolare 48/E, nella quale il Ministero delle Finanze ha opportunamente precisato che, con riferimento a tale voce: “...rientrano nella base di computo i crediti da finanziamento in quanto suscettibili di generare componenti positivi di reddito. Pertanto, devono escludersi da detta base i crediti aventi natura commerciale e, allo stesso modo, si ritiene che non debbano essere inclusi nel computo in esame i depositi bancari, in quanto i medesimi costituiscono disponibilità liquide e, come tali, vanno indicate nell’attivo circolante al punto IV, 1”. In sintesi, si noti che nell’interpretazione ministeriale viene attribuita rilevanza alla natura del credito e non alla sua scadenza, con la conseguenza che vengono computati nella base di calcolo tutti i finanziamenti, sia a breve che a lungo termine, ma solo in quanto essi partecipano alla determinazione del reddito imponibile della società generando componenti positivi di reddito. Sulla base delle riportate affermazioni ministeriali quindi, si può senz’altro ritenere che, agli effetti in questione, rilevano soltanto i crediti ricollegabili ad operazioni di impiego di capitale in rapporti di mutuo o aventi comunque causa di finanziamento. Anche se quindi, tenuto conto della ratio del provvedimento, dovrebbero essere presi in considerazione i soli crediti per finanziamenti fruttiferi ed immobilizzati. Occorre segnalare che l’Assonime ha espresso - a nostro avviso, correttamente - un orientamento diverso, secondo il quale, sono da considerare rilevanti tutti i crediti di tale “specie”, indipendentemente dal tipo di rapporto di mutuo dal quale essi derivano e dalla qualifica del soggetto debitore tenuto alla restituzione del capitale prestato. Quindi, devono ritenersi rilevanti tanto i crediti derivanti da rapporti di mutuo concessi a titolo gratuito (cioè i finanziamenti infruttiferi), quanto, ad esempio, i crediti derivanti da prestiti concessi ai dipendenti. Per quel che concerne l’allocazione contabile di questi valori - analogamente a quanto si è visto per le partecipazioni e i titoli a reddito fisso - anche i crediti devono ritenersi rilevanti tanto se Pagina 111 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 iscritti fra le immobilizzazioni quanto se iscritti nell’attivo circolante. Pertanto, per le imprese che redigono il bilancio secondo le regole del D. Lgs. 127/’91, il riferimento è alle voci B,III, 2 e C,II dello stato patrimoniale mentre, per le imprese che redigono il bilancio secondo le regole del D.Lgs.87/’92, il riferimento è alle voci 20, 30 e 40 dell’attivo. I crediti esclusi dalla base di calcolo Proprio in tale ottica, pertanto, si colloca l’esclusione dei crediti commerciali i quali, per loro “natura”, sono direttamente correlati ai ricavi e agli altri proventi derivanti dalle operazioni rientranti nell’ordinaria attività dell’impresa e per nulla attinenti ad operazioni di investimento di carattere finanziario. Nella stessa prospettiva devono considerarsi esclusi i crediti per rimborsi d’imposta vantati nei confronti dell’Erario. Questi, ancorché idonei a produrre interessi, non sono da includere nella base di computo per il calcolo dei ricavi convenzionali in quanto, da un punto di vista giuridico, non sono ricollegabili a un rapporto di finanziamento, ne potendosi considerare tale il pagamento da parte del contribuente/società di imposte superiori a quelle dovute a causa di acconti, crediti d’imposta, ritenute eccedenti ovvero a causa di errori materiali o di inesistenza dell’obbligo di versamento. Una interessante problematica viene sollevata dall’Assonime con riferimento agli interessi per ritardato rimborso. Secondo le precisazioni fornite dall’Associazione infatti, in tali casi, generandosi dei proventi finanziari, rilevanti ai fini del calcolo dei ricavi in questione (par. 5), verrebbe a crearsi una - ulteriore - disomogeneità fra i ricavi effettivi e quelli convenzionali. Altre categorie di crediti che devono essere tenute fuori dalla base di calcolo dei ricavi convenzionali, sono quelle dei crediti - pur sempre derivanti da operazioni di finanziamento vantati nei confronti di debitori assoggettati a procedure concorsuali e nei confronti di debitori morosi. Anche in questi ultimi casi, la ratio dell’esclusione deve ricercarsi nella loro inidoneità a generare interessi. Imprese in contabilità semplificata I soggetti in contabilità semplificata, invece, considerato che la tenuta delle scritture contabili di loro spettanza non permette l’evidenziazione dei crediti, ai fini della disciplina in esame non devono tenere conto di detti valori. Immobili destinati all’esercizio di attività commerciali Anche in ordine a tale categoria di beni, i dubbi sorti inizialmente con riferimento alla loro individuazione, hanno trovato una chiarificazione nella circolare del Ministero delle Finanze 48/E del 26 febbraio 1997. Inoltre, anche in questo ambito è opportuno tener conto della precedente considerazione, secondo la quale, in mancanza di una definizione di immobilizzazione nella disciplina fiscale, è necessario ricorrere all’accezione assunta dalla disciplina civilistica o, per maggior precisione, alla configurazione contabile emergente dallo stato patrimoniale del bilancio societario. Secondo le precisazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria nella indicata circolare, stante il tenore letterale della norma, occorre tener conto dei beni immobili costituiti da terreni e fabbricati, ed in particolare di quelli che emergono, come immobilizzazioni materiali, dalle seguenti voci dello stato patrimoniale: • B, II, 1) - terreni e fabbricati; • B, II, 4) - altri beni (solo con riferimento ai beni immobili eventualmente iscritti in tale voce); • per i soggetti tenuti alla redazione del bilancio secondo le regole del D.Lgs. 87/’92, il riferimento è quello alla voce 100) dell’attivo. Pagina 112 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Si può notare come, per gli immobili, oltre alla voce B, II 1), che rappresenta l’allocazione “naturale” di tali beni in base a quanto previsto dal principio contabile nazionale n. 16, viene richiamata anche la voce B, II 4) nella quale, sempre secondo i principi contenuti nel citato documento contabile, trovano collocazione altri beni - generalmente – mobili, ma anche beni immobiliari. Con riferimento agli immobili in leasing, è importante segnalare che, ai fini di cui trattasi, rilevano soltanto i beni acquisiti in locazione finanziaria e non anche quelli in locazione semplice, in comodato e/o presi a noleggio. Occorre inoltre aggiungere che i beni in questione rilevano, ai fini in esame, anche a prescindere, sia dalla circostanza che si tratti o meno di beni strumentali per l’attività ordinaria dell’impresa, sia dalla effettiva utilizzazione del bene stesso nel corso dell’esercizio. Sempre in tema di fabbricati, merita segnalare che il Ministero delle Finanze ha precisato che non assumono rilievo ai fini del computo in esame, i fabbricati in corso di costruzione, iscritti nel bilancio di esercizio alla voce B,II, 5 dello stato patrimoniale, come immobilizzazioni in corso. Ciò nella considerazione che trattasi di beni non ancora idonei a produrre alcun tipo di provento. Allo stesso modo, devono considerarsi esclusi dal calcolo dei ricavi convenzionali gli acconti eventualmente iscritti nella medesima voce del bilancio (per esempio, nei casi di costruzioni in appalto). Navi destinate all’esercizio di attività commerciali (art. 8-bis, DPR 633/’72) Per quel che concerne i beni di cui all’articolo 8-bis, c. 1, lett. a) del DPR 633/’72 (le navi), rientrano nel computo di base tutte quelle destinate all’esercizio di attività commerciali o della pesca o a operazioni di salvataggio o di assistenza in mare ovvero destinate alla demolizione, ad esclusione delle unità da diporto di cui alla L. 11/02/’71, n. 50. Anche per questi beni (immobili e navi), i soggetti non tenuti ai fini fiscali alla redazione del bilancio, devono desumere i relativi valori dalle scritture contabili previste dall’articolo 18 del DPR 600/’73 (registri IVA e registro cespiti ammortizzabili). Le Altre Immobilizzazioni - Materiali ed Immateriali La terza, ed ultima, categoria di elementi patrimoniali rilevanti ai fini del calcolo dei ricavi convenzionali (coefficiente 15%), rappresenta una voce di carattere residuale, essendo ivi inclusi tutti gli altri beni che sono allocati nelle immobilizzazioni dell’attivo dello stato patrimoniale. In virtù di quanto chiarito dal Ministero delle Finanze con riferimento alle attività finanziarie ed, in particolare, alle partecipazioni in società di persone, va rilevato che esse sono da considerare in tale voce, ai fini in esame, soltanto se costituiscono immobilizzazioni (al riguardo, vedasi la parte dedicata alle immobilizzazioni finanziarie). - immobilizzazioni materiali Come precisato dalla circolare ministeriale 48/E, per esse, il riferimento è alle seguenti voci dell’attivo dello stato patrimoniale: • voce B, II, 2 - impianti e macchinari; • voce B, II, 3 - attrezzature industriali e commerciali; • voce B, II, 4 - altri beni, ad esclusione, naturalmente, delle navi di cui all’articolo 8-bis del DPR 633/’72 e degli immobili in locazione finanziaria che dovessero essere “eventualmente” iscritti in tale conto del bilancio. Anche per tale categoria di beni (come per i precedenti), rilevano anche quelli detenuti dall’impresa in locazione finanziaria, ad esclusione di quelli detenuti a titolo di locazione semplice, comodato e/o noleggio. Pagina 113 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - immobilizzazioni immateriali Con specifico riferimento a tale categoria di beni, il Ministero delle Finanze ha chiarito che, al fine in parola, assumono rilievo non soltanto i beni immateriali “veri e propri” e quindi, i diritti di brevetto industriale, i diritti di utilizzazione economica delle opere dell’ingegno, i diritti di concessione, i marchi eccetera, ma anche le spese di utilità pluriennale quali, i costi di impianto e di ampliamento, i costi di ricerca e sviluppo, le spese di pubblicità eccetera. Queste ultime, ovviamente, sempreché “...siano suscettibili di produrre ricavi e proventi...”. Al riguardo, occorre considerare che l’inclusione nella base di calcolo di tali beni, trova la sua giustificazione nel fatto che - anche - essi possono effettivamente costituire un sintomo di effettiva operatività dell’impresa, oltre a conservare una concreta capacità di produrre, in linea di principio, ricavi e proventi. Appare logico ritenere che l’eventuale loro coinvolgimento nel prospetto di calcolo per la verifica di operatività della società, dipende in particolar modo dal trattamento contabile che viene loro riservato. Infatti, vi rientreranno qualora l’impresa decidesse di patrimonializzare tali costi, mentre, nel caso opti per imputarli per intero a conto economico (come costi relativi all’esercizio interessato), dovranno necessariamente essere tenuti fuori dal calcolo. Un punto di notevole interesse che merita di essere evidenziato, concerne l’inclusione nella categoria in oggetto del valore dell’avviamento. In ordine a tale problematica - nei confronti della quale erano stati evidenziati legittimi dubbi di applicazione - è intervenuto il Ministero delle Finanze il quale, con la circolare 15/05/’97, n. 137/E, ha precisato che: “...relativamente alle immobilizzazioni immateriali, ai fini della individuazione dell’operatività di una società (...), fra le immobilizzazioni immateriali suscettibili di produrre ricavi o proventi, deve ritenersi incluso anche l’avviamento”. Ragguaglio del valore dei beni al periodo di possesso In ottemperanza al principio ispiratore della normativa sulle società non operative (corrispondenza tra i ricavi effettivi prodotti dall’impresa e valore dei beni utilizzati per la loro produzione), una regola di coerenza pratica e giuridica è quella secondo la quale, nelle ipotesi in cui il bene non viene detenuto dalla società per l’intero periodo d’imposta, è necessario procedere al ragguaglio del valore dello stesso bene al periodo di effettivo suo mantenimento nella contabilità. Le regole evidenziate trovano applicazione anche indipendentemente dalla durata dell’esercizio sociale; quindi tanto se sia stato di durata inferiore (6 mesi) quanto se sia stato di durata superiore (18 mesi) ai dodici mesi. 10.5. LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO MINIMO Qualora dal confronto tra i ricavi effettivi e quelli presunti, come sopra determinati, non dovesse essere soddisfatta la condizione di operatività posta dalla norma, scatta la presunzione semplice (cioè è ammessa la prova contraria), in virtù della quale il reddito d’impresa del periodo d’imposta cui si riferisce l’applicazione della disciplina in esame, non può essere inferiore a quello che si ottiene applicando determinati coefficienti di redditività (0,75% - 3% - 12%) al valore degli stessi elementi patrimoniali (rilevanti per la determinazione dei ricavi convenzionali) riferiti e riferibili allo stesso periodo d’imposta. Il calcolo del reddito minimo, sebbene trovi come base di riferimento le medesime categorie di beni utilizzate per il computo del reddito minimo si differenzia comunque da quest’ultimo per due rilevanti aspetti: • il valore dei beni non è dato dalla media dei ricavi del triennio precedente, ma va determinato con riferimento agli stessi beni posseduti nell’esercizio ; • le percentuali da adottare nel calcolo sono diverse. Pagina 114 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 10.6. LA PROVA CONTRARIA Il secondo periodo del primo comma dell’articolo 30 della legge 724/94 fa salva la possibilità di non applicare la normativa in esame fornendo prova contraria. La prova contraria deve essere sostenuta da riferimenti a oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il raggiungimento dei ricavi e proventi minimi. Ciò considerato, tutti i soggetti esercenti attività d’impresa in forma societaria possono essere classificati in tre categorie con riguardo alla disciplina delle società di comodo: - soggetti esclusi; - soggetti interessati; - soggetti interessati ma che grazie alla prova contraria possono non applicare la normativa. La prova contraria, che può essere fornita dalla società per vincere la presunzione di non operatività, deve essere sostenuta da riferimenti ad oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi, di proventi e di incrementi di rimanenze di ammontare almeno pari a quello presunto, il cui raggiungimento è richiesto perché la società possa essere esclusa dalla disciplina in esame. L’oggettività deve essere riferita a situazioni esterne all’azienda e quindi è esclusa qualora il mancato raggiungimento dei livelli minimi di ricavi sia da riferire a scelte imprenditoriali e quindi soggettive. Ma se ciò non bastasse tali situazioni oggettive devono anche risultare straordinarie e cioè essere tali da poter essere considerate come una reale alterazione della gestione ordinaria dell’attività. Il legislatore ha quindi fatto riferimento a principi generali che dovranno poi dai singoli contribuenti essere ricondotti agli accadimenti reali ed operativi della vita societaria. Esempi che possono essere proposti sono: - crisi di settore di carattere straordinario; - mancata distribuzione (in seguito, ad esempio, ad una crisi di settore) di dividendi da parte delle società controllate, nel caso di una società finanziaria; - furto che ha inciso in misura rilevante sull’entità delle rimanenze finali o sui ricavi; Pagina 115 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.B.14. Stabili organizzazioni ed uffici di rappresentanza di soggetti non residenti: definizione e tassazione (a cura di Fabio Colombo) Nonostante vi siano numerose disposizioni che richiamo il concetto di stabile organizzazione, l’ordinamento tributario italiano non ha fornito alcuna definizione compiuta, organica ed esaustiva del fenomeno fino alla riforma attuata a partire dal 2004, in cui si è previsto un apposito articolo (i.e. articolo 162 del Tuir) che disciplina la fattispecie giuridica in questione. Se il citato articolo 162 del Tuir fornisce una definizione di stabile organizzazione, ricalcata in larga parte da quella elaborata dall’OCSE, altri articoli all’interno del Tuir (ad esempio l’articolo 151, 152, 153 e 154) ne disciplinano la tassazione. La necessità d tenere sotto controllo i componenti attribuibili alla stabile organizzazione ha portato il legislatore ad introdurre una disposizione ad hoc in tema di accertamento all’articolo 14, comma 5 del D.P.R. n.600/73 in cui si prevede che, dalle scritture contabili delle società, enti e imprenditori che esercitano attività commerciali all'estero mediante stabili organizzazioni e quelli non residenti che esercitano attività commerciali in Italia mediante stabili organizzazioni, devono risultare distintamente i fatti di gestione che interessano le stabili organizzazioni, determinando separatamente i risultati dell'esercizio relativi a ciascuna di esse. Sulla base di quanto qui premesso, si illustra di seguito la disciplina in oggetto con riferimento sia alla definizione dell’amministrazione finanziaria, sia a quella fornita dalla giurisprudenza, sia a quella fornita dall’OCSE, cui, come già detto, la disciplina italiana attinge. 14.1. La definizione dell’amministrazione finanziaria Prima della riforma del diritto tributario, vi era grande difficoltà nell’operatività quando si tentava di individuare l’esistenza di una stabile organizzazione: nonostante i molti richiami al concetto di stabile organizzazione presenti nella legislazione nazionale, non vi era, infatti, alcuna definizione legislativa sostanziale che permettesse di riconoscere i tratti essenziali dell’istituto. A ciò si aggiunga che la casistica si presentava alquanto ampia, fatto che comportava di volta in volta la necessità di un’analisi approfondita del caso concreto. La forza di legge riconosciuta alle convenzioni internazionali aiutava a ritrovare una definizione e una soluzione ai casi concreti qualora gli stessi siano riferibili a situazioni territoriali coperte appunto dalle norme pattizie in tema di doppie imposizioni: infatti, il concetto di stabile organizzazione trovava solo in questa categoria di norme una sua precisa definizione. Il problema sorgeva, tuttavia, nel caso in cui l’ambito territoriale del caso concreto non risultava “coperto” da una norma convenzionale da cui poter dedurre il significato di stabile organizzazione. A tale problema aveva tentato di fornire una soluzione l’amministrazione che, con la circolare n.7/1496 del 30 aprile 1977 – relativa al domicilio dei soggetti diversi dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato – sosteneva che: - per individuare il luogo di domicilio fiscale, per le società estere occorre fare riferimento ai fini dell'individuazione del domicilio fiscale alle norme del C.C. e a quelle tributarie previste dall'art. 58 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Mentre per le società costituite all'estero con sede nel territorio dello Stato (art. 2505 C.C.) non sorgono particolari problemi, trattandosi di società che hanno la sede dell'amministrazione ovvero l'oggetto principale dell'impresa nel territorio medesimo, per le società estere con sede secondaria nel territorio dello Stato può aversi qualche difficoltà in ordine alla determinazione del domicilio fiscale. Ed invero occorrerà per questo secondo gruppo di società fare Pagina 116 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - riferimento in presenza di più sedi secondarie a quella che abbia la rappresentanza stabile, regolarmente registrata in conformità al disposto dell'art. 2506 del c.c.; per quanto concerne la individuazione dell'esistenza di una stabile organizzazione, si rileva che, in mancanza di una definizione legislativa, occorre fare riferimento all'unica fonte disponibile in materia emergente dagli accordi internazionali per l'eliminazione della doppia imposizione. A tal riguardo è interessante accennare alla definizione che della stabile organizzazione fornisce il modello di Convenzione adottato dall'Ocse (art. 5) cui si ispirano le corrispondenti clausole degli accordi stipulati dall'Italia. Ai sensi della richiamata disposizione, l'espressione "stabile organizzazione", identifica, in via generale, una "sede fissa di affari in cui l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività"; trattasi di una nozione piuttosto ampia che comunque evidenzia due elementi fondamentali, quali l'esistenza di una installazione fissa in senso tecnico (locali, materiale, attrezzature) e l'esercizio di attività da parte dell'impresa per mezzo di tale installazione. In sostanza si era ritenuto valido il riferimento alle definizioni offerte in sede internazionale dal modello di convenzione OCSE al fine di individuare la presenza o meno di una stabile organizzazione sita sul territorio nazionale anche nelle ipotesi in cui il caso concreto non risulti territorialmente coperto da una norma pattizia avente forza di legge in Italia. Con la riforma dell’ordinamento tributario, la disciplina in oggetto ha finalmente trovato posto nel Tuir. Ai sensi del già citato articolo 162 del Tuir, infatti, il legislatore ha formulato una definizione di stabile organizzazione, ossia di una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato. Costituisce, altresì, stabile organizzazione anche il soggetto residente o non residente che, nel territorio dello Stato conclude abitualmente in nome dell’impresa contratti diversi da quelli di acquisto di beni (salvo che si tratti di semplice mediatore). Accanto a questa definizione di portata generale, la disciplina tributaria prevede una serie di ulteriori e specifiche ipotesi in cui si configura una stabile organizzazione, a prescindere da ulteriori verifiche. Rientrano, a questo proposito, nella definizione di stabile organizzazione: - una sede direzionale; - una succursale; - un ufficio; - un’officina; - un laboratorio; - un cantiere di costruzione o di montaggio o installazione, nonché l’esercizio di attività di supervisione ad esso connesse, a condizione che il cantiere, progetto o attività abbia durata superiore a tre mesi (il modello OCSE considera un maggior tempo di 12 mesi); - una miniera, un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o un altro luogo di estrazione di risorse naturali anche in zone situate fuori dalle acque territoriali in cui, in conformità al diritto internazionale consuetudinario ed alla legislazione nazionale relativa all’esplorazione ed allo sfruttamento di risorse naturali, lo Stato può esercitare i diritti relativi al fondo del mare, al sottosuolo ed alle risorse naturali. Si fa presente come, mentre nella disciplina elaborata dall’OCSE la suddetta elencazione ha titolo meramente esemplificativo, l’ordinamento tributario italiano la recepita come espressione certa della presenza di stabile organizzazione nel territorio nazionale. La definizione di stabile organizzazione formulata dal legislatore, prosegue sempre nel citato articolo 162 con una serie di ipotesi in negativo, stabilendo che non può esser considerata stabile organizzazione una sede fissa qualora: - venga utilizzata ai soli fini del deposito, di esposizione ovvero di consegna di beni e/o merci appartenenti all’impresa; Pagina 117 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - i beni e le merci siano immagazzinati ai soli fini di deposito, di esposizione ovvero di consegna, nonché di trasformazione da parte di altra impresa; la sede fissa sia utilizzata ai soli fini di acquistare beni e merci ovvero di raccogliere informazioni per l’impresa ovvero di svolgere, per la stessa, qualsiasi altra attività che abbia carattere preparatorio avvero ausiliario; sia utilizzata ai fini dell’esercizio combinato delle suddette attività, purchè l’attività della sede fissa, quale risulta da tale combinazione, abbia carattere preparatorio avvero ausiliario. Non costituisce, infine stabile organizzazione: - la disponibilità, a qualsiasi titolo, di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di beni e servizi; - l’esercizio della propria attività nel territorio dello stato per mezzo: di un mediatore, di un commissionario generale o di altro intermediario indipendente (ad esempio libero professionista) i quali agiscano nell’ambito della loro ordinaria attività; di un raccomandatario marittimo ovvero di un mediatore marittimo che abbiano i poteri per la gestione commerciale o operativa delle navi dell’impresa, anche se in via continuativa. 14.2. La definizione della giurisprudenza Con una sentenza ormai datata (nr. 2672 del 9 luglio 1975) la Corte di Cassazione aveva di molto avvicinato il concetto di stabile organizzazione a quello di sede secondaria di cui all'art. 2506 del codice civile. Ma è chiaro che la stabile organizzazione, concetto tipicamente tributario, non sempre viene a coincidere con la sede secondaria come disciplinata dalle regole civilistiche: la stabile organizzazione può essere sede secondaria ma non necessariamente lo è. Gradualmente anche la giurisprudenza si è avvicinata alla definizione di sede secondaria indicata nel modello OCSE arrivando a statuire con la sentenza n. 9580 del 19 settembre 1990 che "... il concetto di stabile organizzazione, ai fini della soggezione all'Iva di società estere, ha una portata diversa e più ampia di quella di sede secondaria per la quale l'art. 2506 citato prescrive l'obbligatorietà della pubblicità corrispondente a quella prevista per le società costituite nello Stato". Nella medesima sentenza vengono individuati più precisamente alcune caratteristiche: - c'è stabile organizzazione quando esista una situazione di fatto che può identificarsi con il fine di esercitare nello Stato attività imprenditoriale; - occorre inoltre che la situazione non sia occasionale ma durevole nel tempo; - occorre inoltre che esista l’impiego di beni ed attività lavorative, coordinati per la produzione e/o lo scambio di beni - e servizi, e da un'effettiva, anche se limitata, autonomia funzionale. La sentenza citata della suprema corte è poi fondamentale in quanto puntualizza con seconda questione: il concetto di stabile organizzazione ai fini Iva. La massima ricorda infatti che: “La soggezione all'Iva dei soggetti non aventi nello Stato residenza, domicilio o sede, ai sensi degli artt. 7 e 35 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, presuppone che detti soggetti abbiano una stabile organizzazione nel territorio nazionale essendo questa riscontrabile in presenza di situazioni di fatto che, pur insuscettibili di essere ricondotte alla nozione di sede secondaria delineata dall'art. 2506 del codice civile, si rivelino, tuttavia, idonee a denotare il fine di quei soggetti di esercitare Pagina 118 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 in Italia una attività imprenditoriale, caratterizzandosi, oltre che per un collegamento non occasionale con luoghi del territorio nazionale e con persone qui operanti, per un effettivo impiego di beni ed attività lavorative coordinati in funzione della produzione e/o dello scambio di beni e servizi, e per una effettiva, ancorché limitata, autonomia funzionale”. In sostanza ciò che è stabilito è che il concetto di stabile organizzazione, ai fini della soggezione all'Iva di società estere, ha una portata diversa e più ampia di quella di sede secondaria contenuta nell’art. 2506 del codice civile. 14.3. La definizione fornita dall’OCSE Sembra dunque a questo fortemente necessario considerare le norme convenzionali al fine di individuare un possibile definizione di stabile organizzazione. Il modello di convenzione OCSE definisce “gradualmente” il concetto di stabile organizzazione. Detta una definizione generale, evidenzia specificatamente cosa debba essere considerato una stabile organizzazione, successivamente prevede una serie di esclusioni esplicite ed infine definisce un ulteriore ipotesi di stabile organizzazione definita solitamente stabile organizzazione personale. Ma vediamo nel dettaglio tali previsioni. In base all’art. 5 del modello di convenzione Ocse è una stabile organizzazione "una sede fissa di affari per mezzo della quale l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività". Secondo lo schema Ocse sono considerate stabili organizzazioni: - le sedi di direzione: - le succursali; - gli uffici; - le officine; - i laboratori; - le miniere, i pozzi di petrolio, di gas, le cave, eccetera; - i cantieri di costruzione o di montaggio la cui durata oltrepassa i dodici mesi - Al contrario secondo il modello Ocse non rientrano nel concetto di stabile organizzazione i seguenti casi: - se si fa uso di installazioni ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di beni o merci appartenenti all'impresa; - i beni o merci appartenenti all'impresa sono immagazzinati ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna; - i beni o merci appartenenti all'impresa sono immagazzinati ai soli fini della trasformazione da parte di un'altra impresa; - una sede fissa di affari è utilizzata ai soli fini di acquistare merci o di raccogliere informazioni per l'impresa; - una sede fissa di affari è utilizzata, per l'impresa, per svolgere qualsiasi altra attività di carattere preparatorio o ausiliario; - una sede fissa di affari è utilizzata ai soli fini dell'esercizio cumulato di attività menzionate alle lettere da a) a e), a condizione che l'attività di insieme della sede fissa di affari risultante da detto cumulo conservi un carattere preparatorio o ausiliario. - Per quanto concerne invece la stabile organizzazione personale, la stessa è verificabile nel caso in cui una persona agisce per nome e per conto di un impresa e che abbia il poter abitualmente di concludere contratti in nome dell’impresa. IL MODELLO OCSE è stabile organizzazione una sede fissa di affari per mezzo della quale l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività Pagina 119 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Esempi: le sedi di direzione: le succursali; gli uffici; le officine; i laboratori; le miniere, i pozzi di petrolio, di gas, le cave, eccetera; i cantieri di costruzione o di montaggio la cui durata oltrepassa i dodici mesi Esclusioni installazioni ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di beni o merci appartenenti all'impresa; i beni o merci appartenenti all'impresa sono immagazzinati ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna; i beni o merci appartenenti all'impresa sono immagazzinati ai soli fini della trasformazione da parte di un'altra impresa; una sede fissa di affari se utilizzata ai soli fini di acquistare merci o di raccogliere informazioni per l'impresa; una sede fissa di affari se utilizzata, per l'impresa, per svolgere qualsiasi altra attività di carattere preparatorio o ausiliario; una sede fissa di affari se utilizzata ai soli fini dell'esercizio cumulato di attività menzionate alle lettere da a) a e), a condizione che l'attività di insieme della sede fissa di affari risultante da detto cumulo conservi un carattere preparatorio o ausiliario. Stabile organizzazione personale Per quanto concerne invece la stabile organizzazione personale, la stessa è verificabile nel caso in cui una persona agisce per nome e per conto di un impresa e che abbia il poter abitualmente di concludere contratti in nome dell’impresa. I requisiti della stabile organizzazione Dall’analisi della disposizione di cui all’art. 5 del modello di convenzione, si è giunti ad individuare i requisiti di una stabile organizzazione: - esistenza di una sede di affari: l'installazione. Secondo il commentario con il termine sede di affari si intendono ogni luogo o attrezzatura utilizzabili per lo svolgimento dell’attività; - la sede d’affari deve essere fissa: la durevolezza. Non viene fissato (a parte l’ipotesi dei cantieri) un termine temporale a tale situazione ma è previsto che la sede d’affari debba essere collegata al territorio in modo permanente con un carattere durevole; - la sede d’affari deve essere fissa: la fissità spaziale. Vedi il commento precedente; - l’attività dell’impresa deve essere svolta in tutto o in parte per mezzo della stabile organizzazione: la connessione all'attività imprenditoriale e l'idoneità alla produttività. E’ un altro punto fondamentale in quanto permette di escludere dal novero delle stabili organizzazioni che possiedono tutti i precedenti requisiti. Se è vero infatti che tutte le attività imprenditoriali hanno carattere produttivo quest’ultima previsione vuole ad esempio escludere Pagina 120 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 dal novero delle stabili organizzazioni quelle sede fisse di affari che svolgono unicamente attività preparatorie alla vera e propria attività produttiva. L’installazione La verifica di tale presupposto è riscontrabile concretamente con la presenza di beni mobili ed immobili: locali, attrezzature, uffici, eccetera. Il concetto di installazione viene fatto coincidere con l’esistenza di un centro di imputazione di diritti e obblighi. E’ bene sottolineare che non è necessario la presenza dell’elemento umano tanto da poter configurare una stabile organizzazione anche per la semplice presenza di distributori automatici di bevande. La durevolezza La stabile organizzazione esiste solo se il rapporto con il luogo può definirsi durevole nel tempo ed esistono le condizioni perché perché la stessa possa “rimanere” nel tempo. In forza di tale espressioni non potrà configurarsi una stabile organizzazione per la presenza di un semplice stand fieristico. L’individuazione di tale elemento presenta non pochi problemi con riguardo all’individuazione del tempo necessario perché si possa parlare di durevolezza o meno. Fissità spaziale Questo ulteriore condizione si ricollega alla rpima sopra descritta. E’ necessario infatti che l'installazione abbia un suo spazio materiale durevole: il criterio dei dodici mesi, oltre i quali il cantiere diverrebbe stabile organizzazione ai sensi del punto 3) del citato art. 5 si scontra con la realtà pratica, e cioè gli inevitabili spostamenti molto spesso obbligati (si pensi alla costruzione di una strada). E' allora da ritenersi che occorra guardare al progetto di insieme ed alla sua durata, contrattuale ed effettiva. La connessione all’attività imprenditoriale E’ necessario il collegamento, di strumentalità o di oggetto, con l'impresa straniera, cioè la stabile organizzazione deve essere il mezzo con cui il soggetto straniero svolge, interamente o meno, la sua attività in Italia. Qui i dubbi si pongono per situazioni particolari quali il possesso di immobili o alla mera partecipazione in società. Si possono offrire delle linee per risolvere le problematiche. Se l'immobile o la partecipazione è a puro titolo di investimento senza alcuna gestione imprenditoriale sembra di concludere che non può in questo caso riconoscere l’esistenza di una stabile organizzazione. L’idoneità alla produttività La capacità di produrre reddito è l’ultimo dei requisiti indicati come necessari. Occorre in sostanza che vi sia potenzialmente la capacità di produrre dei redditi anche se il risultato economico dell'attività svolta dall'entità creata sia negativo. 10.4. Regole civilistiche e fiscali La rilevanza tributaria della stabile organizzazione e la sua indifferenza ai fini civilistici possono comportare l’insorgenza di non pochi problemi. Per individuare e risolvere le problematiche occorre considerare due presupposti: Pagina 121 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - esiste una piena autonomia della stabile organizzazione per quanto concerne i rapporti tributari; - la stabile organizzazione all'estero è invece civilisticamente un semplice braccio della casamadre. L’unico soggetto giuridico che si può riconoscere è la stessa casa-madre, a cui devono essere imputati tutti i rapporti giuridici della stabile organizzazione estera. La stabile organizzazione è, invece, rilevante ai fini tributari. Da ciò consegue che, anche se civilisticamente un certo rapporto gestito materialmente tra stabili organizzazioni viene imputato alle case-madri, dal punto di vista tributario la situazione è differente: le conseguenze reddituali del rapporto civilistico sono invece da imputare alle stabili organizzazioni. Con riferimento, pertanto, alle modalità di determinazione del reddito delle stabili organizzazioni in Italia occorre far riferimento al disposto dell’articolo 151, comma 1 e 153 del Tuir in cui si stabilisce un criterio di portata generale secondo cui “[…] il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali non residenti è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato, ad esclusione di quelli esenti dall’imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva […]”. A questo punto, la determinazione del reddito prodotto in Italia viene effettuata sulla base delle disposizioni generali previste dal Tuir ed analizzate nel capitolo precedente. In particolare, qualora le società ed enti svolgano attività commerciale con stabile organizzazione in Italia, il reddito complessivo viene determinato sulla base di un apposito conto economico relativo alle attività svolte ed ai redditi prodotti in Italia dai suddetti soggetti passivi: il reddito complessivo è costituito dal solo reddito d’impresa determinato, appunto, secondo i principi applicabili alle società commerciali residenti (articolo 151 e 152 Tuir). Qualora, invece, le società ed enti svolgano attività commerciale ma siano privi di stabile organizzazione in Italia, non potrà configurarsi reddito d’impresa ed il reddito complessivo verrà determinato sulla base dei criteri di determinazione previsti per le persone fisiche, ossia come somma algebrica dei redditi imponibili netti di ciascuna categoria di cui all’articolo 6 del Tuir, calcolati secondo le regole loro proprie (articolo 152 Tuir). Pagina 122 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.B.15. LA TRASPARENZA FISCALE DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI (a cura di Gianluca Alparone) Riferimenti di prassi e normativi Articolo 115 e art. 116 Tuir D.M. 23.04.04 Disposizioni applicative Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 4.8.04 C.M. n. 49/E del 22.11.04 C.M. n. 10/E del 16.3.05 punto 7 Assonime n. 65 del 9.12.05 15.1 Profili generali Con l'articolo 115 del TUIR, il regime di trasparenza, già in vigore per le sole società di persone, viene esteso alle società di capitali i cui soci siano a loro volta società di capitali, in possesso dei particolari requisiti che verranno in seguito esaminati. Il nuovo istituto presenta una fondamentale differenza rispetto a quello già conosciuto nel nostro ordinamento tributario in quanto per le società di persone la trasparenza fiscale costituisce da sempre il regime obbligatorio di tassazione, mentre per le società di capitali essa rappresenta una modalità di imposizione alternativa. In sostanza, con riferimento alle società di capitali, il legislatore ha lasciato la facoltà di optare o meno per la trasparenza a condizione che: - sia la società partecipata sia i soci siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge; - tutte le società coinvolte vi acconsentano. Nel caso in cui tali condizioni non risultino soddisfatte (s'immagini, ad esempio, che un socio di minoranza sia contrario ad esercitare l'opzione), continua a trovare applicazione il regime di tassazione ordinaria (nell'esempio, è impedita l'opzione per la trasparenza anche agli altri soci). Il regime ordinario, peraltro, torna ad essere operativo anche in ipotesi di mancato rinnovo dell'opzione entro il primo periodo d'imposta successivo al triennio di efficacia della stessa o nell'eventualità che i requisiti richiesti dalla legge vengano meno durante il periodo di trasparenza. In caso di esercizio dell'opzione, la società partecipata non deve assolvere l'IRES sul reddito prodotto perchè questo viene imputato per trasparenza ai singoli soci partecipanti, per la loro quota percentuale di partecipazione. A differenza del consolidato fiscale, il meccanismo impositivo della trasparenza prevede il consolidamento dei risultati della società partecipata in capo a tutti i soci e in misura corrispondente alla quota di partecipazione di ciascuno di essi. Nel regime di tassazione di gruppo, invece, è solo il soggetto controllante a determinare il reddito complessivo globale, calcolato come somma algebrica dei redditi complessivi netti delle società controllate. Inoltre, tali redditi rilevano integralmente per la società consolidante, cioè indipendentemente dalla quota di partecipazione posseduta (vedi articolo 118, comma 1, TUIR). Il reddito imputato per trasparenza, tassato in capo alla partecipante, è comunque determinato dalla società partecipata trasparente: pertanto quest’ultima, se pur priva di soggettività passiva di imposta in termini sostanziali, sarà comunque tenuta alla presentazione della dichiarazione dei redditi, analogamente a quanto accade per le società di persone. Pagina 123 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 15.2 Finalità e vantaggi Nel valutare l'opportunità di avvalersi o meno del regime fiscale della trasparenza occorre tener presente che: - Evita la doppia tassazione sui dividendi Se, da un lato, il regime alternativo può comportare la tassazione del socio prima che gli utili siano effettivamente percepiti dall'altro consente di ovviare alla parziale doppia imposizione che si realizza in capo al socio al momento della distribuzione dei dividendi. Il regime ordinario al quale sono attualmente assoggettate le società di capitali prevede, infatti, la tassazione del reddito prodotto in capo alla società e un'ulteriore tassazione, sia pur ridotta, sul dividendo percepito dal socio. - Effetti analoghi al consolidamento La tassazione per trasparenza, realizzando il consolidamento pro-quota dei risultati prodotti dalla partecipata con i risultati dei singoli soci, permette di ottenere vantaggi analoghi a quelli derivanti dal consolidamento fiscale vero e proprio, senza la necessità di possedere le percentuali di partecipazione richieste dalla legge per accedere a quest'ultimo regime. - Ovvia all’indeducibilità delle svalutazioni delle partecipazioni Grazie all'opzione di cui all'art. 115, si può ovviare all'irrilevanza delle perdite derivanti dalla svalutazione delle partecipazioni, che caratterizza il sistema impositivo dell'IRES. Tale finalità viene espressa chiaramente nella relazione al disegno di legge delega in cui si afferma che "l'indeducibilità delle perdite su partecipazioni, conseguenti all'introduzione della participation exemption, richiede l'introduzione di opportuni correttivi, per evitare la penalizzazione delle corporate joint ventures e, in genere, degli altri accordi che richiedono la costituzione di società di capitali, alla cui compagine sociale partecipano a loro volta altre società di capitali o enti commerciali. In questi casi, gli eventuali risultati negativi della joint venture sarebbero infatti fiscalmente irrilevanti per i partners, salva la possibilità per uno solo di questi, ricorrendone le condizioni, di avvalersi del consolidato fiscale. Al fine di rimuovere questo effetto negativo, sarà consentito, in questi casi, di optare per il regime di trasparenza fiscale delle società di persone". - Compensazione delle perdite Naturalmente, la partecipante che opti per il regime di trasparenza non solo può compensare i propri redditi con le perdite prodotte dalla società trasparente, ma anche operare la compensazione opposta cioè utilizzare i suoi risultati negativi (correnti o pregressi) a fronte dei redditi imputati per trasparenza dalla partecipata trasparente. - Beneficio per il pro-rata Infine, non va trascurato il beneficio che il nuovo regime presenta ai fini del calcolo del pro-rata patrimoniale, previsto dall'articolo 97, comma 2, lettera b), del TUIR. Tale disposizione, infatti, nel fissare una regola forfetaria volta a determinare l'ammontare degli oneri finanziari non deducibili nel caso di partecipazioni che si qualificano per l'esenzione di cui all'articolo 87 (qualora il loro valore di iscrizione in bilancio ecceda quello del patrimonio netto contabile), esclude che tale meccanismo operi con riferimento sia alle partecipazioni in società il cui reddito concorre insieme a quello della partecipante alla formazione dell'imponibile di gruppo, sia alle partecipazioni "in società il cui reddito e' imputato ai soci anche per effetto dell'opzione di cui all'art. 115". Pagina 124 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Tuttavia, si segnala che, per evitare comportamenti elusivi, il legislatore fa salva l'ipotesi della cessione di tali partecipazioni entro il terzo anno successivo all'acquisto, disponendo, in tal caso, la rettifica in aumento del reddito imponibile per l'importo corrispondente a quello degli interessi passivi dedotti nei precedenti esercizi in virtù della disposizione di favore. 15.3 Condizioni soggettive La possibilità di accedere al regime di trasparenza fiscale viene circoscritta, in generale, alle sole società di capitali residenti, interamente partecipate da altre società di capitali (residenti e, a certe condizioni, anche non residenti), ciascuna con una percentuale di partecipazione agli utili e di diritti di voto esercitabili nell'assemblea generale non inferiore al 10% e non superiore al 50%. Tali requisiti: - devono sussistere in capo a tutti i soci (“All in, all out”) - e permanere ininterrottamente a partire dal primo giorno fino al termine del periodo di validità dell'opzione, pena la fuoriuscita dal regime. La disposizione recata dal comma 1 dell'articolo 115, facendo espresso rinvio "ai soggetti di cui all'art. 73, comma 1, lettera a), al cui capitale sociale partecipano esclusivamente soggetti di cui allo stesso art. 73, comma 1, lettera a)...", consente l'applicazione del regime di trasparenza a condizione che la società partecipata e tutte le società partecipanti abbiano forma giuridica di SPA, SAPA, SRL, Soc. Coop. e di mutua assicurazione. Ne deriva che non possono avvalersi di tale regime gli enti pubblici economici e i consorzi che non risultino costituiti in forma societaria, essendo essi ricompresi nella lettera b) e non nella lettera a) del citato articolo 73. Risultano in ogni caso escluse dal regime le persone fisiche e le società di persone in qualità sia di società socie che di società partecipate. Requisito delle percentuali di partecipazione Misure minime e massime Ai sensi dell'articolo 115, comma 1, le società partecipanti possono optare per la trasparenza a condizione che detengano una partecipazione non inferiore al 10% (percentuale minima) né superiore al 50% (percentuale massima). La previsione riguardante la percentuale massima esclude dal regime di trasparenza le partecipazioni totalitarie, o comunque di controllo, per le quali risulta invece applicabile il regime del consolidato fiscale. Non vale l’effetto demoltiplicatore L'articolo 3 del DM 23.04.04 precisa, inoltre, che le percentuali di partecipazioni agli utili (e le percentuali di diritti di voto esercitabili in assemblea generale, esaminate nel paragrafo successivo) previste dal comma 1 dell'articolo 115 del nuovo TUIR devono essere computate tenendo conto esclusivamente della partecipazione diretta detenuta dal socio nella società partecipata. Non assume rilevanza, quindi, l'effetto di demoltiplicazione previsto dall'articolo 120, comma 1, del nuovo TUIR in materia di consolidato fiscale. Diritti di voto esercitabili dai soci. Si osserva che le percentuali (minime e massime) di partecipazione possedute dal socio devono essere tali da assicurargli sia diritti di voto che partecipazione agli utili. In particolare, per quanto attiene al diritto di voto, il comma 1 dell'articolo 115 stabilisce che lo stesso deve essere "esercitabile nell'assemblea generale richiamata dall'art. 2346 del Pagina 125 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 codice civile". Si tratta, in altri termini, del voto nell'assemblea generale degli azionisti che l'articolo 2346 del codice civile preclude ai titolari di strumenti finanziari partecipativi. A questo riguardo, il decreto ministeriale (articolo 3, comma 2) chiarisce che l'assemblea generale nella quale deve esercitarsi il diritto di voto, per le società per azioni e in accomandita per azioni, coincide con l'assemblea ordinaria prevista dagli articoli 2364 e 2364bis del codice civile, mentre per le SRL occorre fare riferimento all'assemblea di cui all'articolo 2479-bis del codice civile. Con le modifiche apportate dal Correttivo IRES (DLgs 18.11.05 n. 247) è stato stabilito che, ai soli fini dell’ammissione al regime della trasparenza in oggetto: - nella percentuale di partecipazione agli utili non si considerano le azioni prive del diritto di voto (azioni di risparmio e azioni di godimento). “Naturalmente, l’attribuzione dei redditi ai soci per trasparenza deve avvenire in base alla rispettiva % di partecipazione agli utili, determinata tenendo conto anche della quota di utile delle medesime azioni prive del diritto di voto. Il regime di trasparenza può dunque rendersi applicabile anche nel caso di un socio con una partecipazione agli utili (con conseguente attribuzione del reddito trasparente) superiore alla soglia limite del 50%, a condizione ovviamente che l’eccedenza rispetto a tale soglia sia riferibile alle azioni prive del diritto di voto” (Assonime). “Analogamente parrebbe logico ritenere che il regime in parola possa essere attivato anche se le azioni prive del diritto di voto appartengano a soci che, non avendo azioni ordinarie, non possono aderire al regime di trasparenza. Il punto è delicato e meriterebbe una conferma” (Assonime) - la quota di utili delle azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività sociale in un determinato settore (di cui all’art. 2350, 2° comma, 1° periodo, c.c.) si assume pari alla quota di partecipazione al capitale delle azioni medesime (in tal modo viene risolto il problema di individuare una % che rischia di essere variabile nel tempo). 15.3.1. Il principio "all in, all out" I requisiti previsti dalla norma devono risultare soddisfatti in capo a tutte le società partecipanti. Lo stabilisce espressamente la norma, affermando che il regime di tassazione alternativo per le società di capitali si può applicare solo alle società cui "partecipano esclusivamente" soci con i requisiti sopra richiamati. Ne consegue che se anche uno solo dei soci non presenta i requisiti richiesti, l'opzione risulta inesperibile anche da parte degli altri. L'opzione non può essere esercitata e, dunque non trova applicazione il regime di trasparenza nell'ipotesi in cui, ad esempio, una società sia partecipata da tre soci di cui, il primo, con una partecipazione del 50%, il secondo con il 45% e l'ultimo con una partecipazione minoritaria del 5%. La norma precisa, altresì, che i requisiti richiesti "devono sussistere a partire dal primo giorno del periodo d'imposta della partecipata in cui si esercita l'opzione e permanere ininterrottamente sino al termine del periodo d'opzione". In sostanza, il meccanismo e' rigido e prevede che se uno solo dei requisiti previsti al comma 1 venga temporaneamente a mancare, in capo ad uno o più soci, durante il periodo d'imposta interessato dall'opzione, si perde il diritto alla tassazione per trasparenza. 15.3.2. Contestuale possesso dei requisiti I soci devono possedere, contestualmente, tutti i requisiti previsti dalla norma. Pagina 126 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 E' dunque necessario che siano residenti nel territorio dello Stato, siano costituiti in forma di società di capitali e possedere azioni o quote rappresentative del capitale sociale che attribuiscano loro sia il diritto patrimoniale a percepire utili, sia il diritto amministrativo collegato all'esercizio del voto in assemblea ordinaria, in una percentuale non inferiore al 10% e non superiore al 50%. In alcuni casi si può verificare una dissociazione fra qualità di socio e titolarità di tali diritti, nel senso che gli stessi possono spettare a soggetti diversi. Tale ipotesi si verifica, ad esempio, quando un socio da' in pegno o in usufrutto i propri titoli o nel caso di sequestro delle azioni. Usufrutto di azioni Qualora i titoli vengano dati in usufrutto ad un terzo, l'opzione per la trasparenza fiscale non può essere esercitata e, se fosse stata già esercitata, cesserebbe di aver effetto, in quanto: - nel caso in cui all'usufruttuario sia attribuito, in virtù del contratto stipulato, solamente il diritto agli utili, ne' il nudo proprietario (socio) ne' lo stesso usufruttuario avrebbero il contemporaneo possesso dei requisiti richiesti dalla norma; - nel caso in cui le parti stabiliscano il trasferimento di entrambi i diritti in capo all'usufruttuario, quest'ultimo non godrebbe comunque della qualifica di socio, non partecipando al capitale. Diversamente, la possibilità di optare per la trasparenza fiscale non viene automaticamente preclusa se il socio decide di concedere in usufrutto parte dei suoi titoli ad un altro socio, privandosi dei connessi diritti patrimoniali e amministrativi. A tal fine, sarà necessario verificare che le percentuali di partecipazione agli utili e di diritti di voto effettivamente spettanti a ciascuno di essi restino nel range di ammissibilità voluto dal legislatore. In tal caso, si precisa che gli effetti fiscali conseguenti alla concessione in usufrutto delle azioni ad altri soci si manifesteranno a partire dal periodo d'imposta successivo alla suddetta operazione. Sequestro di azioni Nell'ipotesi di sequestro di azioni, analogamente a quanto accade per l'usufrutto, si ritiene che non sia possibile per il socio accedere al regime di trasparenza in quanto lo stesso perde il diritto di voto sulle azioni sequestrate. Tale diritto, infatti, ai sensi dell'articolo 2352 del codice civile, spetta al custode dei titoli. Azioni date in pegno Con riferimento al pegno, si possono verificare due diverse situazioni considerato che, ai sensi degli artt. 2352 (Pegno, usufrutto e sequestro delle azioni) e 2791 (Pegno di cosa fruttifera) del codice civile, il socio può accordarsi con il creditore pignoratizio sia in merito alla spettanza del diritto di voto, sia in merito all'attribuzione del diritto agli utili. I citati articoli prevedono, rispettivamente, che il diritto di voto spetti al creditore pignoratizio se non si conviene diversamente e che, in caso di pegno di cose fruttifere, il creditore abbia la facoltà di fare suoi i frutti, salvo patto contrario. Ne consegue che se il socio si priva di entrambi i diritti o di uno solo di essi, la società non può accedere alla trasparenza (o se l'opzione e' già stata esercitata, la stessa perde efficacia), venendo meno i requisiti per il socio. Diversamente, nel caso in cui il socio e il creditore pignoratizio convengono che il diritto di voto e il diritto agli utili continuino a sussistere in capo al socio medesimo, non si verificano preclusioni all'esercizio dell'opzione (o al mantenimento del regime fiscale della trasparenza). 15.3.3 Soci non residenti Di regola, le società caratterizzate dalla forma giuridica sopra indicata devono essere residenti nel territorio dello Stato. Tuttavia la legge ammette l'eventuale presenza di soci non residenti nella compagine sociale della società per la quale s'intende optare per la trasparenza. Pagina 127 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Infatti, la circostanza che una o più società partecipanti abbiano la residenza all'estero non impedisce di per sé l'esercizio dell'opzione. Il legislatore ha esteso, infatti, anche alle società non residenti nel territorio dello Stato la possibilità di accedere al regime fiscale della trasparenza, a condizione che (art. 115, 2° comma): - abbiano gli stessi requisiti richiesti alle residenti (relativi alle percentuali di diritti di voto e di partecipazione agli utili che devono essere posseduti ininterrottamente, a partire dal primo giorno fino al termine del periodo di validità dell'opzione). - non vi sia l'obbligo di ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti. - l’eventuale ritenuta, se applicata, sia suscettibile di integrale rimborso (art. 1, comma 2, DM 23.4.04) In altri termini, il DM chiarisce che il coinvolgimento dei soggetti non residenti si riferisce alle sole società socie, che possono avvalersi del regime della trasparenza indipendentemente dalla loro forma giuridica (soggetti indicati all’art. 73, comma 1, lett. d) Tuir). Sulla base di tale disposizione, viene semplificato l'accesso al regime opzionale, eliminando la necessità di compiere, caso per caso, il difficile esame sulla tipologia della società non residente per verificare se la stessa possa essere assimilata o meno alle società di capitali previste dall'ordinamento interno. Assenza di ritenuta alla fonte La ratio della 2^ condizione consiste nel mantenere inalterata, sul piano della tassazione, la situazione vigente anteriormente all'esercizio dell'opzione per il regime di trasparenza. Tale finalità poteva essere perseguita dal legislatore soltanto ammettendo al regime in esame soci non residenti non assoggettati a ritenuta in relazione agli utili distribuiti dalla partecipata residente. Ordinariamente, infatti, dopo che la società partecipata da soggetti non residenti è stata tassata sui redditi prodotti, si aggiunge la tassazione del socio estero, tramite la ritenuta sul dividendo percepito. In tal caso, a voler ammettere tutte le società non residenti al regime di trasparenza, la tassazione avrebbe colpito soltanto il reddito imputato per trasparenza ai soci esteri, posto che le successive distribuzioni di dividendi non avrebbero concorso a formare il reddito dei percettori. Si ricorda che, attualmente, non esistono convenzioni stipulate dal nostro Paese contro le doppie imposizioni che prevedano dividendi erogati da partecipate italiane esenti da ritenuta. Pertanto, questa condizione risulta soddisfatta soltanto in due ipotesi: 1. la partecipante non residente beneficia della Direttiva del Consiglio 23 luglio 1990, n. 90/435 (cosiddette società madri e figlie), attuata per i dividendi in uscita dall'articolo 27-bis del D.P.R. n. 600/73. L'applicazione della Direttiva citata presuppone il rispetto delle seguenti condizioni: - costituzione in una delle forme giuridiche previste nell'allegato alla citata Direttiva; - fissazione della residenza, ai fini fiscali, in un Paese appartenente alla Comunità Europea; - assoggettamento, nello stato di residenza, ad una delle imposte indicate nell'allegato della predetta Direttiva, senza possibilità di fruire di regimi di opzione o di esonero da tassazione che non siano territorialmente o temporalmente limitati; - possesso di una partecipazione diretta nel capitale della società residente (che intende optare per la tassazione per trasparenza) non inferiore al 25%, e a condizione che la partecipazione sia detenuta ininterrottamente per almeno un anno (deve essere anche prodotta la certificazione rilasciata dallo Stato estero che Pagina 128 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 attesti che la società non residente possieda i requisiti sopra indicati nonché la documentazione attestante la sussistenza delle condizioni richieste). La percentuale di partecipazione minima nel capitale della società residente è destinata a cambiare per effetto della Direttiva 2203/123/CE (GUCE del 13.1.04) che doveva essere recepita in Italia entro e non oltre il 1° gennaio 2005. La Direttiva prevede una riduzione graduale della citata percentuale secondo il seguente iter: - dal 25% al 20%; - dal 20% al 15%; - dal 15% al 10% con effetto dal 1° gennaio 2009. 2. la partecipante non residente abbia nel territorio dello Stato italiano una stabile organizzazione cui si riferisce la partecipazione nella società trasparente, posto che, ai sensi dell'articolo 27, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, nessuna ritenuta deve essere operata in tale circostanza sugli utili distribuiti dalla società trasparente in relazione alla suddetta partecipazione. Si osserva che, in questa ipotesi, la società partecipante potrà essere anche una società residente in un Paese non appartenente alla Comunità Europea. Se non viene soddisfatto il requisito della non applicazione delle ritenute sui dividendi distribuiti ai soci non residenti, l'opzione non può essere esercitata e, se già esercitata, cessa di avere efficacia fin dall'inizio del periodo d'imposta in cui il socio estero perde l'agevolazione. Si fa presente che il requisito della detenzione ininterrotta per almeno un anno della partecipazione qualificata, richiesto per la non applicazione delle ritenute sui dividendi distribuiti non va necessariamente verificato su un arco temporale precedente a quello dal quale decorre il regime di trasparenza. Si rammenta, a questo riguardo, che al socio estero è riconosciuta la possibilità di non subire ritenute sui dividendi anche prima che sia decorso il periodo minimo, purché la condizione richiesta per fruire di tale beneficio sia adempiuta anche successivamente alla data della delibera di distribuzione. Nell'eventualità che la condizione della detenzione ininterrotta non risulti soddisfatta entro il primo periodo di trasparenza, l'opzione si considera come non perfezionata. Tassazione in Italia dei redditi di partecipazione dei soci esteri Come per i soci residenti, la tassazione per trasparenza comporta l'imputazione, pro quota, dei redditi della partecipata in capo ai soggetti non residenti, indipendentemente dell'effettiva percezione dei dividendi. Considerata l'espressa previsione normativa dell'articolo 23, comma 1, lettera g) del TUIR, i redditi imputati ai soci non residenti si considerano prodotti nel territorio dello Stato e, conseguentemente, concorrono a formare il reddito imponibile degli stessi soci in Italia. 15.4. Condizioni oggettive Il meccanismo di funzionamento del regime di tassazione per trasparenza è strutturato in maniera analoga a quello già previsto per le società di persone. Il comma 1 dell'articolo 115, ricalcando la formulazione dell'articolo 5 del previgente TUIR, stabilisce, infatti, che il reddito prodotto dalla società di capitali “è” imputato a ciascun socio, indipendentemente dall'effettiva percezione, alla data di chiusura dell'esercizio della partecipata e in proporzione alla quota di partecipazione agli utili che ciascuno di essi possiede alla predetta data. Pagina 129 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 15.4.1. Coincidenza o meno degli esercizi sociali Nel regime di trasparenza, in assenza di disposizioni analoghe a quelle previste per il regime del consolidato, l'opzione può essere esercitata anche se il periodo d'imposta della partecipata non coincide con quello delle società partecipanti. L'imputazione del reddito per trasparenza non comporta particolari problemi qualora tutte le società coinvolte abbiano esercizi coincidenti con l'anno solare; diversamente, l'imputazione del reddito può verificarsi "in corso d'anno", con la conseguenza che le imposte sul reddito prodotto dalla partecipata, dovute pro-quota dalle partecipanti, potrebbero essere liquidate mesi dopo, in sede di dichiarazione dei redditi di ciascuna società socia. La norma precisa che, sulla base dello stesso criterio di attribuzione, ogni socio può scomputare dalle relative imposte dovute le ritenute operate a titolo di acconto sui redditi della società partecipata, i crediti d'imposta e gli acconti versati dalla stessa. ata di chiusura dell’esercizio Conformemente alle società di persone, si ritiene che l'imputazione del reddito per trasparenza (fermo restando il possesso degli altri requisiti) possa avvenire soltanto nei confronti di coloro che possiedono la qualifica di soci alla data di chiusura dell'esercizio. Gli atti con i quali si modificano le percentuali di partecipazione agli utili, lasciando immutata l'originaria compagine societaria e senza fuoriuscita dal range fissato dalla norma, spiegano efficacia, ai fini dell'imputazione del reddito, a partire dal periodo d'imposta successivo a quello nel quale sono posti in essere. In pratica, qualora non vi sia ingresso di un nuovo socio ma si intervenga una modifica della quota di partecipazione agli utili o alle perdite, le modifiche spiegano efficacia sul piano fiscale dell’imputazione del reddito a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui si sono verificate. Ciò in analogia con la disposizione di cui all'articolo 5, comma 2, del TUIR, riferita alle società di persone, al cui regime fiscale s'ispira la trasparenza delle società in esame. Ingresso di un nuovo socio L’ingresso di un nuovo socio soggetto IRES non determina la fuoriuscita dal regime a condizione che vengano rispettate le % di partecipazione minime e massime. Trattandosi di sostituzione soggettiva il risultato finale sarà attribuito per trasparenza ai soci che rivestono tale qualifica alla data di chiusura dell’esercizio. In particolare, con riferimento alla variazione della compagine sociale, si evidenzia che qualora i soci entranti soddisfino le condizioni previste dalla legge, questi restano vincolati all'opzione già esercitata dai vecchi soci. Se, da un lato, il legislatore ha ritenuto opportuno tutelare i soci di minoranza prevedendo l'espressa manifestazione di assenso da parte di tutte le società coinvolte dal nuovo istituto prima di consentire l'imputazione ai soci di redditi non effettivamente percepiti, dall'altro, per garantire una maggiore facilità e semplicità di accesso al regime della trasparenza, ha stabilito che tale opzione continui ad essere efficace anche nei confronti degli eventuali successivi soci entranti (in possesso dei requisiti). In altre parole, non si e' ritenuto necessario che anche questi ultimi esercitino, a loro volta, l'opzione per il regime di trasparenza. A differenza del socio uscente, infatti, chi decide di subentrare in una società di capitali che ha optato per la trasparenza fiscale, decide di farlo consapevole del regime di tassazione che si renderà applicabile alla sua partecipazione. Occorre considerare, inoltre, che, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del decreto ministeriale, il socio cedente ha l'obbligo di comunicare al socio cessionario l'avvenuta opzione. In caso di aumento del capitale sociale con ingresso di nuovi soci, sarà solo la partecipata a dover effettuare nei confronti di costoro la comunicazione del regime fiscale vigente. Pagina 130 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Si osserva che il decreto ministeriale, sul punto, non fissa alcuna regola ne' specifica la forma che deve avere tale comunicazione (sia quella effettuata dal cedente che quella della partecipata). Si ritiene, pertanto, valida qualunque modalità che dia evidenza giuridica di tale adempimento, ferma restando, per ovvie ragioni, l'esigenza che tale comunicazione venga effettuata prima della cessione delle quote. L'eventuale omissione della comunicazione al socio entrante, prescindendo da ogni valutazione civilistica, non provoca però effetti sul piano fiscale, nel senso che la scelta operata per il regime di trasparenza, essendo irrevocabile, continuerà comunque ad avere efficacia. Quindi, la modifica delle percentuali di partecipazione agli utili e dei diritti di voto tra i soci e/o la modifica della compagine sociale non comportano l'automatica perdita di efficacia dell'opzione. Anche al verificarsi di tali cambiamenti, infatti, e' garantita la possibilità di continuare ad avvalersi della trasparenza fiscale se comunque permangono in capo ai soci i requisiti previsti dall'articolo 115 del nuovo TUIR (articolo 6, comma 2, del decreto ministeriale). 15.4.2. Catena societaria a cascata E' possibile applicare il regime di trasparenza "a cascata" lungo la catena societaria. La società alla quale viene imputato, per trasparenza, il reddito della partecipata può, a sua volta, imputare per trasparenza il proprio reddito alle sue partecipanti. Sempre che, naturalmente, tutte le società coinvolte abbiano esercitato l'opzione e soddisfino le condizioni previste dalla legge. 15.4.3. Casi di perdita Nonostante l'espressione "imputazione del reddito imponibile" utilizzata dal legislatore, il regime di trasparenza si riferisce anche all'ipotesi in cui la società partecipata abbia registrato una perdita di periodo (ipotesi, peraltro, espressamente disciplinata nell'ultimo capoverso del comma 3 del citato articolo 115). Considerato che l'imputazione "per trasparenza" può riferirsi anche ad un risultato fiscale negativo della partecipata, l'esercizio dell'opzione può comportare il verificarsi di situazioni differenti in capo a ciascuna società partecipante. In particolare, l'imputazione del reddito della partecipata trasparente può: - determinare un aumento dell'imponibile in capo al socio; - essere compensata, in tutto o in parte, con una perdita del socio. Mentre, l'imputazione per trasparenza di una perdita può: - compensare, in tutto o in parte, i redditi positivi del socio; - incrementare la perdita del socio. 15.4.4. Cause di esclusione Con le modifiche apportate dal Correttivo IRES (DLgs 18.11.05 n. 247) l’esercizio dell’opzione non è consentito nel caso in cui (art. 115, comma 1): a) i soci partecipanti fruiscano della riduzione dell’aliquota dell’IRES; b) la società partecipata eserciti l’opzione di cui agli artt. 117 e 130 Tuir (consolidato nazionale e mondiale) c) l'assoggettamento della società partecipata alle procedure concorsuali di cui all'articolo 101, comma 5, del nuovo TUIR Pagina 131 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Condizione sub a) Nella versione ante Correttivo, la causa di esclusione era rappresentata dall’emissione di strumenti finanziari di cui all'art. 2346, ultimo comma, del codice civile. Il Correttivo ha voluto eliminare una incongruenza del sistema che concedeva altrimenti la fruizione della trasparenza ad un soggetto potenzialmente non titolare di diritti di voto né di partecipazione al capitale sociale (come, per esempio, in caso di un contratto di associazione in partecipazione con la società trasparente in veste di associante). di 2 Soc. Cooperative Agricole Va notato che con la C.M. 10/E del 16.3.05 l’Agenzia aveva risposto negativamente a due società cooperative agricole che avevano invocato le agevolazioni di cui all’art. 10 Dpr 601/73 anche per la quota di reddito che derivava loro direttamente da una Spa trasparente. Condizione sub b) La società partecipata che decida di optare per la trasparenza fiscale non può farlo, con riferimento ai medesimi periodi d'imposta, anche per il regime del consolidato nazionale o mondiale. La norma vuole impedire che l'imponibile di gruppo, da tassare in capo alla sola società controllante capofila, possa essere imputato ad altri soggetti (soci ma non controllanti della stessa società capogruppo consolidante), mediante l'esercizio dell'opzione per la trasparenza fiscale. L'opzione infatti può essere esercitata qualora i soci partecipano, in qualità di soggetti controllanti o controllati, alle forme di consolidamento fiscale previste dagli articoli 117 e 130 del nuovo TUIR (art. 1, comma 3, DM). Condizione sub c) Alle cause previste dalla legge che inibiscono la trasparenza fiscale, il decreto ministeriale (art. 2, comma 1), ha aggiunto l'assoggettamento della partecipata alle procedure concorsuali di cui all'art. 101, comma 5, del TUIR. Si tratta, in altri termini, del fallimento, della liquidazione coatta amministrativa, della procedura di concordato preventivo e della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Pertanto, se una delle suddette procedure concorsuali si è aperta nei confronti della società partecipata, questa non potrà esercitare l'opzione di cui all'articolo 115. Nell'ipotesi in cui la partecipata si trovi già in regime di trasparenza, l'articolo 10 del decreto prevede, più precisamente, che l'opzione esercitata perde efficacia a partire dal periodo d'imposta avente inizio dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. 15.5. Esercizio dell’opzione Le modalità di esercizio dell'opzione sono disciplinate nel comma 4 dell'articolo 115 e, più in dettaglio, dal decreto ministeriale. In sintesi, l’opzione: - deve essere esercitata congiuntamente dalla stessa società e da tutti i suoi soci; - deve essere comunicata all'amministrazione finanziaria entro il primo dei tre periodi d'imposta della partecipata; - è vincolante per tre periodi d'imposta della società partecipata. Pagina 132 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Motivi di cautela fiscale hanno indotto il legislatore a stabilire, anche per il regime della trasparenza, l'irrevocabilità della scelta operata per un congruo periodo di tempo, cioè tale da evitare un utilizzo distorto dell'istituto. La norma prevede, inoltre, che l'opzione sia esercitata entro il primo dei tre periodi d'imposta della partecipata. Ciò significa che le società interessate possono decidere di effettuare l'opzione all'inizio come alla fine dell'anno, dunque anche dopo aver versato gli acconti. Se la partecipata ha già versato gli acconti relativi al periodo d'imposta per il quale è valida l'opzione per la trasparenza, questi siano scomputati dalle imposte dovute dai singoli soci, secondo la percentuale di partecipazione agli utili di ciascuno. In altri termini, la partecipata deve attribuirli proporzionalmente ai suoi soci. Per le modalità operative con cui effettuare l'opzione occorre fare riferimento al Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 4.8.04. L'opzione per la trasparenza, per essere valida, deve essere effettuata, oltre che dalla partecipata, anche dai soci, mediante l'invio alla società partecipata di una raccomandata con ricevuta di ritorno contenente la volontà di optare per il regime della trasparenza. Il DM non stabilisce gli specifici contenuti della comunicazione essendo sufficiente che dalla medesima si evinca inequivocabilmente la volontà della società di optare per la tassazione per trasparenza; L'opzione si perfeziona quando e' trasmessa all'Agenzia delle Entrate a cura della sola società partecipata, secondo le modalità indicate nel citato Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate. L'invio della comunicazione è condizione essenziale per l'ammissione al regime di trasparenza, essendo a tal fine irrilevanti eventuali comportamenti concludenti tenuti dalle società interessate. Non è valido il rinnovo tacito della scelta esercitata. Le modalità mediante le quali e' possibile rinnovare l'opzione alla scadenza naturale del triennio sono le medesime previste per la prima opzione. Nelle ipotesi in cui vi sia una modificazione della compagine sociale - ad esempio mediante ingresso di nuovi soci - e/o una modificazione delle percentuali di partecipazione nell'ambito della compagine sociale esistente che comportino la perdita di efficacia dell'opzione (comma 2) la società partecipata ha l'obbligo di informativa nei confronti dell'Agenzia dell'Entrate. Tale obbligo va assolto entro i trenta giorni successivi al mutamento verificatosi, secondo le modalità indicate nel provvedimento emanato dall'Agenzia delle Entrate. 15.5.1. Modalità di tassazione Per verificare gli impatti contabili del regime di trasparenza occorre individuare le conseguenze fiscali dell’opzione per tale regime. Nell’ipotesi di gruppi di società il socio riceve la quota di reddito di sua spettanza dalla partecipata che non lo tassa. Sarà infatti il socio che dopo averlo sommato a quello da lui prodotto lo sottoporrà ad imposizione. Il vantaggio si manifesta nell’ipotesi in cui le posizioni da sommare in capo al socio “partecipante” siano di segno opposto: ovvero quando il reddito ricevuto per trasparenza deve essere sommato con una perdita derivante dalla propria attività d'impresa o da altre partecipazioni trasparenti (o viceversa). Inoltre la trasparenza comporta il vantaggio di sfuggire alla doppia imposizione ormai introdotta sui dividendi erogati ai soci da parte dei soggetti Ires. La doppia tassazione emerge in quanto gli utili sono in primo luogo tassati in capo al soggetto produttore degli stessi e poi (parzialmente) tassati una seconda volta in capo al percettore. Con la trasparenza, evitandosi in ogni caso la tassazione in capo al soggetto produttore (società partecipante), decade anche la doppia tassazione prima evidenziata. Una importante particolarità concerne la limitazione prevista nel caso di imputazione delle perdite. Le stesse possono infatti essere trasferite ai soci nel limite della quota di patrimonio di Pagina 133 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 competenza del socio. Il decreto attuativo ha poi specificato che la quota di patrimonio netto contabile deve essere determinata: - senza considerare la perdita dell'esercizio - tenendo conto dei conferimenti effettuati entro la data di approvazione del relativo bilancio. Le previsioni del decreto mitigano quindi, almeno in parte, la stretta all’imputazione delle perdite prevista dal testo dell’art. 115. Gli effetti contabili La trasparenza porta come conseguenza la necessità di adottare precise regole, differenti da quelle ordinarie, in ambito contabile. Sia in sede di effettuazione delle scritture contabili che di redazione del bilancio d’esercizio l’opzione effettuata ai sensi dell’art. 115 comporta notevoli conseguenze. Le regole da osservare devono essere analizzate in primo luogo con riferimento ai diversi soggetti interessati ovvero con riferimento alla società partecipata e a quella partecipante. 1. Società partecipata In questo caso si devono analizzare due ipotesi: a) produzione di un reddito imponibile b) rilevazione di una perdita fiscale. a) produzione di reddito imponibile L’opzione per la trasparenza ha come effetto principale quello di rendere ininfluente in carico alla partecipata il reddito prodotto. Lo stesso è trasferito in capo ai soci partecipanti. Qualora pertanto vi sia la produzione di un reddito in un periodo d’imposta in cui vige il regime di trasparenza la società partecipata non dovrà effettuare alcuna scrittura con riguardo alla fiscalità. La stessa si limiterà (extra contabilmente) ad imputare il reddito prodotto pro quota ai partecipanti. Tale riferimento è chiaramente applicamene alla tassazione ai fini Ires non incidendo invece il regime di trasparenza ai fini Irap. Ciò comporterà un miglioramento del risultato d’esercizio della partecipata che non dovrà accantonare alcunché ai fini Ires. Ipotizzando pari a zero il carico Irap ed anche un reddito imponibile pari al risultato civilistico, a fronte di un utile prodotto pari € 1.000: - in assenza di opzione per la trasparenza la partecipante dovrà accantonare € 330 ai fini Ires, con un risultato netto pari a quindi € 670 (€ 1.000 - € 330); - in presenza di opzione per la trasparenza la partecipante non dovrà accantonare alcunché ai fini Ires, con un risultato netto che rimarrà pari € 1.000. E’ evidente come un conto economico che non presenti alcun onere correlato alle imposte d’esercizio pur in presenza di un risultato positivo dell’esercizio, può lasciare qualche dubbio. Si ritiene che il meccanismo della trasparenza e la motivazione che ha portato (correttamente) a non accantonare alcunché ai fini Ires, debba trovare idonea spiegazione in nota integrativa, al fine di permettere una reale comprensione degli accadimenti al lettore di bilancio. b) rilevazione di un risultato fiscale negativo Anche in questo caso la società partecipata non deve effettuare alcuna scrittura contabile nel momento in cui rileva la perdita fiscale maturata nell’esercizio (periodo d’imposta) e la trasferisce ai partecipanti. Anche in questa ipotesi il meccanismo della trasparenza si ritiene debba essere opportunamente illustrato nella nota integrativa. Pagina 134 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 2. Società partecipanti a) imputazione di un reddito Anche in questo caso le società partecipanti non devono rilevare contabilmente l’imputazione del reddito trasferito. Ma questa situazione comporta la necessità di imputare contabilmente la quota di imposte correlata al reddito trasferito per trasparenza. In sostanza il reddito imputato dalla partecipata andrà a sommarsi: - con il reddito prodotto in proprio dalla partecipante; - con eventuali altri redditi trasparenti. In sostanza il reddito trasferito per trasparenza assume rilevanza al apri di qualsiasi altra ripresa in aumento effettuata in sede di calcolo del reddito imponibile. Anche tale situazione deve essere illustrata nella nota integrativa. Occorrerà dare evidenza della variazione in aumento (definitiva e non temporanea) apportata al fine di ricostruire il totale del reddito imponibile assoggettato a tassazione in capo alla partecipante. b) risultato fiscale negativo Come nel caso sub 2.a: - non è necessaria alcuna scrittura contabile specifica che evidenzi l’imputazione della perdita; - l’imputazione influenzerà direttamente la scrittura contabile di accantonamento dell’Ires corrente; - occorre dare evidenza della variazione (in diminuzione) apportata al fine di ricostruire il totale del reddito imponibile assoggettato a tassazione in capo alla partecipante. GLI EFFETTI CONTABILI La partecipata Reddito La società partecipata non dovrà effettuare alcuna scrittura con riguardo alla fiscalità. La situazione deve trovare idonea spiegazione in nota integrativa, al fine di permettere una reale comprensione degli accadimenti al lettore di bilancio. Le partecipanti Reddito Le società partecipanti non devono rilevare contabilmente l’imputazione del reddito trasferito. Anche tale situazione deve essere illustrata nella nota integrativa. Perdita La società partecipata non deve effettuare alcuna scrittura contabile nel momento in cui rileva la perdita fiscale maturata nell’esercizio (periodo d’imposta) e la trasferisce ai partecipanti. Anche in questa ipotesi il meccanismo della trasparenza si ritiene debba essere opportunamente illustrato nella nota integrativa. Perdita Non è necessaria alcuna scrittura contabile specifica che evidenzi l’imputazione della perdita. Occorre dare evidenza della variazione (in diminuzione) apportata al fine di ricostruire il totale del reddito imponibile assoggettato a tassazione in capo alla partecipante. I conti d’ordine L’art. 115, comma 8 prevede che "la società partecipata è solidalmente responsabile con ciascun socio per l'imposta, le sanzioni e gli interessi conseguenti all'obbligo di imputazione del reddito". Pertanto nonostante la partecipata si liberi del reddito imponibile traslando per trasparenza al socio, ciò non comporta il raggiungimento da parte della società di una sicura e certa impunibilità Pagina 135 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 fiscale. La disposizione del comma 8 comporta che in capo alla partecipata si mantenga un impegno a rispondere solidalmente di eventuali imposte, sanzioni e interessi. Tale impegno deve essere pertanto esposto nei conti d’ordine (soluzione preferibile) o quanto meno chiaramente ed esplicitamente esposta in nota integrativa. Le ritenute La norma di legge (art. 115, comma 3 del Tuir) dispone che le ritenute operate a titolo di acconto sui redditi della società partecipata, i crediti d'imposta e gli acconti versati si scomputano dalle imposte dovute dai singoli soci. Il trasferimento ai soci avviene anche in questo caso sulla base della percentuale di partecipazione agli utili di ognuno dei partecipanti. L’ipotesi più comune dovrebbe essere quella che prevede come contropartita rispetto al trasferimento di ritenute, credit e acconti il pagamento di un quantum monetario di pari importo. In sostanza da un lato la partecipata trasferisce una certa quantità di crediti d’imposta e ottiene in cambio una contro partita monetaria. Pertanto la società partecipata dovrà: - iscrivere un credito verso i soci andando nel contempo ad azzerare i crediti verso l’erario; - nel momento dell’incasso della contropartita dovrà accreditare le disponibilità liquide ed azzerare il credito verso i soci. La società partecipante dovrà invece: - iscrivere un credito verso l’erario andando nel contempo ad incrementare i debiti verso la partecipata; - nel momento del pagamento del socio dovrà addebitare le disponibilità liquide ed azzerare il debito verso la partecipata. Nel caos in cui non si dovesse prevede una contropartita finanziari il trasferimento del credito e la sua iscrizione nel bilancio della partecipante non potranno che avere come contro partita un onere o un provento di conto economico. Distribuzione degli utili e delle riserve Il comma 5 dell’art. 115 dispone che “l'esercizio dell'opzione di cui al comma 4 non modifica il regime fiscale in capo ai soci di quanto distribuito dalla società partecipata utilizzando riserve costituite con utili di precedenti esercizi o riserve di cui all’articolo 47, comma 5. Ai fini dell'applicazione del presente comma, durante i periodi di validità dell'opzione, salva una diversa esplicita volontà assembleare, si considerano prioritariamente distribuiti gli utili imputati ai soci ai sensi del comma 1. In caso di coperture di perdite, si considerano prioritariamente utilizzati gli utili imputati ai soci ai sensi del comma 1”. Dopo aver fissato che il reddito imputato per trasparenza è tassato (indipendentemente dalla percezione) in capo al socio la norma si preoccupa anche di fissare le regole da applicare invece nel momento della percezione. Gli utili (o le riserve) che si formano nei periodi di trasparenza nel momento in cui sono effettivamente distribuiti non concorrono a formare il reddito dei soci. Tale regola è applicabile in ogni caso ovvero è applicabile anche nel caso in cui la distribuzione avvenga effettivamente in un periodo successivo a quello in cui l’opzione per la trasparenza è efficace. Inoltre è stabilito che la trasparenza: - non modifica la disciplina fiscale di cui all'art. 89 del testo unico relativamente alla distribuzione di riserve costituite con utili di precedenti esercizi - non altera quanto previsto dall’art. 47, comma 5. In particolari le nuove regole in vigore stabiliscono che non si riconosca più alcun credito d’imposta al percettore e la concorrenza ala formazione del reddito in misura pari al 5 per cento del loro ammontare. Sono inoltre fissate alcune presunzioni in forza delle quali si considerano Pagina 136 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 distribuiti prioritariamente gli utili imputati ai soci per trasparenza (anche se è possibile che l’assemblea dei soci stabilisca una diversa priorità) e che nel caso di copertura di perdite si considerano prioritariamente utilizzati gli utili imputati ai soci per trasparenza. La nota integrativa Non solo le innovazioni apportate dalla riforma del diritto societario ma che alcune delle novità del nuovo Tuir incideranno profondamente sulle modalità di redazione della nota integrativa. Come si è detto anche l’adozione del regime di trasparenza deve essere illustrato nella parte esplicativa del bilancio d’esercizio al fine di rendere palese le indicazioni numeriche fornite nello stato patrimoniale e conto economico. Un esempio di quanto descritto da una società partecipata può essere il seguente. Esempio La partecipata La Vostra società ha optato per il regime di trasparenza di cui all’art. 115 del Tuir. L’opzione risulta essere stata inviata in data …….. L’opzione è stata possibile in quanto al capitale sociale partecipano esclusivamente società a responsabilità limitata che possiedono una percentuale del diritto di voto e di partecipazione agli utili non inferiore al 10 per cento e non superiore al 50 per cento. Si è verificato che i requisiti di cui sopra sussistevano a partire dal primo giorno del periodo d'imposta e sono rimasti inalterati fino al termine del periodo. Inoltre ricordiamo che l’opzione è risultata possibile in quanto la Vostra società non ha emesso strumenti finanziari partecipativi e non ha esercito l’opzione per il regime del consolato fiscale. In forza dell’opzione esercita il reddito imponibile prodotto non è stato assoggettato a tassazione n quanto traslato in capo alle società partecipanti, a cui spetterà il compito di tassare lo stesso. In forza di ciò non sono stati imputati a conto economico importi da correlare all’Ires corrente. Considerando la disposizione secondo cui la “società partecipata è solidalmente responsabile con ciascun socio per l'imposta, le sanzioni e gli interessi conseguenti all'obbligo di imputazione del reddito” nei conti d’ordine è stato iscritto un importo corrispondente al rischio di regresso subito dalla Vostra società. La partecipante La Vostra società ha optato per il regime di trasparenza di cui all’art. 115 del Tuir. L’opzione risulta essere stata inviata in data …….. L’opzione è stata possibile in quanto al capitale sociale della società partecipata partecipano esclusivamente società a responsabilità limitata che possiedono una percentuale del diritto di voto e di partecipazione agli utili non inferiore al 10 per cento e non superiore al 50 per cento. Si è verificato che i requisiti di cui sopra sussistevano a partire dal primo giorno del periodo d'imposta e sono rimasti inalterati fino al termine del periodo. Inoltre ricordiamo che l’opzione è risultata possibile in quanto la società partecipata non ha emesso strumenti finanziari partecipativi e non ha esercito l’opzione per il regime del consolato fiscale. In forza dell’opzione esercita il reddito imponibile prodotto non è stato assoggettato a tassazione in capo alla partecipata in quanto traslato por quota in capo alle società partecipanti, a cui spetta il compito di tassare lo stesso. In forza di ciò con riguardo alla Vostra società le risultanze possono così essere schematizzate: - reddito imponibile prodotto: € ……………… - reddito imponibile imputato per trasparenza: € ………………… - reddito imponibile totale: € ………………………… Pagina 137 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - aliquota d’imposta applicata: 33% imposte correnti (IRES) : € …………………………. Pagina 138 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.B.15–bis. La trasparenza fiscale delle società a ristretta base proprietaria 15-bis.1. Il quadro normativo – finalità e vantaggi I chiarimenti forniti in relazione alle disposizioni della trasparenza di cui all’articolo 115 del Tuir sono estensibili anche alla disciplina della trasparenza delle società a ristretta base partecipativa. Il meccanismo di funzionamento del regime di tassazione per trasparenza delle società a ristretta base partecipativa e' analogo a quello previsto dall'articolo 115 per le altre società di capitali: la quota di reddito (o di perdita) della società a responsabilità limitata (o della cooperativa) viene imputata in capo al socio, a prescindere dal fatto che questi percepisca effettivamente tale quota di utili. In particolare, l'adozione del regime di trasparenza permette ai soci, che svolgono anche attività d'impresa, di compensare gli utili e le perdite, derivanti dalla partecipazione, con le perdite ed utili derivanti da attività commerciali. L'obbligo del pagamento dell'imposta sul reddito della partecipata si sposta dalla sfera societaria al socio persona fisica, con la conseguenza che il reddito della partecipata sconterà nella sostanza le aliquote previste nell'ambito della tassazione IRPEF. L'opzione per il regime fiscale in esame consente alla società ed ai suoi soci di ottenere particolari vantaggi fiscali, considerato che il reddito della società partecipata viene trasferito dalla sfera impositiva IRES, cui corrisponde una tassazione ordinaria con aliquota al 33 per cento, alla sfera impositiva IRPEF (futura IRE), nella quale per i redditi di minore ammontare operano aliquote inferiori a quella proporzionale prevista per le società. Il regime di trasparenza consente di evitare qualsiasi ulteriore tassazione degli utili al momento della loro distribuzione; non opererà, pertanto la ordinaria tassazione (40 per cento del dividendo distribuito per le partecipazioni qualificate, ovvero la ritenuta a titolo d'imposta del 12,50 per cento, nel caso di possesso di partecipazioni non qualificate). 15-bis.2. Ambito soggettivo L'articolo 116, comma 1, del nuovo TUIR stabilisce che possono accedere al regime di trasparenza le società a responsabilità limitata, disciplinate dagli artt. 2462 e ss. del codice civile, e le società cooperative, di cui agli artt. 2511 e ss. del codice civile. Le società partecipate rientranti in una delle tipologie commerciali indicate ed i suoi soci potranno avvalersi del regime di trasparenza, a condizione che le prime siano in possesso dei seguenti requisiti: - volume di ricavi non superiore alla soglia prevista per l'applicazione degli studi di settore. Per tutti gli studi approvati fino al 2004 i relativi decreti ministeriali hanno fissato il limite in esame a 10 miliardi di lire corrispondenti a euro 5.164.569,00. Qualora in futuro dovessero essere approvati studi applicabili in presenza di un ammontare di ricavi inferiore alla predetta soglia, di tale minore importo si dovrà tenere conto anche ai fini della applicazione del regime di trasparenza per le società che operano in tali settori. - compagine sociale composta esclusivamente da soci persone fisiche, anche esercenti attività d'impresa, in numero non superiore a dieci ovvero a venti, nel caso di società cooperative. In considerazione del requisito formale richiesto dalla norma per accedere al regime fiscale in esame, e' da ritenere che possano rientrare, nella tipologia dei soggetti ammessi alla trasparenza, anche i consorzi svolgenti attività commerciale, costituiti da imprenditori individuali (artt. 2612 e ss. del c.c.) sotto forma di società Pagina 139 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 a responsabilità limitata, fermo restante il possesso dei requisiti richiesti dalle norme di seguito commentate. Inoltre, la disciplina del regime fiscale della trasparenza delle società a responsabilità limitata (o cooperative) e' applicabile a condizione che tutti i soci partecipanti siano persone fisiche: - residenti in Italia, anche se esercitano attività d'impresa; - non residenti, a condizione che il reddito venga imputato con riferimento ad una partecipazione detenuta attraverso una stabile organizzazione. La condizione di accesso alla trasparenza appena richiamata si ricollega altresì alla circostanza che il socio estero non sia soggetto alla ritenuta a titolo d'imposta (con aliquota del 27 per cento); circostanza che si verifica quando la sua partecipazione e' detenuta attraverso una stabile organizzazione (art. 27, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600); si evita così che il regime in esame possa divenire per i non residenti (soggetti a ritenuta) uno strumento elusivo idoneo a sottrarsi alla ritenuta sui dividendi erogati dalla società partecipata. Ai sensi dell'art. 116 del nuovo TUIR, l'applicazione della trasparenza non richiede, per le società a ristretta base partecipativa, la sussistenza in capo ai soci dei requisiti indicati al comma 1 dell'articolo 115, concernenti le soglie massime e minime di diritti al voto e di partecipazione agli utili. Ai fini dell'applicabilità del regime e' necessario, invece, che i soci siano persone fisiche e che il loro numero, durante tutto il periodo d'imposta trasparente, non ecceda le dieci unità (venti per i soci delle cooperative). Rileva, in particolare, il numero dei soci iscritti nel libro di cui all'art. 2478, primo comma, numero 1), del codice civile; per la verifica di tale numero occorre considerare, inoltre, gli eventuali comproprietari della medesima quota, nel caso in cui i relativi diritti vengano esercitati a mezzo di rappresentante comune (art. 2468, quinto comma del codice civile). L'assenza dei vincoli connessi a soglie massime di partecipazione, previsti invece dall'art. 115, consente di fruire del regime di trasparenza previsto dall'articolo 116 anche alle società a responsabilità limitata di tipo unipersonale. 15-bis.2.1. Cause specifiche di esclusione Una prima causa di esclusione dal regime, specificamente prevista dall'art. 116, comma 1, ultimo periodo, consiste nel possesso o acquisizione, da parte della società trasparente, di partecipazioni che si qualificano per il regime di esenzione, di cui all'art. 87 del nuovo TUIR (c.d. participation exemption). In considerazione del rinvio operato dall'ultimo comma dell'art. 14, del citato decreto ministeriale, anche per le società a ristretta base partecipativa valgono come cause di esclusione dalla trasparenza: - l'opzione della partecipata per il consolidato nazionale o mondiale (art. 2, lettera b del decreto ministeriale); - l'assoggettamento della partecipata alle procedure concorsuali di cui all'art. 101, comma 5, del nuovo TUIR (art. 2, lettera c, del decreto ministeriale). 15-bis.3. Esercizio e durata dell'opzione L'art. 116, comma 1, regolamenta l'accesso al regime da parte delle società a ristretta base partecipativa, stabilendo che esso venga effettuato con le medesime modalità previste per le altre società di capitali ammesse alla trasparenza. Pagina 140 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 15-bis.4 Decadenza dal regime Come per le cause di esclusione, alcune cause di decadenza dal regime sono previste in modo specifico dall'art. 116 del nuovo TUIR e dall'art. 14 del decreto ministeriale; ulteriori ipotesi di decadenza vanno individuate per effetto del rinvio operato dall'art. 14, ultimo comma, del decreto ministeriale alle norme applicabili in materia di trasparenza delle altre società di capitali. Le specifiche cause di decadenza dal regime L'art. 14, comma 2, del decreto ministeriale disciplina la decorrenza degli effetti della perdita di efficacia dell'opzione, nel caso in cui vengano meno i requisiti previsti per l'accesso alla trasparenza, relativamente: a) al superamento della soglia massima dei ricavi: la decadenza ha efficacia a partire dal periodo d'imposta successivo b) al venir meno dei requisiti dei soci: la decadenza dall'opzione produce effetti immediati ossia dal periodo d'imposta nel corso del quale si verifica che: b.1) la compagine sociale della società partecipata non e' più costituita esclusivamente da persone fisiche; b.2) il numero dei soci anche per un breve lasso di tempo risulta superiore a dieci (venti nel caso di cooperativa); b.3) i soci non residenti non operano più attraverso una stabile organizzazione. Altre cause di decadenza dal regime Per effetto di quanto previsto dall'art. 14, ultimo comma, del decreto ministeriale, che richiama - ove compatibili - le norme sulla trasparenza delle altre società di capitali, producono la decadenza dall'opzione: - l'assoggettamento della partecipata ad una delle procedure concorsuali, di cui all'art. 101, comma 5, del nuovo TUIR; - la trasformazione della partecipata in altra società non avente forma giuridica di s.r.l. (ovvero cooperativa, purché costituite in entrambi i casi da sole persone fisiche); - il trasferimento all'estero della residenza della società partecipata. 15-bis.5. Imputazione del reddito della società partecipata Come avviene nel regime di trasparenza delle altre società di capitali, il reddito prodotto dalle s.r.l. (o società cooperative) viene attribuito ai soci esistenti alla data di chiusura dell'esercizio della partecipata, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili posseduta da ciascuno di essi ed a prescindere dall'effettiva percezione. L'imputazione ai soci dei risultati fiscali conseguiti dalla partecipata verrà pertanto effettuata in base alla situazione esistente alla data di chiusura del periodo d'imposta, come prescritto (in coerenza con l'art. 115, comma 3, del nuovo TUIR) dall'art. 7, commi 1 e 2, del decreto ministeriale, al quale deve intendersi esteso, per ragioni di omogeneità di trattamento fiscale delle s.r.l. alle altre società di capitali, il generico rinvio posto nel comma 4 dell'articolo 14. Coerentemente a quanto previsto per le altre società di capitali ammesse al regime di trasparenza disciplinato dall'articolo 115, come del resto già chiarito nella circolare 16 giugno 2004, n. 25, l'utile distribuito dalle società a responsabilità limitata trasparenti non concorre alla formazione del reddito imponibile dei soci all'atto della sua distribuzione. Considerato il principio di delega, secondo cui il regime di trasparenza e' ispirato alla "equiparazione ai fini delle imposte dirette della società a responsabilità limitata che esercita Pagina 141 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 l'opzione ad una società di persone", si ritiene che, come per queste ultime, anche in caso di applicazione del regime previsto dall'articolo 116 non concorra alla formazione del reddito imponibile dei soci neanche la parte di utile distribuito eccedente il reddito imponibile della società partecipata. L'irrilevanza fiscale degli utili distribuibili e' da ritenersi altresì operante quando la distribuzione venga effettuata, a seguito di una cessione di quote, nei confronti di persone fisiche che risultino soci diversi da quelli cui e' stato imputato in precedenza il reddito trasparente (si veda al riguardo il commento sulle cessioni di azioni delle società di cui all'articolo 115). Imputazione delle ritenute e dei crediti d'imposta Le ritenute ed i crediti d'imposta vengono attribuiti ai soci pro quota, con gli stessi criteri stabiliti dall'art. 115, comma 3, secondo periodo, nonché dall'art. 7, comma 3, del decreto ministeriale. Al riguardo si fa rinvio a quanto precisato nella parte generale riservata alla trasparenza ex art. 115. Imputazione delle perdite della partecipata Per espressa previsione dell'articolo 116, le perdite fiscali delle società a responsabilità limitata, ammesse alla trasparenza, seguono le stesse regole d'imputazione delle perdite fiscali delle società di cui all'articolo 115, al cui commento si rinvia. Inoltre, con riguardo al riporto delle perdite da parte dei soci, l'articolo 116 richiama - per finalità meramente antielusive - le regole d'imputazione delle perdite previste dal primo e terzo periodo del comma 3 dell'articolo 8. 15-bis.6. Regole residuali applicabili alle società a responsabilità limitata Il quarto ed ultimo comma dell'articolo 14 del decreto ministeriale disciplina gli aspetti residuali della trasparenza applicabile alle società a ristretta base societaria, operando un completo rinvio alle precedenti norme di tale decreto, ove queste ultime risultino compatibili con detto regime. Pertanto, nei confronti delle società a ristretta base partecipativa, devono ritenersi operanti anche le disposizioni precedentemente commentate in relazione ai seguenti istituti: - "regime delle riserve e degli utili pregressi" (art. 115, comma 5) e "distribuzione degli utili e delle riserve" (art. 8, del decreto ministeriale); - "rideterminazione del reddito imponibile" (artt. 115, comma 11, del nuovo TUIR ed 11 del decreto ministeriale): tale disposizione sarà evidentemente da applicare da parte dei soli soci che detengono tali partecipazioni in regime d'impresa. - "costo della partecipazione" (artt. 115, comma 12, del nuovo TUIR ed 8, comma 1, del decreto ministeriale); - regime degli "acconti" (artt. 115, comma 7, del nuovo TUIR e 9 del decreto ministeriale); in particolare per il primo periodo d'imposta di applicazione della trasparenza, la s.r.l. partecipata deve comunque corrispondere nei termini ordinari gli acconti IRES, pur non avendo evidentemente gli obblighi per il pagamento del relativo saldo. Detti acconti, com'e' noto, possono essere calcolati dalla società sulla base del c.d. "criterio storico", ovvero c.d. "metodo previsionale"; in tal caso andrà calcolata un'imposta IRES "figurativa", dovuta qualora non si fosse optato per la trasparenza. L'acconto sull'Ires "figurativa" dovrà altresì essere corrisposto dalla società partecipata nei termini ordinari nell'ipotesi di mancato rinnovo dell'opzione al termine del triennio. Gli stessi termini ordinari dovranno essere rispettati qualora si verifichi decadenza dal regime per una delle cause sopra esaminate; tuttavia viene consentito di effettuare detto versamento nei trenta giorni successivi qualora i termini ordinari scadessero prima di questi ultimi. In base a quanto previsto dal comma 3 del citato Pagina 142 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 art. 115, gli acconti IRES versati dalla partecipata potranno essere pro quota scomputati dai soci in relazione all'IRPEF (o futura IRE) dovuta sui redditi imputati per trasparenza. La disposizione dell'ultimo periodo dell'art. 9 del decreto ministeriale, con riferimento alla trasparenza delle società di capitali di cui all'art. 115 del nuovo TUIR, prevede che in caso di uscita dal regime i soci possano cedere alla società gli acconti da essi corrisposti in relazione ai redditi trasparenti. Detta cessione deve avvenire con le modalità previste dall'art. 43-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 che, come noto, riguarda la cessione delle eccedenze d'imposta nell'ambito dei gruppi societari. Tale procedura troverà applicazione anche nei confronti delle società a ristretta base partecipativa; pertanto, in caso di uscita dal regime, i soci persone fisiche possono cedere alla partecipata gli acconti versati, secondo la procedura stabilita al citato art. 43-ter. Al riguardo si rileva che la cessione dovrà riguardare l'acconto afferente il reddito trasparente; in presenza di redditi di diversa natura la quota di acconto da cedere verrà, pertanto, calcolata in base alla percentuale derivante dal rapporto tra il reddito imputato per trasparenza ed il reddito complessivo. Con riferimento ai soci detentori di partecipazioni nell'ambito di attività che danno luogo a reddito d'impresa, si rileva che, ai sensi dell'art. 97, comma 2, lettera b), n. 2, del nuovo TUIR, le partecipazioni nelle società trasparenti, di cui all'art. 115, possono essere escluse dal calcolo del "pro rata patrimoniale". Stante l'equiparazione delle s.r.l. trasparenti alle società di cui all'art. 115, si ritiene che anche i soci titolari di reddito d'impresa possano escludere dal predetto calcolo le partecipazioni societarie rientranti nell'art. 116. Pagina 143 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.B.16. Il consolidato fiscale nazionale (a cura di Gianluca Alparone) Fino all’entrata in vigore della riforma fiscale il nostro ordinamento giuridico conosceva soltanto un metodo di consolidamento di tipo finanziario (si pensi alla procedura dell’Iva di gruppo di cui all’art. 73 D.P.R. n.633/72 e alla cessione delle eccedenze d’imposta di cui all’art. 43-ter D.P.R. n.602/73. Oltre alle metodologie di consolidamento finanziario, vi sono almeno due altri metodi di consolidamento: 1) consolidamento degli imponibili 2) tassazione in base al bilancio consolidato. Il nostro legislatore ha scelto il 1° metodo alternativo in quanto più semplice da gestire ed utilizzabile anche dalle aziende che non sono tenute per legge a redigere il bilancio consolidato. Il metodo di consolidamento per imponibili consente di determinare un’unica base imponibile derivante da un’unica dichiarazione dei redditi nella quale vengono sommati algebricamente i redditi imponibili di ciascuna entità legale controllata che ha optato per il consolidato. Tale metodo è già utilizzato in altri paesi come la Francia, la Danimarca, gli Stati Uniti, i Paesi Bassi, la Spagna, il Portogallo. Così come evidenziato dalla relazione governativa che accompagna lo schema di D.Lgs., la disciplina del consolidato fiscale si propone diversi obiettivi: - dare riconoscimento fiscale alla nozione di gruppo di imprese (obiettivo implicito) consentendo allo stesso di porre in essere trasferimenti di flussi di reddito infragruppo fiscalmente neutrali; - porsi come naturale correttivo all’indeducibilità delle minusvalenze su partecipazioni, consentendo di utilizzare immediatamente le perdite fiscali delle società partecipanti in diminuzione dei redditi posseduti da altre partecipate che aderiscono al consolidato; - risolvere il problema dell’accumulo dei crediti d’imposta derivanti dalle dichiarazioni dei redditi delle società del gruppo; - superare le complessità fiscali derivanti delle operazioni straordinarie (fusioni, scissioni, ecc.) Poste in essere dai gruppi per compensare i risultati positivi e negativi delle diverse società e che, in taluni casi, configurano transazioni fatte a prezzi diversi da quelli “normali” o fittizie. 16.1. Condizioni soggettive L’opzione può essere esercitata da ciascuna entità legale solo in qualità di controllante o solo in qualità di controllata. In pratica, poiché il rapporto è bilaterale “all’interno dei gruppi potranno generarsi più consolidati, con l’unico limite che la società non può partecipare a 2 opzioni in qualità di consolidante e di consolidata”. Dal consolidato fiscale nazionale possono essere escluse alcune imprese pur soggette controllo di diritto (non vige, infatti, la differenza del consolidato mondiale, il principio cosiddetto all in all out) 16.1.1. Il soggetto controllante (art. 117) Pagina 144 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 La capogruppo deve essere un soggetto passivo IRES residente oppure un soggetto non residente ma con stabile organizzazione in Italia. Soggetti residenti: - Soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lett.a) – s.p.a.; s.a.p.a; s.r.l.; società cooperative e società di mutua assicurazione; - Soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lett.b) – enti pubblici e privati, diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale ai sensi dell’articolo 55 (tra tali enti si ricomprendono, oltre alle persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo unitario ed autonomo). Soggetti non residenti: - Soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lett.d) – società ed enti di ogni tipo, con o senza personalità giuridica, a condizione che: Siano solo controllanti; Siano residenti in paesi con cui è in vigore un accordo per evitare la doppia imposizione; Esercitano nel territorio dello stato attività d’impresa mediante stabile organizzazione; La partecipazione in ciascuna controllata deve essere connessa alla suddetta stabile organizzazione. A tal proposito si ricorda che, dal punto di vista civilistico, la stabile organizzazione non è un soggetto giuridico distinto dalla società cui fa parte, mentre da un punto di vista fiscale, assume veste autonoma con la conseguenza che sarà necessario distinguere tra partecipazioni riferite alla società non residente e partecipazioni riferite alla stabile organizzazione 16.1.2. Il soggetto controllato (art. 117) Le controllate sono necessariamente società di capitali residenti in Italia ed in particolare soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lett.a) – s.p.a.; s.a.p.a; s.r.l. Si noti che l’art. 120, comma 1, Tuir (definizione del requisito di controllo), richiamando le sole forme giuridiche della spa, srl e sapa, di fatto esclude le società cooperative e società di mutua assicurazione. Definizione di controllo (art. 120 Tuir) La misura della partecipazione non deve essere inferiore a quella necessaria per il controllo di diritto, diretto o indiretto, di cui all’articolo 2359 c.c. Secondo il quale “ sono controllate le società in cui un’altra società dispone, direttamente o indirettamente, della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria”. Il controllo di diritto deve sussistere con i requisiti di cui all’art 120 Tuir secondo il quale le Spa le Sapa e le Srl si considerano controllate quando la controllante partecipa, direttamente o indirettamente, per una percentuale superiore al 50% al capitale sociale e agli utili delle citate partecipate, tenendo conto anche dell’effetto demoltiplicatore derivante dalla catena societaria di controllo (cioè della effettiva quota di partecipazione) ma senza considerare le azioni prive del diritto di voto esercitatile nell’assemblea generale. Il requisito del controllo deve sussistere “ininterrottamente” sin dall’inizio del periodo d’imposta per il quale la società o ente controllante e la società controllata optano per il consolidato. Pagina 145 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Soggetti espressamente esclusi (art.126) Società che fruiscono della riduzione dell’aliquota dell’imposta sui redditi delle società (cioè che adottano regimi fiscali particolari nei quali non trova riscontro l’applicazione dell’aliquota unica IRES del 33%). Società per le quali si verifichi il fallimento o la liquidazione coatta amministrativa, le quali, se hanno optato per la tassazione di gruppo decadono dai benefici con effetto decorrente dall’inizio dell’esercizio in cui interviene la dichiarazione di fallimento o il provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa. L’opzione e’ irrevocabilmente di durata triennale, salvo le eccezioni del caso. Tale vincolo temporale è motivato da una logica di cautela fiscale per far sì che la disciplina in commento non si applichi ai quei soggetti che solo occasionalmente transitino all’interno del gruppo e se ne escono una volta conseguiti i benefici fiscali connessi. Nei casi di operazioni straordinarie (fusioni, scissioni e liquidazione volontaria) “l’opzione non perde efficacia e le società interessate continueranno a fare parte del consolidato anche per i periodi d’imposta che di determinano all’interno dello stesso esercizio sociale”. Tale rigida previsione decade nel caso in cui viene meno il controllo di diritto e Si interrompe nei casi previsti dall’art. 124, comma 5. Puo’ essere derogata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lett.m) del d.lgs n.344/2003 secondo cui le opzioni fatte possono essere revocate con effetto dagli esercizi relativamente ai quali le norme per la determinazione del reddito d’impresa sono adeguate ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (ce) n.19 luglio 2002, n.1606/2002 del parlamento europeo e del consiglio del 19 luglio 2002. 16.2. Condizioni oggettive Ai fini dell’applicazione della disciplina in oggetto, occorre soddisfare una serie di condizioni: a) Identità dell’esercizio sociale di ciascuna società controllata con quello della società o ente controllante (cioè identità di chiusura del periodo d’imposta secondo la relazione governative) Anche una società di nuova costituzione può optare per il consolidato, ove ricorrano gli altri requisiti. Ovviamente, se l’esercizio chiude il 31.12 e la costituzione avviene dopo il 30 giugno la disciplina del consolidato “si applicherà solo dal periodo d’imposta successivo, visto che l’opzione deve essere comunicata all’amministrazione finanziaria. Entro il 6° mese del primo esercizio in cui ha inizio la tassazione di gruppo, nella fattispecie entro il 30/6 del periodo d’imposta” b) L’opzione va esercitata congiuntamente da ciascuna controllante e controllata dando luogo “a opzioni in coppia”. c) Ciascuna controllata deve eleggere domicilio presso la società o ente controllante ai fini della notifica di atti e provvedimenti relativi ai periodi d’imposta per i quali è esercitata l’opzione; d) L’avvenuto esercizio congiunto deve essere comunicato all’amministrazione finanziaria. Entro il 6° mese del 1° esercizio cui si riferisce l’esercizio dell’opzione stessa con le modalità che saranno stabilite con decreto di cui all’articolo 129. Tale comunicazione ha efficacia costitutiva nei confronti sia dell’amministrazione finanziaria che delle parti. 16.4. Determinazione di un unico reddito complessivo consolidato Alla controllante compete il riporto a nuovo della eventuale perdita emergente, la liquidazione dell’unica imposta dovuta o eccedenza rimborsabile o riportabile a nuovo.Le eccedenze di imposta riportate a nuovo dalle società che hanno aderito al consolidato e relative agli esercizi pregressi a quello di inizio del consolidamento possono essere utilizzate dalla società controllante o alternativamente dalle società cui competono. Pagina 146 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 In ogni caso, resta ferma la possibilità di cederle all’interno del gruppo alle condizioni poste dall’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/73. Le perdite fiscali pregresse (anteriori all’inizio della tassazione di gruppo) possono essere utilizzate solo dalle società cui si riferiscono. Secondo la relazione governativa al decreto “in sede di consolidato, le società dovranno dapprima compensare le perdite pregresse (anteriori all’introduzione della tassazione di gruppo) con i propri imponibili positivi e successivamente trasferire il saldo (se positivo) ovvero la perdita d’esercizio alla controllante” A riguardo è intervenuta l’agenzia delle entrate chiarendo che il comportamento previsto nella relazione può essere assunto anche dalla controllante con riferimento alle proprie perdite pregresse prima del consolidato (che può compensare prima del consolidato solo con utili propri e non può utilizzarle per compensare imponibili delle controllate). La società controllante che consolida è l’unica legittimata a riportare a nuovo l’eventuale perdita risultante dalla somma algebrica degli imponibili (oltre che a liquidare l’unica imposta dovuta o l’unica eccedenza rimborsabile o riportabile a nuovo) La controllante beneficia del risparmio fiscale derivante dall’utilizzo delle perdite provenienti dalle società consolidate. Al fine di evitare che la società che trasferisce le perdite risulti penalizzata dall’impossibilità di utilizzare le stesse in compensazione dei redditi futuri, l’art.118, comma 4 dispone l’esclusione dal concorso alla formazione del reddito imponibile delle somme versate o percepite tra le società “consolidate” in contropartita dei vantaggi fiscali ricevuti o attribuiti. E’ necessario al riguardo formulare le seguenti osservazioni: il compenso è stabilito dalla libera contrattazione delle parti; la sua determinazione assume rilevanza in presenza di partecipazioni non totalitarie, per cui al fine di non ledere gli interessi dei soci di minoranza sarebbe opportuno un accordo tra le parti per regolare tali situazioni. In caso di interruzione del regime prima del decorso del triennio, le perdite fiscali risultanti dalla dichiarazione unico di consolidamento (così come i crediti chiesti a rimborso e, salvo diversa opzione, le eccedenze riportate a nuovo) permangono nell’esclusiva disponibilità della società o ente controllante, salva la possibilità prevista dall’articolo 124, comma 4 di prevedere appositi criteri (con il decreto attuativo di cui all’articolo 129) per l’attribuzione delle perdite fiscali alle società che le hanno prodotte e nei cui confronti viene meno il requisito del controllo. Modalità di determinazione dell’unico reddito Si tratta della somma algebrica dei redditi complessivi netti (positivi e negativi) delle società coinvolte. Per quanto concerne le controllate va preso l’intero importo indipendentemente dalla quota di partecipazione riferibile al soggetto controllante. Rettifiche di consolidamento: - Variazioni in diminuzione per la quota imponibile dei dividendi distribuiti dalle controllate, anche se provenienti da utili assoggettati tassazione in esercizi precedenti quello di inizio dell’opzione. Questa totale esclusione dal concorso alla formazione del reddito complessivo del gruppo dei dividendi distribuiti dalle controllate rappresenta un’agevolazione rispetto al regime ordinario, che prevede un’esclusione limitata al 95% del dividendo lordo. - Variazioni in aumento o diminuzione per tener conto della neutralizzazione degli effetti prodotti dalla norma di cui all’articolo 97 (pro-rata patrimoniale, in base al quale sono indeducibili gli interessi sui finanziamenti contratti per l’acquisto delle partecipazioni che Pagina 147 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - usufruiscono della participation exemption). L’ipotesi in cui il ricalcolo del pro-rata di indeducibilità può comportare una variazione in aumento nella dichiarazione consolidata è quella in cui la partecipante non consolida o non può consolidare tutte le partecipate e le partecipate consolidate hanno distribuito rilevanti importi di dividendi interamente non tassati nel regime del consolidato. Variazione in diminuzione per un importo pari alla differenza tra il valore di libro e quello fiscale riconosciuto dei beni assoggettati al regime di neutralità di cui all’art. 123 (plusvalenze realizzate in regime di neutralità fiscale per gli scambi infragruppo di determinati beni) In pratica, fra le società che hanno aderito al consolidato, le cessioni di beni - diversi da quelli che generano ricavi (art. 85) e da quelli soggetti alla participation exemption (art. 87) – possono avvenire in regime di continuità di valori fiscali riconosciuti – su opzione congiunta delle società coinvolte. L’opzione per la neutralità fiscale di tali scambi: - deve essere esercitata congiuntamente dalle due società del gruppo interessate dall’operazione (che possono anche concordare di applicare lo speciale regime di neutralità a singole operazioni anziché a tutti gli scambi infragruppo); - deve risultare da relativo contratto stipulato in forma scritta; - è valida a condizione che nella dichiarazione dei redditi della controllante risulti la differenza tra il valore di libro e il valore fiscale riconosciuto del cespite trasferito. E’ comunque la controllante a decidere se applicare o meno la neutralità fiscale nell’ambito dell’accordo tra le parti in quanto “la fattispecie rientra sicuramente tra le scelte di tipo economico che il gruppo ha la possibilità di effettuare” (telefisco ilsole24ore del 27.1.04). A riguardo, è prevista una norma antielusiva (art.123 comma 2) secondo cui le perdite fiscali pregresse (relative ad esercizi anteriori all’inizio della tassazione di gruppo) non possono essere utilizzate per compensare le plusvalenze realizzate dal cessionario con la successiva cessione o il successivo conferimento dei beni trasferiti secondo il presente regime di neutralità fiscale, salvo l’accoglimento di istanza di interpello di cui all’articolo37-bis comma 8 d.p.r. 600/73. In pratica occorre dimostrare che la cessione dei beni non ha inteso eludere alcuna disposizione dell’ordinamento e cioè per trasferire dei beni in regime di neutralità a favore di società che hanno a disposizione perdite fiscali maturate prima dell’ingresso nel consolidato e che possono poi eventualmente sterilizzare la plusvalenza derivante dalla cessione a terzi dei beni medesimi. 16.5. Obblighi e facoltà della controllante La posizione della controllante è imperniata da una serie di obblighi e facoltà: - Presentare la dichiarazione dei redditi del consolidato - Calcolare il reddito complessivo - Obblighi di versamento, utilizzo dei crediti d’imposta e delle ritenute d’acconto delle società controllate, la possibilità del riporto a nuovo delle perdite fiscali - Versare l’acconto determinato sulla base dell’imposta, al netto delle detrazioni, dei crediti d’imposta e delle ritenute d’acconto, corrispondente alla somma algebrica degli imponibili relativi al periodo precedente come indicati nella dichiarazione dei redditi della consolidata o, in caso di primo esercizio di consolidamento, presentate per il periodo stesso dalle società singolarmente considerate (in altre parole, per il primo esercizio la Pagina 148 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 controllante determina l’acconto dovuto comportandosi come se fosse già stata presentata per il periodo precedente la dichiarazione dei redditi consolidata.. D’altro canto le controllate devono: - Compilare il modello di dichiarazione dei redditi al fine di comunicare alla controllante la determinazione del proprio reddito complessivo, delle ritenute subite, delle detrazioni e dei crediti d’imposta spettanti (compresi quelli compensabili ex art. 17/241) e degli acconti autonomamente versati; - Allegare alla citata dichiarazione il prospetto relativo agli ammortamenti dei beni materiali e immateriali e agli altri accantonamenti e rettifiche; - Fornire alla controllante i dati relativi ai beni ceduti ed acquistati in regime di neutralità fiscale, specificando la differenza residua tra valore di libro e valore fiscale riconosciuto; - Collaborare con la controllante per l’adempimento degli obblighi nei confronti dell’amministrazione finanziaria Responsabilità controllata: - per le maggiori imposte accertate, sanzioni ed interessi con riferimento alla propria dichiarazione, al proprio reddito complessivo e alle modalità per la sua determinazione Responsabilità controllante: - per le maggiori imposte accertate, sanzioni ed interessi con riferimento alla propria dichiarazione e al proprio reddito complessivo - per le maggiori imposte accertate, sanzioni ed interessi con riferimento agli obblighi connessi alla determinazione del reddito complessivo globale di cui all’articolo 122 - in solido con ciascuna controllata, per le maggiori imposte accertate, sanzioni ed interessi con riferimento alle somme dovute ai sensi dell’articolo 127, comma 1 dalle controllate. Nel caso di omesso versamento dovuto in base alla dichiarazione dei redditi di cui all’articolo 122, le somme che risultano dovute sono richieste prioritariamente alla società o ente controllante 16.6. Svalutazioni dedotte su partecipazioni consolidate La ratio è quella di evitare che, nel passaggio da un sistema che ammette la svalutazione delle partecipazioni ad uno che prevede la tassazione di gruppo, gli stessi costi, concorrano più volte alla determinazione del reddito imponibile. In pratica, dapprima indirettamente tramite le svalutazioni delle partecipazioni operate a fronte di rettifiche di valore e di accantonamenti fondi rischi non deducibili effettuati dalla società controllata e tali da ridurre il proprio patrimonio netto contabile (operazione, quest’ultima, non più consentita per effetto dal d.l. 209 del 24.9.02) e poi dopo il consolidamento degli imponibili, quando diventano fiscalmente rilevanti per la partecipata cioè all’atto dell’utilizzo dei fondi da parte della partecipata con conseguente variazione in diminuzione. La norma parte quindi dal presupposto che la doppia deduzione del costo, resa possibile dal passaggio dal vecchio al nuovo sistema, costituisca un indebito vantaggio fiscale. “il meccanismo correttivo si applica in ogni caso in presenza di svalutazioni della partecipazione direttamente correlabili alla quota di riduzione del patrimonio netto della partecipata determinatasi per effetto delle anzidetti rettifiche di valore e accantonamenti. Pertanto la norma trova applicazione in presenza di svalutazioni derivanti da riduzioni del pn della partecipata susseguenti a perdite prodotte diverse da quelle c.d. Gestionali. Occorrerà riallineare i valori fiscali del patrimonio della partecipata ai valori contabili nei limiti dell’importo delle svalutazioni dedotte, rideterminando i valori stessi ripartendo le svalutazioni in proporzione a detti disallineamenti. Pagina 149 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Ambito applicativo svalutazioni dedotte nei 10 esercizi antecedenti quello dal quale ha effetto la tassazione consolidata e determinatesi per effetto di rettifiche di valore e accantonamenti fiscalmente non riconosciuti, al netto delle eventuali rivalutazioni assoggettate a tassazione. Modalità applicative si effettua un riallineamento dei valori fiscali ai valori civilistici degli elementi dell’attivo e del passivo di una controllata inclusa nel consolidato Per le società con esercizio coincidente con l’anno solare occorrerà verificare: - A decorrere dal 2004, le svalutazioni dedotte tra il 1994 e il 2003; - A decorrere dal 2005, le svalutazioni dedotte tra il 1995 e il 2003; Pagina 150 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.B.17. Il riporto delle perdite fiscali (a cura di Ottavio Mannara) 17.1. Disposizioni di carattere generale Ai sensi di quanto disposto dall’articolo 84 del D.P.R. n.917/86, nel caso in cui una società consegua una perdita fiscale, questa può essere portata in diminuzione dal reddito complessivo dei periodi di imposta successivi, eccetto che nel caso in cui siano verificate particolari compravendite di partecipazioni. La disciplina generale in oggetto lega il numero di esercizi entro i quali è possibile effettuare il riporto con il periodo in cui si è realizzata la perdita come segue: - le perdite realizzate nei primi tre periodi di imposta, a partire da quello di costituzione della società, possono essere compensate negli esercizi successivi senza limiti di tempo; - le perdite successive al terzo periodo d’imposta dalla costituzione della società possono essere compensate nei cinque esercizi successivi. Se alla fine del quinto esercizio la perdita non è ancora stata interamente compensata non è più possibile riportarla a nuovo. In presenza sia di perdite riportabili senza limite, sia di perdite riporta bili non oltre i cinque anni, si ritiene possibile utilizzare prima quelle limitate nel tempo Si tenga presente che, nel caso di procedure fallimentari o di liquidazione coatta amministrativa, il periodo compreso tra l'inizio del periodo d'imposta e la data di dichiarazione del fallimento o della liquidazione coatta costituisce un autonomo periodo d'imposta per il calcolo del quinquennio. Analogamente il periodo compreso fra l'inizio del fallimento o della liquidazione coatta e la chiusura delle stesse (Ris. Min. 4 novembre 1977. n.11/3745; Ris. Min. 1° settembre 1980, n. 9/1116; Ris. Min. 11 dicembre 1981, n. 9/4009). Qualora siano stati conseguiti proventi esenti da IRES, la perdita riportabile deve essere diminuita di un importo esattamente pari alla parte degli stessi che eccede l'ammontare degli interessi passivi e delle spese generali non dedotte. 17.2. Regole di imputazione Le perdite devono essere utilizzate nel rispetto di specifiche regole, previa la perdita del loro diritto alla deduzione: - devono essere dedotte per l'intero importo che trova capienza nel reddito dell'esercizio immediatamente successivo. Le perdite pregresse non compensate con il reddito dell'esercizio, per incapienza dello stesso, devono essere indicate in un apposito prospetto contenuto in dichiarazione dei redditi. - non è ammesso il riporto dell'eccedenza a periodi successivi o l'utilizzazione parziale quando il reddito imponibile dell'esercizio in corso è capiente, salvo il caso in cui, dalla riduzione parziale, derivi un'imposta pari ad uno dei seguenti crediti o eccedenze: crediti di imposta; ritenute alla fonte subite a titolo di acconto; versamenti di imposta in acconto. Le perdite non compensate nella dichiarazione dei redditi per assenza di reddito imponibile possono essere usate, se, successivamente a rettifica della dichiarazione, emerge un reddito imponibile (Ris. Min. 5 novembre 1976, n. 10/1429). Analogamente, può accadere che, a seguito di rettifica di una dichiarazione da cui emergeva una perdita fiscale riportabile, il reddito imponibile del periodo di imposta successivo non risulti più interamente compensato dalla minor Pagina 151 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 perdita riportata. In tal caso, l'eventuale imponibile ancora risultante può essere compensato con. altre perdite fiscali pregresse, purché non ancora cadute in prescrizione (5 anni dall’ esercizio in cui sono generate) (Circ. Min. 16 luglio 1998, n. 188/E). È, altresì, vietato riportare le perdite (anche relative a periodi precedenti) in presenza di trasferimenti di quote societarie che presentino determinate caratteristiche, a meno che il trasferimento sia effettuato all'interno del gruppo o riguardi società operative. Precisamente, ai sensi dell’articolo 84 comma 3 del Tuir, è vietato il riporto delle perdite se si verificano contemporaneamente le seguenti due situazioni: a) la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie della società che ha subito le perdite sono trasferite, o comunque acquisite da terzi, anche a titolo temporaneo. L'acquirente delle partecipazioni deve, a tal fine, acquisire il controllo della suddetta società: ciò si verifica sia nel caso di trasferimento di un pacchetto di controllo, sia in caso di integrazione della partecipazione già posseduta. Inoltre, il trasferimento può riguardare non solo la proprietà, ma anche altri diritti, come ad esempio l'usufrutto (Circ. Min. 19 dicembre 1997 n. 3201/E); b) nel periodo di imposta in cui è trasferita la partecipazione, ovvero nei due successivi o anteriori, viene modificata l'attività principale esercitata di fatto dalla società nel periodo in cui ha subito le perdite (la verifica deve, pertanto, riguardare cinque periodi di imposta). L'attività principale è valutata in base all'ammontare dei relativi ricavi. Il suddetto divieto non trova, però, applicazione: - per i trasferimenti di partecipazioni effettuati all'interno del gruppo societario, ossia se l'acquisto è effettuato da società controllate dallo stesso soggetto che controlla anche la società che ha subito le perdite, ovvero società che controllano il suddetto soggetto controllante; - per le cessioni di partecipazioni di società operative, ossia società che nel biennio precedente a quello di trasferimento hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore a 10, e nell’ esercizio precedente a quello di trasferimento un ammontare di ricavi e di spese per Prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, risultanti dal conto economico (rispettivamente alle voci a) n. l, b) n. 9lett. a) e b), superiore al 40% rispetto alla media degli ammontari relativi agli ultimi due esercizi anteriori. Pagina 152 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.B.18. I patrimoni destinati Le norme che disciplinano il nuovo istituto introdotto dalla riforma del diritto societario sono contenute negli articoli dal 2447-bis al 2447-novies del codice civile appunto dedicati alla disciplina dei patrimoni destinati ad uno specifico affare. Le regole generali dei patrimoni destinati possono così riepilogarsi: - una società può costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad uno specifico affare (art. 2447 bis, 1 comma, lett. a)); - per giungere a tale risultato si deve costituire una vera e propria separazione patrimoniale a cui sono da ricondurre beni e rapporti (“l’affare”). Tale patrimonio separato produrrà quindi un risultato autonomo che necessita di essere individuato tramite una contabilità “separata” che consideri solo gli atti e i fatti correlati allo stesso; - è necessaria una deliberazione costitutiva, contenente tutti i dati necessari alla identificazione dell’operazione; - è introdotto un regime di pubblicità, connesso all’efficacia reale della separazione; - è prevista la necessità di una contabilizzazione separata del patrimonio e sono fissati i principi per la redazione del bilancio. Secondo l’OIC “l’affare”, oltre ad essere “specifico”, ossia avere un oggetto ben individuato e non generico (l’esempio portato dall’organismo è quello della costruzione di un fabbricato e successiva vendita delle unità immobiliari di cui si compone) deve avere una durata determinata, mentre è esclusa la possibilità che lo stesso abbia una durata indeterminata (come può invece oggi avvenire per le società). Tale affermazione discende dall’analisi delle previsioni secondo cui l’affare deve essere “specifico”, per ogni affare deve esservi un apposito piano economicofinanziario che non può contenere previsioni di costi, ricavi e flussi finanziari per una durata indeterminata). Inoltre l’esclusione della possibilità di una durata indeterminata risulta anche, dalla norma dell’art. 2447-novies che parla di momento in cui l’affare può considerarsi “realizzato” e che prevede la compilazione di un “rendiconto finale” con riferimento ad una data che è necessariamente anteriore al termine di durata della società”. La contabilità “separata” Con riguardo alle regole contabili occorre prima di tutto sottolineare una differenziazione. La costituzione di un patrimonio destinato comporta la necessità di adempiere ad alcuni obblighi specifici del patrimonio destinato (creare una contabilità per lo stesso) ma anche seguire le indicazioni dettate dal codice civile per rappresentare tale contabilità “sezionale” nei bilanci d’esercizio. In primo luogo l’art. 2447-sexies prevede che per ciascuno specifico affare cui un patrimonio è destinato, gli amministratori della società costituente “tengono separatamente i libri e le scritture contabili prescritti dagli articoli 2214 e seguenti”. Per ogni patrimonio destinato devono essere tenuti appositi libri giornale e inventari, dalla cui compilazione deriverà una contabilità separata e quindi la possibilità di redigere uno stato patrimoniale e ad un conto economico del singolo affare Nel dettaglio le regole da seguire sono: - nel libro degli inventari si deve indicare una situazione patrimoniale iniziale costituita dalle attività e dalle (eventuali) passività che fanno parte del patrimonio destinato (da iscrivere anche tra i conti d’ordine); - le disponibilità liquide concernenti il singolo affare devono essere rilevate in specifici conti correnti bancari e/o postali; - se vengono emessi specifici strumenti finanziari, deve essere tenuto un apposito “libro” col contenuto precisato dal 2° periodo dell’art. 2447-sexies. Secondo l’OIC2 “nel libro degli inventari si parte da una situazione patrimoniale iniziale costituita dalle attività e dalle (eventuali) passività che fanno parte del patrimonio destinato, nonché dai diversi rapporti giuridici individuati nella delibera di “destinazione” ed iscritti fra i Pagina 153 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 conti d’ordine (cosiddetti off-balance sheet items nella terminologia internazionale). Sebbene non vi sia un espresso obbligo legislativo in tal senso, è ragionevole attendersi che le disponibilità liquide pertinenti all’affare (originarie e successive) siano rilevate in specifici conti correnti bancari e/o postali, relativi a ciascun affare”. L’art. 2447-septies, comma 2, stabilisce poi che “per ciascun patrimonio destinato gli amministratori redigono un separato rendiconto, allegato al bilancio, secondo quanto previsto dagli artt. 2423 e seguenti”. In forza del richiamo all’art. 2423 e seguenti, il rendiconto deve assumere la forma tradizionale e quindi essere composto da un conto economico, da uno stato patrimoniale e da una nota di commento, a meno che l’affare non si concluda all’interno di un esercizio sociale, nel qual caso secondo il nuovo principio contabile è sufficiente che il rendiconto sia “limitato all’illustrazione del risultato finale dell’affare medesimo” senza la necessità che esso assuma la struttura di un bilancio. Più nel dettaglio secondo l’organismo italiano di contabilità il rendiconto deve essere costituito da: - stato patrimoniale: redatto secondo gli schemi rigidi imposti dal codice civile (con la particolarità che nei conti d’ordine tra i rischi deve essere iscritto il valore della responsabilità illimitata se esistente). Nel patrimonio figurerà la voce patrimonio o deficit netto, suddivisa in importo originario, specifiche riserve conseguenti agli apporti di terzi, utile (perdita) di periodo, utili (perdita) dei periodi precedenti; - conto economico dello specifico affare: redatto secondo gli schemi rigidi imposti dal codice civile; - nota di commento; - rendicontazione dell’affare: deve contenere i criteri di valutazione adottati, i criteri di imputazione dei costi speciali o diretti dell’affare e di ripartizione dei costi generali industriali, amministrativi, commerciali, finanziari e tributari, i criteri di individuazione dei ricavi dell’affare e di eventuale separazione di ricavi comuni a più affari. E’ sempre necessario il riferimento al contenuto della delibera di costituzione del patrimonio destinato. Le regole e i principi da utilizzare per la redazione di tale documento sono quelli previsti in tema di redazione del bilancio d’esercizio e ciò vale anche con riguardo alla valutazione delle attività e passività che transitano nel patrimonio destinato da quello generale (non vi è pertanto la possibilità che con la destinazione si faccia luogo una rivalutazione di attività). Secondo l’OIC con riguardo ai trasferimenti da un patrimonio all’altro: - gli apporti dei terzi, in proprietà o in godimento per una durata determinata, vanno valorizzati al fair value del bene o del diritto di utilizzo temporaneo (es.: usufrutto) analogamente a quanto stabilito dall’art. 2343 codice civile per gli apporti in società di beni e di crediti; - i beni e crediti trasferiti dal patrimonio generale al patrimonio destinato in sede di costituzione iniziale di questo devono essere trasferiti a valori contabili; - le cessioni di prodotti, materie e merci a titolo oneroso (vendite, permute) da uno ad altro patrimonio destinato o dalla società ad un patrimonio destinato e viceversa, devono essere effettuate al valore di mercato ai fini di una corretta determinazione del risultato economico dell’affare,. Inoltre si precisa che “mentre nei rendiconti dei singoli patrimoni separati gli utili e le perdite “interni” derivanti dagli scambi sopra menzionati devono essere rilevati ed incidono sulla determinazione del risultato economico dell’affare, in sede di redazione del bilancio generale della società essi devono essere eliminati, analogamente a quanto avviene in sede di redazione del bilancio consolidato”. La contabilità “generale” Pagina 154 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Le scritture “separate” devono poi confluire nel giornale generale, in quanto pur se destinato il patrimonio dedicato fa sempre parte del stato patrimoniale della società: L’Oic sul punto concede una facilitazione ammettendo (aderendo alla tesi già sostenuta dalla corte di cassazione sezione I, con la sentenza del 19 dicembre 1991, n.13672) che “il processo di confluenza, potrà avvenire per saldi di conto e non per singole scritture contabili, con le medesime tecniche della contabilità sezionale, tali da consentire un raccordo con la contabilità generale della società”. Nonostante questa confusione tra valori l’art. 2447 septies, 1 comma, codice civile stabilisce che “i beni e i rapporti compresi nei patrimoni destinati ai sensi della lettera a) del primo comma dell’art. 2447-bis sono distintamente indicati nello stato patrimoniale della società”. Secondo l’organismo ciò può essere ottenuto: - creando per ciascuna voce interessata dello stato patrimoniale generale, un “di cui”; - creando, per ciascuna voce, una specifica sottovoce; - separando gli importi relativi al patrimonio destinato in una colonna interna; - indicando distintamente le classi di attività e passività relative al patrimonio destinato in apposita zona, rispettivamente dell’attivo e del passivo, dopo tutte le altre voci relative all’attività generale della società. Con riguardo invece al patrimonio netto non é necessario iscrivere una voce complessiva del tipo “Patrimonio Netto relativo ai patrimoni destinati” e ciò anche perchè il patrimonio destinato non può essere suddiviso nelle tipiche voci del patrimonio (capitale sociale, riserva legale, ecc.). Importanti sono le conclusioni a cui giunge l’Oic con riguardo all’ipotesi di perdita derivante dall’affare gestito separatamente. Si legge infatti nel principio contabile che se “in un determinato esercizio, le perdite subite per uno specifico affare superino l’importo del netto patrimoniale relativo al patrimonio destinato, creando un deficit patrimoniale per la eccedenza delle passività sulle attività (…)pur dovendo tali passività essere regolarmente rilevate nella contabilità e nel bilancio generale della società, le relative perdite potrebbero poi essere ridotte con l’inserimento di apposite poste correttive nello stato patrimoniale e nel conto economico, in modo da ridurre a zero il deficit patrimoniale che si è venuto a creare, salvo il caso in cui, pur in assenza di una clausola di garanzia illimitata, la società madre si assume a proprio carico tutto il residuo deficit patrimoniale dello specifico affare. Naturalmente tale operazione dovrà essere esaurientemente illustrata in nota integrativa. In questa ipotesi, i creditori insoddisfatti potranno chiedere la “liquidazione” del patrimonio destinato, nei termini e con le modalità previste dall’art. 2447novies, comma 2”. L’art. 2427-septies, comma 4, stabilisce poi che, qualora sia prevista una responsabilità illimitata della società per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare, “l’impegno da ciò derivante deve risultare in calce allo stato patrimoniale e formare oggetto di valutazione secondo criteri da illustrare nella nota integrativa”. Nonostante il codice civile non si esprima in modo esplicito circa le modalità di redazione del conto economico, il principio contabile afferma che “il conto economico generale non può limitarsi ad indicare i soli saldi dei conti economici dei singoli patrimoni destinati, sia perché in tal modo risulterebbe violata la norma dell’art. 2425 del codice civile (trattandosi pur sempre di costi e ricavi riferibili all’attività di un medesimo soggetto giuridico costituito dalla società), sia perché si priverebbero i lettori del bilancio di una visione d’insieme dei componenti dell’unitario risultato economico della società e si altererebbero alcuni parametri utilizzati nell’analisi della redditività dell’impresa”. Nella nota integrativa gli amministratori devono illustrare: • il valore dei beni e dei rapporti giuridici compresi in ciascun patrimonio destinato, ivi inclusi quelli apportati da terzi; • la tipologia dei beni e dei rapporti giuridici compresi in ciascun patrimonio destinato, ivi inclusi quelli apportati da terzi; • i criteri adottati per la imputazione degli elementi comuni di costo e di ricavo; • il regime della responsabilità. Pagina 155 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Con riguardo ai costi inoltre occorre prevedere: per tutti i costi da essa sostenuti ed imputati all’ “affare”: oltre alla ordinaria rilevazione di tali costi si dovrà rilevare un credito verso il patrimonio destinato ed un ricavo per il rimborso corrispondente; • costi generali amministrativi e di vendita: si possono imputare in base al costo industriale o di fabbricazione (totale dei costi di fabbricazione diretti e indiretti); • costi generali di natura finanziaria relativi all’utilizzo da parte dell‘affare di una quota di finanziamenti a breve o medio-lungo termine propri della società: si imputano in proporzione all’ammontare del finanziamento utilizzato. Le imposte e gli apporti L’Oic 2 permette di individuare il trattamento da riservare sia alla voce imposte che algi apporti di terzi. Nel primo caso di specifica che: • alcuni oneri tributari possono essere imputati specificamente al singolo affare (tasse concessioni governative, imposta di bollo, imposta di registro, Iva indeducibile addebitata dai fornitori o risultante dal pro-rata di Iva esente calcolato per lo specifico affare); • l’Irap deve essere imputata in base al calcolo della “produzione netta” relativa all’affare; • “il risultato economico dell’affare non può, invece, essere calcolato al netto dell’ IRES, sia perchè se l’affare si chiude in perdita l’IRES non è dovuta, sia perchè, in ipotesi di ripartizione dell’utile con i terzi apportanti, la società ed i terzi dovranno sopportare, come onere proprio, l’imposta sul reddito dovuta. Dunque questa non può essere inclusa fra i costi di realizzazione dell’affare (salve, ovviamente, le diverse pattuizioni degli interessati ed eventuali diverse future disposizioni sulla disciplina tributaria dei patrimoni destinati)”. Con riferimento agli apporti di terzi l’OIC2 chiarisce che al patrimonio destinato può essere apportato oltre al denaro, qualunque tipo di bene o servizio utile allo svolgimento dell’affare. Nel caso di prestazioni d’opera del terzo apportante si ritiene opportuna, ma non obbligatoria, la garanzia prevista dall’art. 2464, 6° comma in tema di conferimento in società a responsabilità limitata: ossia la stipula di una polizza di assicurazione o una fidejussione bancaria. Le due categorie di apporti sono: • apporti restituibili • apporti non restituibili. Se non esclusa esplicitamente il terzo, alla conclusione dell’affare, oltre ad ottenere la sua quota di utile ha diritto alla restituzione del bene stesso o, se questo non c’è più, ad un equivalente importo in denaro. Se però il terzo partecipa anche alle perdite e l’affare si è chiuso in perdita “ egli o riceve un importo in denaro pari al valore originario del bene apportato ridotto della quota di perdita, oppure deve versare alla società l’importo della perdita medesima”. La società dovrà iscrivere all’attivo, nel bilancio del patrimonio destinato, il valore dell’utilizzo del bene o della prestazione d’opera personale con contropartita un’apposita riserva indisponibile (“Riserva da apporti di terzi a patrimoni destinati”). Tale valore verrà iscritto, a seconda dei casi, fra le immobilizzazioni materiali o immateriali ed assoggettato ad ammortamento ed a riduzione per perdite di valore per tutta la durata dell’affare, o per la minore durata di utilizzo prevista. Nelle note al bilancio del patrimonio destinato occorre fornire opportune informazioni su: • natura dell’apporto, • criterio di valutazione • modalità di imputazione al conto economico • indicazione dell’esistenza di un debito di restituzione del bene alla conclusione dell’affare (e se è previsto che il bene dovrà essere restituito nelle medesime condizioni in cui si • • Pagina 156 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 trovava al momento dell’apporto, deve essere iscritto, ed incrementato gradualmente, un “Fondo per oneri di manutenzione e ripristino di beni apportati”. Il relativo accantonamento costituisce un costo di gestione dell’“affare”). La quota di utile o perdita dell’affare di spettanza del terzo apportante va iscritta rispettivamente come costo o provento. Si ritiene opportuno che, nello stato patrimoniale del patrimonio destinato, la quota di utile (netto) o di perdita di pertinenza del terzo apportante venga iscritta distintamente dal debito di restituzione dell’apporto. La “Riserva da apporti di terzi a patrimoni destinati”, man mano che si procede all’ammortamento del valore di utilizzo dei relativi beni o al realizzo delle materie e merci apportate dal terzo viene ad essere liberata e può essere riclassificata ad altra riserva (disponibile) della società. • • • • • Il rendiconto finale Il rendiconto finale è previsto dall’art. 2447-novies, comma 1, che stabilisce che quanto l’affare “si realizza” ovvero “è divenuto impossibile”, gli amministratori o il consiglio di gestione devono redigere un rendiconto finale che deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese. Il rendiconto finale deve essere accompagnato da una relazione dei sindaci e del soggetto incaricato della revisione contabile. L’obbligo nasce nel momento in cui l’affare “si realizza” ovvero “è divenuto impossibile”. Se l’“affare” non si protragga oltre l’esercizio in cui ha avuto inizio, il rendiconto finale coincide con il rendiconto periodico dello specifico affare. Il contenuto dello stesso sarà formato da: stato patrimoniale (necessario perché in presenza di debiti contratti nell’esecuzione dell’affare e non pagati, i creditori possano conoscere l’esatta composizione del patrimonio destinato ai fini delle eventuali azioni esecutive da svolgere o della richiesta di liquidazione del medesimo ai sensi dell’art. 2447-novies, comma 2); conto economico; nota integrativa; regole di rendicontazione dell’affare; riferimento al contenuto della delibera di costituzione del patrimonio destinato. Se l’affare è divenuto impossibile, nel rendiconto finale devono essere esposti i motivi di tale impossibilità. Dopo la realizzazione dell’affare o sopraggiunta l’impossibilità della sua realizzazione il patrimonio destinato “rientra” nel patrimonio generale della società “nel senso che viene a cessare lo speciale regime di “segregazione patrimoniale” determinato con l’adozione della delibera di “destinazione” prevista dall’art. 2447 ter”. Per quanto riguarda la distribuzione della quota di utile di pertinenza dei terzi apportanti, essa deve avvenire in conformità agli accordi assunti con la società, ossia annualmente dopo l’approvazione del bilancio di ciascun esercizio, o in unica soluzione a termine dell’affare. Pagina 157 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.B.19. La cessione delle eccedenze d’imposta (a cura di Ottavio Mannara) Nonostante i miglioramenti registrati negli ultimi anni, le posizioni creditorie nei confronti dell’erario sono fra i punti critici della gestione finanziaria delle imprese. La disciplina in oggetto può essere affrontata sotto un duplice aspetto: da un lato la cessione delle eccedenze di imposta a favore di terzi soggetti; dall’altro lato, la cessione a favore di società del gruppo. 19.1. Cessione crediti d’imposta a terzi Ai sensi dell’articolo 43-bis DPR 600/1973 e DM 384/97, il credito d'imposta chiesto a rimborso tramite la dichiarazione dei redditi può essere ceduto a terzi tramite una procedura apposita (c.d. procedura ordinaria): la cessione deve riguardare sia l'intero ammontare del credito chiesto a rimborso per ciascuna delle imposte sui redditi e sia i relativi interessi che non possono formare oggetto di autonomo atto di cessione e spettano comunque al cessionario. Qualora il cedente abbia avviato la procedura di rimborso delle eccedenze tramite apposita istanza, le stesse non possono più formare oggetto della presente cessione. La cessione delle eccedenze di imposta si perfeziona nel rispetto di precise modalità: deve, infatti, essere effettuata con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio e deve essere notificata, a pena di inefficacia, ai seguenti enti: • all'ufficio delle entrate competente per la dichiarazione dei redditi del cedente; • al concessionario del servizio della riscossione competente in ragione del domicilio fiscale del cedente alla data di cessione del credito. L’acquisizione efficace del credito pone, tuttavia, in capo al cessionario alcuni vincoli: • il cessionario non può cedere a sua volta il credito acquistato (sono, infatti, inefficaci nei confronti dell'Amministrazione finanziaria i successivi atti di cessione a terzi del credito ceduto); - ha diritto alla percezione degli interessi relativi; • nell'ipotesi di indebito rimborso, il cessionario è obbligato in solido con il cedente (ovviamente nei limiti delle somme rimborsate). La solidarietà ha effetto purché gli siano notificati gli atti con cui gli organi competenti procedono al recupero delle somme indebitamente rimborsate. In caso di variazione del domicilio fiscale il cedente e il cessionario hanno l'obbligo di dare tempestiva comunicazione all'Amministrazione finanziaria, altrimenti non possono opporre il difetto di notifica. La disciplina in oggetto prevede, inoltre, che l'atto di cessione dei crediti è inefficace nei confronti dell'Amministrazione finanziaria se al momento della notifica: • l'Amministrazione ha già proceduto all'emissione dell'ordinativo di pagamento; • è già stata presentata richiesta per il rimborso mediante titoli di Stato e il Ministero delle Finanze ha già proceduto alla trasmissione dell'elenco degli aventi diritto al rimborso al Ministero del Tesoro; • risultano a carico del cedente eventuali iscrizioni a ruolo relative a tributi erariali già notificate. In tal caso la cessione ha effetto solo per gli importi eccedenti quelli oggetto delle iscrizioni a ruolo. La cessione non pregiudica, in ogni caso, i poteri della Amministrazione finanziaria relativi al controllo delle dichiarazioni dei redditi, all'accertamento e all'irrogazione delle sanzioni nei confronti del cedente. Pagina 158 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 19.2. Cessione crediti d’imposta all’interno di un gruppo Per le società appartenenti ad un medesimo gruppo, accanto alla procedura ordinaria appena esaminata, esiste una procedura semplificata relativamente ai soli crediti IRPEG/IRES risultanti dalle dichiarazioni dei redditi (non compensati, né chiesti a rimborso ma riportati al periodo successivo) (art. 43-ter DPR 602/73 e DM 384/97). Tali crediti possono essere ceduti, parzialmente o totalmente, a una o più società appartenenti al gruppo, oppure alla società od ente capogruppo e la quota non ceduta può essere portata in diminuzione dei versamenti d'imposta relativi agli esercizi successivi o chiesta a rimborso. Per l’applicazione della presente “procedura semplificata” occorre che siano soddisfatti precisi requisiti. 19.2.1. Requisiti soggettivi Prima di tutto è da verificare cosa debba intendersi per gruppo che è definito in tale ambito dal successivo comma 4 del citato articolo 43-ter del D.P.R. n.602/1973 il quale stabilisce che appartengono allo stesso gruppo: 1. l’ente o società controllante e le società da questo controllate; 2. le società o gli enti tenuti alla redazione del bilancio consolidato. Con riguardo al punto 1: • si considerano controllate le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata le cui azioni o quote sono possedute dall'ente o società controllante o tramite altra società controllata da questo per una percentuale superiore al 50 per cento del capitale; • la partecipazione deve essere posseduta fin dall'inizio del periodo di imposta precedente a quello cui si riferiscono i crediti di imposta ceduti; • questa definizione del “gruppo” è più rigida rispetto a quella civilistica. Il preciso riferimento alla quota di capitale porta, ad esempio, ad escludere le ipotesi in cui il controllo discende da altre situazioni (esempio: l’esistenza di un influenza dominante esercitata da un soggetto nei confronti di un altro); • il testo letterale della norma lascia qualche dubbio circa la possibilità di considerare verificata tale condizione nel caso di partecipazione corrispondente alla maggioranza dei voti assembleari ma inferiore alla maggioranza del capitale come potrebbe accadere nel caso di presenza di azioni di risparmio. Si forniscono di seguito alcuni esempi a riguardo. Esempio 1: controllo a catena 51% 60% Pagina 159 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Soci età A Socie tà B S o c i e t à C La società A controlla la società B, la quale a sua volta controlla C. Qualora le quote di partecipazioni siano state sempre superiori al 50% sin dall’inizio dell’anno solare precedente le opzioni possibili sono: • A può cedere i suoi crediti IRES a B o/e C; • B può cedere i suoi crediti IRES ad A o/e C; • C può cedere i suoi crediti IRES a B o/e A. Esempio 2: controllo a raggiera Y 51% 45% W 51% X Z 35% K 80% L In questa situazione rimangono escluse invece in ogni caso dalla procedura le società W e K in quanto le quota possedute sono inferiori al 50%. Le opzioni possibili (in caso di possesso delle partecipazioni a far data dall’anno precedente) sono: • X può cedere i suoi crediti IRES a Y o/e Z o/e L; • Y può cedere i suoi crediti IRES a X o/e Z o/e L; • Z può cedere i suoi crediti IRES a Y o/e X o/e L; • L può cedere i suoi crediti IRES a Y o/e X o/e Z. Con riguardo al punto 2, la nota n. 483/E del 23 maggio 1996 ha ritenuto che la norma “consenta la cessione delle eccedenze tra i soggetti che hanno l'obbligo di redigere il bilancio consolidato (non quindi la mera facoltà) e che in tal caso si prescinde dalla sussistenza o meno delle condizioni previste dalla prima parte del comma 4 dell'art. 43-ter medesimo”. Sulla base di quanto sin qui detto, la cessione può, pertanto, essere esperita, sia come soggetto cedente che come soggetto cessionario, da parte della: • società (o ente) controllante, sia essa società di persone o di capitali, enti commercialI o non commerciali; • società ed enti obbligati alla redazione del bilancio consolidato ai sensi del D.Lgs. 127/91 e del D.Lgs. 87/92 (vedi MS n. 7397). Per questi soggetti non è necessaria la presenza dei requisiti illustrati al punto seguente (Nota Min. 23 maggio 1996 n. 483/E). Si precisa, però, Pagina 160 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 • che la cessione non è ammissibile in relazione ad un gruppo di società italiane. in cui la controllante risulta a sua volta controllata da una società straniera obbligata alla redazione del bilancio consolidato (Parere Comitato Consultivo 21 luglio 1999 n. 18). società controllate, soltanto se di capitali. Si ricorda che sono controllate le società di capitali possedute, fin dall'inizio del periodo d'imposta precedente a quello a cui si riferiscono i crediti d'imposta ceduti, dalla controllante (anche tramite una o più controllate, residenti o meno) per una percentuale superiore al 50% del loro capitale sociale. Se il periodo d'imposta del cedente e del cessionario non coincidono, la sussistenza del periodo minimo di controllo dovrebbe riferirsi al periodo d'imposta della società cedente. Cedente e cessionario possono essere, indifferentemente, sia due società controllate sia una società controllata e la controllante. Nel primo caso il periodo minimo di controllo di cui al punto 3) deve sussistere nei confronti di entrambe le società. 19.2.2. Formalità ed effetti della cessione Ai sensi dell’art. 43-ter comma 1, del D.P.R. n.602/1973, l’eccedenza IRES risultante dalla dichiarazione dei redditi delle società appartenenti a un gruppo può essere ceduta, in tutto o in parte, a una o più società appartenenti allo stesso gruppo, senza l’osservanza delle formalità previste dagli articoli 69 e 70 del R.D. 2440/1923 (che richiedono che l’atto di cessione sia redatto in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio e che il medesimo atto sia notificato all’amministrazione finanziaria debitrice). Operativamente ciò significa che la semplice indicazione in dichiarazione dei redditi permette di ritenere valida e efficace anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria la cessione. Condizione per il perfezionamento della cessione è, pertanto, che il soggetto cedente indichi, nella propria dichiarazione (Quadro RK), i dati identificativi del cessionario (o dei cessionari) e gli importi ceduti: la cessione si considera effettuata all'inizio del periodo d'imposta in cui si presenta la dichiarazione dei redditi suddetta (es. per l'eccedenza generata dal cedente nel 2005 e indicata nella relativa dichiarazione dei redditi, la cessione si considera effettuata alla gennaio 2006). A partire dalla stessa data il cessionario può utilizzare il credito ricevuto per compensare i versamenti delle imposte e dei contributi che si versano con il modello F24 e la parte non utilizzata può essere chiesta a rimborso in sede di dichiarazione dei redditi secondo la procedura ordinaria. 19.2. Le norme antielusive Potrebbe sorgere il dubbio che tali operazioni infra gruppo (incentrate su cessioni delle eccedenze IRES ai sensi dell’art. 43-ter del Dpr 602/73) possano porre in essere fattispecie elusive o potenzialmente tali. Sul tema il comitato consultivo norme antielusive ha offerto un suo parere (il n.18 del 21/07/1999). Il caso prospettato era il seguente. La società Alfa Spa, il cui capitale è detenuto per il 95% da una società di diritto olandese, aveva acquistato una partecipazione di controllo ai sensi dell'art. 2359 del codice civile in alcune società residenti. Successivamente alcune delle stesse avevano deliberato la loro fusione per incorporazione nella Alfa Spa mentre altre avevano deliberato la distribuzioni di dividendi a favore di Alfa con l’assegnazione di crediti d’imposta pieni (basket A) alla stessa. Tale fatto aveva comportato la creazione di un ingente eccedenza IRPEG (imposta vigente all’epoca del parere in oggetto)in capo ad alfa la quale era intenzionata a cederla ad una società del gruppo affinché la stessa potesse utilizzarle in diminuzione dei versamenti IRPEG dovuti. Pagina 161 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Un vincolo a tale fatto era dato dal fatto che nel caso di specie la successione di operazioni societarie intercorse non permettevano che si verificasse l’ipotesi per cui le azioni detenute da Alfa lo fossero fin dall'inizio del periodo di imposta precedente a quello cui si riferivano i crediti d'imposta ceduti. Secondo il comitato inoltre nel caso di specie non poteva trovare applicazione la seconda regola in grado di individuare un gruppo rilevante a tali fini. Ciò in quanto la stessa prevede la possibilità della cessione tra i soggetti tenuti alla redazione del bilancio consolidato, quindi tra i soggetti che hanno l'obbligo e non la mera facoltà di redigere lo stesso. Ora nel caso di specie tale obbligo non si rinveniva in quanto Alfa poteva essere esonerata dall'obbligo di redazione del bilancio consolidato. La soluzione del comitato quindi non ha espresso un giudizio circa la presunta natura elusiva di un’operazione di cessione del credito ai sensi dell’art. 43-ter del Dpr 602/73, ma ha escluso la liceità dell’operazione descritta in quanto nel caso esaminato tale operazione sarebbe risultato carente uno dei presupposti costitutivi richiesti dalla norma. In realtà non ci pare di ravvisare in tale ipotesi possibili censure di elusività essendo tale procedura prevista da una disposizione di legge specifica e non comportando per di più alcun risparmio d’imposta ma unicamente un beneficio di carattere finanziario. In ogni caso si può ritenere che l’elusività non debba mai essere riferita alla cessione delle eccedenze di credito ma eventualmente alla costruzione societaria creata in precedenza. 19.3. La disciplina civilistica Dall’assenza di specifici requisiti di forma, fermo restando il rispetto di quanto sopra illustrato, si ritiene che la cessione possa essere posta in essere, ad esempio, anche attraverso uno scambio di corrispondenza commerciale. Per ciò che concerne la regolamentazione dei rapporti tra cedente e cessionari si applica la disciplina civilistica della cessione dei crediti contenuta negli articoli 1260 e seguenti del codice civile. Sinteticamente le regole sono: • art. 1260: il credito può essere ceduto anche senza il consenso del debitore purchè non abbia carattere strettamente personale o sia vietato per legge. Le parti possono escludere la cedibilità, ma tale patto non è opponibile al cessionario se non si prova che lo stesso lo conosceva al tempo della cessione; • art. 1262: il cedente deve consegnare i documenti probatori del credito che sono in suo possesso; • art. 1263: il credito è trasferito con i privilegi, le garanzie e gli altri accessori. La cessione non comprende i frutti scaduti; • art. 1264: la cessione ha effetto nei confronti del ceduto quando questi l’ha accettata o gli è stata notificata; • art. 1265: se il credito è ceduto a più persone rileva la cessione che è stata notificata per prima o quella che per prima è stata accettata con atto di data certa; • art. 1266: se la cessione è a titolo oneroso il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del credito al tempo della cessione. La garanzia può essere esclusa ma il cedente resta sempre obbligato per il fatto proprio. Se la cessione è a titolo gratuito il cedente garantisce nei casi e nei limiti in cui la legge pone a carico del donante la garanzia per l’evizione; • art. 1267: il cedente non risponde della solvenza del debitore salvo che ne abbia assunto la garanzia. In questo caso egli risponde nei limiti di quanto ha ricevuto. Un punto decisivo è quello concernente la necessità della notifica al debitore ceduto, elemento richiesto come necessario dall'art. 1264 del codice civile affinché la cessione diventi efficace. A questa funzione assolve l'indicazione nel modello unico del cedente degli estremi del cessionario e dell'ammontare del credito ceduto.In caso di omissione la cessione diverrebbe Pagina 162 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 inefficace nei confronti dell’erario e quindi sostanzialmente priva di quegli effetti operativa che l’avevano motivata. Ne le norme fiscali che quelle civilistiche richiedono alcun altro adempimento formale oltre a quelli descritti. Motivi di opportunità e linearità dei rapporti tra società consorelle consigliano in ogni caso di pattuire per iscritto l’operazione. Ciò può avvenire mediante l’invio da parte della cedente di una proposta alla società cessionaria che manifesti la volontà di cedere le eccedenze IRES alle condizioni ivi previste. Successivamente l’accettazione di tale proposta permetterà di considerare perfezionato il contratto stesso. E’ evidente che solo con la forma scritta si ha la possibilità di indicare i diversi patti di cessione quali ad esempio: un eventuale corrispettivo richiesto per la cessione, il regime di responsabilità ecc. Pagina 163 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.C. Comparazioni tra il diritto societario del bilancio e il diritto tributario delle società (a cura di Norberto Villa) La redazione del bilancio di esercizio trova il proprio fondamento in principi tecnicoragionieristici corroborati dai Principi Contabili nazionali ed internazionali, avendo poi riferimento all'osservanza della normativa statuita dal Codice Civile (art. 2423 e seguenti), così come modificata dal recepimento della IV Direttiva CEE, avvenuto con il D.Lgs. n. 127 del 9aprile 1991. Il bilancio di esercizio così redatto costituisce la base la determinazione dei redditi da assoggettare a tassazione, mediante un “riesame fiscale" di tutte le valutazioni effettuate secondo le norme civilistiche che comporta la quantificazione l’applicazioni di variazioni in aumento ovvero in diminuzione al risultato civilistico. Tale impostazione, che mira ad una integrazione tra le diverse necessità civilistiche e tributarie presenti nella redazione del bilancio di esercizio, pone icto oculi un problema di gerarchia tra le norme civilistiche e quelle tributarie: nel nostro ordinamento non è, pertanto, adottata la soluzione del "doppio binario" secondo cui la disciplina civilistica in tema di bilancio di esercizio è completamente autonoma rispetto a quella tributaria e, conseguentemente, la determinazione del reddito d'esercizio e del reddito imponibile avverrebbero secondo regole differenti e tra loro non sovrapponibili. Al contrario, l’ordinamento nazionale riconosce l’influenza della disciplina civilistica su quella tributaria e , nella prevalenza delle une o delle altre, ravvisa l’applicazione del principio di dipendenza ovvero del principio di dipendenza rovesciata I.C.20. Il principio di dipendenza Il principio di dipendenza è contenuto nel disposto dell’articolo 83 del TUIR ed è stato modificato a seguito della riforma dell’ordinamento tributario nazionale al fine di tenere conto della riorganizzazione delle disposizioni del TUIR: in particolare, mentre il previgente articolo 81 faceva riferimento alle disposizioni previste dal capo VI del titolo I (determinazione del reddito d’impresa per i soggetti IRPEF), col novellato articolo 83 la situazione viene ribaltata ed è la normativa prevista per le società ad essere richiamata dalla disposizioni previste per i soggetti IRE. Il reddito d’impresa corrisponde alla risultanza del bilancio redatto ai fini civilistico ridotto/aumentato delle variazioni apportate in sede di dichiarazione dei redditi. Questa operazione di “correzione” del bilancio civilistico secondo regole fiscali è conosciuto anche come “principio della dipendenza” e comporta importanti differenze tra il risultato di bilancio e la effettiva base imponibile fiscale. Tali differenze possono essere distinte in due tipi: - divergenze permanenti: derivano da componenti di reddito ritenuti indeducibili o non imponibili a livello fiscale; l’influenza di queste divergenze si esaurisce in un unico periodo d’imposta (es. spese rappresentanza non deducibili per 2/3 del totale). - divergenze temporanee: derivano dalla diversa valutazione fiscale rispetto alla civilistica di componenti di reddito e sono all’origine della fiscalità differita. Le divergenze temporanee sono tassabili, quando generano una base imponibile in esercizi futuri e quindi passività per imposte differite (es. ammortamenti anticipati); si classificano come deducibili quando danno origine ad importi imponibili nell’esercizio di rilevazione e perciò si hanno attività per imposte anticipate (es. ammortamenti iscritti in bilancio per importi superiori a quanto previsto fiscalmente o spese di rappresentanza per i quinti deducibili negli esercizi successivi). Pagina 164 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Il risultato derivante dal conto economico, attraverso le variazioni previste dalla normativa fiscale, si trasforma in reddito imponibile ovvero in perdita fiscale a seconda che il differenziale delle variazioni in diminuzione ed in aumento sia maggiore o minore dell’utile o della perdita civilistici. Le variazioni di cui sopra devono essere, in ogni caso, apportate extracontabilmente in sede di dichiarazione dei redditi, precisamente nel quadro RF appositamente destinato ad evidenziare questi interventi che devono essere apportati al reddito complessivo per pervenire alla determinazione del reddito ovvero della perdita relativa al periodo d’imposta Con riferimento all’eliminazione delle interferenze fiscali dal bilancio d’esercizio, in particolare in merito alla deducibilità dei componenti negativi di reddito in via extracontabile, occorre richiamare il disposto dell’articolo 109 del TUIR. Si segnala, da ultimo, che il provvedimento IAS ha apportato modifiche anche all’articolo 83 citato: per determinare il reddito imponibile, infatti, prima di effettuare le variazioni in aumento ed in diminuzione, occorre considerare il risultato fornito dal conto economico “[…] aumentato o diminuito dei componenti che, per effetto dei principi contabili internazionali, sono imputati direttamente a patrimonio […]”. L’introduzione di tale inciso è giustificata dalla volontà di equiparare il trattamento fiscale previsto per le società che utilizzano i metodi di contabilizzazione “tradizionali” con le società che, invece, applicano le disposizioni recate dagli standards: secondo gli IAS, infatti, per determinati componenti reddituali è prevista una diretta imputazione a patrimonio netto senza il preventivo transito a conto economico. I.C.21. Il principio della dipendenza rovesciata Il principio di dipendenza rovesciata, invece, stabilisce l’influenza della disciplina tributaria nella redazione del bilancio civilistico: l'analisi empirica del processo di contabilizzazione degli accadimenti aziendali evidenzia, infatti, come nella prassi la legislazione tributaria giunga ad inficiare il bilancio di esercizio, inquinando le disposizioni civilistiche ad opera della normativa tributaria. La progressiva crescita dell'attenzione prestata alla materia fiscale nella redazione del bilancio di esercizio, al fine di contenere la pressione fiscale, conduce infatti sempre più di frequente alla determinazione di un risultato di esercizio condizionato da valutazioni tributarie e, come tale, passibile di essere espressione di politiche di bilancio a fini fiscali la cui attuazione, peraltro, altera spesso la chiarezza espositiva. Risulterebbe, però, irrealistico negare l'esistenza di tali politiche di bilancio, in considerazione dell'ampiezza del fenomeno facilmente ravvisabile nella prassi economica. Il fenomeno della "dipendenza rovesciata", contrastando con la corretta redazione del bilancio d'esercizio, ha indotto il legislatore a cercare soluzioni volte a evidenziare quanto meno l'effetto distorsivo generato dalle interferenze fiscali nella determinazione del risultato civilistico. In un primo momento, in sede di recepimento della IV Direttiva CEE, la soluzione del problema è stata ravvisata nell'adozione di una configurazione di conto economico contenente una "appendice fiscale" nella quale imputare tutte le poste tributarie in modo tale da isolare e rappresentare gli "effetti tributari" nella determinazione del risultato di esercizio; in seguito all'abrogazione dell'appendice fiscale le norme civilistiche hanno, invece, previsto la possibilità di effettuare rettifiche di valore e accantonamenti esclusivamente in applicazione di norme tributarie, a condizione che la loro iscrizione a conto economico sia finalizzata all'ottenimento di una riduzione del reddito imponibile e debba comunque avvenire mediante una chiara e completa informativa nella nota integrativa. Pagina 165 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.C.22. Le interferenze fiscali Novità fondamentale introdotta dalla riforma del diritto societario è quella che ha portato all’abrogazione del secondo comma dell'art. 2426 c.c., il quale consentiva di “…effettuare rettifiche di valore e accantonamenti esclusivamente in applicazione di norme tributarie”. Come è noto tale regola ha comportato il raggiungimento del cosiddetto disinquinamento del bilancio: fino allo scorso anno il risultato economico-contabile poteva, infatti, essere inficiato da appostazioni di natura puramente tributaria. Si pensi ad esempio a coloro i quali seguendo un comportamento consentito dal principio contabile n.25 imputavano gli ammortamenti anticipati a conto economico e classificati all’interno della voce B.10.b (ammortamento delle immobilizzazioni materiali). La contropartita contabile della quota di ammortamento imputata a conto economico era iscritta in un fondo di ammortamento ed è evidente come un tale comportamento aveva come effetto quello di abbattere (artificiosamente) il risultato economico. E’ pur vero che tale situazione doveva trovare evidenza nella nota integrativa in cui ai sensi dell’art. 2427 n.14 doveva essere evidenziato l’impatto di tale scelta (dovevano essere illustrati gli effettivi valori dei beni ammortizzabili, degli ammortamenti, del risultato di esercizio e del patrimonio netto qualora non si fossero imputati a conto economico gli ammortamenti anticipati). Il coordinamento con il Tuir Prima della riforma del Tuir (successiva a quella del diritto societario) il timore era quello di un mancato coordinamento di queste novità con le regole fiscali. L’abrogazione del secondo comma dell’art. 2426 poteva infatti creare delle difficoltà di coordinamento con il vecchio art. 75 del Tuir. Molto banalmente: • l’art. 75 del Tuir prevedeva che perché fosse riconosciuta la deducibilità di un onere occorreva la sua imputazione a conto economico; • il nuovo articolo 2426 vietava però l’imputazione a conto economico di poste di rilevanza puramente fiscale; • coordinando tali due regole si correva il rischio di veder perse alcune agevolazioni concesse al contribuente dal legislatore fiscale. Ancora più chiaramente si può ricordare come prima della riforma introdotta con il decreto legislativo 6/2003 vi era un’opzione offerta dall’art. 2426 che premetteva l’iscrizione in bilancio di componenti negativi, che non avevano giustificazione civilistica, ma che erano giustificati unicamente dal fatto di concedere un vantaggio (in termini di minore imposte) tributario. In questo modo (forzando le regole contabili) si permetteva che il contribuente potesse godere realmente di tali agevolazioni consentendo allo stesso la loro iscrizione in contabilità. Nel dopo riforma senza un restyling delle norme fiscali il rischio che si correva era quello invece di vedere vanificati tali vantaggi fiscali: • i componenti negativi avrebbero potuto essere imputati a conto economico solo in base alle disposizioni del codice civile; • quelli di natura esclusivamente tributaria non transitando dal conto economico rischiavano di non poter essere dedotti e quindi di non comportare alcun vantaggio al contribuente. Ora che anche le norme fiscali sono state adeguate grazie al nuovo testo dell’art. 109, comma 4, lettera b) del Tuir. Lo stesso ha infatti derogato alla rigida regola precedente ed ammesso la deducibilità anche per taluni componenti di reddito che non sono imputato a conto economico a patto che risultino indicati in un prospetto della dichiarazione dei redditi. Lo stesso stabilisce che “gli ammortamenti dei beni materiali ed immateriali, le altre rettifiche di valore e gli accantonamenti” non imputabili a conto economico “sono deducibili se in apposito prospetto della dichiarazione dei redditi è indicato il loro importo complessivo, i valori civili e fiscali dei beni e quelli dei fondi”. In sostanza si stabilisce che i componenti negativi di reddito possono essere portati in deduzione in via extracontabile anche se il testo dell’art. 109 lascia qualche Pagina 166 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 dubbio. Lo stesso infatti si riferisce espressamente solo agli “ammortamenti dei beni materiali ed immateriali”, alle “rettifiche di valore” e agli “accantonamenti”, ma tali categorie non esauriscono tutte le possibili poste che presentano differenze nel trattamento contabile e in quello fiscale. I.C.23. Il disinquinamento dei bilanci Nel passato si è a lungo discusso circa i componenti “fiscali” che potevano realmente essere compresi tra quelli per i quali risultava applicabile li secondo comma dell’art. 2426. Vi era chi riteneva che la regola dell’art. 2426 consentiva di imputare a conto economico le sole rettifiche di valore ed accantonamenti previsti da disposizioni fiscali “sovvenzionali” o “agevolative” (in sostanza da disposizioni fiscali che tendevano a favorire l'autofinanziamento delle imprese attraverso la detassazione degli utili realizzati, qualora questi fossero stati accantonati in apposite poste del patrimonio netto). Una seconda tesi invece considerava comprese fra le rettifiche di valore e gli accantonamenti imputabili a conto economico (sempre ai sensi dell'art. 2426, secondo comma) anche quelle previste da disposizioni di natura “forfetaria”. Nel proprio documento interpretativo n.1, l’organismo italiano di contabilità, anche considerando quanto precisato dalla relazione illustrativa del D. Lgs. n° 344 del 12 dicembre 2003, abbraccia la seconda delle tesi sopra esposte. E ciò per i seguenti motivi: - non sarebbe coerente, ora che non si deve più inquinare il bilancio, immaginare un ambito più ristretto, limitato, cioè alle sole norme sovvenzionali; - le imprese non obbligate a redigere il bilancio o, comunque, obbligate a redigerlo senza doversi attenere alle disposizioni della IV direttiva hanno potuto dedurre dal reddito d'impresa anche le rettifiche di valore e gli accantonamenti previsti da norme di natura forfetaria; - le misure di forfetizzazione, pur non essendo agevolative sono sempre opportunità o vantaggi con la funzione di eliminare controversie su una materia altrimenti di difficile definizione quale, appunto, quella delle valutazioni. Da ciò consegue che secondo l’OIC è da ritenere possibile la deduzione in via extracontabile (mediante cioè l’indicazione nell’apposito prospetto) di tutte le rettifiche di valore e gli accantonamenti che in precedenza dovevano intendersi richiamate dalla disposizione di cui all’art. 2426, secondo comma e pertanto anche: - le svalutazioni dei crediti, - le svalutazioni per rischio contrattuale delle rimanenze relative ai lavori di durata ultrannuale, gli oneri derivanti da operazioni e concorsi a premio ecc. Cosa si deduce nel prospetto 1. ammortamenti eccedenti rispetto a quanto necessario per ridurre il valore delle immobilizzazioni immateriali in relazione alla loro residua possibilità di utilizzazione 2. ammortamenti eccedenti rispetto a quanto necessario per ridurre il valore delle immobilizzazioni materiali in relazione alla loro residua possibilità di utilizzazione 3. ammortamento dell'avviamento eccedente il limite deducibile; 4. ammortamento integrale nell’esercizio in cui il relativo costo è stato sostenuto per i beni di valore unitario non superiore a un 516,46 euro; 5. svalutazioni di partecipazioni eccedenti rispetto a quanto necessario per ridurre il valore delle partecipazioni al costo rettificato per perdite durevoli; 6. svalutazioni di lavori in corso su ordinazione eccedenti rispetto a quanto necessario per tener conto delle perdite previste e dei rischi connessi nonché valutazione dei lavori in corso secondo il criterio della commessa completata; Pagina 167 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 7. svalutazioni di crediti eccedenti rispetto a quanto necessario per ridurre il loro valore al valore presumibile di realizzazione; 8. limitazioni della deducibilità di accantonamenti a fondi del passivo e per rettifiche di valore (ad esempio: oneri derivanti da operazioni a premio e concorsi a premio). La distribuzione di utili Una norma correlata a quella sopra descritta è quella contenuta dall’art. 109, comma 4, lettera b) che introduce dei limiti al fine di non consentire la distribuzione di utili che non abbiano scontato l'imposizione. La regola dispone infatti che “in caso di distribuzione, le riserve di patrimonio netto e gli utili di esercizio, anche se conseguiti successivamente al periodo d'imposta cui si riferisce la deduzione, concorrono a formare il reddito se e nella misura in cui l'ammontare delle restanti riserve di patrimonio netto e dei restanti utili portati a nuovo risulti inferiore all'eccedenza degli ammortamenti, delle rettifiche di valore e degli accantonamenti dedotti rispetto a quelli imputati a conto economico, al netto del fondo imposte differite correlato agli importi dedotti”. La norma è di tipo cautelativo: si vuole evitare che possano formare oggetto di distribuzione utili realizzati contabilmente che però non sono stati assoggettati a tassazione. Se fosse stata concessa una piena libertà di distribuzione di tali utili si sarebbe giunti a permettere ai singoli soci utili non assoggettati a tassazione con un evidente salto di imposizione. Operativamente la regola così introdotta comporta che: - le imprese hanno l'onere di vincolare fiscalmente in riserve diverse da quella legale, un ammontare almeno pari a quello dei componenti negativi di reddito dedotti in via extracontabile, al netto del fondo imposte differite correlato agli importi dedotti; - le imprese che dovessero procedere alla distribuzione di tali riserve si troverebbero come conseguenza quella di dover far concorrere gli importi distribuiti alla formazione del reddito d'impresa fino a concorrenza dell'eccedenza "netta" dell'ammontare dei predetti componenti negativi di reddito rispetto alle restanti riserve di patrimonio netto, diverse dalla riserva legale. Come correggere i bilanci Con il cambiamento delle regole contabili si pone ora il dubbio di come comportarsi per adeguare i bilanci alle nuove disposizioni. Negli stessi potrebbero infatti essere presenti delle poste iscritte in base alla vecchia disciplina che devono ora essere annullate. Si pensi ad esempio alla possibilità che risulti iscritto in bilancio un fondo rischi su crediti accantonato negli esercizi precedenti non per riallineare al valore di realizzo il valore nominale dei crediti, ma più semplicemente per godere della deducibilità forfetaria stabilità dal Tuir. La riforma del diritto societario non si sofferma sul punto e non detta le regole per gli operatori. In soccorso giunge il documento dell’OIC. Lo stesso esclude che le rettifiche di valore e i fondi contabilizzati prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina dei bilanci possano essere “mantenuti in bilancio fino a che non siano stati riassorbiti in quanto cos’ì facendo ci si troverebbe obbligati a “contabilizzare gli eventuali “utilizzi” e i “rigiri” delle predette voci con la conseguente violazione del divieto di contabilizzazione di rettifiche di valore e accantonamenti giustificati esclusivamente per ragioni tributarie”. Tornando all’esempio precedente una tale soluzione comporterebbe la necessità di iscrivere l’utilizzo del fondo rischi nel momento in cui lo stresso dovesse essere utilizzato o abbandonato. La strada scelta è stata invece quella che prevede l’imputazione a conto economico delle rettifiche di valore e degli accantonamenti già rilevati nei precedenti esercizi. Si giunge in tal modo ad un adeguamento immediato alle nuove regole che comportano il disinquinamento dei documenti contabili. Una tale opzione non comporta d’altro canto alcuna conseguenza fiscale. Si consideri infatti che l’art. 4, lett. h delle "Disposizioni varie, transitorie e finali" ha reso applicabile il comma 4 dell'art. 109 del Tuir anche “agli ammortamenti, alle altre rettifiche di valore e agli accantonamenti operati: 1) esercizi precedenti a quello di entrata in vigore del D. Lgs. 17 gennaio Pagina 168 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 2003, n° 6 per effetto dell'abrogato articolo 2426, secondo comma, del codice civile ed eliminati dal bilancio in applicazioni delle disposizioni di tale decreto”. Anzi la riforma del Tuir ha addirittura ammesso che tale regola possa trovare applicazione anche all'“esercizio in corso al 31 dicembre 2003 che termina successivamente alla medesima data” e, quindi, anche all'esercizio precedente a quello a partire dal quale le disposizioni del nuovo Tuir risultano applicabili. In sostanza si è fissata la neutralità fiscale di tali operazioni contabili. LE IPOTESI DELL’OIC 1 ammortamenti anticipati o comunque devono essere riportati unicamente nell’apposito eccedenti le aliquote economico- prospetto da allegare alla dichiarazione dei redditi tecniche in bilancio dovranno essere stanziate le corrispondenti imposte differite (per l’effetto reversal che si avrà nei periodi d’imposta successivi) Altre rettifiche ed accantonamenti gli importi non dovranno più essere rilevati nel Conto economico le imposte differite dovranno essere imputate al Conto economico Come correggere il passato - non è più possibile effettuare rettifiche di valore e accantonamenti esclusivamente in applicazione di norme tributarie - la norma fiscale non detta come occorre operare contabile per “correggere” il passato - nemmeno le nuove regole dettano istruzioni sul punto - non è più possibile mantenere iscritti in bilancio i valori residui di poste determinatesi in precedenza (esercizi anteriori al 1° gennaio 2004) secondo il previgente art. 2426 comma 2, sino al loro esaurimento. In tal modo infatti negli esercizi successivi si dovrebbero contabilizzare gli “utilizzi” o i “rigiri” delle poste già iscritte violando in tal modo il nuovo divieto - tale tesi è confermata anche dall'abrogazione del numero 14 del precedente articolo 2427 del codice civile che richiedeva di indicare "i motivi delle rettifiche di valore e degli accantonamenti eseguiti esclusivamente in applicazione di norme tributarie ed i relativi importi" - Le due strade percorribili risultano quindi: Ipotesi 1: occorre contabilizzare lo storno delle poste fiscali presenti in bilancio (riferibili, quindi, sia agli ammortamenti anticipati che alle altre rettifiche e accantonamenti) con la diretta attribuzione del relativo saldo all’inizio dell’esercizio ad una riserva di patrimonio netto, al netto delle corrispondenti imposte differite da stanziarsi secondo quanto previsto dal Principio Contabile n° 25 “Il trattamento contabile delle imposte sul reddito” (metodo preferenziale secondo l’OIC). Ipotesi 2: in alternativa si ritiene possibile rilevare gli effetti a conto economico, tenendo conto delle relative imposte differite. Nel caso in cui si volesse invece seguire il secondo tra le possibilità indicate in tabella , l’Oic sottolinea come si otterrebbe l’effetto di produrre un accredito al conto economico dell'esercizio con il rischio di inficiare la trasparenza e la chiarezza del documento contabile. Per minimizzare tale conseguenza è allora richiesto: • di indicare l'effetto complessivo del disinquinamento in una voce specifica del conto economico, da includere tra le componenti straordinarie (voce E 20) del conto economico, in conformità a quanto previsto nel Documento interpretativo del Principio Contabile n° 12; Pagina 169 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 • di includere nella Nota Integrativa una informativa circa i saldi residui all’inizio dell’esercizio delle pregresse rilevazioni effettuate solamente in applicazione di norme fiscali, delle correlate imposte differite che su tali saldi sono state rilevate e dell’effetto netto sulla situazione patrimoniale-finanziaria e sul conto economico. Il documento dell’OIC sottolinea che in conseguenza dello storno degli eventuali residui di appostazioni effettuate in applicazione di norme esclusivamente tributarie la nota integrativa dovrà illustrare il criterio seguito per effettuare tale eliminazione ed indicarne gli effetti sul patrimonio netto. Ed anzi sottolinea, richiamando il principio contabile 29: , “ “Si incoraggia altresì la predisposizione, in nota integrativa, di una situazione economico-patrimoniale sintetica pro-forma che evidenzi gli effetti del cambiamento di principio contabile ove tali effetti siano rilevanti e/o si ripercuotono su una pluralità di voci interessate (in inglese, il «pervasive effect»). Le grandezze contenute nella situazione economico-patrimoniale pro-forma dovranno comunque essere confrontabili con quanto riportato nei conti annuali e consolidati”. I.C.24. Le imposte anticipate e differite Tra le nuove regole dettate dalla riforma del diritto societario è presente anche quella concernente l’esposizione in bilancio della fiscalità differita. Le innovazioni concernono il maggior numero di informazioni che sono richieste sia negli schemi rigidi di stato patrimoniale e conto economico che nella nota integrativa con riguardo agli importi relativi alle imposte differite ed anticipate. Lo stato patrimoniale L’articolo 2424 aggiunge tra le voci delle attività da indicare nello stato patrimoniale due componenti da indicare separatamente tra i crediti (voce C) II: - 4- bis) crediti tributari, e - 4- ter) imposte anticipate. Al riguardo la relazione ministeriale di accompagnamento alla riforma chiarisce che “per le imposte anticipate stante la loro natura ("che non è esattamente quella di un credito riscuotibile, quanto piuttosto di minori imposte da pagare in futuro") l'indicazione “imposte anticipate” non è preceduta dal termine “crediti” né dalla preposizione “per”. Con riguardo invece alle passività è previsto che quelle costituite dai debiti tributari e dalle imposte differite siano stanziate, rispettivamente, nei debiti tributari alla voce D)12), e nell’apposito fondo imposte differite, alla voce B)2). Anche in questo caso la relazione afferma che: “si è ritenuto sufficiente integrare la dizione della voce B (2): fondi per imposte con la precisazione “anche differite”; infatti le imposte differite non sono debiti effettivi da pagare quanto piuttosto maggiori imposte da pagare in futuro”. Il conto economico Passando invece al conto economico l'articolo 2425 stabilisce la voce 22 (imposte sul reddito) con la dizione: “imposte sul reddito dell'esercizio, correnti, differite e anticipate”. Si deve osservare a questo proposito che ancorché la norma non richieda espressamente la separata presentazione delle imposte correnti da quelle differite (incluse le imposte anticipate), ciò appare raccomandabile, in alternativa al fornirne il dettaglio in nota integrativa, per ovvie ragioni di chiarezza. La nota Integrativa Le maggiori novità sul punto sono però quelle che riguardano le informazioni richieste in nota integrativa. Al nr 14 dell'art. 2427 la nuova norma richiede la redazione di un prospetto che indichi: a) la descrizione delle differenze temporanee che hanno comportato la rilevazione di imposte differite e anticipate, specificando l'aliquota applicata e le variazioni rispetto all'esercizio Pagina 170 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 precedente, gli importi accreditati o addebitati a Conto Economico oppure a Patrimonio Netto, le voci escluse dal computo e le relative motivazioni; b) l'ammontare delle imposte anticipate contabilizzato in bilancio attinenti a perdite dell'esercizio o di esercizi precedenti e le motivazioni dell'iscrizione, l'ammontare non ancora contabilizzato e le motivazioni della mancata iscrizione; Per semplificare i compiti di chi si troverà alle prese con la necessità di offrire tali nuove indicazioni l’OIC 1 offre un esempio di alcuni prospetti da includere nella nota integrativa. Le regole di calcolo La riforma del diritto societario e quella del Tuir (e neanche le indicazioni contenute nel documento dell’organismo italiano di contabilità) non mutano le regole generali di calcolo delle imposte differite. Continuano pertanto ad essere applicabili le regole già dettate dai principi contabili che possono così riassumersi. Secondo i principi generali di redazione del bilancio (ed in particolare il principio di competenza di cui all’art. 2423, bis 1 comma nr. 3 del codice civile) e come chiaramente esposto dal principio contabile nr. 25 nel documento contabile devono essere recepite le imposte di competenza dell’esercizio, ovvero quelle che si riferiscono a componenti del risultato economico di quell’esercizio anche se la loro esigibilità e traslata nel tempo in forza delle particolari regole introdotte dal legislatore fiscale. Le due regole che il principio contabile impone perché le imposte differite e anticipate siano iscritte in bilancio che: • le imposte differite: non devono essere iscritte in bilancio qualora sia “scarsamente probabile” che avranno rilevanza fiscale nel periodo d’imposta in cui dovrebbero assumerla; • le imposte anticipate: non devono essere iscritte in bilancio qualora vi sia la ragionevole certezza dell’esistenza negli esercizi futuri di un reddito imponibile non inferiore all’importo di tali differenze. Le regole per un corretto calcolo delle imposte differite e anticipate sono: - le stesse sono da calcolare sull’ammontare complessivo di tutte le differenze temporanee tra il valore attribuito secondo le regole civilistiche e quelle fiscali; - l’aliquota da applicare è quella in vigore al momento in cui le differenze temporanee si riverseranno; - le differenze temporanee sono da calcolare sia con riguardo all’Ires che all’Irap tenendo però conto del fatto che le stesse per le due imposte sono differenti (non darà ad esempio luogo ad un imposta Irap anticipata il compenso non pagato all’amministratore stante la diversa rilevanza dei compensi ai fini Ires e Irap); - occorre che in ogni esercizio siano verificate l’esistenza delle condizioni sopra viste che permettono l’iscrizione delle imposte anticipate o differite. - Si può schematizzare come deve operare il redattore di bilancio nel calcolo delle imposte differite: - deve prima considerare congiuntamente tutte le differenze temporanee; - deve però considerarle distintamente in relazione al periodo d’imposta in cui saranno riversate: ad esempio le spese di rappresentanza danno luogo ad imposte anticipate che verranno riversate per un quindicesimo per ognuno dei 4 esercizi successivi; - una volta individuate le masse di differenze temporanee correlate ai singoli esercizi successivi deve applicare alle stesse l’aliquota che sarà in vigore in quei singoli esercizi. - Nel caso di mutamento dell’aliquota d’imposta si dispone che: Pagina 171 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - se sono previste differenti aliquote fiscali applicabili a differenti livello di reddito le imposte differite e anticipate vanno calcolate utilizzando le aliquote medie attese nei periodi in cui le differenze si riverseranno; - se ciò risulta troppo difficoltoso è accettabile l’utilizzo dell’aliquota effettiva dell’ultimo esercizio. Se dopo aver calcolato le imposte differite o anticipate le aliquote che erano state prese a base del calcolo (si ricorda che le aliquote da considerare sono quelle previste da norme già entrate in vigore alla data di redazione del bilancio) occorrerà “apportare adeguati aggiustamenti” ai crediti o debiti già calcolati. Vi è poi da ricordare che le imposte anticipate non derivano unicamente dalle differenze temporanee. Un secondo fattore che può dar luogo all’iscrizione di un credito d’imposta per minori imposte che si pagheranno è l’importo delle perdite fiscali riportabili. Le perdite fiscali possono infatti essere portate in diminuzione del reddito imponibile degli esercizi futuri. In tal modo la presenza di perdite fiscalmente rilevanti potrebbe dar luogo all’idea che le imposte di competenza di periodi d’imposta successivi potrebbero essere abbattute grazie all’utilizzo delle stesse. Il beneficio fiscale futuro connesso alle perdite non deve essere iscritto in bilancio salvo che: - esista una ragionevole certezza di ottenere in futuro redditi che potranno assorbire queste perdite; - esiste la ragionevole certezza che tali perdite non si ripeteranno e derivano da circostanze ben identificate. In presenza di tali condizioni (ma solo in questo caso) si potrà iscrivere un credito per imposte anticipate derivante dalle perdite fiscali riportabili. Se in bilancio sono presenti imposte differite che si “riverseranno” in periodi d’imposta in cui le perdite riportabili possono essere utilizzate, il beneficio fiscale derivante da tali perdite deve essere portato a deduzione della passività per imposte differite fino a concorrenza di tale differenza temporanea. Pagina 172 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.D. L’imposizione locale sulle società (a cura di Efrem Longoni) I.D.25. IRAP 25.1.Premessa La Legge 23/12/1996 n. 662 all’art. 3, commi da 143 a 153, nel conferire al Governo apposita delega ai fini dell’istituzione di un’imposta regionale sulle attività produttive ha altresì riconosciuto al Governo stesso, la facoltà di integrare e correggere le disposizioni del decreto istitutivo (il Dlgs. n.466 del 15/12/1997) con provvedimenti successivi da emanarsi entro due anni dall’entrata in vigore del decreto stesso nel rispetto degli stessi principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega. Il Legislatore avvalendosi della suddetta facoltà è più volte intervenuto a modificare la disciplina originaria apportando importanti modifiche1 al citato decreto 466/97 istitutivo dell’Irap. Inoltre anche la Legge 23/12/1999 n. 488 (Finanziaria 2000) e il decreto legge n.268 del 30/9/2000 hanno innovato alcuni aspetti dell’impianto normativo contenuto nel decreto istitutivo stesso. Richiamiamo inoltre il disposto normativo della legge Finanziaria 2001 (L.23 dicembre 2000 n.388) che ha apportato leggere, ma per certi aspetti significative modifiche alla disciplina vigente, nonché la legge 289 del 27 dicembre 2002 che ha modificato alcune delle regole contenute nell’art. 11 del decreto legislativo Irap. Nel presente lavoro ci si propone di analizzare in chiave interpretativa e, se possibile, operativa la complessa normativa inerente l’Irap soprattutto in riferimento ai suddetti “innesti” normativi, sottolineando, allorquando se ne presentasse l’occasione, eventuali dubbi interpretativi e problemi di conciliabilità delle istruzioni ministeriali pregresse con le disposizioni di legge di ultima introduzione. A completamento del presente lavoro è proposta in allegato una guida pratica che consente di individuare in maniera rapida ed efficace il trattamento ai fini dell’Irap delle principali componenti positive e negative di reddito delle imprese commerciali che determinano il valore della produzione netta nei modi ordinari (art. 3, comma 1, lettere a e b D.Lgs. 446/97). 1 Cfr. Dlgs. n.147 del 10/4/1998, Dlgs. n.422 del 19/11/1998, Dlgs. n.176 del 10/6/1999 e Dlgs. n.506 del 30/12/1999. Pagina 173 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I SOGGETTI INTERESSATI SOGGETTI NON INTERESSATI - le società di capitali - i fondi comuni di investimento; - gli enti pubblici e privati ; - i fondi pensione; - le società di persone e quelle ad esse - i Gruppi economici di interesse europeo equiparate ; (GEIE) (a determinate condizioni stabilite - i liberi professionisti anche in forma tassativamente dall’art. 13 D.Lgs. 446/97) associata; - i titolari di reddito da lavoro dipendente; - i titolari di reddito agrario non esonerati - i percettori di redditi assimilati a lavoro dagli adempimenti IVA dipendente. - gli organi e le amministrazioni dello Stato ; - i collaboratori coordinati e continuativi - le società ed enti non residenti nel territorio coloro che esercitano occasionalmente dello stato ; attività di lavoro autonomo e coloro che si - associazioni sportive e dilettantistiche ; assumono obblighi di fare, non fare o - associazione senza scopo di lucro e le pro permettere, quali per esempio i loco; collaboratori occasionali; - soggetti minimi; - i soggetti che svolgono attività sportiva dilettantistica; - enti non commerciali . i venditori porta a porta (che subiscono una ritenuta alla fonte a titolo di imposta); - i condòmini. 25.2. Gli obiettivi e il presupposto La relazione ministeriale al decreto legislativo 446/97, individua gli obiettivi perseguiti dal legislatore con l’introduzione dell’Irap: a) avvio e consolidamento del federalismo fiscale b) semplificazione del sistema tributario c) riduzione del costo del lavoro d) riduzione dell'aliquota formale sugli utili e) riduzione della convenienza all'indebitamento da parte delle imprese L’Imposta regionale sulle attività produttive secondo il modello predisposto dal legislatore presenta le seguenti caratteristiche: 1. è un'imposta “locale” in quanto la fattispecie impositiva è territorialmente limitata alle attività produttive esercitate in un dato ambito territoriale; 2. si tratta di un'imposta reale: infatti la capacità contributiva dei soggetti passivi è conseguenza della struttura amministrativa e organizzativa; 3. è indeducibile ai fini delle imposte sui redditi. Il presupposto impositivo dell’Irap è rappresentato dall'esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto d’imposta (art. 2). L'Irap si differenzia dall'Ires, dall'Irpef e dall'Iva in quanto si tratta di un’imposta autonoma e dotata di uno specifico corpo normativo rispetto alle imposte dirette o all’IVA pur sussistendo dal punto di vista procedurale non pochi punti in comune con le norme disciplinanti tali imposte. Ai fini Irap si ha esercizio abituale quando l'attività è svolta professionalmente, conseguentemente proponiamo i seguenti esempi: colui che effettua sporadiche ed isolate Pagina 174 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 operazioni di acquisto e rivendita di beni, non esercita attività abituale e non è soggetto passivo Irap; colui che effettua una serie di atti economici coordinati, ma circostanze oggettive rivelano in maniera inequivocabile la natura occasionale dell’attività stessa, non esercita attività abituale e non è soggetto passivo Irap; colui che effettua una serie di atti economici coordinati ed inoltre impiega fattori produttivi tali da rilevare inequivocabilmente l’esistenza di una struttura produttiva permanente esercita attività abituale ed è dunque soggetto passivo Irap. Per quanto riguarda i soggetti non residenti, essi risultano soggetti passivi Irap esclusivamente quando dispongono di una stabile organizzazione nel territorio (di una regione) del nostro Paese e ivi vi operano per un periodo di tempo non inferiore a tre mesi (cfr. C.M. n.263 del 12/11/1998). Il concetto di stabile organizzazione è intesa secondo l'accezione dello schema Ocse e delle particolari convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Al contrario, la presenza sul territorio nazionale di un mero ufficio acquisti o di un ufficio di rappresentanza non costituisce per il soggetto non residente presupposto per l'assoggettamento al tributo regionale. In maniera speculare, i suesposti principi valgono anche nei confronti dei soggetti passivi residenti nel territorio dello Stato che esercitano attività produttive all'estero; ciò implica che il soggetto italiano che dispone di un ufficio di rappresentanza all'estero non ha il diritto all'esclusione dalla base imponibile Irap del reddito mentre è legittimato all’esclusione qualora l’entità economica presente all’estero si configuri come stabile organizzazione. Relativamente alle particolari situazioni giuridiche della vita aziendale è opportuno sottolineare che il presupposto soggettivo di applicazione dell'Irap sussiste in tutti i casi di liquidazione volontaria, mentre nell’ipotesi di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa il presupposto impositivo si realizza esclusivamente nel caso in cui via sia esercizio provvisorio d'impresa. Tale regola si rende applicabile sia alle procedure concorsuali iniziate successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. 446/97 sia a quelle in corso a tale data 25.2. Il presupposto oggettivo e la base imponibile L'Irap si applica sul valore della produzione netta generato dalla attività esercitata nel territorio della regione. Ciò posto, la regole che presiedono i criteri di determinazione di tale valore variano in funzione sia della natura giuridica del soggetto passivo considerato che dal tipo di attività dal medesimo svolta. Dall’analisi congiunta della normativa vigente, delle circolari ministeriali e dalle istruzioni dettate dal Ministero delle Finanze per la compilazione dei modelli dichiarativi negli ultimi anni, nell’ambito delle quali, in particolare, è possibile desumere le procedure tecniche cui deve attenersi il contribuente per la determinazione della base imponibile. In particolare, le norme che fissano i cardini della materia sono: - il D.Lgs. 446/97 istitutivo dell’Irap e successive modifiche, fissa i cardini normativi dell’imposta e dispone in che modo ed in quale misura si rendano applicabili le norme del codice civile e quelle del Tuir; - il codice civile, che indicando con precisione (art. 2425) la classificazione di bilancio (costi e ricavi), fissa in linea di massima gli elementi attivi e passivi rilevanti ai fini dell’imposta; - il Tuir (Dpr. 917/86) che prevede diverse norme in materia di valutazioni ai fini delle imposte dirette che hanno valenza anche in ambito Irap; In sostanza, la base imponibile del tributo, è costituita dal valore netto della produzione, cui si perviene apportando le opportune rettifiche alla base imponibile lorda. Pagina 175 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Ciò posto, si ritiene opportuno descrivere le diverse metodologie di determinazione della base imponibile Irap in funzione del tipo di soggetto passivo cui afferiscono, poiché sono sostanzialmente differenti. Soggetti obbligati alla presentazione del bilancio d’esercizio in forma UE Le regole che presiedono alla determinazione della base imponibile ai fini dell’Irap per le società e gli enti di cui all'art. 87, comma 1, lett. a) e b) del Tuir, sono state in parte modificate e semplificate per effetto dei recenti interventi del legislatore di cui si è fatto cenno in premessa. In esito in particolare dell’entrata in vigore del decreto legislativo n.506/99, sono stati ridefiniti alcuni aspetti della determinazione della base imponibile cercando di completare il processo di omogeneizzazione della base imponibile Irap con quella delle imposte sui redditi2,. Volendo schematizzare l’iter logico che deve condurre a determinare l’imposta dovuta si ottiene: 1. La base imponibile lorda è data dalla differenza tra valore della produzione (Lettera A del Conto Economico) e costi della produzione (Lettera B del Conto Economico) escludendo: • tutte le spese per il personale dipendente (costi contributivi e retributivi e accantonamenti al TFR); • le perdite e gli accantonamenti per perdite (e rischi) su crediti; 2. I componenti positivi e negativi di reddito che concorrono alla formazione della base imponibile lorda (di cui sub 1) devono essere assunti apportando ad essi le variazioni in aumento ed in diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi fatte salve le eccezioni previste dagli artt. 11 e 11-bis come espressi dal decreto correttivo 506 in parola e che di seguito verranno dettagliate. La base imponibile lorda In seguito alle modifiche apportate dall’art 1 del D.Lgs 506/99 all’art. 5 D.Lgs. 446/97, il procedimento di determinazione della base imponibile lorda risulta semplificato rispetto alla previgente formulazione. A seguito della citata rivisitazione dell’impianto normativo, la base imponibile delle imprese industriali, mercantili e di servizi deve essere calcolato sottraendo a tutte le voci del Valore della produzione ( Voce A del conto economico) tutte le voci del Costo della Produzione (Voce B del conto economico) esclusi i costi del personale e le perdite su crediti per espressa previsione del legislatore. Le modifiche rispetto al passato, è bene sottolinearlo, non sono meramente formali. Sulla scorta di quanto previsto dalla citata normativa risultano infatti per ora deducibili, nei limiti di quanto disposto dal TUIR, anche i componenti negativi di reddito, a suo tempo esclusi, classificabili nelle seguenti voci del conto economico: B10 lett. c) B10 lett. d) B12 B13 "Altre svalutazioni delle immobilizzazioni" “Svalutazione dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide” 3 “Accantonamento per rischi" “Altri accantonamenti”; 2 Tale discrasia ha creato i presupposti per la nascita del cosiddetto “terzo binario” di cui si traccia nel prosieguo un breve profilo. 3 Relativamente alla perdite su crediti, alla svalutazione crediti ed agli accantonamenti per rischi su crediti la relazione ministeriale e le istruzioni alla compilazione dell’UNICO 2000 precisano che la deducibilità delle perdite su crediti non risulta coerente con la definizione della base imponibile Irap. Le perdite su crediti non concorrono in nessun modo alla determinazione della base imponibile Irap vuoi se imputate al conto economico in via meramente estimativa attraverso accantonamenti o svalutazioni dei crediti (voci B10 lett. d) e B 11,) vuoi se ivi realizzate a seguito di realizzi definitivi (voce B14). Secondo l’interpretazione del Ministero delle Finanze l’indeducibilità Irap si estende oltre alle perdite stimate anche a quelle realizzate. Pagina 176 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Le eccezioni alla regola generale: inclusioni ed esclusioni dalla base imponibile Definite le voci di bilancio formalmente rilevanti ed irrilevanti ai fini della determinazione della base imponibile Irap, il legislatore con l’art. 11 del D.Lgs. 446/97 alla luce delle modifiche introdotte dall’art. art.1 comma 1 lett. h) del decreto 506, dispone una serie di eccezioni, con la conseguenza che una serie di costi e di ricavi indipendentemente dalla loro classificazione nel bilancio civilistico, sono sottratti alle disposizioni delle norme generali. In forza di ciò, sono deducibili ai fini dell’Irap, quindi rilevano nella determinazione della base imponibile: 1. il 100% dei contributi per le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro (premi INAIL) per chiunque corrisposti (inclusi i premi corrisposti per i collaboratori coordinati continuativi previsti a partire dal 2000); 2. il 100% del costo del lavoro relativo agli apprendisti e, come stabilito ai sensi del comma 2 dell’art. 16 della Legge 388/2000 (Legge finanziaria per il 2001), per i disabili; pertanto, volendosi brevemente soffermare sulla nuova misura introdotta, dal 1° gennaio 2001, tutti i soggetti d’imposta IRAP (che determinano la base imponibile con il sistema ordinario di cui all’art.5) datori di lavoro, potranno dedurre della base imponibile assunto per il calcolo dell’imposta regionale, le retribuzioni, ma anche i contributi il Tfr e gli altri costi specifici inerenti, sostenuti per i lavoratori disabili in forza; tale norma rappresenta evidentemente un incentivo all’assunzione di soggetti appartenenti alla particolare categoria professionale in esito ai sensibili vantaggi fiscali che ne discendono; si spera si amplifichino in tal modo gli effetti già positivi in tal senso derivanti dagli obblighi di assunzione di cui alle legge 68/99 sempre a favore di tali categorie. 3. il 70% del costo del lavoro relativo ai dipendenti con contratto di formazione lavoro (ad esclusione dell’INAIL già inclusa al 100% più sopra); 4. i costi per beni e servizi destinati alla generalità dei dipendenti e dei collaboratori; La risposta ministeriale contenuta al punto 2.1.3 della circolare ministeriale n.98/E del 2000, chiarisce la deducibilità di tali spese in quanto sostenuti direttamente dall’imprenditore alla stregua costi inerenti l’attività; 5. le somme erogate ai dipendenti ed ai collaboratori per rimborsi spese con metodo analitico (ad eccezione delle indennità chilometriche come si evince dall’analisi delle istruzioni ministeriali alla compilazione dell’Unico 2000); Sono indeducibili e quindi non rilevano nel calcolo della base imponibile: 1. i costi per il personale classificabili alle voci B9 e B14; trattasi in generale di tutti i costi per il personale classificati (per natura) alla voce B9) e alla voce B14) ad esclusione di quelli più sopra specificati come deducibili; 2. le somme corrisposte dal distaccatario al distaccante a titolo di rimborso degli oneri contributivi e retribuitivi del personale dipendente (congiuntamente i ricavi a tale titolo del distaccante non rilevano); 3. i costi per compensi corrisposti per prestazioni di lavoro autonomo occasionale; 4. i costi per compensi corrisposti per prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa (inclusi i costi INPS per i contributi a carico del committente versati alla gestione separata); 5. i compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente; Nella circolare n.17/E del 17/2/2000, il ministero ha sostenuto che le borse di studio e gli assegni di ricerca – in qualità di redditi pur assimilati a redditi di lavoro dipendente ma che sono esenti dal reddito delle persone fisiche – sono esclusi (quindi deducibili) dalla base impositiva Irap. 6. gli utili spettanti agli associati in partecipazione; Pagina 177 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 7. la componente di costo dei canoni di leasing relativa agli interessi passivi (per la determinazione di tale componente è necessario rispettare le regole di calcolo dettate dal Ministero delle Finanze con apposito decreto); Il decreto ministeriale 24 aprile 1998 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 108 del 12 maggio 1998) in attuazione di tale norma ha stabilito le modalità per il calcolo forfetario della “quota interessi” racchiusa nei canoni di locazione finanziaria; in particolare, tale quota si ottiene sottraendo, dall'ammontare dei canoni di competenza di ciascun esercizio, la “quota capitale” degli stessi, risultante dal rapporto tra costo sostenuto dall'impresa concernente, moltiplicato per il numero dei giorni del periodo d'imposta, e il numero dei giorni di durata complessiva del contratto. La circolare n. 141/E del 4 giugno 1998, basandosi sul dato letterale della formula prevista nel citato decreto ministeriale aveva precisato che, ai fini del suddetto rapporto, il costo sostenuto dall'impresa concedente avrebbe dovuto assumersi “... al lordo del prezzo di riscatto contrattuale”. Tale impostazione è stata poi corretta dallo stesso Ministero delle Finanze che nella citata circolare 263 del 1998, ha chiarito che, “... per dare corretta e concreta attuazione alla richiamata disposizione normativa...”, ai fini del calcolo forfetario della quota di interessi passivi inclusa nel canone, il costo del concedente deve essere assunto al netto del prezzo di riscatto. Fatto salvo quanto sopra, il legislatore precisa altresì che concorrono in ogni caso alla determinazione della base imponibile Irap: • i proventi e gli oneri classificabili in voci diverse da quelle previste dalla legge ( A Valore della Produzione e B Costi della Produzione) qualora gli stessi siano correlati a componenti positivi e negativi del Valore della produzione netta di periodi d’imposta precedenti o successivi; • le plusvalenze e le minusvalenze relative a beni strumentali (cfr. C.M. n. 98/E del 17/5/2000, punto 2.1 e C.M. n.101 del 19/5/2000, punto 3.1che ribadiscono la non rilevanza dei plusvalori da dismissione di beni destinati a finalità estranee all’impresa) non derivanti da operazioni di trasferimento di azienda indipendentemente dalla loro classificazione nel conto economico; • i contributi erogati a norma di legge ad esclusione di quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione (ad es. contributi erogati per agevolare l’assunzione di nuova forza lavoro) Pagina 178 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Le regole del TUIR e la determinazione della base imponibile Irap Individuati i componenti positivi e negativi che concorrono alla determinazione della base imponibile Irap e tenuto conto delle già suesposte eccezioni e deroghe (art.11), l’art. 11 bis del D.Lgs. 446/97 – introdotto dal decreto 506/99 – fissa i principi di compatibilità della normativa Irap in relazione alle norme previste dal TUIR. La regola generale introdotta è la seguente: “… i componenti positivi e negati di reddito che concorrono alla determinazione della base imponibile (individuati secondo le regole più sopra richiamate) si assumono apportando ad essi le variazioni in aumento o in diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi…” (estratto 1° comma). Rappresentano un esempio di tale regola le quote di spese di rappresentanza di periodi pregressi (1/15), le eccedenze di manutenzioni e riparazioni di periodi pregressi deducibili in 5 anni, le quote di plusvalenze di periodi pregressi per le quali è stato previsto il differimento in 5 anni ecc. Sono previste tuttavia una serie di particolarità4: 1. i proventi esenti ai fini delle imposte sui redditi (art. 58 TUIR) concorrono comunque alla determinazione della base imponibile Irap per l’importo risultante dal conto economico; 2. gli interessi passivi che ai fini delle imposte sui redditi, in presenza di ricavi esenti, sono deducibili in base a pro-rata (art. 63 TUIR), risultano comunque integralmente indeducibili ai fini dell’Irap; 3. le spese e gli altri componenti negativi che ai fini delle imposte sui redditi sono deducibili se e nella misura in cui siano correlati a beni o attività da cui derivano ricavi tassati (art. 75 comma 5 e 5 bis TUIR), risultano comunque integralmente deducibili ai fini dell’Irap; 4. l’Imposta Comunale sugli immobili (ICI) indeducibile ai fini delle imposte sui redditi risulta viceversa deducibile ai fini dell’Irap; 5. le erogazioni liberali deducibili ai fini delle imposte sui redditi (art. 65 comma 2 TUIR) risultano indeducibili ai fini dell’Irap; 6. i ricavi corrispondenti al valore normale dei beni-merce destinati al consumo personale dell’imprenditore, assegnati ai soci o più in generale destinati a finalità estranee all’esercizio d’impresa ancorché non rilevati in contabilità risultano imponibili sia ai fini delle imposte sui redditi (art. 53, comma 2) sia ai fini dell’Irap; 7. le plusvalenze corrispondenti al valore normale dei beni strumentali destinati al consumo personale dell’imprenditore, assegnati ai soci o più in generale destinati a finalità estranee all’esercizio d’impresa ancorché non rilevati in contabilità risultano imponibili sia ai fini delle imposte sui redditi (art. 54 comma 1) sia ai fini dell’Irap; 8. i componenti di reddito derivanti da rapporti infra-gruppo con società non residenti nel territorio dello Stato (di cui all’art. 76 comma 5) sono valutati in base al valore normale de beni ceduti e dei servizi prestati se ne deriva un aumento del reddito ciò vale sia ai fini delle imposte sui redditi sia ai fini dell’Irap. La determinazione della base imponibile Quanto sin qui descritto riassume alcuni fra gli aspetti più significativi del disposto normativo di cui al decreto 506/99 e cioè quelli inerenti il nuovo sistema di calcolo della base imponibile Irap. 4 Cfr. art. 11-bis del decreto 466/97 “ 1. I componenti positivi e negativi che concorrono alla formazione del valore della produzione, così come determinati ai sensi degli articoli 5, 6, 7, 8 e 11, si assumono apportando ad essi le variazioni in aumento o in diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi. Tuttavia, non si applicano le disposizioni degli articoli 58, 63, e 75, commi 5, seconda parte, e 5 bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e dell'articolo 17,comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. Le erogazioni liberali, comprese quelle previste dall'articolo 65, comma 2, del predetto Testo unico delle imposte sui redditi, non sono ammesse in deduzione. 2. Ai componenti indicati nel comma 1 vanno aggiunti i ricavi, le plusvalenze e gli altri componenti positivi di cui agli articoli 53, comma 2, 54, comma 1, lettera d), e 76, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 . Pagina 179 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Sulla base della relazione di accompagnamento al decreto e ancor di più della circolare esplicativa dello stesso di più recente emanazione (circolare ministeriale n.148/E del 26/7/2000) appare opportuno chiarire alcuni concetti che hanno acquisito rilevanza con l’entrata in vigore del decreto in parola. Innanzitutto, la nuova versione dell’art. 11 comma 4 stabilisce che i componenti positivi e negativi, indipendentemente dalla loro collocazione nel conto economico, sono accertati in ragione della loro classificazione. Alla lettera, e suscitando non poche perplessità, sembra palese la rinuncia esplicita a quanto contenuto nei principi contabili dei ragionieri e dei dottori commercialisti ai fini della corretta classificazione delle voci. La circolare 148/E attenua, se vogliamo, la portata della norma asserendo semplicemente che il disposto normativo va interpretato semplicemente come “… un riferimento più mediato ai principi della corretta contabilità…” che sono ora desumibili oltre che dalle elaborazioni della dottrina (leggi principi contabili) anche dal codice civile, dalla normativa comunitaria e dalle interpretazioni delle giurisprudenza, a tutto vantaggio della flessibilità e, in ultima analisi, del contribuente che può trovare riscontri su ogni specifico caso. Altro elemento di rilievo e di notevole innovatività è rappresentato dal disposto normativo di cui al comma 3 del medesimo art. 11 quando si ripropone in maniera sicuramente più enfatizzata il principio di correlazione, di per sé già insito nella disciplina Irap. Come detto, la base imponibile Irap è formata da un elenco tassativo di voci del conto economico al netto di una serie di componenti positive e negative di cui ai citati artt. 5, 6 e 7. La norma a questo punto prevede però che assumono altresì rilevanza anche le voci di conto economico che risultano correlati a componenti positive o negative che in periodi precedenti o successivi concorreranno alla formazione del valore della produzione netta. La circolare in parola, come del resto la relazione ministeriale di accompagnamento, hanno in questo caso rafforzato questa interpretazione, ribadendo tuttavia che sono comunque da considerare esclusi dalla base imponibile elementi estranei alla produzione quali sconti, resi, ecc.. Proseguendo nella disamina delle novità inerenti la determinazione della base imponibile, non ci si può esimere dall’analisi del contenuto dell’ultimo periodo del citato comma 3 dell’art. 11 allorché si indicano i criteri di imputazione dei contributi. Il disposto normativo in parola recita che “… i contributi erogati a norma di legge con esclusione di quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione…”. La circolare 148/E, in proposito, precisa che per configurarsi la correlazione tra contributo e componente negativo, deve sussistere una relazione forte tra i due elementi; in altri termini la somma deve essere erogata specificatamente per spesare il componente negativo in questione. Ciò stante, non sono rilevanti i contributi che solo indirettamente risultano parametrati a componenti negativi non rilevanti. Nel momento in cui un contributo assume rilevanza e concorre alla determinazione della base imponibile in esito alle regole su esposte, ai fini del computo si seguono le regole del Tuir; come a dire che: - i contributi in conto esercizio rilevano per competenza ex art. 53; - sul tema si riporta il contenuto della risoluzione ministeriale n.8/E del 28/1/2000, nella quale il ministero ha espresso il proprio parere in merito al trattamento da riservare ai fini Irap ai contributi in parola; in particolare si conferma la generale assoggettabilità dei contributi in conto esercizio ad eccezione di quelli che seppur classificati in una voce di conto economico rilevante ai fini dell’imposta, sono correlati a componenti negativi che non sono ammessi in deduzione ai fini dell’imposta stessa. - Si ritiene pertanto necessario che la legge istitutiva del contributo preveda espressamente la destinazione e la finalità precisa dell’erogazione affinché non sorgano dubbi in sede di dichiarazione Irap; Pagina 180 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - quelli in conto capitale lo fanno invece per cassa ed eventualmente in cinque esercizi (art.55 comma 3 lett. b)); i contributi in conto impianti, infine, in esito alla medesima norma, “…partecipano indirettamente alla determinazione della base imponibile Irap, attraverso la deduzione di minori quote di ammortamento, calcolate sul costo di acquisizione al netto del contributo…”. Infine si ritiene opportuno rappresentare la disciplina prevista per il transfer price anche essa in parte ridefinita. Con riferimento a tali operazioni, il nuovo art. 11-bis ha ripreso l’orientamento palesato nella circolare ministeriale n.141/E del 4 giugno 1998 confermando la loro rilevanza ai fini dell’imposta secondo i criteri di determinazioni previsti dall’art.76 comma 5 del Tuir. Di nuovo c’è da indicare, come chiarito dalla circolare 148/E del 26 luglio scorso, che, qualora il corrispettivo dei beni ceduti (o servizi prestati) dall’impresa residente verso la controllata non residente, sia inferiore al relativo valore normale ovvero il valore normale dei beni e servizi ricevuti lo sia rispetto al costo di acquisizione, in sede di dichiarazione Irap, si dovrà operare una variazione in aumento della base imponibile pari alla differenza. Quello che la circolare non ha chiarito è il motivo per cui nel caso inverso in cui emerga una differenza di segno opposto, non si debbano operare variazioni in diminuzione della base imponibile. Il c.d. “terzo binario” Il problema del “terzo binario” deriva dal fatto che, i valori rilevanti ai fini dell’Irap, si determina in maniera difforme sia da quelli contabili sia da quelli significativi ai fini delle imposte sui redditi. In particolare le previgenti versioni dei commi 1 e 2 dell’art. 5 del D.lgs. 446/97 stabilivano che la determinazione della base imponibile scaturisse dalla somma algebrica delle voci A1, A2, A3, A4, A5 dal alto dei ricavi, e di quelle B6, B7, B8, B10a, B10b, B11 e B14 al netto delle perdite su crediti, dal lato dei costi. Il legislatore, all’art. 11 comma 1, chiariva che tali importi dovevano essere assunti ai sensi delle norme fiscali desumibili dal Tuir, salvo poi, nelle istruzioni ministeriali impartire per la compilazione della dichiarazione disposizioni che determinava di fatto l’esistenza di un terzo binario. Si prevedeva infatti che: − le componenti di base Irap, non imputate a conto economico, rilevano secondo le regole del Tuir (es. ammortamenti anticipati); − le componenti che interessano in conto economico ma non rilevano ai fini Irpeg, si computano applicando i risconti contabili ( es. proventi ex art.58 Tuir – proventi da cespiti che fruiscono dell’esenzione di imposta); − i valori rilevanti ai fini dell’imposizione sul reddito che però non trovavano classificazione nel conto economico finivano con il non assumere rilievo ai fini della produzione assoggettabile ad Irap. Come sopra accennato, le modifiche introdotte dal D.lgs. N.506/99 mirano ad ottenere un’omogeneizzazione della base imponibile dell’Irap con quella delle imposte sui redditi iniziato con il Dlgs.176/99. Purtroppo la prassi operativa, insegna che tale risultato non è stato ancora raggiunto. Nonostante gli sforzi del legislatore, il calcolo dell’Irap dovuta necessita di valutazioni differenti rispetto a quanto operato ai fini civilistici e delle imposte dirette. Si ritiene che ad oggi si possa affermare che l’esistenza e la rilevanza del cosiddetto “terzo binario” sia ancora attuale. Pagina 181 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 25.3. Soggetti (imprenditori e società personali) non tenuti alla redazione del bilancio d’esercizio in forma UE Le società in nome collettivo e in accomandita semplice, quelle ad esse equiparate (società di armamento, società di fatto …) e gli imprenditori individuali, pur non essendo obbligati alla redazione del bilancio nelle forme civilisticamente prescritte, non si discostano ai fini Irap dalle regole su indicate. Il valore della produzione netta per tali soggetti è determinato, adottando le medesime regole previste per i soggetti obbligati alla redazione del bilancio d’esercizio. In altri termini tali soggetti non tenuti alla redazione del bilancio con riferimento al modello di cui all'art. 2425 del codice civile è consentito redigere lo schema di conto economico secondo modelli differenti, dovranno, in sede di compilazione nella dichiarazione Irap, provvedere a riclassificare i componenti di conto economico secondo lo schema disciplinato dall'art. 2425 del codice civile. Questa disposizione è stata peraltro confermata dal ministero al punto 3.2 della circolare n.101 del 19/5/2000. 25.4. Soggetti esercenti attività professionale in forma individuale o associata Un caso particolare è rappresentato dai soggetti esercenti attività professionale in forma individuale o associata. Per i soggetti esercenti arti e professioni in forma individuale o associata la base imponibile è determinata dalla differenza tra i compensi percepiti e l’ammontare dei costi sostenuti (principio di cassa equivalente a quello dettato dal TUIR ai fini delle imposte sui redditi) compreso l’ammortamento dei beni materiali e immateriali, esclusi gli interessi passivi e le spese per il personale dipendente. 25.5. Banche e altri enti e società finanziarie Oltre alle regole valevoli per i soggetti obbligati alla redazione del bilancio, particolari disposizioni sono dettate dall'art. 6 del D.Lgs. 446/97 per la determinazione del valore della produzione netta da parte di soggetti passivi Irap quali le banche e gli enti o società finanziarie. Per essi la base imponibile Irap è rappresentata da: - la somma degli interessi attivi e proventi assimilati, dei proventi di quote di partecipazione ai fondi comuni di investimento, delle commissioni attive, dei profitti da operazioni finanziarie, delle riprese di valore su crediti verso la clientela, degli altri proventi di gestione; e - la somma delle degli interessi passivi e oneri assimilati, delle commissioni passive e delle perdite da operazioni finanziarie, delle spese amministrative diverse da quelle inerenti al personale dipendente, degli ammortamenti, delle rettifiche di valore su crediti alla clientela comprese quelle su crediti impliciti relativi ad operazioni di locazione finanziaria, nonché degli accantonamenti per rischi su crediti, compresi quelli per interessi di mora*, degli altri oneri di gestione. La novità rilevante per tali soggetti intervenuta con l’entrata in vigore del decreto 506/99 in parola, è costituta dall’inserimento, quale componente deducibile ai fini dell’Irap degli accantonamenti per rischi su crediti inclusi quelli relativi ad interessi di mora. Per i soggetti che svolgono, in via esclusiva o prevalente, attività di assunzione di partecipazioni in società esercenti attività diversa da quella creditizia o finanziaria la base imponibile si determina sommando algebricamente al valore della produzione netta determinato con le modalità Pagina 182 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 esposte per le società ed enti obbligati alla presentazione del bilancio in forma UE, i seguenti componenti: 1) proventi finanziari, esclusi quelli da partecipazione; 2) profitti derivanti dal realizzo di attività finanziarie non immobilizzate; 3) i proventi derivanti dalle rivalutazioni di attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni; 4) gli oneri finanziari; 5) le perdite derivanti dal realizzo di attività non immobilizzate; 6) le svalutazioni di attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni. 25.6. Altri soggetti passivi d’imposta Analizziamo ora in sintesi i diversi criteri di determinazione della base imponibile Irap, cui devono sottostare altre forme societarie operanti nel settore finanziario e non, anche alla luce delle novità in commento. Società di intermediazione mobiliare Con riferimento alle società di intermediazione mobiliare non fanno parte dei componenti della base imponibile: 1) i profitti e le perdite connesse a riprese e rettifiche di valore su crediti alla clientela; 2) i profitti e le perdite da operazioni finanziarie ed i proventi di quote di partecipazione a fondi comuni di investimento; 3) gli interessi attivi e passivi ed i proventi e gli oneri assimilati rispettivamente agli interessi attivi e proventi assimilati ed agli interessi passivi e oneri assimilati (art. 6, comma 1, lettere a) e g) del D.Lgs. 446/97), rilevano limitatamente a quelli relativi a operazioni di riporto e di pronti contro termine. Quanto detto non trova applicazione nei confronti delle società che svolgono attività di negoziazione per conto proprio e di collocamento di valori mobiliari con assunzione di garanzia per le quali non rilevano soltanto le riprese e le rettifiche di valore su crediti alla clientela. Gestione fondi comuni Per le società di gestione di fondi comuni di investimento si comprendono tra i componenti della base imponibile soltanto le commissioni attive e passive, gli altri proventi e oneri di gestione, le spese amministrative e gli ammortamenti di cui alle lettere c) e h), f) e o), l) e m) del comma 1 dell’articolo 6 del D.Lgs. 446/97. Società di investimento a capitale variabile Le società di investimento a capitale variabile determinano la base imponibile calcolando la differenza tra: - la somma delle commissioni di sottoscrizione; - la somma delle provvigioni passive a soggetti collocatori, delle spese per consulenza e pubblicità, dei canoni di locazione immobili, dei costi per servizi di elaborazione dati, delle spese amministrative diverse da quelle inerenti al personale dipendente e degli ammortamenti dei beni materiali e immateriali. Banca d’Italia e Ufficio italiano cambi Per la Banca d’Italia e per l’Ufficio Italiano Cambi la base imponibile è determinata con gli stessi criteri indicati per le banche e gli altri enti e società finanziarie (art. 6 comma 1 Dlgs n. 446/97). Pagina 183 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Assicurazioni Per le imprese di assicurazioni la base imponibile Irap (art. 7 del D.Lgs. 446/97) è data dalla differenza tra: - l’ammontare complessivo dei premi, degli altri proventi tecnici, dei proventi derivanti da investimenti in terreni e fabbricati, da altri investimenti che non siano azioni o quote e da riprese di rettifiche di valore su investimenti non durevoli nonché da profitti sul realizzo di investimenti mobiliari non durevoli, e - l’ammontare complessivo delle provvigioni, comprese quelle di incasso e quelle di acquisizione, degli oneri relativi a sinistri (comprese le spese di liquidazione), delle perdite su realizzo di investimenti mobiliari non durevoli, delle variazioni delle riserve tecniche obbligatorie, dei ristorni e partecipazioni agli utili e degli altri oneri tecnici, degli oneri di gestione degli investimenti, delle rettifiche di valore su investimenti non durevoli, degli ammortamenti, delle altre spese amministrative. I componenti positivi e negativi per il calcolo della base imponibile si considerano con riferimento agli importi di competenza dell’esercizio, al netto delle cessioni di riassicurazione e con esclusione di qualsiasi spesa relativa al personale dipendente. Sono inoltre deducibili gli interessi passivi classificabili per tali imprese nei conti II.9.a) dei rami vita e III. 5.a) del conto non tecnico, disciplinati dal Dlgs n. 173/97 sulla redazione del bilancio delle imprese di assicurazione. Enti privati non commerciali diversi dalle società (nuova lettera e del comma 1 dell’art.3 del decreto 466/97) Gli enti privati non commerciali diversi dalle società ed in ogni caso i consorzi di garanzia collettiva fidi di primo e di secondo grado determinano la base imponibile secondo le seguenti regole dettate dall’art. 10 del D.Lgs. 446/97 e in maniera differente in funzione del tipo di attività svolta: - I soggetti che esercitano esclusivamente attività non commerciale calcolano la base imponibile come la somma delle retribuzioni e compensi spettanti al personale dipendente e ai collaboratori coordinati e continuativi (art. 49, comma 2, lett. a del TUIR), dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e dei compensi derivati da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente (esempio: collaboratori occasionali). Sono in ogni caso escluse dalla base imponibile le remunerazioni dei sacerdoti, nonché le borse di studio e simili corrisposte sino al 31/12/99. - I soggetti che esercitano in via prevalente attività non commerciale alla quale è associata anche un’attività commerciale calcolano la base imponibile, relativamente alle attività commerciali svolte, secondo le regole ordinarie previste dall’art. 5 D.Lgs. 446/97 in base a pro-rata determinato secondo le regole dettate dall’ultimo comma dell’art. 10. Enti e società non residenti nel territorio dello Stato Le società e gli enti non residenti nel territorio dello Stato, fatta salva la sussistenza del requisito della territorialità, determinano la base imponibile Irap secondo le regole ordinariamente previste per i soggetti residenti. Ne consegue che le società e gli enti commerciali non residenti determinano la base imponibile del tributo in parola nel rispetto di quanto disposto dagli articoli 5, 6 e 7 del D.Lgs. 446/97 mentre le associazioni e le società esercenti arti e professioni secondo i criteri dettati dall’art. 8 del citato decreto. Organi ed Amministrazioni dello Stato e soggetti equiparati (lettera e-bis del comma 1 dell’art.3 del decreto 466/97) A seguito delle modifiche all’impianto normativo apportate con il D.Lgs. 30/12/1999 n. 506 il Pagina 184 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 legislatore ha aggiunto all’impianto normativo del D.Lgs.446/97 il nuovo art. 10-bis dedicato esclusivamente ai criteri di determinazione della base imponibile Irap degli organi e delle amministrazioni dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni, dei consorzi tra enti locali, delle associazioni e degli enti gestori di demani collettivi, delle comunità montane ecc.. Si segnala in particolare l’esistenza di alcuni criteri alternativi ai fini della determinazione della base imponibile in funzione della tipologia di attività esercitata: - Per i soggetti che esercitano esclusivamente attività non commerciale la base imponibile è data dalla somma: delle retribuzioni e compensi spettanti al personale dipendente e ai collaboratori coordinati e continuativi (art. 49, comma 2, lett. a del TUIR), dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (ad esclusione delle borse di studio e simili corrisposte sino al 31/12/99) e dei compensi derivati da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente (esempio: collaboratori occasionali). - Per i soggetti che si qualificano come enti commerciali ai fini delle imposte sui redditi che esercitano in via esclusiva o principale attività commerciali la base imponibile è determinata applicando le regole ordinarie applicate alle imprese commerciali già più sopra analizzate. - Per i soggetti che esercitano in via prevalente attività non commerciale alla quale è associata anche un’attività commerciale la base imponibile di tali soggetti, relativamente alle attività commerciali svolte, può essere determinata secondo le regole ordinarie previste dall’art. 5 D.Lgs. 446/97 in base a pro-rata determinato secondo le regole dettate dall’ultimo comma dell’art. 10-bis. La circolare del ministero del tesoro n. 11 del 6/3/2000, illustra le modalità di discriminazione delle attività commerciali dalle non commerciali, fondamentale per il sistema di applicazione dell’Irap applicabile. “… si considerano commerciali quelle attività che rilevano ai fini dell’imposta sui redditi, ovvero per i soggetti (…) esclusi da tale imposta, quelle rilevanti ai fini Iva…”. 25.7. Le aliquote IRAP L’imposta è determinata, secondo quanto disposto dall’art. 16 DPR 446/97, applicando al valore della produzione netta l’aliquota del 4,25%. Tale misura dell’imposta trova applicazione nei confronti delle imprese, dei professionisti, degli enti non commerciali, dello Stato e dell'amministrazione pubblica con le seguenti eccezioni: - soggetti che operano nel settore agricolo e per le cooperative della piccola pesca e loro consorzi Banche, altri enti e società finanziarie, imprese di assicurazione Organi e Amministrazioni dello Stato, i comuni, le province 25.8. Trattamento fiscale ai fini irap di alcuni componenti positivi e negativi di reddito di impresa commerciale 1) (art. 5 D.Lgs. 446/97) - La base imponibile IRAP è determinata dalla differenza tra Valore della produzione (lettera A)) e Costi della produzione ( lettera B)) del conto economico escludendo dalla lettera B) i seguenti componenti di costo: • spese per il personale dipendente; Pagina 185 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 • perdite su crediti; • accantonamenti al fondo (svalutazione/rischi su) crediti. 2) (art. 11 e 11bis D.Lgs. 446/97) - I componenti positivi e negativi che concorrono alla formazione della base imponibile di cui sub 1) si assumono apportando ad essi le variazioni in aumento ed in diminuzione previsti ai fini delle imposte sui redditi salvo le eccezioni previste dagli artt. 11 e 11-bis come meglio precisato di seguito: A1(RQ1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni Tipologia di conto trattamento ai riferimenti normativi e C.M. fini IRAP Ricavi eventualmente evidenziati non imponibili in sede di dichiarazione dei (extraredditi ai fini dell’adeguamento contabilmente) dei parametri art. 3, comma 126 L. 662/96) La componente in oggetto non transita in contabilità e non rientra nelle eccezioni di cui all’art. 11 e 11bis D.Lgs 446/97 novellato - Assegnazione ai soci, auto- imponibili consumo, destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa Concorrono alla determinazione della base imponibile IRAP ai sensi dell’art. 11 bis D.Lgs 446/97 novellato - Transfer pricing – differenza imponibili positiva tra valore normale del bene ceduto/servizio prestato ed il valore contabilizzato - Concorrono alla determinazione della base imponibile IRAP ai sensi dell’art. 11 bis D.Lgs 446/97 novellato (C.M. 148/E del 26/7/2000) Pagina 186 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 A5(RQ5) Altri Ricavi Tipologia di conto trattamento ai riferimenti normativi e C.M. fini IRAP Proventi da immobili NON imponibili strumentali locati o affittati (rendita (canoni, affitti ecc.) catastale) La componente in oggetto, transitando in contabilità è soggetta a tassazione secondo le regole previste per le imposte sui redditi - C.M.141/E del 4/6/98 Proventi da immobili NON non imponibili strumentali non locati o sfitti (extra(rendita catastale extra-contabile) contabilmente) La componente reddituale costituita dalla rendita catastale non transitando in contabilità non è oggetto di ripresa a tassazione ai fini dell’IRAP C.M.141/E del 4/6/98 Plusvalenze da realizzo di beni strumentali anche se costituenti imponibili componenti straordinari della gestione (ad esclusione della cessione di aziende) Tale tipo di trattamento, come chiarito dalla C.M. 141/E del 4/6/98 si applica a tutte le plusvalenze realizzate a seguito di: cessione a titolo oneroso, risarcimento assicurativo per perdita o danneggiamento, destinazione a finalità estranee all’impresa Contributi in conto esercizio imponibili Quota di competenza imponibili dell’esercizio dei contributi in conto capitale commisurati al costo delle immobilizzazioni materiali Proventi esenti ai fini delle imponibili II.DD. Sono considerati imponibili ai fini IRAP i contributi erogati a norma di legge ad eccezione di quelli correlati a componenti non deducibili ai fini della medesima imposta Art. 11, comma 3, D.Lgs 446/97 novellato –(C.M. 148/E) Si veda quanto più sopra esposto ed in particolare quanto specificato. dalla C.M. 141/E del 4/6/98 e dalla 148/E del 26/7/2000 Tali proventi (previsti dall’art. 58 TUIR) concorrono alla determinazione della base imponibile IRAP per l’importo risultante dal conto economico - Art. 11bis, comma 1, D.Lgs 446/97 novellato - Pagina 187 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Sopravvenienze attive generate non imponibili dall’adeguamento del fondo rischi su crediti al 5% del monte crediti non garantiti La norma risulta essere “simmetrica” a quanto previsto in premessa: non ho dedotto gli accantonamenti al fondo nel periodo d’imposta in cui sono stati stanziati, conseguentemente l’eventuale eccedenza “stornata” non concorre alla base imponibile – CM 141/E del 1998 Recupero di oneri di personale non imponibili distaccato presso terzi Gli importi spettanti a titolo di recupero di oneri di personale distaccato presso terzi non concorrono alla formazione della base imponibile - Art. 11, comma 2, D.Lgs 446/97 novellato e C.M. 189/99 B7(RQ7) Costi per servizi Tipologia di conto Indennità forfetarie di trasferta trattamento ai riferimenti normativi e C.M. fini IRAP non deducibili L’indeducibilità dei rimborsi spese di tipo forfetario si desume da quanto disposto dalla C.M.141/E del 4/6/98 e da una lettura “a contrario” dell’art. 11, comma 2, D.Lgs. 446/97 Accantonamenti per Indennità deducibili cessazione dei rapporti di agenzia La deducibilità di tale componente di costo è disposta dagli art. 5 e 11bis co. 1 del D.Lgs. 446/97 novellato Rimborsi spese analitici dipendenti (piè di lista) La deducibilità di tale componente di costo è disposta dall’art. 11, comma 2, del D.Lgs. 446/97 ai deducibili Rimborsi per indennità non deducibili chilometrica per uso auto di proprietà del dipendente La deducibilità di tali componenti di costo è preclusa in ragione di quanto precisato dalla C.M: 141/E del 1998 Costi e spese relativi ad immobili non deducibili NON strumentali non locati o sfitti I costi relativi agli immobili non strumentali non locati non concorrono alla determinazione della base imponibile IRAP – C.M. 141/98 - Pagina 188 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Compensi a collaboratori non deducibili coordinati e continuativi, amministratori e sindaci (non soggetti ad IVA) non deducibili L’indeducibilità IRAP dei compensi corrisposti ad Amministratori, collaboratori occasionali, e coordinati continuativi ( e relativi contributi INPS a carico dell’impresa) è prevista alla lett. b), punti 1) e 2) Art. 11, D.LGs. 446/97 novellato e dalla C.M. 141/E del 4/6/98 Si veda quanto più sopra richiamato Quota a carico impresa contributo INPS 10/13% Compensi occasionali a collaboratori non deducibili Sono considerati imponibili ai fini IRAP i contributi erogati a norma di legge ad eccezione di quelli correlati a componenti non deducibili ai fini della medesima imposta Art. 11, comma 3, D.Lgs 446/97 novellato - non deducibili (rimborso Costi per il personale prestato da retribuzioni/con società di lavoro interinale tributi) La componente di costo costituita dal rimborso retributivo/contributivo alla società di lavoro interinale è considerata alla stregua del lavoro dipendente ed è quindi indeducibile ai fini IRAP; la componente di profitto deducibili (soggetta ad IVA) è invece componente (compenso della società deducibile in quanto corrispettivo di concedente) una prestazione di servizi - C.M. 263/E del 1998 Costi per il personale distaccato non deducibili presso l’impresa e dipendente da altre imprese La componente di costo costituita dal rimborso retributivo/contributivo alla società distaccante è considerata alla stregua del lavoro dipendente ed è quindi indeducibile ai fini IRAP - Art. 11, comma 2, D.Lgs. 446/97 novellato. B8(RQ8) Costi per il godimento di beni di terzi Tipologia di conto trattamento ai riferimenti normativi e C.M. fini IRAP Pagina 189 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Come specificato dal punto 6), comma non deducibili 1, dell’art. 11 del D.Lgs. 446/97 (interessi) novellato la deducibilità è prevista per la sola parte relativa al costo capitale Canoni per la locazione nei limiti dei criteri di competenza. finanziaria di immobili, impianti, Ai fini della individuazione della macchinari ed autoveicoli (quota deducibili componente interessi e della quota capitale ed interessi) (capitale) capitale soccorrono le istruzioni ministeriali che forniscono un’utile formula matematica. Il Ministero delle Finanze ha precisato che il costo sostenuto dal concedente deve essere considerato al netto del prezzo di riscatto dell’utilizzatore. Pagina 190 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 B14(RQ14) Oneri diversi di gestione Tipologia di conto trattamento ai riferimenti normativi e C.M. fini IRAP Sopravvenienze passive correlate indeducibili a componenti di conto economico NON rilevanti ai fini IRAP Sono irrilevanti ai fini IRAP tutti i componenti positivi o negativi se correlati a componenti positivi o negativi che NON parteciparono/parteciperanno alla determinazione del valore della produzione di periodi d’imposta precedenti o successivi - Art. 11, comma 3, D.Lgs. 446/97 e C.M. n.148/E del 26/7/2000. Sopravvenienze passive correlate deducibili a componenti di conto economico rilevanti ai fini IRAP Sono rilevanti ai fini IRAP tutti i componenti positivi o negativi se correlati a componenti positivi o negativi del valore della produzione di periodi d’imposta precedenti o successivi - Art. 11, comma 3, D.Lgs. 446/97 e C.M. n.148/E del 26/7/2000. Perdite su crediti Si veda quanto esposto in premessa, le perdite su crediti sia di natura certa che di natura previsionale sono sempre indeducibili ai fini dell’Irap Imposta Comunale Immobili (ICI) Liberalità non deducibili sugli deducibili non deducibili La deducibilità di tali componenti di costo è prevista esplicitamente dal nuovo testo di legge. L’indeducibilità IRAP dei compensi corrisposti a titolo di liberalità è stabilito dall’Art. 11bis, comma 2, D.Lgs. 446/97 novellato 3) Dalla base imponibile determinata nel rispetto dei punti sub 1) e sub 2) occorre dedurre: • i contributi per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) (tutti i premi pagati e competenziati); • le spese per apprendisti e disabili (considerando il termine “spese” onnicomprensivo dei costi sostenuti per tale categoria); • il 70% delle spese per personale con contratto di formazione lavoro; Pagina 191 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 • le deduzioni forfetarie previste dalla legge finanziaria 2001 (art.16) di cui si è detto. Pagina 192 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I.D.26. ICI 26.1. Definizioni: fabbricati, aree fabbricabili e terreni 1.1 Disciplina generale Il presupposto dell'imposta comunale sugli immobili è il possesso a titolo di proprietà o di altro diritto reale di: • fabbricati • aree fabbricabili • di terreni agricoli se situati nel territorio dello Stato e indipendentemente dall’uso a cui sono destinati. Sono da assoggettare ad imposta quindi anche gli immobili strumentali o quelli alla cui produzione o scambio diretta l'attività dell'impresa. Per quanto concerne le definizioni è lo stesso D.Lgs. 504/92 che le fornisce: • fabbricato: unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, cui sia stata attribuita o sia attribuibile un’autonoma rendita catastale. Si comprende nel fabbricato l'area occupata dalla costruzione e le eventuali pertinenze quali aiuole, giardini, ecc. (si veda la sentenza 7905 della Corte di cassazione del 15 aprile 2005); • area fabbricabile: area che può essere edificata in base a piani regolatori o ad altri strumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle effettive possibilità di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità. Non sono considerati fabbricabili i terreni, di proprietà di coltivatori diretti o di imprenditori agricoli a titolo principale, i quali siano dagli stessi proprietari condotti e sui quali persista l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura e all'allevamento degli animali. I regolamenti comunali possono aver introdotto ulteriori requisiti al fine di riconoscere l’esistenza di tale situazione; • terreno agricolo: il terreno adibito all'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali, come previsto dall'art. 2135 del codice civile. Nella c.m. 9 del 14 giugno 1993 sono indicati i comuni nel territorio dei quali i terreni agricoli sono esenti dall’ici ai sensi dell’art. 7 del Dlgs 504/92. Sono assimilate ai terreni agricoli le costruzioni rurali e le loro pertinenze destinate ad attività agriturustiche (L. 9/94 art. 17, c.3). Non scontano imposta almeno in linea di principio i fabbricati rurali in quanto il loro valore catastale è compreso nel reddito dominicale del terreno . Ma è da notare come il riconoscimento della ruralità glie stessi devono rispettare tutte le condizioni previste dall’art. 9 del dl 557/93. Le condizioni per pagare l’ICI 1 Gli immobili e i terreni, per essere soggetti a tassazione, devono essere situati nel territorio dello Stato. 2 Gli immobili sono colpiti dall'imposta indipendentemente dall'uso cui sono destinati; infatti, l'obbligo di liquidare l'Ici sorge anche nei confronti dei soggetti che possiedono fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli che sono strumentali all'esercizio di attività d'impresa, di arti o professioni o destinati alla vendita, cioè utilizzati come normale merce di Pagina 193 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 scambio. 3 L’imposta è in ogni caso dovuta anche per gli immobili costruiti abusivamente a nulla influendo sul pagamento dell’imposta la regolarità amministrativa della costruzione (r.m. 2/138/c del 6 giugno 1994). 4 Nel caso di immobile ad utilizzazione promiscua (la casa-studio del professionista) ai fini Ici occorre sempre far riferimento alle caratteristiche catastali dell’immobile e non alla sua destinazione 1.2 Fabbricati: casi particolari Fabbricati in costruzione Per i fabbricati in costruzione l’imposta si renda dovuta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione. In questa ipotesi dunque l’imposta sarà dovuta: • fino a quando il fabbricato non è costruito sul valore dell’area da considerare in ogni caso fabbricabile (anche in mancanza di tale requisito): il valore del fabbricato in costruzione fino all’ultimazione dei lavori non assume rilevanza; • dopo l’ultimazione dei lavori sul valore dell’immobile; nel caso in cui il fabbricato anche se non ultimato inizia ad essere utilizzato sarà da questo momento che bisognerà iniziare a pagare l’imposta sullo stesso e non sull’area. La demolizione dei fabbricati Regole contrarie sono invece da applicare alle ipotesi di demolizione del fabbricato. E’ bene subito precisare che l’ipotesi della demolizione è parificata alla ricostruzione e ai casi di recupero edilizio di cui alla legge 457/78 art. 31, 1 comma, lett. c), d) ed e) che ricordiamo sono: c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio; d) interventi di ristrutturazione edilizia, quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti; e) interventi di ristrutturazione urbanistica, quelli rivolti a sostituire l'esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un insieme sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale. Dalla data di inizio dei lavori di demolizione (o di recupero o di ricostruzione) fino al momento di ultimazione dei lavori la base imponibile Ici è data dal solo valore dell’area senza computare il valore del fabbricato che si sta demolendo o ricostruendo o ristrutturando Pagina 194 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Le parti condominiali Le parti condominiali che sono state accatastate in modo autonomo (il classico esempio può essere quella dell’abitazione del portinaio) costituiscono autonomi oggetti dell’imposta. Sarà cura dell’amministratore del condominio dichiarare l’immobile e pagare l’imposta per lo stesso dovuta. Se al contrario le parti comuni non risultano accatastate autonomamente (può essere il caso dell’atrio o del tetto) le stesse non rilevano ai fini Ici. 1.3 Area fabbricabile: casi particolari Coltivatori diretti o imprenditori agricoli Questa definizione assume importanza nella qualificazione di un’area come fabbricabile o meno. Come chiarito dall’art. 58 del D. Lgs 446/97 si considerano coltivatori diretti od imprenditori agricoli a titolo principale le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi previsti dall'articolo 11 della legge 9 gennaio 1963, n. 9, e soggette al corrispondente obbligo dell'assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia; la cancellazione dai predetti elenchi ha effetto a decorrere dal primo gennaio dell'anno successivo. Edificabilità diretta e indiretta L’individuazione dell’edificabilità di un’area può essere differenziata. Di certo il caso più semplice risulta quello per cui l’edificabilità risulta dagli strumenti urbanistici, e in questo caso è sufficiente richiedere al comune un certificato di destinazione urbanistica. Ma attenzione che possono esservi anche altre ipotesi. Si parla in sostanza anche di un’edificabilità indiretta ovvero di un’edificabilità che pur non risultando dagli strumenti urbanistici risulta dall’esistenza di indici probanti tale caratteristica. L’art. 5, bis del D.l. 11 luglio 1992, n. 333, ha infatti disposto che "per la valutazione dell'edificabilità delle aree, si devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio". In sostanza per qualificare un'area come edificabile non è necessaria l'esistenza congiunta di entrambe le condizioni (edificabilità di fatto ed edificabilità legale) ma seguendo il parere dell'Avvocatura generale dello Stato, è invece sufficiente il verificarsi anche di una sola delle condizioni sopra menzionate. Possiamo provare a esporre un caso Si pensi a un fabbricato situato in un territorio classificato come non edificabile dagli strumenti urbanistici. Se da un indagine di fatto risultasse però che tale zona è situata ai margini della zona abitativa e possa fruire di servizi pubblici si dovrebbe concludere per il riconoscimento dell’edificabilità di tale area 1.4 Terreno agricolo: casi particolari Gli imprenditori agricoli Nella definizione di terreno agricolo sono compresi anche le aree fabbricabili possedute e condotte da coltivatori diretti o dagli imprenditori agricoli che vi esplicano le attività agro-silvopastorali. In pratica ciò che diviene fondamentale per la qualificazione di un terreno come agricolo non è tanto la sua destinazione urbanistica ma piuttosto l’uso a cui sono concretamente adibiti. Sono quindi esclusi dal campo di applicazione dell'Ici tutti i terreni, diversi dalle aree fabbricabili, nei quali non vengono esercitate le attività agricole di cui all'art. 2135 del C.C Pagina 195 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I terreni esenti Il ministero dell’agricoltura e delle foreste, con circolare del 14/06/93 n° 9, ha indicato i comuni sul cui territorio i terreni sono esenti dall’Ici (in alcuni comuni l’esenzione vige solo su parte dei terreni, e per sapere quali sono le zone agevolate, occorre rivolgersi agli uffici locali competenti). Orticelli Gli orticelli e i piccoli appezzamenti anche se coltivati per puro diletto dal proprietario non possono considerarsi terreni agricoli e quindi, se non sono aree fabbricabili, sfuggono all’imposta comunale sugli immobili. Terreni non soggetti L’Ici non colpisce: • i terreni incolti, a patto che la mancata coltivazione sia dovuta alla tecnica agraria; • i terreni incolti per i quali il proprietario o il conduttore beneficia di contributi comunitari o nazionali sostitutivi dei ricavi; • i terreni utilizzati per attività diverse da quelle agricole, come ad esempio le superfici pertinenziali di fabbricati industriali; • i terreni sui quali le attività agricole sono esercitate in forma non imprenditoriale, come accade per gli orticelli e cioè per quegli appezzamenti solitamente coltivati per diletto e i cui prodotti sono solitamente autoconsumati. In ogni caso l’imposta non si applica per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina situati nei comuni indicati nell’allegato alla Circolare delle Finanze n. 9 del 14 giugno 1993. 26.2. Gli immobili che non pagano imposta (esenti) 2.1 Le esenzioni Il decreto legislativo 504 prevede una serie di esenzioni oggettive dall’imposta. Non scontano imposta: • gli immobili posseduti dallo Stato, regioni, province e comuni, comunità montane, consorzi fra detti enti, Unità sanitarie locali, istituzioni sanitarie pubbliche autonome, camere di commercio, destinati esclusivamente a compiti istituzionali (il comune potrebbe aver previsto l’esenzione anche per immobili destinati non esclusivamente ad attività istituzionali). Con la c.m. 14/93 il ministero ha precisato che rientrano in tale ipotesi anche le caserme e le prigioni inagibili e gli alloggi di proprietà dello Stato messi a disposizione dei titolari di determinati uffici; • i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9, e cioè: − − − − − − − − − E/1 E/2 E/3 E/4 E/5 E/6 E/7 E/8 E/9 Stazioni per servizi di trasporto Ponti comunali a pedaggio Fabbricati per esigenze pubbliche Recinti chiusi per esigenze pubbliche Fortificazioni Fari, semafori, torri per orologio Fabbricati per esercizio di culti Cimiteri Edifici particolari non compresi nelle categorie precedenti Pagina 196 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 • • • • • • • i fabbricati destinati ad usi culturali, cioè destinati a sedi aperte al pubblico di musei, pinacoteche, biblioteche, archivi, cineteche ed emeroteche per i quali al possessore non deriva alcun reddito dall’utilizzazione dell’immobile stesso; i fabbricati e loro pertinenze, destinati esclusivamente all'esercizio del culto purché compatibile con gli articoli 8 e 19 della Costituzione; i fabbricati di proprietà della Santa Sede; i fabbricati appartenenti agli Stati esteri e alle organizzazioni internazionali per i quali è riconosciuta l'esenzione dall'Ilor a seguito di accordi internazionali resi esecutivi in Italia; i fabbricati che, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati al fine di essere destinati alle attività assistenziali, di integrazione sociale delle persone handicappate limitatamente al periodo in cui sono adibiti allo svolgimento di tali attività; i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina; gli immobili di enti pubblici e privati, diversi dalle società, che non hanno per oggetto esclusivo e principale l'esercizio di attività commerciali, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive ed attività religiose o di culto e ad esse connesse. 2.2 Il caso degli oratori Tra le esenzioni si è prima richiamata quella prevista dall’art. 7 comma 1, lettera d), del D.Lgs. n. 504 del 1992, la quale stabilisce che sono esenti dall'Ici "i fabbricati e le loro pertinenze destinati esclusivamente all'esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze". La Risoluzione n. 1/DPF-25313 del 3 marzo 2004 ha ricordato sul punto come nella risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-01669 dell'11 marzo 2003, è stato espressamente specificato che le unità immobiliari adibite a case parrocchiali possano rientrare nel concetto di pertinenza e godere quindi dell'esenzione dall'Ici, solo ove il comune verifichi la sussistenza delle condizioni richieste dal codice civile innanzi indicate. Inoltre agli oratori potrebbe essere accordata l'esenzione anche sulla base della lettera i) dello stesso art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 504 del 1992, il quale dispone che sono esenti dall'Ici gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali "destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive nonché delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222". Vi è inoltre da aggiungere che tale esenzione concernente gli immobili “parrocchiali” dovrebbe essere estesa con la legge finanziaria per il 2006 riguardando tra l’altro non solo gli immobili del culto cattolico. 2.3 Cooperative assistenziali Con la ris.m. 7/E del 25 novembre 1994 non è stata riconosciuta l’esenzione per gi immobili utilizzati dalle società cooperative aventi scopi assistenziali. Esistono poi altre norme che possono concedere altre esenzioni che riguardano: • gli immobili, situati (interamente o prevalentemente) sul territorio comunale e di cui il comune stesso è titolare di un diritto reale (art. 4, comma 1, secondo periodo Dlgs 504); • gli esercizi commerciali e artigianali situati in zone precluse al traffico a causa dello svolgimento di lavori per la realizzazione di opere pubbliche che si protraggono per oltre 6 mesi per i quali i comuni possono deliberare agevolazioni (riduzioni), fino alla totale esenzione (art. 1, comma 86 della L. 549/95); • gli immobili delle Onlus a patto che il comune ne deliberi l’esenzione (art. 21 del Dlgs n. 460/1997). Pagina 197 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 26.3. I soggetti passivi d’imposta 3.1. Disciplina generale Sono soggetti passivi d’imposta: • i proprietari; • gli usufruttuari; • i titolari di diritto d’uso • i titolari di diritto di abitazione • gli enfiteuti; • i titolari di diritto di superficie, • l’utilizzatore degli immobili in leasing; • il concessionario delle aree demaniali. Un caso ricorrente è quello che concerne il diritto di abitazione che spetta al coniuge superstite ed al coniuge separato convenzionalmente o per sentenza. Medesimo diritto spetta anche al socio della cooperativa edilizia sull'alloggio assegnatogli. Con riguardo all’assegnatario dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica concessogli in locazione con patto di futura vendita e riscatto. La corte di cassazione con sentenza 654 del 2005 ha inoltre fissato il principio secondo cui l'assegnatario dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica concesso in locazione con patto di futura vendita e riscatto, non essendo titolare di un diritto reale di godimento, non è soggetto passivo di imposta In ogni caso non rileva la natura “giuridica” del soggetto proprietario (o titolare di un’altra delle condizioni sopra elencate) e nemmeno la sua nazionalità. In pratica sia le persone fisiche, che quelle giuridiche e qualsiasi altro ente, sia i soggetti italiani che gli stranieri una volta verificata l’esistenza delle caratteristiche sopra viste sono considerati in ogni caso soggetti passivi d’imposta. Non sono in ogni caso soggetti passivi d’imposta il nudo proprietario, il comodatario, il locatario e l’affituario. 3.2. Casi particolari 3.2.1. Il leasing Il soggetto passivo di imposta nell’ipotesi di leasing immobiliare è il conduttore dell’immobile. Con riguardo al momento in cui la titolarità passiva d’imposta transita dal proprietario al conduttore in leasing, la circolare 109/E del 18 maggio 1999 ha chiarito che il passaggio della soggettività passiva Ici dal locatore al conduttore finanziario avviene non al momento della stipula del contratto ma piuttosto nel momento in cui avviene la consegna del bene immobile locato. Questa almeno la regola generale che occorre poi differenziare con riguardo agli immobili oggetto di locazione finanziaria. Per i fabbricati classificati nella categoria catastale A o C l’utilizzatore diviene soggetto passivo Ici dalla data di stipula di consegna dell’immobile, e ciò indipendentemente dal fatto che la base imponibile sia calcolata in base ad una rendita effettiva, presunta o solo proposta. Nel caso invece in cui l’immobile oggetto del leasing sia un fabbricato classificabile nella categoria D privo di rendita, ovvero un fabbricato la cui base imponibile deve essere calcolata sulla base delle scritture contabili, l’utilizzatore è tenuto al pagamento dell’imposta solo a partire dall’anno successivo a quello di stipula del contratto. Quindi nel 2005 dovranno pagare l’imposta gli utilizzatori di immobili di tal tipo che abbiano stipulato contratti di leasing nel corso del 2004: per quelli stipulati nel 2005 il problema è procrastinato di un anno. Pagina 198 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Ma per tali fabbricati esiste poi la possibilità che il valore ai fini Ici invece che desunto dalle scritture contabili possa essere proposto dallo stesso contribuente IL CASO DEL LEASING IMMOBILI CON BASE IMPONIBILE PARI ALLA RENDITA (EFFETTIVA O PRESUNTA O PROPOSTA) IL CONDUTTORE DIVIENE SOGGETTO PASSIVO ICI DAL MOMENTO IN CUI L’IMMOBILE E’ CONSEGNATO IMMOBILI CON BASE IMPONIBILE DESUNTA DALLE SCRITTURE CONTABILI IL CONDUTTORE DIVIENE SOGGETTO PASSIVO ICI DAL 1 GENNAIO DELL’ANNO SUCCESSIVO A QUELLO IN CUI L’IMMOBILE E’ CONSEGNATO 3.2.2. Il diritto di superficie Con la costituzione del diritto di superficie la proprietà della costruzione rimane distinta da quella del suolo sottostante. Si assiste alla costituzione di un diritto di superficie qualora venga concessa la possibilità di costruire su un suolo non di proprietà l’immobile. Con riguardo all’Ici ci si trova in situazioni differenti: • durante il periodo che va dalla data di costituzione del diritto fino alla data di ultimazione dei lavori di costruzione la base imponibile è costituita solo dal valore venale di comune commercio del suolo su cui si sta costruendo che è sempre considerato area fabbricabile • alla conclusione della costruzione la base imponibile ICI è costituita dal valore del fabbricato. Le regole previgenti prevedevano che soggetto passivo d’imposta fosse in ogni caso il proprietario del suolo. Ciò comportava la possibilità di evitare il pagamento d’imposta in un caso abbastanza frequente, ovvero in quello in cui il comune concede a terzi, solitamente a cooperative, il diritto di realizzare case di tipo economico e popolare. Spesso nella fase antecedente all’ultimazione del fabbricato il Comune, che dovrebbe essere il debitore d’imposta, riusciva ad evitare tale pagamento in quanto i terreni insistono interamente o prevalentemente sul territorio comunale e quindi non vi è applicazione dell’ICI in forza del disposto di cui all’articolo 4, comma 1 del decreto legislativo 504/92. Inoltre i terzi che avevano costruito rimanevano superficiari a cui non competeva il pagamento dell’imposta in modo diretto ma solo di subire la rivalsa dal proprietario. Siccome questo, il Comune, non era obbligato all’imposta anche il superficiario era in pratica esentato dall’Ici. Con le regole attuali che identificano nel superficiario il debitore d’imposta, la possibilità di sfuggire in tal modo all’imposta è superata. Pagina 199 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 3.2.3. Contitolarità In caso di contitolarità sul medesimo immobile (ad esempio: comproprietà piena; cousufrutto; proprietà piena per una quota e usufrutto per la restante quota) ciascun contitolare è obbligato ad effettuare distintamente il versamento dell'imposta limitatamente alla parte corrispondente alla propria quota di titolarità. Sulla possibilità che un solo soggetto passivo contitolare effettui il versamento complessivo occorre verificare se ciò sia previsto nel regolamento comunale. 3.2.4. Le procedure concorsuali Non sfuggono all’Ici gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa. Il pagamento dell’imposta è però posticipato: l’imposta comunale deve essere versata entro tre mesi dalla data di incasso del prezzo della vendita degli stessi. 3.2.5. Contratto di anticresi Come confermato dalla ris.min. 2 del 30 marzo 1994, con il creditore anticretico non è titolare di alcun diritto reale sull’immobile ricevuto. Pertanto è il debitore o il terzo che ha consegnato l’immobile al creditore a garanzia del credito che rimane soggetto passivo Ici. 3.2.6. Procedimento di espropriazione In ipotesi di espropriazione per pubblico interesse si deve ritenere che fino a quando non viene emesso il relativo decreto, soggetto passivo d’imposta resta il proprietario dell’immobile ovvero il titolare del diritto reale. L’articolo 16 della legge Ici dispone: • in caso di espropriazione di area fabbricabile l'indennità è ridotta ad un importo pari al valore indicato nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata dall'espropriato ai fini dell'applicazione dell'imposta qualora il valore dichiarato risulti inferiore all'indennità di espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti; • in caso di espropriazione per pubblica utilità, oltre all'indennità, è dovuta una eventuale maggiorazione pari alla differenza tra l'importo dell'imposta pagata dall'espropriato o dal suo dante causa per il medesimo bene negli ultimi cinque anni e quello risultante dal computo dell'imposta effettuato sulla base della indennità. La maggiorazione, unitamente agli interessi legali sulla stessa calcolati, è a carico dell'espropriante. 3.2.7. Il concessionario Tra i soggetti passivi d’imposta è compreso il concessionario degli immobili insistenti su aree demaniali. Fino al 31 dicembre 2000 il concessionario non era considerato soggetto passivo dell'Ici poiché, anche se di fatto possedeva l'immobile, il possesso non conseguiva a nessuna delle “situazioni” (proprietà, diritto reale ecc.) da cui le norme fanno discendere l'obbligo di assolvere il tributo. Dal 2001 le nuove regole riconoscono la soggettività passiva anche a questo soggetto. Una ipotesi frequente è quella che concerne la concessione di aree comunali a cooperative per la costruzioni di parcheggi. Soggetto passivo dell’imposta in queste ipotesi è la cooperativa l’acquirente ma solo dopo la consegna del box. Pagina 200 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 3.2.8. La multiproprietà L’istituto della multiproprietà o meglio la situazione in cui sui beni immobili sono costituiti diritti di godimento a tempo parziale trova la sua regolamentazione giuridica nel D.Lgs. 9 novembre 1998, nr. 427 che ha dato attuazione alla direttiva 94/47/CE concernente la tutela dell'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili. La regole stabiliscono che nel caso di proprietà turnaria o di multiproprietà il pagamento dell'Ici è effettuato dall'amministratore di condominio o della comunione. In sostanza viene definito non tanto il soggetto passivo d’imposta quanto piuttosto il soggetto tenuto ad effettuare materialmente il versamento: lo stesso è individuato nell’amministratore che a tal fine è autorizzato a prelevare l'importo dalle disponibilità finanziarie del condominio e successivamente ad attribuire le relative quote al singolo titolare dei diritti di godimento addebitandole nel rendiconto annuale. 26.4. La base imponibile La base imponibile Ici è costituita: • dal valore dei fabbricati, delle aree fabbricabili e dei terreni agricoli; • il valore del fabbricato o dei terreni si ritrova partendo dalla rendita catastale che deve essere moltiplicata sulla base di coefficienti stabiliti dalla legge; • il valore delle aree edificabili è quello commerciale al 1 gennaio. Le rendite catastali desumibili dai certificati catastali degli immobili devono essere rivalutati del 5 e del 25% (fabbricati e terreni). Per ciascun anno l’imposta deve essere calcolata partendo dalle rendite risultanti al 1° gennaio. Quindi le eventuali modificazioni delle rendite possono avere effetto solo dall’anno successivo a quello in cui si verificano. LA BASE DELL’ICI Aree edificabili: valore commerciale al 1 gennaio. Fabbricati: rendita catastale moltiplicata per i coefficienti stabiliti dalla legge; Terreni: rendita catastale moltiplicata per i coefficienti stabiliti dalla legge Pagina 201 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 4.1. I fabbricati Per la determinazione del valore dei fabbricati, intendendosi con questi le singole unità immobiliari iscritte o che devono essere iscritte nel catasto edilizio urbano il valore del bene è dato dall'intera rendita catastale moltiplicata: - PER 100 se si tratta di fabbricati classificati nei gruppi catastali A, B e Con esclusione delle categorie A/10 e C/1; - PER 50 se il fabbricato è accatastato nel gruppo D e nella categoria A/10 - PER 34 se il fabbricato è accatastato nella categoria C/1. Nel caso in cui i fabbricati: 2. non siano stati ancora iscritti in catasto; 3. manca l'attribuzione della rendita; 4. oppure la rendita risulta non più rispondente alla situazione originaria (ad esempio, per effetto di variazioni intervenute sul fabbricato, ovvero per un diverso classamento dell'immobile), il valore del fabbricato si determina mediante l'applicazione degli stessi moltiplicatori alle rendite catastali attribuite a fabbricati similari. Ricordiamo che gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali per fabbricati e terreni sono efficaci solo a decorrere dalla data della loro notificazione, a cura dell'Agenzia del Territorio competente, ai soggetti interessati. 4.2 La rendita presunta E’ ancora frequente il caso di fabbricati privi di rendita catastale per i quali occorre procedere al calcolo della rendita (la cosiddetta “rendita presunta”) per poter poi calcolare l’imposta da versare. Ogni immobile è individuato da una serie di dati alfa-numerici in base ai quali il catasto attribuisce la rendita. Quindi per poter determinare la rendita presunta (calcolo che può essere eseguito da un tecnico del catasto o dal contribuente) bisogna prendere in considerazione alcuni elementi quali: • zona censuaria; • gruppo catastale; • categoria catastale; • classe catastale; • numero dei vani catastali (immobili del gruppo A), dei metri cubi (immobili del gruppo B) e metri quadrati (immobili del gruppo C). La zona censuaria può corrispondere all’intero comune. Nei comuni più grandi a volte l’abitato e’ suddiviso in più zone. I fabbricati sono divisi in gruppi a seconda della loro tipologia, ogni gruppo e’ a sua volta suddiviso in categorie e ogni categoria e’ suddivisa in classi in base a caratteristiche costruttive, finiture, epoca di costruzione, dotazione di servizi e impianti (più alto è il numero della classe maggiore e’ il pregio dell’immobile). Il calcolo della rendita presunta viene effettuato sui fabbricati appartenenti ai gruppi A, B e C. Pagina 202 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Una volta individuati la zona censuaria, il gruppo, la categoria e la classe di appartenenza dell’immobile occorre determinare la consistenza. La consistenza si riferisce al numero dei vani catastali, metri cubi e metri quadrati degli immobili a seconda che appartengano rispettivamente ai gruppi A, B e C. Per vani catastali si intendono i locali utili effettivi ad esempio soggiorno, camera, cucina (circa 25/30 metri quadrati per vano). Ad ogni classe di ciascuna categoria è attribuita (con decreto del ministero delle Finanze) una tariffa d’estimo: valore unitario che esprime l’astratta redditività di un’unita’ immobiliare. Moltiplicando la tariffa d’estimo corrispondente alla classe di appartenenza del fabbricato per la consistenza si ottiene la rendita presunta. Esempio: abitazione di categoria A/2, classe 2, 5 vani: 5 x tariffa d’estimo corrispondente al tipo di abitazione = rendita presunta Moltiplicando la rendita così ottenuta per questi coefficienti: unità immobiliari classificate nei gruppi catastali A, B e C, con esclusione delle categorie A/10 e C/1: • rendita catastale x 100 unità immobiliari classificate nella categoria A/10: • rendita catastale x 50 unità immobiliari classificate nella categoria C/1: • rendita catastale x 34 si ottiene la base imponibile per la determinazione dell’imposta. Esempio: abitazione appartenente al gruppo A: rendita presunta x Base imponibile x 100 = base imponibile aliquota deliberata dal comune : 1.000 = ICI dovuta TUTTI GLI IMMOBILI CATEGORIA PER CATEGORIA CATEGORIA DESCRIZIONE A/1 A/2 A/3 A/4 A/5 Abitazione signorile Abitazione civile Abitazione economica Abitazione popolare Abitazione ultrapopolare VALORE AI FINI SOMMA DA ICI VERSARE Rendita per 100 Valore per aliquota Rendita per 100 Valore per aliquota Rendita per 100 Valore per aliquota Rendita per 100 Valore per aliquota Rendita per 100 Valore per aliquota Pagina 203 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 A/6 A/7 A/8 A/9 A/10 A/11 B/1 B/2 B/3 B/4 B/5 B/6 B/7 B/8 C/1 C/2 C/3 C/4 C/5 C/6 C/7 D/1 D/2 D/3 D/4 D/5 D/6 D/7 D/8 D/9 D/10 D/11 D/12 E/1 E/2 E/3 E/4 E/5 E/6 E/7 E/8 E/9 Abitazione rurale Abitazioni in villini Abitazioni in ville Castelli e palazzi Uffici e studi privati Abitazioni tipiche dei luoghi Collegi e convitti Case di cura ed ospedali Prigioni e riformatori Uffici pubblici Scuole e laboratori Biblioteche, musei, ecc. Cappelle e oratori Magazzini sotterranei Negozi e botteghe Magazzini e locali deposito Laboratori per arti e mestieri Fabbricati per esercizi sportivi Stabilimenti balneari Stalle, scuderie e rimesse Tettoie chiuse od aperte Opifici Alberghi e pensioni Laboratori per arti e mestieri Case di cura ed ospedali Istituti di credito Fabbricati, locali per es. sportivi Fabbricati ad uso industriale Fabbricati ad uso commerciale Edifici galleggianti Residence Scuole e laboratori scientifici privati Posti barca in porti turistici Stazioni per servizi di trasporto Ponti comunali a pedaggio Fabbricati per esigenze pubbliche Recinti chiusi per esigenze pubbliche Fortificazioni Fari, semafori, torri per orologio Fabbricati per esercizio di culti Cimiteri Edifici particolari non compresi nelle categorie Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 50 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 34 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 100 Rendita per 50* Rendita per 50* Rendita per 50* Rendita per 50* Rendita per 50* Rendita per 50* Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Rendita per 50* Rendita per 50* Valore per aliquota Valore per aliquota Rendita per 50* Rendita per 50* Rendita per 50* Valore per aliquota Valore per aliquota Valore per aliquota Rendita per 50* Esenti Valore per aliquota - Esenti Esenti - Esenti - Esenti Esenti - Esenti - Esenti Esenti - Pagina 204 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 precedenti *Per rendita si intende il valore calcolato tramite i coefficienti incrementativi (vedi immobili delle imprese) 4.3. Gli immobili dell’impresa I criteri ordinari di determinazione del valore sulla base della rendita catastale non si applicano per i fabbricati interamente posseduti da impresa e distintamente contabilizzati, classificabili nel gruppo catastale D e sforniti di rendita catastale. In sostanza per questa tipologia di immobile vale la regola principale che correla la base imponibile alla rendita catastale, ma nel caso in cui la stessa non sia stata ancora assegnata occorre rifarsi non alla rendita presunta ma alla procedura particolare per cui per tali fabbricati il valore è determinato sulla base dei costi di acquisizione ed incrementativi contabilizzati, attualizzati mediante l'applicazione di determinati coefficienti. La base imponibile deve essere ritrovata andando a classificare tutti i costi sostenuti per anno di formazione e applicando agli stessi i coefficienti stabiliti per decreto. Tra i valori da aggiornare sono compresi il costo d’acquisto o quello di costruzione ed anche le eventuali rivalutazioni. Per individuare come comportarsi occorre differenziare l’ipotesi di rivalutazione dei valori già contabilizzati rispetto a quelli di contabilizzazione di nuovi incrementi. Solo nel secondo caso sarà infatti necessario presentare la dichiarazione in quanto gli incrementi derivanti dall’aggiornamento dei coefficienti non costituisce causa di variazione. E’ bene poi ricordare che: 1. In dichiarazione vanno inserite le variazioni (e quindi i costi capitalizzati) intervenuti nel secondo anno precedente: nel 2005 vanno ad esempio dichiarati i costi capitalizzati nel 2003. 2. Per il pagamento dell’imposta si deve invece tener conto delle variazioni intervenute nell’anno precedente: quindi nel calcolo dell’imposta dovuta per il 2005 occorre tener conto delle variazioni intervenute nel 2004. Ciò in quanto ai fini del calcolo dell’imposta ciò che rileva è il valore dell’immobile al 1° gennaio. Inoltre: - il criterio di determinazione del valore sulla base dei costi contabilizzati si applica anche nel caso in cui il fabbricato posseduto dall'impresa, classificabile nel gruppo D e sfornito di rendita, sia di interesse storico o artistico ai sensi dell'art. 3 della legge 1° giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni; - per i fabbricati ai quali sia stata attribuita la rendita nel corso dell'anno 2004, od anni precedenti, il valore sul quale calcolare l'ICI dovuta per l'anno 2005 è dato dalla capitalizzazione della rendita (rendita risultante in catasto, aumentata del 5 per cento, moltiplicata per 50); - per i fabbricati ai quali sia attribuita la rendita nel corso dell'anno 2005, il valore sul quale calcolare l'ICI dovuta per l'anno 2005 continua ad essere quello ottenuto attraverso l'attualizzazione dei costi contabilizzati; - i costi incrementativi aggiuntivi a quello di acquisizione, contabilizzati nel corso dell'anno 2005, influiscono sull'ammontare del valore soltanto a decorrere dell'ICI dovuta per l'anno 2006. Nella legge finanziaria per l’anno 2002 è stato introdotta una nuova regola che riguarda espressamente i fabbricati di categoria D. L’art. 18, comma 6 prevede infatti che “nel caso in cui l’imposta relativa ai fabbricati del gruppo D, in precedenza versata a unico comune in base a valori di bilancio unitariamente considerati , Pagina 205 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 sia successivamente da versare a più comuni a seguito dell’attribuzione di separate rendite catastali per le parti insistenti sui territori di comuni diversi, i comuni interessati sono tenuti a regolare mediante accordo i rapporti finanziari relativi, delegando il ministero dell’interno a effettuare le necessarie variazioni dell’importo a ciascuno spettante a titolo di trasferimenti erariali, senza oneri per lo stato”. LE REGOLE PER GLI IMMOBILI DELLE IMPRESE Fabbricati posseduti da impresa (distintamente contabilizzati) classificabili nel gruppo catastale D e sforniti di rendita catastale. Dichiarazione Versamento vanno inserite le variazioni (e quindi i costi capitalizzati) intervenuti nel secondo anno precedente: nel 2005 vanno ad esempio dichiarati i costi capitalizzati nel 2003 si deve invece tener conto delle variazioni intervenute nell’anno precedente: quindi nel calcolo dell’imposta dovuta per il 2005 occorre tener conto delle variazioni intervenute nel 2004. 4.4. Immobili di interesse storico o artistico Per i fabbricati di interesse storico o artistico deve essere assunta la rendita catastale determinata mediante l'applicazione della tariffa d'estimo di minore ammontare tra quelle previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale il fabbricato è situato 4.5. Aree fabbricabili La base imponibile è pari al loro valore commerciale. I singoli enti comunali possono aver determinato i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine di limitare il potere di accertamento. 4.6. Terreni agricoli Per i terreni agricoli la base imponibile è determinata moltiplicando il reddito dominicale, risultante in catasto alla data del 1° gennaio 2005, per il relativo coefficiente che è pari a 75. Il reddito dominicale deve essere preliminarmente rivalutato del 25 per cento. 26.5. Le aliquote 5.1 I minimi e i massimi Pagina 206 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Le delibere dell’ente locale possono individuare una o più aliquote applicabili agli immobili siti nel territorio comunale variabili da un minimo del 4 per mille ad un massimo del 7 per mille. L’ampio potere regolamentare concesso ai comuni trova in questa materia uno dei punti in cui si presenta senza dubbio in misura maggiore. I comuni possono prevedere: • un’aliquota agevolata per gli immobili degli enti non commerciali; • un’aliquota minima, per un periodo non superiore a tre anni, relativamente ai fabbricati realizzati per la vendita e rimasti invenduti dalle imprese che hanno per oggetto esclusivo o prevalente dell’attività la costruzione e la vendita di immobili; • un’aliquota inferiore alla misura minima, limitatamente per i contribuenti che effettuano interventi di recupero di edifici inagibili o inabitabili o per la realizzazione di autorimesse o posti auto pertinenziali, per la durata massima di un triennio; • un’aliquota minima per gli “interventi finalizzati al recupero degli immobili di interesse artistico o architettonico localizzati nei centri storici” (i fabbricati di cui alla legge 1° giugno 1939 n. 1089); • un’aliquota inferiore alla misura minima per i contribuenti-proprietari che concedono in locazione a titolo di abitazione principale fabbricati alle condizioni definite dagli accordi contrattuali; • un’aliquota massima del 9 per mille, per i fabbricati non locati per i quali non risultino essere stati registrati contratti di locazione da almeno due anni (gli immobili sfitti). L’art. 5, bis comma 4 della legge 148/2005 concede ai comuni la possibilità per ridurre l’imposta sulle abitazioni principali di recuperare gettito aumentando il carico sui terreni che possono essere utilizzati per costruzioni immobiliari. La motivazione della nuova regola è duplice: da un lato si vuole alleggerire il peso fiscale sulla casa di abitazione e dall’altro, al fine di non far gravare ciò sulle casse comunali, si individua una strada alternativa per pareggiare le minori entrate (colpendo le aree edificabili). Le regole generali prevedono che l’aliquota Ici sia fissata tra il 4 e il 7 per mille. E’ poi vero che con proprio regolamento gli stessi possono anche diminuire il livello dell’imposizione minima ma mai aumentare il limite massimo. Con la nuova norma scompare però il divieto a ritoccare l’aliquota massima del 7 mille: il comune ha mano libera per innalzare la stessa con riguardo alle aree edificabili. Le stesse sono considerate quelle utilizzabili a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi: si tratta insomma di quei terreni su cui vi è la possibilità di edificare una costruzione. E’ inoltre fissato che deve intendersi come area fabbricabile anche quella che può essere edificata in base alle effettive possibilità di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità, mentre non sono mai considerati fabbricabili i terreni, di proprietà di coltivatori diretti o di imprenditori agricoli a titolo principale, i quali siano dagli stessi proprietari condotti e sui quali persista l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura e all'allevamento degli animali. I terreni edificabili potranno quindi subire un aggravio (eventualmente compensato a livello comunale da una diminuizione dell’Ici sulle abitazioni principali) con un’eccezione. Qualora il proprietario dell’area edificabile dovesse dichiarare di non voler cedere l’immobile che si andrà a costruire per un certo periodo, l’aumento non scatterà. Sarà compito dei regolamenti comunali fissare le modalità con cui tale deroga potrà applicarsi: l’atto comunale dovrà identificare il periodo per cui l’immobile costruito non dovrà essere ceduto, le modalità e i termini con cui la dichiarazione dovrà essere resa dal proprietario. In tal caso torneranno quindi applicabili le regole generali che per i fabbricati in costruzione prevedono che l’imposta si renda dovuta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero: nel caso di immobile in costruzione l’imposta è dovuta fino all’ultimazione dei lavori sul valore dell’area ed in seguito sul valore dell’immobile. L’aumento dell’Ici sulle areee edificabili non sarà applicata automaticamente ma dovrà essere espressamente prevista nel regolamento comunale che fissa annualmente i dettagli dell’imposta Pagina 207 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 (aliquote, esenzioni, sconti, modalità di dichiarazione e pagamento ecc.) e, per disposizione di legge, la stessa potrà trovare applicazione solo a partire dal 2006. Gli impatti della nuova regola devono essere valutati con attenzione soprattutto considerando le interpretazioni estensive oggi esistenti del concetto di edificabilità di un terreno. Lo stesso non è unicamente quello che risulta tale dagli strumenti urbanistici (e in questo caso è sufficiente richiedere al comune un certificato di destinazione urbanistica per risolvere i dubbi). E’ infatti ritenuto edificabile (ai fini Ici) anche quel terreno per cui esiste solo un’edificabilità di fatto e non un’edificabilità legale. L’esempio è quello dell’immobile situato in un territorio classificato come non edificabile dagli strumenti urbanistici. Se da un indagine di fatto risultasse però che tale zona è situata ai margini della zona abitativa e possa fruire di servizi pubblici si dovrebbe concludere per il riconoscimento dell’edificabilità di tale area. Di certo tale classificazione potrebbe anche essere contestata dal proprietario-contribuente ma l’esito di un eventuale litigio non pare scontato. 26.6. L'abitazione principale 6.1 Le aliquote L’abitazione principale è quella posseduta dal contribuente a titolo di proprietà o usufrutto o altro diritto reale in cui però lo stesso e i suoi familiari dimorano abitualmente. Non si potrà godere dello sconto Ici per quell’abitazione abitata abitualmente solo dai familiari e non anche dal proprietario dell’immobile. Ad esempio l’abitazione concessa in uso gratuito dal genitore al figlio non potrà essere considerata ai fini Ici abitazione principale e dovrà dunque scontare l’imposta in misura piena (salvo diversa indicazione contenuta nel regolamento comunale) In forza dell’articolo 3, comma 56 della legge 662/96 nel caso in cui il proprietario di un immobile risulti ricoverato in un istituto di ricovero il fabbricato se non locato a terzi può essere considerato abitazione principale (e godere quindi degli sconti). I comuni possono deliberare un’aliquota ridotta rispetto a quella ordinaria per le abitazioni principali. Inoltre possono, deliberare una aliquota ridotta, ai sensi della legge 662 del 23 dicembre 1996, a favore dei proprietari di immobili dati in affitto, con contratto registrato, a persone che la hanno adibita a loro abitazione principale. L’aliquota in questione, ridotta rispetto a quella ordinaria, può essere differente da quella adottata per la prima casa in senso stretto. 6.2 La detrazione Ma oltre che sul fronte delle aliquote il trattamento di favore previsto per tale ipotesi pari a € 103,29. Seguendo le regole generale dell’imposta la detrazione deve essere rapportata al periodo di possesso in cui l’immobile è stato adibito ad abitazione principale. Ma attenzione che in caso di più contribuenti dimoranti nell’immobile la detrazione deve essere suddivisa in parti uguali tra gli stessi senza che a nulla influisca la quota di proprietà di ognuno dei dimoranti (vedi c.m. 120/E del 27 maggio 1999). Inoltre il testo originario del D.Lgs. 504/1992 ha subito anche con riguardo alla detrazione per l’abitazione principale una serie di rilevanti modifiche. E’ oggi infatti concessa la possibilità di: • ridurre l'imposta dovuta per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo fino al 50 per cento; in alternativa, • elevare l'importo base delle detrazione. La predetta facoltà può essere esercitata anche limitatamente alle categorie di soggetti in situazioni di particolare disagio economico-sociale, individuate con deliberazione del competente organo comunale. Pagina 208 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Tale disposizione si applica anche alle unità immobiliari, appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari nonché‚ agli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi case popolari. Inoltre è bene ricordare che godono della detrazione i “cittadini italiani” non residenti: la norma dispone che il beneficio non può essere fruito da chi anche dopo aver ottenuto la residenza italiana nel comune in cui è stata acquistata l’unità immobiliare, non risulti quivi residente (cfr. r.m. n. 168/E del 13 giugno 1995). Inoltre la fa riferimento all’unità immobiliare “posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto in Italia, a condizione che non risulti locata”: la Direzione regionale delle Entrate per la Lombardia (risposta del 30 maggio 1994, prot. 72504/94), ha affermato che la detrazione d’imposta compete anche se l’unità immobiliare è concessa in uso gratuito a un familiare. Quindi per godere dell’agevolazione è sufficiente che: • la persona risulti “non residente” (nel territorio dello Stato e non nel comune di origine o altro) e • l’unità immobiliare non venga data in locazione. L’articolo 58 del D.Lgs. 446/97 ha inoltre concesso la facoltà ai comuni di stabilire la detrazione per l’abitazione principale in misura superiore e fino a concorrenza dell’imposta dovuta per tali unità. Vi è un limite al potere dei comuni identificabile nel fatto che la scelta sopra evidenziata non può comunque portare l’amministrazione locale a fissare un aliquota superiore a quella ordinaria per le unità immobiliari tenute a disposizioni del contribuente. 6.3 Le pertinenze Un punto in cui serve la massima attenzione nel calcolo dell’imposta è come sempre quello del regime da riservare alle pertinenze. La materia negli ultimi anni è stata oggetto di diversi interventi (legislativi e della prassi) che hanno creato non poche incertezze. Partiamo quindi a descrivere il trattamento attuale delle stesse. Dal 1 gennaio 2001 senza più alcun dubbio (si veda l’articolo 18, 2 comma della legge 388/2000 e la circolare nr. 23/E dell'11 febbraio 2000) alle pertinenze deve essere riservato lo stesso trattamento fiscale dell'abitazione principale, indipendentemente dal fatto che il comune abbia o meno deliberato l'estensione della riduzione dell'aliquota anche alle pertinenze. In sostanza è fatto proprio e applicato anche in tema di Ici il concetto per cui l’abitazione principale debba considerarsi un qualcosa di “unico” che comprende anche le pertinenze della stessa. Per poter individuare l’esistenza di una pertinenza occorre verificare l’esistenza congiunta di due elementi: • oggettivo: deve esistere un collegamento funzionale tra la l’abitazione e la pertinenza; • soggettivo: deve esistere la volontà del soggetto di voler adibire un determinato fabbricato quale pertinenza di un altro. Seguendo le linee tracciate dalla prassi si può anche affermare che non è decisivo al fine di riconoscere la qualifica di pertinenza che la stessa si trovi nel medesimo edificio dell’abitazione e nemmeno che i due fabbricati siano stati acquistati congiuntamente. Ricordiamo ad esempio che in tema di agevolazione prima casa ai fini dell’imposta di registro (e Iva) è esplicitamente ammessa la concessione dello sconto nel caso di acquisto successivo della pertinenza della prima casa stessa. 6.4 Le parti condominiali Per le parti comuni condominiali sono previste regole particolari di dichiarazione. Pagina 209 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Le parti comuni sono quelle indicate dall’articolo 117 numero 2 del codice civile. Se le stesse sono state accatastate in modo autonomo la dichiarazione deve essere presentata dall’amministratore del condominio per conto di tutti i condomini. Quanto alle parti condominiali dell’edificio oggetto di autonomo accatastamento (si pensi all’abitazione del portinaio), l’Ici è dichiarata e pagata dall’amministratore del condominio per conto di tutti i condomini. Invece, le parti condominiali non suscettibili di autonomo accatastamento non rilevano ai fini dell’Ici (si tratta dei beni condominiali “non censibili”, quali, ad esempio, il vano scala, il tetto, i ballatoi, l’androne, i corridoi di cantina, e così via). 26.7. Le altre detrazioni e gli altri sconti 7.1 Fabbricati inagibili o inabitabili Per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le condizioni di inagibilità o inabitabilità l’imposta è ridotta del 50 per cento. La condizione di inagibilità o inabitabilità deve essere accertata dall'ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che deve anche allegare idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa il contribuente ha facoltà di presentare autocertificazione. 7.2 I fabbricati costruiti per la rivendita L'aliquota può essere stabilita dai comuni nella misura del 4 per mille, per un periodo comunque non superiore a tre anni, relativamente ai fabbricati realizzati per la vendita e non venduti dalle imprese che hanno per oggetto esclusivo o prevalente dell'attività la costruzione e l'alienazione di immobili. 7.3 Terreni condotti direttamente Per i coltivatori diretti o gli imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, è concesso uno sconto per l’imposta dovuta per i terreni condotti direttamente. L’imposta è infatti dovuta solo sulla parte di valore eccedente € 25.822, 84 e con le seguenti riduzioni: a) del 70 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti € 25.822,84 e fino a € 61.974,83; b) del 50 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente € 61.974,83 e fino a € 103.291,38; c) del 25 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente € 103.291,38 e fino a € 129.114,22. Lo sconto è riconosciuto soltanto ai coltivatori diretti e agli imprenditori persone fisiche iscritti nelle liste comunali dei soggetti obbligati al pagamento dell’assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia. Il valore è quello complessivo dei terreni condotti da un unico titolare indipendentemente dal fatto che siano situati in più comuni. 26.8. I versamenti Le regole per calcolare i versamenti da effettuare sono contenuti nell’art. l’art. 10, comma 2 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 come modificato dall’art. 18, comma 1 della finanziaria 2001. Le stesse stabiliscono: Pagina 210 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 • • la prima rata deve essere pari al 50 per cento dell'imposta dovuta calcolata sulla base dell'aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell'anno precedente e deve essere versato entro il 30 giugno di ciascun anno; la seconda rata a saldo deve essere pari a quanto effettivamente dovuto per l'intero anno meno quanto già versato a giugno. Il secondo versamento deve essere effettuato nel periodo compreso tra il 1º e il 20 dicembre di ciascun anno. Regola generale SALDO ICI 2005 DA PAGARE TRA IL 1 E IL 20 DICEMBRE IL CALCOLO: IMPOSTA DOVUTA PER L’ANNO IN CORSO MENO IL VERSAMENTO DI GIUGNO LA RATA DI GIUGNO (SCADENZA 30 GIUGNO) ERA DA CALCOLARE IN MISURA PARI AL 50% DELL’IMPOSTA DOVUTA PER L’ANNO 2003. IL CONTRIBUENTE POTEVA DECIDERE A GIUGNO DI UTILIZZARE GIA’ LE ALIQUOTE E LE DETRAZIONI PREVISTE PER L’ANNO 2004 MA IN QUESTO CASO AVREBBE DOVUTO VERSARE L’INTERO IMPORTO. Inoltre: • il mese va computato per intero in capo al contribuente che ha avuto il possesso dell'immobile per almeno 15 giorni; • il comune destinatario del tributo è quello nell'ambito del cui territorio insiste, interamente o prevalentemente, la superficie degli immobili oggetto di imposizione Queste modalità di pagamento rende in molti casi facile il calcolo della quota di imposta dovuta a giugno, in quanto a tali fini non è necessario conoscere le nuove delibere comunali che hanno deciso aliquote, detrazioni e quant’altro per il 2005. Se ad esempio si ipotizza il caso del contribuente titolare della proprietà di un solo immobile che non risulta sua abitazione principale, per il quale l’unico cambiamento intervenuto è dato da una nuova aliquota comunale deliberata si avrà: • Versamento complessivo 2003: € 500,00 (aliquota 5 per mille) • Versamento giugno 2005: € 250,00 pari al 50% dell’imposta 2004 • Versamento dicembre 2005 : € 350,00 dato dalla nuova imposta complessiva pari a € 600,00 (aliquota 6 per mille) meno il versamento di giugno pari a € 250,00 Si noti come la regola secondo cui nel versamento di giugno è possibile utilizzare le nuove misure dell’imposta solo se in tale sede si decide entro tale termine l’intera imposta dovuta, potrebbe Pagina 211 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 svantaggiare (finanziariamente) coloro i quali si trovano a dover adottare nel 2005 aliquote inferiori a quelle del precedente anno. Esempio: se il comune Alfa ha deliberato nel 2004 un aliquota del 5% e nel 2005 un’aliquota invece pari al 4%, per poter utilizzare già in giugno l’aliquota inferiore il contribuente avrebbe dovuto versare per intero l’imposta. 8.1. I cambiamenti della situazione La positività di tali regole è stata sottolinetaa anche dall’amministrazione finanziaria che nella circolare 3/FL del 7.3.2001 ha ricordato che “la ratio del nuovo sistema di pagamento appare essere quella di facilitare al contribuente il computo dell'Ici almeno nella fase del versamento dell'acconto, quando cioè potrebbero non essere ancora conosciute l'aliquota e le detrazioni deliberate dal comune per l'anno in corso”. Qualche difficoltà in più la si incontra nell’ipotesi in cui “qualcosa” sia cambiato rispetto all’anno precedente. I comportamenti corretti sono quelli dettati dalla circolare ministeriale 3/FL del 7.3.2001. Caso 1: cambiamento delle caratteristiche dell’immobile Il primo cambiamento è quello che riguarda le caratteristiche dell’immobile. Come è noto l’imposta è modulata proprio in base alle diverse caratteristiche che sono proprie di un immobili ed obbligatorio, nel caso in cui una di queste vari, adeguare di conseguenza anche l’imposta da versare. L’esempio è quello del contribuente che possiede già da anni un immobile che però solo nel 2005 è adibito ad abitazione principale. In questa ipotesi il contribuente aveva tutto l’interesse a far si che già nel mese di giugno scorso fosse riconosciuta tale caratteristica dell’immobile così’ da poter calcolare anche l’acconto considerando la detrazione per l’abitazione principale. Se avesse dovuto versare l’acconto considerando l’imposta per l’anno 2004 avrebbe infatti preso come riferimento un importo probabilmente più alto di quello dovuto per il 2005. A circolare per tale ipotesi ha ricordato che l'Ici deve essere calcolata applicando alla nuova fattispecie (abitazione principale) le aliquote e le detrazioni in vigore per l'anno precedente per detta fattispecie. L’acconto poteva in questo caso calcolarsi nel seguente modo: • occorreva ricalcolare l’imposta che sarebbe stata dovuta nel 2004 qualora l’immobile fosse già destinato ad abitazione principale; • l’imposta “ipotetica” così ottenuta diveniva la base di calcolo dell’acconto 2005; • l’acconto 2005 poteva essere pari al 50% dell’imposta “ipotetica” 2004. Se il comportamento tenuto è stato quello descritto in sede di versamento di dicembre occorre quindi: • calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni deliberate per l’anno dal comune; • detrarre da ciò quanto già versato a giugno. E’ possibile però che nel primo anno di applicazione delle nuove regole il comportamento tenuto lo scorso mese di giugno non sia stato quello sopra descritto ed in particolare che si sia semplicemente versato il 50% di quanto dovuto per il 2004. Anche in questo caso non dovrebbero crearsi problemi per il contribuente. In effetti il versamento di giugno dovrebbe risultare più alto di quanto effettivamente dovuto (non si è quindi in presenza di un carente versamento che verrebbe sanzionato) e quindi per il pagamento di dicembre sarà sufficiente anche in questo caso: • calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni deliberate per l’anno dal comune; Pagina 212 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 • detrarre da ciò quanto già versato a giugno. Caso 2: acquisto dell’immobile nel corso dell’anno precedente Una seconda ipotesi particolare è quella in cui l’immobile sia stato acquistato nel corso dell’anno precedente. Ipotizziamo quindi che l’imposta per l’anno 2004 fosse stata calcolata considerando solo una parte limitata dell’anno. In tale ipotesi l’acconto Ici dovuto entro giugno doveva essere dovrà essere calcolato sulla base dell'aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell'anno precedente. Si doveva in sostanza: - calcolare l’imposta che sarebbe stata dovuta nell’anno 2004 nel caso di possesso pari a 12 mesi; - l’imposta così ottenuta doveva essere assunta come base di calcolo dell’acconto 2004; - l’acconto 2005 sarà stato pari al 50% dell’imposta “ipotetica” 2004. Se il comportamento tenuto è stato quello descritto in sede di versamento di dicembre occorre quindi: - calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni deliberate per l’anno dal comune e un periodo di possesso 2005 pari a 12 mesi; - detrarre da ciò quanto già versato a giugno. E’ però probabile che (per errore) il comportamento tenuto nello scorso mese di giugno abbia portato a calcolare l’acconto dovuto semplicemente dividendo per due quanto pagato nell’anno precedente. In questo caso potrebbero sorgere dei problemi per il contribuente. In effetti il versamento di giugno sarà risultato (probabilmente) più basso di quello realmente dovuto. In questa ipotesi il comportamento da consigliare è il seguente: • ricalcolare l’acconto di giungo in modo corretto; • grazie al ravvedimento operoso sanare l’irregolarità compiuta; • calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni deliberate per l’anno dal comune; • detrarre da ciò quanto già versato sia giugno che in sede di ravvedimento (chiaramente solo con riguardo all’imposta e non agli interessi e le sanzioni). Caso 3: vendita dell’immobile nell’anno 2005 (ante 30 giugno) L’ipotesi è quella in cui l’immobile da assoggettare ad imposta è stato venduto in una data compresa tra il gennaio e il 30 giugno. In questa ipotesi applicando letteralmente la norma si sarebbe versato a giugno un importo superiore a quella realmente dovuto in quanto: • il pagamento sarebbe stato pari all’imposta (stimata) dovuta per 6 mesi dell’anno 2005; • il possesso del fabbricato si è però protratto per un periodo inferiore. Per evitare ciò il versamento dell’acconto 2005 poteva così effettuarsi: • si calcolava l’Ici che sarebbe stata dovuta l’anno precedente nel caso di possesso di durata inferiore a 12 mesi; • l’imposta così ottenuta era quanto dovuto entro il 30 giugno scorso Nel caso in cui l’imposta realmente dovuta risulti superiore (ad esempio perché il comune ha deliberato aliquote più alte) entro il 20 dicembre il contribuente potrà versare il conguaglio dell’imposta calcolata con le aliquote deliberate nel 2005 (senza sanzioni o interessi o altro). Se ad esempio un contribuente ha venduto un immobile il 31 marzo poteva effettuare il versamento di giugno commisurandolo ai tre dodicesimi dell'importo calcolato sulla base dell'aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell'anno precedente. Entro il 20 dicembre dovrà versare l'eventuale conguaglio che (eventualmente) dovesse risultare dalle variazioni regolamentari deliberate dal comune per l'anno 2005. Si tenga presente che potrebbe verificarsi anche l’ipotesi di un versamento effettuato in eccesso nel mese di giugno (si pensi al caso in cui le aliquote comunali siano decrementate). Per evitare una fastidiosa pratica di rimborso (spesso Pagina 213 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 anti economica) è da consigliare sempre in questa ipotesi di cercare di versare nel mese di giugno l'Ici dovuta in unica soluzione, sulla base dell'aliquota deliberata per l'anno in corso. Nel caso in cui nel mese di giugno non si sia tenuto conto del possesso ridotto e si sia quindi calcolato il versamento in misura pari al 50% dell’imposta 2004, ci si troverà in una situazione di credito che potrà essere risolta solo attivando la procedura di rimborso. Caso 4: vendita dell’immobile nell’anno 2005 (post 30 giugno) L’ipotesi è quella in cui l’immobile da assoggettare ad imposta è stato venduto in una data successiva al 30 giugno. In questa ipotesi il calcolo del versamento di giugno era quello ordinario mentre ora in sede di versamento del saldo occorre: • calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni deliberate per l’anno dal comune e il reale periodo di possesso 2005; • detrarre da ciò quanto già versato a giugno. Caso 5: acquisto dell’immobile nell’anno in corso E’ questa l’ipotesi in cui l’immobile da assoggettare ad imposta sia acquistato in una data compresa tra il gennaio e il 30 giugno. In sostanza anche in questo caso alla data di scadenza del pagamento dell’acconto non si era verifica il possesso dell'immobile per sei mensilità. Il contribuente entro il 30 giugno poteva versare l'Ici dovuta per l'anno in corso commisurandola ai dodicesimi di reale possesso e all'importo calcolato sulla base delle aliquote e delle detrazioni vigenti per l'anno precedente. In pratica pur non avendo alcuna base di riferimento (l’Ici l’anno precedente non era chiaramente dovuta) era possibile anche in questa ipotesi calcolare l’imposta che ipoteticamente sarebbe stata dovuta l’anno precedente. In questa ipotesi per il calcolo del versamento a saldo occorre: • calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni deliberate per l’anno dal comune e il reale periodo di possesso 2005; • detrarre da ciò quanto già versato a giugno. Se partendo dall’errata convinzione che non essendo dovuta Ici per l’anno 2004 nulla fosse dovuto nello scorso mese di giugno, per regolarizzare la posizione occorre ora: • ricalcolare l’acconto di giugno in modo corretto; • grazie al ravvedimento operoso sanare l’irregolarità compiuta; • calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni deliberate per l’anno dal comune; • detrarre da ciò versato in sede di ravvedimento (chiaramente solo con riguardo all’imposta e non agli interessi e le sanzioni). L'importo minimo da pagare è pari ad euro 2,58, se alla prima rata non si supera l'importo minimo, occorre effettuare un unico versamento in sede di saldo. 26.9. Modalità di versamento 9.1 Metodi di versamento La regola generale impone che l’imposta deve essere versata annualmente, in proporzione ai mesi di possesso maturati durante l'anno (è sufficiente che il possesso si protragga per almeno 15 giorni affinché il mese venga computato per intero) e prevedono che i versamenti siano effettuati in due rate al concessionario della riscossione, cioè con versamento diretto presso gli sportelli del Pagina 214 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 concessionario oppure presso gli uffici postali attraverso bollettino di conto corrente postale intestato al concessionario (approvato con D.m. 10 dicembre 2001). I comuni possono però decidere che per gli immobili ubicati sui loro territori che l’imposta debba essere versata dai contribuenti non tramite il concessionario della riscossione, bensì esclusivamente sul conto corrente postale del comune o presso gli sportelli del tesoriere comunale. Sono possibili tre diverse situazioni. Ci sono dunque ancora molti comuni per cui il versamento dovrà essere effettuato per il tramite del concessionario. Vi possono poi essere comuni che hanno lasciato aperta la doppia possibilità versamento in esattoria o in comune. Vi sono infine i comuni che hanno deciso di fare tutto da se: il versamento deve essere effettuato solo in modo diretto al comune tramite conto corrente o direttamente nelle casse comunali (alcune amministrazioni hanno introdotto anche la possibilità di assolvere al debito d’imposta tramite Internet). La situazione di certo potrebbe non rendere la vita facile del contribuente anche se bisogna ricordare che la circolare 118/E del 7 giugno 2000 ha chiarito che: “ è' opportuno comunque precisare che i versamenti effettuati dai contribuenti sul conto corrente postale del concessionario della riscossione o presso i suoi sportelli, anziché direttamente al comune, devono essere assunti come validamente eseguiti, a norma dell’art. 13, comma 3, del D.Lgs. del 18 dicembre 1997, n. 471. A tal fine deve prendersi, come riferimento, la data apposta sul bollettino dall'ufficio postale ovvero dall'ufficio del concessionario”. Ecco che allora la norma dall’articolo 18 della legge 388/200 è apparsa più che opportuna. La norma recita che “il versamento dell'imposta può essere effettuato anche tramite versamenti su conto corrente postale con bollettini conformi al modello indicato con circolare del Ministero delle finanze”. In sostanza è sempre concessa validità ai versamenti effettuati con gli abituali bollettini biancorossi anche se il comune avesse previsto un differente bollettino di versamento. Quindi le regole prevedono che i versamenti possono essere effettuati: • presso il concessionario della riscossione, cioè con versamento diretto presso gli sportelli del concessionario; • presso gli uffici postali attraverso bollettino di conto corrente postale intestato al concessionario; • presso un’azienda convenzionata al concessionario. • direttamente presso la tesoreria comunale qualora l’ente locale abbia deliberato di gestire in modo diretto la riscossione dell’imposta (e quindi di evitare il passaggio dal concessionario). Regole particolari sono invece previste per i non residenti. Anche per costoro valgono le ordinarie regole sopra illustrate ma è concessa una ulteriore opzione. Possono infatti effettuare il versamento dell’imposta in un'unica soluzione entro il 20 dicembre pagando però una maggiorazione del 3% su quanto sarebbe stato dovuto nello scorso mese di giugno. 26.10. Accertamento e liquidazione 10.1 L’avviso di liquidazione e l’accertamento Le attività di liquidazione e accertamento sono di titolarità degli Enti comunali. Per le somme liquidate o accertate il comune deve emettere avviso: Pagina 215 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 motivato; con l’indicazione dei criteri adottati; con l’indicazione dell’imposta o maggior imposta dovuta, delle sanzioni e dei relativi interessi. I termini sono i seguenti: • l'avviso di liquidazione deve essere notificato al contribuente entro il termine di decadenza del 31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta; • l’avviso di accertamento, per la rettifica delle dichiarazioni e delle denunce nel caso di infedeltà, incompletezza od inesattezza, deve essere notificato, anche a mezzo posta mediante raccomandata con avviso di ricevimento, al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui stata presentata la dichiarazione o la denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso del quale stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta. Nel caso di omessa presentazione, l'avviso di accertamento deve essere notificato entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o la denuncia avrebbero dovuto essere presentate ovvero a quello nel corso del quale stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta. In pratica l’ente comunale: a) con la liquidazione corregge i soli errori materiali di calcolo; b) con l'accertamento in rettifica provvede a contestare l'infedeltà e l'incompletezza delle dichiarazioni presentate, c) con l'accertamento d'ufficio fa emergere le omesse presentazioni di dichiarazioni o denuncie relative ad evasori totali. Per quanto concerne i termini sopra indicati gli stessi devono essere coordinate con i diversi provvedimenti di proroga intervenuti. • • • 10.2 I termini Considerando le proroghe che si sono succedute i termini attualmente in vigore sono i seguenti: Pagina 216 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 10.3 L’autotutela Capita a volte che alcuni avvisi riguardanti anomalie o eventuali irregolarità non risultino corretti. Per contrastare gli stessi è bene inviare immediatamente al comune un’apposita istanza, diffidandolo a correggere gli errori in tempi brevi. In tal modo si ottiene un duplice vantaggio. Da una parte ci si apre alla speranza che l’ente locale annulli la cartella in via di autotutela, risparmiando così tempo e soldi. Dall’altra ci si riserva la possibilità di ricorrere alla commissione tributaria provinciale con una garanzia in più: quello di ottenere, proprio grazie all’istanza, la condanna del comune al risarcimento delle spese processuali. Infatti, nel caso in cui venga riconosciuta l’erroneità della cartella, il fatto che il comune non abbia provveduto all’auto correzione richiesta dal contribuente potrebbe far assumere all’ente locale le sue responsabilità. La domanda può essere inoltrata in carta semplice, e deve contenere la richiesta di annullamento o di rettifica dell’avviso di liquidazione o di accertamento dell’Ici. E’ opportuno che l’istanza venga spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno, al fine di precostituirsi la prova della spedizione. 26.11. Le sanzioni 11.1 Le misure Le nuove sanzioni previste per gli errori nel campo Ici sono fissate dall’articolo 14 del decreto legislativo 473 del 18 dicembre 1997. Anche ai fini Ici trovano applicazione infatti applicazione i principi generali del nuovo sistema sanzionatorio contenuti nel decreto legislativo 472 del 1997: responsabilità "personale" dell'autore della violazione, alla intrasmissibilità della sanzione agli eredi, all’inapplicabilità delle Pagina 217 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 sanzioni nel caso in cui la violazione sia dovuta ad "obiettiva incertezza" della norma, il "ravvedimento operoso", l’introduzione dei concetti di illecito continuato e concorso di violazioni. Sul punto si deve sottolineare un aspetto che concerne l’ipotesi di omissione della dichiarazione. Vi è chi sostiene che essendo l’Ici un imposta reale che quindi è da riferire ai singoli beni e non ai soggetti passivi, il mancato inserimento di un immobile in dichiarazione (anche se la stessa risulta regolarmente presentata con riguardo ad altri immobili) configuri l’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione. Adottando tale tesi si avrebbe: • la sanzione sarebbe pari dal 100% al 200%; • il ravvedimento sarebbe possibile solo entro 90 giorni dalla scadenza. Se al contrario tale ipotesi dovesse rappresentare un ipotesi di infedeltà: • la sanzione sarebbe pari dal 50% al 100%; • il ravvedimento sarebbe possibile entro la presentazione della dichiarazione successiva. Nuova disciplina di cui all’articolo 14 del D.Lgs. 504/92 Omessa presentazione Sanzione amministrativa dal 100% al 200% della dichiarazione o denuncia dell’ammontare del tributo dovuto, con un minimo di € 51,00 Sanzione amministrativa dal 50 al 100% della maggiore Dichiarazione infedele (se gli errori incidono imposta dovuta sull’ammontare dell’imposta) Sanzione amministrativa da € 51,00 a € 258,00. Dichiarazione infedele (se gli errori non incidono sull’ammontare dell’imposta) Violazione Mancata esibizione di atti e simili, Sanzione amministrativa da € 51,00 a € 258,00. mancata restituzione di questionari o infedele compilazione Omesso o insufficiente versamento Sanzione amministrativa pari al 30% . 11.2 Il ravvedimento Il sistema sanzionatorio attuale permette però ai contribuenti che decidono di correggere spontaneamente le irregolarità degli sconti sull’importo da pagare. E’ applicabile anche in tema di Ici il cosiddetto ravvedimento operoso e cioè la possibilità di sanare con un importo minore a quello normalmente dovuto le irregolarità qualora non si aspetti di essere scoperti dal fisco. La circolare ministeriale 184/E del 13 luglio 1998 ha fornito i chiarimenti sul punto. Ravvedimento ex articolo 13, comma 1, lettera a) Pagamento dell'imposta liquidabile sulla base della dichiarazione o denuncia di variazione nei 30 giorni decorrenti da quello di scadenza stabilito dalla legge. Per perfezionare il ravvedimento, bisogna pagare, entro i 30 giorni: • l'imposta; • gli interessi moratori sull'imposta calcolata al tasso del 2,5%; Pagina 218 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 il 3,75%, a titolo di sanzione, sull'ammontare dell'imposta tardivamente corrisposta (la sanzione viene ridotta ad un ottavo del minimo. La sanzione dovrebbe infatti esser pari al 30%). • Il pagamento va effettuato mediante lo stesso bollettino che serve per versare l'Ici in autotassazione. Nelle caselline dedicate alle voci “terreni agricoli”; “aree fabbricabili”; “abitazione principale”; “altri fabbricati” devono essere indicati gli importi corrispondenti alla sola imposta e, quindi, senza maggiorati della sanzione ridotta e degli interessi. La somma che si va a versare deve, invece, comprendere, oltre all'imposta, la sanzione ridotta e gli interessi. • Ravvedimento ex articolo 13, comma 1, lettera b) Pagamento dell'imposta entro l’anno successivo. Bisogna assumere il termine di presentazione della dichiarazione e non l'altro di "un anno dall'omissione o dall'errore" in quanto il procedimento dichiarativo, di liquidazione e accertamento, nonché il regime dell'autotassazione in materia di Ici sono disciplinati in modo analogo a quello previsto per le imposte erariali sui redditi. Per perfezionare il ravvedimento bisogna, entro il predetto termine di presentazione si deve pagare: • l'imposta dovuta per l'intero anno precedente; • gli interessi moratori sull'imposta al tasso del 2,5% con maturazione giorno per giorno; • il 6%, a titolo di sanzione, calcolato sull'ammontare dell'imposta tardivamente versato. Il 6% è pari ad un quinto della sanzione ordinaria pari al 30%. Ravvedimento ex art. 13, comma 1, lettera b) Presentazione di una dichiarazione rettificativa di precedente dichiarazione, determinante un maggior debito d'imposta, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all'anno di imposta successivo a quello per il quale si intende procedere alla rettifica. Per perfezionare il ravvedimento bisogna: pagare, entro il predetto termine: • l'imposta che risulta ancora dovuta; • gli interessi moratori • un importo pari al 10% , a titolo di sanzione, calcolato sulla differenza di imposta tra quella risultante sulla base della dichiarazione rettificativa e quella versata tempestivamente, • presentare, entro il predetto termine, al comune competente la dichiarazione rettificativa Ravvedimento ex articolo 13, comma 1, lettera c) Presentazione della dichiarazione o denuncia di variazione, che si ha l'obbligo di presentare, entro i 30 giorni decorrenti dal giorno di scadenza stabilito dalla legge. Per perfezionare il ravvedimento bisogna pagare entro i predetti 30 giorni: • l'imposta che risulta ancora dovuta; • gli interessi moratori sull'imposta; • il 12,5%, a titolo di sanzione, calcolato sulla differenza d'imposta tra quella risultate sulla base della dichiarazione tardivamente presentata e quella versata, • presentare, nei predetti 30 giorni, al comune competente la dichiarazione o denuncia di variazione. 11.3 Accertamento con adesione Anche non accedendo al ravvedimento operoso vi un’altra possibilità per ottenere uno sconto sulle sanzioni. Pagina 219 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Anche in tema di Ici è infatti possibile evitare il contenzioso e cercare di trovare un accordo con il comune grazie all’accertamento con adesione. Lo stesso può infatti essere stato introdotto dal comune in forza del proprio potere regolamentare. In tal caso è da ricordare che la misura delle sanzioni è ridotta rispetto a quella ordinaria: le stesse sono infatti ridotte ad un quarto. 26.12. Rimborso Ai sensi dell’art. 13 del Dlgs n. 504, il contribuente può presentare al comune competente istanza di rimborso, redatta in carta semplice, per le somme versate e non dovute, entro il termine di tre anni dalla data del pagamento, oppure dalla data in cui è stato definitivamente accertato il diritto alla restituzione. Il termine di tre anni è ritenuto perentorio. 26.13. Il condono edilizio 13.1 Dichiarazione Ici Ai sensi dell’art. 10 del dlgs 504/92 i titolari della proprietà di un immobile (o gli altri soggetti passivi Ici) devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello stato (con esclusione di quelli esenti dall’imposta) entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio. La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati a suo tempo da cui derivi un diverso ammontare dell’imposta dovuta. Nel caso di variazioni l’obbligo dichiarativo deve essere adempiuto di nuovo denunciando le modifiche intervenute. Per accedere ai benefici del condono il passaggio dalla dichiarazione Ici sarà necessario (entro il 31 ottobre 2005), non essendo plausibile una regolarizzazione che non comporti (quanto meno) un mutamento delle caratteristiche dell’immobile. Ciò in quanto il presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa. Con il termine fabbricati sono da intendere le unità immobiliari iscritte o che devono essere iscritte nel catasto edilizio urbano. Il fabbricato di nuova costruzione (ai sensi dell’art. 2 del decreto che ha introdotto l’imposta comunale) è soggetto all’Ici a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato La presentazione della dichiarazione Ici si configura come un obbligo una tantum a cui il contribuente deve dunque adempiere nel momento in cui si verificano i presupposti dell’imposta o successivamente, solo qualora, si modifichino le caratteristiche dell’immobile oggetto dell’imposta. Con l’«emersione» della costruzione in forza del condono edilizio è dunque previsto che la posizione dello stesso debba essere regolarizzata anche con riguardo all’imposta comunale, mediante una apposita denuncia da presentare al comune. Chiaramente il carattere eccezionale della norma comporta una deroga alle regole generali con riguardo ai termini entro cui normalmente tale denuncia deve essere presentata. In tale sede lo stesso è slegato dall’acquisizione del titolo di proprietà (o altro diritto) e anche dal momento di ultimazione della costruzione essendo invece collegato all’accesso alla sanatoria immobiliare. Pagina 220 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 13.2 Versamento Ici È la legge 350/2003 (Finanziaria) che prevede i termini e le modalità per eseguire il versamento dell’Ici da «condono». La stessa prevede il pagamento dell’imposta in acconto per gli anni 2003 e 2004 relativamente agli immobili interessati da procedura di sanatoria edilizia, in attesa della definizione della pratica, dell’attribuzione del valore catastale e quindi del conguaglio d’imposta. L’art. 2 della legge 24 dicembre 2003, nr. 350 (legge finanziaria) al comma 41 detta le regole di calcolo e i termini del versamento Ici sugli immobili oggetto di condono ai sensi dell’art. 32 del dl 30 settembre 2003, n. 269. In prima battuta si ricorda come la regola prevede che l’Ici per tali immobili è dovuta dal 1º gennaio 2003 sul valore risultante dalla sanatoria immobiliare anche se attribuito in un momento successivo a quello a cui si riferisce l’obbligazione tributaria. Con riguardo ai meccanismi di calcolo dell’imposta la stessa deve essere calcolata in base alla rendita catastale attribuita in base alla procedura di regolarizzazione. Tale fatto rende evidente come sarebbe stato impossibile provvedere al versamento entro i termini ordinari: l’imposta 2003 sarebbe stata da versare quando ancora non si era a conoscenza nemmeno dell’effettuazione della sanatoria e chiaramente anche la rendita a cui far riferimento. Per superare tale situazione la regola prevede di posticipare le scadenze di pagamento per tali immobili relativi all’imposta 2003 entro i termini previsti per l’Ici 2004. In sostanza si prevede che l’Ici 2003 doveva essere versata nelle abituali due rate la prima scadente il 30 giugno e la seconda il 20 dicembre 2004. Anche in tal modo però i problemi tempistici non sarebbero stati superati in quanto il termine di versamento sarebbe intervenuto prima dell’attribuzione della rendita e soprattutto non si sono considerate le successive proroghe. Si è allora previsto di sdoppiare il versamento: - un primo dovrà essere effettuato in acconto calcolando un imposta forfetaria pari a 2 euro per ogni metro quadro di opera edilizia regolarizzata; - il secondo a saldo che interverrà in un momento successivo una volta attribuita la rendita all’immobile. Il conguaglio del totale dovuto è quindi posticipato alla chiusura della pratica di condono. 26.14. La riclassificazione degli immobili 14.1 L’aumento dei valori Rivoluzione in arrivo per gli estimi catastali con conseguente rincaro delle imposte sugli immobili. L’imposta comunale sugli immobili, se saranno centrati gli obiettivi del provvedimento che da attuazione alle regole contenute nella legge finanziaria per il 2005, subirà presumibilmente un notevole incremento a tutto vantaggio delle casse dei comuni. Praticamente senza limiti gli immobili che potranno essere oggetto di una rideterminazione della rendita: i mutamenti che consentono ciò sono infatti anche quelli di piccola entità. Rischio di un incremento del contenzioso fiscale, in quanto le nuove rendite così attribuite potranoe ssere contestate davanti ai giudici tributari. Questo è quanto può ricavarsi dalla lettura della determinazione del direttore dell'Agenzia del territorio d'intesa con la Conferenza stato-città e autonomie locali (che ha ottenuto ha ottenuto il parere favorevole dalla Conferenza stato, città e autonomie) (si veda Italia Oggi del 5 febbraio 2005) che da aTtuazione ad una serie di norme contenute nell’ultima legge finanziaria. Il provvedimento era d’altra parte richiesto dalla stessa legge finanziaria che all’art. 1 comma 339 richiedeva un apposito intervento del direttore dell'Agenzia del territorio al fine di stabilire le Pagina 221 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 modalità tecniche e operative per l'applicazione delle innovazioni contenute in finanziaria sul tema. I due interventi della legge finanziaria che trovano ora le concrete modalità di attuazione sono: - quello che concerne la possibilità di rivedere gli estimi catastali in particolari micro zone comunali in cui la differenza tra estimi e valori di mercato sono più appariscenti; - quello che consente ai comuni di attivare un procedimento di revisione del classamento nel caso di immobili mai accastati e per cui non sono state denunciate le opere migliorative. 14.2 Le micro zone comunali Il primo intervento è da collegare a quanto previsto dal comma 335 ella legge 311/2004. Lo stesso dispone che i comuni richiedono agli Uffici provinciali dell'Agenzia del territorio la revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato individuato ai sensi del regolamento di cui al Dpr 138/1998, e il corrispondente valore medio catastale ai fini dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili si discosta significativamente dall'analogo rapporto relativo all'insieme delle microzone comunali. L’intervento è quindi limitato a: • unità immobiliari di proprietà privata; • unità immobiliari situate in alcune micro zone comunali. Dopo l’input del Comune l'Agenzia del territorio (se dall’esame della documentazione dovesse verificare la sussistenza dei presupposti posti a base della richiesta dell’ente comunale) deve procedere alla revisione degli estimi. Ai sensi dell’art. 2 del Dpr 138/)8 la microzona rappresenta una porzione del territorio comunale che presenta omogeneità nei caratteri di posizione, urbanistici, storico-ambientali, socioeconomici, nonché nella dotazione dei servizi ed infrastrutture urbane. Altra caratteristica della micro zona è che nella stessa le unità immobiliari sono uniformi per caratteristiche tipologiche, epoca di costruzione e destinazione prevalenti; essa individua ambiti territoriali di mercato omogeneo sul piano dei redditi e dei valori. Nell’ambito della micro zona si potrà ora procedere ad una revisione degli estimi, la quale dovrà basarsi sul valore di mercato medio riscontrabile nella stessa. Tale valore secondo la determinazione del direttore dell’agenzia del territorio deve essere individuato e budini aggiornato tenendo conto dei valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare della stessa agenzia riferiti al secondo semestre 2004. Il calcolo di individuazione del valore prevede che lo stesso sia quello centrale dell’intervallo dei valori indicati nell’Osservatorio relativo alla singola micro zona e alla tipologia di immobile ritenuta omogenea per la stessa. Nel caso in cui a una microzona corrispondano due o due o più zone territoriali il risultato si ottiene tramite una media dei singoli valori individuati. Importante è che il provvedimento disponga come gli uffici provinciali debbano mettere a disposizione dei comuni i valori così individuati. Tale strumento diverrà decisivo ai fini delle azioni che il comune dovesse decidere di intraprendere per attivare la procedura di revisione. 14.3 La rideterminazione della rendita dei singoli immobili La seconda disposizione contenuta in finanziaria ha ad oggetto singoli immobili. La disposizione è contenuta nel comma 336 della legge finanziaria il quale prevede: Pagina 222 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - come primo passo che i comuni constatino la presenza di immobili di proprietà privata non dichiarati in catasto ovvero la sussistenza di situazioni di fatto non più coerenti con i classamenti catastali per intervenute variazioni edilizie; - in tal caso i comuni devono richiedono ai titolari di diritti reali di tali fabbricati la presentazione di atti di aggiornamento; - tale richiesta avanzata dall’ente comunale deve contenere quanto constatato ed anche (se rinvenibile) la data cui riferire la mancata presentazione della denuncia catastale; - la richiesta è notificata ai soggetti interessati e nel contempo comunicata agli uffici provinciali dell'Agenzia del territorio. A questo punto la palla passa a destinatari della richiesta i quali devono ottemperare a quanto loro richiesto entro novanta giorni dalla notificazione: in caso di mancato adempimento gli uffici provinciali dell'Agenzia del territorio (che in forza della comunicazione loro inviata sono già a conoscenza della situazione) provvedono alla iscrizione in catasto dell'immobile non accatastato ovvero alla verifica del classamento delle unità immobiliari segnalate (le spese del procedimento sono a carico dell'interessato). Il risultato dell’operato delle agenzie (nuovo classamento e nuova rendita) deve poi essere notificato all’interessato. Anche sul punto si conoscono ora le modalità operative con cui si darà attuazione anche a questa previsione. Il primo dubbio che ci si poneva era come, concretamente il comune dovesse verificare l’esistenza di un fabbricato non censito o della modifica di edificio anch’essa non accatastata. O meglio ancora quale fossero le fonti da cui tali notizie dovessero pervenire. Le indicazioni del provvedimento del territorio dell’agenzia sono molto ampie sul punto. Infatti si sostiene che gli elementi idonei a far scattare la procedura possono essere (a titolo esemplificativo) quelli: • rinvenibili nell’archivio edilizio comunale, • nell’archivio delle licenze commerciali, • nei verbali di accertamento di violazioni edilizie, • nella cartografia tecnica, • nelle immagini territoriali o • tratti da ogni altra documentazione idonea allo scopo. Con riguardo ai compiti degli uffici locali dell’agenzia si indica come le stesse devono prendere in considerazione gli input di derivazione comunale qualora le richieste riguardino unità immobiliari interessate: a) da interventi edilizi che abbiano comportato la modifica permanente nella destinazione d’uso, b) da interventi edilizi che abbiano portato ad un incremento stimabile in misura non inferiore al 15% del valore di mercato e della relativa redditività ordinaria derivante, di norma, da interventi edilizi di ristrutturazione edilizia nonché da quelli di manutenzione straordinaria, da quelli di restauro e risanamento conservativo qualora in particolare abbiano interessato l’intero edificio. Su tale punto occorre soffermarsi. Soprattutto considerando l’inclusione tra gli interventi che possono permettere una revisione della rendita degli interventi di manutenzione straordinaria appare evidente come l’ambito di applicazione risulti smisurato. E’ facilissimo trovare edifici che negli ultimi anni hanno subito interventi di tale tipo e pertanto è da ritenere infinita la platea di immobili che almeno potenzialmente potranno essere oggetto di revisione catastale. A poco vale la precisazione che tali interventi saranno considerati “in particolare quando gli stessi abbiano comportato una variazione della consistenza ovvero delle caratteristiche tipologiche distributive e impiantistiche originarie delle unità mobiliari”, soprattutto considerando che la specificazione è preceduta dalla locuzione “in particolare” che Pagina 223 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 sembra non escludere in toto le manutenzioni straordinarie che non abbiano comportato tali effetti; c) dagli interventi edilizi di nuova costruzione non dichiarate in catasto; d) dal rilascio di licenze a uso commerciale che abbiano comportato modifiche permanenti nella destinazione d’uso e che sono iscritte in catasto con categoria non coerente con la destinazione autorizzata; e) dal passaggio dalla categoria delle esenti dalle imposte sugli immobili a quelle delle unità soggette a imposizione (esempio: le costruzioni adibite ad abitazioni o ad altre destinazioni già funzionali all’esercizio dell’attività produttiva agricola e censite in catasto come fabbricati rurali, che di fatto hanno perso il requisiti della ruralità). Le richieste invece non dovrebbero dar luogo ad alcuna procedura da parte degli uffici locali dell’agenzia se le richieste abbiano per oggetto “unità immobiliari già censite e oggetto di interventi edilizi che non abbiano comportato una variazione di destinazione d’uso né un incremento del valore e della relativa redditività ordinaria in misura significativa ai fini della variazione del classamento”. Rientrano in tale ipotesi: a) gli interventi di manutenzione ordinaria b) gli interventi di manutenzione straordinaria in particolare qualora non abbiano comportato una variazione della consistenza e delle caratteristiche tipologiche distributive e impiantistiche originarie delle unità immobiliari (vedi commento al punto b) precedente); c) gli interventi di restauro e risanamento conservativo qualora in particolare non abbiano interessato l’intero edificio, d) gli interventi di adeguamento degli impianti tecnologici alle normative tecniche e di sicurezza, di riparazione e rinnovo di impianti esistenti, e) gli interventi di consolidamento e conservazione degli elementi edilizi strutturali. 14.4 La richiesta di classamento Tutta la procedura trova il suo avvio dalla richiesta notificata dall’ente comunale ai soggetti obbligati alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Tale richiesta deve contenere: a) i dati catastali dell’unità immobiliare (se disponibili) o quelli del terreno sul quale insiste la costruzione non dichiarata in catasto; b) gli elementi oggetto della constatazione; c) le modalità e i termini secondo i quali è possibile adempiere agli obblighi, e le conseguenze in caso di inadempienza; d) la data, qualora accertabile, cui riferire il mancato adempimento degli obblighi in materia di dichiarazione delle nuove costruzioni o di variazione di quelle censite al catasto edilizio urbano. Una volta ricevuta la notifica della richiesta i titolari di diritti reali sulle unità Immobiliari sono obbligati alla presentazione degli atti di aggiornamento per il tramite di un professionista tecnico abilitato. L’adempimento deve essere effettuato presentando all’Agenzia del territorio gli atti di aggiornamento entro 90 giorni dalla notifica della richiesta da parte del comune, indicando protocollo e data della stessa. Non bisogna però pensare che un eventuale inadempimento (anche se eventualmente sanzionato) permetta di non aggiornare la posizione catastale dell’immobile. Infatti l’agenzia decorsi i 90 giorni concessi al titolare del diritto reale deve provvedere d’ufficio all’aggiornamento. Per poter far ciò è previsto che i comuni trasmettano a richiesta degli uffici locali dell’agenzia i documenti necessari. Pagina 224 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 I compiti dell’agenzia (unico titolare a provvedere al classamento) non sono però automatici. Sarà compito della stessa anche in caso di mancato adempimento del titolare del diritto reale sull’edificio, di verificare gli atti e i documenti inviati dal comune al fine di decidere circa la necessità o meno del riclassamento. Come si vede diventa pertanto necessario un continuo scambio di informazioni tra comuni e agenzia. A tal fine il provvedimento del direttore dispone che l’Agenzia rende disponibile una procedura per la creazione di un database informatico contenente l’elenco delle richieste inviate articolato per unità immobiliare da cui è possibile rintracciare (i dati che seguono sono inviati dai comuni all’agenzia con cadenza mensile): • gli identificativi dell’unità immobiliare, se disponibile, o del terreno sul quale insiste la costruzione non dichiarata in catasto; • dati relativi alla toponomastica; • generalità e domicilio dei destinatari della richiesta; • data e protocollo della richiesta inoltrata ai suddetti destinatari; • data di avvenuta notifica; • sintesi dei dati accertati e da cui discende il procedimento attivato dal comune; • data, se conosciuta, cui riferire la violazione degli adempimenti • catastali in materia di dichiarazione di nuove costruzioni o di variazione • di quelle censite. Successivamente ai provvedimenti di classamento le agenzie poi restituiscono ai comuni un ulteriore data base da cui dovranno emergere: • i nuovi dati di censimento attribuiti alle unità immobiliari; • la data di inserimento in atti del nuovo accertamento; • la data di avvenuta notifica delle nuove rendite. 14.5 Come difendersi Il procedimento si chiederà con la notifica di una nuova rendita nonché con la notifica degli oneri (e delle sanzioni) che sono posti a capo del contribuente. Nelle operazioni di notifica si prevede che i comuni collaborino con gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio. Tali notifiche dovranno anche contenere le indicazioni per l’impugnazione ai sensi all’art. 19 del decreto legislativo del 31 dicembre 1992, n. 546. In sostanza l’atto finale del procedimento risulta essere una notifica concernete una revisione della rendita, atto questo per cui è previsto un apposito iter di contestazione e difesa da parte del contribuente. Le norme sul processo tributario includono infatti tra gli atti impugnabili gli atti relativi alle operazioni catastali i quanto la giurisdizione tributaria si estende anche alle controversie “ promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale”. Considerando quanto ampia risulta essere il potenziale campo di applicazione del provvedimento non è difficile ipotizzare un massiccio ricorso alla difesa contenziosa rispetto a quanto notificato. E ciò in quanto il nuovo classamento porterà ad un incremento delle rendite e quindi del valore catastale degli immobili con effetti considerevoli in tema di Ici e Irpef da pagare sugli stessi. Si ritiene che anche nel caso di specie debba valere la regola secondo gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione ai soggetti intestatari della partita. Dalla data di notificazione decorre il termine di 60 giorni per la proposizione del ricorso avverso l'attribuzione della rendita catastale, ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Pagina 225 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Pagina 226 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 II. LE OPERAZIONI STRAORDINARIE L'IMPATTO DELLA RIFORMA DELL'IRES SULLA DISCIPLINA DELLE OPERAZIONI STRAORDINARIE Il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, è intervenuto a ridisegnare la disciplina fiscale delle operazioni societarie straordinarie sulla spinta di una sentita esigenza di razionalizzazione del sistema, che, con l'avvento della nuova imposta Ires, risultava di fatto ormai superato. Le modifiche sono state necessarie per due ordini di ragioni: - in primo luogo, la riduzione dell'entità del prelievo sul reddito ordinario e la fissazione di un'unica aliquota hanno reso meno giustificabile l'esistenza di un prelievo sostitutivo - in secondo luogo, l'imposta sostitutiva applicabile a tali fattispecie si prestava ad arbitraggi di aliquote fra le parti dell'operazione in quanto consentiva all'impresa cedente di subire la tassazione delle plusvalenze con l'aliquota ridotta e all'impresa cessionaria di acquisire corrispondenti valori rivalutati dei beni aventi rilevanza, viceversa, ai fini dell'applicazione dell'aliquota piena. Come riportato nella relazione illustrativa al Dlgs n. 344/2003, gli effetti distorsivi, derivanti dalla perpetuazione di tale meccanismo, erano tanto più evidenti nel caso di imprese appartenenti a un medesimo gruppo e, dunque, con interessi comuni. Pertanto, in linea generale con la riforma, è stata abolita l'imposta sostitutiva prevista dal Dlgs n. 358/1997, passando all'applicazione del prelievo ordinario Ires con aliquota del 33 per cento. La ragione di tale abrogazione sta principalmente nell'intento di correggere le distorsioni del vecchio sistema, per cui il valore attuale dell'imposta sostitutiva, prelevata con l'aliquota del 19 per cento, risultava in linea di massima significativamente inferiore rispetto al risparmio d'imposta derivante dai corrispondenti ammortamenti deducibili nella misura del 38,25 per cento (per il 2003). Tale nuovo meccanismo di tassazione, comunque, non opera in maniera isolata, in quanto, come verrà approfondito di seguito, le operazioni straordinarie fanno parte di un disegno più vasto delineato dal legislatore della riforma. Infatti, con le nuove norme, ad esempio, è possibile fruire di un regime di esenzione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di aziende tra società appartenenti al medesimo gruppo fiscale per effetto dell'introduzione del consolidato domestico, che consente il trasferimento infragruppo senza realizzo di plusvalenze o minusvalenze e senza alterazione dei valori fiscalmente riconosciuti dei beni diversi da quelli che producono ricavi. Allo stesso modo, le modifiche devono essere collegate all'introduzione della participation exemption. Pertanto, dopo alcune brevi considerazioni sui principi e sulla decorrenza delle nuove norme, si procederà ad un’analisi compiuta della disciplina fiscale delle varie operazioni straordinarie, il cui regime di tassazione, nei tratti fondamentali, evidenzia i seguenti aspetti: - assoggettamento a imposizione ordinaria delle plusvalenze derivanti da cessioni e conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o collegamento (conseguente all'abolizione dell'imposta sostitutiva prevista dal Dlgs n. 358/1997) - abolizione della possibilità, prevista dallo stesso Dlgs n. 358/1997, di ottenere il riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti per effetto dell'imputazione dei disavanzi da annullamento e da concambio derivanti da operazioni di fusione e scissione - mantenimento dei regimi di neutralità fiscale per le operazioni straordinarie tra società di Stati membri diversi ex Dlgs n. 544/1992. Pagina 227 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Per quanto riguarda la decorrenza, è stato previsto che le nuove norme trovino applicazione a partire dai periodi d'imposta iniziati a decorrere dal 1° gennaio 2004. Era stata prevista un'eccezione dall’articolo 3, comma 2, Dlgs n. 344/2003 che ha stabilito che le disposizioni di cui al D.Lgs n. 358/1997 sono abrogate con riguardo alle cessioni e ai conferimenti nonché alle operazioni di fusione e scissione perfezionate dopo il 31 dicembre 2003. Pertanto, riguardo alla decorrenza, occorre distinguere tra: - soggetti con periodo coincidente con l'anno solare; - soggetti con periodo non coincidente con l'anno solare; Mentre per i primi non ci sono particolari problemi, in quanto le nuove norme si applicano a decorrere dal periodo d'imposta che è iniziato il 1° gennaio 2004, per i secondi soggetti, occorre scindere tra: - nuove norme del Tuir: si applicano dal primo periodo d'imposta che inizia dopo il 1° gennaio 2004 - vecchie norme del D.Lgs n. 358/1997: hanno trovato applicazione sino alle operazioni perfezionate entro il 31 dicembre 2003. Inoltre, per fusioni e scissioni è stata prevista una disciplina transitoria: in base all'articolo 4, comma 1, lettera a), D.Lgs n. 344/2003, per le operazioni di fusione e scissione deliberate dalle assemblee delle società partecipanti fino al 30 aprile 2004, ha continuato ad applicarsi l'articolo 6, comma 2 del D.Lgs n.358/1997 ("affrancamento gratuito" del disavanzo di fusione e di scissione). Si fornisce di seguito uno schema riepilogativo delle modifiche intervenute agli articoli che disciplina le operazioni straordinarie dal punto di vista tributario. Disciplina Trasformazione di società Trasformazione eterogenea Fusione di società Scissione di società Fusione e scissione enti diversi da società Conferimenti aziende o partecipazioni di controllo o collegamento Regimi fiscali del soggetto conferente e del conferitario Scambi di partecipazioni Norma attuale Art. 170 Tuir Art. 171 Tuir Art. 172 Tuir Art. 173 Tuir Art. 174 Tuir Vecchia norma Art. 122 vecchio Tuir Art. 123 vecchio Tuir Art. 123-bis vecchio Tuir Art. 126 vecchio Tuir Art. 175 Tuir Art. 3 Dlgs n. 358/97 Art. 176 Tuir Art. 4 Dlgs n. 358/97 Art. 177 Tuir Art. 5 Dlgs n. 358/97 Pagina 228 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 II.1. LE FUSIONI E LE OPERAZIONI DI LEVERAGED BUY-OUT La fusione è un istituto specifico delle società volto a realizzare una concentrazione aziendale mediante l’unificazione di due o più società in una sola e, contemporaneamente, l’estinzione di tutte o di alcune delle società partecipanti. L’operazione di fusione può avvenire in due modi principali: - fusione vera e propria (ovvero fusione per unione) con la quale due o più società si fondono e si estinguono costituendo una nuova società c.d.”risultante”; - fusione per incorporazione, con la quale una delle due o più società partecipanti rimane in vita (incorporante) ed incorpora le altre (incorporate) che si estinguono. La fusione per incorporazione può, tra l’altro, avvenire in diversi modi a seconda che la società incorporante detenga o meno partecipazioni nelle incorporate. Rinviando la trattazione civilistica della disciplina della fusione agli articoli 2501 e 2505-quater del c.c. Nel proseguo si procede ad una disamina della disciplina tributaria della suddetta operazione straordinaria 1. Il principio di neutralità Ai fini delle imposte sul reddito, l'operazione di fusione si configura come neutrale, ossia non suscettibile di generare componenti positivi o negativi di reddito in capo alla società incorporante o risultante dall'operazione. Le disposizioni che recano la disciplina fiscale della fusione con riferimento a tale ambito sono contenute nei primi 3 commi del novello articolo 172 del D.P.R. 917/1986, ed in particolare: - nel comma 1, che stabilisce che la fusione non dà luogo a realizzo né a distribuzione di plus-valenze e minusvalenze dei beni della società fusa, comprese quelle relative alle rimanenze e al valore di avviamento; - - nel comma 2, che stabilisce che nella determinazione del reddito della società incorporante o risultante dalla fusione non si tiene conto dell'avanzo o del disavanzo conseguenti al rapporto di cambio delle azioni o quote, né di quelle conseguenti all'annullamento di azioni o quote. In via ulteriore, che i maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell'eventuale imputazione del disavanzo, sia esso di annullamento o di concambio, ai beni della società incorporata o fusa sono fiscalmente irrilevanti, fermo restando tuttavia l'obbligo di presentare nella dichiarazione dei redditi apposito prospetto di riconciliazione tra dati contabili e corrispondenti valori fiscali; - nel comma 3, che sancisce espressamente la neutralità del concambio delle partecipazioni in capo ai soci delle società fuse o incorporate, fatta eccezione per l'eventuale conguaglio. 1.1. L'intassabilità delle plusvalenze latenti Il comma 1 dell’articolo 172 del Tuir sancisce il principio della continuità in capo alla società incorporante o risultante del valore fiscale dei beni riconosciuto in capo alle società fuse o incorporate. In altri termini, la disposizione assicura la neutralità fiscale della fusione, posto che preclude la realizzazione in capo alla società incorporante o risultante di plusvalenze o minusvalenze imponibili, comprese quelle relative alle rimanenze e al valore dell'avviamento, per effetto del mero trasferimento dei beni. La norma, a ben vedere, recupera il disposto dell'articolo del Tuir ante riforma, evitando tuttavia di replicarne in toto il contenuto. Il comma 1 di quest'ultimo, infatti, accanto a quanto sopra esposto, disponeva l'irrilevanza, ai fini della determinazione del reddito, dei predetti plusvalori o minusvalori laddove esposti nelle situazioni patrimoniali di supporto alla fusione, stabilendo il principio per cui gli stessi non dovessero considerarsi iscritti a bilancio. Tale mancanza non ha risvolti sostanziali ma al contrario evidenzia l'intenzione del legislatore di Pagina 229 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 superare un passaggio letterale di cui si era già evidenziata in passato l'esuberanza: l'avvenuta abrogazione della lettera c) del vecchio articolo 54, comma 1, del Tuir, e del principio ivi codificato di rilevanza fiscale delle plusvalenze meramente iscritte bilancio, operata dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, nonché il tenore della norma speculare in tema di minusvalenze, ovverosia l’articolo 66 del Tuir ante riforma, infatti, garantivano già la neutralità delle poste in commento. 1.2. Le differenze di fusione La norma contenuta nel comma 2 del novello articolo 172 del Tuir si muove su presupposti simili a quelli delineati a regime dal sistema ante 2004, rimarcando nuovamente l'intento del legislatore di fare della fusione operazione fiscalmente neutrale anche in relazione alle sue poste tipiche, ovvero le differenze. Il testo, in questo senso, recupera in larga parte quanto indicato nel precedente articolo del Tuir, preoccupandosi in primis di sottolineare l'irrilevanza dei disavanzi e degli avanzi iscritti, sia da concambio che da annullamento, ai fini della determinazione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante. Diversamente da tale previsione, alla luce dei principi generali cui risulta ispirato anche il nuovo sistema delle imposte sul reddito, scompare invece il dispositivo relativo al disavanzo di annullamento, in passato oggetto di un lungo confronto tra Amministrazione finanziaria e contribuenti. In luogo dello stesso, infatti, è presente una norma di dettaglio apparentemente più finalizzata a fungere da normale completamento del passaggio precedente che ad avere un suo ambito di applicazione specifico. Il comma 2 dell'art. 172, in particolare, completa il principio di neutralità delle differenze di fusione: - precisando come quest'ultimo non venga meno in caso di ripartizione del disavanzo, sia esso di annullamento o di concambio, tra i beni della società fusa o incorporata che ne costituiscono il presupposto; - fissando il principio per il quale in ogni caso di disallineamenti tra valori civilistici e fiscali, la società incorporante sia tenuta alla presentazione di un apposito quadro della dichiarazione. Certamente più rilevante da un punto di vista sostanziale è l'abolizione della possibilità di convertire in valori fiscalmente riconosciuti i disavanzi da concambio e da annullamento. Se infatti, per effetto della disposizione transitoria di cui all'art. 4, lettera a), del decreto di riforma rimane possibile richiedere il riconoscimento fiscale gratuito dei disavanzi da annullamento per le operazioni deliberate sino al 30 aprile 2004, è altresì vero che la medesima opportunità non è più riconosciuta per l'affrancamento "oneroso" di cui all’articolo 6, comma 1, del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, abrogato con effetto 1° gennaio 2004 dall'art. 3, comma 2, del decreto di riforma. Il mutamento del regime fiscale, capace di rendere frequente il prodursi in futuro di doppi binari civilistico-fiscali legati all'iscrizione in bilancio di valori o di maggiori valori privi della "copertura" fiscale, è stato ascritto dal legislatore alla necessità di "razionalizzare" il sistema. Le specifiche ragioni addotte nella relazione accompagnatoria al D.Lgs. n. 344/2003 non risultano tuttavia immuni da osservazioni critiche. Il prelievo sostitutivo, infatti, è stato ritenuto poco giustificato in relazione alla riduzione dell'entità del prelievo sul reddito ordinario ed alla fissazione di un'unica aliquota. In via ulteriore, lo stesso è stato censurato in ragione della sua capacità di favorire degli arbitraggi di aliquote fra le parti consentendo, in sintesi, all'impresa cedente di subire la tassazione ad aliquota ridotta e all'impresa cessionaria di acquisire corrispondenti valori rivalutati dei beni aventi rilevanza ai fini dell'aliquota piena. Sul punto è agevole notare come non solo la riduzione del prelievo ordinario non appaia tale da rendere superflua un'aliquota caratterizzata da un significativo scarto percentuale, soprattutto laddove si condividano ancora gli scopi agevolativi che ne hanno favorito l'introduzione, ma Pagina 230 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 come il presunto effetto negativo, dato dal citato arbitraggio, abbia rappresentato il senso stesso della norma sin dalla sua nascita, accompagnandone negli anni la relativa applicazione. La previsione, poi, di un sistema di participation exemption sulle plusvalenze da cessione, capace se non di eliminare quantomeno di ridurre in generale i casi di loro tassazione, ha reso meno stringente agli occhi del legislatore il problema di doppia imposizione legato alla fattispecie del disavanzo di annullamento: in questo senso, il lasso di tempo concesso dalla disposizione transitoria più sopra ricordata deve essere letto come un'opportunità rimessa ai contribuenti di sanare le riorganizzazione passate al fine di allinearsi al nuovo sistema in vigore. È giocoforza notare sul punto, tuttavia, come l'attenuazione del problema non implichi per definizione la sua soluzione così che il tema della duplicità di tassazione permarrà in seno allo scenario operante a regime ogni qualvolta il sistema di esenzione sulle plusvalenze da cessione non sarà attivabile e la tassazione scontata non avrà modo di emergere fiscalmente, sotto forma di ammortamenti deducibili, in seno ad una successiva fusione per incorporazione della partecipata. A solo titolo esemplificativo, si pensi all'ipotesi in cui la partecipazione ceduta alla futura incorporante sia relativa a società immobiliari o ancora non soddisfi il requisito del possesso temporale di cui al novellato articolo 87 del Tuir: in tutti questi casi, infatti, l'imposizione scontata alla fonte si sommerà a quella indiretta derivante dal suo mancato riconoscimento a valle, in contrasto con il divieto di doppia imposizione di cui all'articolo 163 del Tuir e nonostante la perdurante operatività nel sistema di una norma, l’articolo 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con la quale l'Amministrazione finanziaria può censurare fattispecie singolarmente elusive. 1.3. Il concambio delle partecipazioni Il comma 3 del novello articolo 172 del Tuir è certamente innovativo, esplicitando un principio già di pacifica applicazione ma in precedenza enunciato nel solo ambito della scissione. La norma, infatti, recuperando la lettera dell'art. 123-bis del D.P.R. n. 917/1986 ante riforma, oggi trasfusa nel nuovo articolo 173 del Tuir, sancisce il principio di neutralità fiscale della fusione in capo ai soci della società fusa o incorporata. La stessa, in particolare, dispone che il cambio di partecipazioni originarie non costituisce: a) né realizzo, né distribuzione di plusvalenze o minusvalenze, per coloro che detengono la partecipazione fuori dall'ambito imprenditoriale, o che, pur imprenditori, la detengono quale immobilizzazione finanziaria; b) né conseguimento di ricavi, per i soci "imprenditori" della società scomparsa per i quali la partecipazione costituisca un bene dell'attivo circolante. In caso di conguaglio, tuttavia, viene fatta salva l'applicazione dell'articolo 47 comma 7, del D.P.R. n. 917/1986, e, se del caso, dei successivi articoli 58 e 87. 2. I fondi in sospensione L’articolo 172 comma 5, del Tuir, recuperando in buona parte il dispositivo dell'art. 123, comma 4, ante riforma, dispone che le riserve in sospensione d'imposta iscritte nell'ultimo bilancio delle società fuse o incorporate concorrono a formare il reddito della società risultante dalla fusione o incorporante nell'esercizio in cui l'operazione è stata effettuata se e nella misura in cui non siano state ricostituite a bilancio. In definitiva, si tratta dei fondi "tassabili in ogni caso", quali, ad esempio, il fondo di accantonamento ex articolo 11 della L. 2 maggio 1990, n. 102, il fondo di accantonamento istituito ex articolo 11 della L. 5 ottobre 1991, n. 317, il fondo di accantonamento di cui all’articolo 33, comma 9, della L. 30 dicembre 1991, n. 413, o la riserva per ammortamenti anticipati di cui all’articolo 67, comma 3, del Tuir, nel testo ante riforma. Pagina 231 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 In caso di insufficienza dell'avanzo di fusione, che il legislatore fissa ora come voce deputata in primis alla ricostituzione delle poste in sospensione, o di incapienza di riserve libere, è possibile operare la ricostituzione in oggetto vincolando in tutto o in parte il capitale sociale dell'incorporante "senza che lo stesso abbia separata evidenza nelle poste di patrimonio netto dello stato patrimoniale". Rimane ferma, chiaramente, la possibilità per i soci di procedere altresì a dei versamenti in conto capitale. Peraltro, le riserve tassabili "solo in caso di distribuzione", "se e nel limite in cui vi sia avanzo di fusione o aumento di capitale per ammontare superiore al capitale complessivo delle società partecipanti alla fusione al netto delle quote del capitale di ciascuna di esse già possedute dalla stessa o da altre", concorrono a formare il reddito della società risultante dalla fusione o incorporante unicamente in caso di distribuzione dell'avanzo o di distribuzione del capitale ai soci. Tali poste, che costituiscono quindi categoria diversa da quella precedente, sono, ad esempio, la riserva di rivalutazione monetaria ex L. 19 marzo 1983, n. 72, le riserve di rivalutazione ex articolo 4 della L. 29 dicembre 1990, n. 408, ed ex articolo 26 della L. 30 dicembre 1991, n. 413, e le riserve da conferimento agevolato costituite ai sensi dell’articolo 34 della L. 2 dicembre 1975, n. 576, così come prorogato dal successivo articolo 10 della L. 16 dicembre 1977, n. 904. Si sottolinea come allo stato attuale rimanga ancora incerto il trattamento da riservasi alla posta "avanzo" al fine del calcolo del plafond su cui estendere il regime di sospensione delle riserve "tassabili solo in caso di distribuzione". In altre parole, è quantomeno opportuno un chiarimento ministeriale sulla necessità di considerare quest'ultimo nella misura in cui emergente tout court dalla fusione o al contrario nella misura in cui eccedente l'ammontare utilizzato per la ricostituzione di eventuali riserve in sospensione "tassabili in ogni caso". In via ulteriore, si ricorda come le riserve "tassabili solo in caso di distribuzione", imputate anteriormente alla fusione al capitale delle società fuse o incorporate, si intendano comunque trasferite nel capitale della società risultante dalla fusione o incorporante e concorrano a formarne il reddito in caso di riduzione del capitale per esuberanza. Sul tema delle riserve in sospensione, si conclude osservando come il legislatore si sia preoccupato di introdurre nel più ampio dispositivo dell'art. 172 un comma, il 6, appositamente destinato a disciplinare fiscalmente il destino dell'aumento di capitale o dell'avanzo di fusione, sia esso di annullamento o di concambio, eccedente l'ammontare necessario al rispetto del precedente dispositivo. La norma, in particolare, dispone come lo stesso assuma la natura delle poste, diverse dalle riserve in sospensione di cui sopra, presenti nel patrimonio netto della società fusa o incorporata, in via proporzionale. Esemplificando, laddove quest'ultima presenti un patrimonio netto formato, senza considerare le riserve in sospensione, per il 30 per cento da riserve di utili, l'avanzo e/o l'aumento di capitale sociale dell'incorporante, una volta rispettati gli obblighi che discendono dall’articolo 172 comma 5, del Tuir, assumeranno la stessa natura in via proporzionale. In particolare, la norma sarà da ritenersi rispettata, in presenza di entrambe le poste, in via cumulativa e quindi: - calcolando in via aggregata l'ammontare destinato ad ereditare la natura di utili (i.e. il 30 per cento della somma "avanzo" e "aumento di capitale"); - imputando lo stesso per intero, fino a concorrenza del totale, all'"avanzo" e solo per l'eventuale residuo all'"aumento di capitale sociale". Così operando, infatti, si eviterà un'inutile complicazione del quadro complessivo, data dall'eventuale attribuzione della natura di utili ad un pro-quota (nell'esempio sviluppato, il 30 per cento) di entrambe le voci, salvaguardando la ratio della disposizione di legge. 3. Le perdite Pagina 232 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Il riporto delle perdite delle società coinvolte in operazioni di fusione è disciplinato dall’articolo 172 comma 7, del Tuir, il cui dispositivo recupera in modo pressoché integrale il dettato del precedente art. 123, comma 5. Quest'ultima norma rappresenta il frutto di un riorientamento ministeriale avvenuto a metà degli anni '80, quando, nelle more dell'approvazione dell'attuale testo unico delle imposte sui redditi, si decise l'inserimento nel precedente decreto in materia di un correttivo capace di limitare il cosiddetto "commercio delle bare fiscali", ovverosia il trasferimento di complessi aziendali il cui unico valore aggiunto è la titolarità di perdite pregresse idonee a ridurre i redditi imponibili. In particolare, con L. 8 agosto 1986, n. 487, fu introdotto un vincolo atto a limitare il riporto delle perdite delle società fuse o incorporate all'ammontare del patrimonio netto risultante dalla situazione patrimoniale redatta ai sensi della norma civilistica, nonché furono sterilizzati i processi di ricapitalizzazione posti in essere nei 18 mesi anteriori la data di riferimento del predetto documento. Il dispositivo così creato, trasfuso integralmente nell’articolo 123 comma 5, del D.P.R. n. 917/1986 e poi nel novello art. 172, comma 7, del medesimo decreto, è quello oggi in vigore, seppur arricchito nel corso degli anni di previsioni ulteriori volte da una parte a dare rilevanza, ai fini del computo dell'ammontare di perdite riportabili, anche all'ammontare di patrimonio netto evidenziato nell'ultimo bilancio approvato, e dall'altra ad aumentare il lasso di tempo relativo ad operazioni di ricapitalizzazione potenzialmente sterilizzabili. Elemento innovativo introdotto nel tempo è poi la condizione di operatività posta per le società coinvolte in operazioni di fusione, volta a limitare la possibilità di una compensazione intersoggettiva di perdite in presenza di soggetti non solo in stato di profonda crisi ma altresì di fatto non più attivi. Il testo oggi applicabile, riassumendo le considerazioni che precedono, recita pertanto quanto segue: "Le perdite delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l'ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all’articolo 2501-quater del codice civile, senza tener conto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, e sempre che dal conto economico dei profitti e delle perdite della società le cui perdite sono riportabili, relativo all'esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’articolo 2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi superiori. Tra i predetti versamenti non si comprendono i contributi erogati a norma di legge dallo Stato e da altri enti pubblici ...". L'ultimo periodo del comma 7 dell'art. 172 dispone che in caso di possesso delle azioni o quote della società la cui perdita è riportabile da parte dell'incorporante o di altra società partecipante alla fusione, la perdita non è deducibile fino a concorrenza dell'ammontare complessivo della svalutazione effettuata dalla società detentrice delle azioni o quote o dall'impresa che le ha ad essa cedute, successivamente all'esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell'atto di fusione. Lo scopo della disposizione è chiaramente quello di evitare che l'incorporante possa portare in diminuzione dai propri redditi, successivi alla fusione, delle perdite che sono già state dalla stessa utilizzate fiscalmente mediante svalutazioni delle partecipazioni, con conseguente duplicazione di effetti. La riforma, rispetto alla lettera del precedente art. 123, comma 5, non ha introdotto aspetti di rilevanza sostanziale, limitandosi in buona parte ad aggiornare i richiami civilistici, alla luce della contestuale entrata in vigore del nuovo diritto societario, nonché a sgravare la norma di passaggi ormai desueti e privi di significato. In quest'ottica va letta l'abolizione del passaggio Pagina 233 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 finale del precedente articolo 123 comma 5, del Tuir, che fissava un'ulteriore decurtazione della perdita riportabile nella misura in cui la società incorporante o risultante contemplasse a bilancio un disavanzo in franchigia d'imposta: l'abrogazione della possibilità di iscrivere tali poste, infatti, fissata dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, impediva da tempo la temuta duplice rilevanza fiscale della medesima perdita cosicché, come riconosciuto dalla Circolare 3 maggio 1996, n.108/E, il passaggio di legge aveva già perso ogni rilevanza pratica. La modifica, infatti, assume grande rilevanza per quei soggetti per i quali in passato il rischio di censure prive di reali giustificazioni era tale da rendere spesso doverosa la presentazione di un apposito interpello, teso a consentire un apprezzamento della singola fattispecie da parte dell'Amministrazione finanziaria e quindi a garantire il non prodursi di ingiustificate discriminazioni. Il riferimento, in particolare, è a tutti quegli enti finanziari che redigono il bilancio ex D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, e non secondo le regole previste per gli enti creditizi e finanziari dal D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87. Tali sono ad intendersi, tra gli altri, i soggetti che, svolgendo, non nei confronti del pubblico ed in via esclusiva o prevalente, attività quali l'assunzione di partecipazioni, la concessione di finanziamenti, la prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi, sono iscritti nella sezione speciale ex articolo del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), dell'elenco generale tenuto presso l'Ufficio italiano cambi. Le società in questione, infatti, nella piena osservanza dei Principi contabili, includono i propri componenti positivi "caratteristici" nell'aggregato C di conto economico, e non nella voce A1 fissata espressamente in passato dall’articolo 123 comma 5, del Tuir, cosicché, prima dell'intervento riformatore del legislatore, le stesse, in seno ad una fusione, lasciavano il fianco scoperto a possibili censure slegate dal reale andamento della gestione. Un'ulteriore novità di carattere sostanziale, apportata dal D.Lgs. n. 344/2003, è poi rappresentata dal passaggio in seno all'art. 172, comma 7, che prevede il non computo dei contributi erogati a norma di legge dallo Stato e da altri enti pubblici tra i versamenti capaci di sterilizzare il plafond di patrimonio che funge da riferimento per la determinazione del quantum di perdite riportabili. Il punto, che in realtà riprende quanto già operante in passato ex articolo 16 del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, non presenta tuttavia aspetti di particolare rilievo se non in relazione alla pratica contabile che presuppone, ovvero l'imputazione dei contributi pubblici direttamente a patrimonio: la legittimità di quest'ultima, infatti, potrebbe cessare una volta applicate in Italia le rigide prescrizioni dei principi internazionali (IAS). 4. La retrodatazione La lettera della norma, trasfusa senza alcuna modifica sostanziale dal precedente comma 7 dell’articolo 123 del Tuir al nuovo comma 9 dell’articolo 172 del medesimo testo unico, si presta a diverse considerazioni. Innanzitutto, nulla osta a che in presenza di società fuse con esercizi, e quindi periodi d'imposta, con date di chiusura diverse, si indichino due, o più, diverse retrodatazioni. Tutte le operazioni delle società fuse registrate successivamente alla chiusura dell'ultimo bilancio di esercizio troveranno adeguata manifestazione nel primo bilancio di esercizio della società incorporante chiuso dopo la data di effetto della fusione; tale modus operandi sarà poi riconosciuto fiscalmente in ragione del rispetto del limite temporale dato dalla data di chiusura dell'ultimo esercizio della società incorporante, così come fissato dall’articolo 172 del Tuir. Secondo aspetto non trascurabile, è poi l'assenza di un limite alla retrodatazione per così dire "implicito". Ovverosia, l'impossibilità di operare la retrodatazione per le operazioni di fusione pura sulla base della considerazione per cui gli effetti della fusione non potrebbero retroagire ad epoca con riferimento alla quale il soggetto incorporante non era ancora venuto a giuridica esistenza. Pagina 234 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 L'assunto di cui sopra, in particolare, ormai maggioritario, nasce non solo dalla constatata assenza di limiti legislativi, stante che la norma, al contrario, parla espressamente anche di società "fuse", e non solo "incorporate", ma altresì dalla considerazione per cui la retrodatazione di cui trattasi persegue il mero scopo di "spostare" la rilevanza contabile e fiscale delle operazioni avvenute in corso d'anno, e non già di operarne una retrodatazione "reale", tale da modificarne gli aspetti legali. A conferma di quanto precede, appare utile ricordare i chiarimenti forniti dal Ministero delle finanze con risoluzione del 24 novembre 2000, n. 181/E seppur con riferimento ad un ambito diverso, qual è quello Irap, in merito all'imputazione giuridica dei fatti amministrativi sorti nel periodo intermedio. L'unificazione, infatti, a detta dell'Amministrazione finanziaria, ha effetti soltanto contabili e si sostanzia "nella possibilità offerta alle società coinvolte nella fusione di elaborare un unico bilancio e un'unica dichiarazione dei redditi per il periodo in cui si verifica la fusione. I rapporti giuridici posti in essere dalle società coinvolte nella fusione nel periodo compreso tra la data a partire dalla quale si fa retroagire la fusione e la data dell'ultima iscrizione nel registro delle imprese mantengono la loro efficacia in capo al soggetto che li ha posti in essere e non vengono rielaborati contabilmente per effetto della retrodatazione". Va notato, in via collaterale, come l'argomento trattato dispieghi rilevanti effetti anche in tema di operazioni intercorse tra i soggetti partecipanti all'operazione di fusione (cosiddette "operazioni reciproche") nel periodo intermedio compreso tra la data di effettuazione della fusione e la data a decorrere dalla quale ne sono fatti retroagire gli effetti. Sul punto, infatti, una parte della dottrina sostiene che le operazioni reciproche non possono essere private di efficacia e di validità giuridica per effetto della retrodatazione della fusione, in quanto coinvolgono due distinti centri di imputazione di situazioni giuridiche attive e passive. In conclusione di paragrafo, si osservi come l’articolo 172, comma 9, del Tuir, nulla dica in merito alla possibilità di retrodatare operazioni "eterogenee", ovverosia operazioni tra società di capitali e società di persone. Gli scriventi, allineandosi alla dottrina maggioritaria, propendono per la tesi affermativa in ragione dell'assoluta genericità della disposizione di legge, pur rimarcando la disparità di trattamento che ne deriva rispetto alla disciplina dettata in materia di trasformazione dall’articolo 170 del Tuir, che prevede l'obbligo di determinare il reddito infrannuale in sede di mutamento del regime di imposizione. 5. Le dichiarazioni e i versamenti - Gli acconti L’articolo 172, comma 8, del Tuir, stabilisce l'obbligo di determinare il reddito delle società fuse o incorporate del periodo compreso tra l'inizio del periodo d'imposta e la data da cui ha effetto la fusione sulla base delle risultanze di apposito conto economico. Ne consegue, pertanto, per tale lasso di tempo, ai sensi dell’articolo 5-bis comma 2, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, la necessità: - di presentare la dichiarazione; - di versare le imposte da essa risultanti, compatibilmente con la forma giuridica della società scomparsa. La previsione, tuttavia, non opera qualora avvalendosi della facoltà di anticipare gli effetti fiscali della fusione ad una data diversa da quella di iscrizione dell'atto finale nel Registro delle imprese si riesca a far coincidere gli stessi con l'inizio del periodo d'imposta delle società fuse o incorporate. Ancora, per il richiamo operato dall’articolo 19 comma 6, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, quanto precede trova applicazione anche con riferimento all'Irap. Prima di analizzare gli obblighi appena citati, con riferimento al calcolo delle imposte relative al periodo d'imposta creatosi e più specificatamente degli ammortamenti, si accenna appena alla necessità per le parti coinvolte da una fusione per incorporazione di procedere ad Pagina 235 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 una deducibilità pro quota dei componenti in commento, "per dodicesimi", così come confermato dalla circolare del 7 novembre 1988, n. 5/3401. Identico criterio di ripartizione temporale vige per il calcolo delle spese di manutenzione deducibili oggi regolate dall’articolo 102 comma 6, del Tuir. Relativamente ad esse ed al calcolo delle imposte per l'incorporante, la circolare citata ha precisato la possibilità per quest'ultima di calcolare non solo la propria quota di spese deducibili afferenti i beni trasferiti "per dodicesimi" nel periodo d'imposta della fusione, ma altresì di riprendere 1/5 delle eccedenze di manutenzioni della società fusa relative a tutti i suoi esercizi pregressi, compreso quello creatosi per la mancata retrodatazione. In riferimento, invece, all'eventuale presenza di magazzino nella società incorporata, la società incorporante, una volta ereditata la stratificazione "storica" dei beni, è tenuta ad operare una piena integrazione delle variazioni intercorse in corso d'anno anche in assenza di retrodatazione. La lettera dell’articolo 92 del D.P.R. n. 917/1986, infatti, al pari di quanto indicato nell’articolo 59 del Tuir ante riforma, fa espressamente riferimento non al termine "periodo d'imposta" quanto a quello di "esercizio", impedendo pertanto alla fascia creatasi di assumere una rilevanza Lifo "fiscale". Si conclude ricordando come la società risultante dalla fusione, o incorporante, sia tenuta ad inviare le dichiarazioni dei redditi delle società fuse o incorporate relative al periodo d'imposta precedente, laddove i termini di presentazione siano ancora aperti, in nome e per conto dei soggetti scomparsi. In via ulteriore, come la stessa sia obbligata a compilare il quadro RR della propria dichiarazione dei redditi in relazione a ciascuna operazione di fusione intervenuta nel corso del periodo d'imposta, oltre al quadro RV in presenza di fusioni con differenti valori civilistici e fiscali. Da ultimo, con riferimento agli obblighi dei sostituti d'imposta, le istruzioni ministeriali fissano l'obbligo in capo al soggetto che succede nei rapporti facenti capo alle società scomparse, di presentare le relative dichiarazioni comprensive delle operazioni compiute da queste ultime in corso d'anno. 5.1. La presentazione della dichiarazione Ai sensi dell’articolo 5-bis comma 2, del D.P.R. n. 322/1998, la società risultante dalla fusione o l'incorporante deve presentare la dichiarazione relativa alla frazione di esercizio delle società fuse o incorporate, compresa tra l'inizio del periodo d'imposta e la data in cui ha effetto la fusione, entro: - l'ultimo giorno del settimo mese successivo a tale data, per il tramite di una banca o di un ufficio postale, ove ancora possibile, ovvero, - l'ultimo giorno del decimo mese successivo, in via telematica. 5.2. I versamenti a saldo Per quanto concerne i termini per l'effettuazione dei versamenti delle imposte dirette risultanti dalle dichiarazioni presentate per il periodo "ante fusione" operano le regole generali stabilite dall’articolo 17 del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435. Pertanto: - nel caso in cui le società fuse o incorporate siano "di persone", le imposte dovute per la frazione di periodo "ante fusione" (i.e. Irap ed imposte sostitutive) vanno versate entro il 20 giugno dell'anno in cui scadono i termini per la presentazione della relativa dichiarazione; - diversamente, se le società fuse o incorporate sono soggette all'Ires, il termine ultimo è il giorno 20 del sesto mese successivo a quello in cui si è chiuso il periodo cui le imposte si riferiscono. 5.3. Gli acconti L’articolo 4, comma 1, del D.L. n. 50/1997, convertito, con modificazioni, nella L. 9 maggio 1997, n. 122, e oggi integralmente trasfuso nel comma 10 dell’articolo 172 del Tuir, ha stabilito che nelle operazioni di fusione gli obblighi inerenti gli acconti devono essere adempiuti dalle Pagina 236 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 società fuse o incorporate fino alla data di efficacia reale della fusione. Dopo la data suindicata, gli stessi devono intendersi a tutti gli effetti trasferiti alla società risultante o incorporante. La norma dispone in materia di imposte sul reddito, ma la circolare 12 novembre 1998, n.263/E ha chiarito che quanto previsto dal D.L. n. 50/1997, e quindi si ritiene quanto oggi indicato dalla norma del Tuir, si applica anche al versamento dell'acconto Irap, e quindi in relazione agli obblighi propri delle società di persone. La previsione legislativa trova la seguente applicazione pratica: - le società fuse o incorporate sono sempre tenute a versare gli acconti i cui termini scadono ante conclusione dell'operazione, a nulla rilevando che il periodo di imposta sia eventualmente imputato alla società risultante o incorporante a seguito di retrodatazione; - la società risultante o incorporante è tenuta a calcolare gli acconti, i cui termini di versamento scadono successivamente all'estinzione della società fusa o incorporata, tenendo conto anche dell'imposta liquidata dalle società incorporate o fuse nella dichiarazione di tali soggetti riferita al periodo d'imposta antecedente quello in cui è intervenuta la fusione. Sul punto, l'Amministrazione finanziaria ha recato alcuni chiarimenti con la già citata circolare n. 263/E del 1998, confermando sostanzialmente il quadro delineato in via interpretativa. Il documento in menzione, in particolare, ha sancito le conclusioni di cui sopra, precisando altresì che: - i versamenti in acconto effettuati dalla società fusa o incorporata possono essere scomputati dalla società risultante o incorporante già in sede di versamento del saldo delle imposte dovute per la frazione di periodo di imposta creatasi in assenza di retrodatazione; - che laddove i termini di versamento scadano successivamente all'estinzione della società fusa o incorporata, la società risultante o incorporante resta libera di determinare l'acconto su base previsionale, anziché su base storica. 6. Le operazioni di fusione e l’applicazione della norma antielusiva L’articolo 37-bis del DPR n. 600 del 1973, prevede che sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti ed i negozi anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi altrimenti indebiti. La norma è applicabile a condizione che nell’ambito del complesso disegno elusivo siano utilizzate una o più delle operazioni indicate nel comma 3 della norma stessa. Tra tali operazioni sono comprese anche quelle di fusione. Nella quasi totalità delle pronunce di prassi emanate dal Ministero delle finanze prima e dall’Agenzia delle Entrate poi è stato sempre sottolineato che l’operazione di fusione, di per sé, non manifesta una ipotesi di elusione perseguibile con il citato articolo 37-bis, ma che tale condizione si verifica quando l’operazione si collega ad altre nell’ambito, come detto, di un più ampio disegno elusivo. Pagina 237 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 l’operazione è elusiva se ricorrono le seguenti condizioni Assenza di valide ragioni economiche Devono essere operazioni elencate nell’art. 37-bis del DPR n. 600 del 1973 trasformazioni fusioni - scissioni conferimenti cessioni di crediti ecc. Aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario Indebito ottenimento di riduzioni e/o rimborsi d’imposta In sintesi, affinché un’operazione possa configurarsi come elusiva occorre che si verifichino contemporaneamente le seguenti condizioni: - deve trattarsi di comportamenti (intesi come serie di atti, fatti e negozi posti in essere anche successivamente nel tempo) che, nel loro contesto, comportano l’utilizzo di una o più delle operazioni indicate al terzo comma dello citato art. 37-bis; - deve trattarsi di comportamenti privi di valide ragioni economiche; - deve trattarsi di comportamenti diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento; - deve trattarsi di comportamenti tesi a perseguire un risparmio d’imposta disapprovato dal sistema. Qualora manchi anche uno soltanto di detti requisiti, l’operazione non può essere considerata elusiva. L’Agenzia delle Entrate in una sua pronuncia5 ha avuto modo di precisare che il confine tra “lecito risparmio d’imposta” ed “elusione” va ricercato tra la legittima attività di pianificazione fiscale, con la scelta tra più comportamenti consentiti dall’ordinamento, quello fiscalmente meno oneroso e i risparmi d’imposta “patologici” che derivano da un “abuso” che il contribuente fa della legislazione vigente al fine di sfruttarne lacune o difetti al fine di ottenere risultati che (anche se formalmente legittimi) contrastano con il sistema tributario visto nel suo complesso. Non è elusiva, quindi, la scelta da parte del socio di una società di dismettere l’azienda o attraverso la cessione diretta della stessa o la cessione delle partecipazioni detenute nella società. 5 Agenzia delle Entrate - Risoluzione del 28/02/2002 n. 62 Pagina 238 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Ciò, in quanto, non essendo nell’ordinamento i due diversi regimi fiscali tra loro subordinati, la scelta tra l’uno e l’altro regime è libera. Con specifico riferimento alle operazioni di fusione, l’amministrazione finanziaria ha in più occasioni ribadito quali siano le condizioni sussistendo le quali un’operazione può ritenersi elusiva: Assenza di valide ragioni economiche Indebito ottenimento di riduzioni di imposte o rimborsi E’ stato precisato che nella fusione societaria, in generale, deve essere presente, ai fini dell’apprezzabilità delle valide ragioni economiche sottostanti all’operazione, la finalità di pervenire alla crescita delle dimensioni dell’impresa ed alle conseguenti economie di scala. L’obiettivo di fondo è quindi il rafforzamento della posizione dell’impresa sul mercato e il miglioramento della propria capacità competitiva. Ciò nell’intento di aumentare la produttività o, in vista di un allargamento del mercato, di acquisire nuovi vantaggi concorrenziali, o, semplicemente, di acquisire particolari conoscenze tecnologiche o professionalità che appaiono necessarie in vista dei cambiamenti anche tecnologici del settore economico di appartenenza. Possono, anche, essere rilevanti motivi puramente di natura finanziaria come quando la concentrazione risponde all’esigenza di creare complessi in grado di reperire maggiori risorse finanziarie e di aumentare le capacità di credito. La fusione è dunque economicamente valida nel momento in cui la stessa abbia una apprezzabilità economico gestionale finalizzata alla integrazione verticale delle fasi successive dello stesso processo produttivo e al raggiungimento di rilevanti vantaggi in termini di economia di scala con conseguente risparmio di costi ed aumento della produttività. E’ evidente che le fusioni necessitate per rispettare disposizioni di legge di carattere generale o del settore di appartenenza, contengono di per sé il requisito delle “valide ragioni economiche”. Ai fini fiscali, l’operazione di fusione ai sensi dell’articolo 172 del DPR n. 917/1986 è caratterizzata dalla neutralità fiscale, in quanto non dà luogo a realizzo né a distribuzione di plusvalenze e minusvalenze dei beni della società fuse, comprese quelle relative alle rimanenze ed al valore di avviamento. In considerazione della riforma dell’imposta sul reddito delle società (IRES) non sono più rilevanti ai fini fiscali le eventuali differenze (avanzi e disavanzi) di fusione. Un consistente risparmio d’imposta potrebbe essere ottenuto mediante la fusione di un soggetto in perdita con un soggetto prospetticamente in utile. In tale ipotesi, si permetterebbe, in assenza di valide ragioni economiche della fusione, di compensare, successivamente alla fusione, le perdite della incorporante o incorporata (altrimenti inutilizzabili negli esercizi futuri) con i redditi realizzati dalla incorporante o incorporata (altrimenti assoggettate ad imposizione Pagina 239 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 ordinaria). Va anche ricordato che nel contesto dell’operazione di fusione tra soggetti che apportano perdite fiscali pregresse l’articolo 172 del Tuir prevede al settimo comma una dispostone antielusiva generale che condiziona il riporto delle perdite di tutte le società partecipanti alla fusione al possesso di determinati requisiti patrimoniali e di vitalità aziendale. Per tale limitazione al riporto delle perdite è ammessa, come si vedrà in seguito, la possibilità di richiederne la disapplicazione ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 37bis del DPR n. 600 del 1973. Un altro indebito risparmio potrebbe essere perseguito mediante la fusione di una società immobiliare in una società operativa al fine di utilizzare il regime delle partecipazioni esenti di cui all’articolo 87 del TUIR. In tale fattispecie, si permetterebbe, in assenza di valide ragioni economiche della fusione, di rendere esenti da tassazione anche quella parte delle plusvalenze scaturenti dalle cessioni di partecipazioni sociali effettuate successivamente alla fusione riferibili ipoteticamente alla società immobiliare incorporata Un altro indebito risparmio che potrebbe essere perseguito con l’operazione di fusione potrebbe riguardare la tassazione limitata (5% per i soggetti IRES e 40% per gli altri soggetti) dei dividendi sociali distribuiti. Si permetterebbe, in assenza di valide ragioni economiche della fusione, di abbattere anche la parziale tassazione in capo al socio dei dividendi distribuiti. Pertanto, si può dire che un risparmio fiscale frutto di un comportamento meno oneroso rispetto alla regola fissata dall’ordinamento tributario costituisce elemento rilevante ai fini dell’acclaramento dell’elusività dell’operazione. aggiramento di obblighi o divieti L’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 32 del 23.3.2001, ha affermato che il concetto di aggiramento implica il ricorso ad un disegno volto al raggiungimento di un risultato disapprovato dai principi cui si ispira l’ordinamento tributario. Il risultato raggiunto dal contribuente, in sostanza deve violare un divieto posto dal sistema; si ha aggiramento quando con la fusione si realizzano risparmi di imposta disapprovati dal sistema, cioè non riconosciuti legittimi dall’ordinamento fiscale. Una particolare operazione societaria che potrebbe ricadere sotto la scure dell’elusività riguarda l’operazione di fusione a conclusione di una operazione di acquisizione di partecipazioni con indebitamento, altrimenti detta leverage by out. A tale proposito appare rilevante fare una breve disamina di tale modalità di acquisizione, anche in considerazione dell’introduzione nel corpo del codice civile dell’articolo 2501-bis che permette, a determinate condizioni, di effettuare delle operazioni di “leverage buy out” (LBO). Tale operazione di natura finanziaria è generalmente finalizzata all’acquisto di una società (società “obiettivo” o target company) mediante il ricorso a finanziamenti da parte di soggetti specializzati ( istituti di credito e/o società finanziarie) che verranno, a operazione conclusa, garantiti e successivamente rimborsati o tramite gli utili prodotti dalla società acquisita o mediante la cessione, di alcuni o di tutti, i beni aziendali della stessa. Generalmente l’operazione mira a conseguire il controllo totalitario o la maggioranza della società “obiettivo”. Le modalità di effettuazione dell’operazione prevedono di regola la Pagina 240 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 costituzione (o acquisto) di un’apposita società di capitali (cosiddetta newco o società veicolo), fortemente sottocapitalizzata in relazione all’operazione che si vuole realizzare, che procederà all’acquisto della società che si intende acquistare (cosiddetta target company o società bersaglio). Successivamente all’operazione di acquisto verrà spesso deliberata la fusione fra le società coinvolte in modo tale che, in conseguenza della confusione dei patrimoni, l’indebitamento contratto dalla newco per la realizzazione dell’operazione risulterà trasferito sul patrimonio della società acquisita. A seconda delle modalità di effettuazione della fusione, può distinguersi il forward leverage by out che comporta l’incorporazione della società bersaglio nella società veicolo (fusione diretta) e reverse leverage by out che si caratterizza, invece, per l’incorporazione della società veicolo nella società bersaglio (fusione inversa). Acquisizione società bersaglio finanziatore Società ALFA 100% Società veicolo acquista Società BETA società bersaglio Fusione per incorporazione Società ALFA finanziatore 100% Società veicolo Società bersaglio Ipotesi particolare di leverage è il leveraged management buy out, che vede come protagonisti i dirigenti della società bersaglio. In tale ipotesi gli amministratori della società bersaglio, attraverso la costituzione di una new company, mirano ad acquisire il controllo della società da loro stessi amministrata. Ed è proprio per la “pericolosità” dell’operazione di LBO, per via dell’ingente indebitamento connesso all’acquisizione della società “obiettivo”, che l’articolo 2501-bis sopra citato prevede una serie di condizioni e di obblighi relativi al controllo della congruenza delle risorse finanziarie previste per il “soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione” e necessari anche a certificare le “ragioni che giustificano” l’operazione. In sintesi, quindi, si potrebbe assumere che le disposizioni civilistiche sanciscono la necessità ai fini della legittimità dell’operazioni di LBO, non solo di una verifica delle risorse finanziarie ma anche della coerenza delle ragioni sottese all’effettuazione dell’operazione. In altre parole si potrebbe intendere che la “ragionevolezza” prevista dalle disposizioni civilistiche che giustifica l’operazione sia equiparabile alla presenza delle “valide ragioni economiche” per considerare ai fini tributari non elusiva l’operazione di leverage. Pagina 241 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Da ciò ne dovrebbe, quindi, conseguire che ove l’operazione di LBO risultasse come facente parte di una più generale disegno imprenditoriale, anche a carattere eminentemente finanziario, gli eventuali risparmi fiscali (deducibilità degli interessi dell’indebitamento - riportabilità delle perdite della società “veicolo”, ecc.) dovrebbero essere considerati fisiologicamente compatibili con l’operazione stessa. In questi casi la ragione dell’operazione sarebbe insita nella finalità di ristrutturazione aziendale tramite l’acquisizione di attività imprenditoriali o di partecipazioni finanziarie. Invece, ove dovesse essere accertato che l’operazione di LBO fosse posta in essere dagli stessi soggetti che controllano o hanno interessi rilevanti sia nella società acquirente che in quella da acquistare, si potrebbe affermare che con la fusione delle società “veicolo” ed “obiettivo” verrebbe a concludersi un’operazione motivata presumibilmente da intenti preminentemente fiscali e pertanto probabilmente elusiva . Infatti, data la modifica dal 1.1.2004 del regime dei dividendi e l’introduzione del regime delle partecipazioni esenti operata dal D.Lgs n. 344 del 2003, la società acquirente, indebitatasi per acquistare la società “obiettivo”, ove non fosse effettuato con la fusione l’ultimo passaggio dell’operazione di LBO, potrebbe trovarsi nella difficoltà di poter abbattere gli oneri finanziari dell’indebitamento considerata la ridotta imponibilità (5%) dei dividendi distribuitole dalla società acquistata. Inoltre, la stessa società acquirente potrebbe trovarsi nella condizione di dover applicare per la deducibilità dei predetti oneri finanziari il meccanismo del pro-rata patrimoniale previsto dall’art. 98 del nuovo Tuir nel caso in cui le partecipazioni nella società acquistata rientrassero nel regime di cui all’art. 87 del nuovo TUIR. In tali casi la fusione non sarebbe la conclusione di un’operazione imprenditoriale “ragionevole” di acquisizione di azienda o di società con indebitamento, ma semplicemente una scappatoia formalmente legittima ma finalizzata al conseguimento di un risparmio d’imposta indebito ovvero di aggiramento di obblighi o divieti posti dall’ordinamento. Nel caso in cui l’operazione di LBO dovesse, come detto in precedenza, essere finalizzata all’acquisto di attività imprenditoriali possedute da altri soggetti giuridici di cui la parte acquirente ne ritiene necessaria l’acquisizione per le strategie imprenditoriali dell’intero gruppo di appartenenza, l’operazione in sé non dovrebbe essere considerata elusiva. Quanto sopra però va confrontato con le affermazioni del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive che nel parere n. 2 del 2005, confermato dal parere n. 27 reso in data 16.11.2005, ha considerato elusiva l’operazione tesa esclusivamente a permettere la compensazione delle perdite della società incorporante attraverso gli utili che la società incorporata è in grado di produrre, in quanto società effettivamente operativa, come di regola avviene nel caso di fusione conseguente all’operazione di leverage. Infatti la società incorporante è di regola la società neo costituita che costituita solo per acuire la partecipazione della società bersaglio si ritrova ad avere risultati reddituali negativi derivanti in massima parte dai costi dei finanziamenti ricevuti per l’acquisizione della partecipazione nella società incorporata. Tale posizione appare a parere di chi scrive estremamente rigida e forse non economicamente corretta67. Infatti, non si può tacere del fatto che nell’operazione di leverage gli oneri dell’indebitamento per l’acquisto della partecipazione sono quelli che determinano la perdita della società veicolo che ha di regola la caratteristica di holding o sub-holding. Ove si volesse ipotizzare un operazione simile a quella effettuabile con il leverage si dovrebbe pensare all’acquisto dell’impresa in modo diretto (o delle partecipazioni della società proprietaria dell’impresa) con l’accensione di un finanziamento per l’acquisto. In tale ipotesi gli oneri dell’indebitamento sarebbero sicuramente deducibili in capo al soggetto acquirente finanziato. 6 7 D.Stevanato “La fusione <inversa> non è elusiva” - Il Sole 24Ore - 8.12.2005 M.Piazza “Fusione inverse alle corde” - Il Sole24Ore - 6.12.2005 Pagina 242 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Con un esempio si può chiarire meglio la sostanziale equiparazione tra le due operazioni. Operazione di Leverage Newco acquirente delle partecipazioni finanziata con oneri finanziari annuali ammontanti a 1.000.000 Newco perdita fiscale 1.000.000 Fusione della newco nella società target Reddito fiscale della società 2.000.0000 meno perdita deducibile di 1.000.000 = reddito imponibile di 1.000.000 Acquisto diretto Società alfa acquista società target con oneri finanziari annuali ammontanti a 1.000.000 Reddito fiscale della società 2.000.000 - 1.000.000 = 1.000.000 Le ultime interpretazioni dell’Amministrazione Finanziaria e del Comitato Consultivo Fusioni considerate elusive Comitato consultivo - Parere n. 4 del 8.5.2003 Il comitato ritiene che sia elusiva un’operazione in cui una società in accomandita semplice incorpora una società in nome collettivo di cui aveva acquisito la proprietà delle partecipazioni attraverso l’accensione di un mutuo decennale. La fattispecie prospettata nell’istanza di interpello è costituita dall’intenzione dei soci anziani di una società in nome collettivo (composta da padre, madre e figlio) di procedere alla cessione della loro partecipazione (considerato il prossimo raggiungimento dell’età per il pensionamento di vecchiaia) ad una società in accomandita semplice di cui gli stessi soci faranno parte in qualità di soci accomandanti. La sas finanzierà l'acquisto della quasi totalità della partecipazione mediante l'assunzione di un mutuo decennale. Il rimborso della rata di ammortamento del mutuo, sarà garantito dai proventi della partecipazione acquistata. Dopo l'acquisizione dell'intera partecipazione, la sas incorporerà la snc. A parere del Comitato la predetta operazione è tesa a precostituire componenti negativi di reddito in capo all’incorporante, che ridurranno in modo consistente i redditi imponibili futuri della società stessa, non è sostenuta da valide ragioni economiche, costituite dal risparmio delle contribuzioni previdenziali e dal beneficio della responsabilità limitata per i soci cedenti, nonché dalla liquidazione di quote difficilmente cedibili a terzi, perchè riferibili anche all’ipotesi della trasformazione societaria”. Pertanto, rispetto all’ipotesi più lineare della trasformazione societaria, l’operazione progettata secondo il comitato consente di ottenere un risparmio di imposta. Comitato consultivo - Parere n. 27 del 11.11.2004 L’inesistenza di valide ragioni economiche che giustificano una complessa ed inisuale operazione di riorganizzazione aziendale tra società dello stesso gruppo, giustificata solo da un risparmio d’imposta è di per sè indice di comportamento elusivo. L’operazione rappresentata nell’istanza d’interpello (dopo un preliminare aggiustamento della proprietà delle partecipazioni) si sostanzia in una scissione parziale e proporzionale con contestuale costituzione di una newco, cui sarebbe assegnato, tra gli altri, il contratto di locazione finanziaria e successivamente nella incorporazione della newco. Il fine perseguito nella fattispecie rappresentata appare il trasferimento di contratto di leasing da una società ad un’altra, realizzata prima attraverso la scissione parziale e successivamente dalla fusione per incorporazione della beneficiaria. Il tutto volto, secondo il comitato, ad aggirare l’articolo 88, comma 5, del Tuir, ai sensi del quale la cessione del contratto di locazione finanziaria costituisce una sopravvenienza attiva. Pagina 243 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Comitato consultivo - Parere n. 2 del 25.1.2005 Un’operazione di fusione da cui non consegue una reale ottimizzazione dell’attività imprenditoriale, ma è posta in essere allo scopo di usufruire delle perdite fiscali pregresse dell’incorporante esercente esclusivamente l’attività di gestione di partecipazioni sociali, compresa quella dell’incorporata, presenta aspetti di elusività, in quanto priva di valide ragioni economiche e diretta a conseguire un vantaggio fiscale costituito dall’utilizzo delle menzionate perdite fiscali per ridurre la base imponibile della nuova compagine sociale. Infatti, l’unico apporto dell’incorporante alla nuova società sarebbe la quota di perdite riportabili utilizzabili per sterilizzare gli utili che l’incorporata è in grado di produrre, in quanto società effettivamente operativa. Tale vantaggio tributario è, a parere del Comitato, da ritenersi indebito, poichè realizzato attraverso “l’aggiramento dell’obbligo, previsto dall’ordinamento tributario, di assoggettare a tassazione i redditi d’impresa prodotti.” Situazione ante fusione Società ALFA HOLDING 100% Società GAMMA Situazione post fusione di GAMMA in ALFA HOLDING Società ALFA Società BETA 33,33% 66,67% Società GAMMA Società DELTA Comitato consultivo - Parere n. 18 del 13.7.2005 Per il comitato consultivo è elusiva un’operazione di fusione e la successiva scissione parziale non proporzionale che risulti in concreto finalizzata esclusivamente all’assegnazione di beni ai soci. La fattispecie è simile a quella trattata nel commento al Parere del Comitato n. 22 del 6.10.2005. Tale operazione, infatti, è priva di valide ragioni economiche,in quanto non appare dimostrata l’esistenza nell’ambito della compagine societaria di un’irrisolvibile situazione di conflittualità tra i soci come sostenuto dai contribuenti istanti, L’operazione appare inoltre diretta a conseguire uno o più vantaggi tributari indebiti rinvenibili nel mancato assoggettamento a tassazione del valore normale dei beni assegnati ai soci ai sensi dell’articolo 86, comma 3, del Tuir, poiché realizzati attraverso l’aggiramento di obblighi previsti dall’ordinamento (articolo 86. primo comma, lettera c) del Tuir) . Pagina 244 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Comitato consultivo - Parere n. 22 del 6.10.2005 La fusione per incorporazione di una società da parte della sua controllante, seguita dalla scissione totale di quest’ultima a favore di due nuove società aventi come socio unico, rispettivamente, i due soci della società scindenda e dalla successiva fusione per incorporazione di ciascuna di tali due nuove società ad opera del rispettivo socio unico, apertamente finalizzata a consentire ai soci della società incorporante/scindenda di divenire direttamente e separatamente proprietari del suo patrimonio immobiliare, per poter procedere in autonomia all’ulteriore esercizio dell’attività imprenditoriale edilizia, appare non sorretta da valide ragioni economiche e rivolta all’aggiramento di norme tributarie, con indebito risparmio d’imposta, in quanto destinata in realtà ad eludere lo scioglimento del vincolo societario da parte dei due soci della società incorporante/scindenda, con ripartizione del relativo patrimonio. Situazione ante fusione Società ALFA Società BETA 33,33% 66,67% Società GAMMA 100% Società DELTA Situazione post fusione di DELTA in GAMMA Società BETA Società ALFA 33,33% 66,67% Società GAMMA Società DELTA Situazione post scissione di GAMMA Pagina 245 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Società ALFA Società BETA 100% Società ALFAGAMMA 100% Società BETAGAMMA Situazione post incorporazione delle società scaturenti dalla scissione Società ALFA Società BETA Società ALFAGAMMA Società BETAGAMMA L’operazione secondo il Comitato Consultivo è finalizzata non a realizzare un piano di riorganizzazione aziendale nell’interesse delle società protagoniste delle operazioni straordinarie, ma a risolvere e soddisfare le esigenze della compagine societaria con ripartizione agli stessi del patrimonio delle società partecipate. Infatti, il complesso delle operazioni porterebbe ogni singolo socio a diventare proprietario unico di parte del patrimonio immobiliare prima posseduto in comproprietà. Per tale obiettivo, segnala il Comitato, l’operazione straordinaria più corretta dovrebbe essere lo scioglimento del vincolo societario da parte dei soci della società detentrice dei cespiti immobiliari, con l’attribuzione agli stessi, in sede di liquidazione, del patrimonio immobiliare. Tale operazione risulta più coerente e congrua sul piano giuridico rispetto agli obiettivi perseguiti, ancorché più onerosa sul piano fiscale. Per tale motivo le operazioni prospettate appaiono tese all’indebito risparmio d’imposta(86, comma 1, lettera c) del Tuir )mediante l’aggiramento di norme tributarie (86, comma 3, del Tuir. Comitato consultivo - Parere n. 27 del 16.11.2005 L’operazione di fusione con conseguente estinzione dell’incorporata società di persone in possesso di una quota di partecipazione del capitale sociale dell’incorporante (cosiddetta fusione inversa) presenta profili di elusività in quanto la finalità di semplificare il rapporto di controllo della società di capitali ed eliminare i costi di gestione non appaiono apprezzabili sotto il profilo della presenza di valide ragioni economiche. Situazione ante fusione SOC PERSONE FISICHE Pagina 246 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 100% Soci 59,81% 40,19% SRL età Situazione Post fusione SOC PERSONE FISICHE 100% SRL Società in nome collettivo Tali risultati possano, infatti, a parere del Comitato consultivo raggiungersi in maniera più lineare procedendo alla liquidazione della società controllante che “si presenta come procedura meno complessa della concentrazione e per ciò stesso fisiologica allo scopo”. L’operazione di fusione per incorporazione ha, quindi, la sola finalità di conseguire un indebito risparmio d’imposta derivante dal mancato assoggettamento a tassazione dell’assegnazione delle partecipazioni dell’incorporata ai soci eludendo in tal modo la disposizione contenuta nell’articolo 58, comma 2, del Tuir applicabile alle operazioni di cessione ed assegnazione di beni ai soci. Il comitato, infatti, ritiene che la fusione consentirebbe “all’incorporata di trasferire ai propri soci la quota di partecipazione detenuta nell’incorporante senza aggravio d’imposta, il che, invece, si verificherebbe qualora si procedesse allo scioglimento della società di persone”. In tal caso, prosegue il comitato, i soci della società di persone “ verrebbero tassati in base alla propria aliquota progressiva(ovvero in maniera separata ex articolo 17 del TUIR), mentre nell’ipotesi di concentrazione gli stessi potrebbero effettuare il concambio delle partecipazioni possedute nell’incorporata con quelle dell’incorporante in regime di neutralità, ai sensi dell’articolo 172, comma 3, del TUIR”. Agenzia delle Entrate - Risoluzione n. 337 del 29.10.2002 L’Agenzia delle Entrate in risposta ad un'istanza di interpello presentata ai sensi dell'art.11 della legge 212/2000, ha precisato quale sia la corretta applicazione dell'articolo 123, comma 5, (ora art. 172, comma 7) del TUIR, in caso di fusione per incorporazione e cioè se sia ammissibile il riporto delle perdite prodotte, nel suo unico anno di vita, dalla società incorporante. L'Agenzia, al riguardo, ritiene che, nella fattispecie concreta, non sia possibile utilizzare le perdite subite dalla società incorporante, in quanto la stessa, attesa la sua natura di holding pura, costituita solo un anno prima di quello in cui è stata deliberata la fusione, non dispone di quegli elementi contabili, dal cui esame, è subordinato il riporto delle perdite, così come richiesto dal citato art. 123, comma 5, (ora art. 172, comma 7) del TUIR. Nella risposta si richiama la possibilità, offerta dalla disposizione di cui all’ottavo comma dell’art. 37-bis del DPR 600/1973, di presentare istanza al Direttore Regionale per la disapplicazione della norma in esame laddove il contribuente non ravvisi quegli effetti elusivi che la norma stessa intende contrastare. Pagina 247 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Fusioni considerate non elusive Comitato consultivo - Pareri n. 25 e 26 del 12.11.2004 Si tratta di due pareri resi a due diverse società relativamente ad un’operazione di fusione a cui esse partecipano. Per il Comitato un’operazione di fusione societaria con costituzione di una nuova società, che assuma in neutralità fiscale tutti gli elementi attivi e passivi dei patrimoni delle due società preesistenti e prosegua l’attività imprenditoriale già svolta da queste due, in assenza di perdite fiscali riportabili nelle due società che si fondono, se non è preordinata al successivo trasferimento a terzi delle partecipazioni sociali o al compimento di altri atti o negozi che possano concretizzare, complessivamente, un disegno elusivo, appare sorretta da valide ragioni economiche e non rivolta all’aggiramento di norme tributarie, giacchè consente un rafforzamento economico-finanziario dell’impresa gestita dal soggetto societario. Le modalità di effettuazione dell’operazione, sostiene il Comitato, portano a valutare positivamente la fusione considerato che avrebbe come fine quello di “aumentare la competitività e la capacità di credito” del nuovo soggetto societario attraverso la riduzione dei costi, l’eliminazione dei rapporti economici-finanziari fra le due società e la concentrazione in un’unica società del ramo immobiliare con quello commerciale-operativo. Il superamento della diversificazione sociale, prosegue il Comitato, è giustificato dal venire meno delle esigenze di diversificazione che erano state avvertite dai soci “per ragioni di prudenza imprenditoriale” nella fase iniziale dell’attività sociale. Attualmente tale diversificazione non è più ritenuta necessaria in quanto nel corso degli esercizi sono stati “realizzati costanti risultai positivi sotto il profilo reddituale che consentono il consolidamento in un’unica struttura delle due attività, immobiliare e commerciale” Comitato consultivo - Parere n. 31 del 21.12.2004 Il comitato ha dato parere favorevole ad una riorganizzazione aziendale giustificata dalla eliminazione dei costi amministrativi e dalla più trasparente individuazione della proprietà delle azioni derivante dall’accorciamento della catena di controllo. L’operazione a parere del Comitato non appare elusiva anche in considerazione del fatto che non genera emersione di plusvalenze tassabili in quanto i soci delle srl incorporate riceveranno azioni emesse dalla spa incorporante in proporzione alla loro partecipazione al capitale delle suddette srl. Detti soci, secondo quanto affermato nell’istanza, non hanno alcuna intenzione di cedere le predette partecipazioni. Il comitato rileva, infatti, che il plusvalore latente, costituito dalla differenza tra il valore delle azioni ricevute da ciascun socio a seguito della fusione e il costo fiscale della partecipazione al capitale nelle srl incorporate, non viene realizzato e dunque non è sottratto all’imposizione. Tale plusvalore costituirà reddito imponibile per il socio cedente all’atto di un’eventuale futura cessione delle azioni della spa. L’interpello disapplicativo L’articolo 7, comma 1, del D.Lgs n. 358 dell’8 ottobre 1997 ha introdotto nel DPR n. 600 del 1973 l’art. 37-bis rubricato “Disposizioni antielusive”. Tale norma individua due autonome e distinte fattispecie. La prima, disciplinata dai commi da 1 a 7, contiene la norma antielusiva di carattere generale, che consente all’amministrazione finanziaria di discernere caso per caso le ipotesi elusive da quelle che tali non sono, sulla base dei criteri indicati nella norma stessa e che risulta applicabile però solo se il contribuente ha posto in essere uno degli atti analiticamente elencati nel comma 3, dello stesso art. 37-bis del DPR n. 600/1973. La seconda fattispecie, regolata dal comma 8 del citato art. 37-bis, consente la disapplicazione delle norme antielusive di carattere sostanziale e cioè di quelle norme che, per finalità antielusive, Pagina 248 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 “limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario”. La disapplicazione è disposta dal Direttore Regionale delle Entrate, a seguito di istanza presentata dal contribuente, sul quale ricade l’onere di dimostrare che gli effetti elusivi, contrastati dalla norma di cui chiede la disapplicazione, non potevano verificarsi. Nella relazione governativa al decreto legislativo n. 358/1997 è stato affermato che la norma in esame “introduce un principio di civiltà giuridica e di pari opportunità tra il fisco e i contribuenti”, riconoscendo che, nel corso degli anni, “sono state introdotte nel nostro ordinamento una pluralità di norme sostanziali, con lo scopo di limitare comportamenti elusivi: spesso queste norme, a causa della loro ineliminabile imprecisione, provocano indebite penalizzazioni per comportamenti che non hanno nulla di elusivo. Se le norme possono essere disapplicate quando il contribuente le manipola per ottenere vantaggi tributari indebiti, occorre che lo siano quando l’obiettivo condurrebbe a penalizzazioni altrettanto indebite”. Il comma 8, dell’articolo 37-bis del DPR n. 600/1973 costituisce, quindi, una disposizione che consente, attraverso un procedimento appositamente regolamentato, di rimuovere limiti o divieti previsti da una norma antielusiva di carattere sostanziale. Il procedimento per la disapplicazione Le modalità per l’applicazione del comma 8 dell’art. 37-bis del DPR n. 600/1973 sono state disciplinate dal DM n. 259 del 19.6.1998. L’istanza è rivolta al Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, competente per territorio, ed è spedita, a mezzo del servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento, all’ufficio finanziario competente per l’accertamento in ragione del domicilio fiscale del contribuente. Tale ultimo ufficio trasmette al direttore regionale l’istanza, unitamente al proprio parere, entro trenta giorni dalla ricezione della medesima. Sotto l’aspetto formale l’istanza prodotta deve contenere a pena di inammissibilità: i dati identificati del contribuente e del suo legale rappresentante; l’indicazione dell’eventuale domiciliatario presso il quale sono effettuate le comunicazioni; la sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante. Nell’istanza il contribuente deve descrivere compiutamente la fattispecie concreta per la quale ritiene non applicabili le disposizioni normative che limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammessi dall’ordinamento tributario; l’indicazione della disposizione di legge di cui il contribuente chiede la disapplicazione; enunciazione dei motivi e l’indicazione degli elementi sulla base dei quali il contribuente intende dimostrare che nella fattispecie concreta gli effetti elusivi, al cui contrasto sono preordinate le disposizioni di cui si chiede la disapplicazione, non possano verificarsi; ad essa va allegata copia della documentazione, con relativo elenco, rilevante ai fini della individuazione e della qualificazione della fattispecie prospettata. Le determinazioni del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, concernenti l’istanza, sono comunicate al contribuente mediante servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 37-bis, comma 8, del DPR n. 600/1973, l’istanza si intende presentata all’atto della ricezione del plico raccomandato da parte dell’ufficio competente per l’accertamento. Le comunicazioni relative all’istanza e le eventuali richieste istruttorie si intendono eseguite al momento della ricezione del plico raccomandato da parte del destinatario. Le determinazioni del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate vanno comunicate al contribuente, non oltre novanta giorni dalla presentazione dell’istanza, con provvedimento che è da ritenersi definitivo. Le richieste istruttorie rivolte al contribuente o a soggetti diversi sospendono il termine di cui al comma 6, per l’emanazione del provvedimento definitivo da parte del direttore regionale delle Pagina 249 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 entrate, fino al giorno di ricezione della risposta. Delle richieste istruttorie rivolte ad altri soggetti è data comunicazione al contribuente. Sindacabilità dei provvedimenti disapplicativi Sulla base delle norme vigenti, sembra corretto poter affermare che il legislatore non ha voluto inserire nell’ordinamento tributario una disposizione antielusiva di carattere generale, rimettendone la concreta applicazione all’autorità amministrativa. Tale scelta avrebbe, infatti, comportato più ampi poteri di intervento dell’amministrazione finanziaria. La norma antielusiva definita “di carattere generale” contenuta nell’art. 37-bis, comma 1, del DPR 600/1973 riguarda, invece, soltanto un numero ben definito di operazioni suscettibili di essere considerate elusive. La scelta del legislatore è stata, quindi, quella di prevedere, oltre alla predetta disposizione contenuta nel comma 1 del citato art. 37-bis, numerose specifiche norme antielusive di carattere sostanziale che vincolano non solo i contribuenti, ma anche l’amministrazione finanziaria. Per evitare che le specifiche disposizioni antielusive di natura sostanziale producano in capo ai contribuenti indebite penalizzazioni allorché le stesse dovessero incidere su comportamenti che, in concreto, risultassero essere ben diversi da quelli che le stesse disposizioni intendono contrastare, viene riconosciuta ad una autorità amministrativa (Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate) il potere di disapplicare tali disposizioni. Ove non fosse stata prevista la possibilità di disapplicare le singole disposizioni antielusive, sarebbe stato necessario (al fine di garantire i principi costituzionali di una giusta tassazione) rendere molto più complesse le norme antielusive sostanziali, prevedendo una serie di condizioni in presenza delle quali le stesse norme avrebbero potuto non trovare applicazione. Il potere di disapplicazione attribuito al Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate può, quindi, essere considerato come strettamente correlato e dipendente da un fenomeno particolare di “delegificazione”, mediante il quale l’autorità politica concede all’autorità amministrativa il potere di decidere sull’inapplicabilità o meno di una norma. In dottrina, il Sandulli definisce “atto normativo autorizzato” quel regolamento con il quale l’autorità amministrativa deroga alla disciplina legislativa in virtù di un’espressa previsione di legge. Il potere del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate parimenti trae origine da un’espressa previsione di legge, che consente all’autorità amministrativa di derogare alla disciplina legislativa vigente, non attraverso l’emanazione di un regolamento che potrebbe riguardare una pluralità di destinatari, bensì attraverso l’emanazione di provvedimenti particolari riguardanti la specifica fattispecie riferibile al singolo contribuente. Potrebbe trattarsi, quindi, di un provvedimento attraverso il quale l’autorità politica, tramite l’organo amministrativo, manifesta la volontà o meno di derogare ad una particolare disciplina legislativa. 8 Ne conseguirebbe l’insindacabilità nel merito del provvedimento, in quanto, anche se formalmente emanato dall’autorità amministrativa delegata, sarebbe espressione di una volontà politica per sua natura insindacabile. Pertanto, l’assenza della tutela giurisdizionale nel merito del provvedimento sarebbe conseguenza dell’esercizio, attraverso il Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, della volontà politica di riconoscere o meno la fondatezza delle richieste avanzate dai contribuenti, escludendo la possibilità che gli stessi possano richiedere a soggetti diversi la rettifica del provvedimento. 8 L’individuazione del Direttore Regionale, come organo abilitato in luogo dell’autorità politica a poter rendere inefficace una disposizione di legge, potrebbe essere scaturita da due considerazioni: la prima riguarda l’applicazione della disposizione alla platea dei contribuenti. Infatti, la decisione nel merito (non essendo proponibile la costituzione di un apposito organo eminentemente politico) non poteva che essere attribuita ad un organo della pubblica amministrazione, per principio teso al buon andamento e imparzialità dell’attività amministrativa; la seconda, conseguenza della prima, concerne la conoscenza tecnica ed il collegamento territoriale tra il soggetto istante ed il soggetto titolare del potere d’accertamento. Pagina 250 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Ciò, però, non esclude che nella procedura di formazione ed emanazione del provvedimento, l’autorità amministrativa incorra in comportamenti illegittimi. In tal caso sembrerebbe logico considerare come ammissibile la possibilità di tutela giurisdizionale per vizi di legittimità (violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza) con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica o al TAR, considerato anche che, sulla base delle disposizioni contenute nel comma 6 del DM 19 giugno 1998, n. 259 il provvedimento del Direttore Regionale è un atto definitivo, per il quale, quindi, non è ammissibile il ricorso gerarchico. Il provvedimento del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate avrebbe, quindi, una duplice natura: nel merito, come provvedimento non sindacabile; nella forma, come provvedimento amministrativo sindacabile. Tale assunto potrebbe trovare conferma anche in alcune considerazioni che possono essere fatte in ordine agli effetti derivanti dalle eventuali sentenze conseguenti alle impugnazioni da parte dei contribuenti. Infatti, se, ad esempio, il TAR dovesse pronunciarsi sull’illegittimità del provvedimento di rigetto dell’istanza di disapplicazione per un vizio di legittimità, il provvedimento verrebbe annullato, ma da ciò non potrebbe derivare alcun effetto favorevole al contribuente, in quanto il TAR non può comunque disapplicare una disposizione di legge. Il contribuente resterebbe, quindi, obbligato a rispettare le disposizioni contenute nella norma antielusiva sostanziale della quale aveva chiesto la disapplicazione. Istanze di disapplicazione concernenti l’operazione di fusione L’articolo 172, comma 7, del TUIR (già art. 123, comma 5), prevede che” Le perdite delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l'ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di cui all'articolo 2501-quater del codice civile, senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa, e sempre che dal conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all'esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica, e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all'articolo 2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori. Tra i predetti versamenti non si comprendono i contributi erogati a norma di legge dallo Stato a da altri enti pubblici. Se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla società incorporante o da altra società partecipante alla fusione, la perdita non è comunque ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell'ammontare complessivo della svalutazione di tali azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito dalla società partecipante o dall’impresa che le ha ad essa cedute dopo l’esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell’atto di fusione”. Si tratta di una disposizione antielusiva di tipo sostanziale, che è stata dettata per contrastare il commercio delle cosiddette “bare fiscali” e cioè manovre elusive nell’utilizzo del riporto delle perdite attraverso la fissazione di limiti quantitativi e qualitativi al loro riporto. In particolare, la disposizione in commento prevede che le perdite pregresse delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, possono essere utilizzate per ridurre il reddito della società risultante dalla fusione o incorporante con le seguenti limitazioni: Pagina 251 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 l’importo massimo delle perdite utilizzabili è dato dall’ammontare del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio della società in perdita o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale redatta ai fini della fusione ai sensi dell’art. 2501-quater del codice civile. Il patrimonio netto deve essere ridotto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione patrimoniale; per poter utilizzare le perdite pregresse entro i limiti del patrimonio netto come sopra determinato, è comunque necessario che dal conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’art. 2425 del codice civile, superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori. Per quanto concerne le perdite relative alle società holding si ricorda che l’Agenzia delle Entrate (risoluzione n. 337 del 29.10.2002) ha affermato che: i componenti reddituali di tipo finanziario assumono rilevanza ai fini della verifica dell’indice di vitalità riferito ai ricavi; la mancanza assoluta in bilancio delle spese per il personale dipendente “non è, da sola, sintomo di scarsa vitalità aziendale, atteso che tale voce molto frequentemente non compare nei bilanci di tale tipo di società”. se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla società incorporante o da altra società partecipante alla fusione, la perdita non è comunque ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazioni di tali azione o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito della società partecipante o dell’impresa che le ha ad essa cedute dopo l’esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell’atto di fusione. Le limitazioni di cui ai punti 1) e 2) sono disapplicabili, mentre, relativamente alla limitazione di cui al punto 3), la norma non appare disapplicabile, in quanto la sua portata dispositiva non sembra avere valenza antielusiva. Essa, infatti, sembra prevista al fine di evitare la possibile doppia deducibilità del medesimo risultato negativo. Una prima volta in sede di svalutazione della partecipazione anche in capo al terzo non partecipante alla fusione. Una seconda volta in conseguenza della fusione attraverso l’utilizzo delle perdite riportate a nuovo. La disposizione dovrebbe nel tempo depotenziarsi a causa dell’introduzione del regime delle partecipazioni esenti che, come è risaputo, non ammette più in deduzione, nella determinazione del reddito d’impresa, le svalutazioni relative alle partecipazioni sociali (sia con il requisito per l’esenzione che senza). Pagina 252 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 II.2. LE OPERAZIONI DI SCISSIONE E SPIN-OFF 2.1 CONSIDERAZIONI PRELIMINARI Come già evidenziato nell’introduzione del presente capitolo, le operazioni straordinarie hanno subito modifiche sia sotto il profilo civilistico che sotto quello fiscale: il trattamento civilistico di dette operazioni è stato modificato con l’emanazione del decreto legislativo n° 6 del 17 gennaio 2003 (norma di riforma del diritto societario), mentre dal punto di vista fiscale le innovazioni sono state introdotte con la modifica del Testo Unico. Due importanti ed ulteriori modifiche hanno recentemente interessato la scissione: la prima importante ed attesa correzione è stata apportata dall'art. 12, comma 2, del D.Lgs. 18 novembre 2005, n. 247, (in S.O. n. 193/L alla G.U. n. 280 del 1° dicembre 2005, Serie generale, in "il fisco" n. 46/2005, fascicolo n. 2, pag. 6985), testo concernente le disposizioni correttive ed integrative al D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, in materia di imposta sul reddito delle società, nonché altre disposizioni tributarie. Detta norma ha corretto l'errato riferimento contenuto nell'art. 173, comma 15, del Tuir (approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), il quale disponeva, prima della novella, che, nei riguardi di una società soggetta all'Ires beneficiaria della scissione di una società non soggetta a tale tributo e nei confronti della società del secondo tipo beneficiaria della scissione di una società del primo tipo, andavano applicati, in quanto conciliabili, i commi 3, 4 e 5 dell'art. 171 del Tuir, ritenendo per siffatto scopo la società scissa come trasformata per la quota di patrimonio netto trasportata nella beneficiaria. Il richiamo all'art. 171 del Tuir (rubricato "Trasformazione eterogenea"), che si occupa, sia della fattispecie in cui un ente non commerciale si trasforma in una società sia della fattispecie inversa, era in realtà errato, giacché i nessi logici e sistematici della problematica affrontata, attinente alla scissione cosiddetta "disomogenea", erano invece contenuti nei commi 3, 4 e 5 dell'art. 170 del Tuir e in tale nuovo riferimento consiste, per l'appunto, la correzione introdotta dal citato art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 247/2005. Quindi, nel caso in cui la società scissa sia una società di persone, laddove la beneficiaria è una società di capitali, la giusta norma da applicare è, come infatti ora confermato dal nuovo testo dell'art. 173, comma 15, del Tuir, il comma 3 dell'art. 170 del Tuir, secondo cui le riserve di utili già tassate devono essere iscritte con appropriata denominazione nel bilancio della società beneficiaria cui vengono assegnate; la susseguente ripartizione ai soci da parte di quest'ultima non dà vita ad alcun reddito di capitale, fermo restando, ovviamente, l'abbassamento del costo fiscalmente verificato della partecipazione. Si tratta, infatti, di riserve precedentemente imputate fiscalmente ai soci, in attuazione del principio di trasparenza sancito dall'art. 89 del Tuir, secondo cui agli utili conseguenti alla detenzione di quote in società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio italiano vanno applicati gli ordinamenti dell'art. 5 del Tuir, ragion per cui essi sono tassati in capo a ciascun socio, a prescindere dalla percezione, in proporzione alla rispettiva quota di partecipazione agli utili. È stato inoltre chiarito che se la società scissa è soggetta all'Ires, mentre la beneficiaria è una società di persone, le riserve di utili prodotte dalla scissa e attribuite parzialmente alla società beneficiaria soggiacciono ad imponibilità fiscale quali dividendi, allorché vengano ripartite dalla beneficiaria società di persone. Infatti l'art. 170, comma 4, lettera a), del Tuir dispone che dette riserve devono essere dettagliatamente e precisamente individuate nel bilancio della beneficiaria e si considerano distribuite o nel periodo d'imposta in cui avviene effettivamente l'assegnazione oppure in quello successivo alla scissione se non sono state iscritte nel bilancio della beneficiaria. Pagina 253 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Se invece tali riserve non vengono iscritte in bilancio oppure giungono in bilancio senza le necessarie indicazioni, esse, a norma dell'art. 170, comma 4, lettera b), del Tuir, sono imputate ai soci nel periodo d'imposta successivo alla scissione. Circa quest'ultimo aspetto, attenendosi letteralmente al dettato legislativo, si arriva ad argomentare, come è stato osservato da attenta dottrina, che "è questo il caso, ad esempio, della beneficiaria società di persone che opta per la contabilità semplificata: queste riserve si intendono distribuite ai soci". L'art. 170, comma 4, applicato alla scissione, può anche riguardare soci di società di capitali che sono a loro volta società di capitali; in questa ipotesi, per effetto dell'operazione straordinaria, detti soci si trovano a detenere partecipazioni in società di persone, confermando l'ammissibilità di tale tipologia di presenza, peraltro chiaramente consentita dallo stesso Modello UNICO 2005-SC, in cui, nei righi RF9, colonna 1, e RF39, colonna 1, vanno infatti rispettivamente inseriti l'utile (a prescindere dall'effettiva percezione dello stesso) o la perdita fiscalmente rilevanti derivanti dalla partecipazione in società di persone. Va, nondimeno, ricordato che, anteriormente all'emanazione del D.Lgs.17 gennaio 2003, n. 6, non era ammessa, dal punto di vista civilistico, la partecipazione in società di persone da parte di società di capitali. In effetti, non esisteva un divieto esplicito normativo in tal senso; l'unica disposizione esistente sul tema era l'art. 2361 del codice civile (composto da un solo comma), relativo alle società per azioni, che, nel vecchio testo, vietava l'assunzione di partecipazioni in altre imprese, anche se prevista genericamente nell'atto costitutivo, se per la misura e per l'oggetto della partecipazione ne fosse risultato sostanzialmente cambiato l'oggetto sociale individuato dallo stesso atto costitutivo. Tuttavia, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, nella fondamentale sentenza n. 5636 del 17 ottobre 1988 (riguardante la partecipazione di una società per azioni in una società di persone) aveva comunque stabilito tale preclusione, basandosi soprattutto sulla considerazione che gli amministratori di una società di capitali, che quindi detengono i poteri di gestione, sono soggetti a principi che mirano a salvaguardare l'integrità del patrimonio sociale nell'interesse dei soci e dei creditori, ragion per cui, nell'insieme, le regole sull'amministrazione delle società di capitali costituiscono norme di carattere imperativo. Ciò premesso, secondo la Corte, permettendo la partecipazione in una società di persone, si avrebbe l'esito che la parte di patrimonio investita in quest'ultima verrebbe sottratta a quelle regole, per essere governata dagli amministratori della società di persone medesima, soggetti a controlli e riscontri assai meno penetranti. Era stata fatta presente in dottrina l'ovvia obiezione secondo cui, anche nel caso di partecipazione in altra società di capitali, si ha un tramutamento di potere gestorio riguardo al patrimonio investito nella stessa, ma la Corte ritenne che le regole applicabili a tale amministrazione sono, comunque, le medesime applicate nella società partecipante, che, di rimando, sarebbe così tutelata, avendo lo stesso tipo di governance. La riforma del diritto societario ha sconfessato tale concezione, ritenendo sostanzialmente che i soci, nel pieno rispetto del complesso di regole esistenti, possono senz'altro decidere di conferire una porzione del patrimonio in una società di persone, ancorché la disciplina applicabile alla società partecipata sia diversa e meno articolata di quella stabilita per le società di capitali. Infatti, la descritta incertezza è stata definitivamente risolta in senso positivo grazie al combinato disposto dal comma 2 dell'art. 2361 del codice civile e dall'art. 111duodecies delle "Disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie" (R.D. 30 marzo 1942, n. 318). La prima delle disposizioni indicate, modificata in virtù dell'art. 1 del D.Lgs 17 gennaio 2003, n. 6, con decorrenza dal 1° gennaio 2004, stabilisce ora che l'assunzione di partecipazioni in altre imprese, la quale implichi una responsabilità illimitata per le obbligazioni delle stesse deve essere deliberata dall'assemblea e che gli amministratori, nella nota integrativa del bilancio, ne debbono fornire espressa menzione. La seconda norma, inserita per effetto dell'art. 9 del D.Lgs. n. 6/2003 e anch'essa avente decorrenza dal 1° gennaio 2004, è relativa alla redazione del bilancio e stabilisce che le Pagina 254 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 società in nome collettivo o in accomandita semplice, nell'eventualità che tutti i loro soci illimitatamente responsabili siano società per azioni, in accomandita per azioni o società a responsabilità limitata, devono redigere il bilancio secondo le norme previste per le società per azioni: di conseguenza, vi è una ratifica di legge circa la possibilità che una società di capitali possa partecipare al capitale sociale di una società di persone. Inoltre, in presenza dei relativi presupposti, esse devono redigere e pubblicare il bilancio consolidato come regolamentato dall'art. 26 del D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127. Tornando alle problematiche più strettamente fiscali, un secondo importante intervento legislativo è stato apportato dall'art. 12, comma 1, lettera b), del citato D.Lgs. n. 247/2005, che ha modificato ed integrato il previgente comma 6 dell'art. 172 del Tuir, concernente la fusione e richiamato, per la scissione, dal comma 9 dell'art. 173 del Tuir. Il precedente dettato della norma, infatti, non aveva chiarito un aspetto concernente la sorte dell'avanzo di scissione una volta ricostituite, laddove esistenti, le riserve in sospensione d'imposta. Al riguardo, la disposizione ora afferma che l'incremento di capitale o l'avanzo di scissione , che rimane successivamente alla ricomposizione delle riserve in sospensione d'imposta, prende su di sé le caratteristiche tributarie del capitale e delle riserve della società scissa, dissimili da quelle in sospensione d'imposta che hanno contribuito (in proporzione) alla sua configurazione. Il chiarimento legislativo è importante in quanto, nella precedente formulazione, nel criterio di ricostituzione erano menzionate solo le riserve e non anche il capitale, circostanza che era stata criticata dalla dottrina . Ma l'attuale art. 172, comma 6, nell'ultimo periodo, stabilisce anche che non vanno considerate partecipanti all'avanzo sia il capitale che le riserve di capitale fino a concorrenza dell'importo della partecipazione annullata; quindi, nel calcolo proporzionale vanno computate solo le poste di capitale che eccedono il valore della partecipazione medesima. Un esempio potrà risultare utile per meglio comprendere il meccanismo . Una società "A" beneficiaria si vede attribuire dalla società scissa "B" la seguente parte di patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio : - capitale sociale - riserve in sospensione d'imposta radicale - riserve in sospensione d'imposta moderata - riserve di capitale - riserve di utili 100 30 50 250 100 Totale 530 La partecipazione in "B" è iscritta nella contabilità di "A" al costo di acquisto pari a 200. Emerge, quindi, un avanzo di scissione pari a 330 (530 - 200); detto avanzo, essendo iscritte nell'ultimo bilancio della società "B" riserve in sospensione d'imposta radicale (30) e riserve in sospensione d'imposta moderata (50), dovrà essere prioritariamente utilizzato per ricostituire le stesse. L'ammontare che residua (330 - 30 - 50 = 250), in applicazione del comma 6 dell'art. 172 del Tuir, dovrà essere assoggettato al regime fiscale delle altre riserve e del capitale sociale della società "B" che hanno proporzionalmente concorso alla sua formazione, con l'avvertenza, però, che le voci di patrimonio netto che hanno natura di capitale per la scissa (350) non devono concorrere alla formazione dell'avanzo per 200. Residuano pertanto 150 con natura di capitale e 100 con natura di utili: così l'avanzo di 250 sarà formato per il 60 per cento da poste di capitale e per il 40 per cento da utili. Pagina 255 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Nell'eventualità che vi fossero da dividere solo importi aventi natura di capitale, si applica (in caso di effettiva ripartizione) quanto previsto dall'art. 47, comma 5, del Tuir, per cui essi possono essere liberamente assegnati ai soci con esclusione dell'imposizione fiscale, giacché non sono considerati utili i beni e le somme percepiti dai soci delle società soggette all'Ires, a titolo di suddivisione di riserve o di altri fondi costituiti con sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote, con interessi di conguaglio erogati dai sottoscrittori di nuove quote o azioni, con versamenti eseguiti dai soci a fondo perduto o in conto capitale e con saldi di rivalutazione monetaria esclusi da imposta; ciò nondimeno, le somme o il valore normale dei beni ricevuti fanno diventare minore il costo fiscalmente riconosciuto delle quote o azioni possedute. Va rammentato, però, che in caso di distribuzione congiunta di capitale e di utili, subentra la presunzione prevista dall'art. 47, comma 1, del Tuir, secondo cui, in caso di distribuzione degli utili delle società o degli enti soggetti all'Ires, si considerano per primi assegnati (con l'eccezione dei redditi esenti dall'imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta o ad imposta sostitutiva) l'utile dell'esercizio e le riserve diverse da quelle di capitale, per la quota di esse non accantonata in sospensione d'imposta . Ciò in maniera del tutto autonoma da quanto deciso dalla delibera assembleare, che, per questi particolari fini fiscali, risulta del tutto ininfluente. Tale disposizione si rende applicabile a condizione però che le riserve di utili presenti siano liberamente disponibili. Risulta perciò essenziale, in caso di siffatte ripartizioni susseguenti a precedenti operazioni di scissione , che la società informi i soci sia della differente tipologia delle riserve distribuite e sia del loro relativo stato tributario. Quindi, in caso di suddivisione di riserve di capitale, occorre indicare che, in mancanza di utili e di riserve di utili, la distribuzione non realizza reddito soggetto ad imposizione. Viceversa, nell'ipotesi che vi siano, oltre a riserve di capitale anche riserve di utili disponibili, la società è tenuta a dettagliare che, a dispetto del fatto che stia suddividendo, dal punto di vista civilistico, solo le predette poste di capitale, la ripartizione realizza, per effetto di quanto disposto dall'art. 47, comma 1, del Tuir, componenti positivi tassabili in capo ai percipienti limitatamente al 40 per cento del loro ammontare. Nel proseguo si intende fornire un quadro organico della disciplina della scissione evidenziando, alla fine della trattazione, le implicazioni che l’operazione in analisi ha in materia di elusione. 2.2 SCISSIONE: DEFINIZIONE E MODIFICHE TRATTAMENTO FISCALE La scissione è l’operazione che comporta il trasferimento (totale o parziale) del patrimonio di una società (scissa) nei confronti di una o più società preesistenti o di nuova costituzione (beneficiarie). La normativa fiscale di riferimento è data dagli articoli 172, 173 e 174 del Testo Unico. Con riguardo alle modifiche intervenute è senz’altro da segnalare che l’operazione in questione è da considerarsi fiscalmente neutrale sia con riguardo alla scissa ed ai suoi soci che con riguardo alla (o alle) beneficiarie (articolo 173, commi 1 e 2), inoltre al successivo comma 3 viene altresì sancita anche la neutralità del rapporto di cambio. Quanto detto ha valenza sia per le scissioni parziali che per quelle totali e comporta, come diretta conseguenza, che, relativamente alle beneficiarie, non costituiscono reddito imponibile gli avanzi ed i disavanzi da concambio o da annullamento; con riferimento ai soci, il cambio azionario non genererà plusvalenze in quanto le nuove azioni assumeranno quale costo quello delle vecchie. 2.3 AVANZO E DISAVANZO DA SCISSIONE Come evidenziato nel paragrafo precedente, l’articolo 173 sancisce al comma 2, la neutralità fiscale del disavanzo, eliminando la possibilità (prevista dalla normativa previgente) di affrancamento, gratuito, o attraverso il pagamento di un’imposta sostitutiva ex articolo 6 del decreto legislativo 358/97. Pagina 256 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 La ratio della disciplina è da ricondursi nell’intento del legislatore di colpire le operazioni di ristrutturazione aziendale effettuate con il solo scopo di conseguire risparmi d’imposta. Relativamente all’avanzo da scissione, esso è disciplinato dal comma 9 dell’articolo 173, nonché per espresso rinvio alla normativa relativa alla fusione, dai commi 5 e 6 dell’articolo 172. L’avanzo costituisce una riserva di patrimonio netto e verrà tassato solo in caso di distribuzione ai soci. Esso viene utilizzato in primo luogo per la ricostituzione delle riserve la cui entità sarà proporzionale alla quota di patrimonio netto assegnata dalla scissa alla/e beneficiaria/e. Occorre a questo punto distinguere la natura delle riserve da ricostituire in quanto in relazione alla loro natura ci saranno regimi fiscali differenti. Relativamente alla riserve in sospensione d’imposta, ai sensi del comma 5 dell’articolo 172, concorreranno alla formazione del reddito d’esercizio nella misura in cui non vengano ricostituite, mentre sempre allo stesso comma viene altresì puntualizzato che tale disposizione non trova applicazione per le riserve tassabili solo in caso di distribuzione (come ad esempio la riserva di rivalutazione monetaria). A norma del comma 6, nel caso in cui l’avanzo sia superiore al valore di riserva da ricostituire, la quota eccedente dovrà essere trattata fiscalmente come le riserve della scissa diverse da quelle già attribuite o ricostituite, che hanno proporzionalmente concorso alla sua formazione. 2.4 RIPORTO DELLE PERDITE La disciplina della scissione, all’articolo 173 comma 10, rinvia a quanto disposto al comma 7 dell’articolo 172 in tema di fusione. Nel parallelo tra fusione e scissione occorre tener presente che la società scissa viene ad essere equiparata alle società fuse o incorporate, mentre le beneficiarie alla società incorporante o risultante dalla fusione. In particolare vanno ripartite tra le beneficiarie in ragione delle rispettive quote di patrimonio netto contabile trasferite. Condizione necessaria affinché sia possibile il riporto, disposta del comma 7 dell’articolo 172, è che la società che detiene le perdite abbia conseguito, nell’esercizio precedente a quello in cui è stata deliberata la scissione, un ammontare di ricavi dell’area caratteristica (da considerarsi al netto di eventuali contributi, erogati a norma di legge, dallo Stato o da altri enti pubblici) e di costi per prestazioni di lavoro subordinato (nonché dei relativi oneri contributivi) di cui all’articolo 2425 del codice civile superiore del 40% rispetto alla media dei due anni precedenti. Il limite quantitativo di deducibilità è invece dato dal minore ammontare tra il patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio della scissa e quello risultante dal progetto di scissione (articolo 2506-bis del codice civile) ovvero della situazione patrimoniale della società scissa (articolo 2506-ter) redatta ai fini della scissione. 2.5 OBBLIGHI DI VERSAMENTO Relativamente agli obblighi connessi agli obblighi fiscali in tema di versamento degli acconti d’imposta è da segnalare che la normativa (articolo 172 comma 10) prevede che quelli relativi a soggetti che si estinguono per effetto dell’operazione, debbano essere assolti dagli stessi fino alla data di efficacia dell’operazione ovvero fino data di iscrizione dell’atto nel registro delle imprese, non avendo rilevanza, a tal riguardo, l’eventuale retrodatazione degli effetti dell’operazione. A norma dell’articolo 173 comma 5, in caso di scissione totale tali obblighi, se trasferiti in capo alle beneficiarie verranno ripartiti in funzione della quota di patrimonio netto assegnata, mentre nel caso di scissione parziale resteranno competenza della società scissa. 2.6. LE PRONUNCE DEL COMITATO ANTI ELUSIVO Pagina 257 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Nell’ambito delle disposizioni di cui all’articolo 37 bis del Dpr n. 600 del 1973, l’operazione che, con maggiore frequenza è giunta all’attenzione del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme anti elusive è senza dubbio quella di scissione societaria. Ciò in quanto la predetta operazione è quella che, in relazione ai diversi obiettivi imprenditoriali da modo di “separare” i patrimoni nell’ambito di un percorso che non assume rilevanza ai fini fiscali. E’ noto che nell’ambito della analisi di una operazione alla luce della norma prima richiamata, una singola operazione ben difficilmente può essere considerata come elusiva ma lo può divenire il suo utilizzo nel contesto di un più ampio disegno elusivo privo quindi di valide ragioni economiche che, aggirando le regole previste dall’ordinamento tributario, è diretto ad ottenere un risparmio di imposta non approvato dal sistema. In generale, affinché si possa affermare che l’obiettivo elusivo è scongiurato con riferimento ad una operazione di scissione, è in sostanza necessario che la parte di patrimonio societario che si intende separare dall’attività principale sia di per sé funzionale ad un disegno di organizzazione aziendale. Da questo concetto, si può prendere come riferimento un principio di valide ragioni economiche sottese ad una operazione di scissione societaria che sussistono tutte le volte in cui le stesse si fondano o su esigenze di ristrutturazione organizzativa , finalizzate cioè ad un processo di decentramento di attività industriali o su decisioni di ridefinizione della struttura finanziaria nel senso, ad esempio, di rendere autonoma l’evoluzione della stessa dalle varie unità risultanti dall’operazione. Infine, possono sussistere valide ragioni economiche tutte le volte in cui vengano assunte scelte funzionali assunte per agevolare dei processi di liquidazione quando si abbia intenzione di avviare alla chiusura la parte o le parti meno vitali di una azienda attraverso il distacco dalle entità più produttive del gruppo. Quindi, laddove ad esempio i beni oggetto di separazione non abbiano nemmeno “in nuce” le caratteristiche tali da potere essere ricondotte ad una delle finalità sopra evidenziate, l’operazione stessa non assumerà caratteristiche tali da potere essere considerata come valida secondo l’approccio di cui all’articolo 37 bis del DPR n. 600 del 1973. Uno dei requisiti previsti dall’articolo 37 bis come sopra esaminato, è l’aggiramento del percorso fisiologicamente previsto in relazione all’obiettivo che si intende conseguire. In relazione alle operazioni di scissione, viene frequentemente formulata l’ipotesi dell’impossibilità della prosecuzione dell’attività sociale nella veste attuale e nella necessità dunque di separare, ad esempio, due gruppi familiari litigiosi. A tale fine, viene prospettata come operazione fisiologica quella di scissione non proporzionale dove, al termine della stessa, ciascuno dei due gruppi detiene una intera società. L’operazione di scissione non proporzionale, dunque, si pone come alternativa alla liquidazione volontaria della società preesistente ovvero alla operazione di recesso da parte di un gruppo di soci. In queste due ipotesi, emergerebbero quelle plusvalenze che invece l’operazione di scissione lascia latenti sino al momento in cui gli stessi usciranno dal regime di impresa in modo definitivo. Va rilevato come la differenza tra le ipotesi delineate è rappresentata dal fatto che la liquidazione ed il recesso del socio rappresentano delle operazioni che dal punto di vista economico concludono l’attività dell’esercizio dell’impresa in via generale (con la liquidazione) ovvero con riferimento ad un socio od a un gruppo di soci (con il recesso) con la conseguente dismissione od assegnazione di beni. Con riferimento alla operazione di scissione, la stessa rappresenta una operazione di riorganizzazione aziendale che attiene alla compagine societaria ed all’assetto patrimoniale senza che tale vicenda possa interferire con i valori fiscalmente riconosciuti dei beni dell’azienda. Pertanto, ci si deve chiedere se una operazione di scissione si pone come alternativa logica e fisiologica, e quindi con lo stesso grado di dignità, rispetto ad una operazione di liquidazione ovvero al recesso di un socio o di un gruppo di soci o, invece, non costituisca una operazione che solo formalmente legittima e che invece rappresenta una operazione semplicemente rivolta ad ottenere dei vantaggi che l’ordinamento tributario disapprova. E’ dunque fondamentale, per procedere verso una strada o l’altra, rilevare : gli effettivi intenti che sono perseguiti con una operazione di scissione; la composizione e le modalità di ripartizione del patrimonio tra le due società beneficiarie. Pagina 258 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Se ad esempio i soci scelgono l’operazione di scissione al solo fine di sciogliere il rapporto giuridico esistente beneficiando della neutralità e al contempo hanno già creato delle società autonome a loro riferibili alle quali sono destinati in neutralità i beni della società scissa, appare evidente come l’operazione non sia supportata da valide ragioni economiche. Inoltre, laddove l’operazione di scissione sia esclusivamente rivolta a sciolgliere un rapporto societario esistente ed ha ad oggetto non una azienda ma una semplice “sommatoria” di beni, appare evidente come l’operazione medesima non appare supporttata da valide ragioni economiche. Quindi, sel’operazione di scissione è utilizzata solo per destinare ai soci beni in neutralità quando i soci medesimi hanno già intrapreso una loro attività di impresa in forma autonoma, l’operazione in questione non è dunque connotata da valide ragioni economiche. Particolare attenzione è stata sempre posta dall’amministrazione finanziaria ovvero dal comitato consultivo sulla circostanza che, successivamente alla operazione di scissione, si procedesse o meno alla cessione delle partecipazioni ovvero, che nell’ipotesi di operazioni di scissione non proporzionale, vi fosse un indebito arricchimento di alcuni soci in luogo di altri. In particolare, va osservato che le operazioni di scissione, come sottolineato dal parere n. 9 del 2002 del comitato consultivo, sono finalizzate alla necessità che si pervenga ad un diverso assetto del complesso dei. rapporti attivi e passivi insistenti sulla società scissa tramite il riferimento ad uno o più soggetti, già esistenti o di nuova costituzione, di quota parte del patrimonio. Secondo il comitato, l’operazione di scissione consente di risolvere problemi di diversificazione di assetto produttivo e di piàù razionale ed efficiente configurazione dei processi di attività e, anche nella possibile molteplicità di ipotesi, presenta la caratteristica del trasferimento di un complesso di rapporti che può noin essere la sezione proporzionale delle attività societarie originarie ma che dovrebbe, comunque, rappresentare una quota parte sia qualitativamente che quantitativamente dei rapporti ricompresi nel patrimonio della società scissa. Si è invece fuori da tale impostazione tutte le volte in cui, attraverso l’operazione di scissione, si conseguano effetti sostanzialmente simili a quelli del passaggio di un singolo bene. In questo caso, infatti, avverrebbe il trasferimento in neutralità fiscale di un bene ad un'altra società e con l’ulteriore possibilità di trasferirlo nel tempo ad altri soggetti opportunamente rivalutato Di seguito si richiamano alcune delle recenti prese di posizione dell’amministrazione finanziaria e del comitato consultivo in materia di scissione ed elusione societaria Risoluzione n. E’ il caso tipico della scissione nella quale una società mantiene il rampo 114 del 2001 operativo ed altra società diviene proprietaria del compendio immobiliare. Nel momento in cui l’operazione viene ritenuta giustificata da valide ragioni economiche (nel caso di specie lo sviluppo dell’attività immobiliare ed implementazione dell’attività residua anche attraverso l’ingresso dei figli dell’imprenditore), non vi sono ragioni che portino alla dichiarazione di elusività. Ciò sempre che l’operazione non rappresenti il primo tassello di una serie di operazioni successive che hanno come obviettivo la successiva cessione delle partecipazioni sociali. In questa ipotesi, le valide ragioni economiche possono ritrovarsi nella necessità di perseguire diverse politiche aziendali Risoluzione n. In questo caso, l’amministrazione finanziaria ha sostanzialmente riqualificato 116 /2001 come conferimento l’operazione descritta dal contribuente : società T che opera nel settore dell’impiantistica e che ha il 99,9% di una società holding Y che controlla tre società operative; viene scissa T ed alla beneficiaria T2 viene attribuita la partecipazione in Y; le quote di T, possedute da tre soci persone fisiche, vengono cedute, senza l’emersione di capital gain, ad Y; Y viene incorporata in T2; I soci persone fisiche immettono il denaro ricevuto nella Y per procedere ad un Pagina 259 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Parere n. 5 del 2001 Risoluzione 183 /2001 n. Risoluzione 28 del 2002 n. Risoluzione 53 del 2002 n. aumento di capitale ottenendo in questo modo, una maggiore partecipazione. La riqualificazione dell’operazione in una operazione di conferimento, trova ragione nel fatto che, procedendo all acessione di partecipazioni di una società con riferimento alla quale si sottolinea l’operatività e l’avviamento, i soci non generano alcun capital gain imponibile. In pratica, si tratta di una operazione di conferimento da parte dei soci che ricevono come corrispettivo, delle azoni della holding ed è dunque na operazione che deve avvenire a valori normali ai sensi dell’articolo 9 del Tuir Il parere affronta il caso di una scissione parziale e non proporzionale. Nel caso di specie, in seguito alla necessità di perseguire due diverse politiche aziendali, viene a crearsi una società unipersonale beneficiaria di cui è titolare il socio avente il 25 per cento di partecipazione nella società scissa. La società beneficiaria è titolare dell’immobile di notevole valore economico ed in relazione al quale è necessaria l’appostazine di un disavanzo di concambio in capo alla beneficiaria attestante, appunto, il plusvalore latente sul bene. Secondo il comitato, l’operazione è legittima a condizione che : l’emersione del disavanzo con conseguente affrancamento non rappresenti un aggiramento della più onerosa disciplina della rivalutazione ai fini della cessione del bene; la scissione non sia finalizzata alla liquidazione della partecipazione ottenendo dunque una riduzione del carico fiscale Viene esaminata l’ipotesi di una scissione parziale e proporzionale con la quale una società proprietaria di un immobile decide, con una operazione di scissione, di attribuire il bene immobile ad una società già esistente. La società scissa continuerà ad utilizzare il bene mediante un contratto di locazione, Secondo l’amministrazione finanziaria, l’operazione non è elusiva a condizione che il bene continui ad essere utilizzato per lo svolgimento di un’attività di impresa e, medio tempore, non si provveda alla vcesione delle partecipazioni così da far circolare beni di secondo grado con una tassazione ridotta Una società con tre magazzini a Genova poer la distribuzione dei prodotti per la pesca nel territorio mazionale e titolare di un magazzino locato a terzi. Viene effettuato uno spin off immobliare con locazione a prezzi di mercato dei tre magazzini per agevolare nella stessa l’ingresso di nuovi soci. L’agenzia delle entrate, esprime parere positivo ed osserva che ai costi della ocazione in capo alla scissa vengono contrapposti i nuovi ingressi dei soci, mentre la società beneficiaria potrà svolgere una attività immobiliare ricavandone degli affitti. La scissione, dunque, non appare preordinata ad aggirare i principi di neutralità e di continuità di valori non generando dei salti di imposta. Se i soci dovessero cedere il controllo della scissa (anziché procedere alla stipula di accordi di joint venture) ovvero se i nuovi soci procedono alla risoluzione del contratto di locazione con la beneficiaria, le operazioni sarebbero in realtà preordinate a svuotare più che ad alleggerire la scissa dei beni immobili usufruendo del rehime di neutralità della scissione dilazionando sine die le plusvalenze latenti La risoluzione in esame appare particolarmente interessante in quanto, pur non condividendo in pieno le ragioni economiche sottese all’operazione, si valuta in modo decisivo un altro aspetto, cioè quello del mantenimento nell’ambito del regime di impresa dei beni oggetto dell’operazione di scissione. La società in questione ha per oggetto principale l’acquisto, la vendita e la permuta di immobili in genere, nonché la demolizione, la costruzione e la ristrutturazione di fabbricati a qualunque uso destinati. Nel 1995, la società acquisisce una vasta area industriale dimessa al fine di procedere al recupero e nel 1997 viene Pagina 260 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Risoluzione 224 /20002 stipulata una convenzione con la quale viene approvato uno specifico progetto che prevede la realizzazione di edifici destinati a diversi usi di cui alcuni già ceduti. Per procedere alla riorganizzazione, la progettazione viene affidata a soggetti diversi che, presumibilmente, possono perseguire politiche molto differenti tra loro. Per rispettare le linee guida di intervento si procede ad effettuare una operazione di scissione in cinque società, oltre al mantenimento della scissa, ciascuna delle quali viene dotata di un complesso immobiliare destinato a finalità diverse. In merito alle ragioni economiche la società descrive come si intenda a : proseguire l’attività edificatoria sulle aree già acquisite nel rispetto delle obbligazioni assunte con la sottoscrizione della Covenzione; raggruppare gli edifici e le unità immobiliari in costruzione e da costruire in gruppi omogenei definiti in relazione a vari indici cessione a titolo definitivo di parte degli immobili realizzati e destinare alla locazione altra parte degli immobili ovvero cedere le quote sociali relative alle società beneficiarie o le azioni relative alla società scissa. In merito al requisito del risparmio di imposta, questo verrebbe conseguito vendendo le quote da parte delle persone fisiche (comprese quelle non residenti) e questa circostanza è da considerarsi come patologica quando l’operazione di scissione è preordinata a questo obiettivo. Assoluto rilievo assumono i tempi dell’operazione, non ravvisandosi sotto il profilo economico gestionale, la necessità di costituire cinque società in quanto i soci che gestiscono unitariamente i progetti con un solo soggetto societario, vedono moltiplicarsi gli adempimenti. L’unico vero obiettivo della scissione sarebbe dunque la successiva cessione delle quote delle società beneficiarie, ciascuna contenitore di singolli complessi immobiliari o beni immobili, obiettivo che con una società non è raggiungibile atteso che l’eventuale cessione delle azioni della società istante riguarderebbe l’insieme di tutti i beni immobili di primo grado. Posto che sarebbe più logico procedere alla scissione di attività non omogenee, l’operazione sarebbe da considerarsi come elusiva quando : i soci persone fisiche non esercenti attività di impresa di una o più delle società contenitore procedono ad alienare le loro quote od azioni; i soci persone fisiche o giuridiche esercenti attività di impresa di una o più delle società beneficiarie contenitore procedono ad alienare le loro azioni o quote con assoggettamento a tassazione sostitutiva. Laddove invece si procede alla cessione degli immobili direttamente da parte delle società beneficiarie ovvero lo stesse procedono alla stipula di contratti di locazione, non si potrebbero ravvisare profili di elusività in quanto tutto rimane nell’ambito della tassazione del reddito di impresa prodotto dalla società. n. L’operazione in questione è una scissione parziale e proporzionale posta in essere da una società di persone : vengono trasferiti i diritti di proprietà, usufrutto o nuda proprietà dei lotti intestati alla società; viene effettuato un complesso intervento edificatorio che investe tutta l’attuale proprietà avente ad oggetto ciascuna delle fattispecie di intervento previste. La società scissa conserverà la proprietà di tutti gli altri mezzi di produzione al di fuori dei terreni attribuiti alle società beneficiarie. Inoltre, gli stessi terreni verranno concessi in affitto alla società scissa affinché essa possa continuare a svolgere l’attività agricola propria sino alla dismissione od alla utilizzazione edificatoria degli appezzamenti. Successivamente, le operazioni da porre in essere potrebbero riguardare : Pagina 261 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Parere /2002 n. la cessione o locazione di beni finiti, a lavori edificatori ultimati; la cessione o locazione di rami di azienda, a lavori edificatori ultimati ed a attività commerciali avviate; la cessione parziale delle quote o delle azioni. Anche in questo caso, l’amministrazione finanziaria afferma l’esistenza di una possibile ipotesi elusiva nel caso in cui oggetto di cessione siano le quote o le azioni sia con riferimento alle persone fisiche non imprenditori che nell’ipotesi in cui i soci esercitano attività di impresa. Va tenuto presente che la risoluzione è stata emanata in un periodo in cui era ancora in vigore la disposizione che consentiva l’assoggettamento a tassazione con imposta sostitutiva della plusvalenza di cessione delle partecipazioni societarie. Il risparmio di imposta sarebbe comunque indebito in quanto l’operazione è posta in essere dai soci al solo fine esclusivo di precostituirsi le condizioni, creando “società beneficiarie contenitori”, per trasformare le plusvalenze realizzabili su beni di primo grado (immobili), in capital gain su beni di secondo grado (partecipazioni), ciò in aggiramento delle norme del TUIR che regolano la tassazione ordinaria delle plusvalenze conseguite nell’ambito del reddito di impresa. L’assenza delle valide ragioni economiche sarebbe evidente se la prospettata cessione delle azioni succedesse immediatamente all’operazione di scissione o, alternativamente, si perfezionasse subito dopo l’effettuazione da parte delle società beneficiarie di meri interventi di urbanizzazione e valorizzazione dei terreni attribuiti, in quanto, in queste ipotesi, verrebbe senz’altro meno l’apprezzabilità economico gestionale dell’intera operazione. Risulterebbe dunque evidente, in assenza di una effettiva attività imprenditoriale, che l’unico interesse dei soci è quello di costituire dei contenitori destinati ad accogliere dei beni da far circolare sotto forma di partecipazioni. Se infatti l’obiettivo fosse quello di cedere i terreni, sarebbe più opportuno che tale attività venisse svolta dalla società scissa 9 L’operazione è una scissione parziale non proporzionale da parte di una società che, attraverso la predetta suddivisione, intendeva risolvere delle conflittualità tra i soci in merito alle prospettive di sviluppo dell’attività con obiettivi di diversificazione della stessa. Conseguentemente, il progetto dell’operazione prevedeva la creazione di una nuova società nella quale l’intero pacchetto sarebbe stato detenuto dal gruppo di soci che detenevano il 53 per cento della società scissa. Sempre secondo il progetto dell’operazione, vengono descritte le conseguenze di natura prettamente tributaria della scissione : effettuazione dell’operazione in base a valori correnti in relazione a quanto evidenziato con apposita perizia con conseguente rivalutazione delle poste iscritte a valori contabili nell’attivo dello stato patrimoniale; creazione di un avanzo di scissione in capo alla società beneficiaria e, specularmente, di un disavanzo di scissione in capo alla società scissa. Il disavanzo, sarebbe stato trattato con le disposizioni di cui all’articolo 6 del dlgs 358 del 1997 con conseguente affrancamento. Il comitato consultivo, nell’espressione del proprio parere, sottolinea alcune anomalie esistenti in relazione alla operazione di scissione così come prospettata nell’istanza formulata dalla società. In primo luogo, viene osservato che, nel caso di specie, viene sostanzialmente disatteso quello che è un principio di parità nella ripartizione dei cespiti societari. Infatti, a favore della società beneficiaria viene destinato un attivo contabile che non corrisponde alla percentuale di partecipazione detenuta nella società scissa: IN sostanza, a fronte della iscrizione nel patrimonio netto contabile della società beneficiaria pari al Pagina 262 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 53 per cento della scissa, l’iscrizione di attività nette contabili è pari ad oltre il 100 per cento rispetto a quelle presenti nella situazione ante scissione. Pertanto, in questi termini, i soci della società beneficiaria sarebbero oltremodo premiati dall’operazione di scissione, facendo paventare, secondo il comitato, l’esistenza di partite compensative non evidenti, finalizzate a bilanciare il contenuto di una operazione contrassegnata da un evidente vantaggio arrecato ai soci della beneficiaria. Dalla affermazione contenuta nel parere del comitato, pare di comprendere come l’organo consultivo si sia preoccupato, in linea di principio, di scongiurare il verificarsi di situazioni nelle quali possa verificarsi un capital gain occulto che sfugge a tassazione. La struttura dell’operazioe, inoltre, non trova giustificazione nemmeno in altre ipotesi che, in linea id principio potrebbero invece motivarla (ad esempio una maggiore capacità di reddito del ramo aziendale e dei relativi cespiti rimasti in capo alla scissa). Viene inoltre sottolineato che, nel caso di specie, non possono generarsi poste quali avanzo o disavanzo di scissione, ma semplicemente delle voci che rappresentano un bilanciamento contabile dell’anomalia sopra descritta. Un’altra osservazione formulata dal comitato appare degna di rilievo. Si afferma infatti che la scissione è una operazione fisiologicamente destinata alla soluzione di problemi legati alla diversificazione ed alla efficienza del sistema produttivo che, pur necessitando di una suddivisione proporzionale delle attività originarie, dovrebbe seguire una linea di condotta sostanzialmente simile. Laddove, invece, si voglia utilizzare l’operazione di scisisone fiscalmente neutra per ottenere benefici non conseguibili nel caso di mero trasferimento di un bene (nel caso di specie gli immobili), la stessa contiene elementi che caratterizzano l’elusività dell’operazione in questione. Peraltro, posto che l’istanza di interpello viene considerata come inammissibile in quanto non rispettosa dei canoni civilistico che attengono l’operazione di scissione, la descrizione della stessa comporterebbe una palese elusività della stessa. Il parere del comitato si uniforma di fatto ad una linea interpretativa ormai delineata. In sostanza, in tutti i casi in cui l’operazione di scissione maschera, ad esempio, il trasferimento di un bene o la creazione di una società contenitore che sono elementi semplicemente preordinati alla cessione dei beni o delle partecipazioni, la stessa sarà da considerare come elusiva. Alcuni passaggi del comitato non escludono in assoluto che l’operazione di scissione possa rappresentare una operazione lecita per la composizione del dissidio tra soci Parere n. 6/2002 Anche in questo caso parere pare di cogliere una sostanziale apertura alla ipotesi in cui l’operazione di scissione serva a comporre un dissidio tra soci in merito alle politiche aziendali da perseguire. Viene infatti considerata come ammissibile l’operazione di scissione che comporta una divisione non proporzionale del patrimonio in due complessi aziendali che funzionano in modo autonomo. Di fatto, la divisione non proporzionale è possibile in relazione alla sussistenza di difformi orientamenti tra i soci in merito alle attività aziendali da perseguire con strategie differenti. Vi è da rilevare che il valore fiscale delle partecipazioni in seguito alla operazione di scissione rimane immutato Parere n. In questo parere, il comitato consultivo sottolinea la convergenza sulla tesi 13/2002 dell’elusività nell’ipotesi in cui l’operazione di scissione sia di fatto preordinata alla creazione di una società che raccoglie i beni della società scissa per poi fare circolare le partecipazioni con una conseguente tassazione ridotta rispetto ai beni di primo grado qualora gli stessi rimangano nell’ambito della società Pagina 263 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Parere n. 4/2003 Società immobiliare con immobile industriale diviso in varie unità catastalmente distinte con compagine societaria in conflitto (socia al 50 per cento ed altri due soci titolari ciascuno della nuda proprietà dell’ulteriore 50 per cento il cui usufrutto è detenuto da altro soggetto). Si intende effettuare una operazione di scissione totale non proporzionale a valori contabili e fiscali mediante conferimento a due società di persone di nouva costituzione al fine di dividere l’immobile sociale in due porzioni di uguale consistenza, metratura e valori di mercato. Il comitato osserva che il proprio compito consiste nella valutazione dell’adeguatezza giuridico economica che si vorrebbe realizzare rispetto alle finalità enunciate e che la stessa sia idonea a soddisfare finalità proprie di altri atti o negozi giuridici il cui compimento si rivelerebbe fiscalmente più oneroso. Si rileva quindi che : nulla si dice in merito alla attività esercitata dalla società che si intende scindere se cioè la stessa abbia natura imprenditoriale o di mera comunione; nulla si specifica in ordine alle caratteristiche strutturali e funzionali dell’immobile che consentono di valutare l’idoneità dell’impiego delle sue unità cui potrebbero essere destinate in futuro, nonché i criteri della ripartizione; non risulta ben identificato l’intento imprenditoriale che si vorrebbe perseguire; l’ipotizzata scissione comporterebbe la nascita di società di persone con socio unico non ammessa dal sistema e che, comunque, se si protraesse per oltre sei mesi determinerebbe lo scioglimento ai sensi dell’articolo 2272 del codice civile; non vengono evidenziate prospettive di strutturazione della compagine societaria in forma unipersonale ovvero di esercizio di attività individuale. Parere n. 1 In questo parere viene avallata l’ipotesi di una operazione di scissione parziale e proporzionale nel caso in cui la separazione dell'attività industriale da quella immobiliare trova /2003 valide ragioni economiche nell'esigenza di razionalizzare il sistema organizzativo aziendale e di frazionare il rischio d'impresa e degli investimenti e consentirebbe, peraltro, di agevolare l'ingresso di nuovi soci interessati alla sola attività tipica svolta dalla società istante, in quanto la scissa verrebbe sgravata dal peso, in termini di valore, dell'unità immobiliare. Quindi, secondo il comitato, non presenta margini di elusività, a condizione, tuttavia, che la medesima non rientri in un più ampio complesso di atti attraverso i quali la società scissa venga svuotata dei beni immobili e la beneficiaria venga privata di operatività, risultando mero "contenitore" dei beni in essa trasferiti, al solo fine di spostare nel tempo la tassazione delle plusvalenze sui beni stessi, beneficiando del regime di neutralità fiscale tipico della scissione. Parere n. 3 Il caso è quello di una srl unipersonale che svolge attività agricola nel campo /2003 vitivinicolo, ma è altresì proprietaria di beni immobili di civile abitazione e negozi, non strumentali all'attività vitivinicola. La società ha intenzione di "scorporare" dal proprio patrimonio aziendale gli immobili non strumentali, attualmente locati e comunque non utilizzati direttamente, realizzando una scissione parziale mediante la quale il patrimonio immobiliare sarebbe attribuito ad altra Srl unipersonale, di nuova costituzione con l'assegnazione dei beni "a valore di libro". Nella fattispecie ipotizzata: - la Srl unipersonale di nuova costituzione, beneficiaria dei beni immobili, si accollerebbe, a seguito dell'operazione, il "debito v/Socio" che figura nel bilancio della società scindendo; Pagina 264 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - la Srl scissa continuerebbe a gestire l'azienda agricola. Il comitato osserva che l’operazione in questione non costituisce ipotesi elusiva. La continuazione dell'attività agricola da parte della scissa e l'inizio di un nuova attività immobiliare non comporterebbe la sottrazione al regime d'impresa, degli immobili "scorporati". Non si configura, quindi, alcun risparmio d'imposta, nè debito, nè indebito, ovvero l'aggiramento di norme impositive. Secondo il comitato, dunque, è superflua ogni indagine in tema di "valide ragioni economiche", che, comunque, nella specie appaiono sussistenti, in quanto la scissione è posta in essere per una delle sue cause tipiche (separazione di attività distinte e continuazione delle stesse da parte di soggetti distinti). E’ evidente che fatti successivi alla scissione, ad esempio, cessione dei beni conferiti mediante cessione della partecipazione nella nuova società e, pertanto, conversione delle plusvalenze sui "beni di grado" in plusvalenze su "partecipazioni” potrebbero indurre a considerare la scissione come primo atto di un comportamento elusivo più ampio che concretizza il disegno indicato dall’articolo 37 bis del DPR n. 600 del 1973 Parere n. 7/2003 Nel caso di specie, è stata affermata l’elusività di una operazione di scissione societaria in quanto la stessa aveva come obiettivo una gestione delle perdite diversa rispetto a quanto avviene in fase di fusione societaria, fattispecie più idonea al caso prospettato. Parere n. La società istante ha per oggetto sociale, "la produzione, lavorazione ed il 16/2003 commercio di vino, birra, bibite e bevande in genere, grappe nonchè distillati". Nel 1976 la società ha acquistato un immobile in proprietà; nel 2002 ha acquistato un immobile in leasing. Le due unità immobiliari sono usate per lo svolgimento della propria attività. La società intende procedere ad un'operazione di scissione parziale proporzionale, avente per oggetto l'intero patrimonio immobiliare che la società beneficiaria concederà in locazione, alla scissa, a prezzi di mercato. I soci della società che sarà scissa intendono, poi, cedere l'intero pacchetto azionario della stessa alla società beneficiaria di nuova costituzione dopo aver rivalutato le quote sociali, come previsto dall'art. 5 della legge n. 448 del 28 dicembre 2001 (legge finanziaria 2002), con affrancamento del valore corrente delle partecipazioni societarie alla data del 01.01.2002 mediante pagamento dell'imposta sostitutiva. La riorganizzazione sarebbe dunque posta in essere attraverso i seguenti passaggi: 1. rivalutazione delle partecipazioni sociali detenute nella società scindenda; 2. scissione parziale e proporzionale, mediante attribuzione del patrimonio immobiliare alla costituenda società; 3. concessione in locazione, alla scissa, degli immobili; 4. cessione del pacchetto azionario della scissa alla beneficiaria. Al termine della riorganizzazione, i soci attuali della società scindenda saranno soci della immobiliare, che, a sua volta, sarà socia totalitaria della scissa. Viene sostenuta la non elusività delle operazioni prospettate, considerando, tra l'altro: che gli immobili conserveranno natura strumentale; che, a seguito della costituzione della immobiliare, nella scissa potranno agevolmente confluire nuovi capitali; che la cessione del pacchetto azionario sarà fiscalmente irrilevante perchè i soci rivaluteranno le azioni mediante applicazione dell'imposta sostitutiva. Pagina 265 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Parere 15/2003 Secondo il comitato consultivo devono essere analizzati i singoli passaggi dell’operazione in questione : 1) la rivalutazione delle partecipazioni sarà effettuata applicando l'art. 5 della legge 28 dicembre 2001 (finanziaria per il 2002), che consente la rivalutazione dei titoli azionari posseduti alla data del 1 gennaio 2002, agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all'articolo 67 comma 1, lettere c) e c bis), del Tuir, mediante pagamento di una imposta sostitutiva. Detta rivalutazione non può essere giudicata elusiva, in quanto si concreta nell'applicazione di una specifica norma di legge, di carattere agevolativo, per cui il pagamento di un carico tributario inferiore a quello che risulterebbe dall'applicazione del regime ordinario non può essere considerato elusivo. 2) la continuazione dell’attività imprenditoriale da parte della scissa e la cessione degli immobili (mediante cessione del diritto di proprietà di un immobile e del contratto di leasing dell'altro immobile) alla società costituenda, non comporta sottrazione, al regime d'impresa degli immobili, ma continuazione del loro utilizzo come beni strumentali. 3) La cessione del contratto di leasing comporterà la tassazione della sopravvenienza attiva. 4) La rivalutazione delle quote e la scissione non appaiono quindi preordinate ad alcun risparmio indebito d'imposta. La cessione, da parte dei soci della scissa, dell'intero pacchetto azionario alla società beneficiaria farà assumere, alla beneficiaria neo costituita, il ruolo di holding-mista del "gruppo"; gli attuali soci della società scindenda diventeranno soci della beneficiaria, che sua volta diventerà socia unica della società scindenda. Anche tale cessione non può essere giudicata elusiva, perchè preceduta dalla rivalutazione delle azioni, in applicazione del citato art. 5 della legge n. 448 del 2001. Nel caso di specie, dunque, l'operazione di scissione parziale proporzionale, mediante la quale vengano scorporati da una società dei beni immobili, da assegnare con continuità di valori fiscali ad una nuova società, che concederà gli stessi immobili in locazione a prezzi di mercato alla società scindenda, non è di per sè elusiva, anche nel caso in cui la partecipazione azionaria nella società scindenda venga trasferita, previa rivalutazione, alla società costituenda, salvo che non vengano posti in essere ulteriori atti, fatti o negozi, connessi a tale operazione, volti ad aggirare norme impositive n. Una società è proprietaria di due abitazioni rurali, di un immobile del tipo portico aperto ad uso ricovero mezzi e di un altro immobile sempre ad uso ripostiglio e ricovero mezzi. I terreni componenti l'azienda sono in parte pertinenza delle due abitazioni (cortili) e per il resto ceduti in affitto a terzi; - la compagine sociale è costituita da due soli soci di cui uno in possesso del 97% e l'altro del residuo 3%; - con l'operazione di scissione si intende costituire una nuova società (beneficiaria) denominata Y S.r.l. a cui verranno trasferiti gli immobili rurali unitamente alla aree cortilizie pertinenziali di proprietà, ottenendo così il risultato di separare la gestione agricola da quella immobiliare; - la società beneficiaria sarà partecipata dagli stessi soci della scissa, nelle medesime percentuali di partecipazione al capitale; - è prefigurata una possibile cessione reciproca di quote tra i due soci con lo scopo di riorganizzare le compagini sociali, attribuendo ad un socio l'intera partecipazione della X S.r.l. e all'altro socio l'intera partecipazione della Y S.r.l. allo scopo di favorire una migliore prosecuzione dell'attività sociale in capo ai Pagina 266 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 due soci; - la cessione avverrà a valori di perizia effettuata al sensi dell'art. 5 della legge 28 dicembre 2001, n. 448; - le ragioni economiche della riorganizzazione sono sinteticamente indicate nella necessità di separare l'attività agricola da quella di gestione immobiliare assegnandole ai due diversi soci, che in origine partecipavano alla società scissa; - si prospetta, infine, una operazione di fusione cui dovrebbero partecipare la società beneficiaria neocostituita Y S.r.l. e la X S.r.l. partecipata al 96% da uno degli originari soci della società scissa (che a seguito della riorganizzazione diverrà socio al 100% della Y S.r.l.) e della moglie. IL comitato osserva che : 1) la riorganizzazione descritta nell'istanza consta di più operazioni successive: una scissione societaria parziale e proporzionale seguita da una cessione reciproca di quote tra i soci delle due società risultanti dalla scissione e una successiva fusione; 2) l'operazione di scissione , singolarmente esaminata, si presenta fiscalmente neutrale ed il trasferimento degli immobili a favore della società di nuova costituzione non comporta di per sè la sottrazione degli stessi al regime di impresa, fatta salva l'ipotesi che la società beneficiaria fruisca di un regime fiscale privilegiato; 3) la successiva operazione consiste nella cessione reciproca tra i due soci delle partecipazioni nelle due società risultanti dalla scissione con lo scopo di attribuire a ciascuno di essi la titolarità esclusiva di una delle società; 4) i valori di acquisto delle quote della società scissa sono stati precedentemente oggetto di rideterminazione ai sensi dell'art. 5 della legge n. 448/01; 5) le operazioni descritte ( scissione parziale e proporzionale e successiva cessione reciproca di quote), se congiuntamente considerate, perseguono, nella sostanza, l'obiettivo che si sarebbe raggiunto mediante una scissione parziale non proporzionale atteso che, attraverso la riorganizzatone aziendale rappresentata, le quote dì partecipazione dei due soci nelle due società risultanti dalla scissione non rispecchieranno le originarie quote di partecipazione al patrimonio della società scissa; 6) a seguito della soppressione dell'art. 123-bis, comma 16, del Tuir per effetto delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 358 dell'8 ottobre 1997, l'operazione di scissione non proporzionale non è più considerata di per sè elusiva; 7) la sostituzione delle azioni o quote della società scissa con le azioni o quote della società beneficiaria è operazione neutrale in capo ai soci in quanto anche il valore fiscale delle partecipazioni possedute da ciascun socio dopo la scissione rimane invariato rispetto al corrispondente valore delle azioni o quote possedute in precedenza; 8) se gli interessi economici di un socio risulteranno pregiudicati dall'operazione di scambio delle partecipazioni, sarà necessario corrispondere un eventuale "ristoro" in denaro o in natura da parte dell'altro socio, da assoggettare a tassazione ordinaria in capo al socio percipiente. Il comitato ritiene che l’operazione in questione non sia elusiva, nel presupposto che l'attribuzione degli immobili alla società neo costituita non comporta la sottrazione degli stessi dal regime d'impresa e che i corrispettivi pagati al momento della successiva cessione delle quote saranno rilevanti ai fini fiscali secondo le disposizioni ordinarie sulla tassazione del capital gain in capo Pagina 267 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Parere /2003 n. ai soci. 18 In un complesso processo di ristrutturazione societaria si prevede : a) l'estinzione di una società , a seguito della scissione totale. Il capitale della X s.r.l. è totalmente detenuto da tre fratelli e che la società, secondo le previsioni statutarie, svolge attività di gestione immobiliare, che nel concreto consistono, in via pressochè esclusiva, nella locazione di immobili propri; b) la costituzione, in concomitanza con la scissione di cui sopra, di tre nuove società immobiliari, il cui capitale verrebbe attribuito in modo che ciascuno dei tre soci abbia a detenere l'intero patrimonio della società a lui spettante. Tale obiettivo verrebbe assicurato attraverso l'assegnazione a ciascuna delle società beneficiarie, sulla base di apposita relazione di stima, di un lotto di immobili avente valore all'incirca proporzionale alla percentuale di capitale sociale detenuto, nella scissa, dai tre soci; L’operazione in questione : 1) non darebbe luogo a concambi e/o conguagli tra i i soci, ne ad avanzi o disavanzi di scissione da destinare ad incrementi di valore patrimoniale di rilievo fiscale,in quanto gli immobili saranno iscritti nel bilancio delle società beneficiarie sulla base dei valori contabili fiscalmente riconosciuti della società scissa; 2) non si colloca in un disegno finalizzato al successivo trasferimento, in tutto o in parte, degli immobili tramite cessione di quote societarie. Il comitato rileva che nel percorso descritto sono ravvisabili: sensibili vantaggi di imposta per i soci; l'utilizzo di schemi giuridici diversi e meno diretti rispetto a quelli funzionalmente deputati al conseguimento del fine primario che sembra ispirare l'operazione, che pare doversi identificare nella traslazione della proprietà ai tre soci. Evidente risulta in specie la volontà dei soci di "liquidare" la X s.r.l. al fine di conseguire, tramite la costituzione di tre distinte società aventi lo stesso oggetto sociale, la piena disponibilità della porzione di immobili a ciascuno spettante. Le ragioni economiche risultano nella fattispecie tanto labili da non permettere l'individuazione, di quegli elementi di distinzione/discontinuità operativa (tra la società scissa e le tre beneficiarie), atti a far emergere la necessità di una mutazione dell'assetto societario esistente. A suffragare la convinzione che l'interesse economico preponderante sia quello dei singoli soci, milita anche la considerazione che la cessazione della società istante, con contestuale frazionamento in tre nuove entità, depotenzia attitudini produttive ed accentua la connotazione di mero contenitore/schermo delle società costituende. La nascita di dette entità sembra, allo stato, rispondere soprattutto a finalità di: diluizione del carico fiscale progressivo gravante su persone fisiche; migliore deducibilità di spese e costi; sterilizzazione nella emersione delle plusvalenze, con tangibili implicazioni di lock-in effect nell'assoggettamento a prelievo fiscale delle stesse. Il manifestato intendimento di non trasferire successivamente le costituende società o singoli immobili entrati nel loro patrimonio, appare nella fattispecie irrilevante. Infatti, l'interesse dei tre soci della X S.r.l. non appare, al momento, la vendita del patrimonio ma, semplicemente il suo frazionamento con distinta imputazione ai singoli coeredi. Sulla base di tale impostazione argomentativi, la via più lineare e diretta per Pagina 268 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Parere /2003 n. perseguire l'obiettivo dei soci sarebbe stata quella della liquidazione della società, con assegnazione ai soci delle quote a ciascuno spettanti e contestuale emersione delle plusvalenze latenti ed assoggettamento al prelievo fiscale. Pertanto, nel caso di specie, l'operazione prospettata, è da considerare elusiva, in quanto la scelta dello specifico schema operativo risulta scaturire, in via del tutto prevalente, dall'intendimento di conseguire i vantaggi di natura fiscale contemplati dall'art. 37 bis del DPR 600/1973. In ipotesi simili di scissione totale, laddove manchi un comprovato vantaggio nell'assetto della produzione e per converso, risulti chiaro l'intendimento dei soci di perseguire finalità indirette ed ulteriori rispetto a quelle dichiarate di ristrutturazione aziendale, sembra doversi considerare insussistente lo stesso principio legittimante della neutralità fiscale delle operazioni. 17 Una S.r.l. esercita l'attività di gestione di partecipazioni societarie, immobili, titoli pubblici e privati, con un capitale sociale sottoscritto da due società fiduciarie: - la Y S.r.l., titolare del 70% del pacchetto azionario, di cui, in realtà, il 40%, appartiene a Tizio ed il rimanente 30% a Caio. - la Z S.p.a., che ne detiene il 30%, riconducibile, a sua volta, a diversi soggetti che sono identificabili come un gruppo; - per l'esercizio dell'impresa, la società istante possiede n.16 immobili, nonchè un'elevata liquidità, investita in immobilizzazioni finanziarie ed attivo circolante; - è intenzione dei citati tre gruppi di soci dell'azienda richiedente (X e "gruppo X") gestire, in maniera distinta e separata tra di loro, il patrimonio della medesima ... S.r.l., dividendolo in proporzione alle rispettive percentuali di partecipazione al capitale sociale; - in tale prospettiva, la società istante avrebbe ipotizzato di effettuare una scisisone totale non proporzionale (con contestuale estinzione) di ... S.r.l. (scissa) in tre nuove società (beneficiarie), da costituire all'atto della scissione ciascuna delle quali posseduta integralmente da uno solo dei tre gruppi di soci originari della scissa; - in particolare, ad ognuna delle imprese beneficiarie, sarebbe attribuita - sulla base di un'apposita relazione di stima - una parte degli immobili e delle altre attività e passività della scissa, in maniera tale che, in capo a ciascun gruppo di soci, la partecipazione nella rispettiva beneficiaria abbia un valore proporzionale a quello delle quote azionarie in precedenza possedute nella scissa; - l'operazione in rassegna consentirebbe ad ognuno dei soci di perseguire differenti interessi economici e modalità di gestione della società di pertinenza; non è intenzione degli azionisti, una volta effettuata la scissione cedere la partecipazione conseguita nella rispettiva beneficiaria. Il comitato analizza in riferimento alla operazione di specie, l’esistenza o meno dei requisiti di cui all’articolo 37 bis del Dpr n. 600 del 1973. In merito alla esistenza delle valide ragioni economiche il comitato sottolinea come il giudizio deve essere condotto con riferimento ai soggetti che pongono in essere l'operazione - la società scindenda e le beneficiarie - senza aver riguardo ai benefici economici che soggetti diversi, tra i quali i soci, potrebbero trarre dall'operazione medesima, rilevando in tal senso la continuità dell'esercizio dell'attività d'impresa. Dall'esame del bilancio della ... S.r.l. relativo all'esercizio 2002 (il cui attivo ammonta a circa 10 milioni di euro), annesso all'istanza, emerge una rilevante Pagina 269 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 consistenza patrimoniale, tale da ritenere che le aziende beneficiarie, anche in ragione dei cospicui fattori produttivi trasferiti a ciascuna di esse, possano continuare ad esercitare l'attività già svolta dalla scindenda nel pieno rispetto del necessario principio dell'operatività richiesto per una valutazione positiva in ordine alla sussistenza di valide ragioni economiche nell'operazione prospettata. Pertanto, l’operazione in questione come prospettata non viene identificata come elusiva. Parere /2003 n. 19 La società X & C. S.n.c. svolge le seguenti attività: - costruzione, assemblaggio ed installazione di impianti frigoriferi industriali destinati ad alberghi, pubblici esercizi, supermercati etc.; - installazione di impianti di cottura, con relativi accessori, destinati ai soggetti sopra indicati; - fornitura di piccole attrezzature per bar, gelaterie ecc. L'attività è svolta in due capannoni; il primo è di proprietà della stessa società, il secondo è in leasing finanziario e sarà riscattato nel luglio 2004. Tali immobili, rappresentano la voce più consistente dell'attivo patrimoniale della società. Secondo la società, allo scopo di garantire lo sviluppo dell'attività, si rende necessario favorire l'ingresso di nuovi soci nel proprio capitale. Tuttavia, l'operazione si presenta difficoltosa a causa del rilevante comparto immobiliare della società stessa. In sostanza, i potenziali soci si sarebbero dimostrati interessati ad entrare nel contesto operativo della società, ma non altrettanto disponibili ad acquisire partecipazioni il cui costo sarebbe rilevante per effetto della presenza, nel patrimonio della società stessa, di immobili di cui, ai fini dello svolgimento dell'attività, non necessariamente occorre detenere la proprietà. Pertanto, allo scopo di favorire l'ingresso di nuovi soci operativi, la società intende porre in essere: a) un operazione di trasformazione della s.n.c. in s.r.l.; b) una scissione parziale proporzionale, a valori di libro, per effetto della quale il patrimonio immobiliare della società verrebbe scorporato per confluire nel patrimonio di una società a responsabilità limitata di nuova costituzione. La società beneficiaria: - otterrebbe dalla società scissa gli immobili già da questa utilizzati. - tali immobili sarebbero concessi in locazione alla società scissa derivandone per la beneficiaria proventi immobiliari da locazione e costi connessi agli immobili. - potrebbe, eventualmente, intraprendere l'attività di costruzione di immobili di natura industriale, commerciale ed abitativa, assumendo la natura di un'immobiliare vera e propria. Secondo il comitato, l’operazione complessivamente delineata non è elusiva in quanto l'operazione medesima non appare finalizzata al conseguimento di vantaggi fiscali o, comunque, al sostenimento di un onere tributario inferiore rispetto a quello derivante dall'adozione di altre procedure che portino allo stesso risultato di quella posta in essere o che si intende porre in essere. Infatti, nella fattispecie, i cespiti sono dapprima interessati da un'operazione di trasformazione omogenea realizzata tra società, i cui redditi sono considerati redditi d'impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi e, successivamente, dalla scissione per effetto della quale i beni permangono, comunque, all'interno del regime d'impresa. Considerato che nè l'operazione di trasformazione, attuata in Pagina 270 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 neutralità in quanto operazione "straordinaria" sui soggetti e non sui beni, nè quella di scissione con attribuzione degli immobili alla società a responsabilità limitata neocostituita, comportano la fuoriuscita dei beni dal regime dei beni d'impresa, non si configura alcun risparmio d'imposta, non venendo meno le condizioni di latenza d'imposta sui plusvalori dei predetti beni, che concorreranno alla formazione del reddito della società beneficiaria, secondo le regole ordinarie, al momento della cessione o assegnazione ai soci. Parere n. 2/2004 La X S.p.A., società a ristretta base familiare, ha come oggetto principale della propria attività il commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento, per lo sport ed il tempo libero, calzature, pelletterie, oggettistica. L’attività è esercitata in più punti vendita ubicati in diversi immobili, alcuni dei quali di proprietà, altri nella disponibilità della società in base a contratti di locazione immobiliare, finanziaria e di affitto di ramo di azienda. Gli azionisti hanno intenzione di procedere ad una separazione dell'attività commerciale vera e propria, da quella connessa alla gestione delle proprietà immobiliari e della titolarità delle autorizzazioni di commercio; In tale prospettiva, la società avrebbe ipotizzato di effettuare una scissione parziale proporzionale di X S.p.A. (scindenda), con contemporanea costituzione di una nuova società, la Gruppo X S.r.l. (beneficiaria). Le azioni o quote di quest'ultima impresa, pertanto, verrebbero attribuite ai soci della scindenda mantenendo immutate le percentuali di partecipazione attualmente possedute; Alla azienda di nuova costituzione sarebbero conferite le scorte, le attrezzature di vendita, parte delle immobilizzazioni immateriali, delle attività liquide e delle passività, i crediti ed i debiti commerciali, nonchè, la disponibilità degli immobili e delle autorizzazioni commerciali, di proprietà della società scindenda; Alla società scindenda permarrebbero le proprietà immobiliari, le autorizzazioni commerciali, le partecipazioni, la rimanente parte delle immobilizzazioni immateriali, delle attività liquide e delle passività, nonchè i contratti di locazione finanziaria e quelli da stipulare con la beneficiaria. Viene inoltre sottolineato che non è intenzione degli azionisti, una volta effettuata la scissione , cedere la partecipazione posseduta nella società scindenda; Le ragioni economiche sottese alla scissione sarebbero rinvenibili: - per la società scindenda, nell'opportunità di garantire un'adeguata remunerazione degli investimenti immobiliari e delle autorizzazioni amministrative; - per la beneficiaria, nella possibilità di impostare, con riguardo agli oneri connessi all'utilizzo dei beni e diritti sopra citati, la propria contabilità tenendo conto di costi omogenei, nonchè di adottare una gestione aziendale per obiettivi, favorendo anche la competitività interna; - più in generale, nell'esigenza di meglio individuare, nel tempo, le possibili diseconomie del costituendo complesso aziendale, specie quello della società beneficiaria, e, in tal caso, adottare gli opportuni correttivi, nonchè di sensibilizzare gli organi gestori delle due compagini in relazione ai rispettivi obiettivi sociali; Il comitato sottolinea che una valutazione deve essere effettuata , principalmente con riferimento ai soggetti che pongono in essere l'operazione, la società scindenda e la beneficiaria, senza aver riguardo ai benefici economici che soggetti diversi, tra i quali i soci, potrebbero trarre dall'operazione medesima, rilevando in tal senso la continuità dell'esercizio dell'attività Pagina 271 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 d'impresa; Secondo il comitato, dall'esame del progetto di scissione, emerge che all'azienda beneficiaria, a seguito dell'operazione di riorganizzazione societaria di cui trattasi, sarebbe conferita una rilevante consistenza patrimoniale (dell'ammontare di oltre 13 milioni di euro), tale da ritenere che la medesima impresa, anche in ragione dei cospicui fattori produttivi ad essa trasferiti, possa continuare ad esercitare l'attività già svolta dalla scindenda, nel pieno rispetto del necessario principio dell'operatività richiesto per una valutazione positiva in ordine alla sussistenza di valide ragioni economiche nell'iniziativa in parola. Pertanto, l’operazione di scissione non presenta aspetti di elusività, a condizione che non sia preordinata alla successiva vendita delle partecipazioni della società beneficiaria o, comunque, a privare di operatività le imprese partecipi della complessiva riorganizzazione aziendale. In tal caso, infatti, l'iniziativa delineata risulterebbe priva di valide ragioni economiche e diretta a conseguire un indebito vantaggio fiscale, in quanto realizzato attraverso l'aggiramento di obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario. Parere n. 9/2004 Una società svolge principalmente attività di sistemazione idraulico-forestale, lavori stradali, di movimento terra, demolizioni, costruzione di acquedotti e fognature, produzione di calcestruzzi e dispone altresì di un consistente patrimonio immobiliare, in parte utilizzato direttamente come sede dell'attività ed in parte gestito attraverso locazione a terzi; - la compagine sociale è formata da tre soci, che possiedono, rispettivamente, il 70%, il 25% ed il 5% del capitale sociale; - in tale contesto si darebbe luogo ad una scissione parziale non proporzionale, a valori fiscali storici, che determinerebbe la nascita di due società beneficiarie (in nome collettivo) e la ripartizione fra queste del patrimonio immobiliare della scissa, mentre la società scissa continuerebbe a svolgere le altre attività d'impresa nella medesima, attuale compagine sociale; - una delle due società immobiliari beneficiarie (A) sarebbe partecipata dal primo e dal terzo socio (secondo ampiezza delle quote di capitale sociale possedute) della società scissa, l'altra società immobiliare beneficiaria (B) unicamente dal secondo socio della scissa; - il valore contabile netto del patrimonio immobiliare che andrebbe alla società beneficiaria A corrisponderebbe al 77% del valore dell'attuale patrimonio immobiliare della società scissa, mentre il valore del patrimonio immobiliare della società B sarebbe pari al 23%; il valore dei patrimoni immobiliari delle due società beneficiarie corrisponderebbe, dunque, approssimativamente, all'entità delle quote di capitale sociale della scissa attualmente possedute dai soci che parteciperebbero, rispettivamente, al capitale di A e al capitale di B - le due società beneficiarie svolgerebbero attività imprenditoriale; la società A concederebbe in locazione a prezzi di mercato l'immobile sede della società scissa e sia A che B manterrebbero i contratti di locazione già in essere relativamente ad altri immobili; - i soci non intendono cedere, nel periodo successivo alla cessione delle partecipazioni nelle società beneficiarie; - con tale operazione, si intende, in primo luogo, separare l'attività di gestione immobiliare dalle altre attività della società scissa e, in secondo luogo, differenziare fra le due società beneficiarie la gestione del patrimonio immobiliare: il primo ed il terzo socio della scissa, infatti, attraverso la costituenda società beneficiaria A, amplierebbero l'attività immobiliare Pagina 272 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 svolgendo anche attività edificatoria; il secondo socio della scissa, invece, tramite la società beneficiaria B, continuerebbe una gestione propriamente immobiliare. Anche in questo caso sono esaminate le valide ragioni economiche legate al fatto che i beni rimangono nell’ambito dell’attività di impresa e che non vengano cedute le partecipazioni Parere n. 6/2004 Una società è proprietaria di un immobile in cui si svolge attività di natura commerciale; - i quotisti della società sono due coniugi, ciascuno per il 50%, ed il marito ne è il legale rappresentante. Essi hanno in animo di trasferire l'attività ai propri figli mantenendo la proprietà dell'immobile da intestare ad una costituenda s.r.l.; - la società già esistente, ceduta ai figli, svolgerebbe attività commerciale; la nuova società, di cui sarebbero unici soci in parti uguali i genitori, svolgerebbe attività di gestione immobiliare dell'unico immobile che, attualmente, costituisce bene strumentale della società in essere in quanto è il luogo in cui viene svolta l'attività; - la società immobiliare locherebbe alla società commerciale l'unico immobile da essa posseduto; - gli istanti ritengono di individuare nell'operazione in esame valide ragioni economiche in quanto essa consentirebbe loro di garantirsi una rendita ed inoltre tutelerebbe l'immobile da eventuali dissesti finanziari che potrebbero travolgere l'attività commerciale. Secondo il comitato, l'operazione configura una trasformazione nella natura dell'immobile che rappresenta l'oggetto del trasferimento di proprietà dalla società esistente a quella da crearsi in quanto, a seguito della scissione e del trasferimento della proprietà dell'immobile alla società di gestione immobiliare, esso si muterebbe da bene strumentale a bene unico ed indispensabile per l'esercizio dell'attività di locazione. Tale operazione di scorporo, secondo il Comitato, è giustificata da valide ragioni economiche Parere 22/2004 Una società ha per oggetto la costruzione, la compravendita e l'amministrazione di beni immobili; - la compagine societaria attuale è costituita da un gruppo familiare ; il patrimonio immobiliare consiste in immobili di civile abitazione ed immobili commerciali - il capitale sociale è ripartito in nuda proprietà, mentre la madre è usufruttuaria delle corrispondenti ...... azioni. A causa delle divergenze intervenute tra i due fratelli in ordine alla gestione e alle strategie aziendali, la volontà assembleare di attuare una scissione non proporzionale in modo tale che: - un socio diverrebbe titolare della totalità delle azioni della scissa mentre l'altro socio diverrebbe unico titolare delle azioni della società beneficiaria da costituire, fermo restante il diritto di usufrutto della madre sia nella società scissa che nella società beneficiaria; - da tale operazione conseguirebbe che alla società scissa rimarrebbe il 50% del patrimonio immobiliare e proporzionalmente le poste dell'attivo e del passivo, mentre alla società beneficiaria verrebbe assegnato l'altro 50% del patrimonio immobiliare e proporzionalmente sia le poste dell'attivo e del passivo. Il comitato osserva che : - l'operazione di scissione, singolarmente esaminata, si presenta fiscalmente neutrale ed il trasferimento degli immobili nella percentuale del 50% a favore Pagina 273 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 della società di nuova costituzione non comporta di per sè la sottrazione degli stessi al regime d'impresa, fatta salva l'ipotesi che la società beneficiaria che verrà a costituirsi non intenda fruire di un regime fiscale privilegiato; - la successiva operazione consiste nella cessione del pacchetto azionario a favore del socio della società scissa che, in ragione di tale operazione, diviene unico socio; - l'operazione verrebbe effettuata con lo scopo di attribuire a ciascuno dei due fratelli soci la titolarità esclusiva di una delle società. In linea di principio, il comitato osserva che l’operazione non è elusiva Parere 27/2004 n. E’ questo un parere noto in virtù del fatto che si esaminava il caso del passaggio del contratto di leasing immobiliare. La Società A S.r.l. svolge attività di gestione di ricovero per anziani. Per l'esercizio di tale attività si avvale di un complesso immobiliare composto da un corpo di fabbrica costituente il complesso principale e da un annesso funzionale al medesimo. L'immobile costituito dal corpo principale è stato assunto in regime di locazione finanziaria nel 1999 con contratto ottennale e tale contratto, tuttora in corso, prevede la possibilità di riscatto del bene a prezzo concordato; - il capitale sociale di A S.r.l. è posseduto per oltre il 90% da B S.p.A. e per il residuo da soci persone fisiche che non esercitano attività di impresa. Le persone fisiche socie ne A S.r.l. sono, altresì, tutte socie di B S.p.A.. Quest'ultima, oltre alla partecipazione nella Società A, ha anche partecipazione in altre Società tra le quali la C S.p.A., Società di Gestione Immobiliare, che esercita anche attività di costruzione di immobili ed attività agricola. Per alleggerire i costi di gestione afferenti l'attività di ricovero per anziani, la Società A S.r.l. intende procedere ad un processo di riorganizzazione aziendale all'interno del gruppo, avendo come obiettivo quello di scindere l'attività di gestione dalla proprietà del complesso immobiliare, trasferendo quest'ultimo, ivi compreso il contratto di leasing, alla Società di Gestione Immobiliare del gruppo e cioè alla C S.p.A.; - il progetto prevede tre fasi e precisamente: 1) la C S.p.A. acquisisce l'intera partecipazione in A S.r.l. ad un prezzo corrispondente al costo fiscalmente riconosciuto in capo ai cedenti (persone fisiche e B S.p.A.), il quale risulta superiore al valore nominale, ma inferiore sia all'attuale quota di patrimonio netto contabile corrispondente, sia al relativo valore di mercato. Dal canto loro i cedenti, al solo fine di dare evidenza fiscale all'operazione, procederebbero ad evidenziare la plusvalenza imponibile in base al differenziale tra prezzo di cessione e valore normale della partecipazione ceduta; 2) A S.r.l. darebbe attuazione ad una operazione di scissione parziale e proporzionale con contestuale costituzione di una NEWCO., cui sarebbero assegnati l'immobile di proprietà, il contratto di locazione finanziaria in corso ed alcuni debiti di finanziamento; mentre alla Società scissa rimarrebbero l'attività di gestione oltre le restanti immobilizzazioni costituite da mobili, arredi ed attrezzature nonché crediti e debiti correnti; 3) la NEWCO., beneficiaria della scissione verrebbe successivamente fusa per incorporazione dalla C S.p.A., che già gestisce il patrimonio immobiliare del gruppo, ed alla quale, in ultima analisi, verrebbe anche trasferito il contratto di leasing immobiliare. Il programmato passaggio del contratto di leasing immobiliare, prima (per effetto della scissione) dalla società A alla NEWCO e poi (per effetto della Pagina 274 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 fusione) dalla NEWCO alla C, non rientrerebbe nell'ambito della previsione dell'art. 88, comma 5, del T.U.I.R., in quanto fattispecie non assimilabile, anche per analogia, alla cessione di contratto di locazione finanziaria. Proprio in relazione a tale vantaggio, il comitato ritiene necessario esaminare molto in dettaglio le circostanze legate ad una rigorosa dimostrazione che la programmata operazione societaria fosse sorretta anche da effettive ragioni economiche e non già strumentalmente preordinata ad ottenere un illecito risparmio di imposta, consistente nella mancata tassazione, come sopravvenienza attiva, del valore normale del bene, oggetto del contratto di leasing che, in sostanza, viene "passato" alla C. Su questo aspetto, il comitato rileva che la fattispecie illustrata è lacunosa in merito alle valide ragioni economiche finalizzate al ricorso ad una operazione di scissione parziale, a sua volta seguita da una immediata incorporazione della società beneficiaria, la quale risulterebbe, per definizione, priva di qualunque compito operativo, in quanto destinata ad estinguersi non appena costituita. Il susseguirsi delle operazioni deve essere dunque ritenuto elusivo in quanto preordinato ad aggirare la disciplina dell'art. 88, comma 5, del T.U.I.R., concernente la cessione del contratto di locazione finanziaria. Parere n. 1/2005 La X è una SAS in regime di contabilità semplificata ed ha come come oggetto sociale l'amministrazione e la conduzione di beni immobili, la ripartizione, la compravendita e la permuta di terreni e fabbricati agricoli civili nonché il compimento di tutte le operazioni finanziarie, mobiliari e immobiliari, ritenute necessarie od utili per il conseguimento dello scopo sociale. Il suo capitale sociale è ripartito tra sei nuclei familiari, facenti capo ad unico stipite; ed ha sino dalla sua costituzione e quale sua unica attività, sempre e solo gestito nove unità immobiliari, erette in un'ampia palazzina più un garage, locate in parte ai soci e in parte a terzi. Gli immobili in questione sono stati rivalutati avvalendosi delle diverse disposizioni di legge che si sono succedute. Il compendio, sempre appartenuto alla famiglia, non vuole essere smembrato in quanto è intenzione di quest’ultima mantenere unitaria la proprietà del compendio, in quanto tra l'altro la sua tipologia mal si adatta ad una divisione con estranei. I soci, tutti membri della famiglia, sono peraltro in disaccordo circa le modalità di gestione del compendio, sia per quanto attiene gli investimenti da effettuare per ristrutturazione delle singole unità immobiliari sia relativamente alla tenuta del giardino sia sulle modalità di valorizzazione del complessivo patrimonio immobiliare. Tale situazione di dissidio compromette, tra l'altro, il buon funzionamento della società, in quanto rende difficoltoso un accordo sugli interventi di ristrutturazione da eseguire, con conseguente impossibilità di imporre adeguati canoni di locazione. Viene dunque ipotizzata : - una scissione totale proporzionale, con attribuzione a sei società beneficiarie, anch'esse con la forma di società in accomandita semplice, di determinate unità immobiliari aventi valore sostanzialmente coincidente fra loro, unitamente alle corrispondenti poste del passivo; - che tutti i soci di X diventerebbero soci delle sei società, nelle medesime percentuali con le quali gli stessi concorrono al capitale della società scissa; - che ogni rappresentante del nucleo familiare diverrebbe accomandatario, con ampi poteri di gestione (circa i lavori di ristrutturazione, manutenzione e disposizione), di una delle società derivate dall'operazione di scissione; - che nessun altro socio entrerebbe nelle compagini societarie delle nuove società; Pagina 275 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - che l'intero ammontare della riserva di rivalutazione monetaria iscritta nello stato patrimoniale di X verrebbe ripartito tra le sei società beneficiarie in proporzione alle rispettive quote del patrimonio netto contabile trasferite; - che la scissione avverrebbe interamente a valori contabili e fiscalmente riconosciuti in X senza emersione di plusvalenze o minusvalenze; - X, ad operazione avvenuta, si estinguerebbe; - che non si prevede la cessione a terzi di quote delle società conseguenti all'operazione di scissione in quanto la volontà dei soci di X è solo quella di mantenere complessivamente la proprietà del compendio immobiliare nella sua interezza, per se attraverso la partecipazione proporzionale a sei distinte società. In questo caso sono molto importanti le osservazioni che vengono fatte dal comitato in quanto : - X risulta essere una società finalizzata al puro godimento di un patrimonio familiare, in quanto le attività di mera gestione delle unità immobiliari di un unico compendio, in favore, peraltro, di appartenenti ad una medesima famiglia, appaiono di gran lunga prevalenti rispetto a quelle di sfruttamento economico delle residue unità immobiliari del compendio date in locazione a terzi; - X è uno strumento, a forma e struttura societaria, con il quale un numero ristretto di soggetti, diretti parenti fra loro, amministrano in comune una serie di unità immobiliari di un medesimo compendio, destinate a soddisfare esigenze abitative loro e dei loro rispettivi familiari nonché, residualmente, a creare comune provvista finanziaria (attraverso contratti di locazione attiva) verosimilmente destinata, per la maggior parte, se non per l'intero, a sopportare gli oneri di gestione del compendio immobiliare; - la prospettata operazione di scissione risulta unicamente rivolta a suddividere proporzionalmente il compendio immobiliare tra i sei rami fondamentali della famiglia, senza peraltro che questi ultimi debbano rinunciare allo strumento, a forma e struttura societaria, di gestione delle singole quote immobiliari derivanti dalla suddivisione del patrimonio; - il fatto che la sostanziale comunione persista anche dopo l'operazione prospettata emerge dalla dichiarata intenzione in ordine alla presenza, nella compagine sociale di ogni società derivante dalla scissione di tutti gli attuali soci di X, anche se l'evoluzione migliorativa del modello comune di gestione è dato dal fatto che i sei rappresentati dei rami in cui si suddivide la famiglia diventeranno accomandatari, rispettivamente, di ciascuna delle sei nuove società, nulla residuando di quella originaria (la X, invero, si estinguerebbe ad operazione conclusa); - risulta inoltre significativo l'assunto secondo il quale nessun soggetto terzo, estraneo alla compagine familiare diventerà socio di una delle sei nuove società. In questo caso il comitato valorizza anche la circostanza che la scissione ha come obiettivo quello di divenire ad un appianamento, tra i diversi rami della famiglia, delle attuali divergenze in ordine alle migliori decisioni da assumere per la gestione delle diverse quote del compendio immobiliare che soddisfano le esigenze dei medesimi rami della famiglia . Il parere positivo viene però subordinato alla persistenza nel tempo di una condizione di fatto essenziale, ossia che nessun soggetto terzo, estraneo alla famiglia , entrerà a far parte di una delle sei nuove società, rendendosi così titolare, in quota, di una porzione del patrimonio immobiliare. Tale condizione essenziale, ove venisse meno, destituirebbe automaticamente la non elusività dell’operazione in questione. Pagina 276 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Parere n. 5/2005 Una società ha come soci due coniugi e per oggetto dell’attività il commercio al dettaglio ed all'ingrosso di articoli da regalo, mobili, complementi d'arredamento ecc. Le vendite all'ingrosso vengono svolte sia in forma diretta che sotto forma di approvvigionamento alla catena di punti vendita in franchising, mentre le vendite al dettaglio vengono effettuate in punti vendita direttamente gestiti dalla società. L'attività viene esercitata, sia per l'attività di commercio all'ingrosso, che per l'attività di commercio al dettaglio, in immobili posseduti, sia in proprietà, che acquisti in forza di contratti di locazione finanziaria; soci sono giunti nella determinazione di procedere ad una separazione dell'attività commerciale da quella prettamente di gestione immobiliare e dell'intestazione della autorizzazione amministrativa relativa all'esercizio del commercio al dettaglio. L’intenzione dei soci è quella di procedere, al fine di un miglior utilizzo dei beni immobili, ad una parziale scissione della X S.p.A. (scindenda) con contemporanea costituzione di una S.r.l. (beneficiaria) le cui quote sarebbero suddivise nella percentuale del 50% ciascuno tra gli attuali azionisti della X S.p.A., quindi, mantenendo immutate le percentuali di partecipazione attualmente possedute; l'intera attività viene svolta in locali di proprietà della X S.p.A. o dalla stessa detenuti in forza di contratti di locazione finanziaria; nella nuova Società verrebbero conferite le giacenze di magazzino, le attrezzature, i mobili, tutte le immobilizzazioni immateriali, quota parte delle passività e la liquidità necessaria al funzionamento della società ed i crediti alla stessa verrebbe conferita anche la gestione della catena di franchising costituita da oltre 20 punti vendita; alla X S.p.A. rimarrebbe il patrimonio immobiliare al lordo delle passività ipotecarie gravanti sugli stessi, nonché il residuo dei canoni ancora a scadere relativi alle locazioni finanziarie; verranno trasferite alla costituenda società anche i ricavi; alla nuova impresa verranno concessi in locazione tutti gli attuali immobili ove viene svolta l'attività, sia di proprietà della scindenda che dalla stessa detenuti, in forza di contratti di locazione finanziaria; alla X S.p.A. rimarrebbe la proprietà degli immobili, la titolarità dei contratti di locazione finanziaria, parte dei crediti e dei debiti inerenti alla specifica gestione della società e dei titoli; la scissione avverrà sulla base dei valori contabili senza che emergano plusvalenze o minusvalenze di sorta; agli attuali azionisti non procederanno alla cessione delle quote da loro possedute successivamente alla effettuazione della operazione in premessa; la prescritta operazione non verrebbe effettuata ai fini di conseguire benefici fiscali, ma come già detto, ai soli fini di una migliore gestione degli immobili che verranno locati alla costituenda società con applicazione dei canoni di mercato. Il comitato osserva che la scissione in questione è una operazione di di scorporo della azienda commerciale e nel suo trasferimento, con continuità di valori fiscali, in una nuova società avente compiti operativi. La componente immobiliare resta nel patrimonio della società scissa agli stessi valori contabili e senza immutazione dell'originario regime d'impresa cui é sottoposta. Gli azionisti persone fisiche hanno dichiarato che non intendono procedere alla Pagina 277 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Parere 11/2005 cessione delle loro partecipazioni in entrambe le società dopo l'operazione di scissione. Secondo il comitato, dunque, l'operazione appare obiettivamente finalizzata alla realizzazione di situazioni giuridico economiche propriamente riconducibili alle finalità tipiche della scissione parziale e non già strumentale a soddisfare finalità proprie di altri atti o negozi giuridici, il cui compimento si rivelerebbe fiscalmente più oneroso. n. La X S.r.l. svolge l'attività di amministrazione e gestione di beni immobili ed ha un capitale sociale, ripartito tra otto soci, dei quali due (A e B) in possesso, ciascuno, di una quota pari al 38%, mentre i rimanenti (C, D, E e F, nonché G ed H) titolari, ognuno, di una percentuale del 4%; in particolare, nell'ambito della compagine societaria sono individuabili due diversi raggruppamenti di azionisti (il primo composto da A, D e C e da G, l'altro da B, E e F e da H), tra i quali si sono manifestate divergenze di interessi e di opinioni in ordine alle finalità ed alle modalità di utilizzo del patrimonio aziendale, tali da non permetterne un ottimale impiego; Si vuole dunque effettuare una scissione totale proporzionale dell'azienda in due società di nuova costituzione, ciascuna delle quali facente capo ad uno dei predetti gruppi di azionisti, cui seguirebbe l'estinzione della scissa. Successivamente alla operazione di scissione si ha che una delle società beneficiarie diverrebbe proprietaria di n. 8 unità immobiliari e subentrerebbe nel contratto di locazione finanziaria (avente ad oggetto beni immobiliari) stipulato, nel 2002, dalla scissa con l'Y S.p.A. di..... mentre all'altra impresa verrebbero conferite n. 4 unità immobiliari; le quote delle due nuove società sarebbero attribuite ai soci in misura proporzionale alla percentuale di possesso attualmente detenuta dagli stessi nella X S.r.l.; la scissione si realizzerebbe in continuità di valori contabili e fiscali e non si darebbe luogo né a concambio tra i soci, né questi ultimi procederebbero a successive cessioni di quote; l'operazione consentirebbe alle istituende entità di poter intraprendere autonome iniziative imprenditoriali e di poter disporre liberamente dei beni sociali, anche offrendoli in garanzia per ottenere finanziamenti; le predette finalità potrebbero essere perseguite anche avvalendosi di strumenti giuridici alternativi quali la cessione o l'assegnazione ai soci degli immobili, i quali, tuttavia, comporterebbero un elevato, quanto insostenibile, livello di imposizione sia diretta che indiretta. Nel caso di specie, il comitato sottolinea come la società abbia semplicemente enunciato un criterio in base al quale sussistono divergenze tra i soci in merito alle modalità di conduzione dell’attività e rileva come l’operazione in questione non non risponde ai criteri comunemente ritenuti razionalmente plausibili nell'ottica di una corretta e remunerativa gestione aziendale, apparendo, al contrario, potenzialmente idonea a generare riflessi negativi sul piano imprenditoriale, in quanto: con la sua realizzazione verrebbe meno l'attuale concentrazione in capo ad un unico soggetto economico delle funzioni concernenti l'attività di amministrazione e gestione di beni immobili, ragion per cui l'operazione non sembra produrre alcun beneficio aggiuntivo rispetto alla situazione attuale, che appare, invece, garantire la sussistenza di quelle sinergie commerciali che consentono di conseguire un risparmio in termini di costi e, di converso, un aumento della produttività; le attività che s'intendono attribuire alle costituende società darebbero luogo Pagina 278 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 ad una sovrapposizione d'interessi tra le due entità; dalla documentazione che il comitato ha esaminato non emerge alcun evidente disaccordo tra i soci della scindenda, nel senso che, qualora fosse risultato sussistere un contrasto interno alla compagine societaria (ad esempio, reso manifesto nell'ambito dei verbali del consiglio di amministrazione) l'operazione sarebbe stata suscettibile di diverso apprezzamento, in quanto le considerazioni in ordine alla validità dell'operazione avrebbero dovuto essere formulate anche alla luce dell'idoneità della scissione a far venir meno tale dissidio, capace di generare riflessi negativi sulla stessa scindenda; In merito al requisito relativo all'indebito risparmio d'imposta, nel caso in cui l'iniziativa venisse realizzata con le modalità illustrate, gli azionisti della società istante otterrebbero taluni vantaggi fiscali altrimenti non conseguibili, vale a dire: non verrebbe assoggettata a tassazione, ai sensi dell'articolo 88, comma 5, del TUIR, la sopravvenienza attiva conseguente al trasferimento della titolarità del contratto di locazione finanziaria dalla scissa ad una delle beneficiarie; che la scissione proprio perché da ritenersi sostanzialmente non proporzionale, potrebbe prestarsi ad un uso "distorto" finalizzato, in concreto, ad una mera assegnazione dei beni ai soci, eventualità questa non espressamente esclusa dall'interpellante. In questa ipotesi, infatti , qualora, cioè, anche solo una delle società beneficiarie venisse privata di operatività, risultando mero "contenitore" dei beni in essa trasferiti (come nel caso della beneficiaria che riceve n. 4 unità immobiliari, a fronte di altrettanti soci, che, di fatto, potrebbero utilizzare detti beni per fini personali), il risparmio fiscale sarebbe rinvenibile nello spostamento sine die della tassazione delle plusvalenze sui beni stessi, prevista sulla base del valore normale dei medesimi cespiti, ai sensi dell'art. 86, comma 1, lett. c), e comma 3, del T.U.I.R.; - circa il presupposto dell'aggiramento degli obblighi e divieti previsti dall'ordinamento tributario, il requisito de quo deve intendersi sussistente, in quanto riferito alle disposizioni contenute nei richiamati artt. 88, comma 5, del T.U.I.R. e 86, comma 1, lett. c), e comma 3, del T.U.I.R., da ritenersi aggirate proprio in ragione di un abuso dello strumento negoziale da parte del contribuente. Pertanto, nel caso di specie, l’operazione, non determinando una reale ottimizzazione dell'iniziativa imprenditoriale nel suo complesso, ma risultando finalizzata al trasferimento in neutralità fiscale di un contratto di locazione finanziaria dalla scindenda ad una delle aziende beneficiarie ovvero appare volta all'assegnazione di beni ai soci, presenta aspetti di elusività, in quanto priva di valide ragioni economiche e diretta a conseguire uno o più vantaggi tributari (rinvenibili nel mancato assoggettamento a tassazione del valore normale, rispettivamente, delle unità immobiliari oggetto di leasing ovvero dei beni destinati agli azionisti) da considerare indebiti, poiché realizzati attraverso l'aggiramento di obblighi previsti dall'ordinamento. Parere /2005 n. 17 In questo parere, il comitato sottolinea come una affermazione di principio in merito ad una ingestibilità della societa' a causa di "irreversibili situazioni di contrasto" fra i soci, e nella (conseguente) intenzione di separare la "attivita' commerciale vera e propria da quella connessa alla gestione delle proprieta' immobiliari", di modo che, da un lato, la societa' scindenda potrebbe proseguire la propria attivita' risolvendo "una volta per tutte" la conflittualita' fra i soci e, dall'altro, la beneficiaria potrebbe dar corso ad "una propria autonoma attivita' Pagina 279 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Parere 19/2005 parere 21/2005 n. e n. Parere 22/2005 n. di gestione immobiliare”, non costituisce una valida ragione economica per procedere alla scissione in esame. Nel caso di specie, l’operazione non è obiettivamente finalizzata a realizzare un piano di riorganizzazione aziendale nell'interesse della societa' scindenda (e di quella beneficiaria), ma a soddisfare un'esigenza di parziale scioglimento della compagine societaria, con assegnazione di una porzione del patrimonio a favore del socio uscente. Questa circostanza viene colta da una serie di elementi quali : l'unipersonalita' della societa' neo costituenda, la ristretta base familiare della compagine societaria protagonista della scissione, la riduzione numerica della compagine societaria della societa' istante a seguito della scissione, la mancanza di prospettive di ingresso di nuovi capitali e/o soci nella beneficiaria e nella scindenda, la gestione degli immobili di tipo meramente "locatizio", il silenzio su qualunque dato giuridico-economico in grado di illuminare, per la societa' istante/scindenda, nuove strategie imprenditoriali conseguenti alla scissione e, per la societa' neocostituenda, forme propriamente imprenditoriali di gestione degli immobili, nonche' la mancata indicazione dell'assenza di intendimento di cedere successivamente a terzi la quota totalitaria di partecipazione alla societa' beneficiaria. L’operazione in questione non viene dunque apprezzata come una operazione di ristrutturazione societaria ma destinata a surrogare lo scioglimento dal vincolo societario da parte del socio detentore del 23% del capitale e l'assegnazione ad esso di una porzione del patrimonio immobiliare e, quindi, un'operazione negoziale che, piu' congruente sul piano giuridico rispetto alle finalita' concretamente perseguite, risulterebbe, tuttavia, fiiscalmente piu' onerosa, facendo emergere basi imponibili Una scissione che determini il trasferimento del patrimonio immobiliare della societa' scissa ad una costituenda societa' beneficiaria, con continuazione da parte della societa' scissa dell'attivita' d'impresa non immobiliare gia' in atto, e che sia preordinata alla sottrazione degli immobili ad una gestione imprenditoriale in forma societaria, bensi' alla separazione tra l'attivita' di gestione immobiliare e l'attivita' d'impresa, gestita dalla societa' scissa, appare sorretta da valide ragioni economiche giacche' consente, da un lato, di separare dall'attivita' commerciale in senso stretto della societa' scissa l'attivita' immobiliare, concentrando quest'ultima in capo ad un nuovo soggetto societario, che puo' esercitarla secondo logiche imprenditoriali distinte ed appropriate al settore immobiliare, e, dall'altro, di favorire l'ingresso di nuovi soci nella societa' scissa. Una società è proprietaria di un compendio di immobili. Essa detiene, inoltre, il 100% del capitale sociale di un'altra societa' a responsabilita' limitata, denominata Y, che pure ha per oggetto sociale la costruzione e la vendita di immobili e che risulta proprietaria unicamente di un terreno edificabile, in relazione al quale e' atteso il rilascio dei titoli autorizzatori necessari per l'edificazione di immobili di edilizia residenziale. I soci della societa' istante sono due societa' a responsabilita' limitata, titolari del capitale sociale rispettivamente nella misura del 33,33% e del 66,67%; IL progetto descritto riguarda : - fusione per incorporazione della societa' controllata da parte della societa' Pagina 280 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 istante/controllante; - scissione della societa' istante/incorporante a favore di due societa' beneficiarie di nuova costituzione, ciascuna delle quali cadrebbe nella titolarita' di un socio unico, da identificarsi, rispettivamente, nell'una e nell'altra delle due societa' che compongono attualmente la compagine societaria della societa' istante; il patrimonio immobiliare di quest'ultima verrebbe ripartito fra le due societa' beneficiarie della scissione in misura proporzionale alle quote di capitale che ciascuna delle due societa'-socie attualmente detiene nella societa' istante/scindenda (33,33% e 66,67%); - fusione per incorporazione di ciascuna delle due societa' beneficiarie della scissione da parte del rispettivo socio unico; L’obiettivo è far divenire i soci direttamente proprietari del patrimonio immobiliare, al fine di poter procedere in autonomia, sul piano operativo e su quello finanziario, allo svolgimento dell'attivita' edilizia, dopo aver registrato in proposito forti contrasti. Il comitato sottolinea come l'operazione in questione e' obiettivamente finalizzata non a realizzare un piano di riorganizzazione aziendale nell'interesse delle societa' protagoniste degli atti di fusione e di scissione, ma a soddisfare un'esigenza di scioglimento della compagine societaria istante, con ripartizione fra i soci del suo patrimonio. Infatti : mediante la prima fusione (con cui la societa' istante incorporerebbe la propria controllata) i soci della societa' istante eliminerebbero un primo schermo societario (la societa' controllata al 100%) fra se' ed il terreno edificabile, che verrebbe a ricadere nel patrimonio della societa' istante; con la scissione non proporzionale (che nell'istanza viene qualificata come "parziale", ma che in realta' presenta i caratteri di una scissione totale, dato che la societa' istante si annullerebbe completamente, perdendo integralmente il proprio patrimonio a favore delle due societa' beneficiarie) si darebbe luogo, poi, ad una divisione del patrimonio (immobiliare) della societa' istante, ormai comprensivo degli immobili gia' edificati ed in corso di vendita e del terreno ancora da edificare; attraverso la successiva fusione (con cui le due societa' beneficiare della scissione verrebbero incorporate ciascuna dal proprio unico socio) si realizzerebbe, infine, l'effetto finale di ripartizione del patrimonio immobiliare fra le due societa' attualmente costituenti la compagine societaria della societa' istante, con integrale eliminazione di qualunque schermo societario intermedio. Conseguentemente, non vi sarebbe "sopravvivenza" ne' della societa' istante, ne' delle altre societa' protagoniste delle fusioni e della scissione (vale a dire, la societa' integralmente controllata dalla societa' istante e le due societa' di nuova costituzione destinate a beneficiare della scissione). Rimarrebbe, invece, ,immutata l'attivita' imprenditoriale (costruzioni edilizie e relative compravendite), oggi facente capo alla societa' istante e alla sua controllata e che all'esito dell'operazione in esame verrebbe svolta, invece, direttamente e separatamente, dai due soggetti societari attualmente soci della societa' Pertanto, non sono, dunque, ravvisabili i tratti di una riorganizzazione imprenditoriale e aziendale delle societa' oggetto di fusione e di scissione, rispetto alla quale i "movimenti" di soci e di cespiti patrimoniali si pongano in termini obiettivamente strumentali, come in un rapporto tra fine e mezzi; l'operazione prospettata appare, invece, destinata a surrogare, lo scioglimento del vincolo societario da parte dei soci della societa' istante e la ripartizione fra Pagina 281 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Parere /2005 n. di essi del patrimonio immobiliare e, quindi, un'operazione negoziale che, piu' congrua sul piano giuridico rispetto alle finalita' concretamente perseguite, risulterebbe, tuttavia, fiscalmente piu' onerosa, facendo emergere basi imponibili. 32 La societa' X SpA svolge attivita' di produzione di pompe per l'industria alimentare e farmaceutica ed utilizza, a tal fine, un consistente patrimonio immobiliare. Allo scopo di finanziare alcuni investimenti, la stessa intende porre in essere un'operazione di lease-back riguardante uno dei cespiti immobiliari attualmente in uso, deducendo fiscalmente i canoni di locazione finanziaria; La societa' porra' poi in essere un'operazione di scissione parziale con scorporo del patrimonio immobiliare e del contratto in corso di lease-back a favore di una beneficiaria di nuova costituzione e, conseguentemente, la stessa beneficiaria affittera' il patrimonio immobiliare alla scissa e subaffittera' l'immobile in lease-back sempre alla societa' scissa. La beneficiaria svolgera' esclusivamente attivita' di locazione di beni immobili propri o assunti in leasing (affittandoli alla societa' scissa X SpA) e continuera' a dedurre fiscalmente il costo della locazione finanziaria ed a detrarre l'IVA addebitata unitamente ai canoni. Le ragioni economiche prospettate a sostegno dell'operazione sono molteplici: i soci fondatori desiderano mantenere la proprieta' degli immobili e permettere al contempo l'ingresso nella compagine sociale dei figli, dei dipendenti, o di terzi, limitando il piu' possibile l'esborso monetario da parte di questi ultimi; intendono, altresi', svolgere una vera e propria attivita' immobiliare, nettamente distinta dall'attivita' di produzione di pompe, anche dal punto di vista gestionale, escludendo in tal modo il patrimonio immobiliare dal rischio d'impresa; Secondo il comitato l’operazione in questione non è elusiva in quanto i beni del patrimonio immobiliare oggetto di scissione non vengono sottratti al regime dei beni d'impresa, ma mantengono i relativi plusvalori che concorreranno al reddito secondo le regole vigenti al momento in cui gli stessi verranno ceduti o assegnati ai soci. La circostanza ulteriore che la societa' beneficiaria concedera' in locazione a prezzi di mercato gli immobili acquisiti dalla scissa e subaffittera' l'immobile detenuto per effetto della cessione del contratto di lease-back, non sembra generare alcun illecito risparmio d'imposta dal momento che i canoni costituenti costi per la societa' scissa daranno luogo, correlativamente, a componenti positivi di reddito per la societa' beneficiaria neocostituita. Pagina 282 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 II.3. I CONFERIMENTI DI AZIENDE, PARTECIPAZIONI E BENI II.3.1. Premessa La riforma del diritto societario ha introdotto forme di conferimento in società diverse da quelle tradizionali; contemporaneamente, l'ordinamento tributario societario ha conosciuto in termini pressoché contemporanei una nuova stagione con "opzioni" di politica legislativa fiscale evidentemente innovative. La specificità della disciplina civilistica della società a responsabilità limitata si rapporta a quella fiscale dei conferimenti nell'assetto raggiunto con le modifiche apportate al Tuir 22 dicembre 1986, n. 917 dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344. Il quadro normativo di riferimento è disegnato da disposizioni riferibili al conferimento nella sua genericità oppure circoscritte al solo profilo del valore di quanto conferito e di quanto ricevuto 1, da disposizioni più specificamente indirizzate ai componenti reddituali che si potrebbero originare dal conferimento inteso quale cessione a titolo oneroso di beni relativi all'impresa2 oppure a tipologie di conferimenti individuate in ragione del loro oggetto3. All'interno di un quadro normativo che contiene regole generali e regole per "tipi" occorre accertare i "termini" della fiscalità dei diversi modelli di conferimento (di denaro o di beni, di opere e servizi, di azienda e di partecipazioni, proporzionali e non proporzionali). II.3.2. Alcuni dati di partenza. Il conferimento quale atto oneroso, con effetti non traslativi/corrispettivi ma sostitutivi e con funzione organizzativa - L'operazione di conferimento può essere osservata sotto molteplici angolature, peraltro comuni all'indagine giuscommercialistica del fenomeno, le quali, qui si anticipa, sembrano offrire elementi utili a cogliere un loro regime di neutralità fiscale in una prospettiva sistematica e non meramente agevolativa. a) L'art. 9, comma 4, del Tuir ai fini delle imposte sui redditi equipara il conferimento ad una cessione a titolo oneroso e, quindi, ad un negozio giuridico idoneo a realizzare plusvalenze sui beni conferiti imponibili in base alle condizioni di cui agli artt. 58 e 86 del Tuir (natura onerosa)4. b) La circostanza che all'avvenuto conferimento segua l'attribuzione al conferente di quote di partecipazione evidenzia, peraltro, un fenomeno nel quale l'interesse economico delle parti si soddisfa mediante una "sostituzione" a livello patrimoniale di beni "di primo grado" (denaro, beni in natura, opere e servizi) o "di secondo grado" (partecipazioni) con beni necessariamente "di secondo grado" (partecipazioni emesse dalla conferitaria): di qui un profilo anche permutativo del conferimento (natura permutativo/sostitutiva). c) Peraltro, poiché il conferimento può, ora, avere ad oggetto anche mere "entità" comunque di immediata utilità per la società conferitaria (esempio: l'azienda), emerge un ulteriore aspetto dell'operazione: quello funzionale. In ragione del conferimento e della particolare natura del suo oggetto si massimizza, infatti, l'efficienza della conferitaria nonché, in una logica di gruppo, si soddisfano esigenze anche di organizzazione dell'impresa a livello metaindividuale distribuendo nei singoli centri dell'articolazione imprenditoriale di gruppo le diverse "utilità" conferibili (natura funzionale e organizzativa). Nel conferimento il trasferimento del bene appare solo strumentale alla causa del negozio così come accade per le operazioni societarie straordinarie (fusioni e scissioni). Per tale funzionalità il conferimento dovrebbe essere considerato anche 1 Valore normale - art. 9 del Tuir. Plusvalenze artt. 58 e 86 del Tuir; plusvalenze esenti - art. 87 del Tuir; minsuvalenze - art. 101. Azienda - artt. 58 e 175 del Tuir; partecipazioni e partecipazioni esenti - artt. 86, 87 e 175 del Tuir. 4 In ragione della quale le plusvalenze dei beni conferiti verrebbero assoggettate ad imposizione progressiva e proporzionale a seconda della natura del soggetto conferente (persona fisica o meno, imprenditore individuale, collettivo non societario e collettivo societario). 2 3 Pagina 283 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 ai fini fiscali un atto non di realizzazione ma di organizzazione nel quale i beni conferiti non perdono la loro destinazione imprenditoriale ma vengono solo sostituiti dalle partecipazioni ricevute in una successione di "beni" di "grado" diverso. II.3.3. Assenza di corrispettività e necessità di valorizzazione oggettiva dei beni trasferiti in occasione del conferimento Le circostanze che il conferimento abbia natura non traslativa/corrispettiva ma funzionale/riorganizzativa e che il suo oggetto, alla luce della riforma del diritto societario, si sia ampliato a tutte quelle "entità" utili per lo svolgimento dell'impresa accomunano il diritto societario al diritto tributario nella necessità di individuare i valori dei beni (di primo e di secondo grado) conferiti e delle partecipazioni ricevute, individuazione che può essere soggettiva ove espressione delle scelte dei privati ed oggettiva ove demandata ad un terzo o effettuata dal legislatore. Mentre ai fini civilistici l'oggettivizzazione del valore sembra giustificata principalmente dall'esigenza di garantire l'effettività del capitale sociale peraltro attenuata, soprattutto nelle S.r.l., nel diritto tributario essa dovrebbe permettere di accertare se all'assunta natura permutativa del conferimento consegua o meno un effetto reddituale e, in caso affermativo, se ed a quali condizioni la libertà di valutazione rimessa alle parti in occasione del trasferimento dei beni relativi all'impresa "attribuiti" e "ricevuti" condizioni l'esistenza e l'entità di incrementi o decrementi patrimoniali a valenza reddituale. L'incontro o scontro tra valorizzazioni di natura soggettiva ed oggettiva si percepisce quando il valore del bene conferito è diverso da quello della partecipazione ricevuta e tale plus (o minus) valore resta allo stato latente non emergendo nella base imponibile5. Il trasferimento dei beni a valori fiscali asimmetrici potrebbe causare un salto di imposta ogniqualvolta il beneficiario assuma un valore fiscale superiore a quello del suo dante causa o, in senso contrario, una doppia imposizione se il valore assunto come imponibile non acquistasse, in ragione di ciò, un riconoscimento fiscale. Il medesimo potrebbe, peraltro, far presumere che le parti, tramite un negozio non organizzatorio ma prettamente traslativo/corrispettivo destinato al mercato, abbiano un intento (anche) realizzativo del maggior (o minor) valore dei beni di primo o di secondo grado trasferiti, valore che avrebbe così valenza reddituale. La possibile divergenza dei valori fiscali attribuiti dalle parti e la conseguente natura del conferimento meramente permutativa e sostitutiva senza effetti reddituali, nonostante un incremento o decremento latente del patrimonio, giustifica la tutela dell'interesse erariale di certezza pro fisco tramite l'oggettivizzazione del "corrispettivo" del conferimento e, dunque, la normalizzazione dei valori di (bene di primo e di secondo grado) trasferiti (artt. 9 e 175 del Tuir). a) a) Prima della L. n. 503/1994 il conferimento rappresentava un'ipotesi di realizzo di plusvalenze per il conferente laddove il valore normale dei beni conferiti quale corrispettivo superasse il valore fiscalmente riconosciuto dei medesimi rispetto al valore delle partecipazioni; per il conferitario ciò avrebbe comportato la possibilità di iscrivere quanto conferito ad un valore pari a quello normale di cui al corrispettivo senza alcun salto di imposta o doppia imposizione poiché il valore imponibile per un soggetto corrispondeva al valore deducibile per altro soggetto. b) b) La L. n. 503/1994, eliminando per il conferimento nelle sole società non quotate, il riferimento di cui all'art. 9 all'individuazione del corrispettivo nel valore normale di beni conferiti creò un vuoto normativo. Tale lacuna sarebbe stata colmabile riconoscendo che se il legislatore, in tale occasione, aveva voluto abbandonare il criterio della valorizzazione in ragione di quanto conferito, si potesse verificare, ai fini della 5 Si pensi al plusvalore latente di cui godrebbe il conferente se a seguito del conferimento le partecipazioni ricevute avessero, di fatto, un valore superiore a quello dei beni conferiti e, viceversa, se il valore del "bene" ricevuto fosse superiore a quello della partecipazione attribuita e, dunque, a quello del capitale assegnato con il riconoscimento per il conferitario di un maggior costo fiscale spendibile in sede di determinazione dell'eventuale plusvalenza (o minusvalenza) realizzabile a seguito della cessione del "bene" conferito dal patrimonio del conferitario. Pagina 284 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 plusvalenza o minusvalenza da conferimento, quale fosse il valore attribuito alle partecipazioni ricevute utilizzando i criteri fissati nell'art. 9 ovvero il riferimento al patrimonio netto della conferitaria affatto corrispondente a quello venale; in questo modo il conferimento avrebbe manifestato ricchezza imponibile qualora il conferente avesse iscritto le participazioni ricevute ad un valore superiore alla quota di patrimonio netto della conferitaria oppure il conferitario avesse proceduto ad un incremento del patrimonio netto superiore al valore delle partecipazioni così come iscritte dal conferente. c) c) Nella vigenza dell'art. 4 del D.Lgs. n. 358/1997 il conferimento di azienda godeva di un regime di doppia sospensione seppur solo tra enti commerciali; in particolare, il regime di irrilevanza delle plusvalenze e minusvalenze era condizionato, oltre che al possesso dell'azienda per un periodo non inferiore a tre anni, alla circostanza che per il conferente il valore fiscale delle partecipazioni ricevute fosse pari a quello dell'azienda conferita e che la conferitaria evidenziasse in un apposito prospetto di riconciliazione i valori di bilancio ed i valori fiscalmente riconosciuti. d) La simmetria di valori e, di converso, l'individuazione dei plus - o minusvalori veniva garantita con la previsione che la conferitaria recepisse i valori fiscali che la conferente aveva attribuito all'oggetto del conferimento e che la conferente attribuisse alle partecipazione un valore da iscriversi nel bilancio corrispondente. e) d) All'indomani della riforma intervenuta con il D.Lgs. n. 344/2003 si considera "corrispettivo conseguito il valore normale dei beni e dei crediti conferiti" (art. 9, comma 2, del Tuir)6 individuato, in alcuni casi, nel valore di mercato [art. 9, comma 3, e comma 4, lettere a) e c), del Tuir] ed in un altro (quote di partecipazione in società non quotate) in quello in proporzione con il patrimonio netto o all'ammontare complessivo dei conferimenti [art. 9, comma 4, lettera b), del Tuir]. La regola di cui al comma 2 dell'art. 9 intende raccordare il valore delle partecipazioni ricevute a quello dell'"oggetto" del conferimento al fine di evitare che vi sia un valore di iscrizione nella conferitaria superiore a quello delle partecipazioni; pertanto, laddove a seguito dell'apporto il conferente sia assegnatario non di quote di partecipazione ma solo di strumenti finanziari partecipativi che non determinano alcun incremento del capitale il criterio di cui al comma 2 non sarebbe applicato7. In ordine al valore normale alla cui stregua valutare l'oggetto del conferimento ai sensi dell'art. 9 del Tuir nel caso dei soli conferimenti in società quotate nonché proporzionali il valore (corrispettivo) non potrà in nessun caso essere inferiore al valore normale fissato dall'art. 9, comma 4, lettera a), nella media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese o, se di nuova costituzione, all'ammontare complessivo dei conferimenti, valori questi affatto condizionati da pattuizioni soggettive; a tale valore si dovrà iscrivere la partecipazione ricevuta. Qualora, invece, il conferimento non sia proporzionale tale parametro non dovrebbe essere necessariamente applicato. Per i conferimenti di azienda o di partecipazioni di controllo o di collegamento, escluse dal regime di esenzione di cui all'art. 87 del Tuir (la cosiddetta participation exemption o pex), è "valore di realizzo quello attribuito alle partecipazioni, ricevute in cambio all'oggetto conferito, nelle scritture contabili del soggetto conferente ovvero, e superiore,quello attribuito all'azienda o alle partecipazioni conferite nelle scritture contabili del soggetto conferitario" (art. 175 del Tuir). Da un simile quadro normativo si può, allora, desumere l'esistenza di criteri di valorizzazione dei "beni" che vengono trasferiti in occasione del conferimento secondo regole di normalità e di oggettività; ad essa si 6 Si deve notare, sotto il profilo dell'accertamento, che la presunzione che il corrispettivo corrisponda a valori normali non escluderebbe, secondo un indirizzo giurisprudenziale (Cass., Sez. trib., 6 dicembre 2001, n. 15442) che l'Amministrazione finanziaria possa provare un maggior valore imponibile dal momento che la norma avrebbe la sola funzione di invertire l'onere della prova a favore del contribuente che dichiarasse il valore indicato nella norma; ad altra conclusione si potrebbe giungere laddove si osservasse che la norma opera in termini di qualificazione legale/presunzione assoluta. 7 In questo senso la risposta dell'Agenzia delle Entrate ai cosiddetti quesiti di Telefisco 2005 sulle novità della Finanziaria e sull'applicazione dell'Ires. Pagina 285 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 affianca, come vedremo nel paragrafo che segue, il principio per cui, laddove sia conferita un'azienda o una partecipazione, si configura un valore di realizzo così normalizzato qualora il valore del "bene" conferito e quello della partecipazione ricevuta non siano simmetrici ma, invece, fra loro diseguali. Si è, così, circoscritta la rilevanza del richiamo alla situazione patrimoniale della conferitaria che, in passato, condizionava il conferimento effettuato a favore di società non quotate legando in modo del tutto irragionevole la determinazione del reddito in capo al conferente a situazioni patrimoniali della conferitaria. Di conseguenza il criterio del valore di quanto conferito esposto dal comma 2 dell'art. 9 del Tuir, dovrebbe, quindi, riferirsi ai conferimenti di tutti quei "beni" diversi da partecipazioni in società non quotate al fine sia di individuare il valore fiscalmente riconosciuto che di determinare l'eventuale plusvalenza. Ciò comporta un necessario rinvio al valore peritale dal momento che la scelta del legislatore è stata quella di non richiamare il valore di borsa, impossibile per le società non quotate; di conseguenza, si assisterebbe ad un condizionamento del valore fiscale da parte di quello civilistico di natura convenzionale e non normativamente predeterminato8. L'art. 177, comma 2, del Tuir, peraltro, prescrive una valorizzazione puntuale ed affatto "normale" per le partecipazioni ricevute dall'impresa conferente a seguito di un conferimento di partecipazione con il quale la conferitaria acquista il controllo di una società nei termini del controllo ex art. 2359 del codice civile. Il valore è stabilito, in contrapposizione al valore fiscalmente riconosciuto in sede di determinazione della plusvalenza, "in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento": sembra, allora, che l'iscrizione nel bilancio della partecipazione ricevuta dalla conferente ad un valore diverso, perché superiore, da quello fiscalmente riconosciuto e, in linea generale, il mancato allineamento tra valori fiscali e valori civilistici possa dare luogo ad una plusvalenza solo fiscale ma non civilistica. II.3.4. Assenza di corrispettività, funzione organizzativa e continuità dei valori fiscali fra beni di "primo" e di "secondo" grado: condizione di neutralità speciale o generale? Ampliando e razionalizzando l'ambito applicativo di disposizioni già presenti nell'ordinamento a seguito dell'esperienza legislativa della Riforma cosiddetta Visco9, il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344 nell'art. 176 del Tuir sembra recepire una ricostruzione della neutralità fiscale dei conferimenti in chiave sistematica per quanto, almeno letteralmente, circoscritta al conferimento della sola azienda. La continuità dei valori fiscalmente riconosciuti all'azienda conferita in quelli dei beni iscritti dalla società conferitaria e nelle partecipazioni ricevute dal soggetto conferente è, infatti, apprezzata dal legislatore al fine di escludere o, quantomeno, rinviare la rilevanza dei plusvalori o minusvalori dei beni conferiti e delle partecipazioni ricevute per il (solo) conferimento di azienda (art. 176 del Tuir). L'emersione di materia imponibile viene condizionata, nella ratio legis, ad una diversità di valori fiscali fra un bene di "primo grado" (l'azienda) ed un bene di "secondo grado" (la partecipazione); si realizza, infatti, un plusvalore imponibile in ragione della sola asimmetria dei valori dell'oggetto del conferimento e della partecipazione ricevuta di modo che non si avrà 8 La relazione di stima richiesta dagli artt. 2343 e 2465 del codice civile, peraltro di un esperto liberamente scelto dal conferente laddove si tratti di conferimento in una S.r.l., ha la funzione di evitare che la partecipazione assegnata sia superiore al valore del conferimento operato al di fuori delle ipotesi in cui si sia espressamente deciso di procedere a conferimenti non proporzionali; in realtà, la tutela dell'integrità del capitale sociale è garantita dal controllo effettuato sulla somma dei conferimenti; per le S.r.l. ciò è chiarito dall'art. 2464 del codice civile. 9 In tale contesto normativo (D.Lgs. n. 358/1997) - che peraltro richiama, con l'eccezione della permanenza di una stabile organizzazione, la disciplina dei conferimenti di aziende infracomunitari - l'inidoneità del conferimento a realizzare plusvalenze era circoscritta al solo conferimento in società di capitali di aziende purché possedute per un periodo inferiore a tre anni (art. 4) e a condizione del mantenimento in capo al conferitario degli originari valori fiscalmente riconosciuti; tale regola non era applicabile per i conferimenti di partecipazioni di controllo e per quelli di azienda in società di persone o imprese individuali per i quali si disponeva (art. 3) solo la coincidenza del valore delle partecipazioni ricevute a quello delle partecipazioni conferite o, se superiore, a quello attribuito alle stesse dalla conferitaria, ciò per ragioni di mera semplificazione nella determinazione della plus (o minus-) valenza. Pagina 286 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 realizzo qualora i valori siano simmetrici in ragione della scelta delle parti di conservare nelle rispettive sfere giuridiche i valori fiscali dei beni conferiti e attribuiti. Peraltro, la non emersione di plusvalenze latenti a seguito della continuità dei valori fiscali di per sé non pregiudicherebbe l'interesse erariale all'acquisizione dell'imposta: il plusvalore non emerso a seguito della simmetrica valutazione sarebbe tassabile in occasione della cessione della partecipazione da parte del conferente o del bene conferito da parte del conferitario. Se le conclusioni sopra accennate di per sé non sembrano condizionate dalla natura aziendale del bene conferito, l'art. 176 del Tuir potrebbe, allora, essere interpretato quale espressione di un principio (neutralità del conferimento con continuità dei valori fiscali) estensibile anche a conferimenti con oggetto diverso dall'azienda ovvero di partecipazioni. La regola, se generalizzata, si rivela coerente ai caratteri del conferimento come negozio privo di natura corrispettiva10, avente, invece, funzione organizzativa dell'impresa. Infine, si rammenta che l'art. 176, comma 3, del Tuir riconosce alla continuità dei valori fiscali l'idoneità a provare la natura funzionale/organizzativa dell'operazione di conferimento (ovvero le sue valide ragioni economiche) escludendo che l'operazione sia sindacabile ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 qualora il bene conferito sia trasferito dalla società conferitaria con negozi non organizzativi ma traslativi, quando la partecipazione ricevuta sia ceduta beneficiando del regime dell'esenzione totale di cui all'art. 87 del Tuir oppure la conferitaria sia "non operativa" non svolgendo, all'epoca del conferimento, un'effettiva attività di scambio poiché l'imponibilità delle plusvalenze latenti viene conservata in capo al cessionario delle partecipazioni11. II.3.5. Il conferimento di azienda Il conferimento dell'azienda o di un ramo aziendale è disciplinato senza alcuna distinzione tipologica della società conferitaria; pertanto, l'articolato quadro di riferimento sarà quello proprio dell'operazione nella sua genericità12. La riforma tributaria ha conservato per il conferente (imprenditore o non imprenditore) la tassazione separata delle plusvalenze compreso l'avviamento derivanti dalla cessione a titolo oneroso di aziende possedute da più di cinque anni (artt. 17, comma 1, e 58, comma 1, del Tuir). Per il solo conferente imprenditore il legislatore costruisce una disciplina articolata. a) Per i conferenti imprenditori societari l'art. 86, comma 2 del Tuir prevede la tassazione delle plusvalenze aziendali compreso il valore dell'avviamento; nel caso in cui alla cessione segua a titolo corrispettivo il trasferimento di un'azienda o ramo aziendale, la plusvalenza sarà rappresentata dall'eventuale conguaglio in denaro. Sempre per gli imprenditori commerciali anche se individuali o non residenti l'art. 175, comma 1, dispone che se il conferimento di azienda è effettuato a favore di un soggetto anche non residente (purché in quest'ultimo caso l'azienda si trovi in Italia), il valore di realizzo è rappresentato da quello attribuito alle partecipazioni ricevute o, se inferiore, a quello attribuito dal conferitario all'azienda ricevuta in base, quindi, 10 Dal carattere corrispettivo ed affatto permutativo è il leasing azionario il quale, sempre afferente alla più ampia fenomenologia delle fattispecie di investimento in società è stato disconosciuto come causa di ammortamento dei beni ma, invece, qualificato come negozio strumentale all'acquisto della proprietà della partecipazione ed avente ad oggetto un bene non ammortizzabile di modo che il canone di leasing non sarà fiscalmente deducibile come, invece, i canoni per la locazione finanziaria di beni effettivamente ammortizzabili perché soggetti a logorio e obsolescenza; ciò anche in ragione del regime dell'operazione di acquisto diretto il cui costo non è ammortizzabile; pertanto, l'operazione fiscalmente rilevante sarà la finale (ma eventuale) cessione il cui valore sarà determinabile quantomeno nella somma dei canoni corrisposti e della rata finale di riscatto (cfr. Ris. Agenzia Entrate 10 maggio 2004, n. 69/E). 11 Si pone, però, il problema di stabilire se tale insindacabilità, che alla lettera varrebbe per i conferimenti effettuati con la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti ex art. 176, valga o meno anche per quelli effettuati a valori correnti ovvero contabili in quanto corrispondenti al valore dell'oggetto del conferimento o delle partecipazioni ricevute ex art. 175 del Tuir. La questione potrebbe essere risolta in due maniere alternative: o ritenendo estensibile la disposizione dell'art. 176 oppure accettando la diversità e, dunque, che i conferimenti ex art. 175 con successiva cessione siano sindacabili ex art. 37-bis sebbene in questo caso si potrebbe dubitare della ragionevolezza della discriminazione. 12 Definito dagli artt. 17, 58, 86, 175 e 176 del Tuir. Pagina 287 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 a scelte convenzionali delle parti che potranno divergere nel quantum dal valore normale fissato dall'art. 9 del Tuir. b) In altra prospettiva, il legislatore introduce un regime di neutralità fiscale del conferimento di azienda richiamando quando già disposto dall'art. 58 del Tuir per il trasferimento dell'azienda per causa di morte o per atto gratuito, ovvero, che la mancata realizzazione di plusvalenze aziendali è condizionata all'assunzione della stessa da parte del beneficiario agli stessi valori fiscalmente riconosciuti che i beni avevano in capo al dante causa. In particolare, ex art. 176 del Tuir, se il conferitario è una società soggetta all'Ires residente ed il conferente un imprenditore commerciale anche non societario ma comunque residente il conferimento dell'azienda non costituisce realizzo di plusvalenze o minusvalenze a condizione che il conferente assuma le partecipazioni ricevute all'ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda13 non essendo più richiesto il vincolo del previo possesso triennale dell'azienda di cui al D.Lgs. n. 358/1997. Un elemento che dovrebbe testimoniare l'apprezzamento da parte del legislatore, per la valenza organizzativa ed affatto traslativo/corrispettiva del conferimento di azienda, si individua nell'art. 176, comma 4, del Tuir il quale dispone che, a fronte della neutralità fiscale del conferimento di azienda, le partecipazioni ricevute siano iscritte, nel bilancio della conferente come immobilizzazioni finanziarie con continuità anche dell'anzianità di iscrizione. La neutralità del conferimento di azienda condizionata alla continuità dei valori fiscalmente riconosciuti dell'azienda in capo al conferitario in quanto circoscritta ai soli conferitari società commerciali ed enti commerciali, esclude le società di persone, gli imprenditori individuali nonché gli enti non commerciali che esercitano un'attività commerciale in via non principale: ciò causa una discriminazione nella circolazione di aziende sulla base della natura dell'oggetto dell'attività principale della cui ragionevolezza si può ben dubitare. Con riguardo al conferimento in S.r.l. dell'unica azienda dell'imprenditore individuale nonché dell'impresa familiare in S.r.l. e, dunque, ad una trasformazione cosiddetta impropria, l'art. 176, comma 6, del Tuir si preoccupa di riconoscere espressamente l'applicabilità dell'antecedente art. 175 di modo che la plusvalenza sarebbe realizzata solo in caso di asimmetria tra il valore attribuito alla partecipazione ricevuta e quello dell'azienda conferita. In base all'art. 175, ultimo comma, del Tuir l'eventuale cessione delle partecipazioni ricevute dal conferente imprenditore individuale darà luogo ad un reddito diverso con un costo fiscale della partecipazione, eventualmente plusvalente, individuato in quello attribuito dal conferente alle partecipazioni ricevute nelle proprie scritture contabili o, se superiore, in quello dell'azienda conferita; la tassazione delle plusvalenze aziendali latenti viene quindi, anche in questo caso rinviata al momento del trasferimento della partecipazione il quale, diversamente da quanto accadeva nella vigenza del D.Lgs. n. 358/1997, non è più considerato come "appartenente" al mondo dell'impresa, anche quando la vendita avvenga nel triennio successivo al conferimento dell'unica azienda. II.3.6. I conferimenti di partecipazioni, il rapporto con la cosiddetta participation exemption e la prospettiva di una neutralità sistematica Il conferimento di partecipazioni, al pari di quello di azienda, non presenta peculiarità in ragione della natura della conferitaria. 13 Il regime di neutralità sopra descritto comporta, quindi, l'emersione di una plusvalenza ai soli fini civilistici, in quanto iscritta tramite imputazione nel conto economico, nonché un maggior valore (quello conseguente al corrispettivo pagato) rilevante ai soli fini civilistici e superiore a quello fiscalmente riconosciuto inferiore in coerenza alla non imponibilità della plusvalenza. Pagina 288 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Tale tipologia di conferimento, in quanto cessione a titolo oneroso di beni relativi all'impresa, è idonea a realizzare plusvalenze imponibili eventualmente rateizzabili se qualificabile ai sensi dell'art. 86, comma 4, del Tuir. Ad essa, dunque, si applicherà il criterio fissato dall'art. 9, comma 2 del Tuir alla cui stregua si considera corrispettivo il valore normale dei beni (alias partecipazioni) conferiti. Per i conferimenti delle sole partecipazioni di controllo o di collegamento definite dall'art. 2359 del codice civile, effettuati tra soggetti imprenditori commerciali residenti in Italia, il valore di realizzo, al pari di quanto previsto per il conferimento dell'azienda tra i medesimi soggetti, ai sensi dell'art. 175 del Tuir, è individuato in quello attribuito alle partecipazioni ricevute o, se inferiore, a quello attribuito dal conferitario delle partecipazioni. Ad un primo livello di analisi, dunque, il conferimento darebbe luogo a plusvalenze imponibili salva la neutralità per talune partecipazioni ed in presenza di valori fiscali simmetrici. Scendendo nel dettaglio della disciplina si nota come l'imponibilità delle plusvalenze da partecipazioni sia esclusa dal legislatore qualora il conferimento costituisca un'ipotesi di trasferimento che possa godere della cosiddetta participation exemption (pex) in assenza dei cui requisiti il conferimento originerà una componente positiva di reddito. Si aggiunga, a riguardo, che se le partecipazioni conferite siano prive dei requisiti richiesti dall'art. 87 del Tuir per il regime di esenzione e le partecipazioni ricevute dal conferente "non" siano "anch'esse prive" dei medesimi, ad eccezione di quello di cui alla lettera a) dell'art. 87 (ininterrotto possesso) si applicherà il criterio di determinazione del valore di realizzo non del comma 1 dell'art. 175 (valore più alto fra quello delle partecipazioni ricevute e quello dell'azienda o delle partecipazioni conferite) ma dell'art. 9 del Tuir (valore normale). In ordine alla sussistenza, in capo alla conferente l'azienda, dei requisiti delle partecipazioni per godere della pex14, la natura sostitutiva del conferimento (anche) di azienda, soprattutto se effettuato in continuità dei valori fiscali, giustificherebbe una continuità dell'anzianità di possesso del bene conferito nella partecipazione; di ciò si avrebbe conferma nell'art. 176, comma 4, del Tuir. Per quanto riguarda l'effettività dell'impresa commerciale esercitata dalla partecipata, le cui quote siano cedute dal conferente l'azienda, il requisito dovrebbe proseguire in ragione della continuità di posizioni tra conferente e conferitario di un'azienda di modo che un'eventuale conferitaria non operativa lo diverrebbe in ragione del conferimento di un'azienda con l'anzianità dell'effettività che deriva dalla conferente anche quando questa cedesse le partecipazioni; negare la continuità e, dunque, far decorrere l'anzianità dalla data del conferimento contrasterebbe con la circostanza che l'impresa partecipata godrebbe di un'azienda già posseduta da altri per assumere una (nuova) fisionomia operativa15. Con riguardo al caso inverso del conferimento di un'azienda di una società sostanzialmente non operativa si può dubitare dell'esistenza e continuità del requisito dell'effettività dell'impresa: in assenza di una nozione generale di società senza impresa e di impresa solo apparente, salvo nozioni settoriali ed a fronte di requisito dell'effettività che sembra presumibile quantomeno in via relativa in ragione della forma societaria adottata, dovrebbe essere onere dell'ufficio dimostrare, in sede di disconoscimento dell'anzianità di possesso del requisito in esame, che la conferente l'azienda è, in realtà, una società senza impresa perché di mero godimento. 14 Come, ad esempio, l'effettività dello svolgimento di un'impresa commerciale che dovrebbe sussistere ininterrottamente dall'inizio del terzo periodo di imposta precedente il periodo di realizzo. 15 Peraltro, se non vi fosse continuità nell'anzianità e, dunque, il periodo triennale decorrente dal conferimento non fosse utile ai fini della pex, la partecipazione se ceduta potrebbe, in ipotesi, generare (non solo una plusvalenza imponibile ma anche e ciò che più importa ai fini elusivi) una minusvalenza deducibile, perdita che sarebbe, invece, irrilevante nel regime pex. Pagina 289 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Se la non imponibilità in caso di conferimento di partecipazioni con le caratteristiche di cui alla disciplina della pex è coerente alla ratio di quest'ultima disciplina, una più generalizzata e, forse, sistematica neutralità potrebbe essere sostenuta richiamando in via interpretativa il ruolo decisivo nella neutralità del conferimento di azienda della continuità dei valori fiscali e della simmetria di valori fra beni conferiti e partecipazioni ricevute, elemento questo che dovrebbe permettere di superare l'obiezione che, così facendo, ad un conferimento di partecipazioni iscritte nell'attivo circolante potrebbe far seguito l'acquisizione di partecipazioni a loro volta non imponibili se cedute dal conferente alle condizioni di cui all'esenzione ex art. 87 del Tuir. Si aggiunga che l'estensione del regime di neutralità, alle condizioni di cui all'art. 176 del Tuir, sarebbe coerente all'equiparazione fra conferimenti aziendali e di partecipazione che il legislatore delegante aveva, nelle intenzioni, voluto realizzare. Infine, la mancata generalizzazione della neutralità evidenzierebbe un'illegittima discriminazione alla luce dell'avvenuto riconoscimento di neutralità effettuato dall'art. 179 del Tuir ai conferimenti di partecipazioni infracomunitari ovvero tra soggetti entrambi residenti nella UE ma in Stati diversi di cui uno costituito dall'Italia. In particolare, infatti, l'art. 179, comma 4, nell'escludere la realizzazione di qualsiasi plusvalenza o minusvalenza su partecipazioni, a condizione che le quote ricevute abbiano lo stesso valore di quelle conferite, richiama le operazioni di cui al precedente art. 178 il quale alla lettera e) menziona i conferimenti di azioni o quote effettuati da ed in soggetti di cui alla precedente lettera a): enti commerciali residenti in Italia, da un lato, e, dall'altro, più genericamente, "soggetti residenti in altri Stati membri" e, quindi, anche imprenditori individuali ed enti non commerciali. Il profilo discriminatorio atterrebbe, dunque, all'esclusione dal novero dei conferenti che possono realizzare conferimenti di partecipazioni neutrali degli imprenditori individuali e degli enti non commerciali residenti. II.3.7. Regole fiscali tra tradizione e novità dei modelli di conferimento Il conferimento di qualsiasi "elemento" economicamente valutabile - L'art. 2464, comma 2, del codice civile dispone la conferibilità di qualsiasi elemento dell'attivo patrimoniale suscettibile di valutazione economica e ciò rende possibile un apporto tipico (anche) a favore di S.r.l. di "beni" quali il cosiddetto know how, l'avviamento, il marchio, i brevetti, le invenzioni industriali ed i diritti di autore nonché obbligazioni di non fare od obbligazioni di cosa futura16. La novità risiede nell'atipicità dell'oggetto del conferimento ora esteso a tutto quanto possa essere di utilità per l'impresa della conferitaria. Tale modello, al pari di quanto accade a fini civilistici, pone la questione della valorizzazione e dell'individuazione di uno o più criteri applicabili. Mentre l'art. 2465, comma 1, del codice civile richiede solo "la relazione giurata di un esperto o di una società di revisione" la quale, oltre a individuare il valore, attesti che questo "è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell'eventuale sovrapprezzo", a fini fiscali la soluzione è più articolata. Ove si richiamasse il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 9 del Tuir il "corrispettivo" del conferimento sarebbe individuato nel "valore normale" dei "beni" conferiti così come determinato alla stregua dei criteri di normalità di cui al successivo comma 3 16 Un'occasione di riflessione potrebbe, peraltro, essere rappresentata dalla conferibilità dei crediti di imposta in ragione, non tanto della disciplina civilistica che ammette il conferimento di crediti tout court, quanto di quella fiscale in materia di vicende dell'obbligazione tributaria in genere e di cessione dei crediti di imposta in specie; se, infatti, istituti privatistici quali l'accollo e la compensazione fanno ora parte, per espresso riconoscimento legislativo, dell'ordinamento tributario, di modo che non vi dovrebbero essere ostacoli concettuali ed ideologici ad ammetterne di altri, è indubbiamente significativo che la cessione del credito di imposta sia già conosciuta come strumento di circolazione della posizione giuridica creditoria sia fra privati che fra società di un gruppo. Un simile contesto non può, allora, che indurre all'impressione che il conferimento possa avere ad oggetto anche crediti vantati dal conferente nei confronti dell'Erario riducendosi la problematicità al solo profilo della valorizzazione del credito di imposta alla stregua dei crediti in generale. Pagina 290 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 ovvero, in caso contrario, alla stregua di criteri i più oggettivi possibili rimessi, a questo punto, alle parti. Laddove il "bene" trasferito di per sé abbia utilità identica a quella dei beni aziendali tradizionalmente intesi il criterio di cui al comma 2 dell'art. 9 conserverebbe validità al pari delle regole di neutralità di cui all'art. 176 del Tuir. Il conferimento di opere e servizi - Ai sensi degli artt. 2342 e 2464 del codice civile le prestazioni di opera e servizi sono conferibili solo nelle società a responsabilità limitata e non in quelle per azioni17 previa previsione nell'atto costitutivo e, soprattutto, di polizza di assicurazione o fideiussione bancaria che sollevi la conferitaria dal rischio di mancata esecuzione dell'opera o della prestazione. La conferibilità di opere e servizi pone una serie di questioni legate alla possibile sfasatura temporale tra la sottoscrizione del capitale e l'effettivo versamento ed alla novità dell'oggetto ed alla rilevanza o meno della continuità dei valori fra "beni" ricevuti e partecipazione assegnata nella prospettiva della neutralità di tale tipo di conferimento. Il legislatore tributario delegato non le ha, al momento, risolte espressamente lasciando, forse, intendere che siano infondate o siano risolvibili già de iure condito in via interpretativa. II.3.8. Incremento del capitale e insorgenza dello status di socio tra mancato adempimento e garanzia del terzo La prima questione è stabilire in quale momento il conferente possa essere assoggettato al regime fiscale del socio considerando che la realizzazione dell'opera o servizio conferito potrebbe non essere contestuale alla sottoscrizione dell'incremento di capitale ed all'attribuzione della quota di partecipazione e che l'adempimento della promessa di conferimento è, comunque, garantito dall'assicuratore o dal fideiussore. L'insorgenza in uno od altro momento della natura di "socio", da un lato, giustificherebbe la qualificazione di quanto "erogato" dalla società conferitaria quale dividendo o remunerazione di un'opera o servizio alla stregua di un reddito di lavoro autonomo o di impresa a seconda della natura del conferente; dall'altro, condizionerebbe il regime fiscale dei costi inerenti all'opera o servizio conferiti prima ed apportati e del pagamento dell'opera o servizio quale costo per la conferitaria. Qualora si enfatizzi l'effettività del capitale nella sua reale consistenza questo aumenterebbe solo se l'opera ed il servizio conferiti fossero effettivamente prestati alla stregua delle regole proprie del conferimento di beni in natura diversi dal denaro. In particolare, a favore di una ricostruzione che condizioni lo status di socio all'effettivo adempimento potrebbero addursi diversi argomenti: - l'opera o servizio, per quanto entità economicamente valutabili ed iscrivibili in bilancio, non assolvono ad alcuna utilità per la società se non nel momento in cui sono rese oppure quando il terzo assicuratore o garante non ha provveduto a liquidare; - - qualora in assenza dell'opera o prestazione la società provvedesse all'attribuzione della quota, l'effetto sostitutivo/permutativo caratteristico dei conferimenti non potrebbe dispiegarsi poiché all'incremento patrimoniale, conseguente all'ipotetica assegnazione della quota, non seguirebbe alcun decremento del conferente laddove inadempiente almeno fino a quando e se l'assicuratore o fideiussore non provveda in denaro. 17 Per le società per azioni il conferimento di opere e servizi è ammesso dall'art. 2346, ultimo comma, del codice civile senza possibilità di aumento del capitale e nel solo caso in cui a tale apporto segua l'emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o amministrativi ma privi del diritto di voto nell'assemblea generale degli azionisti. Pagina 291 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Pertanto, in base a questa prima ipotesi l'effetto incrementativo del capitale e con esso quello reddituale per il conferente e per il conferitario si dispiegherebbero solo al momento e nella misura in cui l'oggetto del conferimento entri nella sfera giuridica della conferitaria o il terzo abbia corrisposto l'equivalente in denaro. La menzionata sfasatura, peraltro, richiederebbe che in attesa della realizzazione la promessa conferitaria evidenzi un credito verso terzi pari al valore dell'opera o servizio da apportare e lo riduca ogniqualvolta vi sia anche una parziale realizzazione procedendo, contestualmente, ad un proporzionale aumento di capitale. L'effetto reddituale si avrebbe, dunque, solo al momento e nella misura in cui l'opera o la prestazione siano realizzate seguendo il criterio di competenza o di cassa in base alla natura del soggetto conferente; non quando, anteriormente ad esso, il conferente nel proprio bilancio contrapponga al valore della partecipazione che dovrebbe ricevere un debito pari al suo conferimento e la conferitaria iscriva un credito: in questo momento, precedente al perfezionarsi del conferimento vi saranno variazioni in diminuzione prima ed in aumento poi rispetto alle risultanze civilistiche. Una diversa conclusione si raggiunge laddove si ammetta come caratteristica innovativa della disciplina del finanziamento dell'impresa in forma di S.r.l. proprio la possibilità di aumentare il capitale in presenza non solo della sottoscrizione ma anche della mera promessa di conferimento di "utilità" resa certa nel suo effetto incrementativo dal ruolo della garanzia assicurativa e fideiussoria. Il promettente conferente diventerebbe socio e potrebbe esercitare tutti i diritti patrimoniali e amministrativi a seguito della sottoscrizione "garantita". A favore di questa seconda ipotesi militano diversi argomenti. 1. Una ricostruzione della nozione di capitale sociale che apprezzi il valore non solo presente ma anche futuro/programmatico in ragione degli apporti che i soci effettuano o promettono di effettuare anche alla luce della garanzia, necessaria, da parte dell'assicurazione o del fideiussore, scindendo il valore del comportamento dall'esecuzione del comportamento valutato. 2. La conseguente distinzione fra conferibilità ed iscrivibilità facendo discendere dalla prima i diritti sociali e dall'avvenuta opera o servizio (o dal pagamento dell'assicurazione o del fideiussore) l'incremento di capitale. 3. Infine, il fatto che sia conferibile tutto quanto sia suscettibile di tendenziale oggettiva valutazione economica, di formare oggetto di un rapporto giuridico ed utile economicamente al conferitario e, quindi, anche un diritto ad ottenere una certa cosa o prestazione da un terzo anche quando questi sia socio in fieri. La sfasatura sarebbe, dunque, fisiologica in ragione della derogabilità del principio di effettività del capitale sociale a condizione che siano presenti adeguati strumenti di tutela dei diversi interessi coinvolti18. L'effettività dell'incremento dal cui rispetto discende, sostanzialmente, l'emissione di quote di partecipazione che attribuiscano lo status di socio non sarebbe pregiudicata dal rischio della mancata esecuzione in ragione della garanzia obbligatoria. La qualificazione reddituale dell'attribuzione della partecipazione, di erogazioni successive alla "promessa" ed il regime dei costi inerenti l'opera o il servizio conferito - Dopo aver esposto l'alternativa in punto di aumento del capitale ed acquisto dello status di socio è possibile verificare i riflessi di una od altra ipotesi con riguardo al 18 Peraltro, la non eseguibilità del conferimento impedirebbe, in ipotesi, l'attuazione della delibera di aumento solo nelle S.p.a. e non nelle S.r.l. per una diversa esigenza di tutela del socio che abbia già sottoscritto e versato alla luce del peculiare regime di circolazione delle azioni quali titoli di credito e non delle quote. Pagina 292 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 valore reddituale della partecipazione ove assegnata prima dell'effettivo adempimento nonché alla disciplina dei costi sostenuti dall'assegnatario per la realizzazione dell'opera o del servizio. Laddove lo status di socio sussista solo al momento in cui l'opera o il servizio siano realizzati, il promesso conferente sarebbe un semplice terzo che intrattiene con la società rapporti contrattuali. Di conseguenza, la conferitaria dovrebbe iscrivere in bilancio un credito verso terzi per il valore delle prestazioni conferite ma non ancora eseguite e man mano che queste fossero ultimate ridurre tale credito deducendo un costo proporzionale al valore della prestazione ricevuta. Se così fosse, al fine di evitare salti di imposta, ad un costo deducibile dovrebbe corrispondere l'imponibilità in capo alla conferente di quanto ricevuto fino al momento dell'incremento di capitale di modo che l'irrilevanza reddituale dell'aumento di capitale si accompagni a quella dell'iscrizione del valore della partecipazione nell'attivo del bilancio della conferente. Assumerebbe rilievo la distinzione fra promittente socio già imprenditore societario e, invece, non imprenditore in una dimensione evidentemente corrispettiva/traslativa del fenomeno. 1) Nel caso di una previa natura societaria imprenditoriale, il valore della partecipazione nonché i costi inerenti l'opera o il servizio da apportare sarebbero per legge assoggettati al regime dell'impresa commerciale in virtù del principio di attrazione nel reddito di impresa di modo che la partecipazione assumerebbe la qualifica di ricavo in natura ed i costi di componenti negativi deducibili in quanto al primo inerenti. 2) Qualora il promettente fosse già lavoratore autonomo il valore della partecipazione, ove assegnata, sarebbe configurabile alla stregua di una remunerazione in natura dell'opera o servizio e, dunque, come lavoro autonomo così come i costi a questi inerenti sarebbero deducibili in base alla regole del lavoro autonomo. 3) Laddove il promettente non fosse già neppure lavoratore autonomo abituale la partecipazione sarebbe equiparabile un reddito diverso ex art. 67, comma 1, del Tuir nelle vesti di reddito di lavoro autonomo occasionale [lettera l), primo period]o oppure di remunerazione corrispettiva di un obbligo di fare [lettera f), ultimo periodo]. In tutte le alternative ipotizzate, i proventi ottenuti dal conferente saranno qualificabili al pari dei redditi che il conferente avrebbe prodotto se non avesse conferito quelle opere e quei servizi ma li avesse offerti sul mercato assimilando l'emissione delle quota ad un'operazione di scambio con la conseguente possibilità per il conferente di continuare a godere del regime di deducibilità dei costi inerenti. Parimenti, la partecipazione quale forma di remunerazione dovrebbe costituire per la beneficiaria (della promessa) dell'opera o del servizio un costo deducibile. Sul fronte della valorizzazione, laddove non si trattasse di un conferimento, il valore di tale "apporto" sarebbe esterno all'area di normalizzazione di cui al citato art. 9 del Tuir di modo che le parti non sarebbero condizionate a dichiarare valori corrispondenti. Qualora, poi, a seguito della mera sottoscrizione, il promettente ricevesse dalla società non solo la partecipazione ma anche erogazioni corrispondenti ai dividendi distribuiti ai soci che abbiano conferito, in modo tradizionale, quanto erogato fino al momento dell'avvenuta opera o prestazione potrebbe essere considerato o parte della remunerazione oppure un compenso a questa assimilabile alla stregua di quanto accade per i proventi dell'associazione in partecipazione o della cointeressenza con apporto di solo lavoro ex art. 53, comma 2, lettera c), del Tuir. Pagina 293 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Nell'ipotesi in cui la qualifica di socio fosse attribuita per la semplice sottoscrizione garantita dalla polizza di assicurazione o dalla fideiussione emergerebbe una natura eccezionalmente corrispettiva ed obbligatoria dei conferimenti di opere e servizi. Il valore della partecipazione assumerebbe rilievo non quale remunerazione ed il suo valore sarebbe legato a quello dei "beni" strumentali in quanto utili conferiti al solo fine di verificare l'applicazione o meno della norma sulla neutralità del conferimento di azienda. Se l'aumento si realizzasse con la sottoscrizione verrebbe meno l'inerenza del costo in quanto relativo ad una prestazione effettuata in qualità non di terzo ma di socio così come per la conferitaria non vi sarebbe alcun costo deducibile e per il conferente alcuna componente positiva di reddito. Valorizzazione dell'oggetto del conferimento e della partecipazione ricevuta nel conferimento di opera o servizi. La particolare natura del conferimento di opera e servizi nelle S.r.l. pone un'ulteriore questione in materia di valorizzazione delle "entità" conferite e della partecipazione ricevuta, da affrontare alla luce dell'attenzione dedicata dal legislatore alla continuità dei valori dei "beni" conferiti e ricevuti. A fronte dell'art. 9, comma 2, del Tuir menziona come "corrispettivo conseguito il valore normale" dei "beni" conferiti il valore dell'opera o servizio conferito potrebbe essere alternativamente individuato: a) nel costo sostenuto dal conferente per la loro realizzazione prima del conferimento nella misura in cui il conferente lo abbia dedotto; b) oppure nel valore normale che quell'opera o servizio può avere nel mercato. Poiché il secondo dei due appare circoscritto alle sole società quotate, sarà il primo a costituire un oggettivo parametro di valutazione. Per quanto riguarda il valore delle quote ricevute la sua simmetria a quello del "bene" conferito non sembra automatica in ragione del riferimento alla quota proporzionale del patrimonio netto della conferitaria [art. 9, comma 4, lettera b), del Tuir] il cui valore potrebbe essere diverso dal costo dell'opera o servizio comprendendo, ad esempio, anche il "valore aggiunto" di quanto realizzato. È, però, vero che se l'aumento di capitale con garanzia dell'opera o della prestazione fosse contestuale all'attribuzione di una partecipazione di pari importo si avrebbe un fenomeno in realtà solo patrimoniale e non reddituale a condizione di eguaglianza dei valori dei "beni" di primo e di secondo grado. Ove vi sia continuità di valori si potrebbe ritenere logico e coerente colpire solo l'utile prodotto (eventualmente maggiore in ragione del conferimento) ed il plusvalore che dovesse emergere (salva l'esenzione ex art. 87 del Tuir) in sede di cessione della partecipazione ricevuta ma non i plusvalori da conferimento ed il valore di iscrizione della partecipazione ricevuta. L'avvenuta deducibilità del costo inerente all'opera o servizio potrebbe, peraltro, giustificare il prelievo del maggiore fra il valore della partecipazione ricevuta ed il valore del "bene" conferito ove individuato nei costi dedotti. Le condizioni di una possibile neutralità fiscale - Se, come accennato, il conferimento nel suo genere assolve ad una funzione organizzativa ed il trasferimento di beni che esso origina non assume natura corrispettiva ma meramente onerosa/sostitutiva la peculiarità del conferimento di opera e servizi in una S.r.l. non dovrebbe escluderlo dall'applicazione del principio di neutralità fiscale laddove i valori fiscali iscritti dal conferente e dal conferitario siano simmetrici. È, tuttavia, evidente che la novità della specie costringe a fissare delle regole che permettano, da un lato, di rinviare l'imposizione di eventuali plusvalenze non iscritte ma latenti dei Pagina 294 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 "beni" conferiti e, dall'altro, escludere la deducibilità del "valore" della partecipazione per il conferitario che riceva l'opera o il servizio e che la "remuneri" anche a fronte dell'iscrizione di un credito per il socio qualora l'opera o il servizio non venisse eseguito contestualmente alla sottoscrizione. Si è, peraltro, ipotizzato che tale neutralità dovrebbe accompagnarsi all'iscrizione della partecipazione da parte del conferente "a costo zero" rinviando, quindi, l'imposizione delle plusvalenze al momento della cessione della partecipazione a terzi. Orbene, la simmetria di valori sottostante alla ratio di una possibile neutralità del conferimento anche di opera e servizi sembra, invece, operare non solo tra non imponibilità della plusvalenza latente relativa a quanto conferito e non deducibilità di quanto attribuito dal conferitario ma anche (e soprattutto) tra valori di beni di "grado" diverso. Pertanto, se il valore di iscrizione della partecipazione ricevuta dal conferente fosse nullo, di pari consistenza (e, quindi, nullo anch'esso) dovrebbe essere quello di iscrizione dei "beni" ricevuti. Lo stesso art. 176 del Tuir, peraltro, richiede la continuità del valore dei beni aziendali conferiti in quelli della partecipazione ricevuta: ciò significa che, nel caso del conferimento di opera e servizi, occorrerà valorizzare i "beni" apportati secondo il criterio di cui all'art. 9, comma 2, del Tuir e, cioè, a valore normale. Ad una simile neutralità potrebbe, allora, conseguire un'imposizione circoscritta all'erogazione del dividendo distribuibile già all'atto del conferimento qualora lo status di socio sorga alla sottoscrizione dell'aumento di capitale previa garanzia assicurativa o fideiussoria. II.3.9. I conferimenti non proporzionali L'art. 2468 del codice civile (ma con esso l'art. 2346 del codice civile per le S.p.a.) nel derogare alla regola della proporzionalità di valori fra quanto conferito e le partecipazioni ricevute pone, senza dubbio, una questione. La previsione di cui all'art. 9, comma 2, del Tuir di determinare il "corrispettivo" del conferimento in base al valore normale dei beni conferiti dovrebbe, peraltro, risolverla. Ai sensi dell'art. 9, comma 2, ultimo periodo, del Tuir il valore fiscalmente riconosciuto di quanto conferito è da individuarsi in base alla stregua del criterio di cui al successivo comma 4, lettera a), ovvero in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese, a condizione, però, che la conferitaria sia quotata e che il conferimento sia proporzionale. Se ne desume a contrario che se il conferimento non è proporzionale il valore delle partecipazioni ricevute sarà determinato in base a quello dei beni o crediti conferiti così come determinato nella perizia se la conferitaria è sia non quotata che quotata. Qualora la misura della partecipazione attribuita a seguito del conferimento superi tale valore il plusvalore resterà latente e sarà imponibile, se del caso, in sede di cessione della partecipazione qualora questa non sia esente ai fini del regime della cosiddetta participation exemption ex art. 87 del Tuir. La natura non proporzionale del conferimento con oggetto un'azienda non dovrebbe condizionare l'applicazione al caso di specie degli artt. 175 e seguenti; un effetto reddituale in termini di perdita deducibile si avrebbe, invece, per i soci la cui entità di partecipazione si sia "diluita" in conseguenza dell'assegnazione di quota in misura più che proporzionale al conferimento. I conferimenti non proporzionali potrebbero essere esposti al "rischio" di una predeterminazione normativa del valore in quanto cessioni a titolo oneroso con natura non tanto permutativa ma, invece, tendenzialmente traslativa e, dunque, a richiamare il criterio di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 9 del Tuir e non quello del comma 2 del medesimo articolo. Pagina 295 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 In senso contrario a tale applicazione si può osservare che la normalizzazione di valori di scambio in operazioni corrispettive è circoscritta alle "operazioni" effettuate infragruppo tra società residente in Italia e società non residente legate da un rapporto di controllo anche indiretto ex art. 110, comma 7, del Tuir di modo che il "rischio" non dovrebbe sussistere per i conferimenti non proporzionali fra società entrambe residenti essendo, al limite, invocabile l'art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 che richiede l'esistenza di valide ragioni economiche per i conferimenti ove questi possano permettere di ottenere vantaggi fiscali sebbene queste, come visto, sono per legge dimostrate ove i valori fiscali siano mantenuti. Si potrebbe, inoltre, obiettare che l'art. 9, comma 2, nel disporre che il criterio del valore normale da perizia vale per i soli trasferimenti che si perfezionino in occasione di conferimenti rappresenterebbe una norma speciale rispetto ai commi 3 e 4 circoscritti a cessioni effettuate non in sede di conferimenti (comma 3) e con oggetto partecipazioni (comma 4). II.3.10. Gli apporti diversi dai conferimenti "tipici". L'eventualità di "apporti" diversi dai conferimenti in senso proprio - ciò accade quando il trasferimento origina un incremento patrimoniale ma non anche di capitale e, talvolta, anche un diritto di restituzione19 - pone la domanda se a tali fattispecie siano applicabili le regole sopra analizzate. Innanzitutto, qualora a tale apporto faccia seguito l'emissione di strumenti finanziari partecipativi tale estensione non dovrebbe essere condivisa20 per due diverse ragioni: l'apportante non acquista la qualità di socio pur potendo esercitare alcuni dei diritti a questi spettanti; l'operazione assume valenza sinallagmatica evidentemente diversa da quella riconosciuta al conferimento tout court21. Di conseguenza, il valore sia dell'oggetto dell'apporto che dello strumento non potrà essere determinato alla stregua dei criteri di cui all'art. 9 del Tuir. Qualora lo strumento sia assimilabile ad un titolo diverso dalle azioni ed obbligazioni negoziato in un mercato regolamentato - e ciò accade ai sensi dell'art. 44, comma 2, del Tuir se la "remunerazione" dello "strumento" è "costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società del gruppo o dell'affare in relazione al quale" è stato emesso di modo che saranno titoli atipici quegli strumenti privi di tale caratteristica22 - si applicherà, invece, il quarto comma, lettera a) dell'art. 9 del Tuir; Questi apporti non originano componenti positive per la beneficiaria quale sopravvenienza (attiva o passiva) ex artt. 88, comma 4, e 101, comma 7; possono, però, incrementare il costo della partecipazione dell'apportante già socio se la partecipazione non è suscettibile di applicazione della participation exemption di modo che l'incremento si avrà solo se la partecipazione non sia iscritta come immobilizzazione finanziaria e, dunque, solo per i titoli diversi da quelli di cui all'art. 85, comma 1, lettera c), del Tuir. Laddove l'apporto sia restituito la non tassazione dovrebbe essere coerente con l'avvenuto incremento del costo della partecipazione: se quanto restituito fosse a questo superiore 19 Come per gli apporti effettuati con conseguente emissione di strumenti finanziari (così circolare Agenzia delle Entrate 10 dicembre 2004, n. 52/E,) i versamenti in conto capitale ma non, invece, per quelli a fondo perduto o per la rinunzia a crediti. 20 Come sembra, invece, ipotizzare la risposta dell'Agenzia delle Entrate ai cosiddetti quesiti di Telefisco 2005 sulle novità della Finanziaria e sull'applicazione dell'Ires 21 Della peculiarità del fenomeno è consapevole anche l'Agenzia delle Entrate nella circolare 16 giugno 2004, n. 26/E, paragrafo 2.2. nella parte dedicata alla definizione di utili e di proventi equiparati ai fini dei redditi di capitale. 22 Così la citata risposta dell'Agenzia delle Entrate ma già la circolare Agenzia Entrate 16 giugno 2004, n. 26/E. Pagina 296 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 l'imposta sarebbe dovuta mentre ciò non accadrebbe se l'incremento del costo e quanto restituito avessero identico valore. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 47, comma 5, e 87, comma 6, del Tuir qualora si tratti di particolari apporti come i versamenti a fondo perduto o in conto capitale restituiti l'eccedenza rispetto al valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione non sarebbe imponibile ma, invece, esente ex art. 87. Di qui si potrebbe desumere una conferma che l'indeducibilità dell'apporto è condizionata alla natura esente della partecipazione nella società beneficiaria. In caso di partecipazione non esente ai fini della pex, in assenza del beneficio costituito dall'incremento del costo, l'apporto nella sua interezza sarà deducibile a fronte di un ipotetico maggiore differenziale così come la restituzione dell'apporto sarà imponibile nei limiti in cui quanto restituito ecceda il valore fiscale della partecipazione anche a seguito di un suo incremento. Se la partecipazione non potesse godere del regime di esenzione ed il versamento non potesse incrementare il costo fiscale della partecipazione, quest'ultimo potrebbe rappresentare un costo fiscalmente deducibile di competenza dell'esercizio; ex artt. 47 e 87 del Tuir la restituzione dell'apporto resterebbe, però, esente nella misura pari all'eccedenza fra il costo fiscale della partecipazione non incrementato e quanto restituito. Più in generale, allora, in presenza di partecipazioni immobilizzate ai sensi della disciplina della participation exemption il valore dell'apporto sarà irrilevante per la beneficiaria quale sopravvenienza attiva e per l'apportante, in termini di mancato incremento della partecipazione, di non imponibilità della restituzione dell'apporto e di mancata deducibilità del medesimo. La soluzione opposta, deducibilità dell'apporto a fronte dell'irrilevanza quale sopravvenienza attiva per la beneficiaria ed esenzione per l'apportante socio, potrebbe causare evidenti salti di imposta ed asimmetrie dal momento che la restituzione dell'apporto non sarebbe colpita; inoltre, un'ipotetica deducibilità dell'apporto contrasterebbe con la regola dell'esenzione che esclude che sia deducibile quale minusvalenza il costo dell'investimento in partecipazioni esenti, ad esempio, tramite restituzione del capitale ex art. 101, comma 1, del Tuir. Laddove, invece, l'apportante partecipi alla beneficiaria con partecipazioni non esenti e, dunque, il valore dell'apporto non incrementi il costo della partecipazione, la deducibilità per l'apportante potrebbe rispondere ad esigenze di simmetria, da un lato, con l'imposizione, seppur limitata, dell'utile ricevuto e, soprattutto, del maggior valore in sede di cessione della partecipazione, così come, dall'altro, all'imposizione degli utili in capo alla società beneficiaria. Pagina 297 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 II.4. LA TRASFORMAZIONE DI SOCIETA’ Introduzione: recenti sviluppi normativi e definizione La trasformazione costituisce, di fatto, una modifica della forma giuridica di una società, mentre gli aspetti sostanziali restano invariati; ossia, non produce "novazione" del rapporto sociale, ma implica la prosecuzione del rapporto sociale in capo allo stesso soggetto, sia pure con le modifiche conseguenti al cambiamento della forma giuridica. In tal senso, la trasformazione si caratterizza per l'elemento della "continuazione" (o "conservazione"), che prevale sul cambiamento della struttura organizzativa, volta al perseguimento dello scopo societario. Solo nel caso di trasformazione eterogenea da società di capitali in comunione d'azienda, o viceversa, l'operazione è contraddistinta da una modificazione soggettiva, in quanto muta l'identità del soggetto trasformato: la persona giuridica si trasforma in una pluralità di soggetti contitolari dell'azienda o viceversa. Ai sensi dell'articolo 2499 del codice civile, a differenza di quanto previsto dalla previgente disciplina, la trasformazione è anche possibile in pendenza di procedura concorsuale, purché non sia incompatibile con le finalità e lo stato della stessa. Diverse sono le motivazioni per cui si può decidere la trasformazione di una società, tutte riconducibili essenzialmente a quattro fattori principali. Il primo è relativo a ragioni di natura aziendalistica, collegati alle dimensioni aziendali ed alle relative economie di scala. Ad esempio, le trasformazioni delle società a responsabilità limitata in società per azioni ove, appunto, con l'ampliarsi delle dimensioni si rende necessario il cambio della veste giuridica della società, che in tal modo avrà, da un lato, maggiori possibilità di essere concorrenziale sul mercato e, dall'altro, potrà partecipare a nuove forme di finanziamento, come la possibilità di emettere prestiti obbligazionari. Il secondo gruppo di motivi è strettamente da ricondurre, invece, nell'ambito della cosiddetta responsabilità civilistica. L'esempio che meglio può rappresentare tale aspetto è dato dal caso in cui una società con struttura giuridica di società di persone si trasforma in società di capitali. In tali situazioni la trasformazione è dovuta al fatto che, mentre inizialmente nella società di persone i rischi patrimoniali ricadono totalmente sui soci, con l'avvento del cambiamento della veste giuridica e, quindi, l'ingresso di terzi nella compagine societaria, sorge la necessità di distinguere fra beni personali e beni aziendali. La terza tipologia di motivazioni è praticamente rappresentata da specifiche disposizioni di legge, non ultime, altresì, le citate disposizioni in tema di procedure concorsuali. Infatti, si verificano casi in cui la società è tenuta a trasformarsi come conseguenza, ad esempio, di una riduzione del capitale sociale per perdite, oppure, in altri casi, perché rientrando l'oggetto sociale nell'ambito di categorie particolarmente tutelate dall'ordinamento giuridico si rende necessaria una determinata struttura giuridica, imposta, appunto, dalla legge. Ultima categoria che può determinare un cambiamento della veste giuridica di una società è data da aspetti di natura fiscale, in considerazione del fatto che la tassazione varia a seconda della tipologia societaria, ossia progressiva in capo ai soci per le società di persone, proporzionale per le società di capitali. Da ciò si desume come siano numerose le variabili che possono determinare una trasformazione; la circostanza comporta che l'unico modo per comprenderne le motivazioni è dato solo dall'analisi dei singoli casi concreti. La trasformazione è, tra le operazioni straordinarie, l'istituto che ha subito le maggiori modifiche a seguito della Riforma del diritto societario entrata in vigore il 1 gennaio 2004: le disposizioni contenute negli articoli da 2498 a 2500-novies del codice civile, nell’intento di adattare la struttura organizzativa di un'azienda alle necessità che possono verificarsi nel corso dell'attività della stessa, ha ampliato le previsioni normative disciplinando, oltre alla cosiddetta "trasformazione progressiva" (da società di persone a società di capitali), anche la cosiddetta Pagina 298 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 "trasformazione regressiva" (da società di capitali a società di persone), nonché la trasformazione eterogenea da società di capitali in società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni e la trasformazione eterogenea da consorzi, società consortili, comunioni di azienda, associazioni riconosciute e fondazioni in società di capitali. Prima della riforma era comune orientamento della dottrina e della giurisprudenza ritenere possibile un'interpretazione estensiva degli articoli che regolamentavano le trasformazioni, valutando in tal modo possibile la trasformazione di ogni tipo di società. Il legislatore non intendeva interferire nella libertà dei privati di modificare la scelta del tipo di società, ma aveva precisato i limiti e le condizioni per cui tale libertà non si scontrasse con le esigenze di tutela di interessi generali, come il buon andamento dell'economia nazionale e la certezza nelle relazioni giuridiche. Inoltre, alcuni elementi tra i quali la collocazione degli articoli (2498-2500) alla fine del Titolo V, riguardante tutte le società, la stessa denominazione della relativa sezione "Della trasformazione delle società", la non previsione, infine, di alcuna disposizione preclusiva per le trasformazioni, confermavano l'esistenza nel nostro ordinamento giuridico di un generale "principio di trasformabilità", applicabile ad ogni società di tipo lucrativo. Con l’articolo 7 della legge delega al Governo n. 366 del 3 ottobre 2001, vennero definiti i principi ispiratori della riforma, di seguito sinteticamente riportati, per quel che riguarda, in particolare, le trasformazioni: 1. semplificazione del procedimento nel rispetto delle direttive comunitarie; 2. disciplina, condizioni e limiti delle trasformazioni; 3. criteri di formazione del bilancio successivo alle operazioni di trasformazione; 4. disposizioni dirette a semplificare le trasformazioni delle società di persone in società di capitali. Le modifiche apportate alla normativa in tema di trasformazioni ne hanno ampliato i margini di operatività. Infatti, la possibilità di mutare l'assetto organizzativo senza liquidare l'ente preesistente e costituirne uno nuovo comporta numerosi vantaggi sia sul piano civilistico che fiscale. II.4.1. DISCIPLINA FISCALE DELLA TRASFORMAZIONE Da un punto di vista generale, la disciplina fiscale della trasformazione trova il suo fondamento nell’articolo 170 del Tuir in cui vengono fissati, dal legislatore fiscale, i principi fondamentali applicabili in materia di trasformazione, nonché vengono richiamati altri articoli del medesimo testo legislativo per enucleare il regime tributario specifico in considerazione del tipo di società. Dal comma 1 dell’articolo 170 del Tuir si evince che anche il legislatore fiscale ha presupposto la teoria della continuità, di cui al paragrafo precedente, applicandola nell'ambito delle norme tributarie disciplinanti tale istituto: infatti, non comportando la trasformazione, da un punto di vista strettamente civilistico, una novazione della struttura e dei rapporti societari, bensì una continuazione degli stessi, anche nell'ottica fiscale si è reso operativo tale principio, prevedendo, appunto, al comma 1 dell'articolo in trattazione il cosiddetto principio di "neutralità" secondo cui l'operazione di trasformazione deve considerarsi un'operazione fiscalmente neutra, ossia non suscettibile di produrre né componenti positivi, né componenti negativi di reddito, proprio perché, ricollegandoci alla teoria della continuità, l'operazione di trasformazione di per sé non costituisce un'attività della società produttrice di reddito, ma solo una modificazione della sua forma societaria. Nel comma 2 del predetto articolo il legislatore ha altresì previsto che nel caso di trasformazione di una società soggetta all'imposta sul reddito delle società (Ires) in società non soggetta a tale imposta, sia necessario distinguere il reddito del periodo antecedente la Pagina 299 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 trasformazione da quello prodotto successivamente, nel caso, appunto, in cui si verifichi un cambiamento del regime fiscale applicabile. Ciò comporta, di conseguenza, la compilazione di due dichiarazioni riferite distintamente alle due diverse forme societarie ed ai relativi regimi fiscali applicabili. Come osservato da più parti in dottrina, la disciplina fiscale delle trasformazioni trova una regolamentazione, nell'ambito del testo unico, "particolare" rispetto alla disciplina prevista per l'imposizione diretta. Ove l'organo impositore fa riferimento, fondamentalmente, all'atto del prelievo tributario, al reddito del soggetto passivo, nel caso delle trasformazioni, invece, vengono adottati, dall'organo impositore, come punti di riferimento diversi elementi, tra cui: il lasso temporale in cui si colloca l'operazione straordinaria, la forma societaria originaria, la forma societaria finale, i conseguenti diversi regimi fiscali applicabili. L’importanza del lasso temporale della trasformazione rileva ai fini della definizione del momento in cui si dispiegano verso l'esterno gli effetti giuridici della trasformazione. A differenza, però, di altre forme di operazioni straordinarie, nella trasformazione si può assistere, da un punto di vista fiscale, ad un totale adeguamento della disciplina a quella civilistica, dato che nulla prevede in merito l’articolo 170 del Tuir. In ordine al punto in esame, sia in dottrina che in giurisprudenza vi sono state nel tempo tesi contrapposte. Infatti il problema di definire, soprattutto ai fini dell'imposizione diretta, la data in cui ha effetto la trasformazione ha trovato soluzioni differenti: a riguardo è, tuttavia, pacifico sostenere, sulla base degli orientamenti ministeriali e di autorevole dottrina, che la data da cui la trasformazione produce i suoi effetti non può essere considerata anteriore a quella dell'iscrizione della delibera nel registro delle imprese, infatti solo da questa data la trasformazione avrà effetto anche ai fini fiscali. Chiaro esempio dell’importanza del momento di decorrenza della trasformazione investe il trattamento delle riserve: il principio su cui si basa la disciplina delle riserve è quello in base al quale esse conservano il regime del momento in cui si sono formate, ma devono essere distintamente indicate in bilancio dopo la trasformazione. In virtù, dunque, di quanto stabilito dal comma 3 dell'articolo in trattazione, nel caso di trasformazione da società di persone in società di capitali, affinché le riserve di una società di persone non vengano tassate, è necessario che si verifichino contemporaneamente due condizioni, ossia: - le riserve devono essere evidenziate nella contabilità e nel bilancio della società di capitali risultante dalla trasformazione; - deve essere indicata la loro origine. Per quanto riguarda le riserve esistenti nelle società di persone queste potranno essere accorpate in un'unica posta con l'indicazione dell'origine. Tale disciplina non si applica alle riserve di rivalutazione monetaria. Qualora, poi, dopo la trasformazione si proceda alla riduzione del capitale sociale con distribuzione ai soci delle riserve, ciò non sarà assoggettato a tassazione (ai sensi dell'art. 47, commi 5 e 6). Nel comma 4 dell’articolo 170 del Tuir viene, invece, dettata la disciplina relativa al trattamento delle riserve nel caso di trasformazione da società di capitali soggetta ad Ires, in società semplice. Concorreranno a formare reddito imponibile dei soci solo quelle riserve (sempre, come già evidenziato, indicate nel bilancio della società di persone trasformata con l'indicazione della loro origine) relative al periodo in cui "... vengono distribuite o utilizzate per scopi diversi dalla copertura di perdite d'esercizio ...", con esclusione di "quelle di cui al comma 5 dell'articolo 47 ...". Nel caso in cui le riserve della società di capitali trasformata "non siano iscritte in bilancio o vi siano iscritte senza la detta indicazione", la tassazione delle stesse avviene immediatamente "nel periodo di imposta successivo alla trasformazione ...". Infine, con il comma 5 dell'art. 170 il legislatore, in considerazione del nuovo regime di imponibilità parziale degli utili, ha voluto prevedere una norma di chiusura rinviando, per quel Pagina 300 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 che concerne l'assoggettamento ad imposta delle riserve di cui al comma 4 del medesimo articolo, alla disciplina contemplata dall'art. 73, sul regime applicabile alla distribuzione delle riserve delle società. Anche la forma societaria iniziale e finale rappresentano un aspetto cardine della disciplina tributaria della trasformazione in quanto collegata a diversi regimi impositivi. A riguardo è possibile classificare le varie operazioni di trasformazione in “omogenea”, “eterogenea”, “progressiva”, regressiva”. Il tema trattato riveste particolare rilevanza, per esempio, ai fini del trattamento tributario delle perdite la cui disciplina viene analizzata a fine capitolo con riferimento a ciascun tipo di trasformazione. II.4.1.1. Le trasformazioni eterogenee La disciplina fiscale della trasformazione cosiddetta eterogenea è contenuta nell’articolo 171 del Tuir, in merito occorre distinguere i seguenti casi: Trasformazione eterogenea regressiva (da società soggetta ad Ires ad ente commerciale) La trasformazione da società di capitali in altro soggetto commerciale è operazione fiscalmente neutra. I beni della società che si trasforma in ente permangono nel regime d'impresa e, quindi, non vi è ragione di considerare realizzate le possibili plusvalenze latenti. Trasformazione eterogenea progressiva (da ente commerciale a società soggetta ad Ires) Vale quanto rilevato al punto precedente e, pertanto, l'operazione è neutrale. Trasformazione eterogenea regressiva (da società soggetta ad Ires a ente non commerciale – articolo 171, comma 1) In base al comma 1 dell’articolo 171, la trasformazione da società di capitali in soggetto non commerciale comporta, di norma, il realizzo al valore normale dei beni della società. Si ha infatti una destinazione dei beni dell'azienda a finalità estranee all'esercizio dell'impresa (articolo 86, comma 1, lettera c), del Tuir). In tale ambito è considerata plusvalenza imponibile la differenza tra il valore normale dei beni e il loro costo fiscalmente riconosciuto prima della trasformazione. Tale regola generale è comunque disattesa quando i beni relativi alla società confluiscono nell'ambito dell'eventuale attività commerciale del soggetto trasformato. In questo caso, infatti, l'operazione avviene in regime di neutralità fiscale poiché gli stessi beni non escono dal regime d'impresa. In merito al trattamento delle riserve esistenti prima della trasformazione (articolo 171 del Tuir) si ha una disciplina analoga a quella già vista per la trasformazione omogenea da società di capitali in società di persone. Trasformazione eterogenea progressiva (da soggetto non commerciale a società di capitali – articolo 171, comma 2) L'operazione in esame è disciplinata allo stesso modo di un'operazione di conferimento. Pagina 301 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 In pratica ai beni dell'ente non commerciale immessi nella società va attribuito, al posto del costo storico, il valore normale trattandosi di ipotesi realizzativa. È stata così aggiunta la lettera n) all’articolo 67 del Tuir. Le plusvalenze derivanti pertanto da tale operazione di trasformazione, costituiscono redditi diversi e sono tassati se ricorrono le condizioni previste dalle precedenti lettere dello stesso art. 67. Anche in questo caso, tuttavia, per i beni che si trovano già nella sfera commerciale dell'ente che si trasforma, l'operazione avviene in regime di neutralità fiscale in quanto per tali beni non vi è alcun passaggio dalla sfera non commerciale a quella di impresa. Analizzando più nel dettaglio le problematiche inerenti le trasformazioni eterogenee, occorre da subito notare che, con la riforma intervenuta nel diritto societario, come dianzi evidenziato, il legislatore ha introdotto nel codice civile la figura del tutto nuova delle trasformazioni eterogenee, regolamentandola specificatamente negli artt. 2500-septies e 2500-octies. Parallelamente, nell'ambito fiscale vi è stato un adeguamento alle innovazioni civilistiche con la previsione dell’articolo 171 del Tuir. Sulla scorta di quanto esplicitato dalla relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo, il problema principale, che si sentiva l'esigenza di regolamentare in via primaria, appariva consistere nel trattamento delle plusvalenze maturate prima della trasformazione e realizzate successivamente. Nel caso di trasformazione eterogenea da società di capitali in enti associativi, vengono, dal legislatore, prese in esame le due distinte ipotesi di trasformazione, appunto, in soggetti commerciali ed in soggetti non commerciali: trasformazione in soggetti commerciali (l'operazione viene di fatto attuata in regime di neutralità fiscale) e trasformazione in soggetto non commerciale ("i beni della società si considerano realizzati in base al valore normale, salvo che non siano confluiti nell'azienda o complesso aziendale dell'ente stesso ..."). Tale distinzione si giustifica, come è possibile dedurre, dal fatto che si verifica una transizione dei beni aziendali da una tipologia di soggetto economico ad un altro non commerciale. Nel comma 2 dell'articolo in trattazione, il presupposto da cui parte il legislatore si basa sostanzialmente sul fatto che il transito dei beni da un ente non commerciale ad una società di capitali costituisce ai fini fiscali ipotesi di realizzo. Quindi la trasformazione di un ente non commerciale in società soggetta all'Ires "si considera conferimento limitatamente ai beni diversi da quelli già compresi nell'azienda o complesso aziendale dell'ente stesso". Il valore che dovrà essere riconosciuto ai beni confluiti nella società di capitali dall'ente non commerciale sarà quello normale; di conseguenza le differenze di valore verranno assoggettate a tassazione nel momento della trasformazione, costituendo di fatto un maggior valore imputabile alla società di capitali. Schematizzando il concetto espresso dall’articolo 171 del Tuir, dunque, sarà possibile evidenziare diversi casi: in primo luogo, se con la trasformazione non muta la destinazione dei beni, che restano compresi nel complesso aziendale, non si verificano plusvalenze latenti. Se, invece, con la trasformazione, perdendo la natura di ente commerciale, il complesso aziendale si diversifica in una pluralità di beni, si verifica un realizzo di plusvalori sui beni che fuoriescono dall'azienda, dato che sono destinati a finalità estranee all'impresa. Vi è, infine, l'ipotesi di beni conferiti ad un complesso aziendale, che si verifica qualora con la trasformazione si organizzi un complesso aziendale; infatti, in tal caso si genera un plusvalore sui beni che già si detenevano ante trasformazione, ma che rilevano successivamente, ossia post trasformazione, nel momento dell'assunzione della veste di ente commerciale. Per quel che concerne, invece, la decorrenza degli effetti della trasformazione, non dovrebbero sussistere dubbi sul fatto che essa coincide con la decorrenza ai fini civilistici, ossia con la data in cui si effettua l'iscrizione dell'atto di trasformazione nel Registro delle imprese. Pagina 302 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Nell'ambito dell'imposizione indiretta, nulla è specificamente previsto per la fattispecie delle trasformazioni eterogenee, per cui la normativa applicabile appare riconducibile a quella generale delle trasformazioni tout court. La normativa in materia di Iva di cui all’articolo 2, comma 3, lettera f), del D.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972, prevede che la trasformazione sia considerata un'operazione fuori campo; la società risultante dalla trasformazione presenta la dichiarazione di variazione dati entro 30 giorni dalla data di iscrizione nel Registro delle imprese dell'operazione straordinaria. La società trasformata presenta dichiarazione annuale Iva entro i termini ordinari, per tutto il periodo relativo all'anno solare. Per quanto riguarda le imposte di registro queste sono in misura fissa pari ad euro 168,00 [Tariffa, Parte Prima, articolo 4, lettera c), del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, così come modificata dal D.L. n. 7 del 31 gennaio 2005. Infine, le imposte ipotecarie e catastali sono anch'esse stabilite in misura fissa pari ad euro 168,00, mentre, nell'eventualità che nella trasformazione si aumenti anche il capitale sociale con apporto di immobili, l'ammontare delle imposte in esame è proporzionale. Analisi di un caso particolare di trasformazione eterogenea: il passaggio da società ad impresa individuale Aspetti societari Fino all'entrata in vigore della riforma del diritto societario del 2003 (D.Lgs. n. 6 del 17 gennaio 2003), nella letteratura e nella giurisprudenza di diritto civile l'espressione "trasformazione di società in impresa individuale" è stata utilizzata in modo "atecnico", per "comodità terminologica", piuttosto che per indicare una delle fattispecie regolate dal codice civile e definibili come trasformazioni in senso proprio. La "trasformazione" della società in impresa individuale indicava fenomeni di continuazione economica dell'impresa, caratterizzati da alcuni tratti comuni: - un soggetto societario che termina l'esercizio dell'attività imprenditoriale (quantomeno di quella "gestoria"); - un'attività d'impresa che contestualmente viene avviata individualmente da uno dei soci; - una destinazione del complesso aziendale societario, o di parte di esso, all'esercizio dell'impresa individuale. Dal punto di vista fiscale, i riflessi di maggior rilievo riguardavano il trattamento dei beni in circolazione e la loro “realizzazione” a seguito del passaggio dalla sfera societaria a quella individuale. Tale “realizzazione” veniva disciplinata fiscalmente in modo differente tanto nell'imposizione diretta quanto in quella indiretta, a seconda delle modalità giuridiche con cui la circolazione si attuava (cessione a titolo oneroso piuttosto che assegnazione ai soci) ed a seconda dell'oggetto del trasferimento (singoli beni piuttosto che complesso aziendale o ramo d'azienda). Appare evidente, pertanto, che il passaggio da società ad impresa individuale si pone al centro di importanti problematiche di diritto civile e di diritto tributario, riguardanti le cause di scioglimento della società, l'estensione della fase liquidatoria, la fissazione del momento di estinzione della società, l'incidenza dei debiti sociali non soddisfatti, la qualificazione giuridica del passaggio dei beni dalla società al socio. A seguito della riforma del diritto societario, come illustrato nei paragrafi precedenti, la disciplina della trasformazione porta ad affermare che la continuità di ordine giuridico non è necessariamente ancorata alla sussistenza del contratto associativo e nemmeno alla costanza dell'esercizio dell'impresa. Questo rilievo risulta estremamente importante ai nostri fini, in primo luogo perché, nel sistema previgente, la trasformabilità, in senso tecnico, della società in impresa Pagina 303 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 individuale era negata proprio in base alla considerazione dell'estraneità dell'impresa individuale dal fenomeno associativo. Come si è accennato, l'interpretazione prevalente riteneva coessenziali alla trasformazione i due aspetti della permanenza di un soggetto giuridico collettivo e del relativo vincolo di destinazione, a rilevanza esterna, impresso sul patrimonio dell'ente. Aspetti, questi, riconducibili alla portata reale del negozio associativo, la cui presenza costituisce altresì una tutela per i terzi creditori, i cui interessi possono essere compromessi dalla mancanza di autonomia patrimoniale, relativamente ai beni d'impresa, propria dell'imprenditore individuale. Appare evidente come tali argomentazioni, che, in positivo, possono ancora essere poste alla base delle ipotesi di trasformazioni eterogenee coinvolgenti enti di tipo associativo, non sembrano invece in grado, in negativo, di rappresentare una condizione ostativa all'ammissibilità della trasformazione della società in impresa individuale. Nell'attuale sistema, infatti, deriva, dall'espressa previsione della trasformazione di società in comunione di azienda, la compatibilità, in linea generale, della trasformazione con il venir meno dell'ente e della relativa autonomia patrimoniale. Simile mutamento di giustificazione sistematica dell'istituto può allora aprire la strada ad interpretazioni che, in via analogica, applichino la disciplina della trasformazione anche all'ipotesi, non prevista dal codice civile, di passaggio da società unipersonale ad impresa individuale (e viceversa). Occorre precisare che l'approdo interpretativo è già stato affermato da diversi Autori che, negli ultimi anni, hanno commentato la riforma societaria, tanto che la soluzione dovrebbe dirsi prevalente a livello dottrinale. La "giovane età" della riforma non ha però ancora permesso di consolidare le posizioni della dottrina e, soprattutto, di delineare precisi orientamenti giurisprudenziali. Pur con queste cautele, necessarie soprattutto in una prospettiva di "certezza giuridica" dell'operazione in concreto effettuata, le conclusioni cui si perviene in dottrina appaiono condivisibili. Concludendo sul punto, è possibile prospettare, per le ragioni esaminate e con le avvertenze (rispetto alla "solidità" di un simile orientamento civilistico) indicate, la trasformabilità della società unipersonale in impresa individuale, per applicazione analogica della disciplina di cui agli articoli 2498 seguenti del codice civile. Soluzione che, se si consoliderà l'ulteriore affermazione interpretativa di ritenere applicabili le norme in materia di trasformazione eterogenea anche alle società di persone, potrà riguardare non solo le ipotesi delle società di capitali originariamente (ex articoli 2328 e 2463 del codice civile) o successivamente divenute, unipersonali, ma anche i casi di società di persone in cui viene meno la pluripersonalità. In particolare, una delibera di trasformazione della società personale in impresa individuale può ipotizzarsi se si ritiene che,nei sei mesi in cui la pluralità dei soci deve essere costituita pena lo scioglimento della società articolo 2272, n. 4), del codice civile], il socio diviene titolare delle posizioni giuridiche attive e passive, con tutti i poteri che, in precedenza, spettavano agli organi sociali. In ogni caso, che riguardi una società di capitali od una società di persone, la trasformazione in impresa individuale dovrà rispettare il procedimento e gli adempimenti formali che il codice civile richiede per le trasformazioni eterogenee ed in particolare per la trasformazione di società in comunione di azienda. Aspetti tributari: imposizione diretta La configurabilità del passaggio da società in impresa individuale quale trasformazione eterogenea è in grado di tradurre sul piano giuridico quella continuità che l'operazione manifesta dal punto di vista economico, con possibile neutralità fiscale, almeno nelle imposte sui redditi e nell'Iva. Pagina 304 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Osservando, in primo luogo, il settore dell'imposizione sui redditi, occorre mettere in relazione il principio di continuità con la scelta, operata dal legislatore fiscale (articoli 6, comma 3, ed 81, Testo unico delle imposte sui redditi, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), di ritenere realizzata la categoria reddituale d'impresa per le società di forma commerciale, indipendentemente da una attività d'impresa di fatto posta in essere e per ogni reddito da esse prodotto. L'elemento, ad un tempo soggettivo (se esaminato in relazione alla esistenza del soggetto nell'ordinamento) ed organizzativo (se considerato per i profili di rilevanza giuridica dell'atto organizzativo che crea l'ente) della sussistenza della società e quello, tipologico, della commercialità, sono dunque in grado di garantire l'applicazione del regime fiscale d'impresa e, in particolare, di mantenere i beni di cui la società è titolare all'interno di quest'ultimo. In questo senso, la fuoriuscita dei beni dal regime fiscale d'impresa potrà realizzarsi per il venir meno, alternativamente, del soggetto oppure del requisito della commercialità. In ogni caso, si integrerà una fattispecie fiscalmente realizzativa, in grado di produrre componenti positivi (ricavi, plusvalenze) e negativi (minusvalenze), per il realizzarsi dell'ipotesi di destinazione dei beni a finalità estranee all'impresa, oppure di quella dell'assegnazione di beni ai soci, nel caso di liquidazione ed estinzione della società. La tendenziale neutralità della trasformazione societaria, così come della fusione e della scissione, può allora giustificarsi proprio in base al principio di continuità di cui all’articolo 2498 del codice civile. L'assenza di una vicenda di tipo estintivo-costitutivo-traslativo, ed il conseguente apprezzamento giuridico dell'operazione quale modifica statutaria, fanno sì che la trasformazione non possa essere considerata, per i propri effetti giuridici, in termini di discontinuità soggettiva. Nonostante l'ente societario o collettivo possa venire meno (nella trasformazione da società ad altro ente nel primo caso, da società a comunione di azienda nel secondo), gli effetti giuridici della trasformazione impongono di apprezzare l'operazione in una dimensione di continuità nella titolarità dei rapporti giuridici e del patrimonio, al di fuori di una fattispecie estintiva. Senza alcuna soluzione di continuità neppure di ordine soggettivo, perché la trasformazione implica il mantenimento della "propria identità giuridica", il regime fiscale d'impresa continuerà ad applicarsi anche dopo la trasformazione, in modo da non potersi configurare alcuna fuoriuscita dei beni da tale regime e, quindi, alcun rilievo in termini impositivi. Tale neutralità fiscale della trasformazione è, però, in generale, solo tendenziale, in quanto la trasformazione può in talune ipotesi determinare l'abbandono della forma commerciale dell'ente. Nella trasformazione (eterogenea) da società commerciale ad ente non commerciale (così come nell'ipotesi di passaggio da società commerciale a società semplice), il soggetto perde la commercialità data dalla tipologia e, da un regime fiscale in cui, per qualificazione normativa espressa, l'agire dello stesso è in ogni caso considerato nella determinazione del reddito d'impresa, transiterà in un regime fiscale in cui la produzione del reddito d'impresa è solo eventuale. Nei limiti, cioè, dell'attività effettivamente esercitata ai sensi dell’articolo 55 del Tuir. L'abbandono della commercialità della tipologia può però non comportare necessariamente disapplicazione del regime d'impresa, in quanto l'elemento tipologico può essere sostituito dalla commercialità dell'attività effettivamente esercitata. Se, in altre parole, vi è esercizio dell'attività d'impresa ai sensi dell’articolo 55 del Tuir e se, ulteriormente, questa attività sono destinati i beni di cui la società era titolare prima della trasformazione, la costanza nell'applicazione del regime d'impresa si accompagna al mantenimento dei beni all'interno del regime medesimo. Ove, viceversa, l'ente risultante dalla trasformazione non eserciti attività d'impresa oppure non vi sia destinazione di tutti i beni (nel senso fatto proprio dall’articolo 65 del Tuir) all'attività imprenditoriale, si integrerà l'ipotesi della destinazione a finalità estranee. In questi termini, il rilievo della trasformazione eterogenea come possibile fattispecie realizzativa sembra doversi desumere dal sistema dell'imposizione sui redditi, in particolare derivando dalla configurazione del presupposto impositivo, rispetto alla produzione di redditi Pagina 305 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 d'impresa, per le società commerciali e dalla previsione di ipotesi di "chiusura del sistema" per la oggettiva fuoriuscita dei beni dal regime fiscale d'impresa. Appare dunque come coerente con [ed esplicativa dei] principi del reddito d'impresa la previsione, introdotta dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, dell’articolo 171, comma 1, del Tuir in base alla quale, nell'ipotesi di trasformazione eterogenea, i beni della società si considerano realizzati in base al valore normale, "salvo che non siano confluiti nell'azienda o nel complesso aziendale dell'ente stesso". La norma, infatti, collega l'irrilevanza impositiva alla configurabilità dei beni quali beni dell'impresa esercitata dal soggetto non commerciale. In questo quadro, la trasformazione dalla società in impresa individuale, che si presenta indubbiamente come "eterogenea" sul piano civilistico, appare in grado di garantire l'irrilevanza impositiva, se si considera l'attività d'impresa individuale esercitata con i beni di cui la società era titolare. Se si può sicuramente affermare che l'operazione non si presenta come una frattura soggettiva e di titolarità del patrimonio, per l'operare del principio di continuità ai sensi dell’articolo 2498 del codice civile, l'ulteriore elemento della sussistenza del requisito della commercialità va però in concreto verificato in relazione alla destinazione del patrimonio aziendale. Può, infatti, accadere che alcuni beni della società non siano utilizzati nell'attività d'impresa individuale o, se immobili, non siano inseriti nell'inventario; più in generale, si può verificare l'ipotesi che alcuni beni aziendali, in precedenza qualificati d'impresa in base alla titolarità da parte del soggetto societario, successivamente alla trasformazione perdano tale connotazione ai sensi dell’articolo 65, comma 1, del Tuir. In simile circostanza, dovrà affermarsi la destinazione a finalità estranea dei beni in oggetto che, nonostante la continuità giuridica, escono dal regime fiscale d'impresa. Conclusione che, lo si sottolinea, deriva dall'applicazione della fattispecie impositiva della destinazione a finalità estranee, nonostante l'ipotesi in esame non sia considerata nella disposizione di cui all’articolo 171 del Tuir, ciò che evidenzia ulteriormente, in quest'ultima norma, una portata applicativa dei principi del sistema. Aspetti tributari: imposizione indiretta Considerazioni in qualche modo analoghe a quelle fin qui esposte in relazione all'imposizione sul reddito debbono essere svolte ove ci si interroghi sul rilievo, ai fini dell'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, della trasformazione da società in impresa individuale. Anche la disciplina normativa dell'Iva (articolo 4, comma 2, n. 1), D.P.R.26 ottobre 1972, n. 633] valorizza il dato soggettivo costituito dalla sussistenza della società di forma commerciale e, con esso, i profili di rilevanza giuridica dell'atto organizzativo. Sono, dunque, la sussistenza della società e la tipologia commerciale ad essere considerati elementi sufficienti (salva l'esclusione delle specifiche attività considerate espressamente non commerciali dall’articolo 4, comma 2, D.P.R. n. 633/1972) ad integrare quell'"esercizio di imprese" che costituisce l'elemento soggettivo del presupposto. Il venir meno di questi elementi è in grado di provocare la destinazione a finalità estranee dei beni d'impresa, operazione imponibile, assimilata alla cessione di beni, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, n. 5), D.P.R. n. 633/1972; previsione normativa che comprende le diverse ipotesi in cui i beni perdono la propria "destinazione funzionale" d'impresa, fuoriuscendo dal relativo regime fiscale. A condizione che non si tratti di un complesso di beni apprezzabile in termini di azienda o ramo di azienda [per i quali opera l'esclusione di cui all’articolo 2, comma 3, lettera b), D.P.R. n. 633/1972]. Il principio di continuità della trasformazione garantisce il mantenimento dell'identità soggettiva e, anche per la trasformazione di società in impresa individuale, impedisce di ricostruire una vicenda estintivo-traslativa in grado di determinare la disapplicazione del regime d'impresa così come il mutamento di titolarità dei beni. Pagina 306 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 In questo quadro ricostruttivo va quindi inserita l'espressa previsione dell’articolo 2, comma 3, lettera f), D.P.R. n. 633/1972, che prevede l'esclusione dall'imposta per i "passaggi di beni in dipendenza (...) di trasformazioni di società". La trasformazione può però integrare la fattispecie impositiva qualora la società commerciale si trasformi in un soggetto che non sia una società commerciale (articolo 4, comma 2, n. 1), D.P.R. n. 633/1972) o che non sia un ente avente per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole (articolo 4, comma 2, n. 2), D.P.R. n. 633/1972). La perdita della tipologia commerciale (non sostituita dalla natura commerciale od agricola dell'oggetto esclusivo o principale dell'ente) potrà, infatti, non essere seguita dall'esercizio dell'attività di impresa, agricola o commerciale, da parte del soggetto risultante dalla trasformazione. Oppure potrà accadere che all'esercizio dell'attività imprenditoriale non vengano destinati tutti i beni d'impresa. Nel caso di trasformazione di società in impresa individuale, in particolare, occorrerà verificare la destinazione dei beni, visto che l'esercizio dell'attività d'impresa è di per sé in grado di integrare l'elemento soggettivo del presupposto. Entro questi limiti, dunque, anche ai fini dell'imposta sul valore aggiunto è possibile configurare la neutralità della trasformazione di società in impresa individuale. Il principio della continuità risulta, poi, determinante anche nell'applicazione dell'imposta di registro, se si considera che l'assenza di effetti traslativi, in una fattispecie che si atteggia giuridicamente alla stregua di una modifica statutaria, impedisce l'applicazione dell'imposta in misura proporzionale. L'imposta in misura fissa, è prevista dall'art. 4, lettera c), parte prima, della Tariffa, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (che, con riferimento agli atti propri delle società, menziona le "modifiche statutarie, comprese le trasformazioni e le proroghe"). Imposizione in misura fissa che deve essere affermata anche nelle imposte ipotecarie e catastali, qualora la società trasformata possieda beni immobili, perché la fattispecie di trasformazione non si risolve in un atto di trasferimento, ai sensi dell’articolo 10, comma 2, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347. Aspetti fiscali: neutralità fiscale e continuità di tipo economico Da quanto fin'ora considerato, emerge che l'individuazione di una fattispecie non realizzativa, nel passaggio da società ad impresa individuale, dipende dalla affermazione del principio giuridico della continuità, a sua volta legato alla prospettazione dell'operazione come trasformazione. Appare opportuno sottolineare come una simile continuità, apprezzata agli effetti fiscali, non possa, relativamente alla fattispecie in esame, essere configurata avvalendosi di diverse ricostruzioni giuridiche così come di alternativi schemi negoziali. In altri termini, laddove il passaggio da società ad impresa individuale non si presenti quale trasformazione, si dovrà affermare una discontinuità di ordine soggettivo, e con essa una vicenda di tipo circolatorio relativamente ai beni. L'elemento economico della continuità, ove non si rifletta in quello giuridico proprio della trasformazione, non potrà dunque essere riconosciuto dal sistema tributario. Nell'imposizione sui redditi, come già si è avuto modo di accennare, la produzione di reddito di impresa è legata all'individuazione della relativa fonte reddituale, che può essere integrata, a seconda dei soggetti interessati, dalla sussistenza di una società di tipo commerciale e di un ente avente oggetto commerciale o dall'esercizio abituale e professionale dell'attività commerciale (articoli 6, comma 3, 55 e 81 del Tuir). Nei diversi casi, l'applicazione del regime fiscale d'impresa è condizionato da elementi di carattere soggettivo: perché l'atto organizzativo [negoziale] è alla base della configurazione dell'ente quale soggetto; perché l'attività di impresa risulta individuata soggettivamente, in funzione cioè di colui che la pone in essere. Pagina 307 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Il passaggio da una società ad una impresa individuale (ma lo stesso vale per il passaggio da una impresa individuale ad altra impresa individuale o da impresa individuale a società) realizza inevitabilmente una frattura sul piano soggettivo che impone di rilevare, rispettivamente, una cessazione dell'esercizio di impresa ed un avvio di una diversa attività imprenditoriale. In assenza di una qualificazione dell'operazione come trasformazione, la conseguente discontinuità nella titolarità dei rapporti e dei beni e nella identità soggettiva sarà in grado di determinare la disapplicazione della disciplina fiscale d'impresa e la fuoriuscita dei beni dal relativo regime. Fuoriuscita che, in caso di società (come si vedrà meglio in seguito), si realizzerà contestualmente allo scioglimento ed all'estinzione dell'ente, integrando la specifica ipotesi dell'assegnazione dei beni ai soci. Il riscontro, nella ipotesi in esame, di un aspetto di continuità di tipo economico, appare, dunque, del tutto insufficiente in un sistema che definisce la fonte categoriale d'impresa avvalendosi di fattispecie connotate in termini soggettivi e che richiede, relativamente ai beni, di rilevare elementi reddituali nel momento in cui il regime fiscale non risulta più applicabile. Così, l'attività imprenditoriale esercitata dal socio superstite di una società unipersonale, o da colui che, tra i soci della società estinta, prosegue l'esercizio dell'impresa, anche se condotta con i beni della società ed anche se del medesimo oggetto dell'attività societaria, dovrà configurarsi come una diversa impresa dal punto di vista fiscale. Conclusioni, queste, che debbono essere affermate anche nell'imposta sul valore aggiunto, in cui la disciplina normativa individua l'elemento soggettivo del presupposto (nella specie, l'esercizio di impresa) in base alla sussistenza della società di forma commerciale o dell'ente avente oggetto commerciale od agricolo ed all'esercizio professionale di una attività di natura commerciale o agricola (articolo 4, D.P.R. n. 633/1972). In cui, ulteriormente, l'espulsione dei beni (non dell'azienda) dal regime d'impresa, conseguente anche al venir meno dell'elemento soggettivo, configura l'imponibilità dell'operazione. Per tali osservazioni, non pare quindi possibile concordare con le affermazioni di parte della dottrina che si concentra, nelle ipotesi di continuità economica dell'esercizio dell'impresa, sull'aspetto della prosecuzione del medesimo programma imprenditoriale. Giungendo a prospettare, ai fini delle imposte sui redditi, il regime di neutralità ed il mantenimento dei valori fiscali dei beni d'impresa. Secondo simile ricostruzione, sviluppata in modo coerente dalla dottrina in esame, il passaggio da società ad impresa individuale, nonostante i mutamenti di ordine soggettivo e nella titolarità dei beni aziendali, evidenzierebbe la "continuità sia della destinazione imprenditoriale che dell'esercizio dell'impresa stessa ad opera del socio superstite quale imprenditore individuale". La conservazione del "programma imprenditoriale", che pare debba intendersi quale prosecuzione dell'attività di impresa e destinazione dei beni a tale attività, giustificherebbe una autonoma considerazione tributaria della continuità, con una "disciplina della trasformazione solo fiscale cui corrisponderebbe ben altro assetto nella sede civilistica". Nel senso opposto rispetto alla posizione dottrinale ora illustrata, oltre ai rilievi già svolti, occorre ulteriormente sottolineare come il sistema dell'imposizione sui redditi (con riferimento al quale la rilevanza della "continuità del programma imprenditoriale" è stata prospettata), non sembra riconoscere alcun autonomo rilievo alla "destinazione funzionale" dei beni ad un "programma imprenditoriale". Nelle ipotesi di mutamento della titolarità dei beni d'impresa, l'ordinamento impone la rilevazione di componenti reddituali, indipendentemente da una valutazione relativa al rapporto tra bene trasferito e programma imprenditoriale perseguito. Così accade per le cessioni a titolo oneroso e corrispettive; per il conferimento (che è un atto tipicamente di natura realizzativa, secondo quanto dispone l’articolo 9 del Tuir) ed in relazione al quale non pare poter assumere alcuna valenza sistematica la neutralità opzionale prevista dall’articolo del Tuir per i conferimenti aventi ad oggetto l'azienda ed a condizione che il conferitario sia un Pagina 308 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 soggetto Ires; per la destinazione dei beni al consumo personale, l'assegnazione ai soci e la destinazione a finalità estranee, in quanto oggettiva fuoriuscita dei beni dal regime fiscale d'impresa (in cui l'estraneità è valutata in relazione ad una particolare impresa, connotata in termini soggettivi dal contratto societario o dall'attività esercitata dal soggetto). Inoltre, è dato osservare che le ipotesi di riconoscimento legislativo espresso della neutralità, in presenza di una vicenda circolatoria, non solo debbono valutarsi in un'ottica tipicamente derogatoria rispetto ad una disciplina generale, ma anche che, nelle stesse, l'elemento della costanza dell'esercizio dell'impresa e della relativa destinazione dei beni non rappresenta affatto una costante normativa. Si pensi alle cessioni di partecipazioni esenti ai sensi dell’articolo 87 del Tuir o alla donazione ed al trasferimento di azienda mortis causa ai sensi dell’articolo 58, comma 1, del Tuir. Occorre, infine, osservare che il riconoscimento della neutralità fiscale, in relazione alla valorizzazione degli elementi di continuità economica della fattispecie in esame, non appare prospettabile neppure affermando, come pure è stato fatto, che la disciplina della trasformazione prevista dal Testo unico delle imposte sui redditi accoglierebbe una nozione solo fiscale di trasformazione, differente da quella civilistica. Si è notato che il regime di neutralità disegnato dal Tuir si fonda sul principio di continuità, da cui deriva la connotazione giuridica della trasformazione come fattispecie non estintivocostitutiva, rispetto al soggetto, e non traslativa, riguardo ai beni. La disciplina fiscale, detto altrimenti, presuppone la continuità giuridica di cui all’articolo 2498 del codice civile, che è garantita dalla qualificazione dell'operazione come trasformazione in base alle disposizioni codicistiche, mentre risulta del tutto irrilevante la sola continuità di ordine economico, realizzata nella discontinuità soggettiva. In questo senso, la ratio delle disposizioni fiscali porta a ritenere necessaria, ai fini dell'applicazione degli articoli 170 e seguenti del Tuir, l'individuazione della fattispecie come trasformazione, compiuta in base agli articoli 2498 e seguenti del codice civile. La nozione di trasformazione assunta dalla disciplina fiscale corrisponde dunque a quella civilistica, conclusione cui si deve giungere anche osservando che nessuna definizione espressa il legislatore fiscale dà dell'istituto, con la conseguenza, secondo l'insegnamento tradizionale, che lo stesso è assunto nel diritto tributario secondo l'accezione fatta propria dal settore giuridico di origine. Nella prospettiva indicata, anche l'applicazione analogica degli articoli 170 e seguenti del Tuir al passaggio, che non si qualifichi come trasformazione, da società ad impresa individuale deve considerarsi preclusa. Al di là delle problematiche relative all'utilizzo dello strumento interpretativo dell'analogia nel diritto tributario, occorre sottolineare che se il regime fiscale di neutralità richiede, come si è dimostrato, la continuità di tipo giuridico, la non configurabilità di quest'ultima impedisce il ricorso all'analogia per mancanza del presupposto della eadem ratio. II.4.1.2. Le trasformazioni omogenee Il contenuto dell'articolo 170 riproduce in linea di massima quanto disposto dall’articolo 122 del vecchio Tuir. Il comma 1 afferma che la trasformazione è un'operazione fiscalmente neutrale: "non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore dell'avviamento". Deve quindi ritenersi che ogni passaggio, a seguito di un'operazione di trasformazione, da soggetto Ire a soggetto Ires e viceversa non produca reddito imponibile. Pagina 309 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 Tale operazione non essendo collegabile alla normale attività di gestione dell'impresa, di per sé non è generatrice di reddito. Non si può infatti ravvisare un realizzo poiché i beni permangono nello stesso patrimonio. In base a quanto sopra, la perizia di stima non comporta l'emergere di plusvalenze e/o minusvalenze patrimoniali aventi rilevanza fiscale. Tale documento avrebbe un carattere meramente strumentale ai fini della riorganizzazione interna della struttura societaria. Questa irrilevanza continua a sussistere anche quando le plusvalenze vengano iscritte nell'attivo dello stato patrimoniale, ciò a seguito della soppressione della lettera c) del vecchio articolo 54 del Tuir (ora articolo 86) valevole però per i soli beni patrimoniali (fanno eccezione i beni fungibili). In ogni caso, quando un soggetto Ire si trasforma in un soggetto Ires o viceversa, si deve procedere a dividere l'esercizio interessato dalla trasformazione in due periodi (comma 2 dell’articolo 170): - primo periodo: dall'inizio dell'esercizio alla data di effetto della trasformazione; - secondo periodo: dalla data di effetto della trasformazione alla data di chiusura dell'esercizio. Per i due periodi sopra delineati, il soggetto verrà assoggettato alla tassazione propria del gruppo di appartenenza (società di capitali o società di persone). Naturalmente quando la trasformazione avviene all'interno della medesima tipologia di società, non deve essere presentata alcuna dichiarazione. La trasformazione omogenea progressiva (da società non soggetta ad Ires a società soggetta a tale imposta: da società di persone a società di capitali). Le riserve costituite prima della trasformazione con utili già tassati per trasparenza in capo ai soci, qualora distribuite, non concorrono a formare il loro reddito a condizione che (articolo 170, comma 3): - le riserve risultino iscritte nel bilancio della società trasformata; - sia indicata espressamente la loro origine, ossia che si sono formate in periodi d'imposta "ante trasformazione". Se non risulta rispettata anche una sola delle due condizioni, le riserve in questione non godono della non imponibilità in capo ai soci e all'atto della distribuzione saranno tassate in base al regime impositivo proprio delle riserve delle società di capitali. Trasformazione omogenea regressiva (da società soggetta ad Ires a società non soggetta a tale imposta: da società di capitali a società di persone) Le riserve di utili costituite prima della trasformazione sono tassate in capo ai soci nei seguenti casi (articolo 170, comma 4): - se sono "distribuite o utilizzate per scopi diversi dalla copertura di perdite d'esercizio ... (nel periodo d'imposta in cui ciò avviene); - nel periodo "successivo alla trasformazione, se non siano iscritte in bilancio" o vi siano iscritte senza ... indicazione della loro origine. Trattasi quindi di un regime di temporanea sospensione d'imposta. Ad ogni modo, tenendo presente quanto sopra esposto, in caso di tassazione il nuovo comma 5 dell’articolo 170 stabilisce che questa avvenga secondo il nuovo regime di imponibilità parziale dei dividendi delle società di capitali. In pratica potremmo avere: - persona fisica che possiede una partecipazione qualificata fuori dall'esercizio d'impresa: le riserve percepite concorrono alla formazione del reddito imponibile nella misura del 40 per cento (articolo 47, comma 1, del Tuir); Pagina 310 di 456 Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006 - persona fisica che possiede una partecipazione non qualificata fuori dall'esercizio d'impresa: ritenuta fiscale a titolo d'imposta del 12,5 per cento; - persona fisica o società di persone che riceve gli utili nell'esercizio d'impresa: le riserve percepite concorrono alla formazione del reddito nella misura del 40 per cento (articolo 59, comma 1, del Tuir); società di capitali: le riserve percepite concorrono alla formazione reddito nella misura del 5 per cento (articolo 89, comma 2, del Tuir). II.4.1.3. Il riporto delle perdite La disciplina tributaria delle perdite fiscali pregresse viene affrontata diversamente e separatamente per ciascuna tipologia di trasformazione societaria: come anticipato nei paragrafi precedenti, il diverso trattamento attribuito alle stesse è strettamente connesso alle modifiche della forma societaria a seguito della trasformazione. Trasformazione omogenea Nella trasformazione omogenea o endosocietaria classica (da un tipo all'altro di società commerciale), l'operazione ha da tempo trovato soluzioni condivise, non destando particolari problemi ai fini delle imposte sui redditi. Nel caso di trasformazioni tra società di capitali o enti soggetti all'Ires, il riporto delle perdite sopportate dalla società trasformanda prosegue nella società o ente risultante dalla trasformazione, con la puntualizzazione che la perdita conserva la stessa anzianità maturata presso la precedente. La trasformazione tra società di persone non incide in alcun modo sul riporto delle perdite che, in ogni periodo di imposta, vengono trasferite ai soci, diventando ininfluenti le successive vicende societarie. Nelle trasformazioni de quibus, la possibilità del riporto delle perdite fiscali subite dalla società che si trasforma (in modo da ammetterle in compensazione con gli utili conseguibili nella trasformata) sussiste, ai sensi dei già citati articoli 8 e 84 del Tuir, sia per i soci nel c