Facoltà di Economia Aziendale – sede di Novara
Corso di diritto tributario avanzato – A.A. 2005/2006
LA TASSAZIONE DOMESTICA E INTERNAZIONALE
DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI
A cura Dott. Gilberto Gelosa
INDICE
I.
LA TASSAZIONE DOMESTICA
SOCIETA’ DI CAPITALI
DEL
REDDITO
DELLE
pag.10
I.A.
LA TASSAZIONE DEL REDDITO DELLE SOCIETÀ
I.A.1.
Le fonti normative: principi generali
1.
Le finalità dell’ordinamento tributario
2.
Le norme costituzionali
2.1.1. Articolo 23 Cost. - La riserva di legge in materia tributaria
2.1.2. Articolo 53 Cost. – Contenuto e funzioni della normativa fiscale
3.
Le fonti del diritto tributario
3.1.
Le leggi regionali e quelle statali in materia di tributi locali.
3.2.
Le fonti comunitarie
I.A.2.
L’imposta sul reddito delle società di capitali (IRES): definizione, presupposti
e determinazione
pag.14
1.1.
Definizione
1.2.
Presupposti
1.3.
Determinazione del reddito imponibile
1.4.
Variazioni del risultato di bilancio
1.5.
Determinazione dell’imposta
I.A.3.
I principi di tassazione del reddito delle società di capitali
pag.26
I.A.4.
Il reddito d’impresa: analogie e differenze con il reddito delle società
pag.32
I.A.5.
I diversi regimi di tassazione delle società (di persone e di capitali) e riflessi sui
soci
pag.36
5.1.
Società di persone
5.2.
Le società di capitali
I.A.6.
Il regime di tassazione degli enti commerciali
I.A.7.
La nozione di costo fiscale
7.2.
Il costo dei beni rivalutati (articolo 110, comma 1 lett. c))
7.3.
Il costo delle azioni e degli strumenti finanziari
pag.10
pag.10
pag.41
pag.42
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I.A.8.
I Componenti Positivi Del Reddito Delle Società
8.1.
Considerazioni Preliminari
8.2.
L’area Operativa
8.3.
L’area Finanziaria
8.4.
L’area Straordinaria
8.5.
Componenti Positive Esenti
8.6.
Analisi Delle Singole Componenti Reddituali
8.7.
Ricavi
8.7.1. Ricavi propri
8.7.2. Ricavi da cessioni di attività finanziarie
8.7.3. Indennità per la perdita o danneggiamento di beni
8.7.4. Contributi
8.7.5. Assegnazione ai soci
8.8.
Plusvalenze patrimoniali
8.9.
Plusvalenze esenti
8.10.
Sopravvenienze attive
8.11.
Dividendi ed interessi
8.12.
Proventi immobiliari
8.13.
Proventi ed oneri non computabili nella formazione del reddito
8.14.
Variazioni delle rimanenze
8.15.
Opere, forniture e servizi di durata ultrannuale
8.16.
Valutazione titoli
I.A.9.
Le variazioni delle rimanenze
9.1.
Le rimanenze
9.2.
Opere, forniture e servizi di durata ultrannuale
9.3.
Rimanenze di titoli
I.A.10.
I componenti negativi di reddito
pag.62
10.1.
La valutazione dei titoli
10.1.2. Le regole di valutazione
10.2.
Gli interessi passivi
10.2.1. Interessi di funzionamento
10.2.2. Interessi capitalizzabili
10.2.3. Interessi su obbligazioni
10.3.
Le spese per prestazioni di lavoro
10.4.
Gli oneri fiscali e contributivi
10.5.
Oneri di utilità sociale
10.6.
Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite
10.6.1. Minusvalenze
10.6.2. Sopravvenienze passive
10.6.3. Perdite.
10.7.
Ammortamenti
10.7.1. Ammortamento tecnico
10.7.1.1. Ammortamento dei beni materiali
10.7.1.2. Ammortamento dei beni immateriali
10.7.1.3. Beni inferiori a 516.46 Euro
10.7.2. Ammortamento finanziario
10.8.
Accantonamenti
10.8.1. Accantonamenti di quiescenza e previdenza
10.8.1.1. Accantonamenti relativi al lavoro dipendente (art. 105 c. 1, 2. 3 DPR 917/86)
pag.45
pag.55
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10.8.1.2. Accantonamenti per rischi su crediti
10.8.1.3. Altri accantonamenti
10.8.1.3.1. Accantonamenti per maggiori imposte accertate (art. 99 c. 2 DPR 917/86)
10.8.1.3.2. Accantonamenti per operazioni e concorsi a premio (art. 107 c. 3 DPR
917/86)
10.8.1.3.3. Accantonamenti per opere pubbliche gratuitamente devolvibili (art.107 C. 2
DPR 917/86)
10.8.1.3.4. Accantonamenti per manutenzione e revisione di navi ed aeromobili (art.
107, 1 DPR 917/86)
10.9.
Spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione
10.10. Spese pluriennali
10.11. La deducibilità dei costi sostenuti con soggetti esteri
I.A.11.
pag.86
La thin capitalization ed il pro-rata patrimoniale
11.1.
Thin Capitalization: generalità e finalità della disciplina
11.1.1. Modalità di applicazione della Thin Capitalization
11.1.2. Osservazioni e valutazioni di casi particolari
11.1.2.1. Remunerazione Dei Finanziamenti Eccedenti – Assimilazione Agli Utili
Distribuiti
11.1.2.2. Rapporti Con Altre Norme Sulla Indeducibilità Degli Interessi Passivi
11..1.2.3.Capacita’ Di Credito – Prova Contraria
11.2.
Il pro-rata patrimoniale
10.3.
Il pro-rata generale di indeducibilità degli interessi passivi
I.A.12.
La valutazione delle partecipazioni sociali e il regime delle plusvalenze derivanti
dalla cessione di partecipazioni sociali (participation exemption)
pag.98
12.1.
12.2.
12.3.
12.4.
12.4.1.
12.4.2.
12.4.3.
Trattamento fiscale delle plusvalenze
Strumenti finanziari che generano plusvalenze
Distribuzione di utili e riserve di capitali
Operazioni straordinarie
Conferimento
Fusione
Scissione
I.B.
I DIVERSI REGIMI DI DETERMINAZIONE DEL REDDITO
DELLE SOCIETA’ E DELL’OBBLIGAZIONE D’IMPOSTA pag103
I.B.13.
pag.103
Le società di comodo (dormant company)
13.1.
Presupposto Soggettivo
13.2.
Presupposto oggettivo
13.3.
Analisi del risultato
13.4.
Individuazione delle voci da considerare per il calcolo dei ricavi effettivi
13.5.
La determinazione del reddito minimo
13.6.
La prova contraria
I.B.14.
Stabili organizzazioni ed uffici di rappresentanza di soggetti non residenti:
pag.118
definizione e tassazione
14.1.
La definizione dell’amministrazione finanziaria
14.2.
La definizione della giurisprudenza
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14.3.
10.4.
I.B.15.
La definizione fornita dall’OCSE
Regole civilistiche e fiscali
La trasparenza fiscale delle società di capitali
15.1.
Profili generali
15.2.
Finalità e vantaggi
15.3.
Condizioni soggettive
15.4.
Condizioni oggettive
15.5.
Esercizio dell’opzione
I.B.15.bis. La trasparenza fiscale delle società a ristretta base proprietaria
15-bis.1. Il quadro normativo – finalità e vantaggi
15-bis.2. Ambito soggettivo
15-bis.2.1. Cause specifiche di esclusione
15-bis.3. Esercizio e durata dell'opzione
15-bis.4. Decadenza dal regime
15-bis.5. Imputazione del reddito della società partecipata
15-bis.6. Regole residuali applicabili alle società a responsabilità limitata
I.B.16.
Il consolidato fiscale nazionale
16.1.
Condizioni soggettive
16.2.
Condizioni oggettive
16.4.
Determinazione di un unico reddito complessivo consolidato
16.5.
Obblighi e facoltà della controllante
16.6.
Svalutazioni dedotte su partecipazioni consolidate
I.B.17.
Il riporto delle perdite fiscali
17.1.
Disposizioni di carattere generale
17.2.
Regole di imputazione
I.B.18.
I patrimoni destinati
I.B.19.
La cessione delle eccedenze d’imposta
19.1.
Cessione crediti d’imposta a terzi
19.2.
Cessione crediti d’imposta all’interno di un gruppo
19.3.
La disciplina civilistica
I.D.
L’IMPOSIZIONE LOCALE SULLE SOCIETÀ
I.D.25.
IRAP
25.1.
25.2.
25.2.1.
25.3.
25.4.
25.5.
I.D.26.
ICI
26.1.
pag.125
pag.141
pag.146
pag.153
pag.155
pag.160
pag.175
pag.175
Premessa
Gli obiettivi e il presupposto
Il presupposto oggettivo e la base imponibile
Il presupposto soggettivo
Le aliquote IRAP
Trattamento fiscale ai fini irap di alcuni componenti positivi e negativi di
reddito di impresa commerciale
pag.195
Definizioni: fabbricati, aree fabbricabili e terreni
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26.1.1.
26.1.2.
26.1.3.
26.1.4.
Disciplina generale
Fabbricati: casi particolari
Area fabbricabile: casi particolari
Terreno agricolo: casi particolari
26.2.
26.2.1.
26.2.2.
26.2.3.
Gli Immobili Che Non Pagano Imposta (Esenti)
Le esenzioni
Il caso degli oratori
Cooperative assistenziali
26.3.
I Soggetti Passivi D’imposta
26.3.1. Disciplina generale
26.3.2. Casi particolari
26.3.2.1. Il leasing
26.3.2.2. Il diritto di superficie
26.3.2.3. Contitolarità
26.3.2.4. Le procedure concorsuali
26.3.2.5. Contratto di anticresi
26.3.2.6. Procedimento di espropriazione
26.3.2.7. Il concessionario
26.3.2.8. La multiproprietà
26.4.
La base imponibile
26.4.1. I fabbricati
26.4.2 La rendita presunta
26.4.3. Gli immobili dell’impresa
26.4.4. Immobili di interesse storico o artistico
26.4.5. Aree fabbricabili
26.4.6. Terreni agricoli
26.5.
Le aliquote
26.5.1. I Minimi e i massimi
26.6.
L'abitazione principale
26.6.1. Le aliquote
26.6.2. La detrazione
26.6.3. Le pertinenze
26.6.4. Le parti condominiali
26.7.
Le altre detrazioni e gli altri sconti
26.7.1. Fabbricati inagibili o inabitabili
26.7.2. I Fabbricati costruiti per la rivendita
26.7.3. Terreni condotti direttamente
26.8.
I versamenti
26.8.1. I cambiamenti della situazione
26.9.
Modalità di versamento
26.9.1. Metodi di versamento
26.10.
26.10.1.
26.10.2.
26.10.3.
Accertamento e liquidazione
L’avviso di liquidazione e l’accertamento
I termini
L’autotutela
26.11. Le sanzioni
26.11.1. Le misure
26.11.2. Il ravvedimento
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26.11.3. Accertamento con adesione
26.12. Rimborso
26.13. Il Condono edilizio
26.13.1. Dichiarazione Ici
26.13.2. Versamento Ici
26.14.
26.14.1.
26.14.2.
26.14.3.
26.14.4.
26.14.5.
II.
La riclassificazione degli immobili
L’aumento dei valori
Le micro-zone comunali
La rideterminazione della rendita dei singoli immobili
La richiesta di classamento
Come difendersi
LE OPERAZIONI STRAORDINARIE
pag.229
II.1.
Le fusioni e le operazioni di leveraged buy-out
1.
Il principio di neutralità
1.1.
L'intassabilità delle plusvalenze latenti
1.2.
Le differenze di fusione
1.3.
Il concambio delle partecipazioni
2.
I fondi in sospensione
3.
Le perdite
4.
La retrodatazione
5.
Le dichiarazioni e i versamenti - Gli acconti
5.1.
La presentazione della dichiarazione
5.2.
I versamenti a saldo
5.3.
Gli acconti
6.
Le operazioni di fusione e l’applicazione della norma antielusiva
II.2.
Le operazioni di scissione e spin-off
2.1.
Considerazioni preliminari
2.2.
Scissione: definizione e modifiche trattamento fiscale
2.3.
Avanzo e disavanzo da scissione
2.4.
Riporto delle perdite
2.5.
Obblighi di versamento
2.6.
Le pronunce del comitato anti-elusivo
II.3.
I conferimenti di aziende, partecipazioni e beni
pag.286
3.1.
Premessa
3.2.
Alcuni dati di partenza.
3.3.
Assenza di corrispettività e necessità di valorizzazione oggettiva dei beni
trasferiti in occasione del conferimento
3.4.
Assenza di corrispettività, funzione organizzativa e continuità dei valori
fiscali fra beni di "primo" e di "secondo" grado: condizione di neutralità
speciale o generale?
3.5.
Il conferimento di azienda
3.6.
I conferimenti di partecipazioni, il rapporto con la cosiddetta participation
exemption e la prospettiva di una neutralità sistematica
3.7.
Regole fiscali tra tradizione e novità dei modelli di conferimento
pag.229
pag.255
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3.8.
3.9.
3.10.
Incremento del capitale e insorgenza dello status di socio tra mancato
adempimento e garanzia del terzo
I conferimenti non proporzionali
Gli apporti diversi dai conferimenti "tipici".
II.4.
La trasformazione di società
4.1.
Disciplina fiscale della trasformazione
4.1.1. Le trasformazioni eterogenee
4.1.2. Le trasformazioni omogenee
4.1.3. Il riporto delle perdite
II.5.
La liquidazione delle società
5.1.
5.2.
5.3.
5.4.
5.5.
5.6.
5.7.
5.8.
5.9.
pag.301
pag.317
Bilancio di liquidazione
La tassazione nella liquidazione
Persone fisiche
Imprese individuali
Società di capitali
Disciplina delle perdite
Responsabilità fiscale dei liquidatori
Dichiarazione dei redditi
Revoca dello stato di liquidazione
II.6.
La cessione di azienda
II.7.
pag.329
L’elusione fiscale, le norme antielusive ed il diritto di interpello
7.1.
La scelta del contribuente di fronte all’obbligo tributario.
7.2.
Il contrasto al fenomeno elusivo
7.2.2. Principi generali.
7.2.3. La sentenza interpretativa “Leur Bloem” della Corte di giustizia CE
7.2.4. La dottrina aziendalistica.
7.2.5. La dottrina giuridica.
7.2.6. La prassi.
7.2.7. La giurisprudenza nazionale
7.2.8. Considerazioni finali.
III.
LA TASSAZIONE INTERNAZIONALE
III.1.
Le convenzioni contro le doppie imposizioni e le direttive comunitarie: rapporti
con la normativa interna
pag.345
1.1.
1.2.
III.2.
pag.325
pag.345
La doppia imposizione economica e la doppia imposizione giuridica
Le convenzioni contro le doppie imposizioni
Dividendi, interessi e royalties di fonte estera: regime convenzionale e
comunitario
pag.355
2.1.
2.1.1.
2.1.2.
Dividendi
Definizione di utile e di proventi equiparati
Trattamento fiscale degli utili e proventi equiparati
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2.1.3.
Sviluppi giurisprudenziali e orientamenti in merito al trattamento fiscale
comunitario e convenzionale degli utili e proventi equiparati
2.2.
2.2.1.
2.2.1.1.
2.2.1.2.
2.2.1.3.
Interessi e royalties
La Direttiva n. 2003/49/CE del 3 giugno 2003
L'imposizione "ordinaria" dei redditi dei non residenti
Gli effetti distorsivi del sistema delle ritenute alla fonte
La definizione dei "canoni" nel Modello di Convenzione OCSE e nella
Direttiva del Consiglio
2.2.1.4. La tassazione delle royalties in ambito OCSE
2.2.1.5. Le royalties derivanti dai diritti scambiati attraverso software e
commercio elettronico
2.2.1.6. La nozione di "stabile organizzazione"
2.2.1.7. La Direttiva del Consiglio n. 2003/49/CE: i "considerando"
2.2.1.8. Le novità della Direttiva
III.3.
I prezzi infragruppo
3.1.
Definizione di transfer pricing
3.2.
Motivazioni dell’alterazione dei prezzi.
3.3.
Genesi ed evoluzione della disciplina del transfer pricing.
pag.370
3.4.
3.4.1.
3.4.2.
3.4.3.
Disciplina dei prezzi di trasferimento secondo l’OCSE
Presupposto soggettivo
Presupposto oggettivo
Direttive generali per la determinazione del prezzo di libera concorrenza:
fattori generali da considerare preventivamente
3.4.3.1. Analisi comparativa ed elementi da considerare per accertare la
comparabilità.
3.4.3.1.1.Le caratteristiche del bene o del servizio che ne influenzano il valore nel
mercato libero.
3.4.3.1.2.L’analisi funzionale.
3.4.3.1.3.Condizioni contrattuali.
3.4.3.1.4.Circostanze economiche oggettive (il mercato).
3.4.3.1.5.Circostanze economiche soggettive (business strategies).
3.4.3.2. Qualificazione civilistica del rapporto giuridico stabilita dalle parti: eccezioni
al principio
3.4.3.3. Valutazione separata delle singole transazioni ed unitaria di quelle connesse.
3.4.3.4. Uso di una gamma di prezzi di libera concorrenza.
3.4.3.5. Uso di dati relativi a più anni.
3.4.3.6. Perdite.
3.4.3.7. Gli effetti di politiche governative.
3.4.3.8. Compensazioni.
3.4.3.9. Uso di valutazioni doganali.
3.4.3.10. Uso dei diversi metodi di calcolo del prezzo di libera concorrenza.
3.4.4. Metodi per la determinazione del prezzo di libera concorrenza
3.4.4.1. I metodi tradizionali (traditional transaction methods).
3.4.4.1.1.Il metodo del confronto di prezzo (comparable uncontrolled price methodCUP).
3.4.4.1.2.Il metodo del prezzo di rivendita (resale price method).
3.4.4.1.3.Il metodo del costo maggiorato (cost plus method).
3.4.4.2. I metodi reddituali (transactional profit method o profit based method).
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3.4.4.3.
3.4.4.4.
3.4.5.
3.4.6.
3.4.7.
3.4.8.
3.4.9.
III.4.
I metodi globali (formulary method).
Best method rule: regola per scegliere il metodo più adatto al caso concreto
Rettifiche al valore normale delle operazioni tra imprese associate
Accertamento in aumento ed in diminuzione del reddito; rettifiche primarie e
secondarie.
La documentazione
Le sanzioni amministrative e penali.
Conflitti.
Stabili organizzazioni e uffici di rappresentanza all’estero: definizione e
tassazione
Pag.417
4.1.
4.2.
4.3.
La stabile organizzazione secondo l’OCSE e la disciplina interna
Stabile organizzazione all’estero: adempimenti contabili e determinazione
del reddito
Rapporti fra soggetti residenti in Italia e stabili organizzazioni all'estero
III.5.
Il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero
5.1.
La nozione di credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero
5.2.
Condizioni per la fruizione del credito
5.3.
Società di persone e credito d'imposta
III.6.
Il trasferimento all’estero della sede sociale
pag.432
6.1.
Disciplina fiscale
6.1.1. Ambito soggettivo
6.1.2. Ambito oggettivo
6.1.3. La tassazione delle plusvalenze latenti
6.1.4. Le società di persone
6.1.5. Effetti dell'introduzione di una definizione di stabile organizzazione
sull'applicabilità del regime di realizzo dei plusvalori latenti
6.1.6. Riserve e fondi in sospensione d'imposta
III.7.
Imprese estere controllate (Controlled Foreign Companies) e collegate (Related
pag.439
Foreign Companies)
7.1.
Imprese estere controllate (Contolled Foreign Companies)
7.2.
Imprese estere collegate (Related Foreign Companies)
III.8.
Transazioni con soggetti domiciliati in paesi a bassa fiscalità
8.1.
Ambito oggettivo della disciplina
8.2.
Ambito soggettivo di applicazione
8.3.
Interrelazioni tra art. 110 del Tuir e art. 167 del Tuir
8.4.
L'allargamento dell'Unione europea
III.9.
Gruppi Europei di interesse economico
III.10.
Il consolidato fiscale mondiale
pag.453
10.1.
Considerazioni generali
10.2.
I soggetti abilitati ad esercitare l'opzione
10.3.
Le condizioni di efficacia dell'opzione e gli effetti del consolidamento
10.4.
Il perimetro di consolidamento
10.5.
Il metodo di consolidamento
pag.424
pag.442
pag.451
Pagina 9 di 456
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10.6.
10.7.
10.8.
10.9.
Credito per le imposte sul reddito pagate all'estero a titolo definitivo
Eventi interrottivi dell'efficacia dell'opzione per il consolidamento su base
mondiale
Controlled Foreign Companies
Norma transitoria
Allegati:
Allegato 1 – cap. IA
Allegato 2 – cap. IA
Allegato 3 – cap. III.1 – Model Tax Convention 2005
Allegato 4 – cap. III.1. – Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia
Allegato 5 – cap. III.1. – Commento Convenzione ITA-USA
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LA TASSAZIONE DOMESTICA DEL REDDITO DELLE SOCIETA’ DI
CAPITALI
I.A. La tassazione del reddito delle società
I.A.1.Le fonti normative: principi generali
(a cura di Fabio Colombo)
1. Le finalità dell’ordinamento tributario
Il diritto tributario deve contemperare diverse esigenze ed interessi che si ripercuotono sulla
sfera della collettività, da un lato, e sulla sfera privata, dall’altro lato: l’ordinamento tributario,
infatti, deve garantire una serie di norme che permettano il perseguimento di obiettivi
collettivi volti a finanziare le spese pubbliche attraverso i tributi senza, però, trascurare le
esigenze del privato relativamente all’integrità patrimoniale ed alla libera iniziativa
economica.
In questo scenario e nell’ottica della duplice finalità sopra esposta, le fonti normative
dell’ordinamento tributario trovano il loro fondamento in alcuni principi fondamentali,
contenuti nelle norme costituzionali, che si pongono alla base delle scelte legislative ed
esprimono il sentire comune della collettività.
Le norme costituzionali rappresentano una sorta di solco e limite entro cui il legislatore può
operare attraverso l’emanazione di regole prestabilite, uguali per tutti e certe, di cui i
contribuenti possano avere sufficiente conoscenza. Tali regole sono soggette solo a
sindacabilità esterna, ossia per vizi tecnici ovvero logico-giuridici, non essendo, infatti, in
alcun modo possibile determinarne aprioristicamente il contenuto con le norme costituzionali
che, invece, possono solo delimitare il campo delle scelte operate dal legislatore.
2. Le norme costituzionali
Le norme costituzionali, come sopra accennato, delimitano l’operato del legislatore definendo
le modalità di produzione (articolo 23 Costituzione e riserva di legge in materia tributaria) ed
il contenuto e le funzioni della normativa fiscale (articolo 53 Costituzione).
2.1. Articolo 23 Cost. - La riserva di legge in materia tributaria
Con riguardo alle modalità di produzione della normativa fiscale l’articolo 23 della
Costituzione ne attribuisce pieno potere al parlamento, ossia all’organo rappresentativo
dell’intera collettività. Il citato articolo prevede, infatti, che nessuna prestazione personale o
patrimoniale possa essere imposta se non in base alla legge ovvero ad altri atti aventi forza di
legge: trattasi di leggi, decreti legge, decreti legislativi, ossia di atti che, pur differenziandosi
per le specifiche modalità di emanazione, promanano ed assumono vigore solo a seguito di
intervento del parlamento.
Trattasi di una riserva di legge che opera in materia tributaria in modo che le scelte di politica
tributaria siano sottratte all’organo esecutivo e siano, invece, attribuite al legislatore ordinario,
rappresentativo della collettività. Tale riserva è relativa e non assoluta: la costituzione
consente, infatti, alla legge di predeterminare solo gli aspetti principali della materia (i.e.
soggetti passivi, presupposti dell’imposta, criteri di determinazione dell’imposta, sanzioni)
demandando all’esecutivo la regolamentazione delle questioni di dettaglio. Se, da un lato, il
Parlamento vaglia le principali scelte di politica tributaria attraverso fonti normative
primarie (i.e. leggi o atti aventi forza di legge), il governo delegifica in merito agli aspetti
secondari o di dettaglio indicati dalla legge stessa attraverso fonti normative secondarie (i.e.
decreti ministeriali, regolamenti, deliberazioni di enti locali).
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Con riguardo alle problematiche oggetto del presente paragrafo si ritiene opportuno porre
l’attenzione su due ulteriori aspetti che si pongono alla base della disciplina di formazione e
garanzia dell’efficacia ed efficienza delle norme tributarie: il primo riguarda lo Statuto del
Contribuente ed il secondo il referendum popolare in materia tributaria.
Con riferimento al primo aspetto, lo Statuto del Contribuente rappresenta un atto avente forza
di legge ordinaria: volto a tutelare il contribuente, lo Statuto contiene disposizioni aventi
valore di principi generali dell’ordinamento tributario e che possono esser derogate o
modificate solo espressamente.
L’articolo 75, comma 2 della Costituzione vieta espressamente la possibilità di abrogare le
norme tributarie tramite un referendum popolare onde evitare che suggestioni demagogiche volte alla riduzione di carichi impositivi – arrechino “danni” al funzionamento ed alla
gestione della politica economica nazionale.
2.2. Articolo 53 Cost. – Contenuto e funzioni della normativa fiscale
L’articolo 53 della costituzione stabilisce che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese
pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è improntato a
criteri di progressività”.
Il dettato dell’articolo evidenzia da subito la funzione garantista e quella solidaristica
dell’ordinamento tributario italiano: da un lato, infatti, limita il concorso alle pubbliche spese
in funzione della capacità contributiva di ciascuno (funzione garantista); dall’altro lato,
realizza una solidarietà economica e sociale attraverso la partecipazione alle spese pubbliche
in base alla propria capacità contributiva in modo proporzionalmente maggiore man mano che
la base imponibile aumenta.
Le funzioni testé citate sono alla base del rapporto tra legislatore e Corte Costituzionale: gli
obiettivi politici di efficienza, equità e semplificazione che dovrebbero essere alla base delle
scelte del legislatore hanno portato la Corte Costituzionale ad assumere, il più delle volte, un
atteggiamento poco critico nei confronti della discrezionalità del legislatore, limitando il
proprio operato a sentenze-monito che invitano il legislatore a riconsiderare la materia
secondo i principi e le motivazioni indicate dalla Corte Costituzionale al fine di evitare una
successiva dichiarazione di incostituzionalità. Questo modus operandi, giustificato anche dal
pericolo di vuoti legislativi che potrebbero conseguire a dichiarazioni di incostituzionalità di
norme tributarie, è anche volto a tutelare la certezza e l’esigenza di garantire la riscossione dei
tributi.
3. Le fonti del diritto tributario
Tornando alle fonti vi è da ricordare come allo Stato, data la complessità cui l’universo
giuridico è giunto, il primo impulso normativo può essere fornito da disposizioni appartenenti
a più livelli nel sistema delle fonti del diritto: direttive della Comunità Europea anche
immediatamente eseguibili all’interno degli Stati membri; leggi formali statali, regionali e
delle province autonome di Trento e Bolzano; decreti ministeriali di rango regolamentare e
non (atti normativi i primi, provvedimentali i secondi), deliberazioni dei consigli regionali,
provinciali e comunali (per le caratteristiche e le modalità applicative dei tributi affidati
all’autonomia delle regioni e degli enti territoriali), decreti – legge e decreti legislativi
delegati.
Oltre all’illustrata stratificazione normativa, che – anche se in attesa di codificazione –
caratterizza un sistema fiscale complesso e “casistico” come quello italiano, va rammentato
che l’interpretazione ufficiale dell’Amministrazione – resa attraverso circolari, risoluzioni,
risposte a istanze d’interpello, note, comunicati, istruzioni alla modulistica, etc. – cerca di
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colmare ogni dubbio interpretativo, venendo a costituire un necessario supporto per ogni
operatore o interprete dei fenomeni tributari.
Accanto a quella di provenienza “ministeriale”, va rammentata la prassi “ufficiosa” diramata
da organismi quali l’Assonime, l’ABI, Confindustria, etc., che – pur rivolgendosi a soggetti
propri consociati – possono essere riprese e “messe in circolo” dalla pubblicistica,
concorrendo così alla definizione delle conoscenze generali.
Notevole valenza interpretativa hanno inoltre le sentenze degli organi giurisdizionali speciali,
di merito (commissioni tributarie) e di legittimità (Sezione Tributaria della Corte di
Cassazione), oltre a quelle di altre giurisdizioni (ad esempio, del giudice penale che decide in
materia di reati fiscali,con riflessi anche sul corretto inquadramento di fattispecie tributarie
sostanziali).
Infine, con la consapevolezza che l’elenco delle “fonti” e “quasi – fonti” del diritto tributario
è destinato a rimanere aperto, si sottolinea l’impatto della giurisprudenza della Corte di
Giustizia delle Comunità Europee (le cui sentenze costituiscono il “diritto comunitario
vivente”) e quello delle convenzioni internazionali, soprattutto contro le doppie imposizioni,
fondate sul Modello di convenzione dell’OCSE.
Questo mondo giuridico – tributario in perenne cambiamento è l’oggetto dell’indagine di una
vasta pubblicistica, a carattere sia teorico - dottrinale che pratico - applicativo, nonché degli
studi e delle elaborazioni di organismi della più varia natura (associazioni di categoria e
sindacali, centri studi, ordini professionali, etc.), i quali sono spesso ascoltati dal Legislatore
nel corso delle audizioni che costituiscono parte integrante dei lavori parlamentari preliminari
all’emanazione delle leggi.
Per effetto di tale situazione, il presupposto impositivo, frutto di un’opzione normativa, può
ricollegarsi a un complesso lavoro d’interpretazione e qualificazione normativa, con
possibilità di conflitti tra diverse impostazioni.
3.1. Le leggi regionali e quelle statali in materia di tributi locali.
Sebbene la potestà normativa tributaria spetti in gran prevalenza allo Stato, in parte, la stessa
viene attribuita anche alle Regioni a statuto ordinario nelle forme e nei modi stabiliti dalle
leggi della Repubblica. Ai sensi del disposto dell’articolo 119 della Costituzione, infatti,
nell’ambito delle disposizioni e dei principi di carattere generale disciplinati dalle leggi dello
Stato, alle regioni, alle Province ed ai Comuni è data facoltà di apportare modifiche nei limiti
di quanto già stabilità dalle leggi stesse. E’ il caso, ad esempio, dell’imposta comunale sugli
immobili, appositamente ed esaustivamente disciplinata dal Decreto Legislativo n.504/1992:
ai singoli Comuni è data facoltà di apportare variazioni e modifiche, mediante appositi
regolamenti comunali, circoscritti nell’ambito di quanto disposto dal citato decreto legislativo.
I singoli Comuni possono, infatti, procedere a determinare l’aliquota dell’imposta tra un
minimo ed un massimo stabilito dalla legge statale.
3.2. Le fonti comunitarie
L’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea comporta una serie di condizionamenti in
materia di potestà impositiva, anche con riferimento all’ordinamento tributario. Tale
condizionamento non è tanto in termini positivi – l’Unione Europea, infatti, non impone
modelli impositivi e tributi omogenei – quanto in termini negativi – comportanti, cioè, il
divieto di operare discriminazioni tributarie ovvero di legiferare in modo da minare la
neutralità nell’allocazione degli investimenti.
A latere di questi limiti negativi, la potestà impositiva dell’Unione si esprime principalmente
attraverso regolamenti e direttive: i primi sono atti sopranazionali direttamente esecutivi nel
nostro ordinamento tributario senza necessità di ratifica parlamentare; le direttive, invece, non
hanno efficacia diretta negli ordinamenti dei singoli stati in quanto devono essere
espressamente recepite dal Parlamento.
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I.A.2. L’imposta sul reddito delle società di capitali (IRES): definizione, presupposti e
determinazione
(a cura di Damiano Cazzetta)
Le regole di tassazione diretta delle società di capitali sono (fondamentale) contenute nel testo
unico delle imposte sul reddito ed in particolare nel titolo II “Imposte sul reddito delle
società” (artt. 72 – 161) oltre che nel titolo III “Disposizioni comuni” (artt. 162 –184). La
normativa è stata modificata ed innovata dal D.Lgs. n.344/2003. La riforma del sistema
fiscale intervenuta grazie a tale provvedimento ha inteso adeguare il sistema impositivo
nazionale a quello adottato dalla maggior parte dei Paesi europei, in considerazione del
sempre più elevato grado di apertura e di globalizzazione dei mercati.
In tale scenario, l'ordinamento tributario vigente nel nostro Paese si è mosso in direzione
dell'armonizzazione con gli ordinamenti degli altri Stati per evitare dannosi particolarismi e
rendere neutrale la variabile fiscale rispetto alle decisioni degli operatori economici.
Scopo professato della riforma è stato quello di tendere alla progressiva riduzione del prelievo
conseguente, da un lato, alla riduzione delle aliquote, dall'altro, all'allargamento della base
imponibile.
Traendo spunti dai progetti di riforma tributaria già attuati nella maggior parte dei paesi
europei, il legislatore italiano ha introdotto nel nostro ordinamento istituti nuovi, omogenei a
quelli adottati dai partner europei, con l'obiettivo di eliminare ingiustificate distorsioni e
opportunità di arbitraggi e, nel lungo periodo, facilitare l'adozione di un sistema fiscale unico
per l'Europa.
In quest'ottica si inseriscono come passaggi intermedi, coerenti con gli indirizzi definiti a
livello comunitario, l'introduzione della nuova disciplina dei rapporti tra la fiscalità delle
società e dei soci, il consolidato nazionale e quello mondiale, nonché altre significative misure
fiscali previste dalla legge.
Attraverso l'omogeneità al modello europeo si punta altresì alla semplificazione della struttura
del prelievo. In particolare, si è passati da un sistema di tassazione duale (quello caratterizzato
dalla presenza della DIT e dall'applicazione d'imposte sostitutive sulle operazioni
straordinarie) ad un sistema di tassazione ad aliquota unica.
Si tratta, come già evidenziato, di un obiettivo coerente con le raccomandazioni rivolte agli
stati membri dell'Unione Europea, contenute nel documento emanato dal Consiglio europeo
straordinario di Lisbona del marzo 2000, riguardanti l'attivazione di sistemi di tassazione tra
loro confrontabili. A tale scopo il Legislatore italiano ha previsto l'adozione dell'aliquota del
33%, pari alla media europea, nonché la progressiva abolizione dell'IRAP e la definitiva
abolizione della DIT.
2.1. Definizione
Le società di capitali, come disposto dall’articolo 73 del Testo Unico delle imposte sui redditi
(di seguito TUIR), sono soggetto passivo IRES, la cui disciplina, ai sensi dell’articolo 75 del
TUIR, è prevista dagli articoli di cui alla Sezione I del Capo II del Testo Unico.
A tal proposito è opportuno precisare che la citata normativa di riferimento ha subito
importanti modifiche in seguito all’entrata in vigore (dal 1 gennaio 2004) del decreto
legislativo n.344 del 12 dicembre 2003.
Le modifiche di riforma del sistema fiscale introdotte, volte ad adeguare il sistema impositivo
nazionale a quello adottato dalla maggior parte dei Paesi europei, hanno particolare impatto
sui criteri di determinazione del reddito imponibile, pertanto si rinvia la trattazione al
paragrafo successivo.
L’introduzione dell’IRES – avvenuta con il D.Lgs.n.344 del 12.12.2003, attua le previsioni
dell’art. 4 della legge – delega.
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La nuova imposta societaria, che guarda al prevalente modello europeo, racchiude i seguenti
elementi qualificanti, riconducibili ai principi e criteri direttivi indicati nelle lettere da a) ad o)
dell’art. 4, comma 1, della Legge 7.4.2003, n. 80:
tassazione consolidata a livello di gruppo (consolidato fiscale nazionale e mondiale);
nuovo regime dei dividendi e delle plus e minusvalenze realizzate su cessioni di
partecipazioni (participation exemption);
introduzione di norme finalizzate al contrasto della sottocapitalizzazione delle imprese
(thin capitalization rule);
introduzione di un’aliquota d’imposta unica al 33%, con la conseguente eliminazione
della DIT e dell’imposta sostitutiva sulle operazioni straordinarie d’impresa;
regime opzionale di trasparenza fiscale per le società di capitali.
Il nuovo Tuir accoglie infine, adeguandosi alle esigenze di coordinamento imposte dalla
riforma del diritto societario (di cui al D.Lgs. 17.1.2003, n. 6, che ha attuato la delega
contenuta nella Legge 3.10.2001, n. 366), le norme intese all’eliminazione delle divergenze
tra disposizioni fiscali e civilistiche.
Si rammentano, in particolare:
- le disposizioni di cui al nuovo art. 109, comma 4, e della relativa norma transitoria
di cui all’art. 4, lett. h) del D.Lgs. di riforma, volte a disciplinare le conseguenze
sul piano fiscale del c.d. “disinquinamento” del bilancio derivante dall’abrogazione
del comma 2 dell’art. 2426 del c.c.;
- le disposizioni dei commi 3 e 4 dell’art. 110, recante norme generali sulle
valutazioni, i quali tengono conto delle modifiche ai criteri di valutazione di crediti
e debiti in valuta, di cui all’art. 2426, comma 1, n. 8 - bis;
- i riferimenti agli strumenti finanziari assimilati alle azioni, contenuti tra l’altro nel
comma. 2 del nuovo art. 44 del Tuir;
- le disposizioni del nuovo art. 171, recante la disciplina fiscale del nuovo istituto
della trasformazione c.d. “eterogenea”, disciplinata dagli artt. 2500 - septies e 2500
- octies del c.c.
2.2. Presupposti
Presupposto dell’IRES è, come previsto dall’articolo 72, il possesso di un reddito in denaro o
in natura. Al reddito imponibile fiscalmente viene applicata l’aliquota del 33%, mentre
qualora si venisse a realizzare una perdita, la stessa può essere riportata a scomputo degli
eventuali redditi realizzati negli anni successivi.
Modalità e limiti di utilizzo delle perdite pregresse sono previsti dall’articolo 84 del TUIR.
In particolare le perdite non sono riportabili oltre il quinto esercizio successivo a quello in cui
le stesse sono state conseguite, salvo che non siano state realizzate nei primi tre esercizi di
vita dell’impresa, nel qual caso risultano riportabili illimitatamente.
Altri vincoli di natura puramente antielusiva sono poi disciplinati al comma 3 dello stesso
articolo che prevede ad esempio l’impossibilità di riporto delle perdite pregresse qualora
venga modificata l’attività esercitata dall’impresa rispetto al momento in cui si è verificato il
risultato negativo.
Secondo la dottrina, il presupposto corrisponde al fatto o alle circostanze al cui verificarsi la
legge ricollega la nascita dell’obbligazione tributaria.
Il presupposto è, dunque, anteriore all’eventuale attività di accertamento svolta
dall’Amministrazione, e deriva dall’individuazione di fatti o circostanze quali situazioni
generatrici dell’obbligo fiscale.
Tale individuazione, operata dal Legislatore, trova i propri chiari riferimenti negli artt. 23 e 53
della Costituzione, secondo i quali, come illustrato al capitolo IA1:
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nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta, se non in
base alla legge (riserva di legge relativa);
ognuno deve concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità
contributiva;
il sistema fiscale segue (nel suo complesso) un criterio di progressività.
E’ quindi il diritto positivo a far sorgere “l’evento” dal quale deriva l’obbligazione tributaria.
Secondo l’art. 1140 del c.c., il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività
corrispondente all’esercizio della proprietà, o di un altro diritto reale. Il comma 2 dell’articolo
aggiunge che il possesso può essere diretto, ovvero esercitato attraverso una terza persona.
Di fronte a una nozione sfuggente e “fluida” per definizione, quale quella di “reddito”, la
nozione civilistica di “possesso” incontra qualche difficoltà; il reddito non consiste infatti in
un “bene” con natura patrimoniale, ma semmai nel conseguimento (secondo i criteri
individuati dal Legislatore fiscale, ovvero cassa e competenza, distinti per tipologia di
contribuente) di somme o del “valore normale” di beni (i quali però sono considerati in quanto
elementi del reddito, e non in quanto “cespiti” di per sé costituenti il reddito stesso).
Non si può sottacere come a livello dottrinale sono presenti quanto meno due diverse teorie
con riguardo all’esatta interpretazione da assegnare al possesso richiamato dal legislatore
tributario. Se una parte della stessa ha assimilato la nozione tributaria di possesso a quella
codificata dal codice civile, altra parte preferisce legare il possesso rilevante fiscalmente alla
disponibilità economica del reddito, ovvero è possessore colui che ha la materiale
disponibilità di utilizzare il reddito senza alcun vincolo di destinazione.
Nel contesto della disciplina riservata alle società e agli enti soggetti all’IRES, il possesso di
redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie individuate dall’art. 6 del Testo Unico
può condurre:
- alla rilevanza fiscale dei redditi posseduti in quanto “redditi d’impresa”, secondo
l’espresso disposto dell’art. 81, nel caso in cui il soggetto passivo sia una società o
un ente commerciale, residente o non residente (art. 73, comma 1, lett. a) e b), e
art. 152, comma 1, del Tuir);
- alla rilevanza fiscale dei redditi medesimi all’interno delle varie tipologie
reddituali previste per i soggetti IRPEF – IRE, per gli enti non commerciali,
residenti e non residenti (art. 144, comma 1, e art. 154, comma 1, del Tuir).
2.3. Determinazione del reddito imponibile
Il reddito è un concetto dinamico, che corrisponde all’incremento patrimoniale in un periodo
determinato (cioè entro il periodo d’imposta); inoltre, soprattutto in campo IRES, esso è
inteso al netto delle spese necessarie a produrlo.
Nel dibattito tradizionale sul concetto di reddito, erano state enucleate le due categorie del
“reddito prodotto” e del “reddito entrata”, quest’ultima comprendente – oltre agli
“arricchimenti” frutto di un’attività del contribuente oppure di fonti di natura patrimoniale –
anche le entrate di natura straordinaria e non preordinate.
Le tipologie di reddito indicate nell’art. 6 del Testo Unico sono discriminate in base alle
opzioni del Legislatore, sicché, a fronte di redditi determinati in forma sintetica, con
deduzioni e detrazioni schematiche e forfettizzate (come il reddito di lavoro dipendente), sono
presenti redditi la cui determinazione è estremamente analitica (come quelli d’impresa).
Si rammenta che le categorie di reddito individuate dal Tuir sono (art. 6, comma 1):
redditi fondiari;
redditi di capitale;
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redditi di lavoro dipendente;
redditi di lavoro autonomo;
redditi d’impresa;
redditi diversi.
I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto della cessione dei relativi
crediti, e le indennità risarcitorie, anche in forma assicurativa, per perdite di redditi, insieme
agli interessi moratori e a quelli per dilazione di pagamento, costituiscono redditi della stessa
categoria di quelli “principali”, dei quali sono sostituti o accessori (art. 6, comma 2).
Così evidenziato sinteticamente il contenuto della norma in commento è possibile riepilogare
gli elementi da cui è possibile individuare l’esistenza del presupposto d’imposta:
-
possesso del reddito;
manifestazione dello stesso in forma monetaria o in sotto forma di beni o servizi (in
natura);
- appartenenza del reddito ad una della categorie di cui all’art. 6 del TUIR.
Secondo la formulazione dell’art. 75 del Testo Unico, che in buona parte ricalca quella del
vecchio art. 89, l’IRES insiste sulla base imponibile costituita dal reddito complessivo netto,
calcolato:
per le società e gli enti commerciali residenti, secondo le norme della Sez. I del
Capo II;
per gli enti non commerciali residenti, secondo le norme del Capo III;
per le società e gli enti non residenti, secondo le norme dei Capi IV e V.
Inoltre, il comma 2 dell’articolo introduce, per le società di capitali residenti e per quelle non
residenti, la possibilità di determinare il proprio reddito secondo i criteri forfetari individuati
nel Capo VI del Titolo II (“Determinazione della base imponibile per alcune imprese
marittime”: si tratta della c.d. “tonnage tax”).
Le disposizioni contenute nel comma 1 dell’art. 75 non sembrano incontrare particolari
difficoltà interpretative; occorre però circoscrivere concettualmente la nozione di “reddito
complessivo netto”, e considerare meglio l’estensione del rinvio, operato dalla norma in
commento, ai settori del Tuir nei quali sono contenute le disposizioni di riferimento.
La normativa fiscale, senza espressamente definire la nozione di “reddito”, la utilizza
ponendola a base di una complessa architettura normativa; tale concetto è vitale, nella logica
delle entrate erariali, perché è in grado di esprimere la variazione della ricchezza in un
determinato arco temporale (generalmente corrispondente all’anno solare).
E’ evidente che il vincolo della capacità contributiva, ex art. 53 Cost., al quale il sistema
tributario deve complessivamente adeguarsi, si trova in particolare sintonia con la
rappresentazione della “ricchezza” come flusso registrabile in un determinato lasso di tempo
(corrispondente, d’altro canto, all’incremento del patrimonio nel corso di un periodo dato).
Il reddito è generalmente inteso al netto dei costi correlati alla sua produzione, i quali sono
spesso analiticamente quantificabili (come nel reddito d’impresa, a fronte della cui
determinazione vi sono stringenti obblighi contabili e documentali), ma talvolta sfuggono a
una precisa individuazione, e perciò vengono forfettizzati (come nei redditi di lavoro
dipendente, ma anche, per determinati componenti reddituali negativi, in quelli d’impresa e
professionali) o non considerati (come nei redditi di capitale).
La nozione di reddito attualmente assunta dal Legislatore fiscale risente di un pluridecennale
dibattito tra le opposte teorie del “reddito prodotto” (che non tiene conto delle entrate di
natura straordinaria) e del “reddito entrata” (che considera invece qualunque provento, come
ad esempio la plusvalenza incassata attraverso la cessione di un bene patrimoniale).
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Il corrente concetto di reddito, valido ai fini impositivi, si impernia sul concetto di “reddito
entrata”, il quale comunque presuppone, da parte del percettore, una qualche prestazione, e
non il mero incremento patrimoniale gratuito (come nel caso delle successioni e delle
donazioni).
La nozione di “reddito complessivo” intende invece includere tutti i redditi, appartenenti alle
varie categorie reddituali di cui all’art. 6 dello stesso Tuir, ovvero:
redditi fondiari (disciplinati dal Capo II del Tit. I, artt. 25 – 43);
redditi di capitale (disciplinati dal Capo III del Tit. I, artt. 44 – 48);
redditi di lavoro dipendente (disciplinati dal Capo IV del Tit. I, artt. 49 – 52);
redditi di lavoro autonomo (disciplinati dal Capo V del Tit. I, artt. 53 – 54);
redditi d’impresa (disciplinati in campo IRPEF – IRE dal Capo VI del Tit. I, artt. 55 – 66,
ma determinati, secondo le nuove norme fiscali, in primo luogo secondo le disposizioni
della Sez. I del Capo II del Tit. II, ovvero secondo le norme valevoli per l’IRES, ai sensi
dell’art. 56, co. 1);
redditi diversi (disciplinati dal Capo VII del Tit. I, artt. 67 – 71).
Si rammenta che, nell’ambito dei soggetti IRES, il reddito complessivo:
per le società di capitali e per gli enti commerciali residenti è sempre considerato reddito
d’impresa, da qualsiasi fonte esso provenga (art. 81);
per gli enti non commerciali residenti, è determinato discriminando i redditi in base alla
fonte, secondo le categorie di cui al predetto art. 6 (art. 143), con eccezione dei redditi di
lavoro dipendente e autonomo, che, per ovvii motivi legati al carattere personale delle
relative prestazioni, non possono essere percepiti da tali enti;
per le società e per gli enti commerciali non residenti:
in presenza di stabile organizzazione nel territorio dello Stato, è
determinato secondo le disposizioni della Sez. I del Capo II del Tit. II,
sulla base di apposito conto economico (art. 152, comma 1);
in assenza di stabile organizzazione, è determinato cumulando i vari redditi
prodotti, in relazione alle varie categorie nelle quali essi rientrano (art.
152, comma 2);
per gli enti non commerciali non residenti, è determinato secondo le disposizioni del Tit. I,
ovvero secondo le norme IRPEF – IRE sul concorso al reddito per categorie tra loro
distinte (art. 154, comma 1).
Dal reddito complessivo si giunge al reddito complessivo netto, che costituisce la base
imponibile dell’IRES come dell’IRPEF (e, in un prossimo futuro, dell’IRE), scomputando le
perdite, il credito d’imposta sui dividendi (evidentemente, per il solo periodo d’imposta 2003,
ancora soggetto all’IRPEG e non all’IRES), il credito d’imposta sui fondi comuni
d’investimento e le perdite dei periodi precedenti.
2.4. Variazioni del risultato di bilancio
Come anticipato, la determinazione del reddito avviene in ragione delle variazioni in aumento
ed in diminuzione sul risultato ante imposte emergente dal bilancio d’esercizio.
I criteri guida per considerare rilevanti, ai fini fiscali, i costi ed i ricavi risultanti dal bilancio,
sono dettati dall’articolo 109 del TUIR.
In particolare è determinante il criterio dell’inerenza sancito dal comma 5; ovvero viene
ammessa la deducibilità delle spese se e nella misura in cui queste siano riconducibili ad
attività generatrici di ricavi o altri proventi imponibili.
I ricavi concorrono a formare il reddito imponibile anche se non imputati a conto economico
(comma 3) differenziandosi così dalla disciplina prevista per i costi (comma 4) per la quale si
rinvia a quanto detto al paragrafo precedente.
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Anche in ambito fiscale i costi ed i ricavi concorrono alla determinazione del reddito
seguendo il principio della competenza economica, secondo i criteri di cui al comma 2.
In particolare, si distingue tra i corrispettivi ed i costi scaturenti da cessione e quelli derivanti
da prestazioni di servizi. Per i primi l’elemento temporale di riferimento è dato dalla data di
consegna o spedizione per i beni mobili, da quella di stipulazione del contratto in caso di beni
immobili; per i secondi invece si deve prendere come riferimento la data di ultimazione della
prestazione, eccetto che i contratti per cui c’è una erogazione periodica del corrispettivo
(possono essere da esempio i contratti di mutuo e di locazione), nel qual caso la competenza
ha come riferimento la data di maturazione del corrispettivo.
La normativa tributaria prevede per talune tipologie di costi, quali ad esempio le
immobilizzazioni (materiali ed immateriali) gli oneri pluriennali e gli accantonamenti per
rischi su crediti.
La deducibilità degli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali e possibile a partire dal
momento in cui i beni sono entrati in funzione nel processo produttivo (articolo 102 comma
1), espressione che si differenzia da quanto previsto dai principi contabili di redazione del
bilancio, per i quali detti costi concorrono alla formazione del risultato dell’esercizio dal
momento in cui gli stessi sono utilizzabili ancorché utilizzati ((par. D.XI principio contabile
n.16).
Viene inoltre posto un limite all’ammontare dell’importo deducibile per ciascun esercizio,
infatti tale quota non può essere superiore (salvo il caso di esercizio della facoltà
dell’ammortamento anticipato di cui al comma 3) a quella prevista dai coefficienti stabiliti
con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale
(comma 2).
Per il primo anno di utilizzo dei beni detti coefficienti sono ridotti alla metà.
Parallelamente anche le relative spese di manutenzione (ordinaria) dei beni subiscono delle
limitazioni in merito alla possibilità di riconoscimento fiscale del costo; infatti concorrono
alla formazione del reddito imponibile in misura non superiore al 5% calcolata sul valore
complessivo dei beni all’inizio dell’esercizio (comma 6).
Relativamente ai beni immateriali, all’articolo 103 sono previsti i limiti massimi di
ammortamento, mentre per quanto riguarda gli oneri pluriennali (articolo 108) viene stabilito
il periodo massimo di ammortamento del costo qualora si sia optato per la sua
capitalizzazione.
Infine per quanto riguarda i limiti di deduzione degli accantonamenti per rischi su crediti
l’articolo 106 pone quale limite quello dello 0,5% calcolato sul valore nominale risultante da
bilancio. Tale accantonamento risulta deducibile fino al raggiungimento della quota del 5%
del valore dei crediti risultanti dall’ultimo bilancio approvato.
2.5. Determinazione dell’imposta
Una volta effettuate le variazioni sul risultato civilistico e determinato il reddito imponibile,
l’IRES viene calcolata applicando a quest’ultimo l’aliquota del 33% (con la riforma è stata
introdotta l’aliquota unica che ha sostituito il regime precedente caratterizzato dalla D.I.T.,
che prevedeva la possibilità di poter applicare, in taluni casi, per una parte di reddito,
l’aliquota del 19%).
Eventuali ritenute d’acconto subite (quali ad esempio quelle relative agli interessi bancari
percepiti) dovranno essere portate a scomputo dall’imposta così calcolata.
Vanno inoltre scomputati gli eventuali acconti d’imposta dovuti in corso d’anno. L’acconto,
per ciascun anno va calcolato sull’imposta al netto delle ritenute. Il calcolo può essere
effettuato su base storica o previsionale. Nel primo caso viene determinato in misura
percentuale sull’imposta (tale percentuale viene determinata ogni anno con la legge
finanziaria, per il 2005 è stata commisurata al 99% dell’imposta risultante per l’anno 2004);
nel secondo (utilizzato nel caso in cui si preveda un reddito inferiore rispetto a quello
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risultante per l’anno corrente) non vi è alcun limite di importo se non quello di corrispondere
comunque, complessivamente, un ammontare non inferiore alla stessa percentuale d’imposta
prevista per il metodo storico (per il 2005 il 99%) calcolata, in questo caso, sull’imposta
effettiva dell'anno.
L’importo dell’acconto, ai fini del pagamento, viene suddiviso in due, nella misura del 40% e
del 60%.
Una volta dedotti gli acconti, l’eventuale imposta dovuta costituisce il saldo dovuto dal
contribuente, nel caso contrario in cui gli acconti siano superiori all’imposta effettivamente
dovuta, si genererà un credito per l’impresa che potrà essere portato in detrazione negli anni
successivi.
Una compendio degli articoli di riferimento che, nel nuovo Tuir, guidano alla determinazione
della base imponibile delle società di capitali e degli enti commerciali residenti, è compiuta
nella tabella che segue.
Determinazione della base imponibile per Spa, Srl, sapa, cooperative, soc. di mutua
assicurazione ed enti commerciali residenti (artt. 81 – 116 del Tuir)
Articol
Rubrica
Contenuto
o
Reddito
Il reddito complessivo dei soggetti considerati è sempre
81
complessivo
considerato reddito d’impresa.
Cessioni
Le plusvalenze imponibili relative ad azioni o quote alienate per
obbligatorie
obbligo di legge (come le azioni proprie) concorrono al reddito,
di
82
alternativamente: nell’esercizio; (ovvero) con rateazione
partecipazion
nell’esercizio di realizzo e in quelli successivi, ma non oltre il
i sociali
quarto.
Determinazio
Il reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alla
83
ne del reddito
perdita risultanti dal conto economico le variazioni fiscali in
complessivo
aumento o in diminuzione.
84
Riporto delle
perdite
85
Ricavi
Le perdite di un periodo d’imposta possono essere scomputate
dal reddito dei periodi d’imposta successivi, ma non oltre il
quinto; se realizzate nei primi tre periodi d’imposta, non vi è
alcun limite di tempo.
Sono considerati ricavi:
- i corrispettivi delle cessioni e prestazioni relativi all’attività
caratteristica dell’impresa;
- i corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie,
semilavorati e altri beni mobili, esclusi quelli strumentali;
- i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote che non
costituiscono immobilizzazioni finanziarie;
- i corrispettivi delle cessioni di strumenti finanziari assimilati
alle azioni che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie;
- i corrispettivi delle cessioni di obbligazioni e altri titoli in
serie o di massa che non costituiscono immobilizzazioni
finanziarie;
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86
Plusvalenze
patrimoniali
87
Plusvalenze
esenti
88
Sopravvenie
nze attive
89
Dividendi ed
interessi
90
Proventi
immobiliari
91
92
- le indennità risarcitorie, anche in forma assicurativa, per la
perdita di beni che generano ricavi;
- i contributi in denaro o in natura spettanti sotto qualsiasi
denominazione in base a contratto;
- i contributi spettanti in conto esercizio a norma di legge.
Le plusvalenze, generate dai beni diversi da quelli che
producono ricavi, concorrono al reddito se sono realizzate a
titolo oneroso, ovvero attraverso il risarcimento, anche in forma
assicurativa, per la perdita o il danneggiamento di beni.
Non concorrono alla formazione dell’imponibile le plusvalenze
relative a partecipazioni, con i seguenti requisiti:
- ininterrotto possesso dal 1° giorno del 12° mese precedente
quello della cessione;
- classificazione tra le immobilizzazioni finanziarie nel 1°
bilancio chiuso nel periodo di possesso;
- residenza fiscale della partecipata in Stato o territorio non –
black list; o esito positivo dell’interpello;
- esercizio da parte della partecipata di impresa commerciale.
Si tratta dei proventi conseguiti a fronte di spese, perdite od
oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti
esercizi, nonché dei proventi conseguiti per ammontare
superiore a quello che ha concorso al reddito in precedenti
esercizi e della sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od
oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti
esercizi. Sono inoltre sopravvenienze attive le indennità, anche
assicurative, conseguite per il risarcimento di danni su beni non
produttivi di ricavi, né di plusvalenze, nonché i contributi e le
liberalità, anche per l’acquisto di beni ammortizzabili.
Gli utili distribuiti dai soggetti IRES sono esenti dal reddito dei
percipienti che siano anch’essi soggetti IRES nella misura del
95% dell’ammontare.
I redditi degli immobili non strumentali, né “merce”,
concorrono al reddito secondo le disposizioni relative ai redditi
fondiari in campo IRPEF (Tit. II, Capo II); se situati all’estero,
si applicano le regole dell’art. 70.
Non concorrono al reddito:
- i proventi dei cespiti esenti da imposta;
Proventi e oneri - i proventi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o a
non computabili imposta sostitutiva;
nella
- in caso di riduzione del capitale mediante l’annullamento di
determinazione azioni proprie, la differenza tra il costo delle azioni annullate e la
del reddito
corrispondente quota del patrimonio netto;
- i sopraprezzi di emissione delle azioni o quote e gli interessi
di conguaglio versati dai sottoscrittori di nuove azioni o quote.
Variazioni
Le variazioni delle rimanenze finali dei beni produttivi di ricavi
delle
ex art. 85, comma. 1, lett. a) e b), rispetto alle esistenze iniziali,
rimanenze
concorrono al reddito dell’esercizio.
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93
Opere,
forniture e
servizi
di
durata
ultrannuale
94
Valutazione
dei titoli
95
Spese
per
prestazioni di
lavoro
96
Interessi
passivi
97
Pro
rata
patrimoniale
98
Contrasto
all’utilizzo
fiscale della
sottocapitaliz
zazione
99
Oneri fiscali
e contributivi
Le variazioni delle rimanenze finali delle opere, forniture e
servizi pattuiti come oggetto unitario e con tempo di esecuzione
ultrannuale, rispetto alle esistenze iniziali, concorrono al reddito
dell’esercizio.
I titoli produttivi di ricavi (art. 85, comma 1, lett. c), d), e)),
esistenti al termine di un esercizio, sono valutati secondo le
regole generali valide in tema di variazione delle rimanenze (art.
92, commi 1, 2, 3, 4, 5, 7).
Le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili nella
determinazione del reddito comprendono anche quelle sostenute
in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori.
La quota di interessi passivi che residua dopo l'applicazione delle
disposizioni di cui agli artt. 97 e 98 (ovvero pro-rata patrimoniale
e “thin capitalization rule”) è deducibile per la parte
corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e degli altri
proventi che concorrono a formare il reddito e l'ammontare
complessivo di tutti i ricavi e proventi.
Se alla fine del periodo d'imposta il valore di libro delle
partecipazioni esenti ex art. 87 supera quello del patrimonio netto
contabile, la quota di interessi passivi che residua dopo
l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 98 (“thin
capitalization rule”), al netto degli interessi attivi, è indeducibile
per la parte corrispondente al rapporto fra tale eccedenza ed il
totale dell'attivo patrimoniale ridotto dello stesso patrimonio
netto contabile e dei debiti commerciali. La parte indeducibile
così determinata è ridotta in misura corrispondente alla quota
imponibile dei dividendi percepiti relativi alle stesse
partecipazioni esenti.
Se l’ammontare complessivo dei finanziamenti erogati eccede il
rapporto di 4/1 rispetto al patrimonio netto contabile, la
remunerazione dei finanziamenti eccedenti, direttamente o
indirettamente erogati o garantiti da un socio qualificato o da una
sua parte correlata, computata al netto della quota di interessi
indeducibili in applicazione dell'art. 3, comma 115, della Legge
28.12.1995, n. 549, è indeducibile dal reddito imponibile, a
condizione che anche il rapporto tra la consistenza media durante
il periodo d'imposta dei finanziamenti di cui e la quota di
patrimonio netto contabile di pertinenza del socio medesimo e
delle sue parti correlate, aumentato degli apporti di capitale
effettuati dallo stesso socio o da sue parti correlate in esecuzione
dei contratti di associazione in partecipazione e di cointeressenza
con apporto di capitale, sia superiore a 4/1.
Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa,
anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione; le altre imposte
sono deducibili nell'esercizio in cui avviene il pagamento.
Gli accantonamenti per imposte non ancora definitivamente
accertate sono deducibili nei limiti dell'ammontare corrispondente
alle dichiarazioni presentate, agli accertamenti o provvedimenti
degli uffici e alle decisioni delle commissioni tributarie.
I contributi ad associazioni sindacali e di categoria sono deducibili
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100
Oneri
di
utilità sociale
101
Minusvalenz
e
patrimoniali,
sopravvenien
ze passive e
perdite
nell'esercizio in cui sono corrisposti, se e nella misura in cui sono
dovuti, in base a formale deliberazione dell'associazione.
Le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei
dipendenti o categorie di dipendenti volontariamente sostenute per
specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza
sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare
complessivo non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese
per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione
dei redditi.
Sono inoltre deducibili, entro limiti prescritti, le erogazioni
liberali a favore di persone giuridiche che perseguono finalità
“meritevoli”, nonché quelle a favore di persone giuridiche con
sede nel Mezzogiorno, dedite alla ricerca scientifica, oltre che a
favore di università e di una nutrita serie di altri enti, secondo le
indicazioni dell’art. 100, comma 2, lettere da a) ad o).
Le minusvalenze dei beni relativi all'impresa, diversi da quelli
produttivi di ricavi e da quelli rientranti nell’ambito applicativo
della participation exemption, determinate con gli stessi criteri
stabiliti per la determinazione delle plusvalenze, sono deducibili
se sono realizzate ai sensi dell'articolo 86, commi 1, lettere a), b)
e c), e 2 (ovvero a titolo oneroso, o tramite risarcimento anche
assicurativo, o mediante destinazione a finalità extra-aziendali o
assegnazione ai soci).
Le quote di ammortamento del costo dei beni materiali
strumentali per l'esercizio dell'impresa sono deducibili a partire
dall'esercizio di entrata in funzione del bene. La deduzione è
ammessa secondo i coefficienti del D.M. 31.12.1998; è inoltre
ammesso l’ammortamento anticipato, in relazione alla più intensa
utilizzazione del bene rispetto alla norma.
Le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione
di opere dell'ingegno, dei brevetti industriali, dei processi,
formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in
campo industriale, commerciale o scientifico sono deducibili in
misura non superiore a 1/3 del costo; quelle relative al costo
dei marchi d'impresa sono deducibili in misura non superiore a
1/10 del costo.
Per i diritti di concessione e per gli altri diritti iscritti nell'attivo
patrimoniale, la deducibilità delle quote corrisponde alla durata di
utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge.
Le quote di ammortamento del valore di avviamento iscritto
nell'attivo patrimoniale sono invece deducibili in misura non
superiore a 1/10 del valore stesso.
102
Ammortamento
dei
beni
materiali
103
Ammortamento
dei
beni
immateriali
104
Ammortamento
finanziario dei
beni
gratuitamente
devolvibili
Per i beni gratuitamente devolvibili alla scadenza di una
concessione è consentita, in luogo dell'ammortamento ordinario, la
deduzione di quote costanti di ammortamento finanziario.
105
Accantonamenti
di quiescenza e
previdenza
Gli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e
ai fondi di previdenza del personale dipendente, se costituiti in
conti individuali dei singoli dipendenti, sono deducibili nei
limiti delle quote maturate nell'esercizio in conformità alle
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disposizioni legislative e contrattuali che regolano il rapporto
di lavoro dei dipendenti stessi.
106
Svalutazione
dei crediti e
accantonamenti
per rischi su
crediti
107
Altri
accantonamenti
108
Spese relative a
più esercizi
109
Norme generali
sui componenti
del
reddito
d’impresa
Le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l'importo
non coperto da garanzia assicurativa, che derivano dalle
cessioni di beni e dalle prestazioni di servizi produttivi di ricavi,
sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,50% del
valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi, tenendo
conto anche di accantonamenti per rischi su crediti. La
deduzione non è più ammessa quando l'ammontare complessivo
delle svalutazioni e degli accantonamenti ha raggiunto il 5% del
valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti in
bilancio alla fine dell'esercizio.
Sono inoltre deducibili:
- gli accantonamenti per lavori ciclici di manutenzione o
revisione di navi e aeromobili, nei limiti del 5% del costo di
ciascuna nave o aeromobile;
- gli accantonamenti per il ripristino o la sostituzione di beni
gratuitamente devolvibili da parte di imprese concessionarie di
opere pubbliche, nei limiti del 5% del costo di ciascun bene;
- gli accantonamenti a fronte di oneri derivanti da operazioni
e concorsi a premio, nella misura massima del 30% e del 70%
degli impegni assunti nell’esercizio.
Sono deducibili in più esercizi:
- le spese per studi e ricerche, nell’esercizio di sostenimento
e nei successivi quattro esercizi;
- le spese di pubblicità, nell’esercizio di sostenimento e nei
successivi quattro esercizi;
- le spese di rappresentanza, deducibili solo per 1/3,
nell’esercizio di sostenimento e nei successivi quattro esercizi;
- le altre spese relative a più esercizi, nei limiti della quota
imputabile a ciascun esercizio.
I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i
quali le precedenti del Tuir non dispongono diversamente,
concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza;
tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui
nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o
determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a
formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni. I
ricavi, gli altri proventi di ogni genere e le rimanenze
concorrono a formare il reddito anche se non risultano imputati
al conto economico. Le spese e gli altri componenti negativi
non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non
risultano imputati al conto economico relativo all'esercizio di
competenza. Sono tuttavia deducibili:
- quelli imputati al conto economico di un esercizio
precedente, se la deduzione è stata rinviata in conformità alle
precedenti norme della presente sezione che dispongono o
consentono il rinvio;
- quelli che pur non essendo imputabili al conto economico,
sono deducibili per disposizione di legge.
Gli ammortamenti dei beni materiali ed immateriali, le altre
rettifiche di valore e gli accantonamenti sono deducibili se in
apposito prospetto della dichiarazione dei redditi è indicato il
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loro importo complessivo, i valori civili e fiscali dei beni e
quelli dei fondi.
Le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri
proventi, che pur non risultando imputati al conto economico
concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se
e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi.
110
Norme
generali sulle
valutazioni
115
Opzione per la
trasparenza
fiscale
116
Opzione per la
trasparenza
fiscale delle
società
a
ristretta base
proprietaria
Agli effetti dell’IRES:
- il costo è assunto al lordo delle quote di ammortamento già
dedotte;
- si comprendono nel costo anche gli oneri accessori di diretta
imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali;
- il costo dei beni rivalutati, diversi da quelli di cui all'art. 85,
lett. a) e b) (ricavi della “gestione caratteristica”) non
comprende le plusvalenze iscritte ad esclusione di quelle che per
disposizione di legge non concorrono a formare il reddito;
- il costo delle azioni, delle quote e degli strumenti finanziari
similari alle azioni non comprende i maggiori o minori valori
iscritti i quali conseguentemente non concorrono alla
formazione del reddito, né alla determinazione del valore
fiscalmente riconosciuto delle rimanenze di tali azioni, quote o
strumenti;
- per i titoli a reddito fisso, che costituiscono
immobilizzazioni finanziarie e sono iscritti come tali in bilancio,
la differenza positiva o negativa tra il costo d'acquisto e il valore
di rimborso concorre a formare il reddito per la quota maturata
nell'esercizio.
Il regime della trasparenza fiscale, che trova la propria
normativa attuativa nel DM 23.4.2004, prevede che le società di
capitali residenti, partecipate da altre società di capitali residenti,
in misura percentuale dal 10% al 50%, possano imputare i
propri redditi per trasparenza alle società – socie,
indipendentemente dall’effettiva percezione.
La stessa opzione è esercitabile anche dalle s.r.l. il cui volume di
ricavi non supera la soglia massima prevista ai fini degli studi di
settore, con soci persone fisiche in numero non superiore a 10 (20 se
si tratta di una società cooperativa).
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I.A.3. I principi di tassazione del reddito delle società di capitali
(a cura di Giuseppe Di Garbo)
Gli elementi di reddito devono essere quantificati nel rispetto di alcuni principi di tassazione,
occorre precisare che alcuni di essi si riferiscono indifferentemente agli elementi di reddito
positivi e negativi, mentre altri solo a quelli negativi.
I principi di carattere generale sono i seguenti:
a) principio di territorialità;
b) principio di competenza;
c) principio di certezza e determinabilità
d) principio di corretta valutazione;
e) principio di continuità;
I principi riguardanti solamente gli elementi negativi di reddito sono i seguenti:
f) principio di inerenza dei costi;
g) principio di contabilizzazione a conto economico
a)
Principio di territorialità
Dal punto di vista territoriale, occorre distinguere tra imprese residenti e non residenti in
Italia. Infatti, la normativa interna italiana, in materia di principi di tassazione, è basata su due
criteri:
- principio della tassazione su base mondiale;
- principio della tassazione su base territoriale.
Il principio della tassazione su base mondiale (detto anche principio del "world-wide
income") è applicato nei confronti dei soggetti residenti. Sulla base di tale principio, il
soggetto, una volta qualificato come residente, è assoggettato a tassazione su tutti i suoi
redditi ovunque prodotti, per il solo fatto che questi sono riferibili al suddetto beneficiario.
Al contrario, il principio della tassazione su base territoriale (detto anche principio della
fonte) interviene nel caso in cui il soggetto venga qualificato come non residente e si fonda
sul criterio dell'assoggettamento a tassazione in base alla localizzazione dei redditi nello Stato.
Pertanto, in applicazione di tali principi, per le imprese residenti il reddito comprende non
solo i redditi prodotti in Italia ma anche quelli prodotti all'estero, mentre per le imprese non
residenti è tassato in Italia l'eventuale reddito prodotto nel nostro Paese mediante una stabile
organizzazione.
b)
Principio di competenza
Il reddito d’impresa va determinato nel rispetto del principio di competenza che rileva ilo
momento di maturazione dei fatti gestionali e non quello dell’incasso o del pagamento (art.
109, c. 1, TUIR). A tal fine le regole variano a seconda che si tratti di cessioni di beni o
prestazioni di servizi.
Il principio di competenza impone di ricercare al massimo la corrispondenza in ciascun
esercizio tra ricavi e proventi da una parte e costi ed oneri dall’altra relativi alle medesime
operazioni contabilizzate. Tale corrispondenza può essere perseguita nella misura in cui
ciascuna delle voci attive e passive sopraccitate risultano contemporaneamente e
tempestivamente certe e determinate o quanto meno determinabili. La prassi ministeriale
stabilisce che, R.M. 2 giugno 1998 n. 52/E, il principio di competenza deve essere inteso nel
senso che i costi seguono i ricavi e non viceversa. In particolare, determinato l’esercizio di
competenza dei ricavi, diventano automaticamente deducibili in quello stesso esercizio tutti i
costi relativi, ad esso correlati.
La correlazione tra costi e ricavi, secondo i principi contabili, si può verificare:
Per associazione di causa ed effetto tra costi e ricavi;
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Per ripartizione dell’utilità o funzionalità pluriennale su base razionale e sistematica,
in mancanza di una più diretta associazione;
Per imputazione diretta di costi al conto economico dell’esercizio, o perché associati al
tempo o perché sia venuta meno l’utilità o la funzionalità del costo.
Per quanto concerne la cessione di beni (art. 109, c. 2, lett. a, TUIR) si fa una distinzione tra
beni mobili ed immobili. Se oggetto della cessione sono i beni mobili, i corrispettivi si
considerano conseguiti e le spese sostenute alla data della consegna o spedizione del bene. Il
perfezionamento del contratto di cessione prima della consegna o spedizione è irrilevante. Si
deve prestare attenzione al momento in cui l’acquirente entra nell’effettiva disponibilità del
bene immediatamente, se il trasporto del bene viene effettuato dall’acquirente stesso, alla
consegna materiale se, invece, avviene a cura del venditore.
Se oggetto della cessione sono beni immobili e le aziende, i ricavi si considerano conseguiti e
le spese sostenute nel momento della stipulazione dell’atto di trasferimento, a meno che il
trasferimento della proprietà si abbia in un momento successivo. In questo caso i ricavi si
considerano conseguiti, e le spese sostenute, in questo secondo momento. L’art. 109 c. 2
contempla anche l’ipotesi in cui l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro
diritto reale si verifichi in data diversa e successiva. Nella risoluzione ministeriale 9/1370 del
26/06/1980 è stato precisato che rientrano in tale fattispecie sia l’ipotesi di gradimento (art.
1520 c.c.) che quella della vendita a prova (art. 1521 c.c.). Secondo la risoluzione citata, la
clausola di gradimento non necessita di una forma particolare, essendo sufficiente che nei
normali rapporti di corrispondenza si evinca la volontà di concludere un contratto salvo il
gradimento dell’acquirente mentre per quanto concerne la vendita a prova, l’efficacia della
vendita dipende dall’esito obiettivo della prova.
Per quanto concerne le prestazioni di servizi (art. 109, c.2 lett. b, TUIR) i corrispettivi delle
prestazioni di servizi e le relative spese, in generale, si considerano rispettivamente conseguiti
e sostenuti quando le prestazioni sono ultimate.
Nel caso di contratti di durata, che cioè prevedono corrispettivi periodici che maturano
costantemente nel tempo, quali i contratti di locazione, di mutuo, di assicurazione, di lavoro
interinale, i corrispettivi e le spese vanno imputati agli esercizi di maturazione.
Con riguardo ai contratti di concessione di diritti di utilizzazione economica di beni
immateriale (es. concessione di licenza), la dottrina ha evidenziato la loro assimilazione a
quelli di cui all’art. 109, c. 2 lett. b), e ciò sia nel caso in cui siano previsti corrispettivi
periodici (royalties), sia in quello in cui sia previsto un corrispettivo unico.
L’art. 109 c.2 lett. c) stabilisce che per le società e gli enti che hanno emesso obbligazioni o
titoli similari la differenza tra le somme dovute alla scadenza e quelle ricevute in dipendenza
dell’emissione è deducibile in ciascun periodo di imposta per una quota determinata in
conformità al piano di ammortamento del prestito.
La diretta conseguenza dell'applicazione del principio di competenza è che, alla data di
chiusura dell'esercizio, i componenti di reddito siano certi nell'esistenza e determinati o
oggettivamente determinabili nell'ammontare.
In alcuni casi, tassativamente previsti dalla legge, il legislatore fiscale ha stabilito che la
regola della competenza venga sostituita dal “criterio di cassa”. Si tratta dei seguenti casi:
• contributi associativi e sindacali (art. 99, c.3 TUIR);
• compensi agli amministratori di società di persone e di capitali (art. 95, c.5 TUIR). Si
rammenta che si tratta di compensi corrisposti sia in misura fissa che variabile, sia
anche sotto forma di partecipazione agli utili. La partecipazione agli utili, anche
erogate ai soci promotori o soci fondatori, sono deducibili anche se non imputate al
conto economico. Ai sensi dell’art. 95, c.5 del TUIR, per i compensi corrisposti ai
soci promotori e soci fondatori di società di capitali valgono le stesse regole;
• indennità di fine mandato per amministratori di società di persone e di capitali (art.
17, c. 1 lett. c) ed art. 105 c. 1 e 4 TUIR). Tuttavia, diversamente dai compensi in
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misura fissa, che come detto sopra sono deducibili per cassa, l’indennità di fine
mandato va accantonata annualmente ad apposito fondo ed il regime fiscale è
differente a seconda del momento di attribuzione all’amministratore del diritto
all’indennità. Se il diritto all’indennità risulta da tata verta anteriore all’inizio del
mandato ad amministrare, avremo:
le quote maturate in ciascun esercizio ed accantonate ad apposito fondo
sono deducibili per competenza dal reddito societario;
l’indennità è assoggettata tassazione separata in capo all’amministratore
al momento della percezione (principio di cassa), tuttavia
l’amministrazione finanziaria in sede di controllo applica il regime di
tassazione ordinario se più favorevole al contribuente.
Se il diritto all’indennità è successivo all’inizio del mandato, ovvero non risulta da
data certa:
le quote maturate in ciascun esercizio ed accantonate ad apposito fondo
sono deducibili per cassa dal reddito societario, cioè al pagamento
dell’indennità;
l’indennità è assoggettata a tassazione ordinaria in capo all’amministratore
al momento della percezione. Si applica una ritenuta d’acconto (art. 25,
c.1, DPR 600/1973).
• tributi deducibili (art 99, c.1 TUIR). Si tratta delle imposte diverse da
quelle sui redditi e per le quali è prevista la rivalsa;
• contributi in conto capitale (art. 88, c.3 lett. b, TUIR). I proventi in
denaro o natura conseguiti a titolo di contributo in conto capitale o di
liberalità anche in natura, esclusi quelli che costituiscono ricavi nonché
quelli erogati per l’acquisto di beni ammortizzabili, costituiscono
sopravvenienza attiva e sono tassati alternativamente a scelta del
contribuente:
secondo il criterio di cassa nell’esercizio in cui sono percepiti;
in quote costanti nell’esercizio stesso ed in quelli successivi sino
al quarto.
• Dividendi (art. 59, c.1 TUIR). La tassazione per cassa
opera nella misura del 40% del loro ammontare se
percepiti da imprese individuali o società di persone,
ovvero del 5% del loro ammontare se percepiti da
società di capitali o enti commerciali. Si fa presente che
gli utili derivanti da associazioni in partecipazione sono
equiparati agli utili derivanti da partecipazione in società
di capitali e tassati secondo il principio di cassa nelle
stesse misure di cui si diceva sopra a seconda del
soggetto percipiente.
c) Principio di certezza e determinabilità
Ai sensi di quanto disposto dall’articolo 109, comma 1 del TUIR, la corretta imputazione in
base al principio di competenza deve avvenire solo qualora, alla data di chiusura
dell’esercizio, si verifichino contemporaneamente i seguenti presupposti:
- i componenti di reddito devono essere certi nell’esistenza (ad esempio vedasi stipula
atto pubblico, spedizione o consegna merce);
- i componenti di reddito devono essere determinati o oggettivamente determinabili
nell’ammontare, ossia risultino da atti o documenti probatori che consentano una
quantificazione oggettiva e non basata su stime discrezionali.
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Per certezza deve intendersi, quindi, certezza giuridica del credito o del debito, giustificata
dall’esistenza di un titolo produttivo di effetti giuridici al termine dell’esercizio. Quindi,
l’elemento reddituale deve essere collegato ad una situazione giuridica definita.
Quanto al requisito dell’oggettiva determinabilità, si osserva che il esso assume valore
relativo e non assoluto. Tuttavia, le valutazioni tese a determinare l’entità del costo o del
ricavo devono fondarsi su criteri suffragati da elementi oggettivi e non da valutazioni
meramente soggettive.
Nella verifica della sussistenza dei requisiti della certezza e dell’obiettiva determinabilità è
particolarmente importante stabilire se tali requisiti debbano o meno sussistere dalla data di
chiusura dell’esercizio quale condizione per dedurre il costo in tale esercizio. La risposta a
tale quesito va data in senso positivo.
La legge prevede una deroga alla contemporanea sussistenza dei suddetti requisiti sia con la
possibilità di effettuare accantonamenti deducibili per costi futuri, maturati nell’esercizio
corrente, ma incerti nell’ammontare, sia con la possibilità di operare rettifiche qualora, in
esercizi successivi a quello in cui la componente di reddito è stata imputata, si accerta che gli
stessi sono determinabili in maniera diversa da quella originaria. A norma dell’art. 14 del
DPR n.600 del 1973 secondo il quale le società e gli enti che approvano il bilancio per legge o
per statuto possono effettuare nelle scritture contabili gli aggiustamenti consequenziali
all’approvazione stessa fino al termine stabilito per la presentazione della dichiarazione dei
redditi. La funzione dell’art. 14 finisce per essere quella di delimitare l’arco temporale entro il
quale l’impresa effettuerà gli aggiustamenti contabili necessari affinché le scritture contabili
tengano conto degli accadimenti noti dopo la chiusure dell’esercizio. Questa affermazione
consente anche di risolvere una ulteriore e rilevante questione , consistente nello stabilire se le
certezza e l’obiettiva determinabilità dei costi e dei proventi di cui ci parla l’art. 109 c.1 del
TUIR debbano essere già note all’imprenditore allo spirare del periodo di imposta, oppure se
tali circostanze possano divenire a lui note anche successivamente. E, qui, la risposta non può
che essere la seconda.
d) Principio di corretta valutazione
I diversi componenti di reddito, siano essi positivi che negativi, devono essere espressi in
moneta corrente, anche quando sono in natura ovvero in valuta estera e devono essere
quantificati al valore normale. Per valore normale si intende il prezzo o il corrispettivo,
assunto al netto dell’IVA (Ris. Min. 26/3/2004 n. 54/E), mediamente praticato:
• per i beni e servizi della stessa specie o similari;
• in condizioni di libera concorrenza ed al medesimo stadio di commercializzazione;
• nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquistati o prestati.
e) Principio di continuità
Richiamato espressamente dall’articolo 2423-bis del codice civile e dai principi contabili,
stabilisce che le valutazioni delle voci di bilancio devono essere fatte nella prospettiva di
continuazione dell’attività: in quest’ottica, pertanto, i beni dell’impresa assumono valore
unicamente in funzione della capacità di produrre un reddito futuro.
Un chiaro esempio applicativo di tale principio è rappresentato dalle rimanenze di esercizio
che costituiscono una componente positiva a fine esercizio e, specularmene, una componente
positiva all’inizio dell’esercizio successivo.
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f) Principio di inerenza dei costi
I costi e le spese sono deducibili quando riguardano beni o attività da cui derivano ricavi e
altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi
(art. 109, c. 5, TUIR).
La deducibilità suddetta varia a seconda dell’inerenza dei costi all’attività d’impresa. I costi
relativi ai beni destinati alla vendita (o ai servizi prestati) influenzano la determinazione del
reddito nell’esercizio in cui tali ricavi sono conseguiti. Se, tuttavia, i costi in oggetto si
riferiscono indistintamente sia ad attività o beni produttivi di reddito imponibile, sia ad attività
o beni produttivi di ricavi non tassati, in quanto esenti, la loro deducibilità è limitata. Per la
deducibilità dei costi risulta comunque condizione sufficiente che l’inerenza sia rapportabile
all’attività dell’impresa e non , quindi, ad una specifica singola componente di reddito
positiva. Pertanto, sono deducibili anche i costi e gli oneri sostenuti per conseguire vantaggi
di impresa futuri. In ogni caso, l’amministrazione finanziaria può negare la deduzione dei
costi che riflettono comportamenti dell’imprenditore ritenuti dalla stessa antieconomici,
dunque non inerenti.
Esistono tuttavia delle deroghe specifiche al principio di inerenza. Generalmente tali deroghe
consentono la deducibilità dei costi anche se non è dimostrata l’inerenza; esse si riferiscono
ad alcuni oneri riguardanti la generalità dei soggetti passivi e ad altri oneri riguardanti il costo
di beni ceduti gratuitamente per scopi sociali.
Le deroghe riguardanti la generalità dei soggetti si riferiscono:
• agli interessi passivi, la cui deducibilità è ammessa per intero (in assenza di proventi
esenti e di altri elementi che ne limitano la deducibilità) o in misura forfetaria anche se
non sono inerenti;
• agli oneri fiscali e contributivi e a quelli di utilità sociale che sono sempre deducibili,
alla sola condizione che siano imputati a conto economico;
• ai costi di gestione delle partecipazioni possedute da soggetti IRES che, in caso di
cessione, danno diritto a plusvalenze esenti sono comunque deducibili (art. 109, c. 5,
TUIR). Analogamente sono deducibili le spese sostenute in relazione alla gestione di
partecipazioni da cui derivino dividendi esclusi da tassazione per il 95%. Per quelle
possedute da imprese individuali e società di persone, invece, si applica la regola
generale, senza deroghe: pertanto i costi di gestione delle partecipazioni che danno
luogo a plusvalenze tassate al 40% sono deducibili per il 40%. Non è tuttavia
deducibile il costo sostenuto per l’acquisto del diritto d’usufrutto o altro diritto
analogo relativamente ad una partecipazione societaria da cui derivino utili esclusi per
il 95% del loro importo (art. 109, c.8, TUIR).
g) Principio di iscrizione a conto economico
Salvo le deroghe espressamente previste, il principio in oggetto stabilisce, in linea generale, la
deducibilità dei componenti negativi a condizione che gli stessi siano imputati a conto economico
dell’esercizio di competenza (art. 109, c.4, TUIR).
Tale norma, che può subire delle deroghe, ha due conseguenze:
• se il costo non è stato imputato al conto economico, esso non può essere considerato né
dal contribuente, in occasione della determinazione del reddito imponibile nella
dichiarazione dei redditi, né dall’Amministrazione Finanziaria in sede di accertamento,
salvo l’eccezioni più avanti riportate;
• se il costo viene imputato al conto economico in misura inferiore alla quota fiscalmente
ammessa in deduzione, la conseguente deduzione è limitata al valore risultante dal
bilancio.
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La regola dell’indeducibilità per mancata imputazione del costo al conto economico prevede
alcune deroghe, fra cui spicca quella derivante dal c.d. disinquinamento del bilancio, introdotto
con la riforma del diritto societario mediante l’abrogazione dell’art. 2426, c. 2 c.c, che impedisce
l’indicazione in bilancio di rettifiche di valori ed accantonamenti giustificati solo da disposizioni
tributarie.
Volendo fare una elencazione delle deroghe, si può dire che:
• qualora il componente negativo risulti annotato nelle scritture contabili ed abbia concorso
alla determinazione del risultato netto del conto economico, pur non essendo
specificatamente evidenziato in esso, si considera ugualmente imputato a conto
economico (art. 2, c. 6 bis, DL 90/90);
• sono deducibili quei costi la cui deducibilità è prevista espressamente dalla legge, anche
se sono imputati a conto economico;
• sono deducibili le spese e gli altri componenti negativi non imputati al conto economico
dell’esercizio perché già imputati ad esercizi precedenti;
• sono deducibili le spese e gli oneri non imputati a conto economico specificamente
afferenti i ricavi e gli altri proventi che concorrono a formare il reddito, se e nella misura
in cui risultano da elementi certi e precisi.
Dal 2004 gli ammortamenti dei beni materiali ed immateriali, le altre rettifiche di valore e gli
accantonamenti sono deducibili anche se non transitano nel conto economico purché sia indicato
in apposito prospetto della dichiarazione dei redditi (quadro EC) il loro importo complessivo, i
valori civili e fiscali dei beni e quelli dei fondi (principio del c.d. disinquinamento del bilancio,
Circolare Ministeriale 16/06/2004 n. 25/E).
La deducibilità dei citati componenti che non transitano nel conto economico è ammessa anche
per le imprese che non hanno utili o riserve di patrimonio netto. Tuttavia, laddove esistano, essi
sono soggetti ad un vincolo creato al fine di evitare che vengano distribuiti utili derivanti da costi
dedotti fiscalmente ma non ancora maturati economicamente. Infatti, in caso di distribuzione
delle riserve e degli utili d’esercizio, concorrono a formare il reddito se e nella misura in cui
l’ammontare delle restanti riserve di patrimonio netto, diverse dalla riserva legale, e dei restanti
utili portati a nuovo, risulti inferiore all’eccedenza degli ammortamenti, delle rettifiche di valore e
degli accantonamenti dedotti rispetto a quelli imputati a conto economico, al netto del fondo
imposte differite (comprensivo dell’IRAP) correlato agli importi dedotti. Il quarto comma
dell’art. 109 del TUIR costituisce la specificazione del concetto primario che si incentra sulla
individuazione del momento di deducibilità fiscale dei componenti negativi rinviando alla
ulteriore condizioni nell’iscrizione a conto economico dell’esercizio di competenza, vale a dire
l’esercizio in cui si è verificato il fenomeno che assume anche rilevanza ai fini fiscali e che non
può essere trattato secondo le specifiche deroghe previste del medesimo comma.
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I.A.4. Il reddito d’impresa: analogie e differenze con il reddito delle società
(a cura di Ottavio Mannara)
Redditi d’impresa (articolo 55 TUIR)
Sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di
imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle
attività indicate nell’art.2195 del codice civile e delle attività indicate alle lettere b) e c) del
comma 2 dell’art.32 del TUIR che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in
forma di impresa. Appare di immediata evidenza che la disciplina in oggetto non fornisce una
definizione di reddito d’impresa, ma la ricollega all’esercizio “dell’impresa commerciale”. Come
desumibile dai rinvii civilistici previsti dal citato articolo 55 del TUIR, infatti, il reddito
d’impresa risulta essere quello:
- derivante dall’esercizio di attività organizzate in forma di imprese dirette alla prestazione
di servizi che rientrano nell’articolo 2195 del codice civile (trattasi di impresa
commerciale costituita dall’attività industriale diretta alla produzione di beni e servizi,
all’attività intermediaria nella circolazione di beni, di trasporto per terra, acqua ed aria,
bancaria ed assicurativa ed ausiliarie alle precedenti);
- derivanti dallo sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni ed altre acque
interne;
- dei terreni, per la parte derivante dall’esercizio di attività agricole di cui all’art.32, pur se
nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in accomandita
semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti
attività d’impresa.
Ai sensi del disposto dell’articolo 2082 del codice civile, perché vi sia attività di impresa è
necessario il verificarsi di una serie di presupposti di seguito sintetizzati:
- esercizio di attività economica, nel senso di attività produttiva di nuova ricchezza o, più
genericamente, di nuove utilità;
- finalizzata alla produzione ovvero allo scambio di beni e servizi: nell’ottica indicata al
paragrafo precedente, l’attività economica, quando diretta allo scambio di beni o servizi –
cioè ad una interposizione tra chi produce e chi consuma – può sempre assumere i
caratteri di impresa; il termine servizio va inteso in senso molto ampio, consistendo in
qualsiasi vantaggio o utilità cha sia comunque richiesta dal mercato e sia suscettibile di
scambio. Al contrario, non sempre l’attività produttiva di beni e servizi può assumere i
caratteri di impresa: occorre, a tal fine, che l’attività sia svolta per il mercato, per il
soddisfacimento di bisogni altrui;
- in modo organizzato e con il carattere della professionalità. Attività “organizzata”
significa attività che si avvale di elementi estranei per esercitarla: l’opera di altre persone,
beni, macchine o, più genericamente, capitali. Attività “professionale” significa attività
abituale, svolta sistematicamente e si contrappone ad attività sporadica od occasionale.
Le disposizioni in materia di imposte sui redditi che fanno riferimento alle attività commerciali, si
applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate nel presente articolo.
Redditi di società, di enti commerciali e di altri soggetti
Per espressa previsione normativa, tutti i redditi prodotti da società, siano esse di persone ovvero
di capitali, e da enti commerciali costituiscono redditi d’impresa. Così per esempio, l’attività di
gestione immobiliare, svolta sia da società di persone, sia da società di capitali, si configura
sempre come reddito d’impresa.
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Precisa, infatti, l’articolo 6, comma 3 del TUIR che “i redditi delle società in nome collettivo e in
accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e qualsiasi sia l’oggetto sociale, sono
considerati redditi d’impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali
redditi”. Similmente, l’articolo 5, comma 3 lettera b) del TUIR statuisce che “le società di fatto
sono equiparate alle società in nome collettivo o alle società semplici secondo che abbiano o non
abbiano per oggetto l’esercizio di imprese commerciali”.
Analogamente, per le società di capitali, l’articolo 81 del TUIR stabilisce che “il reddito
complessivo delle società e degli enti commerciali di cui alle lettere a) e b) del comma 1
dell’articolo 73, da qualsiasi fonte provenga, è considerato reddito d’impresa”.
Si fornisce di seguito un quadro sintetico delle analogie e delle differenze tra reddito d’impresa e
reddito delle società, rinviando ai capitoli successivi per una trattazione esaustiva degli stessi.
Valutazione dei titoli (articolo 94)
La norma si applica sia con riferimento ai soggetti IRPEF in contabilità ordinaria che ai soggetti
IRPEF in contabilità semplificata, in virtù, in quest’ultimo caso, del rinvio contenuto nelle
disposizioni di cui all’articolo 66 del TUIR.
Spese per prestazioni di lavoro (articolo 95)
I principi contenuti nell’articolo 95 si applicano anche ai soggetti IRPEF come specificamente
indicato nell’articolo 60 del TUIR laddove si disciplina l’ipotesi, non afferente al campo IRES,
della indeducibilità dei componenti spettanti per il lavoro prestato dall’imprenditore, dal coniuge,
dai figli in determinate condizioni o in determinate fasce d’età. La non concorrenza al reddito dei
percipienti dei componenti negativi non deducibili è prevista dall’articolo 8 comma 1 del nuovo
TUIR. La norma si applica anche ai soggetti IRPEF che operano in contabilità semplificata in
virtù dello specifico richiamo contenuto nell’articolo 66, comma 3 del TUIR.
Interessi passivi (articolo 96)
La norma si applica anche ai contribuenti IRPEF con la precisazione contenuta nell’articolo 61
del TUIR che gli interessi passivi computati nella determinazione del reddito non danno
comunque diritto alla detrazione di imposta di cui all’articolo 15, comma 1 lettere a) e b) del
TUIR. La norma si applica anche ai contribuenti in contabilità semplificata.
Pro rata patrimoniale (articolo 97)
La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria e con le specificità
dell’articolo 62 del TUIR in base al quale il valore di libro delle partecipazioni di cui all’articolo
87 viene assunto in misura pari al 60 % del loro ammontare.
Sottocapitalizzazione delle imprese (articolo 98)
La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria, tenendo in considerazione
l’ammontare dei ricavi di cui al comma 7 dell’articolo 98 del TUIR. Inoltre, l’articolo 63 del
TUIR precisa che, per l’applicazione delle regole in materia di sottocapitalizzazione (i.e. thin
capitalization) alle imprese individuali, il riferimento al socio si intende fatto all’imprenditore e
nelle imprese familiari anche ai soggetti di cui all’articolo 5, comma 5 (cioè il coniuge, i parenti
entro il terzo grado e gli affini entro il secondo).
Oneri fiscali e contributivi (articolo 99)
La norma si applica integralmente ai contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria, ad eccezione del
comma 2 dello stesso articolo che trova altresì applicazione anche per i contribuenti in contabilità
semplificata in quanto non trovano applicazione le regole in materia di accantonamenti.
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Oneri di utilità sociale (articolo 100)
La norma si applica a tutti i contribuenti IRPEF a prescindere dal tipo di contabilità adottata.
Minusvalenze, sopravvenienze passive e perdite (articolo 101)
La norma si applica ai contribuenti IRPEF tenendo presente che:
- per coloro che operano in contabilità ordinaria, le minusvalenze da realizzo delle
partecipazioni di cui all’articolo 87 sono indeducibili per il 60% del loro ammontare come
pure i costi specificatamente inerenti il realizzo medesimo (art. 64, comma 1);
- per coloro che operano in contabilità semplificata si fa rinvio ai commi 2 e 3 dell’art. 66 e
dell’art. 101 del TUIR. In ogni caso, ovviamente , sono deducibili le minusvalenze da
realizzo delle partecipazioni in quanto tali contribuenti non fruiscono mai delle
disposizioni di cui all’articolo 87 del TUIR.
Ammortamento dei beni materiali (articolo 102)
Nell’ambito dei contribuenti IRPEF viene previsto:
- nell’art. 64 la deducibilità limitata delle spese relative all’acquisto di beni mobili adibiti
promiscuamente all’attività di impresa ed all’uso personale o familiare. La predetta
deducibilità è fissata in misura pari al 50%;
- analoga deducibilità è prevista in relazione agli immobili utilizzati promiscuamente.
Per i contribuenti in contabilità semplificata, l’articolo 66, comma 2, richiama le condizioni di
deducibilità previste dagli articoli 102 e 64, comma 2 a condizione che sia tenuto il registro dei
beni ammortizzabili. L’indicazione delle quote di ammortamento può essere effettuata anche
secondo le modalità di cui all’articolo 13 del D.P.R. n.435 del 2001 ovvero secondo le
disposizioni di cui all’articolo 2, comma 1 del D.P.R. n.695 del 1996.
Ammortamento dei beni immateriali (articolo 103)
La norma si applica anche ai contribuenti IRPEF a prescindere dal tipo di contabilità. Per coloro
che tengono la contabilità semplificata, sono richieste le medesime condizioni viste ai fini degli
ammortamenti dei beni materiali.
Ammortamento finanziario dei beni gratuitamente devolvibili (articolo 104)
La norma viene applicata ai soli contribuenti in contabilità ordinaria.
Accantonamenti di quiescenza e previdenza (articolo 105)
La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria, mentre per quelli in
contabilità semplificata il comma 3 dell’art. 66 del Tuir dispone comunque la deducbilità degli
accantonamenti a condizione che risultino iscritti nei registri di cui all’articolo 18, comma 1, del
D.P.R. n.600 del 1973.
Svalutazione dei crediti ed accantonamenti per rischi su crediti (articolo 106)
La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria
Altri accantonamenti (articolo 107)
La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria
Spese relative a più esercizi (articolo 108)
La norma si applica a tutti i contribuenti IRPEF indipendentemente dal regime contabile adottato.
Norme generali sui componenti del reddito d’impresa (articolo 109)
La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria. In relazione ai
contribuenti in contabilità semplificata si applicano le disposizioni in merito al calcolo del pro
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rata di spese generali, interessi di mora ed indeducibilità delle remunerazioni relative ai contratti
di associazione in partecipazione e cointeressenza agli utili.
Criteri generali di valutazione (articolo 110)
La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria.
Limiti di deduzione alle spese e degli altri componenti negativi relativi ai mezzi di trasporto
(articolo 164)
La norma si applica ai soli contribuenti IRPEF in contabilità ordinaria.
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I.A.5. I diversi regimi di tassazione delle società (di persone e di capitali) e riflessi sui soci
(a cura di Giuseppe Di Garbo)
5.1. Società di persone
Per i soggetti di cui all’articolo 5 del Tuir trova applicazione il principio di trasparenza.
Lo stesso dispone che “I redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita
semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente
dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.
In sostanza per quanto concerne le imposte sui redditi il debitore dell’imposta non è il
contribuente titolare del reddito bensì il soggetto che lo partecipa: il socio della snc o l’associato
dello studio costituito tra più professionisti.
I motivi che hanno portato il legislatore ad adottare tale soluzione sono stati individuati in una
sorta di cautela fiscale.
Tali soggetti pur se privi di personalità giuridica sono certamente dotati di autonomia
patrimoniale e finanziaria e potevano quindi essere ritenuti titolari del rapporto di debito (credito)
conseguente agli obblighi di dichiarazione.
Ma la considerazione che il capitale sociale (se esistente) non tutelato così come quello delle
società di capitale, gli obblighi e le responsabilità minori degli organi sociali hanno portato il
legislatore a preferire che i redditi venissero trasferiti ai singoli soci, ritenendo tale soluzione
maggiormente sicura per le casse dell’erario.
Il principio di trasparenza
Gli enti collettivi di cui all’art. 5 del Tuir
Godono di autonomia patrimoniale e finanziaria
Non sono soggetti passivi d’imposta
I redditi
Producono redditi
Chi tassa i redditi
I soci o i partecipanti degli enti collettivi
Come si dividono i redditi
Esistono regole differenziate per la suddivisione
in capo ai partecipanti dei redditi
L’IRAP
Il principio di trasparenza non vale per l’IRAP
Come si imputano i redditi
Le società
Quando trova applicazione il principio di trasparenza le quote di partecipazione agli utili (e quindi
il reddito imputabile ai singoli soggetti che fanno capo all’ente associativo) si presumono
proporzionate al valore dei conferimenti dei soci. Ciò trova un’eccezione nel caso in cui le quote
risultano determinate in modo diverso dall'atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata di
costituzione o da altro atto pubblico o scrittura autenticata di data anteriore all'inizio del periodo
d'imposta.
Ciò significa che è perfettamente lecita una società in nome collettivo in cui le quote sono
equamente divise tra due soci ma il cui atto costitutivo disponga che gli utili siano invece
suddivisi in quote ad esempio pari al 90 e al 10%. In questo caso ai fini dell’imputazione del
reddito imponibile in capo a ciascun socio prevarranno le regole indicate nell’atto costituivo.
Un ultimo caso può accadere qualora il valore dei conferimenti non si determinato così da rendere
impossibile una suddivisione basata su tale fatto. In questo caso le quote si presumono uguali.
Gli studi associati
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Le regole sopra descritte trovano un ulteriore eccezione nel caso delle associazioni senza
personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l'esercizio in forma associata di arti e
professioni. Le stese sono infatti equiparate alle società semplici ma l’atto con cui si determina la
suddivisione del reddito può essere redatto fino alla presentazione della dichiarazione dei redditi
dell'associazione.
Le imprese familiari.
Le imprese familiari sono regolate dall’art. 230-bis del codice civile. In questo caso vi è una
presunzione che assegna in ogni caso all’imprenditore almeno il 51% dei redditi prodotti. La
restante parte (49%) può essere imputati a ciascun familiare, che abbia prestato in modo
continuativo e prevalente la sua attività di lavoro nell'impresa. L’imputazione avviene in
misura proporzionale alla sua quota di partecipazione agli utili. Tale regole per trovare
applicazione deve essere sorretta da alcune condizioni:
i familiari
partecipanti
all'impresa
devono risultare nominativamente, con
l'indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l'imprenditore, da atto
pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del periodo
d'imposta, recante la sottoscrizione dell'imprenditore e dei familiari partecipanti;
la dichiarazione dei redditi dell'imprenditore deve recare rechi l'indicazione delle
quote di partecipazione agli utili spettanti ai familiari e l'attestazione che le quote
stesse sono proporzionate alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato
nell'impresa, in modo continuativo e prevalente, nel periodo d'imposta;
ciascun familiare deve attestare, nella propria dichiarazione dei redditi, di avere
prestato la sua attività di lavoro nell'impresa in modo continuativo e prevalente.
Come si imputano i redditi
Le società
Gli studi associati
Le imprese familiari
le quote di partecipazione agli utili e quindi il reddito imputabile ai singoli
soggetti che fanno capo all’ente associativo si presumono proporzionate al
valore dei conferimenti dei soci.
Le quote e il diritto agli utili possono essere determinate in modo diverso
dall'atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata di costituzione o da
altro atto pubblico o scrittura autenticata di data anteriore all'inizio del
periodo d'imposta anche .
Se il valore dei conferimenti non è determinato le quote si presumono uguali.
nel caso degli studi associati costituiti fra persone fisiche per l'esercizio in
forma associata di arti e professioni l’atto con cui si determina la
suddivisione del reddito può essere redatto fino alla presentazione della
dichiarazione dei redditi dell'associazione
vi è una presunzione che assegna in ogni caso all’imprenditore almeno il
51% dei redditi prodotti. La restante parte (49%) può essere imputati a
ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la
sua attività di lavoro nell'impresa. L’imputazione avviene in misura
proporzionale alla sua quota di partecipazione agli utili. I familiari
partecipanti
all'impresa
devono risultare nominativamente, con
l'indicazione del rapporto di parentela o di affinità con l'imprenditore, da
atto pubblico o da scrittura privata autenticata anteriore all'inizio del
periodo d'imposta, recante la sottoscrizione dell'imprenditore e dei
familiari partecipanti.
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Le cessione di quote di società di persone
Il socio che recede (o è escluso o vende la partecipazione) nel corso del periodo d’imposta non
dovrà essere considerato quando applicando il principio di trasparenza, alla chiusura del periodo
d’imposta il reddito verrà suddiviso tra tutti i soci.
La suddivisione del reddito deve infatti essere effettuata solo tra coloro i quali risultano soci nel
momento di chiusura del periodo d’imposta.
Quindi nel caso di cessione di quote di società di persone intervenuta nel corso dell'esercizio, gli
utili dell’anno sono da imputare al cessionario e non ad esempio ad entrambi i soci (il cedente e il
cessionario della quota) in misura proporzionale al periodo di partecipazione alla società nel corso
dell'esercizio.
Questa soluzione discende dal fatto che scegliendo la tesi della suddivisione pro quota degli utili
sarebbe stato impossibile individuare un criterio per la ripartizione degli utili tra il cedente ed il
cessionario. L’utile non viene a formarsi infatti in modo necessariamente costante nel corso
dell’esercizio.
5.2. Le società di capitali
Oltre al regime di tassazione ordinario, le società di capitali possono essere soggette a regimi di
tassazione diversi, applicabili per esplicita scelta effettuata dalla società.
In via ordinaria, l’utile d’esercizio delle società di capitale è assoggettato sia all’IRES che
all’IRAP.
La riforma fiscale ha introdotto un nuovo ed opzionale criterio di tassazione dei redditi derivanti
dalla partecipazione a società di capitali, ossia la tassazione “per trasparenza” del reddito, che
consiste nella possibilità di attribuire in capo a ciascun socio una quota del reddito imponibile
della società stessa, indipendentemente dall’effettiva percezione ed in relazione alla quota
detenuta di partecipazione agli utili.
Il reddito imputato ai soci è il reddito imponibile, considerato dunque al netto di perdite pregresse
della società partecipata.
Lo scopo è, verosimilmente, quello di compensare (parzialmente) l’eliminazione del credito di
imposta.
La tassazione per trasparenza del reddito consente di “saltare” la tassazione IRES per le società di
capitali. Infatti :
- l’imputazione del reddito avviene nei periodi d’imposta delle società partecipanti in corso alla
data di chiusura dell’esercizio della società partecipata;
- le ritenute operate a titolo d’acconto sui redditi di tale società, i relativi crediti d’imposta e gli
acconti versati si scomputano dalle imposte dovute dai singoli soci secondo la percentuale di
partecipazione agli utili di ciascuno;
- le perdite fiscali della società partecipata relative a periodi in cui è efficace l’opzione sono
imputate ai soci in proporzione alle rispettive quote di partecipazione ed entro il limite della
propria quota del patrimonio netto contabile della società partecipata;
- ai soggetti partecipanti si applicano le disposizioni le disposizioni previste in tema di
accertamento (unico per partecipata e partecipanti) dall’articolo 40, comma 2, del D.P.R. n.
600/73
- per le relative partecipazioni, il costo è aumentato, o diminuito, dei redditi e delle perdite
imputati ai soci ed è altresì diminuito, fino a concorrenza dei redditi imputati, degli utili
distribuiti ai soci.
In merito alla riserve già esistenti in bilancio della partecipata, è interessante rilevare che la
norma dispone che l’esercizio dell’opzione non modifica il regime fiscale in capo ai soci di
quanto distribuito dalla società partecipata utilizzando riserve costituite con utili di precedenti
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esercizi o riserve di capitale. Inoltre, durante i periodi di validità dell’opzione, e sempre fatta
salva una diversa esplicita volontà assembleare, si considerano prioritariamente distribuiti gli utili
imputati ai soci in base al regime della trasparenza. In caso di coperture di perdite, si considerano
prioritariamente utilizzati gli utili imputati ai soci in base allo stesso regime di trasparenza.
L’opzione deve essere esercitata da tutte le società e comunicata all’Amministrazione finanziaria,
entro il primo dei tre esercizi sociali predetti, secondo le modalità indicate in un provvedimento
del Direttore dell’Agenzia delle entrate, ed è irrevocabile per tre esercizi sociali della società
partecipata.
Le condizioni per accedere la trasparenza nelle SPA, SRL e SAPA (articolo 115 TUIR) a tale
regime sono:
che i soci siano solo società di capitali residenti in Italia;
che la partecipazione di ciascun socio-società sia almeno pari al 10%, e non superiore
al 50%; tale percentuale si riferisce sia al voto in assemblea, sia agli utili;
che vi sia specifica opzione da comunicare entro il primo esercizio e vincolante per un
triennio.
I requisiti suddetti devono sussistere a partire dal primo giorno del periodo d’imposta della
partecipata in cui si esercita l’opzione e permanere ininterrottamente sino al termine del periodo
di opzione.
Inoltre, nel caso in cui i soci con tali requisiti non siano residenti in Italia, l’esercizio dell’opzione
è consentito a condizione che non vi sia obbligo di ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti.
È prevista la responsabilità solidale della partecipata per imposte, sanzioni, ed interessi di ciascun
socio, conseguenti all’obbligo di imputazione del reddito.
Impossibilità di esercitare l’opzione
L’esercizio dell’opzione non è consentito nel caso in cui la società partecipata:
1. abbia emesso strumenti finanziari partecipativi di cui all’articolo 2346, ultimo comma, del
Codice Civile;
2. eserciti l’opzione per il consolidato.
Nel caso vengano meno le condizioni per l’esercizio dell’opzione, l’efficacia cessa fin dall’inizio
dell’esercizio sociale in corso della società partecipata. Gli effetti dell’opzione non vengono
meno nel caso di mutamento della compagine sociale della società partecipata mediante
l’ingresso di nuovi soci con i requisiti predetti.
La facoltà di avvalersi di questo nuovo istituto non è comunque limitata alle società e alle
compagni sociali prima dette. Una ulteriore possibilità è data alle SRL (articolo 116 TUIR), in
presenza delle seguenti condizioni:
- che il volume dei ricavi caratteristici (quelli cioè che sono indicati alla voce A1 del
bilancio) non superi € 5.164.569 (ossia la soglia prevista per l’applicazione degli studi di
settore);
- che i soci siano solo persone fisiche, e in numero massimo di 10 (20 per le S.c.a.r.l.);
- che vi sia una specifica opzione da comunicare entro il primo esercizio e vincolante per un
triennio;
- che la s.r.l. non detenga immobilizzazioni finanziarie esenti da Ires.
La trasparenza fiscale e lo spostamento della tassazione in capo ai soci.
Sotto il profilo applicativo, rendere la società produttrice del reddito da tassare “trasparente”,
significa spostare tutto il carico tributario, in termini di imposta personale sul reddito, dalla
società ai soci. In altre parole, questo significa che, l’obbligazione tributaria si sposterà dalla
società ai soci, analogamente a quanto già accade per le società di persone, che sono tassate, in
proprio, solo ai fini IRAP. La domanda principale che sorge conseguentemente in rapporto alle
società “trasparenti” è la seguente: se il reddito della società che ha optato per la trasparenza
fiscale viene rettificato in aumento, cosa succede ai redditi originari imputati ai soci ? La risposta
è semplice: caduto lo schermo protettivo assicurato dalla duplice condizione della personalità
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giuridica della società e della tassazione su quest’ultima ai fini IRES., si verificherà
l’imputazione pro-quota ai soci partecipanti, dei maggiori redditi societari. Ciò vale a dire che,
abbattuto il muro protettivo con l’opzione per la trasparenza fiscale, i soci dovranno far fronte, in
proprio, alle maggiori richieste del Fisco, perché i mezzi di tutela del credito erariale saranno
esperibili direttamente su soci delle società trasparenti, considerati diretti responsabili delle
imposte sul reddito prodotto dalla società. Questo è sicuramente un primo aspetto che merita
un’attenta valutazione da parte dei soci partecipanti.
Anche su questo versante, la novella non è “scevra da spine”. Il comma 8, dell’art. 115 del TUIR.
cosi recita: La società partecipata è solidalmente responsabile con ciascun socio per l’imposta, le
sanzioni e gli interessi conseguenti all’obbligo di imputazione del reddito. La stessa disposizione
si applica alle persone fisiche che partecipano alla trasparenza di cui all’art. 116 del TUIR per
effetto del richiamo contenuto in quest’ultimo, alle condizioni previste dall’art. 115 sopra citato.
La solidarietà passiva tra società e soci, come innanzi detto, riguarderà:
imposte
sanzioni
interessi.
Importanti, si intuisce, saranno le conseguenze patrimoniali sulla società di siffatta scelta. Così
come prescrive l’art. 13, periodo 2°, del D.M. 23/04/2004 contenente le norme di attuazione della
trasparenza fiscale ex art. 115 e 116 del TUIR, non vi sarà solidarietà passiva nel caso di omesso
o carente versamento dell’imposta da parte dei soci o nel caso di omessa o parziale indicazione
dei redditi della società che produce reddito imputato per trasparenza (per un approfondimento
sul regime di tassazione per trasparenza si rimanda a quanto espresso nel capitolo I.B.15).
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I.A.6. Il regime di tassazione degli enti commerciali
Le regole contenute nel Tuir assoggettano ad Ires gli enti commerciali residenti secondo le
ordinarie regole applicabili alle società di capitali.
Si rimanda pertanto a quanto espresso nel capitolo I.A.3
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I.A.7. La nozione di costo fiscale
(a cura di Fabio Colombo)
La nozione di costo, così come dettata dal Legislatore tributario, è enunciata all'articolo 110,
comma 1 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi: essa è stato più volte modificato negli anni al
fine di adeguarla alla nozione di costo prevista dalla normativa civilistica, di cui all’articolo 2426,
comma 1 del codice civile.
Anche a seguito della riforma del diritto tributario, la nuova formulazione dell’articolo in oggetto
presenta alcune modifiche proprio con riguardo alla nozione di costo di cui al comma 1 che
verranno illustrate di seguito.
7.1. La nozione di costo fiscale e sua determinazione
Per il codice civile, nella nozione di costo di acquisto devono includersi i costi accessori, ad
esempio: spese notarili, di trasporto, di perizia, ecc.
Per la norma fiscale il costo è assunto al lordo delle quote di ammortamento già dedotte e include
gli oneri accessori di diretta imputazione.
A partire dal 1 gennaio 1998, i contributi per l’acquisto dei beni ammortizzabili, a prescindere dal
finanziamento adottato, non concorrono più a formare reddito d’impresa: tale comportamento è
stato riflesso e ripreso dall’articolo 110, comma 1 lett. a) che, con effetto a far data dal citato 1
gennaio 1998, stabilisce che il costo non debba più essere assunto al lordo di eventuali contributi.
Si precisa che la suddetta definizione di costo fiscale, così come si evince dal comma 1 lett. a)
dell’articolo 110 trova applicazione non solo per la determinazione dei beni ammortizzabili, ma
anche per la determinazione delle manutenzioni e delle riparazioni deducibili.
Particolare attenzione deve esser posta agli oneri accessori di diretta imputazione: a seguito del
D.Lgs.n.38/2005 sono state introdotte modifiche alla disciplina previgente, come è possibile
individuare dal raffronto dei testi normativi in cui si sottolinea la parte abrogata e/o modificata.
Il vecchio articolo 76 del TUIR, al comma 1 lett. b) stabiliva, infatti, che “[…] si comprendono
nel costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese
generali. Tuttavia, per i beni materiali ed immateriali strumentali per l’esercizio dell’impresa si
comprendono nel costo, fino al momento della loro entrata in funzione e per la quota
ragionevolmente imputabile ai beni medesimi, gli interessi passivi relativi alla loro
fabbricazione, interna o presso terzi, nonché gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro
acquisizione, a condizione che siamo imputati nel bilancio ad incremento del costo stesso. Nel
costo di fabbricazione si possono aggiungere con gli stesi criteri anche i costi diversi da quelli
direttamente imputabili al prodotto, per gli immobili alla cui produzione è diretta l’attività
dell’impresa si comprendono nel costo gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro
costruzione o ristrutturazione […]”.
Il novellato articolo stabilisce, invece, che “[…] si comprendono nel costo anche gli oneri
accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali. Tuttavia, per i
beni materiali ed immateriali strumentali per l’esercizio dell’impresa si comprendono nel costo
gli interessi passivi iscritti in bilancio ad aumento del costo stesso per effetto di disposizioni di
legge. Nel costo di fabbricazione si possono aggiungere con gli stessi criteri anche i costi diversi
da quelli direttamente imputabili al prodotto; per gli immobili alla cui produzione è diretta
l’attività dell’impresa si comprendono nel costo gli interessi passivi sui prestiti contratti per la
loro costruzione o ristrutturazione […]”
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Sulla base di quanto modificato, la dottrina prevalente ha sottolineato come il legislatore
tributario abbia proceduto con l’intento di eliminare le discrasie con la disciplina civilistica,
precisando quanto segue:
1. per la capitalizzazione la norma tributaria non fissa più il vincolo temporale dell’entrata in
funzione del bene;
2. la norma tributaria non distingue nemmeno più tra beni fabbricati – internamente o presso
terzi – e beni acquisiti e sembra rinviare alle previsioni civilistiche secondo cui se gli
interessi sono portati ad aumento del costo, essi vengono a far parte del valore del bene
appostato nell’attivo di bilancio e non costituiscono, invece, voce autonoma di costo. Dal
momento, però, che, civilisticamente, la capitalizzazione degli interressi è ammessa solo
per i beni costruiti internamente o esternamente, anche da un punto di vista fiscale, la
capitalizzazione degli interessi passivi di finanziamento per l’acquisto di immobili non è
ammessa, non essendo appunto ammessa civilisticamente.
3. con riferimento alla facoltà di patrimonializzazione degli “altri costi” e degli “oneri
relativi al finanziamento”, la norma tributaria (articolo 110 del TUIR) sembra discostarsi
nettamente da quanto previsto civilisticamente: se, infatti, dal punto di vista fiscale
l’espressione “si comprendono” è letta dalla dottrina maggioritaria come una facoltà e non
come un obbligo, da un punto di vista civilistico, la relazione ministeriale al
D.Lgs.n.127/1991 afferma che “[…] l’espressione può comprendere non intende
attribuire ai redattori di bilancio una facoltà di scelta arbitraria, ma si riferisce alla
ragionevole applicazione della discrezionalità tecnica […]”.
Come sottolineato dal novellato disposto dell’articolo 110, comma 1 lett. b) del TUIR, nel costo
di fabbricazione si possono aggiungere con gli stessi criteri anche i costi diversi da quelli
direttamente imputabili al prodotto. La norma si riferisce, in altre parole:
- al costo fiscale di tutti i beni materiali ed immateriali strumentali;
- al costo fiscale dei cosiddetti immobili merci.
È quindi una regola generale, suscettibile di applicazione non solo per la definizione del costo
fiscale dei beni strumentali e degli immobili merce ma in genere per tutti i beni costituenti
magazzino.
La disciplina dei beni merce non è stata oggetto di modifiche da parte del legislatore tributario:
nel loro valore i comprendono gli interessi passivi su prestiti contratti per la loro costruzione o
ristrutturazione che possono, per l’appunto, essere capitalizzati fino al momento di ultimazione
della costruzione. I prestiti di cui sopra devono intendersi quelli corrisposti in relazione ad
un’apertura di credito su uno specifico conto corrente utilizzato solo per quell’opera e, di
conseguenza, a questa specificamente imputabile; sembra doversi escludere la possibilità di
imputare interessi passivi relativi al generale conto corrente dell’impresa.
Con riferimento agli immobili merce sembra, pertanto, che le nozioni di costo di acquisto
civilistica e tributaria coincidono.
7.2. Il costo dei beni rivalutati (articolo 110, comma 1 lett. c))
Particolare attenzione merita, inoltre, la ricomprensione delle plusvalenze iscritte in bilancio nel
costo dei beni rivalutati: la soppressione dell’articolo 54, lett. c) ha comportato che le plusvalenze
sui beni iscritte in bilancio siano divenute fiscalmente neutre con la conseguenza che esse, così
come non sono tassabili, non possono neppure esser portate in aumento del costo fiscale dei beni.
Tale esclusione non vige, però, nel caso di plusvalenze che non concorrono a formare il reddito
per effetto di specifiche disposizioni .
La suddetta disciplina non trova applicazione, inoltre, con riferimento ai beni di cui all’articolo
85, comma 1, lett. a), b) ed e) ossia a:
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-
beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa;
materie prime e sussidiarie, semilavorati ed altri beni mobili, esclusi quelli strumentali
acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione;
- obbligazioni ed altri titoli in serie o di massa diversi da quelli di cui alle lettere c) (azioni o
quote) e d) (strumenti finanziari) che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie
La ratio di tale disposizione consiste nel fatto che gli eventuali plusvalori iscritti su tali beni
merce, proprio perché certamente tassabili, concorrono, simmetricamente, alla determinazione del
costo.
Si segnala, infine, che, con riferimento ai beni di cui all’articolo 85, comma 1 lett. e)
(obbligazioni ed altri titoli in serie o di massa) che costituiscono, però, immobilizzazioni
finanziarie, le plusvalenze sono tassabili fino alla quota delle minusvalenze dedotte, mentre sono
intassabili per la quota eccedente.
7.3. Il costo delle azioni e degli strumenti finanziari
Del tutto innovativa rispetto alla previgente disposizione di cui all’articolo 76 del TUIR è quella
contenuta nel comma 1 lett. d) dell’articolo 110 secondo cui il costo fiscale delle azioni, delle
quote e degli strumenti finanziari non deve comprendere maggiori o minori valori iscritti: tali
differenze non concorrono alla formazione del reddito né alla determinazione del valore
fiscalmente riconosciuto delle rimanenze dei beni indicati.
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I.A.8 I Componenti Positivi Del Reddito Delle Società
(a cura di Damiano Cazzetta)
8.1 Considerazioni Preliminari
Nella illustrazione dei componenti positivi di reddito è opportuno suddividerli in relazione alla
loro tipicità o meno rispetto all’attività aziendale. Pertanto, in relazione al fatto che la normativa
fiscale consideri quale conto economico di riferimento quello di cui all’articolo 2425 del codice
civile, si dovrà distinguere tra le componenti appartenenti all’area operativa, da quelle dell’area
finanziaria, per concludere con quelle straordinarie.
8.2 L’area Operativa
Rientrano nell’ambito dell’area operativa i ricavi di cui alla lettera A) del conto economico di cui
all’art. 2425 del codice civile.
In particolare l’articolo 85 del T.U.I.R. individua alle lettere a) e b) le fattispecie rilevanti dal
punto di vista fiscale.
Rientrano tra i ricavi di cui alla lettera a) quelli derivanti dalla vendita di merci prodotti o
prestazioni di servizi rientranti nell’attività normale d’impresa; tra quelli di cui sub b) rientrano i
corrispettivi scaturenti dalla vendita di materie prime e sussidiarie, semilavorati ed altri beni
mobili (esclusi gli strumentali) che sono stati acquistati o prodotti nell’ambito dell’attività
produttiva..
A differenza della prima, la seconda ipotesi è la conseguenza di un utilizzo non naturale dei
fattori produttivi, che vengono ceduti a terzi invece di essere utilizzati direttamente.
Anche le indennità risarcitorie di cui alla lettera f) possono rientrare nell’ambito dei cosiddetti
ricavi tipici. Tale situazione si viene a verificare quando le somme percepite si riferiscono a beni
produttivi di ricavi. Quando invece si riferiscono a beni diversi da quelli indicati all’articolo 85,
costituiscono plusvalenze (rientrando quindi nell’area straordinaria).
Ai fini della rilevanza fiscale, concorrono alla formazione del reddito dell’esercizio per
competenza, ovvero nel momento in cui diventano certe e determinabili, indipendentemente
dall’effettivo momento dell’incasso.
Possono altresì rientrare tra le componenti positive di reddito appartenenti all’area ordinaria, i
contributi di cui alle lettere g) ed h) del comma 1 dell’articolo 85.
In particolare sono soggetti a tassazione i contributi in denaro o in natura, spettanti alle imprese in
base a contratto, da chiunque corrisposti, nonché quelli, spettanti esclusivamente in conto
esercizio, svincolati da contratto in quanto erogati sulla base di specifiche disposizioni di legge.
Detti contributi, rientreranno invece nell’ambito dell’area finanziaria, qualora volti alla riduzione
di interessi passivi, mentre saranno da considerare appartenenti all’area straordinaria se connessi
ad eventi straordinari (si veda a tal proposito il documento n°12 dei principi contabili).
In merito alla determinazione dell’esercizio di competenza dei contributi considerati ricavi, non
vi è una regola generale di interpretazione.
A tal riguardo occorre fare riferimento alla risoluzione ministeriale del 4 maggio 1979 n° 9/606
ed alla circolare ministeriale del 27 maggio 1994, n° 73/E.
In particolare, per citare qualche esempio, si evince che, per quanto riguarda i contributi erogati
da un ente pubblico il momento rilevante ai fini della determinazione della competenza
economica dell’operazione è rappresentato dal momento in cui il soggetto beneficiario del
contributo viene a conoscenza della liquidazione dello stesso.
La conoscenza si ha, nel caso in cui il decreto di liquidazione abbia natura recettizia, mediante
notificazione del provvedimento, ovvero in caso contrario, a seguito della pubblicazione del
provvedimento.
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Per i contributi la cui procedura di liquidazione non prevede atti formali ed esterni risulta
determinante il momento in cui risultano verificate tutte le condizioni oggettive che sottendono il
diritto all’ottenimento del contributo.
Sempre con riferimento alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 85, contribuiscono alla
formazione del reddito dell’esercizio, ex articolo 92 del T.U.I.R., le variazioni delle rimanenze
finali rispetto alle iniziali di detti beni.
In particolare si avrà una componente positiva di reddito in caso di incremento delle rimanenze
rispetto all’esercizio precedente (in quanto da un punto di vista civilistico si ha un rinvio alla
competenza degli esercizi successivi dei costi che non hanno ancora trovato il loro corrispettivo
ricavo).
Diventa pertanto determinante il criterio di valutazione del magazzino.
Il legislatore con l’emanazione del decreto legge 416/1994 si è allineato a quanto previsto dalla
normativa civilistica, riconoscendo validità, accanto al LIFO a scatti (che rimane il criterio base),
anche al metodo del LIFO continuo, della media ponderata e del FIFO.
Indipendentemente dal criterio adottato il costo del bene cui ci si deve riferire per la
determinazione del valore complessivo del magazzino è quello definito dall’articolo 110 del
T.U.I.R.
E’ altresì possibile che da un esercizio all’altro si vada a variare il criterio adottato per la
valutazione delle rimanenze. Il cambiamento di criterio deve essere comunicato
all’amministrazione finanziaria che, se da un lato non può opporsi alla scelta effettuata, dall’altro
può comunque andare a verificare che il nuovo metodo di valutazione utilizzato sia previsto dalla
normativa fiscale e in caso contrario sarà possibile modificare il valore di magazzino utilizzando i
criteri di cui all’articolo 92 del Testo Unico.
In relazione all’introduzione degli IAS (che prevedono quali criteri da adottare il FIFO ed il costo
medio ponderato), l’articolo 13 del decreto legislativo n° 38 del 28 febbraio 2005 prevede (previa
opzione irrevocabile da esercitare in sede di dichiarazione dei redditi) la possibilità di mantenere
ai fini fiscali i criteri di valutazione precedentemente utilizzati andando così ad avere una doppia
valutazione ovvero una civilistica, conforme agli IAS, ed una fiscale.
L’articolo 93 disciplina la valutazione delle rimanenze relative ad opere forniture e servizi di
durata ultrannuale. Trattasi nello specifico di prestazioni relative a contratti il cui oggetto è
indivisibile in parti predeterminate e che hanno un tempo di esecuzione che va oltre la durata del
singolo esercizio. Possono citarsi a titolo esemplificativo l’appalto, la vendita su ordinazione e la
somministrazione.
Ai sensi del comma 2 la valutazione viene fatta sulla base del corrispettivo pattuito (salvo quanto
poi previsto dai commi successivi in relazione alle maggiorazioni di prezzo ed al rischio
contrattuale), derogando così all’articolo 109 che considera i corrispettivi delle prestazioni di
servizi conseguiti alla data in cui le stesse sono ultimate.
Da un punto di vista pratico la valutazione viene quindi effettuata moltiplicando l’importo
pattuito per la percentuale di avanzamento del lavoro.
In deroga a ciò è possibile effettuare la valutazione in base ai costi sostenuti, ma è necessario che
vengano rispettate due condizioni:
Anche in bilancio la valutazione deve essere effettuata con lo stesso criterio;
La scelta deve essere autorizzata dall’Ufficio delle imposte (che si intende accordata qualora, a
seguito di richiesta presentata o spedita a mezzo raccomandata, non venga notificato un avviso
contrario entro tre mesi).
L’autorizzazione ha effetto, per l’esercizio in corso alla scadenza dei tre mesi ed a condizione
detto criterio del costo venga adottato per tutte le commesse, forniture o servizi.
8.3 L’area Finanziaria
Sono da considerarsi proventi dell’area finanziaria quelli di cui alle lettere c), d) ed e)
dell’articolo 85 del Testo Unico.
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E’ opportuno precisare che da un punto di vista fiscale vengono considerati ricavi le cessioni
relative ad azioni, quote di partecipazione in società obbligazioni ed altri titoli di massa che non
risultino ricompresi nell’ambito delle immobilizzazioni finanziarie, nel qual caso la cessione dà
luogo a plusvalenze (ovvero minusvalenze) che pertanto verranno considerate quale provento
dell’area straordinaria.
Contabilmente detti ricavi troveranno collocazione in bilancio alla voce C.15 (“Proventi da
partecipazioni”) se scaturiscono da una cessione di azioni e quote di partecipazione, mentre
saranno ricompresi nella voce C.16. c) (“Altri proventi finanziari”) qualora derivino dalla
cessione di obbligazioni o di altri titoli in serie o di massa.
Non vengono presi in considerazione i ricavi derivanti dalla cessione di partecipazione in società
di persone, pertanto si deve ritenere che, fiscalmente, indipendentemente dalla collocazione in
bilancio, queste vengano considerate quali plusvalenze (ovvero minusvalenze).
8.4 L’area Straordinaria
Rientrano in tale area i componenti positivi di reddito annoverati tra le plusvalenze patrimoniali
di cui all’articolo 86 del T.U.I.R. e le sopravvenienze attive di cui all’articolo 88.
Le plusvalenze vengono generate in seguito a cessioni a titolo oneroso di beni patrimoniali ad un
valore superiore rispetto a quello fiscale; tuttavia non tutte le cessioni generano plusvalenze, in
quanto sulla base di quanto esaminato nei precedenti paragrafi restano ovviamente esclusi i beni
al cui scambio è diretta l’attività d’impresa ex articolo 85.
Per quanto concerne le sopravvenienze, queste si possono, a loro volta, suddividere in ulteriori
due categorie; le sopravvenienze attive proprie e quelle improprie.
Partendo dal presupposto che la sopravvenienza non è necessariamente legata ad un evento
estraneo all’attività d’impresa, rientrano nel primo gruppo quei proventi (derivanti da maggiori
ricavi rispetto a quelli già contabilizzati, o da minori costi) che hanno un nesso di causalità con
accadimenti aziendali appartenenti ad esercizi precedenti.
Si possono considerare appartenenti alle sopravvenienze improprie quei proventi che non hanno
alcun nesso di causalità con avvenimenti di anni precedenti, come ad esempio i contributi e
liberalità non rientranti nell’ambito di quelli di cui alle lettere g) ed h) del comma 1 dell’articolo
85.
8.5 Componenti Positive Esenti
non tutte le plusvalenze concorrono alla formazione del reddito fiscalmente imponibile. L’articolo
87 del Testo Unico, prevede infatti a determinate condizioni, l’esenzione dall’imponibilità delle
plusvalenze realizzate ai sensi dell’articolo 86 commi 1, 2 e 3.
Per una trattazione completa di tale regime di esenzione, denominato participation exemption,
introdotto con la riforma fiscale, a seguito del recepimento da parte del legislatore dell’articolo 4,
comma 1 lettera c) della legge delega 80/2003, si rinvia al capitolo relativo.
8.6 Analisi Delle Singole Componenti Reddituali
Verranno ora analizzate le singole componenti di reddito prima esposte in considerazione della
loro area di appartenenza.
Contribuiscono a formare il reddito d’esercizio i seguenti elementi:
Ricavi
Plusvalenze patrimoniali
Plusvalenze esenti
Sopravvenienze attive
Dividendi ed interessi
Proventi immobiliari
Variazioni delle rimanenze
Titoli
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8.7 RICAVI
Come già evidenziato in precedenza i ricavi sono disciplinati dall’articolo 85 del T.U.I.R.
Rispetto al testo previgente sono stati inseriti nell’ambito dei ricavi i corrispettivi derivanti dalla
cessione degli strumenti finanziari non iscritti tra le immobilizzazioni, mentre viene rinviato
all’articolo 57 la tassazione dell’autoconsumo dei beni dell’impresa da parte degli imprenditori
persone fisiche.
È possibile quattro tipologie differenti di proventi che danno luogo a ricavi:
Ricavi propri;
ricavi da cessione di attività finanziarie;
indennità costituenti ricavi;
contributi costituenti ricavi.
8.7.1 RICAVI PROPRI
I ricavi propri di cui alla lettera a) del primo comma dell’articolo 85 dalle cessioni di beni e/o
dalle prestazioni di servizi, rientranti nell’attività caratteristica dell’impresa, effettuati dietro il
pagamento di un corrispettivo. Si sottintende quindi un rapporto sinallagmatico tra cedente e
cessionario; qualora questo non sussistesse la tassazione potrebbe essere altresì effettuata (con
esclusivo riferimento alla fuoriuscita dalla sfera imprenditoriale di beni da cui derivano ricavi)
facendo ricorso al successivo comma 2 dell’articolo 85 che prevede la tassazione del valore dei
beni destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa o assegnati ai soci. Si tratta, ovvero, di
cessioni di beni il cui impiego nel ciclo produttivo e la successiva rivendita avrebbero prodotto
ricavi nell’attività tipica dell’impresa.
Se ne deduce che anche in presenza di un utilizzo diverso dei fattori produttivi vi è comunque una
assimilazione ai ricavi dei proventi scaturenti da una loro cessione.
Parimenti la cessione di beni diversi da quelli di cui alla lettera b) non determina ricavi, bensì
plusvalenze e minusvalenze di cui agli articoli 86 e 101 del TUIR per la cui trattazione si rinvia ai
paragrafi successivi ed al capitolo dei costi.
8.7.2 RICAVI DA CESSIONI DI ATTIVITA’ FINANZIARIE
Sono definiti alle lettere c) d) ed e) dell’articolo 85 e ricomprendono i proventi derivanti da:
cessione di partecipazioni sociali;
cessione di strumenti finanziari;
cessione di obbligazioni.
A partire dal 1 gennaio 2004 c’è stata una modifica delle disposizioni in oggetto. Infatti con
riferimento alle lettere c) e d) è previsto un regime di esenzione delle partecipazioni
(partecipation exemption) per la cui trattazione completa si rinvia all’apposito capitolo.
Ulteriore novità è data dall’aver inserito gli strumenti finanziari nell’ambito delle attività
finanziarie.
I corrispettivi derivanti dall’alienazione di dette attività finanziarie sono da considerarsi ricavi
anche se la loro cessione non rientra nell’attività tipica dell’impresa, purché esse non siano
iscritte in bilancio tra le immobilizzazioni finanziarie.
La cessione delle partecipazioni sociali, o di altre fattispecie contrattuali simili riguarda
partecipazioni al capitale di società ed enti soggetti IRES, che non sono iscritte tra le
immobilizzazioni e che non hanno i requisiti per fruire delle partecipation exemption.
A tal proposito si ricorda che ai sensi dell’articolo 2424 del Codice Civile, i beni che non sono
destinati ad essere durevolmente utilizzati nell’attività imprenditoriale vanno iscritti nell’attivo
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circolante e pertanto solo con riferimento alla loro cessione si produrranno ricavi ai sensi della
lettera c) dell’articolo 85 del TUIR.
Relativamente alla cessione di quote di società di persone, poiché non menzionate nella lettera c)
dell’articolo 85, il corrispettivo pattuito sarà sempre fonte di plusvalenze o minusvalenze, salvo,
ovviamente il caso in cui la cessione non rientri nell’ambito dell’attività tipica della società
cedente, nella cui fattispecie i proventi rientreranno nei ricavi di cui al primo comma lettera a)
dello stesso articolo.
La cessione di strumenti finanziari di cui alla lettera d) è stata introdotta in conseguenza della
riforma del diritto societario operata con il decreto legislativo n° 6 del 2003.
Le caratteristiche di detti strumenti finanziari sono esplicitate nella circolare n° 26 del
16/06/2004¸ anche in questo caso, al fine di iscrivere tra i ricavi i proventi della cessione, è
necessario che tali attività non siano iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie e non possano
usufruire del regime di esenzione previsto dell’articolo 87 del TUIR.
I corrispettivi della cessione delle obbligazioni e di altri titoli, di cui alla lettera e) comma 1
dell’art.85, costituiscono ricavi con la sola eccezione per quelli iscritti tra le immobilizzazioni,
non sussistono invece vincili in merito alla disciplina di esenzione di cui all’articolo 87, in quanto
tali attività finanziarie non hanno la caratteristica di titoli di partecipazione per i quali può
rendersi applicabile la disciplina di esenzione.
8.7.3 INDENNITA’ PER LA PERDITA O DANNEGGIAMENTO DI BENI
La lettera f) del primo comma dell’articolo 85 include tra i ricavi le indennità, conseguite a titolo
di risarcimento, anche assicurativo, per la perdita o il danneggiamento di beni da cui derivano
ricavi.
A titolo esemplificativo, detti indennizzi possono riguardare il risarcimento da parte del
trasportatore per il deperimento della merce da consegnare, l’indennizzo assicurativo liquidato
per il furto delle materie prime, il risarcimento per furto di titoli (anche se non rientranti fra i beni
al cui scambio è diretta l’attività d’impresa), purché non costituiscano immobilizzazioni
finanziarie e non rientrino tra quelli cui è applicabile il regime di esenzione ex articolo 87.
I risarcimenti concorreranno alla formazione del reddito nell’esercizio in cui sono diventate certe
ed obiettivamente determinabili (generalmente coincidente con l’esercizio in cui si è verificato
l’evento dannoso), le eventuali maggiori o minori somme liquidate negli esercizi successivi
costituiranno sopravvenienze attive o passive ai sensi rispettivamente dell’articolo 89 comma 1 e
101 comma 4 del TUIR.
8.7.4 CONTRIBUTI
Tali proventi, ricevuti in denaro o in natura possono essere suddivisi in due categorie:
contributi che generano ricavi;
contributi ed altre liberalità che generano sopravvenienze attive (il cui trattamento fiscale è
disciplinato dall’articolo 88 del TUIR).
Quanto ai primi si tratta dei contributi di cui alle lettere g) ed h) dell’articolo 85, ovvero di quei
contributi spettanti sotto qualsiasi denominazione in base a contratto (lettera g) nonché di quelli
spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge (lettera h).
A titolo esemplificativo di quelli di cui alla lettera g) si possono ricordare i contributi
promozionali in contratto dal fornitore, i contributi concessi a titolo di concorso spese, i contributi
previsti come anticipazioni per la costruzione di attrezzature.
L’amministrazione finanziaria ha considerato rientranti in questo ambito i contributi erogati per:
acquisto di specifici impianti da utilizzare esclusivamente per l’esecuzione di commesse su
contratti di fornitura (Risoluzioni del Ministero delle Finanze n°521 e n°559 del 1979)
corsi di formazione, riconversione, ecc. del personale (articolo 8 comma 34 legge 67/1988).
Per quanto riguarda i contributi di cui alla lettera h) trovano giustificazione negli interventi
normativi del legislatore per sostenere l’attività di determinati settori imprenditoriali.
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A norma dell’articolo 28 del DPR 600/1973 è prevista una ritenuta a titolo di acconto, nella
misura del 4% sui contributi corrisposti alle imprese, da regioni, province, comuni ed altri enti
pubblici, con esclusione di quelli erogati per l’acquisto di beni strumentali.
Detta ritenuta deve essere effettuata anche sui contributi in conto esercizio, mentre restano esclusi
i contributi in conto impianti che hanno il carattere di pagamento di un capitale.(macchinari,
impianti, ecc.).
8.7.5 ASSEGNAZIONE AI SOCI
Al comma 2 dell’articolo 85 viene sancita l’annovero tra i ricavi delle assegnazioni ai soci e della
destinazione a finalità estranee all’esercizio delle imprese dei beni da cui si generano ricavi.
In entrambi i casi di autoconsumo, la determinazione dell’ammontare da tassare è effettuata
applicando il criterio del valore normale di cui all’articolo 9 comma 3 del TUIR, mentre per i beni
di cui alle lettere c), d) ed e) dell’articolo 85 tale valore normale è determinato ai sensi del comma
4 dell’articolo 9 del TUIR.
8.8 PLUSVALENZE PATRIMONIALI
Le plusvalenze patrimoniali sono disciplinate dall’articolo 86 del TUIR. Al fine di chiarire come
vengono realizzate è opportuno suddividere i beni dell’impresa in due categorie:
Beni di cui all’articolo 85 destinati all’oggetto specifico dell’attività d’impresa non iscritti nelle
immobilizzazioni, la cui cessione produce ricavi;
Beni relativi all’impresa diversi dai precedenti, la cui cessione, in caso di maggior valore rispetto
all’ultimo fiscalmente riconosciuto, determina una plusvalenza imponibile.
Le modalità di conseguimento delle plusvalenze sono determinate dalle lettere a) b) e c) del
comma 1 dell’articolo 86.
Alla lettera a) sono individuate le plusvalenze derivanti da cessioni a titolo oneroso dei beni. Ai
sensi dell’ultimo comma dell’articolo 9 del TUIR vengono assimilati a tale fattispecie contrattuali
(si veda in tal senso la Risoluzione ministeriale 12/01/1993 prot. 77/020) gli atti a titolo oneroso
che comportano la costituzione, o il trasferimento di diritti reali di godimento (uso, usufrutto,
enfiteusi, superficie, ecc.). In virtù di tale assimilazione, anche il conferimento in società o enti
aventi ad oggetto i beni di cui all’articolo 86 può generare plusvalenze.
In questo caso per la determinazione della plusvalenza dovrà confrontarsi l’ultimo valore
fiscalmente riconosciuto dei beni conferiti con il valore normale delle azioni o titoli similari
ricevuti in cambio. Il riferimento al valore normale è valido solo nel caso in cui dette azioni o
titoli vengano negoziati in mercati regolamentati (italiani o esteri), in caso contrario si dovrà fare
riferimento alla quota di patrimonio netto (a valori correnti) della società conferitaria ed agli atti
che ne dispongono il trasferimento.
La lettera b) individua le plusvalenze scaturenti dal risarcimento anche assicurativo per la perdita
o il danneggiamento dei beni patrimoniali.
Tali indennizzi riguardano:
beni strumentali diversi da quelli già individuati di cui all’articolo 85;
beni relativi all’impresa (immobili e mobili non strumentali);
azioni o quote di partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie, diverse da
quelle per cui è applicabile l’articolo 87;
obbligazioni ed altri titoli diversi da quelli di cui al punto precedente che costituiscono
immobilizzazioni finanziarie e per le quali non è applicabile l’articolo 87.
Infine per quanto riguarda la lettera c) vengono individuate tra le plusvalenze, quelle scaturenti
da:
assegnazione dei beni ai soci;
destinazione dei beni a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
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In questi casi il presupposto impositivo trova la sua giustificazione per il fatto che con
l’assegnazione e/o la destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, i beni escono dal
ciclo produttivo come se fossero ceduti a terzi.
A tal proposito con nota del 21/06/1996 prot. N° 28409, l’Agenzia delle Entrate – DRE – Emilia
Romagna, ha considerato da assoggettare a tassazione il conseguimento di plusvalenze scaturenti
dalla trasformazione di una società commerciale in società semplice.
Lo stesso non avviene invece in caso di scioglimento di società di persone, qualora in caso di
mancata ricostituzione della pluralità dei soci, il socio superstite continui l’attività, mantenendo
inalterati i valori dei beni.
Al comma 2 dell’articolo 86 vengono prese in considerazione le modalità di determinazione delle
plusvalenze.
Le plusvalenze individuate a norma del comma 1, lett. a) e b), sono costituite dalla differenza tra
il corrispettivo o l’indennizzo conseguito al netto degli oneri accessori di diretta imputazione ed il
costo non ammortizzato. Tra gli oneri accessori deducibili dal corrispettivo possono, a titolo di
esempio, ricomprendersi: i compensi di mediazione, le spese legali, le spese di perizia e più in
generale ogni altro costo direttamente connesso all’operazione di vendita ed alla quantificazione
del corrispettivo.
Occorre precisare che il costo non ammortizzato debba essere inteso come costo fiscalmente
riconosciuto, pertanto stante la diversità tra le disposizioni civilistiche e fiscali, la plusvalenza
fiscale realizzata potrebbe divergere da quella iscritta in bilancio. Per quanto riguarda
l’ammortamento dei beni nell’anno in cui sono ceduti, l’amministrazione finanziaria, con la
risoluzione n° 41 del 12 febbraio 2002 ha previsto la possibilità del calcolo degli ammortamenti
“pro rata temporis” purchè tale scelta venga utilizzata uniformemente per tutti i beni dimessi
nell’esercizio.
In base alla nuova formulazione dell’articolo 103 sono stati fugati i dubbi circa l’impossibilità di
recuperare, anche in sede di calcolo della plusvalenza, la differenza della quota di ammortamento
operata in misura inferiore alla metà della misura massima.
Le plusvalenze di cui alla lettera c) del primo comma vengono calcolate, a norma del comma 3
come differenza tra il valore normale (di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 9 del TUIR) ed il costo
non ammortizzato dei beni.
L’imputazione temporale della plusvalenza, avviene, sia da un punto di vista fiscale che
civilistico, nel momento in cui le stesse sono realizzate, è però prevista la possibilità, ex comma 4
dell’articolo 86 del TUIR, di rateizzare la stessa fino a cinque anni.
Tale opzione è concessa per le plusvalenze realizzate riferite a beni in posseduti per un periodo
superiore ai tre anni (ovvero 1 anno nel caso di società sportive). Con Risoluzione ministeriale n°
42 del 14/02/2002 è stato previsto che detto termine deve essere calcolato secondo le disposizioni
di cui all’articolo 2963 del codice civile.
Poiché il legislatore fa espresso riferimento al concetto che tali plusvalenze siano realizzate, ne
consegue che la facoltà di rateazione è concessa solo per quelle plusvalenze ex lett. a) e b) del
comma 1, non essendo quindi possibile nel caso di autoconsumo ex lett. c).
Nel caso di cessione d’azienda la rateizzazione è concessa nel caso in cui l’alienante conservi la
qualifica di imprenditore. In caso contrario, come confermato con circolare ministeriale n° 320
del 19/12/1997, tale facoltà è esclusa in quanto, nei periodi d’imposta successivi alla
realizzazione della plusvalenza viene a mancare il reddito d’impresa in cui inserire la quota di
reddito frazionata.
In caso di concordato preventivo la cessione di beni non costituisce realizzazione di plusvalenza
in quanto, come chiarito con risoluzione n°29 dell’Agenzia delle Entrate, la ratio della norma è
quella di “ridurre l’onere fiscale delle operazioni compiute nel corso della liquidazione
concordataria”.
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8.9 PLUSVALENZE ESENTI
Si rinvia la trattazione al capitolo 12.
8.10 SOPRAVVENIENZE ATTIVE
Le sopravvenienze attive, le cui fattispecie sono individuata al comma 1 dell’articolo 88, sono
generalmente correlate a componenti economiche o patrimoniali rilevate in esercizi precedenti.
Non mancano tuttavia casi in cui ciò non avviene, e come riportato dalla prassi ministeriale, ne è
un esempio il conseguimento di un’indennità di preavviso scaturente da una risoluzione anticipata
di un contratto. La ratio di tale orientamento è da ricondurre alla mancanza del requisito di
competenza economica che spinge a qualificare tale evento come sopravvenienza attiva.
Ai fini della tassazione delle sopravvenienze occorre che ci sia correlazione con un costo iscritto
e dedotto in esercizi precedenti. Tuttavia anche in questo caso bisogna operare delle distinzioni,
in quanto non sempre una insussistenza del passivo porterà ad una sopravvenienza imponibile.
Infatti come pronunciato dalla Suprema Corte con sentenza n° 16470 del 22/11/2002, una
insussistenza del passivo generata da un errore contabile può non generare una sopravvenienza
attiva tassabile.
La fattispecie prevista dal comma 2 dell’articolo 88 del TUIR, in quanto riferita alle indennità
risarcitorie, richiama in parte quanto previsto dall’articolo 86 esaminato precedentemente.
Elemento di distinzione è il momento in cui si consegue l’indennizzo. Infatti si andrà a realizzare
una sopravvenienza in luogo della plusvalenza nel caso in cui l’indennizzo venga conseguito in
un esercizio differente rispetto a quello in cui si è verificato l’evento dannoso.
Costituiscono inoltre fattispecie generativa di sopravvenienze attive anche le indennità che non
sono connesse a beni strumentali o beni merce è il caso, ad esempio dei contributi per la
rottamazione delle licenze di commercio.
I contributi sono da considerare sopravvenienze attive se in conto capitale, mentre quelli in conto
impianti, in quanto presentano vincolo di destinazione, sono ricavi anticipati (con tassazione
secondo il criterio di competenza).
I contributi classificabili tra le sopravvenienze attive sono gli unici tassabili secondo il criterio di
cassa, con possibilità di rateazione della sopravvenienza in cinque quote, a partire dall’esercizio
d’incasso. Sarà pertanto necessaria la rilevazione delle imposte differite al fine di non realizzare
un utile su cui le imposte verranno pagate negli esercizi successivi.
Ai sensi del comma 4 non sono invece considerate sopravvenienze imponibili i versamenti a
fondo perduto e le rinunzie a precedenti versamenti effettuate dai soci.
Infine il quinto comma prevede, in caso di cessione del contratto di leasing, la realizzazione di
una sopravvenienza pari al valore normale del bene, cui dovrà essere sottratto l’importo delle rate
ancora da pagare.
Peraltro con circolare ministeriale 108/96 è stato altresì specificato che i valori delle rate ancora
da pagare devono essere attualizzati alla data in cui viene effettuata la cessione.
Nel caso in cui oggetto della sopravvenienza siano beni a deducibilità ridotta (come nel caso di
automobili per le quali è prevista una deducibilità al 50%, in quanto beni ad utilizzo promiscuo),
per contro la sopravvenienza realizzata verrà tassata proporzionalmente alla quota rilevante
fiscalmente.
Ai fini IRAP, come si evince dalla relazione ministeriale al decreto correttivo 176/99,
l’imponibilità delle sopravvenienze è connessa al fatto che i componenti straordinari siano
correlabili a componenti riferite ad esercizi precedenti che erano state ricompresse in voci
dell’area ordinaria (valore o costi della produzione).
8.11 DIVEDENDI ED INTERESSI
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L’articolo 89 del TUIR, nella parte relativa ai dividendi distingua a seconda che essi vengano
percepiti da società semplici o da società di capitali residenti (e non).
Per effetto della Riforma del diritto Societario è ora possibile, anche per una società di capitali di
detenere partecipazioni in società di persone.
Gli utili verranno imputati in base alla quota posseduta e tassati indipendentemente dalla loro
effettiva percezione.
Gli utili percepiti da una società di capitali a norma del comma 2 sono da considerare esclusi
dalla tassazione nella misura del 95%.
I dubbi relativi alla tassazione secondo il criterio di competenza, anche per le società di capitali,
anche in relazione alla lettera dell’articolo 81 del TUIR sono stati fugati dalla circolare 26/E
dell’agenzia delle Entrate che ha chiaramente affermato che gli utili concorrono alla formazione
del reddito della società ricevente nell’esercizio in cui sono effettivamente percepiti, confermando
quindi l’applicazione del principio di cassa.
Relativamente ai dividendi di fonte estera, in seguito alle modifiche del TUIR, questi sono ora da
equiparare ai dividendi tra soggetti residenti, a condizione che:la remunerazione sia costituita
totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altra
appartenente allo stesso gruppo e che gli utili vengano distribuiti da una società che non abbia
residenza in uno dei Paesi a regime fiscale privilegiato (cosiddetta black list).
Gli interessi concorrono alla formazione del reddito nella misura in cui sono stati pattuiti in forma
scritta tra finanziato e finanziatore.
Ai sensi dell’articolo 2702 del codice civile, relativamente alla forma da adottare ai fini della
validità dell’accordo, è sufficiente una scrittura privata avente data certa. Qualora non risulti
alcun dato circa la misura del saggio d’interesse, lo stesso è da intendersi assunto al saggio legale
(2,5%).
È possibile che la tassazione degli interessi attivi avvenga attraverso una ritenuta alla fonte come
ad esempio nel caso di quelli maturati su obbligazioni, titoli di Stato e conti corrente bancari
(nelle prime due fattispecie l’aliquota delle ritenuta è pari al 12,5%, nella terza al 27%).
Infine sono operazioni generatrici di interesse i contratti “pronti contro termine” stipulati
generalmente tramite una banca ed un cliente. In forza di tale contratto la banca vende titoli
(generalmente obbligazioni) al cliente ad un determinato prezzo che verranno poi rivenduti dal
cliente ad un prezzo concordato. La rivendita non è di per se un obbligo, ma rappresenta la
fattispecie trattata dall’articolo 89. In particolare con la rivendita, ai fini delle imposte sui redditi,
si possono creare due componenti positive di reddito, ovvero gli interessi prodotti dai titoli nel
periodo di possesso e la differenza tra prezzo di rivendita e prezzo di acquisto che, se positiva,
concorre alla formazione del reddito secondo il principio di competenza,
8.12 PROVENTI IMMOBILIARI
Sono disciplinati dall’articolo 90 del TUIR. Al fine di individuare come concorrano alla
formazione del reddito d’impresa è opportuno suddividerli in tre categorie:
Strumentali;
Alla cui produzione o scambio è diretta l’attività d’impresa;
Beni diversi dai precedenti.
I primi, che a loro volta si suddividono in strumentali per destinazione e per natura, concorrono
alla formazione del reddito in base ai costi e ricavi contabilizzati ed in caso di cessione, ai sensi
dell’articolo 86 possono dar luogo a plusvalenze.
La seconda fattispecie è caratteristica delle società immobiliari. Nel caso in cui si tratti di società
immobiliari di costruzione, gli immobili vengono trattati alla stregua di beni merce, mentre
qualora siano società immobiliari di pura gestione occorrerà distinguere tra gli immobili
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commerciali, il cui reddito sarà determinato sulla base delle risultanze di bilancio e le abitazioni
la cui determinazione avverrà secondo quanto disposto dall’articolo 37 del TUIR.
Quanto alla terza categoria, ai sensi dell’articolo 90, sarà necessario distinguere gli immobili
situati nel territorio dello Stato da quelli situati all’estero. Per i primi il reddito sarà determinato ai
sensi dell’articolo 37, per i secondi deve invece distinguersi il se il bene all’estero sia o meno
soggetto ad imposte. Se è soggetto ad imposta l’imponibile è dato dalla valutazione effettuata
dallo Stato estero nel periodo d’imposta corrispondente, in caso contrario l’imponibile è dato
dall’ammontare percepito nel periodo d’imposta ridotto della deduzione forfetaria pari al 15%.
La previsione di questa deduzione forfetaria fa sì che per tale categoria residuale di beni immobili
non sia possibile la deduzione di ulteriori costi. Sono tuttavia esclusi dal principio
dell’indeducibilità i costi non strettamente connessi con gli immobili, nonché gli interessi passivi
scaturenti da prestiti contratti per l’acquisto degli stessi.
8.13 PROVENTI ED ONERI NON COMPUTABILI NELLA FORMAZIONE DEL REDDITO
L’articolo 91 del TUIR prevede per alcuni redditi, che pur concorrono alla formazione dell’utile
civilistico, un regime di esclusione degli stessi dal calcolo della base imponibile.
Sono redditi esclusi dall’imponibile fiscale:
Redditi esenti
Redditi con ritenuta alla fonte
Redditi soggetti ad imposta sostitutiva
Per i primi vige un regime di esenzione stabilito dalla Legge (ne costituiscono un esempio gli
interessi relativi a titoli pubblici emessi fino al 20/09/1986).
Quanto ai secondi si distingue il caso in cui la ritenuta sia a titolo d’acconto dal caso in cui venga
applicata a titolo d’imposta. Nel primo caso il reddito dovrà essere comunque assoggettato a
tassazione (la ritenuta subita andrà a sottrarsi all’ammontare d’imposta determinato), nel secondo
la tassazione è definitiva e pertanto tale componente positivo di reddito sarà escluso dal computo
della base imponibile (ne costituisce un esempio la ritenuta del 12,5% sugli interessi relativi ai
titoli di Stato emessi dopo l’01/09/1987.
La terza fattispecie è relativa a quelle tipologie di reddito che sono assoggettate ad altre tipologie
di imposizione o che vengono sottoposte ad un regime fiscale derogatorio; ne sono un esempio le
imposte sulle assicurazioni e l’imposta sui capital gains.
Sono escluse dalla base imponibile le operazioni (comportanti differenze positive o negative)
relative alla riduzione del capitale sociale sono fiscalmente neutrali.
Analoga soluzione è stata optata per le differenze positive scaturenti da emissione di azioni con
sopraprezzo. L’irrilevanza in questione o connessa al fatto che i versamenti aggiuntivi dei nuovi
soci costituiscano riserva di capitale. Una successiva distribuzione delle stesse comporterà come
conseguenza una riduzione del costo fiscalmente riconosciuto alle azioni o quote.
8.14 VARIAZIONI DELLE RIMANENZE
Si rinvia la trattazione al capitolo successivo.
8.15 OPERE, FORNITURE E SERVIZI DI DURATA ULTRANNUALE
Si rinvia la trattazione al capitolo successivo.
8.16 VALUTAZIONE TITOLI
Si rinvia la trattazione al capitolo successivo.
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I.A.9 Le variazioni delle rimanenze
(a cura di Giuseppe Di Garbo)
9.1. Le rimanenze
Quando si parla di rimanenze occorre precisare, innanzitutto, cosa si intende con il termine
rimanenze di esercizio. In genere, con tale locuzione si intendono sia beni che formano oggetto
dell'attività imprenditoriale sia altri beni materiali che intervengono nella catena produttiva o beni
immateriali iscritti nell'attivo circolante. In particolare, sono oggetto di valutazione sia civilistica
che fiscale i seguenti beni:
prodotti finiti
semilavorati
prodotti in corso di lavorazione
materie prime e materie sussidiarie
titoli iscritti nell'attivo circolante.
Tali beni acquistano rilevanza in quanto la variazione delle “giacenze” alla fine dell'esercizio
rispetto a quanto imputato in bilancio all'inizio dell'esercizio ha un impatto sulla determinazione
del risultato dell'esercizio sia dal punto di vista prettamente civilistico che da quello fiscale.
Le categorie di beni, che sono oggetto di rimanenze, devono essere raggruppate in categorie
omogenee per natura e valore (art. 92, c.1, TUIR). A tal proposito si fa presente che:
l’omogeneità per “categorie” presuppone un raggruppamento dei beni aventi in base al
titolo di proprietà ed alle caratteristiche merceologiche (stesso genere anche se di diverso
tipo);
l’omogeneità per “valore” presuppone un raggruppamento di beni aventi un identico
contenuto economico (con riferimento al “valore normale” nel momento di effettuazione
di tale raggruppamento. L’omogeneità per valore deve considerarsi rispettata quando il
valore dei beni si scosta entro margini del 10% rispetto al valore medio o del 20% rispetto
a quello minimo. In ogni caso la scelta e la composizione delle categorie omogenee deve
essere effettuata sulla base di criteri obiettivi basati sull’effettiva realtà aziendale).
Successivamente al relativo raggruppamento in categorie omogenee attraverso le modalità sopra
descritte, le rimanenze devono essere valutate ad un valore non inferiore a quello risultante (art.
92, c.c. 2 e 4, TUIR):
dall’applicazione del metodo del LIFO a scatti annuale;
dall’applicazione del metodo della media ponderata , ovvero FIFO o LIFO;
qualsiasi altro metodo diverso dai precedenti purchè non porti a valori inferiori a quelli
derivanti dall’applicazione del metodo del LIFO a scatti annuali.
Il valore delle rimanenze ottenuto mediante l’applicazione del LIFO a scatti costituisce,quindi, il
valore minimo fiscalmente riconosciuto delle rimanenze se le stesse sono valutate con un criterio
diverso dalla media ponderata, FIFO o LIFO (ad esempio se le rimanenze sono valutate ad un
valore costante ai sensi dell’art. 2426, c.1, n.12 C.c. e questa valutazione determina un valore a
quello che scaturirebbe dall’applicazione del metodo del LIFO a scatti, la differenza dovrà essere
ripresa a tassazione).
In base a quanto riportato l'articolo 92 del Tuir, ai commi 1-5, è possibile sintetizzare il
trattamento fiscale delle rimanenze nel seguente modo:
- le rimanenze finali di beni, la cui valutazione non sia stata effettuata a costi specifici,
devono partecipare al reddito per un importo non inferiore a quello che si ottiene
raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun
gruppo un valore non inferiore a quello determinato secondo le disposizioni che seguono;
- nel primo esercizio in cui le rimanenze si formano la valutazione si effettua al costo
unitario ponderato annuale, comprendendo nel costo anche gli oneri accessori di diretta
imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali;
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-
negli esercizi successivi la valutazione si effettua applicando il criterio del LIFO a scatti
annuale.
o In tale ultima fattispecie si possono presentare due casi:
- se una determinata categoria omogenea di merci presenta alla fine
dell'esercizio una quantità superiore a quella che esisteva all'inizio del
periodo considerato, le rimanenze finali vengono scisse in due blocchi:
• la quantità corrispondente alle rimanenze iniziali viene valutata allo
stesso valore che era stato attribuito alle rimanenze alla fine
dell'anno precedente;
• la quantità eccedente sulle rimanenze iniziali viene valutata in base
al costo medio ponderato annuale.
- se, invece, la quantità in rimanenza finale è inferiore alla quantità esistente
all'inizio dell'esercizio, in base al LIFO a scatti si considerano vendute per
prime le quantità acquistate nell'anno e poi quelle entrate negli anni
precedenti a cominciare dai più recenti.
Infine, se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato in base a quanto detto
sopra, è superiore al valore normale medio di essi nell'ultimo mese dell'esercizio, il valore
minimo utile per la valutazione è determinato moltiplicando l'intera quantità dei beni,
indipendentemente dall'esercizio di formazione, per il valore normale. Come consueto, per valore
normale, ai sensi dell'articolo 9 del Tuir, si intende il prezzo mediamente praticato per beni della
stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di
commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni sono stati acquistati e, in mancanza, nel
tempo e nel luogo più prossimi.
Per le imprese che esercitano il commercio al minuto è previsto un ulteriore metodo di
valutazione delle rimanenze.
Infatti, tali soggetti possono adottare il metodo di valutazione del prezzo al dettaglio, in base al
quale dai prezzi di vendita dei beni viene scorporata la percentuale di ricarico e determinato il
relativo costo.
A tal fine è necessario osservare i seguenti obblighi:
- tenere una particolare contabilità di magazzino;
- indicare e illustrare il metodo adottato in sede di presentazione della dichiarazione annuale
dei redditi.
I prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione al termine dell'esercizio sono
valutati in base alle spese sostenute nell'esercizio stesso, salvo quanto verrà detto
successivamente per le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale.
Vale la pena di ricordare che il decreto legislativo approvato il 25 febbraio 2005 contenente
l'adeguamento delle norme del Tuir ai principi contabili internazionali ha previsto una norma
transitoria in merito alla valutazione delle rimanenze. Infatti, è disposto che, se le società,
nell'esercizio di prima applicazione dei principi contabili internazionali, anche su opzione,
cambiano la valutazione dei beni fungibili passando dai criteri di cui all'articolo 92, commi 2 e 3,
del Tuir, a quelli previsti dai citati principi contabili, possono continuare ad adottare ai fini fiscali
i precedenti criteri di valutazione.
Questa disposizione si applica ai soggetti che hanno adottato i suddetti criteri per i tre periodi
d'imposta precedenti a quello di prima applicazione dei principi contabili internazionali o dal
minor periodo che intercorre dalla costituzione. Per rendere effettive le scelte, il contribuente
deve esercitare apposita opzione, non revocabile, nella dichiarazione dei redditi.
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Per comprendere appieno la modalità di funzionamento della norma fiscale, si consideri una
società che nei primi quattro esercizi ha effettuato i seguenti acquisti relativi a una determinata
merce:
Esercizio
Tonnellate (a)
N
N+1
N+2
N+3
1.000
1.200
1.100
1.300
Costi per acquisti Costo
medio d'acquisto Rimanenze
sostenuti nell'anno (b) dell'anno per tonnellata (b/a) tonnellate
1.000.000,00
1.000,00
20
1.320.000,00
1.100,00
30
1.298.000,00
1.180,00
45
1.625.000,00
1.250,00
25
in
Si procede nel seguente modo:
Esercizio N:
Le rimanenze finali vengono valutate in base al costo unitario medio ponderato. Pertanto occorre
moltiplicare le tonnellate rimaste per il costo medio.
Rimanenze esercizio N = 1.000,00 x 20 = 20.000,00 euro
Esercizio N + 1:
Nel secondo esercizio, la quantità di merce in rimanenza finale (30) è superiore a quella che era
esistente all'inizio dell'esercizio (20). Pertanto, la rimanenza finale viene divisa in due parti:
- fino a concorrenza della quantità iniziale (20), le rimanenze si considerano allo stesso
valore di quelle iniziali e, quindi, pari a 20.000,00 euro;
- per l'eccedenza (pari a 30-20 = 10) la valutazione si effettua al costo medio ponderato
annuale e, quindi, pari a 1.100,00 x 10 = 11.000,00 euro.
Rimanenze esercizio N + 1 = 20.000,00 + 11.000,00 = 31.000,00 euro
Esercizio N + 2
Anche nel terzo esercizio, la quantità di merce in rimanenza finale (45) è superiore a quella che
era esistente all'inizio dell'esercizio (30).
Pertanto, la rimanenza finale viene valutata per strati di formazione e cioè divisa in tre parti:
- 20 tonnellate valutate a 1.000,00 euro e, quindi, pari a 20.000,00 euro;
- 10 tonnellate valutate a 1.100,00 euro e, quindi, pari a 11.000,00 euro;
- 15 tonnellate valutate a 1.180,00 euro e, quindi, pari a 17.700,00 euro.
Rimanenze esercizio N + 2= 20.000,00 + 11.000,00 + 17.700,00 = 48.700,00 euro
Esercizio N + 3
Nel quarto esercizio, invece, la quantità di merce in rimanenza finale (25) è inferiore a quella che
era esistente all'inizio dell'esercizio (45).
In applicazione del LIFO a scatti annuale si considerano già scaricate tutte le quantità acquistate
nell'esercizio.
La quantità rimanente (45 - 25 = 20), andando a ritroso, si scarica:
per un importo pari a 15 tonnellate dall'incremento delle rimanenze del terzo anno
per il residuo pari a 5 tonnellate dall'incremento del secondo anno.
Pertanto, la rimanenza finale di 25 tonnellate viene valutata per:
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- 20 tonnellate a 1.000,00 euro e, quindi, pari a 20.000,00 euro;
- 5 tonnellate a 1.100,00 euro e, quindi, pari a 5.500,00 euro.
Rimanenze esercizio N + 3= 20.000,00 + 5.500,00 = 25.500,00 euro.
Riepilogando si avrà:
Esercizio
N
N+1
N+2
N+3
Rimanenze
finali
(in tonnellate)
20
30
45
25
Costo medio ponderato annuale
N
N+1
N+2
1.000,00
1.100,00 1.180,00
20
20
10
20
10
15
20
5
Valutazione
N+3
rimanenze
1.250,00
20.000,00
31.000,00
48.700,00
25.500,00
Il metodo del costo medio ponderato considera le unità acquistate o prodotte di un bene in datye
diverse ed a diversi costi come componenti di un insieme, in cui i singoli acquisti e le singole
produzioni non sono più identificabili, ma tutte ugualmente disponibili. Il costo medio può essere
ponderato:
• per movimento: in tal caso il costo medio è calcolato dopo ogni singolo acquisto in base
al rapporto esistente tra il costo totale delle unità residue prima dell’ultimo ricevimento e
il totale delle unità residue dopo l’ultimo ricevimento; diversamente, le vendite vengono
scaricate al costo medio calcolato dopo l’ultimo acquisto effettuato;
• per periodo: in tal caso alle quantità ed ai costi risultanti nell’inventario all’inizio del
periodo occorrerà sommare gli acquisti o la produzione di un periodo (mese, trimestre,
ecc.) e determinare in tal modo i nuovi costi medi ponderati. Gli incarichi del periodo
dovranno essere valorizzati in base al costo medio ponderato così come determinato alla
fine del periodo stesso.
Con il metodo LIFO (Last in First out) i costi più recenti vengono contrapposti ai ricavi più
recenti. In tal modo, in fase di prezzi ascendenti, il metodo LIFO attenua gli effetti
dell’inflazione sui risultati d’esercizio rispetto al metodo FIFO o del costo medio, poiché la
valutazione del magazzino viene effettuata ai costi più remoti. In periodo di aumento dei prezzi,
questo metodo può creare effetti distorsivi in bilancio, poiché è in grado di determinare un
valore di magazzino inferiore ai costi del momento. Viceversa, in fase di prezzi discendenti, il
metodo LIFO contrappone ai ricavi iscritti in conto economico i prezzi più bassi, lasciando
quelli più elevati in magazzino.
Il metodo FIFO (First in First out) tende a contrapporre ai ricavi recenti i costi meno recenti, e,
pertanto, questa valutazione può essere considerata in linea con l’andamento del mercato.
Attraverso il criterio FIFO, gli acquisti o le produzioni più remoti sono considerati venduti per
primi, e, pertanto, in magazzino rimangono le quantità in acquisto o in produzione più recenti.
L’adozione di tale criterio implica una valutazione delle rimanenze in base agli ultimi costi
sostenuti per le ultime quantità acquisite nell’esercizio, ai penultimi costi sostenuti le penultime
quantità acquisite, e così via fino a coprire tutte le giacenze. Il FIFO ha il pregio di rispettare
l’andamento dei prezzi di mercato e offrire, quindi, buoni risultati nelle economie caratterizzate
da elevata inflazione.
Per quanto concerne le opere ed i servizi di durata infrannuale in corso di esecuzione al termine
dell’esercizio devono essere valutati sulla base delle sperse effettivamente sostenute
nell’esercizio ( art 92, c.6, TUIR).
Tale valutazione deve essere effettuata sommando i costi diretti relativi alla lavorazione, al netto
dei corrispettivi previsti contrattualmente e degli eventuali rischi o oneri futuri inerenti alla
lavorazione.
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9.2. Opere, forniture e servizi di durata ultrannuale
Le opere ed i servizi in corso di durata ultrannuale partecipano alla formazione del reddito in
base al valore eseguito fin dall’inizio dell’esecuzione del contratto, sulla base dei corrispettivi
pattuiti (art. 93, cc. 1 e 4, TUIR), e, in tal senso, sono comprensivi della quota di utili attribuibile
alle prestazioni/opere già eseguite nell’esercizio (c.d. metodo della percentuale di
completamento). L’esecuzione di opere e servizi aventi durata pluriennale e derivanti da
contratti di appalto, somministrazione e simili può generare due tipi di componenti positivi di
reddito (circolare ministeriale n. 36 del 22/09/1982):
- “rimanenze finali”, per le opere (o parte di esse) realizzate e non ancora consegnate al
committente, o per la parte di forniture e servizi resi che non configurano prestazioni
ultimate e, comunque, per tutte le prestazioni i cui corrispettivi non sono stati liquidati in
via definitiva;
- “ricavi”, per le opere o per le parti di esse realizzate e consegnate al committente, o per la
parte di forniture eseguite e servizi resi che rappresentano delle prestazioni ultimate.
La liquidazione dei corrispettivi a titolo definitivo si realizza con la loro quantificazione
giuridicamente accettata dal committente, il che comporta il sorgere di un vero e proprio diritto
di credito da parte dall’appaltatore del servizio o dell’opera, sufficiente a quantificare, ai fini
fiscali, il ricavo da imputare al conto economico.
Formano ricavi anche le maggiorazioni di prezzo richieste al committente, ai sensi dall’art. 93,
c.2, TUIR, in merito bisogna distinguere due ipotesi:
- setali richieste sono avanzate in applicazione di disposizioni di legge o di clausole
contrattuali, finchè non sono definitivamente approvate, se ne tiene conto nalla
valutazione delle rimanenze in misura non inferiore al 50%dell’importo della
maggiorazione stessa. Quando vengono accettate dal committente sono interamente
imputate a ricavi (circolare ministeriale 36/1982);
- se le richieste costituiscono semplici pretese dell’imprenditore nei confronti del
committente, sono imputate quali componenti positivi di reddito solamente se e quando
vengono accettate da quest’ultimo, cioè quando si verificano i requisiti generali di
certezza e di obiettiva determinabilità (Risoluzione ministeriale .9/2214 del 30/12/1977 e
norma di comportamento n.157/2004 dell’associazione dei dottori commercialisti di
Milano).
La valutazione delle rimanenze va effettuata sulla base dei corrispettivi pattuiti, o stabiliti per
legge, al netto della parte che sia stata imputata ai ricavi. Ciò significa che la valutazione delle
rimanenze è effettuata in base ai ricavi e non ai costi, in modo che una percentuale di utile venga
imputata ad ogni singolo esercizio interessato all’esecuzione delle opere o alla prestazione del
servizio. La norma fiscale non precisa il metodo da adottare per determinare il valore da
attribuire alla parte dei lavori eseguita, a tal riguardo lo stesso ministero delle finanze con
risoluzione n. 9/2942 del 31/01/1981 ha ribadito l’indifferenza del tipo di metodologia di calcolo
adottato.
9.3. Rimanenze di titoli
I titoli che, in base alla loro valutazione civilistica, non costituiscono immobilizzazioni ( es.
azioni, obbligazioni, altri titoli in serie o di massa) concorrono alla formazione del reddito
d’impresa con la medesima valutazione prevista per di c.d. “bene – merce”, ovvero (art. 94, c.1,
TUIR):
- a costi specifici;
- ad un valore non inferiore alla valutazione con il metodo del c.d. LIFO a scatti annuali (art
92, cc. 2 e3, TUIR);
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con il metodi FIFO, costo medio o altre variazioni del metodo a LIFO a scatti annuale (art.
92, c. 4, TUIR), se già utilizzati nel bilancio civilistico (anche se inferiori alla valutazione
a LIFO a scatti annuale);
- se con altri metodi diversi dai precedenti, purchè non inferiori al valore minimo previsto
dalla normativa fiscale.
In quest’ultimo caso, se le rimanenze sono iscritte in bilancio ad un valore superiore a quello
minimo fiscalmente riconosciuto, tale valore assumerà rilevanza anche fiscale.
Valutazione civilistica
Valutazione fiscale
Costo specifico
Costo specifico
Costo medio ponderato
Costo medio ponderato
LIFO a scatti
LIFO a scatti
LIFO
LIFO
FIFO
FIFO
Altri metodi
Se il valore civilistico > del valore fiscale:valore
civilistico;
se il valore civilistico < del valore fiscale: valore
fiscale;
L'articolo 94 del Tuir prevede che i titoli indicati nell'articolo 85, comma 1, lettere c), d) ed e),
esistenti al termine di un esercizio, sono valutati applicando le disposizioni dell'articolo 92,
commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7, salvo quanto stabilito di seguito. Le cessioni di titoli, derivanti da
contratti di riporto o di "pronti contro termine" che prevedono per il cessionario l'obbligo di
rivendita a termine dei titoli, non determinano variazioni delle rimanenze dei titoli. Ai fini del
raggruppamento in categorie omogenee non si tiene conto del valore e si considerano della
stessa natura i titoli emessi dallo stesso soggetto e aventi uguali caratteristiche.
Riguardo alle disposizioni dell'articolo 92, comma 5, il valore minimo è determinato:
A. per i titoli negoziati in mercati regolamentati, in base ai prezzi rilevati nell'ultimo giorno
dell'esercizio ovvero in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese.
Non si applica, comunque, l'articolo 109, comma 4, lettera b), secondo periodo (1)
B. per gli altri titoli, secondo il valore normale determinato in base all'articolo 9, comma 4,
lettera c) (2).
In caso di aumento del capitale della società emittente mediante passaggio di riserve a capitale,
il numero delle azioni ricevute gratuitamente si aggiunge al numero di quelle già possedute in
proporzione alle quantità delle singole voci della corrispondente categoria e il valore unitario si
determina, per ciascuna voce, dividendo il costo complessivo delle azioni già possedute per il
numero complessivo delle azioni.
L'ammontare dei versamenti fatti a fondo perduto o in conto capitale alla società dai propri soci
o della rinuncia ai crediti nei confronti della società dagli stessi soci, si aggiunge al costo dei
titoli e delle quote di cui all' articolo 85, comma 1, lettera c), in proporzione alla quantità delle
singole voci della corrispondente categoria; la stessa disposizione vale relativamente agli
apporti effettuati dei detentori di strumenti finanziari assimilati alle azioni.
Le disposizioni sopra riportate si applicano anche per la valutazione delle quote di
partecipazione in società ed enti non rappresentate da titoli, indicati nell'articolo 85, comma 1,
lettera c), del Tuir. In base a quanto sopra detto, pertanto, la valutazione dei titoli, per espresso
richiamo, segue gli stessi criteri previsti per le rimanenze di merci, cui si rimanda, fatte salve
alcune disposizioni specifiche che riguardano la determinazione del valore normale, l'aumento
di capitale gratuito, i versamenti dei soci e le rinunce dei crediti.
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I.A.10. I componenti negativi di reddito
(a cura di Ottavio Mannara)
Il legislatore, nel disciplinare il trattamento tributario dei componenti negativi di reddito,
stabilisce precise regole per la loro deducibilità.
Accanto ai principi generali validi per tutti i componenti di reddito (i.e. principio di competenza,
di certezza e determinabilità e di continuità), la deducibilità fiscale delle componenti negative di
reddito è subordinata altresì al rispetto dei principi di inerenza ed imputazione a conto economico.
Per una loro trattazione esaustiva si rinvia al capitolo I.A.3.
Per i singoli costi ed oneri sono previste, inoltre, regole di deducibilità specifiche che si procede
ad analizzare di seguito.
Si tenga presente, da ultimo, che ai sensi del disposto dell’articolo 110, comma 5 del TUIR, se la
durata dell’esercizio è superiore o inferiore a 12 mesi, i seguenti componenti negativi di reddito
devono essere ragguagliati alla effettiva durata dell’esercizio:
- ammortamenti ordinari, compresi quelli relativi a beni concessi in leasing;
- spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione;
- accantonamenti per rischi su crediti;
- accantonamenti di imprese di costruzione di opere pubbliche;
- accantonamenti per lavori ciclici di manutenzione di navi ed aeromobili
10.1. La valutazione dei titoli
Con l’introduzione del novellato articolo 94 del TUIR il legislatore ha introdotto una netta
distinzione nel regime impositivo dei titoli partecipativi e di debito: i primi (i.e. titoli
partecipativi o di “equity”) non sono mai suscettibili di svalutazioni quale che ne sia l’allocazione
in bilancio (attivo immobilizzato o attivo circolante); mentre i secondi (i.e. titoli di debito) sono
altresì idonei a garantire la deducibilità fiscale di eventuali minusvalenze da valutazione. In
particolare il comma 4 dell’articolo 94 del TUIR prevede l’applicazione della disciplina
valutativa delle rimanenze ai soli titoli obbligazionari ed ai titoli di serie e di massa diversi da
quelli rappresentativi di una partecipazione al capitale ovvero al patrimonio (ossia diversi dai
titoli di “equity”).
Valutazione dei titoli: quadro sinottico
Vecchio TUIR
Nuovo TUIR
Ambito applicativo
articolo 61, comma 1
articolo 94, comma 1
- azioni e quote
articolo 53, comma 1, lett.c)
articolo 85, comma 1, lett.c)
strumenti
finanziari
non presente
assimilati alle azioni
articolo 85, comma 1, lett.d)
- obbligazioni
articolo 85, comma 1, lett.e)
articolo 53, comma 1, lett.c)
Il campo di applicazione dell’articolo 94, definito attraverso il rinvio all’articolo 85, ricomprende
titoli di proprietà dell’impresa, non iscritti in bilancio come immobilizzazioni finanziarie, ma
facenti parte dell’attivo circolante; le partecipazioni, anch’esse non rappresentate da titoli (i.e.
quote di S.r.l.); le obbligazioni e titoli similari. Con riferimento a questi ultimi, occorre precisare
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che il novellato articolo 94, facendo rinvio all’articolo 85, comma 1 lett.e) attribuisce un campo
applicativo oggettivamente più ampio rispetto alla mera categoria delle obbligazioni (e titoli
similari) includendo anche i cosiddetti titoli atipici.
La circolare dell’Agenzia delle Entrate n.26/E del 16 giugno 2004 fornisce chiarimenti in merito
alle definizioni di cui sopra. In particolare, se, da un lato, i c.d. titoli atipici sono così
caratterizzati per:
(i) una remunerazione non costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della
società emittente, di società dello stesso gruppo o di un affare (nel qual caso sarebbe un titolo
similare alle azioni)
(ii) della mancanza di taluno degli elementi essenziali per essere qualificati come titolo di debito.
dall’atro lato, la circolare citata ha confermato la sostanziale identità definitoria dei titoli similari
alle obbligazioni rispetto al passato ricomprendendovi i buoni fruttiferi emessi da società
esercenti la vendita a rate di autoveicoli e, più in generale, i titoli di massa che contengono
l’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi
indicata, con o senza la corresponsione di proventi periodici, e che non attribuiscono alcun diritto
di partecipazione diretta o indiretta alla gestione della società emittente (o dell’affare in relazione
al quale sono stati emessi), né di controllo sulla gestione stessa (§ 2.5. della citata Circolare).
Un aspetto di notevole rilevanza, contenuto nella circolare di cui sopra, riguarda la prevalenza
sostanziale rispetto alla forma dei titoli di cui trattasi: a prescindere dalla denominazione formale
che assumono (denominazione che, pertanto, potrà anche deporre nel senso dell’ascrivibilità alla
categoria dei titoli di debito) i titoli per i quali l’eventuale remunerazione è costituita totalmente
dalla partecipazione (anche indiretta) ai risultati economici dell’emittente si verte nella categoria
dei titoli similari alle azioni e non alle obbligazioni.
10.1.2. Le regole di valutazione
Per poter procedere ad una valutazione dei titoli a fine esercizio, occorre preliminarmente
raggrupparli per categorie omogenee per natura, ossia per titoli emessi dallo stesso soggetto ed
aventi uguali caratteristiche; a nulla rileva il loro valore. Ne consegue che:
- le azioni e gli strumenti finanziari similari sono raggruppati per società emittente e per
categoria: i.e. ordinarie, privilegiate, azioni di risparmio;
- i titoli obbligazionari sono raggruppati in base all’emittente, al tasso, alla durata ovvero in
base alle caratteristiche loro proprie (i.e. la convertibilità, l’indicizzazione…);
- le quote di fondi comuni di investimento sono raggruppati per ciascun fondo.
La loro valutazione deve essere effettuata secondo la metodologia cosiddetta a costi, ricavi e
rimanenze, con criteri analoghi a quelli delle rimanenze di merci. In tal caso, pertanto, occorre
determinare un valore minimo da attribuire ai titoli: se il valore iscritto in bilancio risulta inferiore
al suddetto valore minimo, dovrà esser apportata una integrazione in sede di dichiarazione dei
redditi al fine di raggiungere tale valore minimo.
Ai sensi dell’articolo 94, comma 4 del D.P.R. n.917/1986, il valore minimo attribuibile alle
rimanenze di titoli è il minore tra il valore normale ed il valore determinato sulla base dei criteri
fiscalmente ammessi (FIFO, LIFO, costo medio ponderato). Più precisamente, il valore normale
viene così determinato:
- per le azioni, indipendentemente dal fatto che siamo o meno quotate, è il costo relativo,
non comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti i quali non concorrono alla
formazione del reddito, né alla determinazione del valore fiscalmente riconosciuto delle
rimanenze di tali azioni, quote o strumenti;
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-
per le obbligazioni quotate in mercati regolamentati italiani o esteri è dato dalla media
aritmetica dei prezzi dell’ultimo mese ovvero (a scelta) dalla quotazione dell’ultimo
giorno dell’esercizio;
per le obbligazioni non quotate è determinato sulla base del valore normale di titoli
quotati aventi analoghe caratteristiche ovvero (in mancanza) sulla base di elementi
determinabili in modo obiettivo
10.2. Gli interessi passivi
Gli interessi passivi sono oneri di natura finanziaria; a secondo della loro natura essi possono
essere distinti in interessi di funzionamento, interessi capitalizzabili, interessi su prestiti
obbligazionari o titoli similari emessi da società non quotate.
Le somme versate dai soci a favore delle società, siano esse di persone ovvero di capitali, ed di
enti commerciali generano interessi passivi in quanto si presumono date a mutuo se dal bilancio
non risulta che i versamenti siano fatti ad altro titolo (articolo 46 del TUIR).
10.2.1. Interessi di funzionamento
La disciplina generale di deducibilità degli interessi passivi di funzionamento è stata
profondamente modificata dagli articoli 96 – 97 – 98 del TUIR, di cui si offre ampia trattazione
nel capitolo successivo.
10.2.2. Interessi capitalizzabili
Per quanto riguarda la disciplina che regola la deducibilità degli interessi capitalizzabili, ossia
imputabili ad aumento del costo dei beni, contenuta nell’articolo 110, comma 1 lett. b) del TUIR
si rinvia a quanto illustrato nel capitolo I.A.7.
10.2.3. Interessi su obbligazioni
Nel caso di società non quotate che emettono prestiti obbligazionari o titoli similari aventi, alla
data di approvazione della delibera di emissione, un tasso di rendimento effettivamente superiore
ai limiti di cui sotto, gli interessi passivi eccedenti sono indeducibili, mentre la parte rientrante nei
suddetti limiti è disciplinata secondo le regole di deducibilità previste agli articolo 96-97-98 del
TUIR.
Ai sensi dell’articolo 3, comma 115 della Legge n.549/1995, per gli interessi relativi alle
obbligazioni e titoli similari emessi a partire dal 30.06.1997 ed esigibili a partire dal 01.07.2000, i
limiti cui si fa riferimento sono:
- per le obbligazioni e titoli similari negoziati in mercati regolamentati di paesi aderenti alla
UE ovvero collocati mediante offerta al pubblico => il doppio del tasso ufficiale di sconto.
- per le obbligazioni e titoli similari diversi dai precedenti => il tasso ufficiale di sconto
aumentato di 2/3.
10.3. Le spese per prestazioni di lavoro
Le spese per prestazioni di lavoro nell’ambito dell’impresa possono riguardare:
- spese e compensi ai lavoratori dipendenti;
- compensi agli amministratori, promotori e soci fondatori;
- compensi agli associati in partecipazione;
- compensi dell’imprenditore individuale e dei suoi familiari.
Le regole, disciplinate dall’articolo 95 del TUIR, prevedono sostanzialmente che:
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le spese per prestazioni di lavoro dipendente deducibili sono quelle sostenute in denaro
ovvero in natura a favore dei lavoratori dipendenti (i.e. salari, stipendi, contributi
previdenziali, accantonamenti ai fondi di quiescenza e previdenza…) e comprendono,
altresì, quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità, fatta salva l’eccezione
prevista per le spese relative ad opere e servizi utilizzabili dai dipendenti e sostenute
volontariamente per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e
sanitaria o culto. La risoluzione n.158/E del 27 maggio 2002, ha riconosciuto rilevanza
fiscale anche ai compensi per lavoro dipendente corrisposti al socio accomandante
(purché riferibili a prestazioni effettivamente rese e non volte a mascherare una
distribuzione di utili). Rebus sic stantibus, salvo casi particolari (i.e. trasferte, veicoli ed
immobili concessi in uso, versamenti a fondi pensione complementari…), tutto quanto
corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro subordinato è, per l’impresa, costo
deducibile dal reddito imponibile.
non sono deducibili i canoni di locazione, anche finanziaria, e le spese relative al
funzionamento di strutture recettive per dipendenti (con eccezione delle mense e alloggi
destinati alla generalità dei dipendenti e quelli destinati ai dipendenti in trasferta
temporanea). I canoni e le spese relative agli alloggi concessi in uso ai dipendenti sono
deducibili a seconda dell’utilizzo cui sono destinati:
alloggio dei dipendenti in trasferta
Sono deducibili nei limiti giornalieri di
Euro 180,76 ovvero di Euro 258,23 per
quelli siti all’estero
Concessione a dipendenti che hanno
trasferito la loro residenza per esigenze
di lavoro
Sono
integralmente
deducibili
limitatamente al periodo d’imposta in cui
c’è il trasferimento e nei 2 successivi.
Altri scopi
la deducibilità è ammessa per un importo
non superiore a quello che costituisce
reddito per il dipendente
le spese di vitto e alloggio sostenute per trasferte effettuate fuori dal territorio comunale
dai lavoratori dipendenti e dai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa sono ammesse in deduzione secondo le seguenti regole:
Rimborsi analitici per vitto e alloggio
Sono deducibili integralmente se sostenute
nel
territorio
del
comune
ove
l’imprenditore ha la sede dei propri affari
ovvero per un ammontare giornaliero non
superiore ad euro 180,76 euro 258,23
rispettivamente in caso di trasferte fuori
dal suddetto comune o all'estero. Tali
limiti non riguardano i rimborsi forfetari e
misti che, come precisato dalla circolare
n.188 del 16 luglio 1998, sono
integralmente deducibili.
Rimborsi dei biglietti di viaggio
Sono integralmente deducibili
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Rimborsi chilometrici
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-
- Se riguardano l’utilizzo di veicoli
appartenenti al dipendente autorizzato,
anche informalmente, ad utilizzare il
proprio veicolo per una specifica
trasferta, sono deducibili nei limiti del
costo di percorrenza o delle tariffe di
noleggio di automezzi con cilindrata non
superiore a 17 CF se a benzina ovvero
20 CF se diesel. Per la quantificazione
dei costi si fa riferimento alla media dei
costi appositamente calcolata dall’ACI.
- Se i veicoli sono di proprietà
dell’impresa, se vengono concessi in uso
esclusivo al personale, l’impresa può
dedursi dal reddito il solo importo che
costituisce reddito in capo ai dipendenti;
se vengono concessi in uso promiscuo,
l’impresa può dedursi integralmente i
costi e le spese relative a tali veicoli;
infine, se vengono adibiti ad esclusivo
uso aziendale, le relative spese non sono
considerate spese per prestazioni di
lavoro, ma costi relativi a beni
ammortizzabili.
le imprese di autotrasporto in luogo della deduzione delle spese sostenute in relazione alle
trasferte effettuate dal proprio dipendente fuori del territorio comunale, possono dedurre
un importo pari a euro 59,65 al giorno, elevate a euro 95,80 per le trasferte all'estero, al
netto delle spese di viaggio e di trasporto;
i versamenti diretti a fondi pensione complementari sono integralmente deducibili; se tali
versamenti vengono effettuati a seguito di una devoluzione di una quota
dell’accantonamento al TFR sono deducibili solo nel limite del 3% annuale;
nel caso di trasformazione del TFR in titoli (c.d. cartolarizzazione del TFR) l’impresa può
effettuare un accantonamento ad una riserva in sospensione d’imposta deducibile nel
limite del 3% delle quote di accantonamento annuale al TFR)
i compensi spettanti agli amministratori sono deducibili per cassa (quelli erogati sotto
forma di partecipazione agli utili sono deducibili anche se non imputati al conto
economico);
le partecipazioni agli utili spettanti ai lavoratori dipendenti, e agli associati in
partecipazione sono computate in diminuzione del reddito dell'esercizio di competenza,
indipendentemente dalla imputazione al conto economico. E’ opportuno ricordare, a
riguardo, la nuova previsione di indeducibilità dei compensi agli associati in
partecipazione per i quali sia previsto un apporto diverso da quello di opere e servizi.
10.4. Gli oneri fiscali e contributivi
La disciplina, contenuta nell’articolo 99 del TUIR, prevede che non tutti gli oneri fiscali e
contributivi siano deducibili. Di seguito si riepilogano gli oneri indeducibili e quelli deducibili:
- le imposte sui redditi (IRES ed IRPEF) e quelle per le quali è prevista la rivalsa ad
esempio l’IVA), anche facoltativa (ad esempio cessioni gratuite), le imposte indeducibili
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per legge (IRAP ed ICI) non sono ammesse in deduzione: le “imposte” da condono,
l'imposta sostitutiva per la rivalutazione dei beni dell'impresa, l'imposta sostitutiva per
l'affrancamento dei fondi in sospensione di imposta, l’IVA che non costituisce costo.
l’indeducibilità vale anche per le imposte sui redditi pagate all’estero, recuperate in Italia
con il meccanismo del credito d’imposta di cui all’articolo 165 del TUIR.
sono indeducibili anche i rimborsi delle imposte indeducibili e le imposte trattenute
mediante ritenuta alla fonte dell’imprenditore e che sono a carico del terzo.
Sono indeducibili le sanzioni penali ed amministrative, anche se pagate a titolo di mora ed
ogni altro tipo di sanzione pecuniaria come quelle irrogate dalla UE o da altri organismi
quali l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La ratio di tale indeducibilità è
legata al fatto che i comportamenti illeciti non possono essere considerati inerenti l’attività
d’impresa. Vi è parte della giurisprudenza, tuttavia, che a riguardo ritiene deducibili le
sanzioni rispondenti ai requisiti di inerenza, certezza ed oggettiva determinabilità: i.e. le
sanzioni irrogate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
le altre imposte sono deducibili per cassa nell’esercizio in cui sono stati effettivamente
pagati: ad esempio l’imposta di registro, la tassa di concessione governativa, l’imposta di
bollo ed i dazi doganali.
Sono deducibili per competenza l’IVA, quando costituisce un costo. A riguardo, si ritiene
opportuno precisare che, in generale, l’IVA, gravando sul consumatore finale non impatta
sul conto economico e non rileva, pertanto ai fini de quibus. Quando, invece, l’IVA è
indetraibile e resta, pertanto, a carico dell’impresa occorre distinguere la causa di in
detraibilità:
Indetraibilità per destinazione, indetraibilità oggettiva ed indetraibilità per
effetto dell’opzione per la dispensa agli adempimenti => l’IVA deve
aggiungersi al costo del bene o servizio cui si riferisce;
Indetraibilità per pro-rata generato da operazioni esenti => l’IVA è un
costo di conto economico ed è ammessa in deduzione secondo le regole
previste per le spese generali;
In tutti i casi l’IVA è dedotta per competenza.
gli accantonamenti per imposte non ancora definitivamente accertate sono deducibili nei
limiti dell'ammontare corrispondente alle dichiarazioni presentate, agli accertamenti o
provvedimenti degli uffici e alle decisioni delle commissioni tributarie.
i contributi ad associazioni sindacali e di categoria sono deducibili per cassa, ossia
nell’esercizio in cui sono effettivamente corrisposti, se e nella misura in cui sono dovuti,
in base a formale deliberazione dell'associazione. Ne consegue che non sono pertanto
deducibili le somme aventi natura di liberalità.
10.5. Oneri di utilità sociale
La disciplina relativa a quanto in oggetto, regolata dall’articolo 100 del TUIR, può così essere
così sintetizzate:
- le spese relative ad opere o servizi utilizzabili dalla generalità dei dipendenti o categorie di
dipendenti volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione,
ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare
complessivo non superiore al 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di
lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi;
- sono inoltre deducibili una serie di erogazioni liberali individuate esplicitamente
dall’articolo 100, comma 2 del Tuir. A titolo esemplificativo, di seguito si riportano
alcune delle suddette erogazioni liberali:
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Tipologia
Limite di deducibilità
iniziative sociali ed umanitarie
Erogazioni fatte a persone giuridiche che
perseguono esclusivamente finalità di Ammontare non superiore al 2% del reddito
educazione, istruzione, ricreazione, assistenza d’impresa (al netto delle liberalità stesse)
sociale e sanitaria, culto o ricerca scientifica
Contributi, donazioni e oblazioni erogate a
favore di organizzazioni non governative Ammontare non superiore al 2% del reddito
riconosciute idonee per gli aiuti ai paesi in via d’impresa (al netto delle liberalità stesse)
di sviluppo
Importo non superiore a 2.065,83 Euro
Erogazioni in denaro alle ONLUS o alle
ovvero, se eccedente, al 2% del reddito
aziende pubbliche di servizi alla persona
d’impresa assunto al netto delle erogazioni
risultanti dalla trasformazione delle IPAB
liberali
Spese per l’impiego di lavoratori dipendenti
utilizzati per eseguire prestazioni di servizi,
non inerenti l’attività di impresa, a favore di
ONLUS
Importo
non superiore
allo 0,50%
dell’ammontare complessivo delle spese per
prestazioni di lavoro dipendente risultante
dalla dichiarazione dei redditi
Cultura, spettacolo e arte
Erogazioni in denaro allo stato, alle regioni,
agli enti locali territoriali, a enti o istituzioni
pubbliche, a fondazioni e ad associazioni Interamente deducibili
legalmente riconosciute, per la realizzazione
di programmi culturali e dello spettacolo
Università, ricerca scientifica
Erogazioni fatte ad università e istituti di Ammontare non superiore al 2% del reddito
istruzione universitaria
d’impresa (netto delle liberalità stesse)
Beni vincolati, parchi e riserve
Erogazioni in denaro ad organismi di gestione
di parchi e riserve rurali, terrestri e marittimi,
stati e regionali e di ogni altra zona di tutela
Interamente deducibili
speciale paesistico-ambientale, nonché gestita
dalle associazioni e fondazioni private
legalmente riconosciute
-
le erogazioni liberali per le quali non è prevista in modo esplicito la deducibilità non sono
ammesse in deduzione.
La deducibilità delle erogazioni avviene in base al principio di cassa (risoluzione ministeriale
n.147 del 1 luglio 2003).
10.6. Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite
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La disciplina relativa a quanto in oggetto, regolata dall’articolo 101 del TUIR, non prevede
rilevanti novità rispetto al testo precedente del TUIR. Di seguito gli aspetti fondamentali.
10.6.1. Minusvalenze
Le componenti negative di reddito che emergono a seguito di cessione di un particolare bene
dell’impresa conduce ad un risultato negativo. Come previsto dal previgente articolo 66 del
TUIR, anche secondo l’attuale normativa tributaria, i beni che generano minusvalenze sono i
medesimi che generano plusvalenze. La norma di cui all’articolo 101, comma 1 e 2 del TUIR non
elenca i beni che rientrano nel campo di applicazione, ma li individua in negativo, per esclusione:
“[…] diversi da quelli indicati negli articoli 85, comma 1 e 87 […]”: sono, cioè, escluse le
minusvalenze derivanti da beni rientranti nella disciplina della participation exemption e quelli
dalla cui cessione derivano ricavi.
Definito l’ambito applicativo del trattamento tributario delle minusvalenze, l’articolo che qui si
commenta stabilisce le regole di deducibilità delle stesse precisando che, in genere, le
minusvalenze dei beni relativi all'impresa sono deducibili integralmente ed immediatamente solo
se “realizzate” mediante:
- cessione a titolo oneroso (ivi compresa la cessione a titolo oneroso dell’azienda);
- risarcimento per la perdita o distruzione del bene;
- autoconsumo, ossia destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa tra cui
rientra, in caso di società, l’assegnazione ai soci
Per la corretta determinazione della minusvalenze si rinvia, analogicamente, a quanto detto in
tema di plusvalenze. Particolari disposizioni riguardano, tuttavia, le minusvalenze legate a
immobilizzazioni finanziarie che si distinguono in minusvalenze da cessione e minusvalenze da
valutazione.
Minusvalenze da cessione
Partecipazioni con requisiti Pex
Per le società di capitali ed enti commerciali
Per le imprese individuali e le società di persone
Interamente indeducibili
Deducibili per il 40% del loro ammontare
Partecipazioni prive dei requisiti Pex
Interamente deducibili, indipendentemente dalle caratteristiche del cedente (impresa individuale,
società di persone, società di capitali)
Tale principio di deducibilità relativo alle partecipazioni prive dei requisiti Pex non trova
applicazione per le vendite realizzate nel 2006 a cui si applicano congiuntamente i seguenti
requisiti (articolo 109, comma 3-bis e 3-ter del TUIR):
- le azioni, quote e strumenti finanziari similari ceduti siano stati detenuti da non più di 36
mesi;
- sussistano, al momento dell’acquisto della partecipazione, i requisiti oggettivi Pex di
commerciabilità e residenza al di fuori di paradisi fiscali;
- nei 36 mesi precedenti la vendita siano stati incassati dividendi non imponibili
parzialmente.
Tale eccezione trova il proprio fondamento nell’intento antielusiva di contrastare il c.d. dividend
washing, ossia la fattispecie per cui le partecipazioni aventi i requisiti Pex che, in precedenza,
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consentivano all’acquirente la percezione di dividendi detassati e la successiva rivendita
effettuata realizzando una minusvalenze deducibile.
Infine, per monitorare eventuali operazioni elusive attuate in passato, è stato introdotto l’obbligo
di comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati relativi alle minusvalenze di ammontare superiore a
50.000 Euro realizzate nel 2004 e relative ad operazioni effettuate in mercati regolamentati
italiani o esteri. Qualora tale comunicazione venga omessa, o contenga dati incompleti o sia
infedele, la minusvalenze è integralmente indeducibile.
Minusvalenze da valutazione
Le minusvalenze da valutazione (c.d. svalutazioni) sono deducibili interamente solamente se si
riferiscono ad obbligazioni e titoli similari alle seguenti condizioni:
- devono essere imputate a conto economico;
- in misura non eccedente la differenza tra il valore fiscalmente riconosciuto e quello
determinato
per i titoli quotati => dalla media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo
semestre;
per i titoli non quotati => dal raffronto con titoli aventi caratteristiche
analoghe.
Le svalutazioni relative a partecipazioni, sia qualificate che non qualificate, sono, invece,
indeducibili.
10.6.2. Sopravvenienze passive
Sono sopravvenienze passive quelle componenti negative di reddito che, a differenza delle
minusvalenze, non derivano dalla cessione di un bene materiale dalla sua distruzione fisica
ovvero dalla perdita del relativo diritto. Tali voci sono deducibili se derivano da:
- mancato conseguimento di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito
in precedenti esercizi,
- sostenimento di maggiori spese, perdite od oneri a fronte di ricavi o altri proventi che
hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi (ad esempio i maggiori
contributi INPS accertati in un esercizio successivo)
- sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi, come nel
caso di furto o distruzione di un bene strumentale. Nel caso di perdita o distruzione di
beni, deve esser fornita la relativa prova al fine di vincere la presunzione degli stessi. Va
precisato che la sopravvenuta insussistenza delle partecipazioni con i requisiti Pex, se
possedute da società IRES, sono totalmente indeducibili, mentre se possedute da imprese
individuali sono deducibili solo per il 40% del loro ammontare.
10.6.3. Perdite
Sono elementi straordinari di reddito le perdite di beni patrimoniali, le perdite su crediti e le
perdite su cambi. Di norma, la perdita possa essere dedotta solo quando risulta da elementi certi
e precisi.
10.6.3.1. Perdite di beni patrimoniali (articolo 101, comma 5 del D.P.R. n.917/86)
Rappresentano perdite di beni patrimoniali quelle perdite involontarie per furto, smarrimento,
incendio, distruzione ecc. avvenute nello stesso esercizio in cui i beni sono entrati a far parte del
patrimonio aziendale. Se gli stessi eventi si verificano in esercizi successivi si tratterà, invece, di
sopravvenienze passive, cui si rimanda.
Tali perdite sono deducibili sulla base del costo risultante dalla fattura di acquisto ovvero, se i
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beni cui ineriscono sono a deducibilità limitata, rilevano in misura proporzionale agli
ammortamenti che concorrerebbero, in assenza della perdita del bene, alla formazione del
reddito.
Per dimostrare la perdita involontaria dei beni, in linea generale, è necessario essere in possesso
di idonea documentazione di un organo della pubblica amministrazione o, in mancanza, di
dichiarazione sostitutiva di atto notorio, resa e firmata, entro 30 giorni dall'evento o dalla data in
cui se ne ha conoscenza, da cui risulti il valore complessivo dei beni perduti.
L'imprenditore deve, inoltre, essere in grado di fornire all’amministrazione finanziaria che glielo
richieda i criteri e gli elementi in base ai quali è stato determinato il valore complessivo dei beni
perduti (art. 2 c. 3 DPR 441/97).
La documentazione e la comunicazione di cui sopra non sono richieste nel caso di:
- distruzioni non volontarie connesse a situazioni ricorrenti (es. cali e sfridi);
- trasformazione delle merci in beni residuali rientrante nell’attività propria dell’impresa;
- consegna a terzi autorizzati allo smaltimento dei rifiuti;
- cessione ad altri imprenditori.
Perdite su crediti (articolo 101, comma 5 del D.P.R. n.917/86)
Le perdite su crediti, sia nazionali che esteri, sono deducibili solo se risultano da elementi certi e
precisi ovvero quando si è in presenza di procedure concorsuali.
L’esercizio di competenza per operare la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquista
certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perché in quel momento stesso si
materializzano gli elementi “certi e precisi” della sua irrecuperabilità. Pertanto, il contribuente
non può, una volta che la perdita sia diventata certa, decidere di differire la deduzione in un anno
successivo (Cass. 3 agosto 2005 n. 16330).
La rinuncia al credito da parte di una società deve essere deliberata dagli organi societari e nel
caso di inconsistenza patrimoniale del debitore non è condizionata al modesto importo del
credito.
Per i crediti esteri garantiti, la definitività della perdita potrà essere ottenuta con una dichiarazione
di insolvenza emessa dalla Sezione speciale per l'assicurazione del credito all'esportazione (Circ.
Min. 10 maggio 2002 n. 39/E) , mentre per i crediti esteri non garantiti può assumere rilevanza
probatoria anche una documentazione di parte, quale potrebbe essere un'apposita dichiarazione
fornita dall'organo di controllo della società (Ris. Min. l aprile 1981 n. 9/016).
Nella cessione di credito a prezzo inferiore a quello nominale, la differenza è ammessa in
deduzione quale perdita nel solo caso della cessione pro-soluto, in cui il cedente garantisce solo
l'esistenza del credito, mentre non è ammessa in caso di cessione pro-solvendo, in cui il cedente
garantisce anche la solvibilità del debitore (Ris. Min. 13 marzo 1982 n. 9/634). In senso
parzialmente contrario, è stato tuttavia sostenuto che la cessione pro-soluto comporta la
deducibilità della perdita solo se l'imprenditore riesce a provare, mediante elementi certi e precisi,
che la perdita si era già verificata al momento della cessione ovvero che a tale data il debitore era
assoggettato a procedure concorsuali (Cass. 23 maggio 2002 n. 7555; Cass. 4ottobre 2000 n.
13181). Tale posizione secondo la dottrina appare eccessiva, soprattutto se si considera la
possibilità dell'amministrazione finanziaria di disconoscere eventuali operazioni elusive.
In presenza di procedure concorsuali, nazionali o estere, è riconosciuta la sussistenza dei requisiti
di certezza e precisione della perdita, che diviene pertanto deducibile senza bisogno di attendere
la conclusione delle stesse.
Il debitore si considera assoggettato alla procedura concorsuale dalla data:
- della sentenza dichiarativa del fallimento;
- del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;
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del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi
imprese in crisi.
Si tenga presente che, fra le procedure concorsuali rilevanti è esclusa l'amministrazione
controllata e gli istituti analoghi previsti in Stati esteri. In Questi casi quindi torna applicabile la
regola generale (certezza e precisione della perdita).
Per la determinazione del periodo in cui dedurre la perdita su crediti, occorre far riferimento
all’esercizio in cui è avvenuta l'imputazione della stessa a bilancio, il che può accadere nello
stesso esercizio di emanazione dei provvedimenti suddetti o anche in esercizi successivi, quando
cioè l'imprenditore ritiene sussistenti, nel caso concreto, i requisiti di certezza e determinabilità
della perdita (Cass. 4 settembre 2002 n. 12831).
E’ necessario tener presente, infine, che, se sono state effettuate delle svalutazioni crediti o se
esiste un fondo per rischi su crediti, la perdita va necessariamente imputata al fondo rischi fino
alla sua completa utilizzazione e, solo per la parte eccedente costituisce un componente negativo
di reddito.
Anche nel caso di procedure concorsuali, la perdita deve in primo luogo assorbire il fondo rischi
su crediti, mentre il residuo importo non assorbito sarà dedotto interamente nell'anno di
imputazione.
Perdite su cambi
Le perdite su cambi derivanti da riscossioni o pagamenti effettuati nel corso dell’esercizio sono
integralmente deducibili, non essendo ammessi accantonamenti per rischi su cambi.
10.7. Ammortamenti
10.7.1. Ammortamento tecnico
L’ammortamento è una procedura tecnico-contabile che permette di ripartire il costo sostenuto
per l’acquisto di beni strumentali di durata pluriennale fra tutti gli esercizi di utilizzo; tale
procedura è esclusa in tutti i casi in cui il bene di proprietà dell’impresa non è strumentale
all’esercizio dell’impresa medesima e nel caso de terreni che sono ritenuti beni non deperibili.
L’ammortamento ha lo scopo di evitare che il costo del bene strumentale abbia impatto negativo
in bilancio solo nell’esercizio di acquisto permettendone, invece, la ripartizione su tutti gli
esercizi di utilità. All’acquisto del bene, si iscrive lo stesso nell’attivo dello stato patrimoniale e,
in ogni esercizio di utilizzo, si deduce da tale valore la quota di ammortamento di competenza.
L’ammortamento riguarda sia i beni materiali che i beni immateriali sia i beni di importo inferiore
ad Euro 516,46.
10.7.1.1. Ammortamento dei beni materiali
La norma in materia di ammortamenti, ora contenuta nell’articolo 102 TUIR, quanto a impianto
complessivo non si discosta sensibilmente rispetto alla disposizione di cui al vecchio articolo 67,
tuttavia contiene novità di rilievo: oltre ad una riorganizzazione della numerazione dei commi,
sono state soppresse alcune sue parti importanti, essendo questo dovuto all’ingresso nel nostro
ordinamento dell’istituto cosiddetto del disinquinamento del bilancio, che opera in forza della
soppressione del comma 2 dell’articolo 2426 del codice civile e del disposto dell’articolo 109
comma 4 lett. b) TUIR.
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Aspetti generali
1° aspetto generale - costo da ammortizzare
Cercando di combinare opportunamente le disposizioni civilistiche in materia di ammortamenti
dei beni materiali – quindi il riferimento è al Principio Contabile n. 16 – con le disposizioni
fiscali, la prima questione da affrontare riguarda la base su cui calcolare gli ammortamenti, che il
comma 1 dell’art. 102 individua nel costo, la cui definizione si desume dall’articolo 110 del
TUIR:
1. il costo è assunto al lordo delle quote di ammortamento già dedotte;
2. il costo deve comprendere anche gli oneri accessori di diretta imputazione, di cui la norma
fiscale non si occupa, rinviando alle tecniche contabili di rilevazione di questi
componenti. A titolo esemplificativo possiamo ricordare i seguenti oneri accessori con
riferimento ai:
FABBRICATI:
- spese notarili per la redazione dell'atto di acquisto e tasse per la registrazione
dell'atto;
- onorari per la progettazione dell'immobile;
- costi per opere di urbanizzazione primaria e secondaria poste dalla legge
obbligatoriamente a carico del proprietario;
- compensi di mediazione;
IMPIANTI E MACCHINARIO:
- spese di progettazione, installazione, montaggio, posa in opera, messa a
punto;
- trasporti;
- dazi su importazione;
- spese ed onorari di perizie e collaudi.
3. l’articolo 110, come primo approccio, esclude dal concetto di costo gli interessi passivi e
le spese generali, componenti che devono ricevere un trattamento separato in presenza di
proventi esenti. La norma, in ogni caso, prevede che per i beni materiali (e immateriali)
strumentali per l’esercizio dell’impresa si possano comprendere nel costo, e ciò fino
all’esercizio della loro entrata in funzione, gli interessi passivi sui prestiti contratti per la
loro fabbricazione interna o presso terzi, ovvero per prestiti impiegati per il loro acquisto,
la condizione che dal bilancio risultino imputati ad aumento del costo; la norma, in
sostanza, non obbliga alla capitalizzazione degli interessi passivi – in ciò allineandosi al
Principio Contabile 16, che vede con una certa diffidenza questa capitalizzazione – ma
prende atto di una eventuale scelta in tal senso operata dall’impresa; in ogni caso la regola
è la seguente:
Gli interessi passivi eventualmente capitalizzabili sono solo quelli sostenuti prima
dell’entrata in funzione del bene, essendo concessa una doppia facoltà:
- la CAPITALIZZAZIONE, il che si desume se dal bilancio risultano portati
ad incremento del costo di acquisizione;
- la DEDUZIONE, se non si verifica la condizione precedente.
Gli interessi passivi sostenuti dopo l’entrata in funzione del bene possono solo essere
portati a costo, con le regole generali di deducibilità proprie di questi componenti.
2° aspetto generale - strumentalità del bene
E’ il requisito indispensabile ai fini della deducibilità delle quote di ammortamento. Se il bene
non è riferibile all’attività che caratterizza l’impresa in quanto tale, esso fiscalmente non genera
ricavi e, pertanto, in virtù del principio di inerenza, nemmeno i costi ad esso afferenti potranno
essere considerati componenti negativi ai fini della determinazione del reddito d’impresa;
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3° aspetto generale - entrata in funzione del bene
La stretta correlazione costi per ammortamenti – ricavi (indiretti) derivanti dall’impiego del bene
ammortizzabile, così come voluta dal legislatore fiscale, si evidenzia proprio nel fatto che la
deduzione è ammessa solo quando il bene è entrato in funzione e così, indirettamente, partecipa
alla produzione dei ricavi; questa è una delle differenze fondamentali con l’approccio civilistico,
per il quale le quote di ammortamento devono essere stanziate a partire dal momento in cui il
bene è pronto per l’uso, ancorché non effettivamente utilizzato.
4° aspetto generale – modalità di ammortamento e coefficienti
Il comma 2 dell’articolo 102 del TUIR si preoccupa di definire le modalità per misurare le quote
di ammortamento ordinario, che presuppongono l’applicazione al costo, come definito nel
paragrafo precedente, di appositi coefficienti che, in sostanza, indicano la misura massima
dell’ammortamento deducibile e non la misura effettivamente obbligatoria: tali coefficienti sono
calcolati in funzione del normale periodo di deperimento e consumo proprio di ciascun settore
produttivo, con ciò allineandosi a quelle che sono le esigenze civilistiche di calcolo delle quote di
ammortamento. Viene mantenuta la regola per cui, nel primo esercizio, le quote ordinarie devono
essere ridotte alla metà. In tal modo si forfettizzano i casi tanto del bene entrato in funzione in
corso d’anno, in un momento vicino all’inizio dell’esercizio, quanto del bene entrato in funzione
verso la fine dell’esercizio.
I coefficienti di ammortamento c.d. ordinari sono stabiliti, per i beni entrati in funzione dal 1
gennaio 1989 ed in relazione alla tipologia di bene ed al settore di utilizzo del possessore, dal DM
31.12.1988. Se per un dato bene manca, per il settore interessato, il relativo coefficiente, occorre
far riferimento al coefficiente previsto per lo stesso bene con riferimento ad un settore con
caratteristiche similari (ris.min. n.9/1980).
Il comma 3, al primo periodo, si occupa del cosiddetto ammortamento accelerato, che
rappresenta una prima deroga al limite massimo di deducibilità delle quote d’ammortamento;
poiché i coefficienti di cui si è detto tengono conto del fatto che, in determinati settori, la
produzione può avvenire anche su più turni lavorativi, l’effettivo più intenso utilizzo rispetto alla
media è prova il cui onere ricadrà sul contribuente, che potrà avvalersi di elementi
prevalentemente tecnici a testimonianza della necessità di dedurre quote di ammortamento più
elevate rispetto a quelle ordinarie.
Il comma 3 prosegue occupandosi dell’ammortamento anticipato, sostanzialmente affermando
che di questo l’impresa può beneficiare senza dover offrire nessuna specifica giustificazione o
prova. Dal punto di vista fiscale, infatti, non c’è nessun collegamento con l’utilizzazione
maggiore o minore del cespite, né il legislatore fiscale è particolarmente sensibile al fatto che esso
sia civilisticamente giustificato o meno.
La fattispecie dell’ammortamento integrale si ripropone nel comma 6 dell’articolo 102, e quello
della deducibilità integrale delle spese o costi per beni di valore non superiore a Euro 516,46 non
è criterio obbligatorio e quindi esclusivo, nel senso che è rimessa alla libera scelta
dell’imprenditore optare per la deduzione integrale stessa ovvero per l’ordinaria procedura di
ammortamento in quote annuali (a conferma di tale orientamento la RM 9/1551 del 19 ottobre
1976, con riguardo alle imprese minori, affermò che queste possono optare mediante una espressa
manifestazione di volontà risultante dalla dichiarazione dei redditi, per l’ammortamento a quote
annuali in luogo della deduzione in unica soluzione).
Casi particolari
1° caso particolare - beni ad uso promiscuo
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Innanzitutto si considerano beni ad uso promiscuo quei beni che vengono utilizzati sia per
l’attività d’impresa che per l’uso personale dell’imprenditore. Vi sono casi in cui la promiscuità è
presunta, indipendentemente dall’uso che ne fa l’imprenditore (i.e. cellulari e mezzi di trasporto a
motore). L’articolo 102 comma 9 contiene una presunzione assoluta di strumentalità parziale che
riguarda, in buona sostanza, i telefoni cellulari, prevedendo che qualunque spesa ad essi
riconducibile sia da considerare fiscalmente rilevante solo al 50%. È concessa una deroga, che
riporta la deducibilità al 100%, nel caso di impianti utilizzati su veicoli adibiti al trasporto merci
da parte di imprese di autotrasporto, e limitatamente a un solo impianto per ciascun veicolo.
Questa norma trova un omologo nel comma 2 dell’articolo 64 nel quale, peraltro, la presunzione è
sostanzialmente relativa, e coinvolge qualunque bene, mobile o immobile, che l’imprenditore
individuale utilizza promiscuamente, vale a dire in parte per l’attività d’impresa e in parte nella
sfera privata. La regola, anche in questo caso, è quella della deducibilità dei costi limitata al 50%.
Con particolare riferimento all’ammortamento dei beni in questione, occorre distinguere tra beni
immobili e beni mobili:
per gli immobili utilizzati promiscuamente è deducibile una somma pari al 50%
della rendita catastale o del canone di locazione
per i beni mobili ad uso promiscuo, le quote di ammortamento e tutte le spese ad
essi relativi sono generalmente deducibili al 50%
2° caso particolare - beni in leasing
Un discorso a parte meritano i beni strumentali acquisiti in locazione finanziaria (c.d. leasing
finanziario), in quanto il loro trattamento fiscale è differente a seconda che si consideri l’impresa
utilizzatrice ovvero l’impresa concedente.
Impresa utilizzatrice
Ai fini contabili i beni strumentali presi in leasing possono essere rilevati secondo due criteri:
- in base al criterio patrimoniale: consente l'iscrizione nell'attivo dello stato patrimoniale
solamente quando, alla scadenza del contratto, l'impresa decide di riscattare il bene. Fino ad allora
si rilevano i canoni di locazione maturati nel corso dell'esercizio, poiché il bene non è di proprietà
dell'impresa utilizzatrice;
- in base al criterio finanziario: assimila il leasing all'acquisto vero e proprio e di conseguenza
prevede l’iscrizione immediata nell'attivo patrimoniale del bene e l’imputazione nel conto
economico del relativo ammortamento del costo pluriennale
Ai fini fiscali, tuttavia, indipendentemente dal criterio di contabilizzazione adottato, prima
dell'eventuale riscatto del bene (cioè lungo tutta la durata del contratto di leasing), sono deducibili
esclusivamente i canoni purché siano rispettate contemporaneamente le seguenti condizioni:
1) oggetto del contratto: il bene ottenuto in leasing deve essere un bene strumentale ammortizzabile
2) durata del contratto: occorre distinguere a seconda che si tratti di beni mobili o immobili:
- beni mobili, il contratto di leasing deve avere una durata non inferiore alla metà del
periodo di ammortamento corrispondente al coefficiente ordinano, stabilito con decreto in
relazione all'attività esercitata dall'impresa (senza considerare che per il primo esercizio di
ammortamento il coefficiente e ridotto alla metà). Ad esempio, se il coefficiente di
ammortamento è del 20%, la durata deve essere non inferiore a 30 mesi (ovvero 2,5 anni,
corrispondente alla metà di 5 anni che è il periodo di ammortamento corrispondente a un
coefficiente del 20%). Per le autovetture il cui coefficiente di ammortamento è del 25%, la
durata del contratto deve essere non inferiore a 24 mesi;
- beni immobili: occorre distinguere a seconda della data di stipula del contratto:
per i contratti stipulati fino a13 dicembre 2005, la deducibilità è ammessa
solo se la durata prevista in contratto non è inferiore a 8 anni;
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per i contratti stipulati dal 4 dicembre 2005, il contratto di leasing deve
avere una durata non inferiore alla metà del periodo di ammortamento
corrispondente al coefficiente ordinario, stabilito con decreto in relazione
all'attività esercitata dall'impresa (senza considerare che per il primo
esercizio di ammortamento il coefficiente è ridotto alla metà) e comunque
con un minimo di 8 anni e un massimo di 15 anni. Il termine di 15 anni
rappresenta quindi la durata massima che può assumere il limite minimo
corrispondente al periodo di ammortamento.
AI momento del riscatto, invece, il valore di riscatto deve essere fiscalmente ammortizzato sulla
base dei coefficienti stabiliti dal ministero. Trattandosi di bene usato, l'ammortamento anticipato
può essere effettuato solo nell'esercizio in cui il bene è stato riscattato. Se il riscatto del bene non
supera i 516,46 euro, l’impresa può dedurre l'intero valore di riscatto nell'esercizio di
effettuazione dello stesso.
La condizione della durata minima del contratto prevista per i beni mobili si applica anche nel
caso di leasing di beni immateriali ammortizzabili, quali ad esempio i marchi d'impresa (per i
quali. pertanto, il contratto deve avere una durata di almeno 5 anni, visto che il periodo di
ammortamento è di 10 anni) (Ris. Min, 25 febbraio 2005 n.27/E). Nel caso di diritti di
utilizzazione di opere dell'ingegno, di brevetti industriali ecc, (ammortizzabili in 3 anni) la durata
del contratto di leasing deve essere di almeno 18 mesi
La cessione anticipata del contratto di leasing determina, per il cedente, l'insorgere di una
sopravvenienza attiva, anche in assenza di un corrispettivo.
Per il subentrante, invece, il costo di acquisto del contratto subisce un trattamento diverso a
seconda che l'operazione sia rivolta al godimento pluriennale del bene o, al contrario, sia rivolta
all'acquisto potenziale del bene. Nel caso di operazione rivolta al godimento pluriennale, che
generalmente si verifica quando il subentro avviene all'inizio del contratto, il costo si deduce nei
limiti della quota imputabile a ciascun esercizio secondo i criteri civilistici, cioè per quote
rapportate alla durata residua del contratto. Nel caso, infine, di operazione volta all'acquisto
potenziale, che generalmente si verifica quando il subentro avviene in prossimità del riscatto del
bene, il costo viene sospeso e, unitamente al prezzo di riscatto, verrà ammortizzato secondo le
regole ordinarie.
Impresa cedente
Anche in tale ipotesi occorre distinguere a seconda che, contabilmente, l’impresa utilizzi il
criterio patrimoniale piuttosto che quello finanziario.
Nel primo caso (i.e. criterio patrimoniale) l’impresa concedente iscrive il bene ceduto in leasing
nell’attivo del proprio bilancio e procede al suo ammortamento a partire dall’esercizio in cui lo
consegna. Tale comportamento rispecchia anche la disciplina fiscale.
Nel secondo caso (i.e. metodo finanziario) l’impresa concedente iscrive nel proprio stato
patrimoniale il credito per l’operazione di leasing e a conto economico i relativi interessi attivi,
mentre il canone di locazione, per la parte imputabile alla restituzione del capitale, va a riduzione
del credito. Da un punto di vista fiscale sono tassati esclusivamente gli interessi attivi imputati nel
conto economico.
Dismissione di beni non completamente ammortizzati
Il comma 5 dell’articolo 102 riprende il caso dell’eliminazione di beni dal processo produttivo,
ipotizzando la loro dismissione. Con tale termine si indicano diverse situazioni, tra le quali la
cessione gratuita del bene, la demolizione volontaria etc. La norma ammette la deducibilità del
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valore residuo, dato dalla differenza tra valore iscritto in bilancio e ammortamenti effettivamente
operati fino al momento dell’eliminazione, e ciò nell’esercizio in cui avviene l’eliminazione
stessa.
Qualora la dismissione implichi una cessione a titolo oneroso, si rientra nel caso della rilevazione
di plusvalenze o minusvalenze, a seconda del fatto che:
- valore di realizzo > valore netto contabile = plusvalenza
- valore di realizzo < valore netto contabile = minusvalenza
10.7.1.2. Ammortamento dei beni immateriali
Con riferimento ai beni immateriali, l’ammortamento è determinato in funzione della tipologia
del bene: non si applica la disciplina dell’ammortamento anticipato né di quello accelerato e
decorre dall’acquisto del diritto, indipendentemente dall’utilizzazione.
Il costo ammortizzabile dei beni immateriali è comprensivo degli oneri accessori e degli interessi
passivi secondo le disposizioni che regolano anche i beni materiali.
Nei beni immateriali si comprendono:
-
Diritti di utilizzazione della proprietà industriale
Ricomprendono diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, brevetti industriali,
processi, formule e informazioni relative ad esperienze acquisite in campo industriale,
commerciale o scientifico (incluso anche il Know-how).
Nel caso in cui tali costi siano stati sostenuti per l’acquisto dei suddetti beni immateriali
sono deducibili in quote, non necessariamente costanti, non superiori ad 1/3 del costo per
ogni esercizio.
Nel caso in cui tali beni siano prodotti internamente, essi rappresentano “spese di ricerca”
fino al totale completamento del bene stesso, e sono soggette ad ammortamento a partire
dall’esito della ricerca stessa.
Ricomprendono altresì i marchi di impresa, il cui costo è deducibile in quote non superiori
a 1/10 dello stesso per ogni esercizio.
-
Diritti di concessione
Ricomprendono i diritti di concessione per l’occupazione del suolo pubblico, per la
derivazione delle acque pubbliche, per il corrispettivo pagato dall’affiliato nel contratto di
franchising.
Tali costi, iscritti nell’attivo di bilancio, sono deducibili in quote costanti in ragione della
durata dell’utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge.
-
Software
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Se il software è stato prodotto ovvero ne è stata acquistata la proprietà, esso rientra nei
diritti di utilizzazione della proprietà industriale, di cui sopra, ed è soggetto alle regole
relative.
Se, invece, è stata acquistata la concessione in uso per lo sfruttamento commerciale del
software, esso è qualificato come diritto di concessione e la sua deduzione viene effettuata
in quote costanti come prescritto per i diritti di concessione di cui al paragrafo
precedente).
Se, infine, il software è stato acquistato per farne uso diretto, senza possibilità di sfruttarlo
commercialmente, si deve, a sua volta distinguere come segue:
- software di sistema: si considera facente parte del bene su cui è utilizzato e senza il
quale non potrebbe essere usato. Si procede al suo ammortamento secondo le
modalità di ammortamento proprie del bene cui inerisce;
- software applicativo: ha utilità pluriennale e la sua deduzione va effettuata in base
alle quote imputabili ai singoli esercizi.
-
Avviamento
Ai sensi dell’articolo 103, comma 3 del TUIR, l’avviamento iscritto in bilancio secondo i
corretti principi contabili è deducibile, in quote costanti, in misura non superiore ad 1/18.
La nuova misura, introdotta con la finanziaria 2006, rappresenta il periodo minimo della
durata dell’ammortamento e si applica anche alle residue quote di ammortamento del
valore di avviamento iscritto in periodi d’imposta precedenti.
10.7.1.3. Beni inferiori a 516.46 Euro
Per tali beni, indipendentemente dal fatto che il loro utilizzo avvenga in più esercizi o meno, il
contribuente può, in alternativa, decidere di dedurre il costo di acquisto interamente nell’esercizio
di sostenimento (articolo 102, comma 5 del D.P.R. n.917/1986)
10.7.2. Ammortamento finanziario
L’ammortamento finanziario è una particolare procedura con cui le imprese concessionarie di
beni gratuitamente devolvibili (i.e. autostrade, linee ferroviarie), allo scadere della concessione,
possono dedursi una quota di costo pari al costo complessivo del bene diviso per il numero di
anni di durata della concessione, considerando anche le frazioni.
Questo processo fa si che, al momento della devoluzione del bene, questo sia completamente
ammortizzato. E’ opportuno ricordare che, in caso di variazioni della durata della concessione
ovvero del valore dei beni, la quota di ammortamento finanziaria aumenta o diminuisce.
Per le concessioni relative alla costruzione ed all’esercizio di opere pubbliche, le singole quote di
ammortamento finanziario sono differenziate e calcolate sull’investimento complessivo
realizzato; in particolare, sono determinate con decreto, in relazione al piano economico della
concessione. In tale fattispecie, nel costo ammortizzabile vanno inclusi anche gli interessi passivi.
10.8. Accantonamenti
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Con gli accantonamenti l’imprenditore anticipa all’esercizio in corso una quota di costi che
avranno la loro manifestazione numeraria in un esercizio futuro.
Si pensi all'accantonamento al fondo T.F.R. del lavoratore dipendente: esso rappresenta la
provvista per un debito che sarà pagato dall'imprenditore solo nel momento di cessazione del
rapporto di lavoro del dipendente.
Contabilmente, gli accantonamenti costituiscono componenti negativi del conto economico che,
se riferiti a voci dell'attivo, trovano contropartita finanziaria nella loro riduzione.
Ai sensi del disposto dell’articolo 107, comma 4 del D.P.R. n.917/1986, dal momento che si tratta
di deduzioni di costi in via anticipata rispetto alloro effettivo sostenimento, non sono ammesse
deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalla legge: appare icto
oculi che gli accantonamenti operati in sintonia con le disposizioni civilistiche (esempio:
l'accantonamento al fondo manutenzione per fronteggiare manutenzioni non ricorrenti) e non
previsti dalle disposizioni tributarie sono fiscalmente indeducibili e vanno recuperati con
variazione in aumento in sede di dichiarazione dei redditi.
Gli accantonamenti previsti dall’ordinamento tributario e, pertanto, deducibili sono:
- l'accantonamento di quiescenza e previdenza
- l'accantonamento e le svalutazioni per rischi su crediti
- l'accantonamento a fronte di maggiori imposte accertate
- l'accantonamento per oneri derivanti da operazioni e concorsi a premi
- l'accantonamento per spese di sostituzione e ripristino di beni gratuitamente devolvibili
- l'accantonamento per lavori ciclici di manutenzione
A far data dal 2004 non è più previsto l'accantonamento per rischi di cambio.
10.9.1. Accantonamenti di quiescenza e previdenza
Riguardano sia quelli relativi al personale dipendente, sia quelli relativi alle indennità di
cessazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di agenzia e di attività
sportive.
10.8.1.1. Accantonamenti relativi al lavoro dipendente (art. 105 c. 1, 2. 3 DPR 917/86)
Gli accantonamenti al fondo T.F.R. e al fondo previdenza del personale dipendente sono
deducibili nel rispetto di particolari condizioni:
nei limiti delle quote maturate nell'esercizio in conformità alle disposizioni legislative e
contrattuali che regolano il rapporto di lavoro dei singoli dipendenti
solo se costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti e sempreché rispecchino i
requisiti di cui all'art. 2117 c.c. (c.d. fondi interni aventi il divieto di distrazione dal fine
previdenziale/assistenziale e il divieto di esecuzione da parte dei creditori
dell'imprenditore).
In caso contrario non sono deducibili, ma resta ferma la deducibilità delle somme erogate a titolo
di prestazione. A tal fine, è necessario che nel libro paga o nel libro matricola (o, eventualmente,
in analoghi documenti contabili sostitutivi) siano iscritti gli accantonamenti imputabili a ciascun
lavoratore dipendente (Circ. Min. 20 marzo 2001 n. 29/E).
Tali quote sono deducibili anche se versate, in tutto o in parte, a fondi pensione complementari.
Inoltre, è deducibile un importo non superiore al 3% delle quote di accantonamento annuale del
TFR destinate a fondi pensione.
È, tuttavia, possibile dedurre maggiori accantonamenti effettuati al fine di adeguare i fondi a
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sopravvenute modifiche normative e retributive: tali costi sono deducibili nell'esercizio nel quale
ha effetto la modifica – ossia nell’esercizio in cui il nuovo contratto è stato sottoscritto e non
quello da cui decorrono gli effetti del rinnovo - oppure in quote costanti in tre esercizi (quello nel
corso del quale ha effetto la modifica e nei due successivi).
Ai sensi dell’articolo 105 comma 4 del D.P.R. n.917186, sono deducibili, con le stesse modalità
previste per il TFR di cui sopra, i seguenti accantonamenti per indennità di cessazione:
dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, se previste da atto scritto con data
certa anteriore a quella di inizio del rapporto.
dei rapporti di agenzia (trattasi, in particolare, delle seguenti indennità previste dall'articolo
1751 c.c. e dall'accordo economico collettivo per la disciplina del rapporto di agenzia:
indennità di risoluzione del rapporto, indennità suppletiva di clientela e indennità
meritocratica. La determinazione degli accantonamenti deve essere effettuata ipotizzando
che la cessazione di tutti i rapporti avverrà per causa non imputabile all'agente,
considerando quindi tutte le predette indennità. Non rileva la circostanza che talune
indennità abbiano natura aleatoria, cioè in alcuni casi non siano dovute: infatti nella
suddetta circostanza (es. cessazione per causa imputabile all'agente), l'indennità non dovuta
e il relativo importo, precedentemente accantonato e dedotto, è tassato come sopravvenienza
attiva (Ris. Min. 9 aprile 2004 n. 59/E). Eventuali accantonamenti non dedotti in precedenti
esercizi potranno essere dedotti solo quando le relative somme saranno corrisposte
all'agente;
di attività sportIva, a favore di sportivi professionisti.
10.8.1.2. Accantonamenti per rischi su crediti
I principi di redazione del bilancio prevedono che i crediti siano iscritti in bilancio al valore di
presumibile realizzo determinando, così, la facoltà, per l’imprenditore di svalutarli ogni volta che
il loro valore nominale risulta superiore a quello di effettiva esigibilità.
La norma fiscale considera deducibili tali svalutazioni e accantonamenti, purché imputati in
bilancio e sempre nel rispetto dei seguenti limiti:
LIMITI QUALITATIVI (articolo 106, comma 1 del D.P.R. n.917/86)
Per la determinazione della quota da accantonare a fronte dei rischi su crediti devono considerarsi
solamente i crediti:
commerciali: tale squisito deve essere verificato caso per caso facendo
riferimento all'attività di ogni singola impresa
non assicurati
iscritti in bilancio
da cui derivano ricavi di esercizio.
Sono esclusi dal calcolo della quota deducibile:
i crediti che nascono da cessioni di beni che non danno origine a ricavi (es. beni
strumentali, crediti nei confronti di fornitori o di dipendenti);
i crediti coperti da garanzia assicurativa, nei limiti di questa; infatti, la
prestazione di una fideiussione non costituisce, per il prestatore, un credito nei
confronti dei beneficiari ma solo una garanzia (Ris. Min. 23 marzo 1979 n.
9/414);
i crediti commerciali iscritti nei conti d'ordine in quanto ceduti dall'impresa a
vario titolo (i.e. crediti oggetto di sconto o ceduti in factoring)
LIMITI QUANTITATIVI (articolo 106, comma 1 e 2 del D.P.R. n.917/86)
La legge consente la deducibilità, in ciascun esercizio, di un importo per svalutazione ed
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accantonamento non superiore allo 0,50% del valore nominale o di acquisizione dei crediti sopra
indicati, cioè di un valore non influenzato dai precedenti accantonamenti e/o svalutazioni.
Ai fini del limite bisogna considerare congiuntamente l'importo della svalutazione e quello
dell'accantonamento ad apposito fondo di copertura di rischi su crediti effettuato in conformità
alla legge
L'eventuale maggior accantonamento rispetto a quello imputabile in bilancio può essere dedotto
utilizzando il quadro EC della dichiarazione dei redditi.
La deduzione non è più consentita quando l'ammontare complessivo delle svalutazioni e degli
accantonamenti abbia raggiunto il 5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti
commerciali risultanti in bilancio alla fine dell'esercizio.
Se, per il diminuire dei crediti nel corso dell'esercizio, le svalutazioni operate e il fondo già
accantonato risultano superiori al 5% dei crediti a fine esercizio, l'eccedenza concorre a formare il
reddito dell'esercizio stesso come sopravvenienza attiva.
L'utilizzo del fondo rischi per svalutare dei crediti - anziché per coprire una perdita su crediti
effettiva costituisce una sopravvenienza attiva tassabile.
Gli interessi di mora rilevano fiscalmente nell'esercizio in cui vengono percepiti/corrisposti
secondo il principio di cassa, di conseguenza non è ammessa alcuna svalutazione o alcun
accantonamento in merito agli stessi.
10.8.1.3. Altri accantonamenti
Nella voce altri accantonamenti a rischi e crediti sono, in genere, ricomprese le seguenti voci:
- accantonamenti per maggiori imposte accertate;
- accantonamenti per operazioni e concorsi a premio;
- accantonamenti per opere pubbliche gratuitamente devolvibili;
- accantonamenti per manutenzione e revisione di navi ed aeromobili.
Si fornisce di seguito un’analisi della disciplina degli stessi.
10.8.1.3.1. Accantonamenti per maggiori imposte accertate (art. 99 c. 2 DPR 917/86)
È possibile dedurre gli accantonamenti effettuati a fronte di maggiori imposte accertate e non
ancora definite, relativamente alle imposte deducibili per un importo pari a quello esposto in
dichiarazione, a quello accertato ovvero a quello stabilito dai provvedimenti degli uffici e dalle
decisioni delle Commissioni tributarie.
L'eventuale maggior accantonamento fiscale rispetto a quello imputabile in bilancio può essere
dedotto utilizzando il quadro EC della dichiarazione dei redditi.
Non sono, invece, deducibili gli accantonamenti a fronte di sanzioni amministrative.
10.8.1.3.2. Accantonamenti per operazioni e concorsi a premio (art. 107 c. 3 DPR 917/86)
Gli accantonamenti per operazioni a premio sono deducibili in misura percentuale pari
all'ammontare degli impegni assunti nell'esercizio, a condizione che gli oneri siano distinti per
esercizio di formazione e, se non imputati in bilancio, siano indicati nel quadro EC della
dichiarazione dei redditi. Da un punto di vista quantitativo, la deducibilità è ammessa nei seguenti
limiti:
- per le operazioni a premio al 30%,
- per i concorsi a premio al 70%.
Successivamente gli oneri relativi ai singoli esercizi devono essere confrontati con i corrispondenti accantonamenti sulla base del valore unitario di formazione degli stessi e le eventuali
differenze emergenti costituiscono sopravvenienze attive (tassabili) o passive (deducibili).
L’ammontare degli accantonamenti non utilizzato al termine del terzo esercizio successivo a
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quello di formazione, concorre alla determinazione del reddito dell'esercizio stesso. Se, tuttavia,
l’operazione o il concorso a premio hanno una scadenza inferiore a 3 anni, l'ammontare
dell'accantonamento non utilizzato concorre alla determinazione del reddito dell'esercizio in cui si
verifica tale scadenza.
10.8.1.3.3. Accantonamenti per opere pubbliche gratuitamente devolvibili (art.107 C. 2 DPR
917/86)
Le imprese concessionarie (e le loro subconcessionarie) della costruzione e dell'esercizio di opere
pubbliche, successivamente gratuitamente devolute allo Stato, possono dedurre, a titolo di spese
di ripristino o di sostituzione e di spese di manutenzione, riparazione, trasformazione ed
ammodernamento dei beni gratuitamente devolvibili un ammontare pari, in ciascun esercizio, al
5% del costo del singolo bene.
Tale importo, se non imputato in bilancio, deve essere indicato nel quadro EC della dichiarazione
dei redditi, nel quale devono essere evidenziati i valori civili e fiscali del fondo.
10.8.1.3.4. Accantonamenti per manutenzione e revisione di navi ed aeromobili (art. 107, 1 DPR
917/86)
È deducibile l'accantonamento per lavori clinici di manutenzione e revisione delle navi e degli
aeromobili nella misura del 5% del costo di ciascuna nave o aeromobile, quale risulta, all'inizio
dell'esercizio, dal registro dei beni ammortizzabili o dai registri sostitutivi.
L'eventuale maggior accantonamento fiscale rispetto a quello imputabile in bilancio può essere
dedotto utilizzando il quadro EC della dichiarazione dei redditi, mentre la differenza tra quanto
effettivamente speso e quanto complessivamente accantonato concorre alla formazione del
reddito nell'esercizio in cui ha termine il ciclo (sia come componente positiva sia come
componente negativa).
10.9. Spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione
La possibilità di incorporare nel valore del bene i costi sostenuti per lavori eseguiti sullo stesso, è
ammessa solo qualora da essi derivi un concreto aumento di utilità del bene (estensione della vita
utile, incremento della potenzialità produttiva…). In proposito il Principio Contabile 16 è
particolarmente rigido, affermando che la capitalizzazione delle spese per migliorie, modifiche,
ristrutturazioni, rinnovamenti è ammessa a condizione che da esse derivi un incremento
significativo e misurabile della capacità produttiva, della sicurezza o della vita utile del bene
su cui è avvenuto l’intervento. Se invece i lavori hanno la sola funzione di mantenere
all’originario livello la funzionalità del cespite, cade il supporto logico alla capitalizzazione dei
costi sostenuti. Secondo tale impostazione, quindi, solo le spese di ammodernamento e
trasformazione potrebbero dar luogo a incrementi di valore, mentre le spese di manutenzione e
riparazione riguarderebbero interventi volti a mantenere costante o ripristinare l’originaria
funzionalità del bene (ciò vale, oltre che per quelle ordinarie, anche per le manutenzioni
straordinarie, dato che la straordinarietà si riferisce solo alla periodicità dei lavori e non alla
natura dell’intervento4).
La norma prevede che:
- le spese in oggetto, se non sono state portate in aumento del valore del cespite, sono
deducibili in ciascun esercizio per un importo non superiore al limite forfetario del 5% del
costo complessivo dei beni materiali ammortizzabili, risultanti dall’apposito registro
all’inizio dell’esercizio;
- per le imprese di nuova costituzione, e limitatamente al primo esercizio, il calcolo si
effettua sul costo complessivo risultante dal registro al termine dell’esercizio;
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-
se un bene viene ceduto nel corso dell’esercizio, la deduzione potrà essere effettuata in
misura proporzionale alla durata del possesso, con riferimento, per il cessionario, al costo
di acquisizione;
- qualora i costi effettivamente sostenuti nel periodo eccedessero la misura massima
indicata in precedenza, la parte eccedente potrà essere dedotta in quote costanti nei 5
esercizi successivi.
In definitiva, se le spese di competenza sono 1.000 ma la quota deducibile, determinata in
funzione del plafond del 5%, è 500, l’eccedenza di 500 sarà deducibile in quote costanti di 100 in
ciascuno dei cinque periodi d’imposta successivi a quello di competenza. Questa variazione
temporanea tra risultato civilistico e reddito d’impresa genera imposte anticipate.
10.10. Spese pluriennali
Le spese pluriennali (i.e. spese per studi e ricerche, spese di pubblicità e spese di rappresentanza)
sono spese che hanno una utilità pluriennale, che interessa cioè esercizi successivi a quello in cui
sono state sostenute.
A differenza dei beni materiali ed immateriali non si riferiscono ad alcun bene o diritto che abbia
un suo proprio valore di mercato per cui la loro rappresentazione in bilancio è quella di costi che
si riferiscono a più esercizi.
Per le imprese di nuova costituzione la deduzione delle spese pluriennali è ammessa a partire
dall’esercizio in cui sono conseguiti i primi ricavi ovvero i primi corrispettivi delle cessioni di
beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o scambio è diretta l’attività di impresa
(articolo 108, comma 4 del TUIR)
Spese per studi e ricerche
Ricomprendono le spese per studi e ricerche finalizzate ad apportare migliorie ai prodotti o
all’organizzazione aziendale nonché le spese per l’aggiornamento professionale dell’imprenditore
e dei suoi dipendenti.
Tali spese possono essere dedotte interamente nell’esercizio in cui sono state sostenute ovvero, in
quote costanti, nell’esercizio stesso e nei successivi, ma non oltre il quarto. La descrizione presa
dal contribuente nel primo esercizio è vincolante anche per i successivi.
Come accennato nei paragrafi precedenti, con riferimento alle immobilizzazioni immateriali, se, a
seguito di ricerche e studi, si ottiene un bene immateriale, la spesa per la ricerca non ancora
dedotta dal reddito concorre a formare il costo del bene immateriale e verrà ammortizzata con le
relative regole.
Spese di pubblicità e rappresentanza
Nell’ambito della determinazione del reddito di impresa, uno degli aspetti di maggiore
controversia, anche dottrinaria, riguarda la esatta classificazione di alcune spese tra cui, appunto,
quelle di pubblicità e di rappresentanza: tra i criteri da seguire per poter distinguere tra spese di
pubblicità e spese di rappresentanza, si rileva sempre meno efficace quello incentrato sul
collegamento diretto tra pubblicità del prodotto e ricavo, dal momento che, come visto, il
prodotto ha cessato di essere l'unico obiettivo della pubblicità stessa, per cedere il posto ad altre
strategie commerciali legate all'immagine "sociale" di un'azienda.
Un criterio valido è quello in base al quale, sono da considerare di pubblicità le spese che
prevedono a carico dell'altra parte impegni a fare o permettere oppure obbligazioni derivanti da
accordi contrattuali; d'altro canto sono individuabili come di rappresentanza quelle spese
caratterizzate dalla "gratuità", ovvero dalla mancanza di corrispettivo da parte dei destinatari di
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una determinata prestazione, dovendosi contrastare possibili abusi nell'utilizzo di oneri talora
privi di un sicuro collegamento con l'attività d'impresa.
Tra di esse, per espressa previsione normativa, rientrano i contributi erogati per l'organizzazione
di convegni e simili.
Tutto ciò premesso, ai sensi del disposto 108, comma 2 del TUIR, le spese di pubblicità sono
totalmente deducibili ed il contribuente ha facoltà di scegliere tra:
deduzione totale nell’esercizio di sostenimento del costo;
ripartizione in 5 esercizi, in quote costanti (i.e. 20% della spesa per ogni esercizio considerato)
Ai sensi del citato articolo 108, comma 2 del TUIR, le spese di rappresentanza sono deducibili
solo per 1/3 del loro ammontare e, questo 1/3, deve essere ripartito in 5 esercizi in quote costanti.
Per un’analisi più approfondita delle spese di rappresentanza e pubblicità si rinvia all’allegato 1.
10.11. La deducibilità dei costi sostenuti con soggetti esteri
La previsione contenuta nell’articolo 110 del TUIR e, segnatamente, nei commi 10 ed 11
disciplina:
-
l’indeducibilità delle spese e degli altri componenti negativi derivanti da operazioni
intercorse tra imprese residenti ed imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori non
appartenenti all’Unione europea aventi regimi fiscali considerati privilegiati. Ai fini della
individuazione dei predetti Stati la norma rinvia ad un apposito decreto che elenca Stati o
territori in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in
Italia, ovvero della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, ovvero di altri
criteri equivalenti. Ai fini dell’applicazione della norma in questione si fa riferimento al
Decreto del 23 gennaio 2002 dal quale devono essere eliminati gli Stati di Malta e Cipro
in virtù del loro ingresso nell’Unione Europea così come chiarito dall’Agenzia delle
Entrate con la risoluzione n. 96 del 30 luglio 2004;
-
la possibilità di disapplicare la disposizione di cui al comma 10 nell’ipotesi in cui
l’impresa residente in Italia fornisca la prova che le imprese estere svolgono
prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in
essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse abbiano avuto
concreta esecuzione. All’amministrazione finanziaria interessa, in altre parole, evitare che
i corrispettivi siano manovrati ovvero che vi sia un’attribuzione di redditi imponibili a
società, del gruppo o meno, situate in stati a bassa fiscalità: per queste motivazioni, prima
di procedere alla notifica di un avviso di accertamento, l’amministrazione finanziaria ha
l’onere di richiedere al contribuente le prove prima richiamate fornendo la
documentazione utile per evitare l’applicazione delle CFC (i.e. atto costitutivo, statuto,
fatture delle utenze elettriche, contratti di lavoro dei dipendenti…). Il contribuente deve
fornire le proprie indicazioni entro 90 giorni dalla richiesta e, laddove le prove non siano
fornite, l’amministrazione dovrà farne specifico riferimento nell’avviso di accertamento.
In ogni caso, la deduzione delle spese e dei componenti negativi è comunque subordinata
alla separata indicazione in sede di dichiarazione dei redditi dei relativi ammontari
dedotti. L’effettivo interesse economico - che permetterebbe al contribuente di giustificare
i costi in oggetto – sussiste in presenza di una valida giustificazione economica connessa,
in modo particolare, con l’entità del prezzo praticato, la qualità dei prodotti forniti e la
tempistica e puntualità della consegna in rapporto a quanto offerto da analoghi fornitori
nazionali.
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Ai fini dell’applicazione di tale disposizione, il contribuente può comunque inoltrare una
preventiva istanza di interpello secondo le modalità di cui all’articolo 21 della legge 413 del
1991.
Come è evidente, dunque, è questa una norma il cui ambito di applicazione è potenzialmente
molto ampio (il rinvio è alle spese ed ai componenti negativi di qualunque tipo) e comporta una
serie di oneri, ulteriori rispetto a quelli sopra specificati, per il contribuente tra i quali
l’indicazione in dichiarazione dei redditi a pena di indeducibilità del costo medesimo.
Per un’analisi più approfondita si rinvia all’allegato 2.
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I.A.11. La thin capitalization ed il pro-rata patrimoniale
(a cura di Fabio Colombo)
Sono tre le norme che si occupano di indeducibilità degli interessi passivi:
-
Art. 96, commi 1 e 2 del Tuir: trattasi del pro-rata generale di deducibilità degli interessi
passivi, originariamente disciplinato nell’art. 63 del vecchio Tuir, con cui si individua la
percentuale di deducibilità sulla base del seguente rapporto:
ricavi e proventi che concorrono a formare il reddito
tutti i ricavi e proventi, sia che concorrano sia che non
concorrono a formare il reddito
-
-
Art. 96, comma 3 del Tuir: stabilisce che se nell'anno sono stati conseguiti interessi o altri
proventi esenti da imposta derivanti da obbligazioni pubbliche o private sottoscritte,
acquistate o ricevute in usufrutto o pegno a decorrere dal 28 novembre 1984, gli interessi
passivi non sono ammessi in deduzione fino a concorrenza dell'ammontare complessivo
degli interessi o proventi esenti. L’eccedenza di interessi passivi è deducibile in base al
pro-rata generale di cui al punto precedente senza tenere conto, tuttavia, nel rapporto,
dell'ammontare degli interessi e proventi esenti corrispondente a quello degli interessi
passivi non ammessi in deduzione.
Art. 97 del Tuir: trattasi del pro-rata patrimoniale di indeducibilità degli interessi passivi.
Si applica se il valore di libro delle partecipazioni PEX detenute dall’impresa alla fine del
periodo d’imposta è maggiore del patrimonio netto contabile dell’impresa stessa.
Art. 98 del Tuir: disciplina la Thin Capitalization, ossia l’indeducibilità degli interessi
passivi concernenti finanziamenti erogati o anche solo garantiti da soci qualificati e da
loro parti correlate laddove essi superano di 4 volte il patrimonio netto della società (5
volte per il primo anno di applicazione della disposizione).
Le disposizioni di cui sopra devono essere applicate secondo una specifica sequenza
espressamente stabilita dal legislatore: prioritariamente trova applicazione la disciplina della Thin
Cap (articolo 98 del Tuir), successivamente la disciplina del pro-rata (articolo 97 del Tuir) ed
infine la disciplina degli interessi passivi di cui all’articolo 96 del Tuir.
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11.1. Thin Capitalization: generalità e finalità della disciplina
La Thin Capitalization è una novità fiscale introdotta a seguito delle modifiche apportate al Testo
Unico delle Imposte sui Redditi dal D.Lgs.n.344 del 12 dicembre 2003 in vigore a partire dal 1
gennaio 2004. La disciplina oggetto del presente capitolo è contenuta nell’articolo 98 del TUIR.
La disciplina in oggetto stabilisce l’indeducibilità della remunerazione degli interessi passivi
relativi ai finanziamenti erogati o garantiti dal socio qualificato e dalle sue parti correlate per la
parte eccedente prestabiliti limiti riferiti al patrimonio netto.
La sottocapitalizzazione della società rispetto all’attività di impresa esercitata ed il contestuale
finanziamento della stessa con apporto di capitale di credito da parte dei soci qualificati consente
di trasformare dividendi in interessi passivi per la società partecipata e attivi per i soci qualificati.
Il vantaggio fiscale ottenibile da tale trasformazione di flussi reddituali consiste:
- per la società partecipata, nell'imposta che la stessa risparmia grazie alla deducibilità dal suo
reddito d'impresa degli interessi passivi corrisposti ai soci, rispetto alla diretta corresponsione
di dividendi fiscalmente indeducibili;
- per i soci qualificati, nel minore o nullo ammontare dell'imposta che gli stessi assolvono sugli
interessi attivi percepiti rispetto all'ammontare dell'imposta che avrebbero scontato sui
dividendi.
Ovviamente tale vantaggio fiscale sussiste solo in presenza di regimi impositivi internazionali
differenti: infatti, fermo restando il risparmio d'imposta che, in ogni caso, consegue la società
partecipata, al fine di minimizzare o azzerare il carico impositivo in capo ai soci qualificati,
spesso si utilizzano strutture societarie residenti in Stati che, al fine di attrarre capitali in uno
scenario di concorrenza fiscale internazionale, esentano da imposizione gli interessi attivi
percepiti dalle società ivi residenti.
In caso contrario, in assenza di un arbitraggio fiscale favorevole, non può attribuirsi alla
capitalizzazione sottile alcuna rilevanza tributaria. Si pensi, a riguardo, al caso in cui il socio
qualificato sia un soggetto residente nel territorio dello Stato di residenza della società partecipata
e sia assoggettato al medesimo regime impositivo della società partecipata. In tale ipotesi,
nonostante la società partecipata continui a conseguire il risparmio d'imposta derivante dalla
deduzione dal suo reddito d'impresa degli interessi passivi, gli speculari interessi attivi
concorreranno alla determinazione del reddito d'impresa del socio qualificato, generando - a
parità di regime impositivo - uno speculare maggiore reddito d'impresa e, di conseguenza, uno
speculare maggiore carico impositivo.
Prima della riforma dell’ordinamento tributario operata dal citato D.Lgs.n.344 del 12 dicembre
2003, il fenomeno della sottocapitalizzazione veniva contrastato principalmente tramite l’IRAP e
la DIT.
A riguardo, si ricorda come la riforma operata dal ministro Visco nel 1997-1998 favorisse il
ricorso alla capitalizzazione delle imprese, scoraggiando, al tempo stesso, il ricorso al capitale di
debito con la dual income tax (DIT) e con l'IRAP: la prima consentiva l'applicazione dell'IRPEG
ad aliquota ridotta solo allorché fosse investito capitale "fresco" nell'impresa; la seconda non
ammetteva la deduzione degli interessi passivi dalla relativa base imponibile.
A tal fine, mentre la DIT è stata definitivamente abrogata dall'articolo 3, comma 3 del
D.Lgs.n.344 del 2003, l'IRAP è tuttora vigente.
11.1.1. Modalità di applicazione della Thin Capitalization
Per l’applicazione della Thin Capitalization è necessario analizzare l’indebitamento della società sia dal punto di vista qualitativo che dal punto di vista quantitativo – con riguardo ai
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finanziamenti erogati o garantiti dalla totalità dei soci qualificati, anche tramite loro parti
correlate.
Ambito soggettivo di applicazione
La normativa anti-thin capitalization si applica alla remunerazione dei finanziamenti eccedenti,
determinati secondo le modalità che si vedranno in seguito, direttamente o indirettamente erogati
o garantiti da un socio qualificato o da una sua parte correlata.
Il socio è qualificato quando:
- direttamente o indirettamente controlla ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile il
soggetto debitore, oppure
- partecipa al capitale sociale dello stesso debitore con una percentuale pari o superiore al
25 per cento, alla determinazione della quale concorrono le partecipazioni detenute da sue
parti correlate.
Non si considerano soci qualificati i soggetti di cui all'articolo 74 del TUIR, cioè gli organi e le
amministrazioni dello Stato, compresi quelli a ordinamento autonomo, anche se dotati di
personalità giuridica, i comuni, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori del
demanio collettivo, le comunità montane, le province e le regioni.
Si considerano parti correlate al socio qualificato le società da questi controllate ai sensi
dell'articolo 2359 del codice civile e, se persona fisica, anche i familiari di cui all'articolo 5,
comma 5 del TUIR, cioè il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo
grado.
Tuttavia, sono esclusi dall'ambito di applicazione della normativa anti-thin capitalization:
- i contribuenti il cui volume di ricavi non supera le soglie previste per l'applicazione degli
studi di settore, e
- i finanziamenti assunti nell'esercizio dell'attività bancaria o dell'attività svolta dai soggetti
indicati nell'articolo 1 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 87.
Infine, la normativa anti-thin capitalization si applica in ogni caso alle società-holding che
esercitano in via esclusiva o prevalente l'attività di assunzione di partecipazioni.
Ambito oggettivo di applicazione
Con riferimento all'ambito oggettivo di applicazione della normativa anti-thin capitalization,
l'attenzione dovrà concentrarsi sulla nozione di finanziamenti, direttamente o indirettamente,
erogati o garantiti dal socio qualificato e da sue parti correlate.
Per "finanziamenti" si intendono quelli derivanti da mutui, da depositi di denaro e da ogni altro
rapporto di natura finanziaria.
Per "garantiti" si intendono i debiti assistiti da garanzie reali, personali e di fatto fornite dal socio
qualificato o da sue parti correlate anche mediante comportamenti e atti giuridici che, seppure non
formalmente qualificandosi quali prestazioni di garanzia, ottengono lo stesso effetto economico.
Modalità di calcolo
La remunerazione dei finanziamenti eccedenti, direttamente o indirettamente, erogati o garantiti
da un socio qualificato o da una sua parte correlata - computata al netto della quota di interessi
indeducibili in applicazione dell'articolo 3, comma 115, legge n. 549 del 1995 - è indeducibile dal
reddito imponibile qualora il rapporto tra la consistenza media durante il periodo d'imposta dei
finanziamenti e la quota di patrimonio netto contabile di pertinenza del socio medesimo e delle
sue parti correlate, aumentato degli apporti di capitale effettuati dallo stesso socio o da sue parti
correlate in esecuzione dei contratti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b), del TUIR, sia
superiore a quello di 4 a 1 (5 a 1 per il primo periodo d'imposta che inizia a decorrere dal 1°
gennaio 2004, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera b), del D.Lgs.n. 344 del 2003).
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I due fondamentali termini del rapporto di 4 a 1 sono costituiti dalla "consistenza media dei
finanziamenti, direttamente o indirettamente, erogati o garantiti dai soci qualificati e da loro
parti correlate" e dalla "quota di patrimonio netto contabile di pertinenza del socio e delle sue
parti correlate" (fatti salvi gli apporti di cui all'articolo 109, comma 9, lettera b), del TUIR).
Tuttavia, nonostante tale rapporto possa superare quello di 4 a 1, la normativa anti-thin
capitalization non si applica nel caso in cui:
- l'ammontare complessivo dei finanziamenti non eccede quattro volte il patrimonio netto
contabile (determinato con i criteri che si analizzeranno)
- il contribuente debitore fornisce la dimostrazione che l'ammontare dei finanziamenti erogati o
garantiti dai soci qualificati e da loro parti correlate è giustificato dalla propria esclusiva
capacità di credito e che conseguentemente gli stessi sarebbero stati erogati anche da terzi
indipendenti con la sola garanzia del patrimonio sociale.
Ai fini del calcolo del predetto rapporto di 4 a 1, ai finanziamenti erogati o garantiti dal socio
qualificato si aggiungono quelli erogati o garantiti da sue parti correlate.
Circa la determinazione della "quota di patrimonio netto contabile di pertinenza del socio e delle
sue parti correlate", occorre considerare il patrimonio netto contabile, così come risultante dal
bilancio relativo all'esercizio precedente, comprensivo dell'utile dello stesso esercizio non
distribuito, rettificato in diminuzione per tenere conto:
- dei crediti risultanti nell'attivo patrimoniale relativi ad obblighi di conferimento ancora non
eseguiti
- del valore di libro delle azioni proprie in portafoglio
- delle perdite subite nella misura in cui entro la data di approvazione del bilancio relativo al
secondo esercizio successivo a quello cui le stesse si riferiscono non avvenga la ricostituzione
del patrimonio netto mediante l'accantonamento di utili o l'esecuzione di conferimenti in
danaro o in natura
- del valore di libro, o se minore del relativo patrimonio netto contabile, delle partecipazioni in
società controllate e collegate di cui all'articolo 73, comma 1, lettera a), e all'articolo 5,
diverse da quelle relative a società che esercitino attività bancaria o attività svolta ai sensi
dell'articolo 1 del Dlgs n. 87 del 1992.
A sua volta, la "consistenza media dei finanziamenti, direttamente o indirettamente, erogati o
garantiti dai soci qualificati e da loro parti correlate" si determina sommando il relativo
ammontare complessivo esistente al termine di ogni giornata del periodo d'imposta e dividendo
tale somma per il numero dei giorni del periodo stesso.
Non concorrono alla determinazione della consistenza i finanziamenti infruttiferi erogati o
garantiti dai soci qualificati o da loro parti correlate, a condizione che la remunerazione media
non sia superiore al tasso ufficiale di riferimento maggiorato dell'1 per cento.
La "remunerazione media" è il tasso derivante dal rapporto tra la remunerazione complessiva dei
finanziamenti erogati o garantiti dai soci qualificati e da loro parti correlate maturata nel periodo
d'imposta e la consistenza media degli stessi.
Infine, la "remunerazione dei finanziamenti eccedenti" indeducibile dalla determinazione del
reddito d'impresa è calcolata applicando ai finanziamenti eccedenti la remunerazione media.
Si ricorda poi, che ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lettera e), seconda parte del TUIR, "è
ricompresa tra gli utili la remunerazione dei finanziamenti eccedenti di cui all'articolo 98
direttamente erogati dal socio o dalle sue parti correlate, anche in sede di accertamento". Inoltre,
in virtù dell'articolo 89, comma 2, secondo periodo, del TUIR, "la stessa esclusione [del 95 per
cento dell'ammontare degli utili percepiti] si applica […] alla remunerazione dei finanziamenti
eccedenti di cui all'articolo 98 direttamente erogati dal socio qualificato o dalle sue parti
correlate, anche in sede di accertamento".
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Analisi qualitativa – finanziamenti rilevanti
Ai fini della disciplina in oggetto, devono essere considerati solo i debiti connessi ad operazioni
di natura finanziaria, mentre sono esclusi quelli finalizzati all’acquisto di beni o servizi (es. per
forniture di merci, per risarcimenti di danni, per depositi cauzionali etc.).
La nozione di parte correlata rilevante ai fini della “Thin capitalization” è più restrittiva rispetto a
quella fornita dalla CONSOB che, riprendendo quanto previsto dallo IAS 24, include nella
nozione di parti correlate anche coloro che hanno un rapporto di collegamento, che esercitano una
“influenza notevole”, che aderiscono a patti parasociali, coloro ai quali sono attribuiti poteri e
responsabilità in ordine all’esercizio delle funzioni di amministrazione, direzione e controllo
nell’emittente e, da ultimo, le imprese che hanno in comune la maggioranza degli amministratori.
Ai fini del calcolo dei parametri per l’applicazione della “Thin capitalization” rilevano anche i
finanziamenti concessi o garantiti (dal socio o da una sua parte correlata) in un momento anteriore
a quello in cui il socio ha assunto lo status di socio qualificato.
Ciò non vale ai fini della determinazione della consistenza media dei finanziamenti laddove i
finanziamenti concessi o garantiti dal socio qualificato, anche tramite parti correlate, concorrono
per i giorni in cui il socio è qualificato.
Esempio:
Consistenza media dei finanziamenti = Fin x gg/365 (366);
Finanziamento socio qualificato – saldo dall’1/1/04 al 31/5/04 = € 500
GG durata finanziamento = 152 gg
Nuovo finanziamento 1/6/04 = € 20
Saldo complessivo = € 520
Durata saldo complessivo dall’1/6/04 al 31/12/04 = 214 gg
GG periodo d’imposta = 366 gg
Consistenza media = [(€ 500 x 152) + (€ 520 x 214)]/366 = € 512
A contrariis, nel caso di perdita della qualifica di socio qualificato i finanziamenti diventano
irrilevanti a partire da tale momento.
Analisi qualitativa – finanziamenti erogati
In sede di applicazione della “Thin capitalization” rilevano i finanziamenti dei soci e delle parti
correlate ovvero i rapporti giuridici in relazione ai quali vi sia un obbligo di restituzione del
denaro e delle altre cose fungibili oggetto di finanziamento.
In tal senso, non rilevano in alcun caso i versamenti soci a fondo perduto o in conto capitale
(manca qualsiasi obbligo di restituzione per il debitore).
Analisi qualitativa – finanziamenti erogati fruttiferi
I finanziamenti fruttiferi non concorrono alla determinazione della consistenza media a
condizione che la remunerazione media non sia superiore al tasso ufficiale di riferimento
maggiorato di un punto percentuale.
Esempio:
Finanziamenti infruttiferi 1.000 - Finanziamenti fruttiferi 1.500
a) TUS di riferimento: 2%
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b) Tasso medio di riferimento: 4%
c) 4%>(2%+1%) => nella determinazione della consistenza media dei finanziamenti va
considerato anche l’importo dei finanziamenti infruttiferi (1.000)
11.1.2. Osservazioni e valutazioni di casi particolari
11.1.2.1. RENUNERAZIONE DEI FINANZIAMENTI ECCEDENTI – ASSIMILAZIONE
AGLI UTILI DISTRIBUITI
L’assimilazione agli utili è prevista esclusivamente per le remunerazioni dei finanziamenti
eccedenti che sono direttamente erogati dal socio e dalle sue parti correlate e non anche per le
remunerazioni dei finanziamenti eccedenti erogati indirettamente e per quelli semplicemente
garantiti dal socio o dalle sue parti correlate, che continueranno ad essere trattati come interessi
attivi (v. anche Circolare n. 26/E, del 16/6/04, par. 2.6).
Posto che l’assimilazione della remunerazione indeducibile dei finanziamenti agli utili distribuiti
comporta che la tassazione di questi ultimi avvenga “per cassa” e non “per competenza”, occorre
che in sede di dichiarazione dei redditi venga effettuata una variazione in diminuzione nell’anno
della maturazione del provento (che pertanto viene escluso dalla tassazione) che andrà ripreso
nell’anno in cui gli interessi attivi vengono incassati con una variazione in aumento pari alla
quota imponibile del relativo ammontare
Qualora il finanziamento sia stato erogato da una parte correlata al socio qualificato (che non ha
alcuna partecipazione al capitale sociale della società finanziata), per stabilire la ritenuta
applicabile sui proventi riqualificati come utili si deve fare riferimento all’entità della
partecipazione (qualificata o non qualificata) detenuta dal socio qualificato al quale detta “parte”
risulta correlata (v. Circolare n. 26/E, par. 4.2).
Qualora invece i finanziamenti siano stati erogati sia dal socio qualificato che da sue parti
correlate, è necessario determinare la quota di utile (risultante dalla riclassificazione degli
interessi attivi) di competenza del socio qualificato e della sua parte correlata, in proporzione ai
rispettivi interessi maturati.
L’assimilazione agli utili distribuiti delle remunerazioni indeducibili relative a finanziamenti
direttamente erogati dal socio qualificato o da sue parti correlate comporta l’applicazione del
regime di esonero dalla ritenuta sui dividendi distribuiti a soggetti non residenti da parte di
soggetti residenti (v. regime “Madre-figlia” di cui all’art. 27-bis D.P.R. n. 600/73).
11.1.2.2. RAPPORTI CON ALTRE NORME SULLA INDEDUCIBILITA’ DEGLI INTERESSI
PASSIVI
La remunerazione dei finanziamenti eccedenti di cui all’art. 98, comma 1, Tuir deve essere
computata:
- al netto della quota di interessi indeducibili in applicazione dell’art. 3, comma 115, L. 28
dicembre 1995, n. 549 => nel caso in cui il tasso di rendimento effettivo sugli interessi ed
altri proventi delle obbligazioni e titoli similari sia superiore al doppio del tasso ufficiale
di rendimento (v. art. 26, comma 3, D.P.R. n. 600/73) gli interessi passivi eccedenti
l’importo derivante dall’applicazione di tale tasso sono indeducibili in sede di
determinazione del reddito d’impresa – Indeducibilità oggettiva;
- Idem con riferimento all’indeducibilità degli interessi passivi derivante dall’applicazione
della normativa sul “transfer pricing”;
- Legge Prodi (art. 7, D.L. 323/96) – il prelievo aggiuntivo del 20% deve essere applicato
sui proventi derivanti dai depositi di denaro, di valori mobiliari e di altri titoli diversi dalle
azioni e da titoli similari che persone fisiche residenti pongono a garanzia di finanziamenti
erogati a imprese residenti. Ai fini della “Thin cap” l’AdE afferma che devono essere
assoggettati a tale prelievo solo i proventi corrisposti a favore di soci qualificati e di loro
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-
parti correlate, persone fisiche, a fronte di depositi di denaro, di valori mobiliari e di altri
titoli diversi dalle azioni e da titoli similari posti dagli stessi a garanzia dei finanziamenti
erogati all’impresa residente. Al riguardo, non è chiaro il motivo per cui la circolare
circoscriva il prelievo in esame ai soli soci qualificati e relative parti correlate. Il prelievo
Prodi non si riferisce affatto a tali soggetti ma più genericamente interessa tutte le persone
fisiche residenti che garantiscono finanziamenti erogati a imprese residenti. Il prelievo
riguarda i proventi maturati nei periodi d’imposta dell’impresa finanziata che iniziano a
decorrere dal 1° gennaio 2004 e si applica esclusivamente alla quota di detti proventi che
corrisponde al rapporto fra finanziamenti erogati o garantiti che risultano non eccedenti la
soglia prevista e l’intero importo dei finanziamenti erogati o garantiti. Il sostituto
d’imposta dovrà continuare ad applicare il prelievo del 20% sull’intero importo dei
proventi corrisposti in relazione ai depositi a garanzia, in quanto all’atto dell’erogazione
degli interessi non è possibile conoscere l’esatto importo cui assoggettare il prelievo.
L’Agenzia delle entrate, nella circolare n. 11/E, afferma che a decorrere dal periodo
d’imposta successivo a quello di effettuazione del prelievo, al percettore sia riconosciuto
un credito d’imposta (utilizzabile in compensazione), che deve essere debitamente
certificato dal soggetto che eroga i proventi… Problema: Ci si chiede sulla base di
quale norma viene chiesto ai sostituti d’imposta di certificare la spettanza di un credito
d’imposta ai propri clienti sulla scorta della dichiarazione dei redditi da questi presentata.
Si ritiene che gli intermediari possano al massimo attestare l’ammontare della ritenuta
applicata alla stregua di quanto avviene ad esempio per l’imposta sostitutiva di cui all’art.
6, D.Lgs. n. 461/97.
La “Thin cap” si applica anche con riferimento agli interessi capitalizzati sostenuti per il
finanziamento di determinati beni. In particolare:
Gli interessi passivi - ricompresi nel costo dei beni materiali e immateriali
strumentali per l’esercizio dell’impresa (fino al compimento della loro
entrata in funzione e per la quota ad essi imputabile) – sostenuti per la loro
fabbricazione interna o presso terzi, nonché gli interessi passivi sui prestiti
contratti per la loro acquisizione, a condizione che gli stessi siano imputati
nel bilancio ad incremento del costo stesso;
Gli interessi passivi su prestiti contratti per la costruzione o ristrutturazione
di immobili alla cui produzione è diretta l’attività dell’impresa, a
condizione che gli stessi siano imputati nel bilancio ad incremento del
costo stesso.
11..1.2.3. CAPACITA’ DI CREDITO – PROVA CONTRARIA
L’istituto della “Thin capitalization” non si applica (e quindi vi è piena deducibilità degli interessi
passivi) nel caso in cui la società dimostri che il finanziamento erogato o garantito dai soci o dalle
sue parti correlate è giustificato dalla oggettiva capacità di ottenere credito con la sola garanzia
del proprio patrimonio sociale e che lo stesso sarebbe comunque stato erogato anche da terzi
finanziatori.
Non è possibile disapplicare la “Thin capitalization” proponendo istanza di interpello ai sensi
dell’art. 37-bis, comma 8, DPR n. 600/73.
Requisito capacità di credito => patrimonio sociale congruo in relazione all’importo e alle
caratteristiche del finanziamento ricevuto (vedi condizioni soggettive del contribuente)
L’Agenzia delle Entrate precisa che il patrimonio sociale si differenzia dal mero valore contabile
del PN in quanto ricomprende le attività, le passività e il PN dell’impresa, considerati al loro
valore corrente, nonché le attività e le passività potenziali connesse agli impegni e ai rischi
assunti.
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Occorre valutare l’effettiva capacità di credito insita nel patrimonio sociale, rilevando in
proposito ogni elemento utile, idoneo a comprovare la sussistenza dei requisiti richiesti per
l’esimente
Non sono idonee a certificare la capacità di credito del soggetto finanziato:
- Le certificazioni rilasciate dalle banche;
- Le perizie contabili rese da professionisti;
- Si ritiene che tale capacità esista laddove il finanziamento venga raccolto tramite:
l’emissione di un prestito obbligazionario, tenuto conto delle garanzie
previste dal codice civile per l’emissione di tali titoli (v. limite
all’emissione pari al doppio della somma del capitale sociale, della riserva
legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato;
divieto di distribuire riserve o ridurre il capitale sociale fino a che la loro
somma non superi l’ammontare delle obbligazioni ancora in circolazione
etc..). Altra ragione ovvia di tale previsione nasce dalla considerazione che
le obbligazioni sono titoli al portatore per i quali sarebbe stato alquanto
difficoltoso associare al relativo possessore la qualifica di socio o parte
correlata;
il rilascio in pegno da parte dei soci delle azioni della stessa società
(garanzia data dalla valutazione del corrispettivo che si otterrebbe con la
vendita delle azioni stesse)
11.2. Il pro-rata patrimoniale
Con l’articolo 97 del Tuir, in attuazione dell’articolo 4 della legge delega n. 80 del 7 aprile 2003,
viene introdotto un particolare pro-rata di indeducibilità degli interessi passivi specificamente
riferito all’ipotesi in cui l’impresa possegga delle partecipazioni che si qualificano per l’esenzione
(cd. participation exemption).
Le regole del pro-rata partecipativo sono disciplinate, da un punto di vista generale, nell’ambito
del titolo II, Capo II, Sezione I; le particolarità applicative per le imprese individuali e per le
società di persone sono disciplinate nell’articolo 62 e 58, comma 2.
Ambito soggettivo di applicazione
La disposizione in esame si applica:
- alle persone fisiche titolari di reddito d’impresa,
- alle società di persone,
- alle società di capitali e enti commerciali
- che, al termine del periodo d’imposta, posseggono partecipazioni che si connotano per
l’esenzione ai sensi dell’articolo 87 del Tuir.
La disciplina non risulta applicabile alle imprese che determinano il reddito in base alle
disposizioni dell’articolo 66 del nuovo Tuir, ossia alle imprese in contabilità semplificata e a
quelle che determinato il reddito con criteri forfetari.
Ambito oggettivo di applicazione
Soddisfano i requisiti oggettivi di applicazione della disciplina in oggetto le partecipazioni di cui
all’articolo 87 del Tuir, ossia quelle partecipazioni che sono:
- iscritte nelle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio in cui si è acquisita la
partecipazione;
- possedute ininterrottamente dal primo giorno del dodicesimo mese precedente la cessione;
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-
esercizio da parte della partecipata di un’impresa commerciale ai sensi del disposto
dell’articolo 55 del Tuir;
- residenza fiscale della partecipata in uno stato o territorio diversi da quelli della black list
ovvero dimostrazione, mediante esercizio dell’interpello, che dalle partecipazioni non si è
conseguito l’effetto di localizzare i redditi in stati e territori a regime fiscale privilegiato
Non devono esser considerate, ai fini dell’applicazione della disciplina in oggetto:
- le partecipazioni in società controllate incluse nel consolidato fiscale (disciplinato dagli
articoli da 117 a 143); per effetto di quanto disposto dal combinato disposto degli articoli
97, comma 2 e 124, comma 1, lett.a), in materia di consolidato nazionale, nel caso in cui il
requisito del controllo cessi, per qualsiasi motivo, prima del triennio di validità
dell’opzione per la partecipazione al consolidato, il reddito dell’ente o società controllante
per il periodo d’imposta in cui viene meno il requisito medesimo, deve essere aumentato
di un importo corrispondente agli oneri finanziari dedotti nei precedenti esercizi del
triennio, per effetto di quanto previsto dall’articolo 97 che disciplina, appunto, il pro-rata
partecipativo.
- le partecipazioni in società in cui il reddito è tassato per trasparenza in capo ai soci
(disciplina contenuta negli articoli 115 e 116); in base a quanto precisato nel n. 2, lett. b),
comma 2 dell’articolo 97, se entro il terzo anno successivo all’acquisto dovesse avvenire
la cessione di tali partecipazioni, il reddito imponibile deve essere rettificato in aumento
dell’importo corrispondente a quello degli interessi passivi dedotti nei precedenti esercizi
per effetto dell’esclusione delle partecipazioni in argomento dal pro-rata partecipativo.
Anche in questa ipotesi si tratta di rideterminare, ora per allora, il pro-rata partecipativo e
individuare la (maggior) quota di interessi passivi netti indeducibili.
La conseguente rettifica dell’imponibile deve avvenire nel periodo d’imposta in cui si verificano
le fattispecie sopra indicate.
Modalità di calcolo
In presenza di partecipazioni rilevanti ai fini del nuovo pro-rata di indeducibilità degli interessi
passivi al netto degli interessi attivi che soddisfano i requisiti soggettivi ed oggettivi di cui sopra,
la partecipante deve individuare il valore complessivo di libro delle predette partecipate così
come risulta dal proprio attivo di stato patrimoniale e raffrontarlo al proprio patrimonio netto
contabile.
- Se il patrimonio netto contabile è maggiore del valore di libro delle partecipazioni esenti
non si verifica il presupposto per la rettifica degli oneri finanziari:
PN > Valore libro Partecipazione
non si rettificano gli oneri finanziari
-
Se il patrimonio netto contabile, viceversa, è inferiore al valore di libro delle predette
partecipazioni, si verifica il presupposto per la rettifica degli oneri finanziari.
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PN < Valore libro Partecipazione
si rettificano gli oneri finanziari come segue:
1. Individuare l’eccedenza del valore di libro di tutte le partecipazioni esenti rispetto al
patrimonio netto contabile;
2. calcolare il residuo attivo di bilancio, costituito dalla differenza tra il totale attivo di Stato
patrimoniale da un lato e l’importo delle partecipazioni “annullato” dal patrimonio netto
aumentato dei debiti commerciali dall’altro;
3. rapportare l’eccedenza “non finanziata” dal PN con il residuo attivo di stato patrimoniale.
Ne emerge una percentuale.
4. applicare la percentuale al totale degli interessi passivi (al netto degli interessi attivi) per
individuare la quota di essi indeducibile.
I debiti commerciali partecipano alla formula riducendo il denominatore e quindi aumentano la
percentuale di indeducibilità degli interessi: l’intento perseguito dal legislatore consiste
nell’evitare che l’impresa economicamente dominante, piuttosto che finanziarsi mediante
indebitamento bancario che produce interessi passivi (in parte indeducibili), allunghi i tempi di
pagamento nei confronti dei propri fornitori.
Merita di essere ricordato che le disposizioni del presente articolo si applicano sulla quota di
interessi passivi che residua dopo l’applicazione delle disposizioni dell’art. 96 che disciplina la
thin capitalization, ossia l’indeducibilità degli interessi passivi relativi ai finanziamenti erogati o
garantiti dai soci, mentre precede quella stabilita dalle disposizioni contemplate nell’art. 96 in
materia di pro-rata generale.
Il pro-rata partecipativo nelle imprese individuali e nelle società di persone
Con riferimento alle società di persone ed alle imprese individuali, i presupposti per
l’applicazione della pro-rata ed il suo meccanismo applicativo non si discostano rispetto alle
società di capitali e così anche il meccanismo applicativo, salvo alcuni aspetti specificamente
disciplinati al fine di tenere in giusta considerazione le caratteristiche di questi soggetti passivi
d’imposta. In particolare:
- l’articolo 62 prevede che ai fini dell’applicazione dell’articolo 97, comma 1, il valore di
libro delle partecipazioni di cui all’articolo 87, rileva nella stessa percentuale di cui
all’articolo 58, comma 2 secondo cui “[…] le plusvalenze di cui all’articolo 87 non
concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti limitatamente al 60 per
cento del loro ammontare”.
- non risulta applicabile ai soggetti in argomento la disposizione che prevede la non
rilevanza, ai fini del pro-rata, delle partecipazioni esenti che determinano il reddito per
trasparenza ai sensi dell’articolo 115, in quanto ai sensi di quest’ultimo articolo tutti i soci
debbono essere società di capitali.
- resta confermato per questi soggetti che, se nel corso del periodo d’imposta la Pex, società
di capitali, dovesse distribuire dividendi, gli interessi passivi netti indeducibili per effetto
del pro-rata sono resi deducibili per un importo pari ai dividendi imponibili erogati dalla
Pex.
10.3. Il pro-rata generale di indeducibilità degli interessi passivi
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La disciplina contenuta nel novellato articolo 96 del Tuir riprende la disposizione contenuta
nell’articolo 63 del vecchio Tuir il quale stabiliva che nella determinazione del reddito d'impresa
gli interessi passivi sono deducibili limitatamente alla parte corrispondente al rapporto tra
l'ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l'ammontare
complessivo di tutti i ricavi e proventi, previa, a seconda dei casi, l'esclusione ovvero l'inclusione
di determinati componenti positivi specificatamente previsti dal legislatore.
Il novellato articolo 96 del Tuir, contenuto nell’ambito delle disposizioni dell’IRES, pur
riprendendo nella sostanza le disposizioni del citato articolo 63, le modifica adattandole e
coordinandole con le nuove disposizioni introdotte dalla riforma (i.e. la participation exemption,
la non imponibilità dei dividendi societari) al fine di fare in modo che, se l’impresa produce dei
componenti positivi che non concorrono alla formazione del reddito (ad. esempio perché esenti
ovvero non imponibili), una parte dell’indebitamento oneroso contratto dall’impresa è al
“servizio” dell’attività non tassata. Per questo motivo il legislatore, con presunzione assoluta, ha
disposto che la parte di interessi passivi percentualmente riferibili all’attività non imponibile sia
specularmene resa indeducibile ai fini delle imposte sui redditi. Tale presunzione, come detto,
non ammette alcuna prova contraria.
Il meccanismo limitativo
La corretta definizione del rapporto di deducibilità degli interessi passivi, da individuarsi a
consuntivo in base agli elementi riferibili all’intero periodo d’imposta, è stata oggetto di
chiarimento da parte del Ministero delle finanze, con C.M. 18 febbraio 1986, n. 4 in cui è stata
fornita la seguente formula:
A : B = X : 100
dove:
-
A indica l'ammontare dei (soli) ricavi ed altri proventi che concorrono a formare il reddito
d'impresa;
B l'ammontare di tutti (indistintamente) i ricavi e proventi, compresi quelli costituiti da
redditi esenti o non imponibili;
X la percentuale degli interessi deducibili da individuare.
Merita di essere ricordato che il meccanismo limitativo alla deducibilità degli interessi passivi si
applica, per espressa disposizione normativa contenuta nel comma 1 dell’articolo 96 sulla quota
di interessi passivi che residua dopo l’applicazione della thin capitalization di cui all’art. 98 e del
pro-rata patrimoniale partecipativo di cui all’art. 97.
Il comma 2 dell'articolo 96, oltre ad indicare in modo specifico i ricavi e i proventi che
concorrono alla formazione del rapporto di deducibilità in parola, stabilisce, relativamente ad
alcuni di essi, i limiti in cui gli stessi rilevano ai fini del rapporto di deducibilità, ossia come
devono essere trattati rispetto al numeratore e al denominatore che individua la frazione da cui
scaturisce la percentuale:
-
non si tiene conto delle sopravvenienze attive accantonate a norma dell’ articolo 88, dei
proventi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva e dei saldi
di rivalutazione monetaria che per disposizione di legge speciale non concorrono a
formare il reddito;
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-
i ricavi derivanti da cessioni di titoli e di valute estere si computano per la sola parte che
eccede i relativi costi e senza tenere conto delle rimanenze;
le plusvalenze realizzate si computano per l'ammontare che a norma dell'articolo 86
concorre a formare il reddito dell'esercizio;
le plusvalenze di cui all’articolo 87, si computano per il loro intero ammontare;
gli interessi di provenienza estera ed i dividendi si computano per l’intero ammontare
indipendentemente dal loro concorso alla formazione del reddito;
i proventi immobiliari di cui all'articolo 90 si computano nella misura ivi stabilita;
le rimanenze di cui agli articoli 92 e 93 si computano nei limiti degli incrementi formati
nell'esercizio.
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I.A.12. La valutazione delle partecipazioni sociali e il regime delle plusvalenze derivanti
dalla cessione di partecipazioni sociali (participation exemption)
Secondo il disposto normativo di cui all’articolo 2426 del codice civile la valutazione delle
partecipazioni sociali assume connotati differenti in relazione al fatto che facciano o meno
riferimento ad imprese controllate o collegate.
Criterio guida previsto per la valutazione delle partecipazioni, sia che siano riclassificate tra le
immobilizzazioni finanziarie, che nell’attivo circolante è quello del costo di acquisto o di
produzione (articolo 2426 del codice civile, rispettivamente commi 1 e 9).
Tuttavia il comma 4 prevede, relativamente alle immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in
imprese controllate o collegate, la possibilità di iscrivere in bilancio un valore pari alla
corrispondente frazione del patrimonio netto di dette società risultante dall’ultimo bilancio
approvato.
In questo caso la disciplina fiscale coincide con quella civilistica, pertanto, in sede di calcolo del
reddito imponibile, non ci saranno da operare variazioni in aumento o in diminuzione.
12.1 Trattamento fiscale delle plusvalenze
Relativamente al regime fiscale delle plusvalenze derivanti dalla cessione delle immobilizzazioni
finanziarie occorre fare riferimento agli articoli 86 ed 87 del Testo Unico.
Infatti se da un lato a norma dell’articolo 86, il maggior corrispettivo pattuito per la vendita
(rispetto al costo sostenuto per l’acquisto) costituisce la plusvalenza da assoggettare a tassazione,
dall’altro, secondo quanto disposto dal successivo articolo 87, in particolari condizioni è possibile
che le plusvalenze derivanti dalla cessione di immobilizzazioni finanziarie vengano esentate
dall’imposizione fiscale.
Possono accedere a tale istituto i soggetti passivi Ires di cui all’articolo 73 del T.U.I.R., e le
società di persone e persone fisiche titolari di redditi d’impresa (per espresso rinvio del comma 2
dell’articolo 58 alle disposizioni di cui all’articolo 87). Per quanto concerne le società di capitali
l’esenzione sarà totale, mentre per gli altri è previsto un regime di esenzione parziale (60%).
Vediamo ora in dettaglio i requisiti necessari affinché la partecipazione possa godere di tale
regime privilegiato.
Si distinguono due categorie di requisiti, ovvero requisiti di carattere oggettivo e requisiti di
carattere soggettivo; i primi sono da verificare in capo alla società partecipata, mentre i secondi in
capo alla società partecipante.
Quanto alla prima categoria, a norma del comma 1, lettera a) dell’articolo 87, è necessario che vi
sia possesso ininterrotto della partecipazione per i dodici mesi precedenti alla cessione (ai fini
della determinazione del periodo di possesso si considerano cedute prima quelle acquistate per
ultime). A tal proposito, con la circolare n° 36/E del 04/08/2004, è stato chiarito dall’Agenzia
delle Entrate che l’adozione del criterio del Lifo è funzionale alla sola determinazione delle
partecipazioni che possono fruire della participation exemption. Pertanto le società saranno libere
di adottare eventuali altri criteri per la determinazione del costo della partecipazione.
Sempre al primo comma, lettera b) è previsto l’ulteriore requisito relativo alla collocazione in
bilancio della partecipazione; la stessa deve, infatti, essere ricompresa nella voce B.III dello stato
patrimoniale (quindi tra le immobilizzazioni finanziarie) nel primo bilancio chiuso nel periodo di
possesso. Anche in questo caso ci sono stati dei chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate
che, nella stessa circolare, ha evidenziato come sia fondamentale il primo anno di iscrizione.
Infatti qualora in momenti successivi vengano effettuate delle variazioni rispetto alla
riclassificazione originaria, le stesse saranno irrilevanti ai fini dell’ottenimento dell’esenzione
della plusvalenza. Sempre nella stessa circolare viene inoltre chiarita l’esclusione da tale istituto
da parte dei soggetti in contabilità semplificata. Tali soggetti non sono obbligati alla redazione del
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bilancio d’esercizio con la conseguenza dell’impossibilità di poter verificare il possesso dei
requisiti previsti dalla legge.
Ulteriore condizione per poter usufruire dell’istituto è quello della residenza fiscale del soggetto
partecipato, infatti come disposto dalla lettera c) del comma 1 dell’articolo 87, è necessario che
esso non risieda in uno Stato a regime fiscale privilegiato di cui al decreto ministeriale del 21
novembre 2001 e successive modificazioni (cosiddetta “black-list”), tale requisito deve essere
posseduto ininterrottamente nel triennio precedente a quello del realizzo indipendentemente dal
fatto che la partecipazione sia stata posseduta per un periodo inferiore.
Tuttavia anche qualora il soggetto partecipato risieda fiscalmente in un Paese appartenente alla
black-list, è comunque possibile ottenere l’esenzione d’imposta per la plusvalenza realizzata a
seguito di risposta positiva ad istanza d’interpello.
Attraverso questo istituto, cui si può accedere secondo le modalità di cui all’articolo 167 comma
5 lettera b) del T.U.I.R., il soggetto partecipante è chiamato a dimostrare che almeno dall’inizio
del terzo periodo d’imposta antecedente alla cessione, non si sia ottenuto l’effetto di localizzare
redditi in Paesi con regime fiscale privilegiato.
Nello specifico sempre la circolare 36/E precisa che è necessario dimostrare che i redditi della
partecipate sono stati prodotti in misura non inferiore al 75% in Paesi differenti da quelli inclusi
nella black-list e siano ivi assoggettati integralmente a tassazione ordinaria.
Infine, ultimo requisito da verificare in capo alla partecipata è quello dell’esercizio di impresa
commerciale, come definita ai sensi dell’articolo 55 del Testo Unico.
In questo caso, come per il precedente, il possesso del requisito deve essere ininterrotto almeno a
partire dall’inizio del terzo periodo d’imposta antecedente alla cessione (articolo 87 comma 2); a
tal proposito è intuibile la finalità antielusiva volta ad evitare che venga prevista l’operatività
della società solo in prossimità della vendita della partecipazione.
Anche per questo requisito ci sono stati dei chiarimenti forniti dalla circolare 36/E, che ha
precisato che, nel caso in cui la partecipata sia stata costituita da un periodo inferiore al triennio
previsto dalla Legge, la commercialità sia da riferirsi “al minor periodo intercorso tra l’atto
costitutivo e la cessione della partecipazione”.
Il legislatore ha peraltro previsto due fattispecie che derogano a questo requisito oggettivo; infatti
la commercialità della partecipata diventa irrilevante qualora i titoli della stessa (nello specifico la
circolare 36/E ha specificato che trattasi di titoli azionari) siano quotati in mercati regolamentati.
Parallelamente, nel caso in cui il patrimonio della partecipata sia costituito prevalentemente da
immobili non strumentali, il requisito della commercialità non ricorre per presunzione assoluta.
Non rientrano nel computo gli immobili al cui scambio o produzione è diretta l’attività d’impresa,
gli impianti ed i fabbricati strumentali.
La ratio della norma risiede nella necessità di voler impedire che la cessione di una
partecipazione in una società immobiliare nasconda il trasferimento di beni in regime di
esenzione.
Ulteriori chiarimenti in merito al possesso del requisito della commercialità nel caso in parola
sono stati forniti dalla circolare 10/E del 16/03/2005, che precisato che lo stesso sussiste qualora a
partire dall’inizio del terzo periodo d’imposta antecedente il realizzo della plusvalenza il
patrimonio della partecipata non sia mai stato costituito in prevalenza da immobili non
strumentali o che al cui scambio o produzione non sia diretta l’attività dell’impresa.
Nel caso in cui la partecipata sia una holding, ovvero una società avente come oggetto esclusivo o
prevalente delle propria attività l’acquisto di partecipazioni occorre fare riferimento a quanto
previsto dal comma 5.
Infatti in questo caso, ai fini del rispetto dei requisiti oggettivi di residenza fiscale e di
commercialità devono essere verificati non solo in capo alla partecipata, ma anche, in capo alle
partecipate dalla holding.
Tuttavia con la circolare 10/E dell’agenzia delle Entrate è stato specificato che l’attività
prevalente o esclusiva di assunzione delle partecipazioni deve essere verificata solo al momento
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della cessione della partecipazione, in quanto il vincolo temporale del triennio previsto dal
comma 2 dell’articolo 87 è previstoselo per i requisiti di cui alle lettere c) e d).
12.2 Strumenti finanziari che generano plusvalenze
Come disciplinato dal comma 3 dell’articolo 86, rientrano nel novero delle partecipazioni, gli
strumenti finanziari la cui remunerazione è costituita interamente dalla partecipazione al risultato
economico della società emittente. A tal proposito nello stesso comma vengono citati i contratti di
cui all’articolo 109 comma 9 lett. b), ovvero quelli di associazione in partecipazione e di
cointeressenza (disciplinati, rispettivamente, agli articoli 2549 e 2554 del codice civile).
La plusvalenza emerge in caso di cessione del contratto. Tuttavia è necessario precisare che
relativamente ai contratti di associazione in partecipazione, in quanto caratterizzati dall’intuitu
personae, è scarsamente plausibile una fattispecie di cessione.
Quanto ai contratti di cointeressenza, è possibile realizzare una plusvalenza solo nel caso di
cointeressenza impropria (fattispecie che prevede apporto senza partecipazione alle perdite).
Infatti, come rilevato dalla circolare ministeriale 26/E del 16/06/2004, i contratti di cointeressenza
propri (ovvero senza apporto), non essendo riconducibili, alla disciplina dei contratti di
associazione in partecipazione, vengono di fatto esclusi dalla possibilità di generare plusvalenze
ex articolo 87.
12.3 Distribuzione di utili e riserve di capitali
A norma del comma 6, qualora vi sia distribuzione di riserve di capitali, nel caso in cui sussistano
i presupposti di esenzione per la partecipazione, non vi è tassazione per il socio sulla differenza
tra il valore normale del bene ricevuto ed il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione.
La ratio della norma è quella di riconoscere la stessa esenzione beneficiabile in sede di cessione
della partecipazione, alla situazione in cui la distribuzione di riserve faccia emergere un reddito
imponibile.
Dall’analisi della lettera della disposizione, sembrerebbe inoltre che alla stessa conclusione
potrebbe giungersi anche nel caso in cui la somma restituita non presenti natura di capitale.
È questo il caso della distribuzione di riserve di utili nel caso della riduzione del capitale cui siano
state precedentemente imputate le stesse riserve. Infatti, in presenza delle condizioni di cui al
comma 1 dell’articolo 87, l’esenzione trova applicazione anche sulla differenza tra somme
ricevute a titolo di ripartizione del capitale e valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione.
Pertanto sembrerebbe che potrebbe verificarsi una disparità di trattamento nel caso di
distribuzione di utili (che scontano una tassazione del 5%), rispetto alla fattispecie in cui la stessa
distribuzione avvenga sotto forma di riduzione del capitale.
Il punto è stato peraltro trattato nella Relazione Governativa in cui si affermava che anche nei casi
di cui all’articolo 87 comma 6, qualora vi sia riduzione di capitale, precedentemente aumentato
con riserve di utili, si ha la tassazione del dividendo. Tuttavia è d’obbligo precisare, che se pur
condivisibile, tale passaggio non trova comunque adeguato supporto dal testo normativo.
Eccezion fatta per il caso esaminato, l’esenzione è condizionata dalla natura delle riserve che
vengono distribuite e non spetta per quelle appartenenti alla categoria di quelle di utili.
12.4 Operazioni straordinarie
12.4.1 Conferimento
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Nell’ambito dell’operazione straordinaria del conferimento, la fattispecie del conferimento
neutrale ex articolo 176 del TUIR assume rilevanza anche ai fini delle plusvalenze esenti ex
articolo 87.
Infatti per effetto del principio di continuità, di cui al comma 4 dell’articolo 176, le partecipazioni
ricevute per effetto dei conferimenti, si intendono iscritte nell’attivo, quali immobilizzazioni
finanziarie, a partire dalla data in cui gli stessi erano detenuti.
In caso di conferimento di azienda, le partecipazioni ricevute sono iscritte nell’attivo
immobilizzato a far data dal possesso dell’azienda conferita. Pertanto la partecipazione potrebbe
essere ceduta anche immediatamente dopo il conferimento in regime di esenzione, senza dover
attendere il decorso del periodo minimo richiesto ex articolo 87 comma 1 lett a).
Parimenti è da segnalare che nel caso di conferimento di partecipazioni, oltre alla componente
temporale viene ereditata anche la componente contabile. Quindi non sarà possibile poter
usufruire del regime di esenzione nel caso in cui tali partecipazioni siano state iscritte nell’attivo
circolante.
Con riguardo ai requisiti oggettivi che disciplinano l’esenzione (commercialità, di cui si è detto
nel paragrafo 12.1) è da segnalare che il caso di conferimento d’azienda che ne abbia il possesso,
nei confronti di altro soggetto che ne sia sprovvisto. In tale fattispecie il soggetto conferitario
acquisirà il requisito dell’esercizio di impresa commerciale retroattivamente.
12.4.2 Fusione
Dal punto di vista della società partecipante l’operazione straordinaria di fusione non ha
particolari risvolti sui requisiti oggettivi della partecipazione. Sul punto è intervenuta la circolare
ministeriale 36/04 che estende anche alla fusione ed alla scissione le stesse conclusioni raggiunte
in tema di conferimento neutrale, in quanto tali operazioni “…Realizzano un effetto di sostanziale
successione tra soggetti secondo caratterizzazioni di neutralità fiscale.”
Anche in questa fattispecie restano però ferme, ai fini fiscali, le qualifiche soggettive delle
partecipazioni ante fusione. Pertanto una eventuale modifica della collocazione contabile delle
stesse avrà effetti soltanto in ambito civilistico.
Dal punto di vista della società partecipata è possibile che si verifichino delle conseguenze con
riguardo ai requisiti oggettivi che caratterizzano la disciplina dell’esenzione, ed in particolare
quello della commercialità.
La posizione presa dalla circolare ministeriale 36/04 fa ritenere che detto requisito venga a
manifestarsi qualora la maggior parte del patrimonio della nuova società derivi da quello di
società commerciali. Allo stesso modo dicasi per il correlato requisito temporale, non è
necessario che si manifesti sulla società di nuova costituzione, ma è sufficiente che lo stesso sia
detenuto dalla società prevalente.
12.4.3 Scissione
Relativamente a quest’ultima operazione straordinaria occorre focalizzare l’attenzione sullo status
delle partecipazioni scaturenti da tale operazione che potrebbero assumere connotati differenti
rispetto alla scissa con riferimento ai requisiti di commercilaità e residenza.
Inoltre conseguenze potrebbero manifestarsi anche in relazione al periodo di decorrenza triennale
dei requisiti. Punto di partenza è la società scissa: se essa presenta i requisiti oggettivi, essendo
decorso il triennio già al momento della scissione, le partecipazioni nelle beneficiarie
commerciali presentano l’esenzione immediatamente, in caso contrario le partecipazioni ricevute
potranno beneficiare del regime dell’esenzione solo decorsi tre anni dall’atto di scissione.
Unica eccezione in merito si realizza nel caso in cui la beneficiaria sia precostituita ed abbia un
patrimonio commerciale prevalente su quello “non commerciale” apportato dalla scissione.
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I.B. I DIVERSI REGIMI DI DETERMINAZIONE DEL REDDITO DELLE SOCIETA’ E
DELL’OBBLIGAZIONE D’IMPOSTA
I.B.13. Le società di comodo (dormant company)
(a cura di Norberto Villa)
La norma che regola il fenomeno delle società non operative è l’articolo 30 della Legge del 23
dicembre 1994, n. 724, il cui contenuto è stato integralmente innovato dall’articolo 3, commi da
37 a 45 della Legge del 23 dicembre 1996, n. 662 (Legge Finanziaria 1997), integrato a sua volta
dal D.L. n. 50 del 1997 che ha introdotto un ulteriore caso di esclusione dalla disciplina in esame
con riguardo ai soggetti societari con un numero di soci non inferiore a 100.
Ulteriori chiarimenti circa l’applicazione delle nuove disposizioni sono stati forniti
successivamente dal Ministero delle Finanze con la circolare 48/E del 26 febbraio 1997.
La disciplina delle società di comodo è inoltre commentata dalla circolare Assonime nr. 46 del 22
aprile 1997.
SOGGETTI INTERESSATI
1. società per azioni;
2. società in accomandita per azioni;
3. società a responsabilità limitata;
4. società in nome collettivo;
5. società in accomandita semplice;
6. soggetti equiparati ai sensi dell’articolo 5 del TUIR (società di armamento e società di
fatto);
7. società ed enti di ogni tipo non residenti con stabile organizzazione nel territorio dello
stato.
Le verifiche e gli accorgimenti che devono essere seguiti dal contribuente sono:
individuazione soggettiva: occorre verificare se il contribuente rientra tra i soggetti
ai quali si applica la disciplina delle società non operative;
determinazione dei ricavi presunti: sono tali quelli ipoteticamente ritraibili dagli
“investimenti” posseduti dall’impresa e che vengono determinati, come vedremo,
applicando agli stessi diversi coefficienti di rendimento;
confronto dei ricavi presunti con i ricavi effettivamente rilevati dal soggetto
passivo;
qualora i ricavi effettivi risultino inferiori a quelli presunti la società non operativa
deve procedere alla determinazione del reddito minimo presunto determinato applicando
appositi coefficienti di redditività allo stesso valore degli elementi dell’attivo rilevanti ai
fini della determinazione dei ricavi presunti.
1.1. PRESUPPOSTO SOGGETTIVO
La disciplina delle società di comodo ricomprende al suo interno non solo soggetti passivi Ires ma
anche le società commerciali residenti di tipo personale e quelle ad esse equiparate ai sensi
dell’articolo 5 del TUIR.
Le società non residenti sono assoggettate alla disciplina delle società di comodo soltanto se sono
dotate di stabile organizzazione nel territorio Italiano: quelle società che siano prive di tale stabile
organizzazione (per esempio, le immobiliari non residenti), in quanto non produttive di reddito
d’impresa, non possono essere destinatarie della disciplina in oggetto.
Esistono però delle eccezioni.
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Non rientrano infatti nell’ambito soggettivo di applicazione del provvedimento, oltre alle imprese
individuali ed ai non produttori di redditi d’impresa, anche:
- le società cooperative e di mutua assicurazione, gli enti commerciali e non commerciali
residenti, ciò in quanto tali soggetti non sono espressamente richiamati dalla norma tra i
soggetti destinatari della disciplina in esame;
- le società consortili, in quanto si riscontra il medesimo scopo mutualistico che caratterizza
le società cooperative e quelle di mutua assicurazione.
CASI DI ESCLUSIONE
La disciplina delle società non operative elenca una serie di condizioni il cui verificarsi comporta
la non applicazione automatica della normativa in esame senza che occorra a tal fine fornire la
prova contraria.
Rimangono pertanto estranei applicazione della disciplina sulle società non operative:
1. i soggetti ai quali, per la particolare attività svolta, è fatto obbligo di costituirsi sotto forma
di società di capitali;
2. i soggetti che non si trovano in un periodo di normale svolgimento dell’attività;
3. le società in amministrazione controllata o straordinaria, relativamente ai periodi di
imposta interessati da tali procedure;
4. i soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta. Al riguardo, il Ministero delle
Finanze, con la circolare 48/E, ha precisato che: “...il primo periodo d’imposta è quello di
inizio di attività, coincidente con l’apertura della partita IVA, a prescindere dall’inizio
dell’attività produttiva”;
5. le società esercenti pubblici servizi di trasporto;
6. le società e gli enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani;
7. le società con un numero di soci non inferiore a 100.
Al “semplice” verificarsi di tali eventi, i soggetti interessati possono determinare le imposte sul
proprio reddito, senza attribuire alcuna importanza alla determinazione del reddito minimo
imponibile.
Relativamente alle cause di esonero sopra indicate osserviamo quanto segue:
A..Soggetti ai quali è fatto obbligo di costituirsi sotto forma di società di capitali
Il Ministero delle Finanze, al fine di evitare errate interpretazioni circa l’inquadramento della
categoria, ha fornito un’elencazione dei soggetti che, in quanto obbligati a rivestire tale veste
giuridica, sono esclusi dalla disciplina delle società non operative. Sono pertanto da includere in
tale ambito:
- le società finanziarie, indicate nell’articolo 106 del D.Lgs. 385/’93 (Testo Unico della
legge bancaria), per le quali vige l’obbligo di iscrizione in un apposito elenco generale
tenuto dal Ministro del tesoro;
- i centri autorizzati di assistenza alle imprese e ai lavoratori dipendenti (CAA) istituiti
dall’articolo 78 della L. 413/’91;
- le società sportive che, dovendo stipulare contratti con atleti professionisti, sono costituite,
secondo le disposizioni dell’articolo 10 della L. 23/03/’81, n. 91, nella forma di società
per azioni o di società a responsabilità limitata;
- le società per azioni costituite dagli enti locali territoriali ai sensi dell’articolo 22 della L.
8/06/’90, n. 142 e dell’articolo 12, comma 1, della L. 23/12/’92, n. 498 (società a capitale
misto pubblico - privato).
- A questo elenco vanno inoltre ad aggiungersi:
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-
le banche, che ai sensi dell’articolo 14, c. 1, del D.Lgs. 385/’93, devono costituirsi sotto
forma di società per azioni o di società cooperative per azioni;
le società di factoring (articolo 1, c, 1, lett. A), D.m. 12/05/’92, n. 349);
le imprese di assicurazione (articolo 7, c. 1, D.Lgs. 175/’95 e articolo 5, c.1, D.Lgs.
174/’95);
le SICAV (articolo 1, c.1, L. 84/’92);
le società di intermediazione mobiliare (articolo 2, lett. A), L.1/’91);
gli organismi preposti all’attività di organizzazione e gestione di mercati regolamentati di
strumenti finanziari che, ai sensi dell’articolo 46 del D. Lgs. 415/’96, devono costituirsi
sotto la forma di società per azioni.
B. Periodo di non normale svolgimento di attività
La presenza di alcune tra le cause di esclusione è immediatamente e oggettivamente verificabile
(per esempio, nei casi in cui le società si trovano nel primo periodo d’imposta ovvero nelle ipotesi
in cui la società è soggetta alle procedure dell’amministrazione controllata o straordinaria).
Diversa è invece la situazione nel caso in cui la fattispecie attinente alla “anormalità” del periodo
d’imposta che potrebbe di per se legittimare esclusione del contribuente dalla disciplina in esame.
In questa ipotesi deve essere compiuta una valutazione soggettiva e, quindi, discrezionale,
immediatamente applicabile e che, stando alle affermazioni ministeriali, non necessita di prova
contraria.
Non trattandosi di un evento di per se facilmente documentabile, riteniamo comunque che
l’Amministrazione Finanziaria, data l’aleatorietà della fattispecie, possa controllare ed
eventualmente contestare la decisione del contribuente.
Il Ministero delle Finanze, sempre con la circolare 48/E, ha fornito alcune precisazioni
relativamente al concetto di periodo anormale di attività ed ha elencato una serie di ipotesi in cui
non può considerarsi integrato il requisito della normalità.
In particolare, “...va considerato periodo di normale svolgimento dell’attività quello in cui è stata
svolta l’attività produttiva prevista dall’oggetto sociale”.
Pertanto, non si considera periodo normale di svolgimento dell’attività:
-
quello da cui decorre la messa in liquidazione ordinaria ovvero l’inizio delle procedure di
liquidazione coatta amministrativa o del fallimento. Ne consegue, quindi, che l’attività
svolta in tali periodi non è, infatti, da considerare “normale”, in quanto finalizzata alla
definizione dei rapporti della società con i terzi per consentire la ripartizione del
patrimonio residuo tra i soci. Il periodo che precede quello in cui ha avuto inizio la
liquidazione è considerato normale (e pertanto assoggettato alle regole che presiedono la
disciplina delle società non operative) anche se di durata inferiore a quella prevista
ordinariamente dall’atto costitutivo. Per quel che concerne il caso di revoca della
liquidazione, invece, il Ministero delle Finanze, nella precedente circolare 140/E del 1995,
ebbe a precisare che l’esclusione dall’applicazione della disciplina sulle società non
operative non avrebbe dovuto operare “[...] relativamente a tutti i periodi d’imposta
interessati dallo scioglimento medesimo [...]”; ad analoga conclusione pervenne anche con
riferimento all’ipotesi di periodi di liquidazione superiori ai 5 anni. Sul punto, nel rilevare
che il comma 37 dell’articolo 3 della legge 662 non reca elementi di particolare novità e,
inoltre, che nella circolare ministeriale 48/E in commento manca al riguardo uno specifico
chiarimento, sembra potersi desumere che i motivi cautelativi posti alla base delle
precedenti interpretazioni possano essere considerati validi anche nel nuovo contesto
normativo.
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-
quelli successivi al primo periodo d’imposta, qualora la società, negli stessi periodi, non
abbia ancora avviato l’attività produttiva prevista dall’oggetto sociale perché:
la costruzione dell’impianto da utilizzare per lo svolgimento dell’attività si
è protratta oltre il primo periodo d’imposta, per cause non dipendenti dalla
volontà dell’imprenditore;
non sono state concesse le autorizzazioni amministrative necessarie per lo
svolgimento dell’attività, a condizione che le stesse siano state
tempestivamente richieste;
viene svolta esclusivamente un’attività di ricerca propedeutica allo
svolgimento di altra attività produttiva di beni e servizi, sempreché
l’attività di ricerca non consenta di per se la produzione di beni e servizi e
quindi la realizzazione di proventi.
Di contro, viene altresì specificato che deve considerarsi periodo normale di attività:
- quello relativo ad un esercizio di durata inferiore a quella stabilita dall’atto costitutivo a causa
di intervenute modifiche che determinano l’interruzione della durata dell’esercizio medesimo,
senza comunque incidere sul tipo di attività svolta, come, per esempio, nei casi di fusione,
scissione e trasformazione;
- quello in cui la società ha affittato o concesso in usufrutto l’unica azienda posseduta.
C. Le società in amministrazione controllata o straordinaria, relativamente ai periodi di imposta
interessati da tali procedure
Per questa categoria esistono pochi (o nessun problema) di identificazione della fattispecie.
D. I soggetti che si trovano nel primo periodo di imposta
D.1. fusioni e scissioni
Alcuni dubbi potrebbero sorgere a proposito dell’esclusione soggettiva dalla disciplina delle
società di comodo nel caso di società risultante da un’operazione di fusione propria o nel caso di
società beneficiarie nell’ipotesi di scissione.
In tali ipotesi il soggetto risultante dalla fusione o la società beneficiaria è effettivamente nel
primo periodo di imposta anche se non si trova nella fase di avvio della propria attività, in quanto
prosegue di fatto l’attività già svolta dalle società fuse, nel primo caso, o dalla società scissa, nel
secondo caso.
Al riguardo l’Assonime nella circolare n, 46 del 22 aprile 1997, propone due diverse chiavi di
lettura della problematica:
- la prima, secondo la quale, in tali fattispecie, pur non sussistendo dubbi sulla circostanza
che, relativamente al soggetto che viene ad esistenza a seguito di tali operazioni, si è
effettivamente in presenza del primo periodo d’imposta, da un punto di vista sostanziale
non sembrerebbero ricorrere le circostanze che presiedono alla causa di esclusione in
esame; cioè che l’impresa si trovi nella fase di avvio della propria attività. Ne discende
quindi che, tanto per la società risultante dalla fusione, quanto per quella beneficiaria nella
scissione, non dovrebbe parlarsi di inizio “ex novo” dell’attività ma, più precisamente, di
una prosecuzione della attività già svolta dalle società fuse o scisse, con la conseguenza
che troverebbe piena applicazione la disciplina delle società non operative;
- la seconda, in virtù della quale - essendo fondata su una interpretazione letterale della
norma e, in quanto tale, non potendo prescindere dal fatto che ci si troverebbe comunque
nel primo periodo d’imposta - non potrebbe essere messo in discussione il diritto
all’esonero dalla medesima disciplina delle società di comodo.
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D.2.trasformazioni
La disciplina delle società di comodo è, invece, sicuramente applicabile al caso dei società
trasformate anche se l’operazione di trasformazione comporti il passaggio dall’ambito Irpef
all’ambito Irpeg o viceversa.
Nei confronti della società trasformata infatti (tanto nel caso di passaggio da soggetto IRPEF a
soggetto IRPEG, quanto nel caso opposto) potendosi legittimamente dubitare che si sia in
presenza di un “nuovo” soggetto rispetto a quello precedente, sembra ragionevole ritenere che la
causa di esclusione non debba operare.
D.3. stabili organizzazioni
Per quanto attiene alle stabili organizzazioni di società o di enti esteri, deve considerarsi primo
periodo d’imposta quello in cui si è verificato l’insediamento delle stesse organizzazioni nello
Stato Italiano. A tal fine risulta del tutto irrilevante sia la data di costituzione del soggetto di cui
sono promanazione, sia la circostanza che il soggetto estero, in precedenti periodi d’imposta ed in
assenza di stabile organizzazione, abbia prodotto altre categorie di redditi che hanno scontato la
tassazione nello Stato.
E. Le società esercenti pubblici servizi di trasporto
Devono intendersi ricomprese in tale categoria, le società che esercitano, in regime di
concessione, pubblici servizi di linea per il trasporto di persone o cose, sia terrestri (e, quindi,
ferroviari, tranviari, automobilistici, teleferici), sia marittimi, lacuali, fluviali e aerei.
Le motivazioni di tale esclusione sono da ricercare non soltanto nel particolare interesse pubblico
che tali attività rivestono, ma anche, e per lo più, nei vincoli tariffari che le società in oggetto
sono tenute a rispettare nello svolgimento di tale attività e che, evidentemente, non possono non
incidere sulla capacità reddituale delle medesime.
F.Le società e gli enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani
In ordine a tale causa di esclusione, l’importante precisazione fornita dall’Assonime nella
circolare 22/04/’97, n. 46, attesta che il riferimento agli enti, è fatto al fine di rendere
eventualmente applicabile l’esimente in questione anche alle stabili organizzazioni di enti esteri i
cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati italiani.
Peraltro, atteso che non si pone alcun dubbio circa l’applicabilità dell’esclusione nei casi in cui
oggetto della negoziazione siano i titoli di partecipazione al capitale della società o dell’ente
interessato, può sorgere qualche dubbio, ai fini dell’esclusione, nelle ipotesi in cui la
negoziazione riguardi soltanto titoli obbligazionari o similari emessi dalla società o dall’ente in
questione.
Tenendo presenti, anche in questo ambito, le autorevoli interpretazioni della citata Associazione secondo la quale l’esclusione in parola trova ragione nelle garanzie che offrono e nei controlli cui
devono sottoporsi i soggetti i cui titoli siano ammessi alla negoziazione in borsa e negli altri
mercati regolamentati nazionali - “...si dovrebbe propendere per una interpretazione estensiva
della norma”, e considerare, quindi, applicabile la causa di esclusione in oggetto anche per tali
fattispecie.
Peraltro, un dubbio che era stato manifestato dalla predetta Associazione e che ha trovato un
definitivo riscontro nella circolare del Ministero delle Finanze 15/05/’97, n. 137/E, concerneva
l’ambito temporale a decorrere dal quale trovava applicazione tale causa esimente. In altre parole,
ci si poneva il problema se, perché potesse operare detta esclusione, era sufficiente che la società
interessata avesse inoltrato la domanda di ammissione alla quotazione o, al contrario, necessitava
la formale delibera della Consob.
In virtù delle risposte fornite dal Ministero, quindi, possiamo concludere che:
- non opera la causa di esclusione (con conseguente assoggettamento alla disciplina delle
società non operative) nei casi in cui la società o l’ente abbia “semplicemente” richiesto
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l’ammissione alla quotazione nella borsa valori e negli altri mercati regolamentati
nazionali, reputandosi invece necessario che entro la chiusura del periodo d’imposta di
riferimento sia intervenuta, da parte della Consob, la delibera di ammissione alle
negoziazioni;
l’esclusione opera in ogni caso, qualora nel periodo d’imposta interessato si sia verificata
la sospensione della negoziazione dei titoli.
Un caso particolare di esclusione
In riferimento ad un caso pratico di sequestro conservativo delle quote di una società a
responsabilità limitata, verificatosi nella vigenza della vecchia normativa contenuta nell’articolo
30 della L. 724/’94, la Corte dei Conti ha posto un quesito al Ministero delle Finanze, tendente a
conoscere se, in casi analoghi, le società interessate dovevano essere assoggettate o meno alla
disciplina delle società non operative.
Con la risoluzione 14 marzo 1997, n. 43/E l’amministrazione finanziaria ha espresso il principio
secondo il quale “...il sequestro conservativo delle quote di una srl costituisce una causa legittima
di esclusione dalla disciplina delle società non operative, senza la necessità di fornire la prova
contraria. Ciò in quanto l’ente societario non si trova in un periodo di normale svolgimento di
attività e l’obiettivo del custode giudiziario è quello di conservazione del patrimonio e non quello
di assunzione del rischio imprenditoriale”.
Detta risposta, dunque, orientata alla predetta esclusione, trova fondamento nell’articolo 65 del
Codice di Procedura Civile il quale implica, in sostanza, una situazione anomala di gestione.
L’importanza di questa pronuncia quindi verte su un duplice ordine di motivi:
- in primo luogo, perché nella elencazione delle cause di esclusione dalla disciplina in
esame viene ad aggiungersi un nuovo motivo per nulla contemplato dalla normativa delle
società non operative (tanto dalla vigente, quanto dalla precedente);
- in secondo luogo perché tale motivo, se ritenuto valido in vigenza della precedente
normativa, deve confermarsi altrettanto valido anche dopo le modifiche apportate a quella
dall’articolo 3, commi da 37 a 45 della L. 662/’96.
1.2. PRESUPPOSTO OGGETTIVO
I soggetti sopra individuati ai quali si applicano le disposizioni delle società di comodo devono
verificare la loro operatività accertando cioè che il volume di ricavi, delle rimanenze e proventi
ordinari non sia inferiore all’importo risultante applicando determinate percentuali di redditività
presunta a ben individuati beni dell’attivo patrimoniale.
Come indicato dalla Legge 662/96 la ratio del calcolo da effettuare per verificare se la società
risulta non operativa consiste nel fatto che “con un utilizzo appropriato dei beni sociali i ricavi
devono coprire almeno l’ammortamento del costo dei beni e delle spese generali”.
ammontare complessivo di
ricavi,
incrementi
di
rimanenze
e
proventi,
esclusi quelli straordinari, inferiore
risultanti
dal
conto
economico, ove prescritto
(ricavi effettivi)
ai ricavi presunti dati dalla sommatoria degli importi
che risultano applicando:
l’1% al valore “medio” dei beni indicati nell’articolo
85 del TUIR, anche se costituiscono immobilizzazioni
finanziarie, aumentato del valore dei crediti;
il 4% al valore “medio” delle immobilizzazioni
costituite da beni immobili e da beni indicati
nell’articolo 8-bis, comma 1, lett. a) del DPR 633/’72,
anche in locazione finanziaria;
il 15% al valore “medio” delle altre immobilizzazioni,
anche in locazione finanziaria.
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1.3. ANALISI DEL RISULTATO
Qualora dal raffronto tra i ricavi presunti e quelli effettivi, questi ultimi risultano superiori a quelli
convenzionali, la società non è di comodo e, pertanto, il contribuente può determinare le imposte
d’esercizio sulla base del proprio reddito.
Viceversa, qualora i ricavi effettivi risultino inferiori a quelli convenzionali, la società è
qualificabile come non operativa e, quindi, sarà necessario determinare il reddito minimo
presunto (la cui rilevazione è presieduta da autonome regole), il quale costituirà la base
imponibile per la determinazione delle imposte di competenza.
1.4. INDIVIDUAZIONE DELLE VOCI DA CONSIDERARE PER IL CALCOLO DEI RICAVI
EFFETTIVI (Ricavi, Incrementi di Rimanenze e Proventi risultanti dal conto economico - ricavi
effettivi)
Ricavi
Occorre preliminarmente specificare che per quel che concerne la determinazione delle voci di
riferimento per l’effettuazione del calcolo, la disciplina delle società non operative si fonda quasi
esclusivamente sui dati contabili emergenti dal bilancio d’esercizio (ovvero, per le società in
contabilità semplificata, sulle scritture contabili prescritte dall’articolo 18 del DPR 600/’73).
Al riguardo infatti, il Ministero delle Finanze (paragrafo 2 della circolare 48/E) ha avuto modo di
precisare che: “I componenti da considerare ai fini della verifica dell’ammontare complessivo dei
ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, sono quelli
desumibili dal conto economico”.
Con riferimento ai soggetti tenuti alla redazione del bilancio, pertanto, occorre tener conto di tutti
i dati contenuti nella voce “A) - Valore della Produzione” del conto economico stesso.
Si tenga presente, quindi, che il valore della produzione è dato dai ricavi delle vendite, cui si
sommano l’incremento dei valori delle rimanenze di prodotti e di semilavorati e di prodotti in
corso di lavorazione (il decremento delle rimanenze si sottrae) e il valore delle costruzioni in
economia, il tutto integrato dagli altri ricavi e proventi connessi con la gestione caratteristica
ordinaria e i contributi in conto esercizio.
Entrando più nel dettaglio il Ministero, per i ricavi, ha chiarito che occorre tener conto della
somma dalle voci 1 e 5 dello schema di conto economico previsto dall’articolo 2425 del C.C., e
cioè:
- ricavi delle vendite e delle prestazioni;
- altri ricavi e proventi, compresi i contributi in conto esercizio.
Il primo punto accoglie i ricavi relativi alla vendita per cessione dei beni e dei servizi che
costituiscono la specifica attività aziendale, rettificati per l’importo dei resi, sconti e abbuoni, che
abbiano natura contrattuale e non natura finanziaria.
Inoltre, è necessario che per essi, come per i costi, venga rispettato il principio della competenza
secondo il quale i ricavi “appartengono” all’esercizio in cui i lavori sono effettuati e i prodotti
sono venduti (principio di realizzazione), indipendentemente dalla fatturazione delle operazioni.
Il secondo punto, invece, corrispondente alla voce A) 5) dello schema scalare del conto
economico, presenta carattere residuale, comprendendo tutti i ricavi della gestione, non inclusi in
voci precedenti, che non siano considerati proventi finanziari, rivalutazioni di attività finanziarie e
proventi straordinari.
Pertanto, dato il suo carattere di voce residuale, possono in taluni casi sorgere problemi di
contabilizzazione per alcuni componenti positivi di reddito la cui allocazione non è certa. In ogni
caso, riscontrata l’importanza di tale sistemazione contabile, sia per quel che concerne il rispetto
del principio di rappresentazione veritiera e corretta del bilancio d’esercizio, sia per l’effetto che
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può esplicare ai fini della determinazione dell’operatività o meno di una società, riteniamo che la
valutazione da parte del redattore del bilancio deve essere accurata e specificamente motivata
nella nota integrativa.
Per quanto riguarda l’individuazione di altri proventi risultanti dal conto economico rilevanti ai
fini del calcolo in esame, il Ministero, con riferimento alle imprese industriali e commerciali, ha
precisato che, qualora siano tenuti a redigere il bilancio secondo lo schema di cui all’articolo
2425 del C.C., devono tener conto - anche - degli importi emergenti dalle voci C15 e C16 dello
predetto documento contabile (cioè i proventi da partecipazioni ed altri proventi finanziari).
Detta inclusione, che rappresenta una novità rispetto alla precedente disciplina, comporta quindi
che assumono diretta rilevanza sia i dividendi e le plusvalenze derivanti dalla cessione di
partecipazioni, dalla vendita di diritti di opzione, eccetera, sia gli interessi derivanti da
finanziamenti, da titoli obbligazionari, gli utili da negoziazione di titoli, eccetera.
Particolare attenzione deve poi essere posta all’esclusione dal calcolo delle società di comodo dei
proventi straordinari.
Seguendo gli schemi del conto economico, il riferimento è agli importi iscritti nella voce E20 per
le imprese industriali e commerciali e nella voce 80 per i soggetti che redigono il bilancio
secondo le regole dettate dal decreto legislativo 87/’92.
Al fine di poter utilmente individuare la “straordinarietà” o meno di un provento, merita precisare
che con detto termine (straordinario), non ci si riferisce all’eccezionalità o alla anormalità
dell’evento, bensì all’estraneità della fonte dello stesso all’attività ordinaria dell’impresa.
Tale impostazione, è stata interpretata in più modi:
a)
secondo una prima interpretazione:
- tutte le sopravvenienze attive rappresentano proventi straordinari, ed in quanto tali, vanno
raccolte nel gruppo E) del conto economico e non possono quindi essere raccolte nel
gruppo A) dello stesso documento contabile,
- le plusvalenze da realizzo di beni patrimoniali vanno accolte nel gruppo A) se derivano da
vendite ricorrenti di singole immobilizzazioni, mentre vengono raccolte nel gruppo E) se
riguardano vendite eccezionali di immobilizzazioni, legate a operazioni straordinarie (ad
esempio, cessioni di aziende o di rami aziendali, cessazioni di singole attività aziendali,
ecc.);
b)
in base ad una seconda interpretazione:
- le sopravvenienze attive si rilevano nei conti del gruppo A) se riguardano operazioni
ripetitive (ad esempio arrotondamenti ottenuti a saldo di debiti del precedente esercizio,
ecc.), mentre vengono accolte in conti del gruppo E) se si riferiscono ad eventi eccezionali
(ad esempio, risarcimento di danni di precedenti esercizi non previsti);
- tutte le plusvalenze patrimoniali si rilevano nei conti del gruppo E), perché l’attività di
vendita delle immobilizzazioni non è mai un fatto da considerarsi connesso con la
gestione ordinaria;
c)
secondo una terza interpretazione si deve procedere caso per caso, esaminando le singole
fattispecie;
d)
dal punto di vista dei Principi Contabili Italiani, invece, si considerano straordinari:
- plusvalenze e minusvalenze derivanti da operazioni o eventi che hanno un effetto rilevante
sulla struttura aziendale (cessioni di rami aziendali, scorpori, ristrutturazioni, ecc.);
- plusvalenze e minusvalenze derivanti da cessioni di immobili civili e da altri beni non
strumentali, non afferenti la gestione finanziaria;
- sopravvenienze e minusvalenze derivanti da errori di rilevazione o di valutazione o da
cambiamento dei criteri di valutazione.
Tutti gli altri elementi che vengono definiti plusvalenze, minusvalenze, sopravvenienze,
insussistenze vengono considerati ordinari.
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Incrementi di rimanenze
In riferimento a detta voce, il Ministero ha chiarito che deve prendersi in considerazione la
somma delle variazioni - positive - delle voci A 2) - A 3) e B 11) risultanti dal conto economico,
e cioè:
- variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti;
- variazione dei lavori in corso su ordinazione;
- variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci.
L’ammontare delle predette voci va assunto quale risulta dal conto economico, anche quando il
relativo importo deriva dalla somma algebrica di sottovoci con opposto segno algebrico.
Le suddette considerazioni si estendono anche alle società e agli enti non residenti che svolgono
attività commerciale in Italia mediante stabile organizzazione.
In tali casi, infatti, si deve tener conto dei “soli” ricavi, incrementi di rimanenze e proventi,
esclusi quelli straordinari, conseguiti dalla stabile organizzazione stessa.
Anche con riferimento agli incrementi delle rimanenze, vengono utilmente sollevati, agli effetti
della disciplina in parola, alcuni interessanti dubbi, concernenti:
- l’incidenza assunta dalle rivalutazioni dei beni di magazzino eventualmente iscritte in
bilancio dall’impresa ai sensi dell’articolo 2426, n. 9 del Codice Civile;
- l’inclusione o meno nel computo dei ricavi, degli incrementi di immobilizzazioni per
lavori interni (voce 4 della sezione A) del conto economico).
In ordine alla prima questione, sembra opportuno sottolineare che la norma, con il termine
incrementi, abbia inteso riferirsi soltanto agli incrementi di carattere fisico delle rimanenze di
magazzino e non alla valorizzazione delle stesse.
Difatti, sebbene la “mera” rivalutazione del magazzino esistente non possa assurgere a sintomo di
operatività dell’impresa (a differenza degli incrementi di carattere fisico), la questione assume
importanza soprattutto alla luce delle considerazioni in tema di omogenea comparazione tra i
valori contabili presi a base per il computo in parola.
Quanto detto tiene conto, in particolar modo, del fatto che, ove si ritenesse di dover escludere
dette rivalutazioni dal computo dei ricavi effettivi, si dovrebbe allo stesso modo - e a maggior
ragione - cercare di “neutralizzare” l’effetto (distorsivo) che potrebbe verificarsi qualora si
provvedesse a svalutare i medesimi beni.
Per quel che concerne la seconda questione, invece, sulla base delle indicazioni ministeriali,
devono ritenersi esclusi dal computo dei ricavi effettivi rilevanti ai fini del calcolo, gli importi
eventualmente indicati nella suddetta voce 4 del conto economico.
Tale conclusione non viene condivisa dall’Assonime secondo cui, da tale valore, oltre a potersi
desumere il carattere di operatività dell’impresa, possono emergere elementi rilevanti ai fini del
calcolo dei ricavi convenzionali (ad esempio, occorre considerare che nel processo per la
costruzione in economia di immobilizzazioni tecniche, l’impresa utilizzi, in tutto o in parte, propri
beni strumentali, il cui valore potrebbe essere preso a base per il calcolo dei ricavi presunti).
A detta dell’Associazione, questo è un tipico caso in cui può verificarsi quella disomogeneità di
cui si è fatto cenno alla nota 11, con la conseguenza che, se i beni strumentali impiegati nella
costruzione in economia di impianti ed immobilizzazioni tecniche sono suscettibili di generare
ricavi presunti, anche i relativi incrementi di tali immobilizzazioni, che concorrono a formare il
valore della produzione dei singoli esercizi, dovrebbero assumere rilievo ai fini del calcolo dei
ricavi effettivi.
Imprese in contabilità semplificata.
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Per i soggetti non tenuti ai fini fiscali alla redazione del bilancio (cioè quelli in contabilità
semplificata), il valore dei ricavi, incrementi di rimanenze e dei proventi, esclusi quelli
straordinari, va desunto dalle scritture contabili previste dall’articolo 18 del DPR 600/’73 (registri
IVA integrati con l’annotazione delle operazioni non soggette all’IVA, ma rilevanti per la
determinazione del reddito; registro dei cespiti ammortizzabili o - in base alle novità introdotte
dal DPR 695/’96 in materia di semplificazioni contabili - annotazioni relative agli stessi beni,
pena la indeducibilità delle quote di ammortamento, nel registro IVA acquisti).
I beni e le immobilizzazioni rilevanti
Esaurito l’esame degli elementi determinanti per il calcolo della media dei ricavi effettivi
(risultanti dal conto economico o dalle scritture contabili) prodotti dalla società nei periodi
d’imposta di riferimento, è necessario passare all’ulteriore fase della determinazione dei ricavi
convenzionali, i quali dovranno essere raffrontati con i primi per verificare l’operatività o meno
dell’impresa.
La differenza sostanziale che caratterizza la suddetta analisi da quella vista precedentemente,
consiste, in primo luogo, nel fatto che i valori costituenti la base di calcolo, vengono assunti
direttamente dallo stato patrimoniale.
Pertanto, verificato il loro valore di libro (eventualmente ragguagliato ai giorni di effettivo
possesso da parte della società) e calcolata la media triennale di questi, viene effettuata la somma
degli importi risultanti dall’applicazione di specifiche percentuali ai valori così determinati.
Prima di procedere all’analisi dettagliata delle varie componenti che concorrono alla
determinazione di questo calcolo, si ritiene innanzitutto utile precisare che, non essendoci nella
normativa fiscale relativa alla determinazione del reddito d’impresa una definizione precisa di
“immobilizzazione”, occorre fare riferimento, ai fini di cui trattasi e per i soggetti tenuti alla
redazione del bilancio, alle immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie assunte secondo
la disciplina civilistica, ma al lordo degli ammortamenti.
Beni di cui all’art. 57, lett. C), Tuir e crediti - immobilizzazioni finanziarie, anche se allocate in
attivo circolante
Dal tenore letterale della norma in oggetto, quindi, trattasi di azioni o quote di partecipazioni in
società ed enti, ivi incluse quelle non rappresentate da titoli, nonché le obbligazioni e gli altri
titoli in serie o di massa.
Dalla elencazione sopra menzionata non sono state prese in considerazione le partecipazioni in
società di persone.
La giustificazione di tale esclusione è stata data dallo stesso Ministero delle Finanze nella
circolare 48/E, nella quale è stato precisato che: “...esse, non essendo ricomprese fra i beni
indicati nell’articolo 53, comma 1, lett. c) del TUIR, sono rilevanti ai fini della disciplina in
esame come “altre” immobilizzazioni cui si applica la percentuale del 15%, sempreché
evidentemente costituiscano immobilizzazioni finanziarie”.
Anche in questo ambito, l’Amministrazione Finanziaria chiarisce quali devono essere i valori da
prendere in considerazione secondo lo schema di bilancio previsto dal D.Lgs. 127/’91.
Ovviamente, alla luce delle considerazioni fatte in precedenza, tali beni possono essere
diversamente allocati; pertanto:
1) qualora siano contabilizzati come immobilizzazioni finanziarie, interesseranno i seguenti punti
dello schema di stato patrimoniale di cui all’articolo 2424 del C.C.:
• B, III, 1) - partecipazioni;
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• B, III, 3) - altri titoli;
• B, III, 4) - azioni proprie;
2) qualora siano invece allocati come attivo circolante, saranno interessati i seguenti punti del
predetto schema dello stato patrimoniale:
• C, III, 1), 2), 3), e 4) - partecipazioni;
• C, III, 5) - azioni proprie;
• C, III, 6) - altri titoli.
Imprese in contabilità semplificata
Naturalmente per i soggetti non tenuti ai fini fiscali alla redazione del bilancio, il valore dei beni e
delle immobilizzazioni va desunto direttamente dalle scritture contabili previste dall’articolo 18
del DPR 600/’73.
Valore dei crediti
Rispetto alla originaria impostazione letterale del disegno di legge n. 2372, il quale menzionava
soltanto i beni/partecipazioni come sopra individuati, la versione definitiva della disciplina delle
società non operative ha integrato la suddetta voce con l’importo dei crediti.
L’importo di tale voce non include tutti i crediti emergenti dal bilancio d’esercizio (commerciali,
nei confronti dell’Erario, ecc.) ma soltanto i crediti di natura finanziaria.
Infatti, dal tenore letterale della norma, che recita “...l’1 per cento del valore dei beni
(partecipazioni) aumentato del valore dei crediti”, concorrono a formare il costo della
partecipazione non solo i versamenti in conto capitale, ma anche i crediti per i finanziamenti fatti.
Questa conclusione ha, peraltro, trovato l’ulteriore conforto nella circolare 48/E, nella quale il
Ministero delle Finanze ha opportunamente precisato che, con riferimento a tale voce:
“...rientrano nella base di computo i crediti da finanziamento in quanto suscettibili di generare
componenti positivi di reddito. Pertanto, devono escludersi da detta base i crediti aventi natura
commerciale e, allo stesso modo, si ritiene che non debbano essere inclusi nel computo in esame i
depositi bancari, in quanto i medesimi costituiscono disponibilità liquide e, come tali, vanno
indicate nell’attivo circolante al punto IV, 1”.
In sintesi, si noti che nell’interpretazione ministeriale viene attribuita rilevanza alla natura del
credito e non alla sua scadenza, con la conseguenza che vengono computati nella base di calcolo
tutti i finanziamenti, sia a breve che a lungo termine, ma solo in quanto essi partecipano alla
determinazione del reddito imponibile della società generando componenti positivi di reddito.
Sulla base delle riportate affermazioni ministeriali quindi, si può senz’altro ritenere che, agli
effetti in questione, rilevano soltanto i crediti ricollegabili ad operazioni di impiego di capitale in
rapporti di mutuo o aventi comunque causa di finanziamento.
Anche se quindi, tenuto conto della ratio del provvedimento, dovrebbero essere presi in
considerazione i soli crediti per finanziamenti fruttiferi ed immobilizzati. Occorre segnalare che
l’Assonime ha espresso - a nostro avviso, correttamente - un orientamento diverso, secondo il
quale, sono da considerare rilevanti tutti i crediti di tale “specie”, indipendentemente dal tipo di
rapporto di mutuo dal quale essi derivano e dalla qualifica del soggetto debitore tenuto alla
restituzione del capitale prestato. Quindi, devono ritenersi rilevanti tanto i crediti derivanti da
rapporti di mutuo concessi a titolo gratuito (cioè i finanziamenti infruttiferi), quanto, ad esempio,
i crediti derivanti da prestiti concessi ai dipendenti.
Per quel che concerne l’allocazione contabile di questi valori - analogamente a quanto si è visto
per le partecipazioni e i titoli a reddito fisso - anche i crediti devono ritenersi rilevanti tanto se
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iscritti fra le immobilizzazioni quanto se iscritti nell’attivo circolante. Pertanto, per le imprese che
redigono il bilancio secondo le regole del D. Lgs. 127/’91, il riferimento è alle voci B,III, 2 e C,II
dello stato patrimoniale mentre, per le imprese che redigono il bilancio secondo le regole del
D.Lgs.87/’92, il riferimento è alle voci 20, 30 e 40 dell’attivo.
I crediti esclusi dalla base di calcolo
Proprio in tale ottica, pertanto, si colloca l’esclusione dei crediti commerciali i quali, per loro
“natura”, sono direttamente correlati ai ricavi e agli altri proventi derivanti dalle operazioni
rientranti nell’ordinaria attività dell’impresa e per nulla attinenti ad operazioni di investimento di
carattere finanziario.
Nella stessa prospettiva devono considerarsi esclusi i crediti per rimborsi d’imposta vantati nei
confronti dell’Erario.
Questi, ancorché idonei a produrre interessi, non sono da includere nella base di computo per il
calcolo dei ricavi convenzionali in quanto, da un punto di vista giuridico, non sono ricollegabili a
un rapporto di finanziamento, ne potendosi considerare tale il pagamento da parte del
contribuente/società di imposte superiori a quelle dovute a causa di acconti, crediti d’imposta,
ritenute eccedenti ovvero a causa di errori materiali o di inesistenza dell’obbligo di versamento.
Una interessante problematica viene sollevata dall’Assonime con riferimento agli interessi per
ritardato rimborso. Secondo le precisazioni fornite dall’Associazione infatti, in tali casi,
generandosi dei proventi finanziari, rilevanti ai fini del calcolo dei ricavi in questione (par. 5),
verrebbe a crearsi una - ulteriore - disomogeneità fra i ricavi effettivi e quelli convenzionali.
Altre categorie di crediti che devono essere tenute fuori dalla base di calcolo dei ricavi
convenzionali, sono quelle dei crediti - pur sempre derivanti da operazioni di finanziamento vantati nei confronti di debitori assoggettati a procedure concorsuali e nei confronti di debitori
morosi.
Anche in questi ultimi casi, la ratio dell’esclusione deve ricercarsi nella loro inidoneità a generare
interessi.
Imprese in contabilità semplificata
I soggetti in contabilità semplificata, invece, considerato che la tenuta delle scritture contabili di
loro spettanza non permette l’evidenziazione dei crediti, ai fini della disciplina in esame non
devono tenere conto di detti valori.
Immobili destinati all’esercizio di attività commerciali
Anche in ordine a tale categoria di beni, i dubbi sorti inizialmente con riferimento alla loro
individuazione, hanno trovato una chiarificazione nella circolare del Ministero delle Finanze 48/E
del 26 febbraio 1997.
Inoltre, anche in questo ambito è opportuno tener conto della precedente considerazione, secondo
la quale, in mancanza di una definizione di immobilizzazione nella disciplina fiscale, è necessario
ricorrere all’accezione assunta dalla disciplina civilistica o, per maggior precisione, alla
configurazione contabile emergente dallo stato patrimoniale del bilancio societario.
Secondo le precisazioni fornite dall’Amministrazione Finanziaria nella indicata circolare, stante il
tenore letterale della norma, occorre tener conto dei beni immobili costituiti da terreni e
fabbricati, ed in particolare di quelli che emergono, come immobilizzazioni materiali, dalle
seguenti voci dello stato patrimoniale:
• B, II, 1) - terreni e fabbricati;
• B, II, 4) - altri beni (solo con riferimento ai beni immobili eventualmente iscritti in tale
voce);
• per i soggetti tenuti alla redazione del bilancio secondo le regole del D.Lgs. 87/’92, il
riferimento è quello alla voce 100) dell’attivo.
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Si può notare come, per gli immobili, oltre alla voce B, II 1), che rappresenta l’allocazione
“naturale” di tali beni in base a quanto previsto dal principio contabile nazionale n. 16, viene
richiamata anche la voce B, II 4) nella quale, sempre secondo i principi contenuti nel citato
documento contabile, trovano collocazione altri beni - generalmente – mobili, ma anche beni
immobiliari.
Con riferimento agli immobili in leasing, è importante segnalare che, ai fini di cui trattasi,
rilevano soltanto i beni acquisiti in locazione finanziaria e non anche quelli in locazione semplice,
in comodato e/o presi a noleggio. Occorre inoltre aggiungere che i beni in questione rilevano, ai
fini in esame, anche a prescindere, sia dalla circostanza che si tratti o meno di beni strumentali per
l’attività ordinaria dell’impresa, sia dalla effettiva utilizzazione del bene stesso nel corso
dell’esercizio.
Sempre in tema di fabbricati, merita segnalare che il Ministero delle Finanze ha precisato che non
assumono rilievo ai fini del computo in esame, i fabbricati in corso di costruzione, iscritti nel
bilancio di esercizio alla voce B,II, 5 dello stato patrimoniale, come immobilizzazioni in corso.
Ciò nella considerazione che trattasi di beni non ancora idonei a produrre alcun tipo di provento.
Allo stesso modo, devono considerarsi esclusi dal calcolo dei ricavi convenzionali gli acconti
eventualmente iscritti nella medesima voce del bilancio (per esempio, nei casi di costruzioni in
appalto).
Navi destinate all’esercizio di attività commerciali (art. 8-bis, DPR 633/’72)
Per quel che concerne i beni di cui all’articolo 8-bis, c. 1, lett. a) del DPR 633/’72 (le navi),
rientrano nel computo di base tutte quelle destinate all’esercizio di attività commerciali o della
pesca o a operazioni di salvataggio o di assistenza in mare ovvero destinate alla demolizione, ad
esclusione delle unità da diporto di cui alla L. 11/02/’71, n. 50.
Anche per questi beni (immobili e navi), i soggetti non tenuti ai fini fiscali alla redazione del
bilancio, devono desumere i relativi valori dalle scritture contabili previste dall’articolo 18 del
DPR 600/’73 (registri IVA e registro cespiti ammortizzabili).
Le Altre Immobilizzazioni - Materiali ed Immateriali La terza, ed ultima, categoria di elementi patrimoniali rilevanti ai fini del calcolo dei ricavi
convenzionali (coefficiente 15%), rappresenta una voce di carattere residuale, essendo ivi inclusi
tutti gli altri beni che sono allocati nelle immobilizzazioni dell’attivo dello stato patrimoniale.
In virtù di quanto chiarito dal Ministero delle Finanze con riferimento alle attività finanziarie ed,
in particolare, alle partecipazioni in società di persone, va rilevato che esse sono da considerare in
tale voce, ai fini in esame, soltanto se costituiscono immobilizzazioni (al riguardo, vedasi la parte
dedicata alle immobilizzazioni finanziarie).
- immobilizzazioni materiali
Come precisato dalla circolare ministeriale 48/E, per esse, il riferimento è alle seguenti voci
dell’attivo dello stato patrimoniale:
• voce B, II, 2 - impianti e macchinari;
• voce B, II, 3 - attrezzature industriali e commerciali;
• voce B, II, 4 - altri beni, ad esclusione, naturalmente, delle navi di cui all’articolo 8-bis del
DPR 633/’72 e degli immobili in locazione finanziaria che dovessero essere
“eventualmente” iscritti in tale conto del bilancio.
Anche per tale categoria di beni (come per i precedenti), rilevano anche quelli detenuti
dall’impresa in locazione finanziaria, ad esclusione di quelli detenuti a titolo di locazione
semplice, comodato e/o noleggio.
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- immobilizzazioni immateriali
Con specifico riferimento a tale categoria di beni, il Ministero delle Finanze ha chiarito che, al
fine in parola, assumono rilievo non soltanto i beni immateriali “veri e propri” e quindi, i diritti di
brevetto industriale, i diritti di utilizzazione economica delle opere dell’ingegno, i diritti di
concessione, i marchi eccetera, ma anche le spese di utilità pluriennale quali, i costi di impianto e
di ampliamento, i costi di ricerca e sviluppo, le spese di pubblicità eccetera. Queste ultime,
ovviamente, sempreché “...siano suscettibili di produrre ricavi e proventi...”.
Al riguardo, occorre considerare che l’inclusione nella base di calcolo di tali beni, trova la sua
giustificazione nel fatto che - anche - essi possono effettivamente costituire un sintomo di
effettiva operatività dell’impresa, oltre a conservare una concreta capacità di produrre, in linea di
principio, ricavi e proventi.
Appare logico ritenere che l’eventuale loro coinvolgimento nel prospetto di calcolo per la verifica
di operatività della società, dipende in particolar modo dal trattamento contabile che viene loro
riservato. Infatti, vi rientreranno qualora l’impresa decidesse di patrimonializzare tali costi,
mentre, nel caso opti per imputarli per intero a conto economico (come costi relativi all’esercizio
interessato), dovranno necessariamente essere tenuti fuori dal calcolo.
Un punto di notevole interesse che merita di essere evidenziato, concerne l’inclusione nella
categoria in oggetto del valore dell’avviamento.
In ordine a tale problematica - nei confronti della quale erano stati evidenziati legittimi dubbi di
applicazione - è intervenuto il Ministero delle Finanze il quale, con la circolare 15/05/’97, n.
137/E, ha precisato che: “...relativamente alle immobilizzazioni immateriali, ai fini della
individuazione dell’operatività di una società (...), fra le immobilizzazioni immateriali suscettibili
di produrre ricavi o proventi, deve ritenersi incluso anche l’avviamento”.
Ragguaglio del valore dei beni al periodo di possesso
In ottemperanza al principio ispiratore della normativa sulle società non operative
(corrispondenza tra i ricavi effettivi prodotti dall’impresa e valore dei beni utilizzati per la loro
produzione), una regola di coerenza pratica e giuridica è quella secondo la quale, nelle ipotesi in
cui il bene non viene detenuto dalla società per l’intero periodo d’imposta, è necessario procedere
al ragguaglio del valore dello stesso bene al periodo di effettivo suo mantenimento nella
contabilità.
Le regole evidenziate trovano applicazione anche indipendentemente dalla durata dell’esercizio
sociale; quindi tanto se sia stato di durata inferiore (6 mesi) quanto se sia stato di durata superiore
(18 mesi) ai dodici mesi.
10.5. LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO MINIMO
Qualora dal confronto tra i ricavi effettivi e quelli presunti, come sopra determinati, non dovesse
essere soddisfatta la condizione di operatività posta dalla norma, scatta la presunzione semplice
(cioè è ammessa la prova contraria), in virtù della quale il reddito d’impresa del periodo
d’imposta cui si riferisce l’applicazione della disciplina in esame, non può essere inferiore a
quello che si ottiene applicando determinati coefficienti di redditività (0,75% - 3% - 12%) al
valore degli stessi elementi patrimoniali (rilevanti per la determinazione dei ricavi convenzionali)
riferiti e riferibili allo stesso periodo d’imposta.
Il calcolo del reddito minimo, sebbene trovi come base di riferimento le medesime categorie di
beni utilizzate per il computo del reddito minimo si differenzia comunque da quest’ultimo per due
rilevanti aspetti:
• il valore dei beni non è dato dalla media dei ricavi del triennio precedente, ma va determinato
con riferimento agli stessi beni posseduti nell’esercizio ;
• le percentuali da adottare nel calcolo sono diverse.
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10.6. LA PROVA CONTRARIA
Il secondo periodo del primo comma dell’articolo 30 della legge 724/94 fa salva la possibilità di
non applicare la normativa in esame fornendo prova contraria. La prova contraria deve essere
sostenuta da riferimenti a oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso
impossibile il raggiungimento dei ricavi e proventi minimi.
Ciò considerato, tutti i soggetti esercenti attività d’impresa in forma societaria possono essere
classificati in tre categorie con riguardo alla disciplina delle società di comodo:
- soggetti esclusi;
- soggetti interessati;
- soggetti interessati ma che grazie alla prova contraria possono non applicare la normativa.
La prova contraria, che può essere fornita dalla società per vincere la presunzione di non
operatività, deve essere sostenuta da riferimenti ad oggettive situazioni di carattere
straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi, di proventi e di
incrementi di rimanenze di ammontare almeno pari a quello presunto, il cui raggiungimento è
richiesto perché la società possa essere esclusa dalla disciplina in esame.
L’oggettività deve essere riferita a situazioni esterne all’azienda e quindi è esclusa qualora il
mancato raggiungimento dei livelli minimi di ricavi sia da riferire a scelte imprenditoriali e quindi
soggettive.
Ma se ciò non bastasse tali situazioni oggettive devono anche risultare straordinarie e cioè essere
tali da poter essere considerate come una reale alterazione della gestione ordinaria dell’attività.
Il legislatore ha quindi fatto riferimento a principi generali che dovranno poi dai singoli
contribuenti essere ricondotti agli accadimenti reali ed operativi della vita societaria.
Esempi che possono essere proposti sono:
- crisi di settore di carattere straordinario;
- mancata distribuzione (in seguito, ad esempio, ad una crisi di settore) di dividendi da parte
delle società controllate, nel caso di una società finanziaria;
- furto che ha inciso in misura rilevante sull’entità delle rimanenze finali o sui ricavi;
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I.B.14. Stabili organizzazioni ed uffici di rappresentanza di soggetti non residenti:
definizione e tassazione
(a cura di Fabio Colombo)
Nonostante vi siano numerose disposizioni che richiamo il concetto di stabile organizzazione,
l’ordinamento tributario italiano non ha fornito alcuna definizione compiuta, organica ed
esaustiva del fenomeno fino alla riforma attuata a partire dal 2004, in cui si è previsto un apposito
articolo (i.e. articolo 162 del Tuir) che disciplina la fattispecie giuridica in questione.
Se il citato articolo 162 del Tuir fornisce una definizione di stabile organizzazione, ricalcata in
larga parte da quella elaborata dall’OCSE, altri articoli all’interno del Tuir (ad esempio l’articolo
151, 152, 153 e 154) ne disciplinano la tassazione.
La necessità d tenere sotto controllo i componenti attribuibili alla stabile organizzazione ha
portato il legislatore ad introdurre una disposizione ad hoc in tema di accertamento all’articolo 14,
comma 5 del D.P.R. n.600/73 in cui si prevede che, dalle scritture contabili delle società, enti e
imprenditori che esercitano attività commerciali all'estero mediante stabili organizzazioni e quelli
non residenti che esercitano attività commerciali in Italia mediante stabili organizzazioni,
devono risultare distintamente i fatti di gestione che interessano le stabili
organizzazioni, determinando separatamente i risultati dell'esercizio relativi a ciascuna di
esse.
Sulla base di quanto qui premesso, si illustra di seguito la disciplina in oggetto con riferimento sia
alla definizione dell’amministrazione finanziaria, sia a quella fornita dalla giurisprudenza, sia a
quella fornita dall’OCSE, cui, come già detto, la disciplina italiana attinge.
14.1. La definizione dell’amministrazione finanziaria
Prima della riforma del diritto tributario, vi era grande difficoltà nell’operatività quando si tentava
di individuare l’esistenza di una stabile organizzazione: nonostante i molti richiami al concetto di
stabile organizzazione presenti nella legislazione nazionale, non vi era, infatti, alcuna definizione
legislativa sostanziale che permettesse di riconoscere i tratti essenziali dell’istituto.
A ciò si aggiunga che la casistica si presentava alquanto ampia, fatto che comportava di volta in
volta la necessità di un’analisi approfondita del caso concreto.
La forza di legge riconosciuta alle convenzioni internazionali aiutava a ritrovare una definizione e
una soluzione ai casi concreti qualora gli stessi siano riferibili a situazioni territoriali coperte
appunto dalle norme pattizie in tema di doppie imposizioni: infatti, il concetto di stabile
organizzazione trovava solo in questa categoria di norme una sua precisa definizione. Il problema
sorgeva, tuttavia, nel caso in cui l’ambito territoriale del caso concreto non risultava “coperto” da
una norma convenzionale da cui poter dedurre il significato di stabile organizzazione.
A tale problema aveva tentato di fornire una soluzione l’amministrazione che, con la circolare
n.7/1496 del 30 aprile 1977 – relativa al domicilio dei soggetti diversi dalle persone fisiche
residenti nel territorio dello Stato – sosteneva che:
- per individuare il luogo di domicilio fiscale, per le società estere occorre fare riferimento
ai fini dell'individuazione del domicilio fiscale alle norme del C.C. e a quelle tributarie
previste dall'art. 58 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Mentre per le società costituite
all'estero con sede nel territorio dello Stato (art. 2505 C.C.) non sorgono particolari
problemi, trattandosi di società che hanno la sede dell'amministrazione ovvero l'oggetto
principale dell'impresa nel territorio medesimo, per le società estere con sede secondaria
nel territorio dello Stato può aversi qualche difficoltà in ordine alla determinazione del
domicilio fiscale. Ed invero occorrerà per questo secondo gruppo di società fare
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riferimento in presenza di più sedi secondarie a quella che abbia la rappresentanza stabile,
regolarmente registrata in conformità al disposto dell'art. 2506 del c.c.;
per quanto concerne la individuazione dell'esistenza di una stabile organizzazione, si
rileva che, in mancanza di una definizione legislativa, occorre fare riferimento all'unica
fonte disponibile in materia emergente dagli accordi internazionali per l'eliminazione della
doppia imposizione. A tal riguardo è interessante accennare alla definizione che della
stabile organizzazione fornisce il modello di Convenzione adottato dall'Ocse (art. 5) cui si
ispirano le corrispondenti clausole degli accordi stipulati dall'Italia. Ai sensi della
richiamata disposizione, l'espressione "stabile organizzazione", identifica, in via generale,
una "sede fissa di affari in cui l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività"; trattasi
di una nozione piuttosto ampia che comunque evidenzia due elementi fondamentali, quali
l'esistenza di una installazione fissa in senso tecnico (locali, materiale, attrezzature) e
l'esercizio di attività da parte dell'impresa per mezzo di tale installazione.
In sostanza si era ritenuto valido il riferimento alle definizioni offerte in sede internazionale dal
modello di convenzione OCSE al fine di individuare la presenza o meno di una stabile
organizzazione sita sul territorio nazionale anche nelle ipotesi in cui il caso concreto non risulti
territorialmente coperto da una norma pattizia avente forza di legge in Italia.
Con la riforma dell’ordinamento tributario, la disciplina in oggetto ha finalmente trovato posto
nel Tuir. Ai sensi del già citato articolo 162 del Tuir, infatti, il legislatore ha formulato una
definizione di stabile organizzazione, ossia di una sede fissa di affari per mezzo della quale
l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato.
Costituisce, altresì, stabile organizzazione anche il soggetto residente o non residente che, nel
territorio dello Stato conclude abitualmente in nome dell’impresa contratti diversi da quelli di
acquisto di beni (salvo che si tratti di semplice mediatore).
Accanto a questa definizione di portata generale, la disciplina tributaria prevede una serie di
ulteriori e specifiche ipotesi in cui si configura una stabile organizzazione, a prescindere da
ulteriori verifiche. Rientrano, a questo proposito, nella definizione di stabile organizzazione:
- una sede direzionale;
- una succursale;
- un ufficio;
- un’officina;
- un laboratorio;
- un cantiere di costruzione o di montaggio o installazione, nonché l’esercizio di attività di
supervisione ad esso connesse, a condizione che il cantiere, progetto o attività abbia durata
superiore a tre mesi (il modello OCSE considera un maggior tempo di 12 mesi);
- una miniera, un giacimento petrolifero o di gas naturale, una cava o un altro luogo di
estrazione di risorse naturali anche in zone situate fuori dalle acque territoriali in cui, in
conformità al diritto internazionale consuetudinario ed alla legislazione nazionale relativa
all’esplorazione ed allo sfruttamento di risorse naturali, lo Stato può esercitare i diritti
relativi al fondo del mare, al sottosuolo ed alle risorse naturali.
Si fa presente come, mentre nella disciplina elaborata dall’OCSE la suddetta elencazione ha titolo
meramente esemplificativo, l’ordinamento tributario italiano la recepita come espressione certa
della presenza di stabile organizzazione nel territorio nazionale.
La definizione di stabile organizzazione formulata dal legislatore, prosegue sempre nel citato
articolo 162 con una serie di ipotesi in negativo, stabilendo che non può esser considerata stabile
organizzazione una sede fissa qualora:
- venga utilizzata ai soli fini del deposito, di esposizione ovvero di consegna di beni e/o
merci appartenenti all’impresa;
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i beni e le merci siano immagazzinati ai soli fini di deposito, di esposizione ovvero di
consegna, nonché di trasformazione da parte di altra impresa;
la sede fissa sia utilizzata ai soli fini di acquistare beni e merci ovvero di raccogliere
informazioni per l’impresa ovvero di svolgere, per la stessa, qualsiasi altra attività che
abbia carattere preparatorio avvero ausiliario;
sia utilizzata ai fini dell’esercizio combinato delle suddette attività, purchè l’attività della
sede fissa, quale risulta da tale combinazione, abbia carattere preparatorio avvero
ausiliario.
Non costituisce, infine stabile organizzazione:
- la disponibilità, a qualsiasi titolo, di elaboratori elettronici e relativi impianti ausiliari che
consentano la raccolta e la trasmissione di dati ed informazioni finalizzati alla vendita di
beni e servizi;
- l’esercizio della propria attività nel territorio dello stato per mezzo:
di un mediatore, di un commissionario generale o di altro intermediario
indipendente (ad esempio libero professionista) i quali agiscano
nell’ambito della loro ordinaria attività;
di un raccomandatario marittimo ovvero di un mediatore marittimo che
abbiano i poteri per la gestione commerciale o operativa delle navi
dell’impresa, anche se in via continuativa.
14.2. La definizione della giurisprudenza
Con una sentenza ormai datata (nr. 2672 del 9 luglio 1975) la Corte di Cassazione aveva di
molto avvicinato il concetto di stabile organizzazione a quello di sede secondaria di cui all'art.
2506 del codice civile.
Ma è chiaro che la stabile organizzazione, concetto tipicamente tributario, non sempre viene a
coincidere con la sede secondaria come disciplinata dalle regole civilistiche: la stabile
organizzazione può essere sede secondaria ma non necessariamente lo è.
Gradualmente anche la giurisprudenza si è avvicinata alla definizione di sede secondaria indicata
nel modello OCSE arrivando a statuire con la sentenza n. 9580 del 19 settembre 1990 che "... il
concetto di stabile organizzazione, ai fini della soggezione all'Iva di società estere, ha una
portata diversa e più ampia di quella di sede secondaria per la quale l'art. 2506 citato
prescrive l'obbligatorietà della pubblicità corrispondente a quella prevista per le società
costituite nello Stato".
Nella medesima sentenza vengono individuati più precisamente alcune caratteristiche:
- c'è stabile organizzazione quando esista una situazione di fatto che può identificarsi con
il fine di esercitare nello Stato attività imprenditoriale;
- occorre inoltre che la situazione non sia occasionale ma durevole nel tempo;
- occorre inoltre che esista l’impiego di beni ed attività lavorative, coordinati per la
produzione e/o lo scambio di beni
- e servizi, e da un'effettiva, anche se limitata, autonomia funzionale.
La sentenza citata della suprema corte è poi fondamentale in quanto puntualizza con seconda
questione: il concetto di stabile organizzazione ai fini Iva.
La massima ricorda infatti che:
“La soggezione all'Iva dei soggetti non aventi nello Stato residenza, domicilio o sede, ai sensi
degli artt. 7 e 35 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, presuppone che detti soggetti abbiano una stabile
organizzazione nel territorio nazionale essendo questa riscontrabile in presenza di situazioni di
fatto che, pur insuscettibili di essere ricondotte alla nozione di sede secondaria delineata dall'art.
2506 del codice civile, si rivelino, tuttavia, idonee a denotare il fine di quei soggetti di esercitare
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in Italia una attività imprenditoriale, caratterizzandosi, oltre che per un collegamento non
occasionale con luoghi del territorio nazionale e con persone qui operanti, per un effettivo
impiego di beni ed attività lavorative coordinati in funzione della produzione e/o dello scambio di
beni e servizi, e per una effettiva, ancorché limitata, autonomia funzionale”.
In sostanza ciò che è stabilito è che il concetto di stabile organizzazione, ai fini della soggezione
all'Iva di società estere, ha una portata diversa e più ampia di quella di sede secondaria contenuta
nell’art. 2506 del codice civile.
14.3. La definizione fornita dall’OCSE
Sembra dunque a questo fortemente necessario considerare le norme convenzionali al fine di
individuare un possibile definizione di stabile organizzazione.
Il modello di convenzione OCSE definisce “gradualmente” il concetto di stabile organizzazione.
Detta una definizione generale, evidenzia specificatamente cosa debba essere considerato una
stabile organizzazione, successivamente prevede una serie di esclusioni esplicite ed infine
definisce un ulteriore ipotesi di stabile organizzazione definita solitamente stabile organizzazione
personale. Ma vediamo nel dettaglio tali previsioni.
In base all’art. 5 del modello di convenzione Ocse è una stabile organizzazione "una sede fissa di
affari per mezzo della quale l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività".
Secondo lo schema Ocse sono considerate stabili organizzazioni:
- le sedi di direzione:
- le succursali;
- gli uffici;
- le officine;
- i laboratori;
- le miniere, i pozzi di petrolio, di gas, le cave, eccetera;
- i cantieri di costruzione o di montaggio la cui durata oltrepassa i dodici mesi
- Al contrario secondo il modello Ocse non rientrano nel concetto di stabile organizzazione
i seguenti casi:
- se si fa uso di installazioni ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di
beni o merci appartenenti all'impresa;
- i beni o merci appartenenti all'impresa sono immagazzinati ai soli fini di deposito, di
esposizione o di consegna;
- i beni o merci appartenenti all'impresa sono immagazzinati ai soli fini della
trasformazione da parte di un'altra impresa;
- una sede fissa di affari è utilizzata ai soli fini di acquistare merci o di raccogliere
informazioni per l'impresa;
- una sede fissa di affari è utilizzata, per l'impresa, per svolgere qualsiasi altra attività
di carattere preparatorio o ausiliario;
- una sede fissa di affari è utilizzata ai soli fini dell'esercizio cumulato di attività
menzionate alle lettere da a) a e), a condizione che l'attività di insieme della sede fissa di
affari risultante da detto cumulo conservi un carattere preparatorio o ausiliario.
- Per quanto concerne invece la stabile organizzazione personale, la stessa è verificabile nel
caso in cui una persona agisce per nome e per conto di un impresa e che abbia il poter
abitualmente di concludere contratti in nome dell’impresa.
IL MODELLO OCSE
è stabile organizzazione una sede fissa di affari per mezzo della quale l'impresa
esercita in tutto o in parte la sua attività
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Esempi:
le sedi di direzione:
le succursali;
gli uffici;
le officine;
i laboratori;
le miniere, i pozzi di petrolio, di gas, le
cave, eccetera;
i cantieri di costruzione o di montaggio
la cui durata oltrepassa i dodici mesi
Esclusioni
installazioni ai soli fini di deposito,
di esposizione o di consegna di beni o
merci appartenenti all'impresa;
i beni o merci appartenenti all'impresa
sono immagazzinati ai soli fini di
deposito, di esposizione o di
consegna;
i beni o merci appartenenti all'impresa
sono immagazzinati ai soli fini della
trasformazione da parte di un'altra
impresa;
una sede fissa di affari se utilizzata ai
soli fini di acquistare merci o di
raccogliere
informazioni
per
l'impresa;
una sede fissa di affari se utilizzata,
per l'impresa, per svolgere qualsiasi
altra attività di carattere preparatorio o
ausiliario;
una
sede
fissa di affari se
utilizzata ai soli fini dell'esercizio
cumulato di attività menzionate alle
lettere da a) a e), a condizione che
l'attività di insieme della sede fissa di
affari risultante da detto cumulo
conservi un carattere preparatorio o
ausiliario.
Stabile organizzazione personale
Per quanto concerne invece la stabile organizzazione
personale, la stessa è verificabile nel caso in cui una persona
agisce per nome e per conto di un impresa e che abbia il poter
abitualmente di concludere contratti in nome dell’impresa.
I requisiti della stabile organizzazione
Dall’analisi della disposizione di cui all’art. 5 del modello di convenzione, si è giunti ad
individuare i requisiti di una stabile organizzazione:
- esistenza di una sede di affari: l'installazione. Secondo il commentario con il termine sede di
affari si intendono ogni luogo o attrezzatura utilizzabili per lo svolgimento dell’attività;
- la sede d’affari deve essere fissa: la durevolezza. Non viene fissato (a parte l’ipotesi dei
cantieri) un termine temporale a tale situazione ma è previsto che la sede d’affari debba essere
collegata al territorio in modo permanente con un carattere durevole;
- la sede d’affari deve essere fissa: la fissità spaziale. Vedi il commento precedente;
- l’attività dell’impresa deve essere svolta in tutto o in parte per mezzo della stabile
organizzazione: la connessione all'attività imprenditoriale e l'idoneità alla produttività. E’ un
altro punto fondamentale in quanto permette di escludere dal novero delle stabili
organizzazioni che possiedono tutti i precedenti requisiti. Se è vero infatti che tutte le attività
imprenditoriali hanno carattere produttivo quest’ultima previsione vuole ad esempio escludere
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dal novero delle stabili organizzazioni quelle sede fisse di affari che svolgono unicamente
attività preparatorie alla vera e propria attività produttiva.
L’installazione
La verifica di tale presupposto è riscontrabile concretamente con la presenza di beni mobili ed
immobili: locali, attrezzature, uffici, eccetera.
Il concetto di installazione viene fatto coincidere con l’esistenza di un centro di imputazione di
diritti e obblighi.
E’ bene sottolineare che non è necessario la presenza dell’elemento umano tanto da poter
configurare una stabile organizzazione anche per la semplice presenza di distributori automatici
di bevande.
La durevolezza
La stabile organizzazione esiste solo se il rapporto con il luogo può definirsi durevole nel tempo
ed esistono le condizioni perché perché la stessa possa “rimanere” nel tempo. In forza di tale
espressioni non potrà configurarsi una stabile organizzazione per la presenza di un semplice stand
fieristico.
L’individuazione di tale elemento presenta non pochi problemi con riguardo all’individuazione
del tempo necessario perché si possa parlare di durevolezza o meno.
Fissità spaziale
Questo ulteriore condizione si ricollega alla rpima sopra descritta. E’ necessario infatti che
l'installazione abbia un suo spazio materiale durevole: il criterio dei dodici mesi, oltre i quali
il cantiere diverrebbe stabile
organizzazione ai sensi del punto 3) del citato art. 5 si scontra con la realtà pratica, e cioè gli
inevitabili spostamenti molto spesso obbligati (si pensi alla costruzione di una strada). E' allora
da ritenersi che occorra guardare al progetto di insieme ed alla sua durata, contrattuale ed
effettiva.
La connessione all’attività imprenditoriale
E’ necessario il collegamento, di strumentalità o di oggetto, con l'impresa straniera, cioè la
stabile organizzazione deve essere il mezzo con cui il soggetto straniero svolge, interamente o
meno, la sua attività in Italia.
Qui i dubbi si pongono per situazioni particolari quali il possesso di immobili o alla mera
partecipazione in società.
Si possono offrire delle linee per risolvere le problematiche.
Se l'immobile o la partecipazione è a puro titolo di investimento senza alcuna gestione
imprenditoriale sembra di concludere che non può in questo caso riconoscere l’esistenza di una
stabile organizzazione.
L’idoneità alla produttività
La capacità di produrre reddito è l’ultimo dei requisiti indicati come necessari.
Occorre in sostanza che vi sia potenzialmente la capacità di produrre dei redditi anche se il
risultato economico dell'attività svolta dall'entità creata sia negativo.
10.4. Regole civilistiche e fiscali
La rilevanza tributaria della stabile organizzazione e la sua indifferenza ai fini civilistici possono
comportare l’insorgenza di non pochi problemi.
Per individuare e risolvere le problematiche occorre considerare due presupposti:
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-
esiste una piena autonomia della stabile organizzazione per quanto concerne i rapporti
tributari;
- la stabile organizzazione all'estero è invece civilisticamente un semplice braccio della casamadre.
L’unico soggetto giuridico che si può riconoscere è la stessa casa-madre, a cui devono essere
imputati tutti i rapporti giuridici della stabile organizzazione estera.
La stabile organizzazione è, invece, rilevante ai fini tributari. Da ciò consegue che, anche se
civilisticamente un certo rapporto gestito materialmente tra stabili organizzazioni viene imputato
alle case-madri, dal punto di vista tributario la situazione è differente: le conseguenze reddituali
del rapporto civilistico sono invece da imputare alle stabili organizzazioni.
Con riferimento, pertanto, alle modalità di determinazione del reddito delle stabili organizzazioni
in Italia occorre far riferimento al disposto dell’articolo 151, comma 1 e 153 del Tuir in cui si
stabilisce un criterio di portata generale secondo cui “[…] il reddito complessivo delle società e
degli enti commerciali non residenti è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello
Stato, ad esclusione di quelli esenti dall’imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo
di imposta o ad imposta sostitutiva […]”.
A questo punto, la determinazione del reddito prodotto in Italia viene effettuata sulla base delle
disposizioni generali previste dal Tuir ed analizzate nel capitolo precedente.
In particolare, qualora le società ed enti svolgano attività commerciale con stabile organizzazione
in Italia, il reddito complessivo viene determinato sulla base di un apposito conto economico
relativo alle attività svolte ed ai redditi prodotti in Italia dai suddetti soggetti passivi: il reddito
complessivo è costituito dal solo reddito d’impresa determinato, appunto, secondo i principi
applicabili alle società commerciali residenti (articolo 151 e 152 Tuir).
Qualora, invece, le società ed enti svolgano attività commerciale ma siano privi di stabile
organizzazione in Italia, non potrà configurarsi reddito d’impresa ed il reddito complessivo verrà
determinato sulla base dei criteri di determinazione previsti per le persone fisiche, ossia come
somma algebrica dei redditi imponibili netti di ciascuna categoria di cui all’articolo 6 del Tuir,
calcolati secondo le regole loro proprie (articolo 152 Tuir).
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I.B.15. LA TRASPARENZA FISCALE DELLE SOCIETA’ DI CAPITALI
(a cura di Gianluca Alparone)
Riferimenti di prassi e normativi
Articolo 115 e art. 116 Tuir
D.M. 23.04.04 Disposizioni applicative
Provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 4.8.04
C.M. n. 49/E del 22.11.04
C.M. n. 10/E del 16.3.05 punto 7
Assonime n. 65 del 9.12.05
15.1 Profili generali
Con l'articolo 115 del TUIR, il regime di trasparenza, già in vigore per le sole società di
persone, viene esteso alle società di capitali i cui soci siano a loro volta società di capitali, in
possesso dei particolari requisiti che verranno in seguito esaminati.
Il nuovo istituto presenta una fondamentale differenza rispetto a quello già conosciuto nel nostro
ordinamento tributario in quanto per le società di persone la trasparenza fiscale costituisce da
sempre il regime obbligatorio di tassazione, mentre per le società di capitali essa rappresenta una
modalità di imposizione alternativa.
In sostanza, con riferimento alle società di capitali, il legislatore ha lasciato la facoltà di optare o
meno per la trasparenza a condizione che:
- sia la società partecipata sia i soci siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge;
- tutte le società coinvolte vi acconsentano.
Nel caso in cui tali condizioni non risultino soddisfatte (s'immagini, ad esempio, che un socio di
minoranza sia contrario ad esercitare l'opzione), continua a trovare applicazione il regime di
tassazione ordinaria (nell'esempio, è impedita l'opzione per la trasparenza anche agli altri soci). Il
regime ordinario, peraltro, torna ad essere operativo anche in ipotesi di mancato rinnovo
dell'opzione entro il primo periodo d'imposta successivo al triennio di efficacia della stessa o
nell'eventualità che i requisiti richiesti dalla legge vengano meno durante il periodo di
trasparenza.
In caso di esercizio dell'opzione, la società partecipata non deve assolvere l'IRES sul reddito
prodotto perchè questo viene imputato per trasparenza ai singoli soci partecipanti, per la loro
quota percentuale di partecipazione.
A differenza del consolidato fiscale, il meccanismo impositivo della trasparenza prevede il
consolidamento dei risultati della società partecipata in capo a tutti i soci e in misura
corrispondente alla quota di partecipazione di ciascuno di essi. Nel regime di tassazione di
gruppo, invece, è solo il soggetto controllante a determinare il reddito complessivo globale,
calcolato come somma algebrica dei redditi complessivi netti delle società controllate. Inoltre,
tali redditi rilevano integralmente per la società consolidante, cioè indipendentemente dalla
quota di partecipazione posseduta (vedi articolo 118, comma 1, TUIR).
Il reddito imputato per trasparenza, tassato in capo alla partecipante, è comunque determinato
dalla società partecipata trasparente: pertanto quest’ultima, se pur priva di soggettività passiva di
imposta in termini sostanziali, sarà comunque tenuta alla presentazione della dichiarazione
dei redditi, analogamente a quanto accade per le società di persone.
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15.2 Finalità e vantaggi
Nel valutare l'opportunità di avvalersi o meno del regime fiscale della trasparenza occorre tener
presente che:
- Evita la doppia tassazione sui dividendi
Se, da un lato, il regime alternativo può comportare la tassazione del socio prima
che gli utili siano effettivamente percepiti dall'altro consente di ovviare alla parziale
doppia imposizione che si realizza in capo al socio al momento della distribuzione
dei dividendi.
Il regime ordinario al quale sono attualmente assoggettate le società di capitali prevede,
infatti, la tassazione del reddito prodotto in capo alla società e un'ulteriore tassazione,
sia pur ridotta, sul dividendo percepito dal socio.
- Effetti analoghi al consolidamento
La tassazione per trasparenza, realizzando il consolidamento pro-quota dei risultati
prodotti dalla partecipata con i risultati dei singoli soci, permette di ottenere vantaggi
analoghi a quelli derivanti dal consolidamento fiscale vero e proprio, senza la necessità
di possedere le percentuali di partecipazione richieste dalla legge per accedere a
quest'ultimo regime.
- Ovvia all’indeducibilità delle svalutazioni delle partecipazioni
Grazie all'opzione di cui all'art. 115, si può ovviare all'irrilevanza delle perdite
derivanti dalla svalutazione delle partecipazioni, che caratterizza il sistema impositivo
dell'IRES.
Tale finalità viene espressa chiaramente nella relazione al disegno di legge delega in
cui si afferma che "l'indeducibilità delle perdite su partecipazioni, conseguenti
all'introduzione della participation exemption, richiede l'introduzione di opportuni
correttivi, per evitare la penalizzazione delle corporate joint ventures e, in genere,
degli altri accordi che richiedono la costituzione di società di capitali, alla cui
compagine sociale partecipano a loro volta altre società di capitali o enti commerciali.
In questi casi, gli eventuali risultati negativi della joint venture sarebbero infatti
fiscalmente irrilevanti per i partners, salva la possibilità per uno solo di questi,
ricorrendone le condizioni, di avvalersi del consolidato fiscale. Al fine di rimuovere
questo effetto negativo, sarà consentito, in questi casi, di optare per il regime di
trasparenza fiscale delle società di persone".
- Compensazione delle perdite
Naturalmente, la partecipante che opti per il regime di trasparenza non solo può
compensare i propri redditi con le perdite prodotte dalla società trasparente, ma anche
operare la compensazione opposta cioè utilizzare i suoi risultati negativi (correnti o
pregressi) a fronte dei redditi imputati per trasparenza dalla partecipata trasparente.
- Beneficio per il pro-rata
Infine, non va trascurato il beneficio che il nuovo regime presenta ai fini del calcolo
del pro-rata patrimoniale, previsto dall'articolo 97, comma 2, lettera b), del TUIR.
Tale disposizione, infatti, nel fissare una regola forfetaria volta a determinare
l'ammontare degli oneri finanziari non deducibili nel caso di partecipazioni che si
qualificano per l'esenzione di cui all'articolo 87 (qualora il loro valore di iscrizione in
bilancio ecceda quello del patrimonio netto contabile), esclude che tale meccanismo
operi con riferimento sia alle partecipazioni in società il cui reddito concorre insieme
a quello della partecipante alla formazione dell'imponibile
di gruppo, sia alle partecipazioni "in società il cui reddito e' imputato ai soci anche per
effetto dell'opzione di cui all'art. 115".
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Tuttavia, si segnala che, per evitare comportamenti elusivi, il legislatore fa salva l'ipotesi
della cessione di tali partecipazioni entro il terzo anno successivo all'acquisto, disponendo, in tal
caso, la rettifica in aumento del reddito imponibile per l'importo corrispondente a quello degli
interessi passivi dedotti nei precedenti esercizi in virtù della disposizione di favore.
15.3 Condizioni soggettive
La possibilità di accedere al regime di trasparenza fiscale viene circoscritta, in generale, alle
sole società di capitali residenti, interamente partecipate da altre società di capitali (residenti e,
a certe condizioni, anche non residenti), ciascuna con una percentuale di partecipazione agli utili
e di diritti di voto esercitabili nell'assemblea generale non inferiore al 10% e non superiore al
50%.
Tali requisiti:
- devono sussistere in capo a tutti i soci (“All in, all out”)
- e permanere ininterrottamente a partire dal primo giorno fino al termine del periodo di
validità dell'opzione, pena la fuoriuscita dal regime.
La disposizione recata dal comma 1 dell'articolo 115, facendo espresso rinvio "ai soggetti
di cui all'art. 73, comma 1, lettera a), al cui capitale sociale partecipano esclusivamente soggetti
di cui allo stesso art. 73, comma 1, lettera a)...", consente l'applicazione del regime di
trasparenza a condizione che la società partecipata e tutte le società partecipanti abbiano
forma giuridica di SPA, SAPA, SRL, Soc. Coop. e di mutua assicurazione.
Ne deriva che non possono avvalersi di tale regime gli enti pubblici economici e i consorzi
che non risultino costituiti in forma societaria, essendo essi ricompresi nella lettera b) e non
nella lettera a) del citato articolo 73.
Risultano in ogni caso escluse dal regime le persone fisiche e le società di persone in qualità
sia di società socie che di società partecipate.
Requisito delle percentuali di partecipazione
Misure minime e massime
Ai sensi dell'articolo 115, comma 1, le società partecipanti possono optare per la trasparenza a
condizione che detengano una partecipazione non inferiore al 10% (percentuale minima) né
superiore al 50% (percentuale massima).
La previsione riguardante la percentuale massima esclude dal regime di trasparenza le
partecipazioni totalitarie, o comunque di controllo, per le quali risulta invece applicabile il
regime del consolidato fiscale.
Non vale l’effetto demoltiplicatore
L'articolo 3 del DM 23.04.04 precisa, inoltre, che le percentuali di partecipazioni agli utili (e
le percentuali di diritti di voto esercitabili in assemblea generale, esaminate nel paragrafo
successivo) previste dal comma 1 dell'articolo 115 del nuovo TUIR devono essere
computate tenendo conto esclusivamente della partecipazione diretta detenuta dal socio nella
società partecipata. Non assume rilevanza, quindi, l'effetto di demoltiplicazione previsto
dall'articolo 120, comma 1, del nuovo TUIR in materia di consolidato fiscale.
Diritti di voto esercitabili dai soci.
Si osserva che le percentuali (minime e massime) di partecipazione possedute dal socio devono
essere tali da assicurargli sia diritti di voto che partecipazione agli utili.
In particolare, per quanto attiene al diritto di voto, il comma 1 dell'articolo 115 stabilisce che lo
stesso deve
essere "esercitabile nell'assemblea generale richiamata dall'art. 2346 del
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codice civile". Si tratta, in altri termini, del voto nell'assemblea generale degli azionisti che
l'articolo 2346 del codice civile preclude ai titolari di strumenti finanziari partecipativi.
A questo riguardo, il decreto ministeriale (articolo 3, comma 2) chiarisce che l'assemblea
generale nella quale deve esercitarsi il diritto di voto, per le società per azioni e in
accomandita per azioni, coincide con l'assemblea ordinaria prevista dagli articoli 2364 e 2364bis del codice civile, mentre per le SRL occorre fare riferimento all'assemblea di cui all'articolo
2479-bis del codice civile.
Con le modifiche apportate dal Correttivo IRES (DLgs 18.11.05 n. 247) è stato stabilito che, ai
soli fini dell’ammissione al regime della trasparenza in oggetto:
- nella percentuale di partecipazione agli utili non si considerano le azioni prive del diritto
di voto (azioni di risparmio e azioni di godimento). “Naturalmente, l’attribuzione dei
redditi ai soci per trasparenza deve avvenire in base alla rispettiva % di partecipazione agli
utili, determinata tenendo conto anche della quota di utile delle medesime azioni prive del
diritto di voto. Il regime di trasparenza può dunque rendersi applicabile anche nel caso di
un socio con una partecipazione agli utili (con conseguente attribuzione del reddito
trasparente) superiore alla soglia limite del 50%, a condizione ovviamente che l’eccedenza
rispetto a tale soglia sia riferibile alle azioni prive del diritto di voto” (Assonime).
“Analogamente parrebbe logico ritenere che il regime in parola possa essere attivato
anche se le azioni prive del diritto di voto appartengano a soci che, non avendo azioni
ordinarie, non possono aderire al regime di trasparenza. Il punto è delicato e meriterebbe
una conferma” (Assonime)
-
la quota di utili delle azioni fornite di diritti patrimoniali correlati ai risultati dell’attività
sociale in un determinato settore (di cui all’art. 2350, 2° comma, 1° periodo, c.c.) si
assume pari alla quota di partecipazione al capitale delle azioni medesime (in tal modo
viene risolto il problema di individuare una % che rischia di essere variabile nel tempo).
15.3.1. Il principio "all in, all out"
I requisiti previsti dalla norma devono risultare soddisfatti in capo a tutte le società
partecipanti. Lo stabilisce espressamente la norma, affermando che il regime di tassazione
alternativo per le società di capitali si può applicare solo alle società cui "partecipano
esclusivamente" soci con i requisiti sopra richiamati.
Ne consegue che se anche uno solo dei soci non presenta i requisiti richiesti, l'opzione
risulta inesperibile anche da parte degli altri.
L'opzione non può essere esercitata e, dunque non trova applicazione il regime di trasparenza
nell'ipotesi in cui, ad esempio, una società sia partecipata da tre soci di cui, il primo, con una
partecipazione del 50%, il secondo con il 45% e l'ultimo con una partecipazione minoritaria del
5%.
La norma precisa, altresì, che i requisiti richiesti "devono sussistere a partire dal primo
giorno del periodo d'imposta della partecipata in cui si esercita l'opzione e permanere
ininterrottamente sino al termine del periodo d'opzione".
In sostanza, il meccanismo e' rigido e prevede che se uno solo dei requisiti previsti al comma
1 venga temporaneamente a mancare, in capo ad uno o più soci, durante il periodo d'imposta
interessato dall'opzione, si perde il diritto alla tassazione per trasparenza.
15.3.2. Contestuale possesso dei requisiti
I soci devono possedere, contestualmente, tutti i requisiti previsti dalla norma.
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E' dunque necessario che siano residenti nel territorio dello Stato, siano costituiti in forma di
società di capitali e possedere azioni o quote rappresentative del capitale sociale che
attribuiscano loro sia il diritto patrimoniale a percepire utili, sia il diritto amministrativo
collegato all'esercizio del voto in assemblea ordinaria, in una percentuale non inferiore al
10% e non superiore al 50%.
In alcuni casi si può verificare una dissociazione fra qualità di socio e titolarità di tali diritti,
nel senso che gli stessi possono spettare a soggetti diversi. Tale ipotesi si verifica, ad esempio,
quando un socio da' in pegno o in usufrutto i propri titoli o nel caso di sequestro delle azioni.
Usufrutto di azioni
Qualora i titoli vengano dati in usufrutto ad un terzo, l'opzione per la trasparenza fiscale non
può essere esercitata e, se fosse stata già esercitata, cesserebbe di aver effetto, in quanto:
- nel caso in cui all'usufruttuario sia attribuito, in virtù del contratto stipulato,
solamente il diritto agli utili, ne' il nudo proprietario (socio) ne' lo stesso usufruttuario
avrebbero il contemporaneo possesso dei requisiti richiesti dalla norma;
- nel caso in cui le parti stabiliscano il trasferimento di entrambi i diritti in capo
all'usufruttuario, quest'ultimo non godrebbe comunque della qualifica di socio, non
partecipando al capitale.
Diversamente, la possibilità di optare per la trasparenza fiscale non viene automaticamente
preclusa se il socio decide di concedere in usufrutto parte dei suoi titoli ad un altro socio,
privandosi dei connessi diritti patrimoniali e amministrativi. A tal fine, sarà necessario
verificare che le percentuali di partecipazione agli utili e di diritti di voto effettivamente
spettanti a ciascuno di essi restino nel range di ammissibilità voluto dal legislatore.
In tal caso, si precisa che gli effetti fiscali conseguenti alla concessione in usufrutto delle
azioni ad altri soci si manifesteranno a partire dal periodo d'imposta successivo alla suddetta
operazione.
Sequestro di azioni
Nell'ipotesi di sequestro di azioni, analogamente a quanto accade per l'usufrutto, si ritiene che
non sia possibile per il socio accedere al regime di trasparenza in quanto lo stesso perde il
diritto di voto sulle azioni sequestrate. Tale diritto, infatti, ai sensi dell'articolo 2352 del codice
civile, spetta al custode dei titoli.
Azioni date in pegno
Con riferimento al pegno, si possono verificare due diverse situazioni considerato che, ai sensi
degli artt. 2352 (Pegno, usufrutto e sequestro delle azioni) e 2791 (Pegno di cosa fruttifera) del
codice civile, il socio può accordarsi con il creditore pignoratizio sia in merito alla spettanza
del diritto di voto, sia in merito all'attribuzione del diritto agli utili. I citati articoli
prevedono, rispettivamente, che il diritto di voto spetti al creditore pignoratizio se non si
conviene diversamente e che, in caso di pegno di cose fruttifere, il creditore abbia la facoltà di
fare suoi i frutti, salvo patto contrario.
Ne consegue che se il socio si priva di entrambi i diritti o di uno solo di essi, la società non
può accedere alla trasparenza (o se l'opzione e' già stata esercitata, la stessa perde efficacia),
venendo meno i requisiti per il socio. Diversamente, nel caso in cui il socio e il creditore
pignoratizio convengono che il diritto di voto e il diritto agli utili continuino a sussistere in
capo al socio medesimo, non si verificano preclusioni all'esercizio dell'opzione (o al
mantenimento del regime fiscale della trasparenza).
15.3.3 Soci non residenti
Di regola, le società caratterizzate dalla forma giuridica sopra indicata devono essere residenti
nel territorio dello Stato. Tuttavia la legge ammette l'eventuale presenza di soci non residenti
nella compagine sociale della società per la quale s'intende optare per la trasparenza.
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Infatti, la circostanza che una o più società partecipanti abbiano la residenza all'estero non
impedisce di per sé l'esercizio dell'opzione.
Il legislatore ha esteso, infatti, anche alle società non residenti nel territorio dello Stato la
possibilità di accedere al regime fiscale della trasparenza, a condizione che (art. 115, 2°
comma):
- abbiano gli stessi requisiti richiesti alle residenti (relativi alle percentuali di diritti di voto
e di partecipazione agli utili che devono essere posseduti ininterrottamente, a partire dal
primo giorno fino al termine del periodo di validità dell'opzione).
- non vi sia l'obbligo di ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti.
- l’eventuale ritenuta, se applicata, sia suscettibile di integrale rimborso (art. 1, comma 2,
DM 23.4.04)
In altri termini, il DM chiarisce che il coinvolgimento dei soggetti non residenti si riferisce alle
sole società socie, che possono avvalersi del regime della trasparenza indipendentemente dalla
loro forma giuridica (soggetti indicati all’art. 73, comma 1, lett. d) Tuir).
Sulla base di tale disposizione, viene semplificato l'accesso al regime opzionale, eliminando
la necessità di compiere, caso per caso, il difficile esame sulla tipologia della società non
residente per verificare se la stessa possa essere assimilata o meno alle società di capitali
previste dall'ordinamento interno.
Assenza di ritenuta alla fonte
La ratio della 2^ condizione consiste nel mantenere inalterata, sul piano della tassazione, la
situazione vigente anteriormente all'esercizio dell'opzione per il regime di trasparenza. Tale
finalità poteva essere perseguita dal legislatore soltanto ammettendo al regime in esame soci
non residenti non assoggettati a ritenuta in relazione agli utili distribuiti dalla partecipata
residente.
Ordinariamente, infatti, dopo che la società partecipata da soggetti non residenti è stata tassata
sui redditi prodotti, si aggiunge la tassazione del socio estero, tramite la ritenuta sul dividendo
percepito. In tal caso, a voler ammettere tutte le società non residenti al regime di trasparenza,
la tassazione avrebbe colpito soltanto il reddito imputato per trasparenza ai soci esteri, posto che
le successive distribuzioni di dividendi non avrebbero concorso a formare il reddito dei
percettori.
Si ricorda che, attualmente, non esistono convenzioni stipulate dal nostro Paese contro le
doppie imposizioni che prevedano dividendi erogati da partecipate italiane esenti da ritenuta.
Pertanto, questa condizione risulta soddisfatta soltanto in due ipotesi:
1. la partecipante non residente beneficia della Direttiva del Consiglio 23 luglio 1990,
n. 90/435 (cosiddette società madri e figlie), attuata per i dividendi in uscita dall'articolo
27-bis del D.P.R. n. 600/73. L'applicazione della Direttiva citata presuppone il rispetto
delle seguenti condizioni:
- costituzione in una delle forme giuridiche previste nell'allegato alla citata
Direttiva;
- fissazione della residenza, ai fini fiscali, in un Paese appartenente alla
Comunità Europea;
- assoggettamento, nello stato di residenza, ad una delle imposte indicate
nell'allegato della predetta Direttiva, senza possibilità di fruire di regimi di
opzione
o di esonero da tassazione che non siano territorialmente o
temporalmente limitati;
- possesso di una partecipazione diretta nel capitale della società residente
(che intende optare per la tassazione per trasparenza) non inferiore al 25%, e
a condizione che la partecipazione sia detenuta ininterrottamente per almeno un
anno (deve essere anche prodotta la certificazione rilasciata dallo Stato estero che
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attesti che la società non residente possieda i requisiti sopra indicati nonché la
documentazione attestante la sussistenza delle condizioni richieste).
La percentuale di partecipazione minima nel capitale della società residente è destinata a
cambiare per effetto della Direttiva 2203/123/CE (GUCE del 13.1.04) che doveva essere
recepita in Italia entro e non oltre il 1° gennaio 2005.
La Direttiva prevede una riduzione graduale della citata percentuale secondo il seguente
iter:
- dal 25% al 20%;
- dal 20% al 15%;
- dal 15% al 10% con effetto dal 1° gennaio 2009.
2.
la partecipante non residente abbia nel territorio dello Stato italiano una stabile
organizzazione cui si riferisce la partecipazione nella società trasparente, posto che, ai
sensi dell'articolo 27, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, nessuna ritenuta deve
essere operata in tale circostanza sugli utili distribuiti dalla società trasparente in
relazione alla suddetta partecipazione. Si osserva che, in questa ipotesi, la società
partecipante potrà essere anche una società residente in un Paese non appartenente alla
Comunità Europea.
Se non viene soddisfatto il requisito della non applicazione delle ritenute sui dividendi distribuiti
ai soci non residenti, l'opzione non può essere esercitata e, se già esercitata, cessa di avere
efficacia fin dall'inizio del periodo d'imposta in cui il socio estero perde l'agevolazione.
Si fa presente che il requisito della detenzione ininterrotta per almeno un anno della
partecipazione qualificata, richiesto per la non applicazione delle ritenute sui dividendi
distribuiti non va necessariamente verificato su un arco temporale precedente a quello dal
quale decorre il regime di trasparenza. Si rammenta, a questo riguardo, che al socio estero è
riconosciuta la possibilità di non subire ritenute sui dividendi anche prima che sia decorso il
periodo minimo, purché la condizione richiesta per fruire di tale beneficio sia adempiuta anche
successivamente alla data della delibera di distribuzione. Nell'eventualità che la condizione della
detenzione ininterrotta non risulti soddisfatta entro il primo periodo di trasparenza, l'opzione
si considera come non perfezionata.
Tassazione in Italia dei redditi di partecipazione dei soci esteri
Come per i soci residenti, la tassazione per trasparenza comporta l'imputazione, pro quota, dei
redditi della partecipata in capo ai soggetti non residenti, indipendentemente dell'effettiva
percezione dei dividendi.
Considerata l'espressa previsione normativa dell'articolo 23, comma 1, lettera g) del TUIR, i
redditi imputati ai soci non residenti si considerano prodotti nel territorio dello Stato e,
conseguentemente, concorrono a formare il reddito imponibile degli stessi soci in Italia.
15.4. Condizioni oggettive
Il meccanismo di funzionamento del regime di tassazione per trasparenza è strutturato in maniera
analoga a quello già previsto per le società di persone.
Il comma 1 dell'articolo 115, ricalcando la formulazione dell'articolo 5 del previgente TUIR,
stabilisce, infatti, che il reddito prodotto dalla società di capitali “è” imputato a ciascun socio,
indipendentemente dall'effettiva percezione, alla data di chiusura dell'esercizio della partecipata
e in proporzione alla quota di partecipazione agli utili che ciascuno di essi possiede alla
predetta data.
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15.4.1. Coincidenza o meno degli esercizi sociali
Nel regime di trasparenza, in assenza di disposizioni analoghe a quelle previste per il
regime del consolidato, l'opzione può essere esercitata anche se il periodo d'imposta della
partecipata non coincide con quello delle società partecipanti.
L'imputazione del reddito per trasparenza non comporta particolari problemi qualora tutte le
società coinvolte abbiano esercizi coincidenti con l'anno solare; diversamente, l'imputazione
del reddito può verificarsi "in corso d'anno", con la conseguenza che le imposte sul reddito
prodotto dalla partecipata, dovute pro-quota dalle partecipanti, potrebbero essere liquidate
mesi dopo, in sede di dichiarazione dei redditi di ciascuna società socia.
La norma precisa che, sulla base dello stesso criterio di attribuzione, ogni socio può
scomputare dalle relative imposte dovute le ritenute operate a titolo di acconto sui redditi della
società partecipata, i crediti d'imposta e gli acconti versati dalla stessa.
ata di chiusura dell’esercizio
Conformemente alle società di persone, si ritiene che l'imputazione del reddito per trasparenza
(fermo restando il possesso degli altri requisiti) possa avvenire soltanto nei confronti di
coloro che possiedono la qualifica di soci alla data di chiusura dell'esercizio.
Gli atti con i quali si modificano le percentuali di partecipazione agli utili, lasciando
immutata l'originaria compagine societaria e senza fuoriuscita dal range fissato dalla norma,
spiegano efficacia, ai fini dell'imputazione del reddito, a partire dal periodo d'imposta
successivo a quello nel quale sono posti in essere.
In pratica, qualora non vi sia ingresso di un nuovo socio ma si intervenga una modifica della
quota di partecipazione agli utili o alle perdite, le modifiche spiegano efficacia sul piano fiscale
dell’imputazione del reddito a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui si sono
verificate.
Ciò in analogia con la disposizione di cui all'articolo 5, comma 2, del TUIR, riferita alle
società di persone, al cui regime fiscale s'ispira la trasparenza delle società in esame.
Ingresso di un nuovo socio
L’ingresso di un nuovo socio soggetto IRES non determina la fuoriuscita dal regime a condizione
che vengano rispettate le % di partecipazione minime e massime. Trattandosi di sostituzione
soggettiva il risultato finale sarà attribuito per trasparenza ai soci che rivestono tale qualifica alla
data di chiusura dell’esercizio.
In particolare, con riferimento alla variazione della compagine sociale, si evidenzia che
qualora i soci entranti soddisfino le condizioni previste dalla legge, questi restano vincolati
all'opzione già esercitata dai vecchi soci.
Se, da un lato, il legislatore ha ritenuto opportuno tutelare i soci di minoranza prevedendo
l'espressa manifestazione di assenso da parte di tutte le società coinvolte dal nuovo istituto
prima di consentire l'imputazione ai soci di redditi non effettivamente percepiti, dall'altro, per
garantire una maggiore facilità e semplicità di accesso al regime della trasparenza, ha
stabilito che tale opzione continui ad essere efficace anche nei confronti degli eventuali
successivi soci entranti (in possesso dei requisiti). In altre parole, non si e' ritenuto necessario
che anche questi ultimi esercitino, a loro volta, l'opzione per il regime di trasparenza. A
differenza del socio uscente, infatti, chi decide di subentrare in una società di capitali che
ha optato per la trasparenza fiscale, decide di farlo consapevole del regime di tassazione che si
renderà applicabile alla sua partecipazione.
Occorre considerare, inoltre, che, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del decreto ministeriale, il
socio cedente ha l'obbligo di comunicare al socio cessionario l'avvenuta opzione. In caso di
aumento del capitale sociale con ingresso di nuovi soci, sarà solo la partecipata a dover
effettuare nei confronti di costoro la comunicazione del regime fiscale vigente.
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Si osserva che il decreto ministeriale, sul punto, non fissa alcuna regola ne' specifica la forma
che deve avere tale comunicazione (sia quella effettuata dal cedente che quella della
partecipata). Si ritiene, pertanto, valida qualunque modalità che dia evidenza giuridica di tale
adempimento, ferma restando, per ovvie ragioni, l'esigenza che tale comunicazione venga
effettuata prima della cessione delle quote.
L'eventuale omissione della comunicazione
al
socio
entrante, prescindendo da ogni
valutazione civilistica, non provoca però effetti sul piano fiscale, nel senso che la scelta operata
per il regime di trasparenza, essendo irrevocabile, continuerà comunque ad avere efficacia.
Quindi, la modifica delle percentuali di partecipazione agli utili e dei diritti di voto tra i soci
e/o la modifica della compagine sociale non comportano l'automatica perdita di efficacia
dell'opzione. Anche al verificarsi di tali cambiamenti, infatti, e' garantita la possibilità di
continuare ad avvalersi della trasparenza fiscale se comunque permangono in capo ai soci i
requisiti previsti dall'articolo 115 del nuovo TUIR (articolo 6, comma 2, del decreto
ministeriale).
15.4.2. Catena societaria a cascata
E' possibile applicare il regime di trasparenza "a cascata" lungo la catena societaria. La società
alla quale viene imputato, per trasparenza, il reddito della partecipata può, a sua volta, imputare
per trasparenza il proprio reddito alle sue partecipanti. Sempre che, naturalmente, tutte le
società coinvolte abbiano esercitato l'opzione e soddisfino le condizioni previste dalla legge.
15.4.3. Casi di perdita
Nonostante l'espressione "imputazione del reddito imponibile" utilizzata dal legislatore, il
regime di trasparenza si riferisce anche all'ipotesi in cui la società partecipata abbia registrato
una perdita di periodo (ipotesi, peraltro, espressamente disciplinata nell'ultimo capoverso del
comma 3 del citato articolo 115).
Considerato che l'imputazione "per trasparenza" può riferirsi anche ad un risultato fiscale
negativo della partecipata, l'esercizio dell'opzione può comportare il verificarsi di situazioni
differenti in capo a ciascuna società partecipante.
In particolare, l'imputazione del reddito della partecipata trasparente può:
- determinare un aumento dell'imponibile in capo al socio;
- essere compensata, in tutto o in parte, con una perdita del socio.
Mentre, l'imputazione per trasparenza di una perdita può:
- compensare, in tutto o in parte, i redditi positivi del socio;
- incrementare la perdita del socio.
15.4.4. Cause di esclusione
Con le modifiche apportate dal Correttivo IRES (DLgs 18.11.05 n. 247) l’esercizio dell’opzione
non è consentito nel caso in cui (art. 115, comma 1):
a) i soci partecipanti fruiscano della riduzione dell’aliquota dell’IRES;
b) la società partecipata eserciti l’opzione di cui agli artt. 117 e 130 Tuir (consolidato
nazionale e mondiale)
c) l'assoggettamento della società partecipata alle procedure concorsuali di cui all'articolo
101, comma 5, del nuovo TUIR
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Condizione sub a)
Nella versione ante Correttivo, la causa di esclusione era rappresentata dall’emissione di
strumenti finanziari di cui all'art. 2346, ultimo comma, del codice civile. Il Correttivo ha
voluto eliminare una incongruenza del sistema che concedeva altrimenti la fruizione della
trasparenza ad un soggetto potenzialmente non titolare di diritti di voto né di partecipazione al
capitale sociale (come, per esempio, in caso di un contratto di associazione in partecipazione con
la società trasparente in veste di associante).
di 2 Soc. Cooperative Agricole
Va notato che con la C.M. 10/E del 16.3.05 l’Agenzia aveva risposto negativamente a due società
cooperative agricole che avevano invocato le agevolazioni di cui all’art. 10 Dpr 601/73 anche per
la quota di reddito che derivava loro direttamente da una Spa trasparente.
Condizione sub b)
La società partecipata che decida di optare per la trasparenza fiscale non può farlo, con
riferimento ai medesimi periodi d'imposta, anche per il regime del consolidato nazionale o
mondiale.
La norma vuole impedire che l'imponibile di gruppo, da tassare in capo alla sola società
controllante capofila, possa essere imputato ad altri soggetti (soci ma non controllanti della stessa
società capogruppo consolidante), mediante l'esercizio dell'opzione per la trasparenza fiscale.
L'opzione infatti può essere esercitata qualora i soci partecipano, in qualità di soggetti
controllanti o controllati, alle forme di consolidamento fiscale previste dagli articoli 117 e 130
del nuovo TUIR (art. 1, comma 3, DM).
Condizione sub c)
Alle cause previste dalla legge che inibiscono la trasparenza fiscale, il decreto
ministeriale (art. 2, comma 1), ha aggiunto l'assoggettamento della partecipata alle
procedure concorsuali di cui all'art. 101, comma 5, del TUIR.
Si tratta, in altri termini, del fallimento, della liquidazione coatta amministrativa, della procedura
di concordato preventivo e della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese
in crisi.
Pertanto, se una delle suddette procedure concorsuali si è aperta nei confronti della società
partecipata, questa non potrà esercitare l'opzione di cui all'articolo 115.
Nell'ipotesi in cui la partecipata si trovi già in regime di trasparenza, l'articolo 10 del decreto
prevede, più precisamente, che l'opzione esercitata perde efficacia a partire dal periodo d'imposta
avente inizio dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che
ordina la liquidazione coatta amministrativa o del decreto di ammissione alla procedura di
concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione
straordinaria delle grandi imprese in crisi.
15.5. Esercizio dell’opzione
Le modalità di esercizio dell'opzione sono disciplinate nel comma 4 dell'articolo 115 e, più in
dettaglio, dal decreto ministeriale.
In sintesi, l’opzione:
- deve essere esercitata congiuntamente dalla stessa società e da tutti i suoi soci;
- deve essere comunicata all'amministrazione finanziaria entro il primo dei tre periodi
d'imposta della partecipata;
- è vincolante per tre periodi d'imposta della società partecipata.
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Motivi di cautela fiscale hanno indotto il legislatore a stabilire, anche per il regime della
trasparenza, l'irrevocabilità della scelta operata per un congruo periodo di tempo, cioè tale da
evitare un utilizzo distorto dell'istituto.
La norma prevede, inoltre, che l'opzione sia esercitata entro il primo dei tre periodi
d'imposta della partecipata. Ciò significa che le società interessate possono decidere di
effettuare l'opzione all'inizio come alla fine dell'anno, dunque anche dopo aver versato gli
acconti. Se la partecipata ha già versato gli acconti relativi al periodo d'imposta per il quale è
valida l'opzione per la trasparenza, questi siano scomputati dalle imposte dovute dai singoli soci,
secondo la percentuale di partecipazione agli utili di ciascuno. In altri termini, la partecipata
deve attribuirli proporzionalmente ai suoi soci.
Per le modalità operative con cui effettuare l'opzione occorre fare riferimento al Provvedimento
del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 4.8.04.
L'opzione per la trasparenza, per essere valida, deve essere effettuata, oltre che dalla
partecipata, anche dai soci, mediante l'invio alla società partecipata di una raccomandata con
ricevuta di ritorno contenente la volontà di optare per il regime della trasparenza. Il DM non
stabilisce gli specifici contenuti della comunicazione essendo sufficiente che dalla medesima si
evinca inequivocabilmente la volontà della società di optare per la tassazione per trasparenza;
L'opzione si perfeziona quando e' trasmessa all'Agenzia delle Entrate a cura della sola
società partecipata, secondo le modalità indicate nel citato Provvedimento del Direttore
dell'Agenzia delle Entrate. L'invio della comunicazione è condizione essenziale per
l'ammissione al regime di trasparenza, essendo a tal fine irrilevanti eventuali comportamenti
concludenti tenuti dalle società interessate.
Non è valido il rinnovo tacito della scelta esercitata. Le modalità mediante le quali e' possibile
rinnovare l'opzione alla scadenza naturale del triennio sono le medesime previste per la prima
opzione.
Nelle ipotesi in cui vi sia una modificazione della compagine sociale - ad esempio mediante
ingresso di nuovi soci - e/o una modificazione delle percentuali di partecipazione nell'ambito
della compagine sociale esistente che comportino la perdita di efficacia dell'opzione (comma 2)
la società partecipata ha l'obbligo di informativa nei confronti dell'Agenzia dell'Entrate.
Tale obbligo va assolto entro i trenta giorni successivi al mutamento verificatosi, secondo le
modalità indicate nel provvedimento emanato dall'Agenzia delle Entrate.
15.5.1. Modalità di tassazione
Per verificare gli impatti contabili del regime di trasparenza occorre individuare le conseguenze
fiscali dell’opzione per tale regime.
Nell’ipotesi di gruppi di società il socio riceve la quota di reddito di sua spettanza dalla
partecipata che non lo tassa. Sarà infatti il socio che dopo averlo sommato a quello da lui prodotto
lo sottoporrà ad imposizione. Il vantaggio si manifesta nell’ipotesi in cui le posizioni da sommare
in capo al socio “partecipante” siano di segno opposto: ovvero quando il reddito ricevuto per
trasparenza deve essere sommato con una perdita derivante dalla propria attività d'impresa o da
altre partecipazioni trasparenti (o viceversa).
Inoltre la trasparenza comporta il vantaggio di sfuggire alla doppia imposizione ormai introdotta
sui dividendi erogati ai soci da parte dei soggetti Ires. La doppia tassazione emerge in quanto gli
utili sono in primo luogo tassati in capo al soggetto produttore degli stessi e poi (parzialmente)
tassati una seconda volta in capo al percettore.
Con la trasparenza, evitandosi in ogni caso la tassazione in capo al soggetto produttore (società
partecipante), decade anche la doppia tassazione prima evidenziata.
Una importante particolarità concerne la limitazione prevista nel caso di imputazione delle
perdite. Le stesse possono infatti essere trasferite ai soci nel limite della quota di patrimonio di
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competenza del socio. Il decreto attuativo ha poi specificato che la quota di patrimonio netto
contabile deve essere determinata:
- senza considerare la perdita dell'esercizio
- tenendo conto dei conferimenti effettuati entro la data di approvazione del relativo
bilancio.
Le previsioni del decreto mitigano quindi, almeno in parte, la stretta all’imputazione delle perdite
prevista dal testo dell’art. 115.
Gli effetti contabili
La trasparenza porta come conseguenza la necessità di adottare precise regole, differenti da quelle
ordinarie, in ambito contabile.
Sia in sede di effettuazione delle scritture contabili che di redazione del bilancio d’esercizio
l’opzione effettuata ai sensi dell’art. 115 comporta notevoli conseguenze. Le regole da osservare
devono essere analizzate in primo luogo con riferimento ai diversi soggetti interessati ovvero con
riferimento alla società partecipata e a quella partecipante.
1. Società partecipata
In questo caso si devono analizzare due ipotesi:
a) produzione di un reddito imponibile
b) rilevazione di una perdita fiscale.
a) produzione di reddito imponibile
L’opzione per la trasparenza ha come effetto principale quello di rendere ininfluente in carico alla
partecipata il reddito prodotto. Lo stesso è trasferito in capo ai soci partecipanti.
Qualora pertanto vi sia la produzione di un reddito in un periodo d’imposta in cui vige il regime
di trasparenza la società partecipata non dovrà effettuare alcuna scrittura con riguardo alla
fiscalità.
La stessa si limiterà (extra contabilmente) ad imputare il reddito prodotto pro quota ai
partecipanti.
Tale riferimento è chiaramente applicamene alla tassazione ai fini Ires non incidendo invece il
regime di trasparenza ai fini Irap.
Ciò comporterà un miglioramento del risultato d’esercizio della partecipata che non dovrà
accantonare alcunché ai fini Ires. Ipotizzando pari a zero il carico Irap ed anche un reddito
imponibile pari al risultato civilistico, a fronte di un utile prodotto pari € 1.000:
- in assenza di opzione per la trasparenza la partecipante dovrà accantonare € 330 ai fini
Ires, con un risultato netto pari a quindi € 670 (€ 1.000 - € 330);
- in presenza di opzione per la trasparenza la partecipante non dovrà accantonare alcunché
ai fini Ires, con un risultato netto che rimarrà pari € 1.000.
E’ evidente come un conto economico che non presenti alcun onere correlato alle imposte
d’esercizio pur in presenza di un risultato positivo dell’esercizio, può lasciare qualche dubbio. Si
ritiene che il meccanismo della trasparenza e la motivazione che ha portato (correttamente) a
non accantonare alcunché ai fini Ires, debba trovare idonea spiegazione in nota integrativa, al fine
di permettere una reale comprensione degli accadimenti al lettore di bilancio.
b) rilevazione di un risultato fiscale negativo
Anche in questo caso la società partecipata non deve effettuare alcuna scrittura contabile nel
momento in cui rileva la perdita fiscale maturata nell’esercizio (periodo d’imposta) e la trasferisce
ai partecipanti.
Anche in questa ipotesi il meccanismo della trasparenza si ritiene debba essere opportunamente
illustrato nella nota integrativa.
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2. Società partecipanti
a) imputazione di un reddito
Anche in questo caso le società partecipanti non devono rilevare contabilmente l’imputazione del
reddito trasferito. Ma questa situazione comporta la necessità di imputare contabilmente la quota
di imposte correlata al reddito trasferito per trasparenza.
In sostanza il reddito imputato dalla partecipata andrà a sommarsi:
- con il reddito prodotto in proprio dalla partecipante;
- con eventuali altri redditi trasparenti.
In sostanza il reddito trasferito per trasparenza assume rilevanza al apri di qualsiasi altra ripresa in
aumento effettuata in sede di calcolo del reddito imponibile.
Anche tale situazione deve essere illustrata nella nota integrativa. Occorrerà dare evidenza della
variazione in aumento (definitiva e non temporanea) apportata al fine di ricostruire il totale del
reddito imponibile assoggettato a tassazione in capo alla partecipante.
b) risultato fiscale negativo
Come nel caso sub 2.a:
- non è necessaria alcuna scrittura contabile specifica che evidenzi l’imputazione della perdita;
- l’imputazione influenzerà direttamente la scrittura contabile di accantonamento dell’Ires
corrente;
- occorre dare evidenza della variazione (in diminuzione) apportata al fine di ricostruire il totale
del reddito imponibile assoggettato a tassazione in capo alla partecipante.
GLI EFFETTI CONTABILI
La partecipata
Reddito
La società partecipata non dovrà effettuare
alcuna scrittura con riguardo alla fiscalità.
La situazione deve trovare idonea
spiegazione in nota integrativa, al fine di
permettere una reale comprensione degli
accadimenti al lettore di bilancio.
Le partecipanti
Reddito
Le società partecipanti non devono rilevare
contabilmente l’imputazione del reddito
trasferito.
Anche tale situazione deve essere illustrata
nella nota integrativa.
Perdita
La società partecipata non deve effettuare
alcuna scrittura contabile nel momento in cui
rileva
la
perdita
fiscale
maturata
nell’esercizio (periodo d’imposta) e la
trasferisce ai partecipanti.
Anche in questa ipotesi il meccanismo della
trasparenza si ritiene debba essere
opportunamente
illustrato
nella
nota
integrativa.
Perdita
Non è necessaria alcuna scrittura contabile
specifica che evidenzi l’imputazione della
perdita. Occorre dare evidenza della
variazione (in diminuzione) apportata al fine
di ricostruire il totale del reddito imponibile
assoggettato a tassazione in capo alla
partecipante.
I conti d’ordine
L’art. 115, comma 8 prevede che "la società partecipata è solidalmente responsabile con ciascun
socio per l'imposta, le sanzioni e gli interessi conseguenti all'obbligo di imputazione del reddito".
Pertanto nonostante la partecipata si liberi del reddito imponibile traslando per trasparenza al
socio, ciò non comporta il raggiungimento da parte della società di una sicura e certa impunibilità
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fiscale. La disposizione del comma 8 comporta che in capo alla partecipata si mantenga un
impegno a rispondere solidalmente di eventuali imposte, sanzioni e interessi.
Tale impegno deve essere pertanto esposto nei conti d’ordine (soluzione preferibile) o quanto
meno chiaramente ed esplicitamente esposta in nota integrativa.
Le ritenute
La norma di legge (art. 115, comma 3 del Tuir) dispone che le ritenute operate a titolo di acconto
sui redditi della società partecipata, i crediti d'imposta e gli acconti versati si scomputano dalle
imposte dovute dai singoli soci. Il trasferimento ai soci avviene anche in questo caso sulla base
della percentuale di partecipazione agli utili di ognuno dei partecipanti.
L’ipotesi più comune dovrebbe essere quella che prevede come contropartita rispetto al
trasferimento di ritenute, credit e acconti il pagamento di un quantum monetario di pari importo.
In sostanza da un lato la partecipata trasferisce una certa quantità di crediti d’imposta e ottiene in
cambio una contro partita monetaria.
Pertanto la società partecipata dovrà:
- iscrivere un credito verso i soci andando nel contempo ad azzerare i crediti verso l’erario;
- nel momento dell’incasso della contropartita dovrà accreditare le disponibilità liquide ed
azzerare il credito verso i soci.
La società partecipante dovrà invece:
- iscrivere un credito verso l’erario andando nel contempo ad incrementare i debiti verso la
partecipata;
- nel momento del pagamento del socio dovrà addebitare le disponibilità liquide ed azzerare
il debito verso la partecipata.
Nel caos in cui non si dovesse prevede una contropartita finanziari il trasferimento del credito e la
sua iscrizione nel bilancio della partecipante non potranno che avere come contro partita un onere
o un provento di conto economico.
Distribuzione degli utili e delle riserve
Il comma 5 dell’art. 115 dispone che “l'esercizio dell'opzione di cui al comma 4 non modifica il
regime fiscale in capo ai soci di quanto distribuito dalla società partecipata utilizzando
riserve costituite con utili di precedenti esercizi o riserve di cui all’articolo 47, comma 5. Ai fini
dell'applicazione del presente comma, durante i periodi di validità dell'opzione, salva una
diversa esplicita volontà assembleare, si considerano prioritariamente distribuiti gli utili
imputati ai soci ai sensi del comma 1. In caso di coperture di perdite, si considerano
prioritariamente utilizzati gli utili imputati ai soci ai sensi del comma 1”.
Dopo aver fissato che il reddito imputato per trasparenza è tassato (indipendentemente dalla
percezione) in capo al socio la norma si preoccupa anche di fissare le regole da applicare invece
nel momento della percezione.
Gli utili (o le riserve) che si formano nei periodi di trasparenza nel momento in cui sono
effettivamente distribuiti non concorrono a formare il reddito dei soci. Tale regola è applicabile
in ogni caso ovvero è applicabile anche nel caso in cui la distribuzione avvenga effettivamente in
un periodo successivo a quello in cui l’opzione per la trasparenza è efficace.
Inoltre è stabilito che la trasparenza:
- non modifica la disciplina fiscale di cui all'art. 89 del testo unico relativamente alla
distribuzione di riserve costituite con utili di precedenti esercizi
- non altera quanto previsto dall’art. 47, comma 5.
In particolari le nuove regole in vigore stabiliscono che non si riconosca più alcun credito
d’imposta al percettore e la concorrenza ala formazione del reddito in misura pari al 5 per cento
del loro ammontare.
Sono inoltre fissate alcune presunzioni in forza delle quali si considerano
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distribuiti prioritariamente gli utili imputati ai soci per trasparenza (anche se è possibile che
l’assemblea dei soci stabilisca una diversa priorità) e che nel caso di copertura di perdite si
considerano prioritariamente utilizzati gli utili imputati ai soci per trasparenza.
La nota integrativa
Non solo le innovazioni apportate dalla riforma del diritto societario ma che alcune delle novità
del nuovo Tuir incideranno profondamente sulle modalità di redazione della nota integrativa.
Come si è detto anche l’adozione del regime di trasparenza deve essere illustrato nella parte
esplicativa del bilancio d’esercizio al fine di rendere palese le indicazioni numeriche fornite nello
stato patrimoniale e conto economico.
Un esempio di quanto descritto da una società partecipata può essere il seguente.
Esempio
La partecipata
La Vostra società ha optato per il regime di trasparenza di cui all’art. 115 del Tuir. L’opzione
risulta essere stata inviata in data ……..
L’opzione è stata possibile in quanto al capitale sociale partecipano esclusivamente società a
responsabilità limitata che possiedono una percentuale del diritto di voto e di partecipazione
agli utili non inferiore al 10 per cento e non superiore al 50 per cento.
Si è verificato che i requisiti di cui sopra sussistevano a partire dal primo giorno del periodo
d'imposta e sono rimasti inalterati fino
al termine del periodo. Inoltre ricordiamo che l’opzione è risultata possibile in quanto la Vostra
società non ha emesso strumenti finanziari partecipativi e non ha esercito l’opzione per il
regime del consolato fiscale.
In forza dell’opzione esercita il reddito imponibile prodotto non è stato assoggettato a tassazione
n quanto traslato in capo alle società partecipanti, a cui spetterà il compito di tassare lo stesso. In
forza di ciò non sono stati imputati a conto economico importi da correlare all’Ires corrente.
Considerando la disposizione secondo cui la “società partecipata è solidalmente responsabile con
ciascun socio per l'imposta, le sanzioni e gli interessi conseguenti all'obbligo di imputazione
del reddito” nei conti d’ordine è stato iscritto un importo corrispondente al rischio di regresso
subito dalla Vostra società.
La partecipante
La Vostra società ha optato per il regime di trasparenza di cui all’art. 115 del Tuir. L’opzione
risulta essere stata inviata in data ……..
L’opzione è stata possibile in quanto al capitale sociale della società partecipata partecipano
esclusivamente società a responsabilità limitata che possiedono una percentuale del diritto di
voto e di partecipazione agli utili non inferiore al 10 per cento e non superiore al 50 per cento.
Si è verificato che i requisiti di cui sopra sussistevano a partire dal primo giorno del periodo
d'imposta e sono rimasti inalterati fino
al termine del periodo. Inoltre ricordiamo che l’opzione è risultata possibile in quanto la società
partecipata non ha emesso strumenti finanziari partecipativi e non ha esercito l’opzione per il
regime del consolato fiscale.
In forza dell’opzione esercita il reddito imponibile prodotto non è stato assoggettato a tassazione
in capo alla partecipata in quanto traslato por quota in capo alle società partecipanti, a cui spetta il
compito di tassare lo stesso. In forza di ciò con riguardo alla Vostra società le risultanze possono
così essere schematizzate:
- reddito imponibile prodotto: € ………………
- reddito imponibile imputato per trasparenza: € …………………
- reddito imponibile totale: € …………………………
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-
aliquota d’imposta applicata: 33%
imposte correnti (IRES) : € ………………………….
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I.B.15–bis. La trasparenza fiscale delle società a ristretta base proprietaria
15-bis.1. Il quadro normativo – finalità e vantaggi
I chiarimenti forniti in relazione alle disposizioni della trasparenza di cui all’articolo 115 del
Tuir sono estensibili anche alla disciplina della trasparenza delle società a ristretta base
partecipativa.
Il meccanismo di funzionamento del regime di tassazione per trasparenza delle società a
ristretta base partecipativa e' analogo a quello previsto dall'articolo 115 per le altre società di
capitali: la quota di reddito (o di perdita) della società a responsabilità limitata (o della
cooperativa) viene imputata in capo al socio, a prescindere dal fatto che questi percepisca
effettivamente tale quota di utili.
In particolare, l'adozione del regime di trasparenza permette ai soci, che svolgono anche
attività d'impresa, di compensare gli utili e le perdite, derivanti dalla partecipazione, con le
perdite ed utili derivanti da attività commerciali.
L'obbligo del pagamento dell'imposta sul reddito della partecipata si sposta dalla sfera
societaria al socio persona fisica, con la conseguenza che il reddito della partecipata sconterà
nella sostanza le aliquote previste nell'ambito della tassazione IRPEF.
L'opzione per il regime fiscale in esame consente alla società ed ai suoi soci di ottenere
particolari vantaggi fiscali, considerato che il reddito della società partecipata viene trasferito
dalla sfera impositiva IRES, cui corrisponde una tassazione ordinaria con aliquota al 33 per
cento, alla sfera impositiva IRPEF (futura IRE), nella quale per i redditi di minore ammontare
operano aliquote inferiori a quella proporzionale prevista per le società.
Il regime di trasparenza consente di evitare qualsiasi ulteriore tassazione degli utili al
momento della loro distribuzione; non opererà, pertanto la ordinaria tassazione (40 per cento
del dividendo distribuito per le partecipazioni qualificate, ovvero la ritenuta a titolo d'imposta
del 12,50 per cento, nel caso di possesso di partecipazioni non qualificate).
15-bis.2. Ambito soggettivo
L'articolo 116, comma 1, del nuovo TUIR stabilisce che possono accedere al regime di
trasparenza le società a responsabilità limitata, disciplinate dagli artt. 2462 e ss. del codice
civile, e le società cooperative, di cui agli artt. 2511 e ss. del codice civile.
Le società partecipate rientranti in una delle tipologie commerciali indicate ed i suoi soci
potranno avvalersi del regime di trasparenza, a condizione che le prime siano in possesso
dei seguenti requisiti:
- volume di ricavi non superiore alla soglia prevista per l'applicazione degli studi di settore.
Per tutti gli studi approvati fino al 2004 i relativi decreti ministeriali hanno fissato il
limite in esame a 10 miliardi di lire corrispondenti a euro 5.164.569,00. Qualora in
futuro dovessero essere approvati studi applicabili in presenza di un ammontare di ricavi
inferiore alla predetta soglia, di tale minore importo si dovrà tenere conto anche ai fini
della applicazione del regime di trasparenza per le società che operano in tali settori.
- compagine sociale composta esclusivamente da soci persone fisiche, anche esercenti
attività d'impresa, in numero non superiore a dieci ovvero a venti, nel caso di società
cooperative. In considerazione del requisito formale richiesto dalla norma per accedere
al regime fiscale in esame, e' da ritenere che possano rientrare, nella tipologia dei
soggetti ammessi alla trasparenza, anche i consorzi svolgenti attività commerciale,
costituiti da imprenditori individuali (artt. 2612 e ss. del c.c.) sotto forma di società
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a responsabilità limitata, fermo restante il possesso dei requisiti richiesti dalle norme di
seguito commentate.
Inoltre, la disciplina del regime fiscale della trasparenza delle società a responsabilità limitata
(o cooperative) e' applicabile a condizione che tutti i soci partecipanti siano persone fisiche:
- residenti in Italia, anche se esercitano attività d'impresa;
- non residenti, a condizione che il reddito venga imputato con riferimento ad una
partecipazione detenuta attraverso una stabile organizzazione.
La condizione di accesso alla trasparenza appena richiamata si ricollega altresì alla
circostanza che il socio estero non sia soggetto alla ritenuta a titolo d'imposta (con
aliquota del 27 per cento); circostanza che si verifica quando la sua partecipazione e'
detenuta attraverso una stabile organizzazione (art. 27, comma 3, del D.P.R. 29 settembre
1973, n. 600); si evita così che il regime in esame possa divenire per i non residenti
(soggetti a ritenuta) uno strumento elusivo idoneo a sottrarsi alla ritenuta sui dividendi
erogati dalla società partecipata.
Ai sensi dell'art. 116 del nuovo TUIR, l'applicazione della trasparenza non richiede, per le
società a ristretta base partecipativa, la sussistenza in capo ai soci dei requisiti indicati al comma
1 dell'articolo 115, concernenti le soglie massime e minime di diritti al voto e di
partecipazione agli utili. Ai fini dell'applicabilità del regime e' necessario, invece, che i soci
siano persone fisiche e che il loro numero, durante tutto il periodo d'imposta trasparente, non
ecceda le dieci unità (venti per i soci delle cooperative). Rileva, in particolare, il numero dei
soci iscritti nel libro di cui all'art. 2478, primo comma, numero 1), del codice civile; per la
verifica di tale numero occorre considerare, inoltre, gli eventuali comproprietari della
medesima quota, nel caso in cui i relativi diritti vengano esercitati a mezzo di rappresentante
comune (art. 2468, quinto comma del codice civile).
L'assenza dei vincoli connessi a soglie massime di partecipazione, previsti invece dall'art.
115, consente di fruire del regime di trasparenza previsto dall'articolo 116 anche alle società a
responsabilità limitata di tipo unipersonale.
15-bis.2.1. Cause specifiche di esclusione
Una prima causa di esclusione dal regime, specificamente prevista dall'art. 116, comma 1,
ultimo periodo, consiste nel possesso o acquisizione, da parte della società trasparente, di
partecipazioni che si qualificano per il regime di esenzione, di cui all'art. 87 del nuovo TUIR
(c.d. participation exemption).
In considerazione del rinvio operato dall'ultimo comma dell'art. 14, del citato decreto
ministeriale, anche per le società a ristretta base partecipativa valgono come cause di
esclusione dalla trasparenza:
- l'opzione della partecipata per il consolidato nazionale o mondiale (art. 2, lettera b
del decreto ministeriale);
- l'assoggettamento della partecipata alle procedure concorsuali di cui all'art. 101,
comma 5, del nuovo TUIR (art. 2, lettera c, del decreto ministeriale).
15-bis.3. Esercizio e durata dell'opzione
L'art. 116, comma 1, regolamenta l'accesso al regime da parte delle società a ristretta base
partecipativa, stabilendo che esso venga effettuato con le medesime modalità previste per
le altre società di capitali ammesse alla trasparenza.
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15-bis.4 Decadenza dal regime
Come per le cause di esclusione, alcune cause di decadenza dal regime sono previste in
modo specifico dall'art. 116 del nuovo TUIR e dall'art. 14 del decreto ministeriale; ulteriori
ipotesi di decadenza vanno individuate per effetto del rinvio operato dall'art. 14, ultimo
comma, del decreto ministeriale alle norme applicabili in materia di trasparenza delle altre
società di capitali.
Le specifiche cause di decadenza dal regime
L'art. 14, comma 2, del decreto ministeriale disciplina la decorrenza degli effetti della
perdita di efficacia dell'opzione, nel caso in cui vengano meno i requisiti previsti per l'accesso
alla trasparenza, relativamente:
a) al superamento della soglia massima dei ricavi: la decadenza ha efficacia a partire dal
periodo d'imposta successivo
b) al venir meno dei requisiti dei soci: la decadenza dall'opzione produce effetti immediati
ossia dal periodo d'imposta nel corso del quale si verifica che:
b.1) la compagine sociale della società partecipata non e' più costituita
esclusivamente da persone fisiche;
b.2) il numero dei soci anche per un breve lasso di tempo risulta superiore a dieci
(venti nel caso di cooperativa);
b.3) i soci non residenti non operano più attraverso una stabile organizzazione.
Altre cause di decadenza dal regime
Per effetto di quanto previsto dall'art. 14, ultimo comma, del decreto ministeriale, che
richiama - ove compatibili - le norme sulla trasparenza delle altre società di capitali,
producono la decadenza dall'opzione:
- l'assoggettamento della partecipata ad una delle procedure concorsuali, di cui all'art.
101, comma 5, del nuovo TUIR;
- la trasformazione della partecipata in altra società non avente forma giuridica di s.r.l.
(ovvero cooperativa, purché costituite in entrambi i casi da sole persone fisiche);
- il trasferimento all'estero della residenza della società partecipata.
15-bis.5. Imputazione del reddito della società partecipata
Come avviene nel regime di trasparenza delle altre società di capitali, il reddito prodotto
dalle s.r.l. (o società cooperative) viene attribuito ai soci esistenti alla data di chiusura
dell'esercizio della partecipata, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili posseduta
da ciascuno di essi ed a prescindere dall'effettiva percezione.
L'imputazione ai soci dei risultati fiscali conseguiti dalla partecipata verrà pertanto
effettuata in base alla situazione esistente alla data di chiusura del periodo d'imposta, come
prescritto (in coerenza con l'art. 115, comma 3, del nuovo TUIR) dall'art. 7, commi 1 e 2, del
decreto ministeriale, al quale deve intendersi esteso, per ragioni di omogeneità di
trattamento fiscale delle s.r.l. alle altre società di capitali, il generico rinvio posto nel comma
4 dell'articolo 14.
Coerentemente a quanto previsto per le altre società di capitali ammesse al regime di
trasparenza disciplinato dall'articolo 115, come del resto già chiarito nella circolare 16
giugno 2004, n. 25, l'utile distribuito dalle società a responsabilità limitata trasparenti non
concorre alla formazione del reddito imponibile dei soci all'atto della sua distribuzione.
Considerato il principio di delega, secondo cui il regime di trasparenza e' ispirato alla
"equiparazione ai fini delle imposte dirette della società a responsabilità limitata che esercita
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l'opzione ad una società di persone", si ritiene che, come per queste ultime, anche in caso di
applicazione del regime previsto dall'articolo 116 non concorra alla formazione del reddito
imponibile dei soci neanche la parte di utile distribuito eccedente il reddito imponibile della
società partecipata.
L'irrilevanza fiscale degli utili distribuibili e' da ritenersi altresì operante quando la
distribuzione venga effettuata, a seguito di una cessione di quote, nei confronti di persone
fisiche che risultino soci diversi da quelli cui e' stato imputato in precedenza il reddito
trasparente (si veda al riguardo il commento sulle cessioni di azioni delle società di cui
all'articolo 115).
Imputazione delle ritenute e dei crediti d'imposta
Le ritenute ed i crediti d'imposta vengono attribuiti ai soci pro quota, con gli stessi criteri
stabiliti dall'art. 115, comma 3, secondo periodo, nonché dall'art. 7, comma 3, del decreto
ministeriale. Al riguardo si fa rinvio a quanto precisato nella parte generale riservata alla
trasparenza ex art. 115.
Imputazione delle perdite della partecipata
Per espressa previsione dell'articolo 116, le perdite fiscali delle società a responsabilità
limitata, ammesse alla trasparenza, seguono le stesse regole d'imputazione delle perdite
fiscali delle società di cui all'articolo 115, al cui commento si rinvia.
Inoltre, con riguardo al riporto delle perdite da parte dei soci, l'articolo 116 richiama - per
finalità meramente antielusive - le regole d'imputazione delle perdite previste dal primo e terzo
periodo del comma 3 dell'articolo 8.
15-bis.6. Regole residuali applicabili alle società a responsabilità limitata
Il quarto ed ultimo comma dell'articolo 14 del decreto ministeriale disciplina gli aspetti
residuali della trasparenza applicabile alle società a ristretta base societaria, operando un
completo rinvio alle precedenti norme di tale decreto, ove queste ultime risultino compatibili
con detto regime.
Pertanto, nei confronti delle società a ristretta base partecipativa, devono
ritenersi
operanti anche le disposizioni precedentemente commentate in relazione ai seguenti istituti:
- "regime delle riserve e degli utili pregressi" (art. 115, comma 5) e "distribuzione degli
utili e delle riserve" (art. 8, del decreto ministeriale);
- "rideterminazione del reddito imponibile" (artt. 115, comma 11, del nuovo TUIR ed
11 del decreto ministeriale): tale disposizione sarà evidentemente da applicare da
parte dei soli soci che detengono tali partecipazioni in regime d'impresa.
- "costo della partecipazione" (artt. 115, comma 12, del nuovo TUIR ed 8, comma 1, del
decreto ministeriale);
- regime degli "acconti" (artt. 115, comma 7, del nuovo TUIR e 9 del decreto
ministeriale); in particolare per il primo periodo d'imposta di applicazione della
trasparenza, la s.r.l. partecipata deve comunque corrispondere nei termini ordinari
gli acconti IRES, pur non avendo evidentemente gli obblighi per il pagamento del
relativo saldo. Detti acconti, com'e' noto, possono essere calcolati dalla società sulla
base del c.d. "criterio storico", ovvero c.d. "metodo previsionale"; in tal caso andrà
calcolata un'imposta IRES "figurativa", dovuta qualora non si fosse optato per la
trasparenza. L'acconto sull'Ires "figurativa" dovrà altresì essere corrisposto dalla società
partecipata nei termini ordinari nell'ipotesi di mancato rinnovo dell'opzione al termine
del triennio. Gli stessi termini ordinari dovranno essere rispettati qualora si verifichi
decadenza dal regime per una delle cause sopra esaminate; tuttavia viene consentito di
effettuare detto versamento nei trenta giorni successivi qualora i termini ordinari
scadessero prima di questi ultimi. In base a quanto previsto dal comma 3 del citato
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art. 115, gli acconti IRES versati dalla partecipata potranno essere pro quota scomputati
dai soci in relazione all'IRPEF (o futura IRE) dovuta sui redditi imputati per
trasparenza.
La disposizione dell'ultimo periodo dell'art. 9 del decreto ministeriale, con riferimento
alla trasparenza delle società di capitali di cui all'art. 115 del nuovo TUIR, prevede che in caso
di uscita dal regime i soci possano cedere alla società gli acconti da essi corrisposti in
relazione ai redditi trasparenti. Detta cessione deve avvenire con le modalità previste
dall'art. 43-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 che, come noto, riguarda la cessione
delle eccedenze d'imposta nell'ambito dei gruppi societari.
Tale procedura troverà applicazione anche nei confronti delle società a ristretta base
partecipativa; pertanto, in caso di uscita dal regime, i soci persone fisiche possono cedere alla
partecipata gli acconti versati, secondo la procedura stabilita al citato art. 43-ter. Al riguardo si
rileva che la cessione dovrà riguardare l'acconto afferente il reddito trasparente; in presenza di
redditi di diversa natura la quota di acconto da cedere verrà, pertanto, calcolata in base alla
percentuale derivante dal rapporto tra il reddito imputato per trasparenza ed il reddito
complessivo.
Con riferimento ai soci detentori di partecipazioni nell'ambito di attività che danno luogo a
reddito d'impresa, si rileva che, ai sensi dell'art. 97, comma 2, lettera b), n. 2, del nuovo
TUIR, le partecipazioni nelle società trasparenti, di cui all'art. 115, possono essere escluse dal
calcolo del "pro rata patrimoniale". Stante l'equiparazione delle s.r.l. trasparenti alle società
di cui all'art. 115, si ritiene che anche i soci titolari di reddito d'impresa possano escludere dal
predetto calcolo le partecipazioni societarie rientranti nell'art. 116.
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I.B.16. Il consolidato fiscale nazionale
(a cura di Gianluca Alparone)
Fino all’entrata in vigore della riforma fiscale il nostro ordinamento giuridico conosceva soltanto
un metodo di consolidamento di tipo finanziario (si pensi alla procedura dell’Iva di gruppo di cui
all’art. 73 D.P.R. n.633/72 e alla cessione delle eccedenze d’imposta di cui all’art. 43-ter D.P.R.
n.602/73.
Oltre alle metodologie di consolidamento finanziario, vi sono almeno due altri metodi di
consolidamento:
1)
consolidamento degli imponibili
2)
tassazione in base al bilancio consolidato.
Il nostro legislatore ha scelto il 1° metodo alternativo in quanto più semplice da gestire ed
utilizzabile anche dalle aziende che non sono tenute per legge a redigere il bilancio consolidato. Il
metodo di consolidamento per imponibili consente di determinare un’unica base imponibile
derivante da un’unica dichiarazione dei redditi nella quale vengono sommati algebricamente i
redditi imponibili di ciascuna entità legale controllata che ha optato per il consolidato. Tale
metodo è già utilizzato in altri paesi come la Francia, la Danimarca, gli Stati Uniti, i Paesi Bassi,
la Spagna, il Portogallo.
Così come evidenziato dalla relazione governativa che accompagna lo schema di D.Lgs., la
disciplina del consolidato fiscale si propone diversi obiettivi:
- dare riconoscimento fiscale alla nozione di gruppo di imprese (obiettivo implicito)
consentendo allo stesso di porre in essere trasferimenti di flussi di reddito infragruppo
fiscalmente neutrali;
- porsi come naturale correttivo all’indeducibilità delle minusvalenze su partecipazioni,
consentendo di utilizzare immediatamente le perdite fiscali delle società partecipanti in
diminuzione dei redditi posseduti da altre partecipate che aderiscono al consolidato;
- risolvere il problema dell’accumulo dei crediti d’imposta derivanti dalle dichiarazioni dei
redditi delle società del gruppo;
- superare le complessità fiscali derivanti delle operazioni straordinarie (fusioni, scissioni,
ecc.) Poste in essere dai gruppi per compensare i risultati positivi e negativi delle diverse
società e che, in taluni casi, configurano transazioni fatte a prezzi diversi da quelli
“normali” o fittizie.
16.1. Condizioni soggettive
L’opzione può essere esercitata da ciascuna entità legale solo in qualità di controllante o solo in
qualità di controllata.
In pratica, poiché il rapporto è bilaterale “all’interno dei gruppi potranno generarsi più
consolidati, con l’unico limite che la società non può partecipare a 2 opzioni in qualità di
consolidante e di consolidata”.
Dal consolidato fiscale nazionale possono essere escluse alcune imprese pur soggette controllo
di diritto (non vige, infatti, la differenza del consolidato mondiale, il principio cosiddetto all in all
out)
16.1.1. Il soggetto controllante (art. 117)
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La capogruppo deve essere un soggetto passivo IRES residente oppure un soggetto non residente
ma con stabile organizzazione in Italia.
Soggetti residenti:
- Soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lett.a) – s.p.a.; s.a.p.a; s.r.l.; società cooperative
e società di mutua assicurazione;
- Soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lett.b) – enti pubblici e privati, diversi dalle
società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale ai
sensi dell’articolo 55 (tra tali enti si ricomprendono, oltre alle persone giuridiche, le
associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri
soggetti passivi nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo
unitario ed autonomo).
Soggetti non residenti:
- Soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lett.d) – società ed enti di ogni tipo, con o senza
personalità giuridica, a condizione che:
Siano solo controllanti;
Siano residenti in paesi con cui è in vigore un accordo per evitare la doppia
imposizione;
Esercitano nel territorio dello stato attività d’impresa mediante stabile
organizzazione;
La partecipazione in ciascuna controllata deve essere connessa alla
suddetta stabile organizzazione.
A tal proposito si ricorda che, dal punto di vista civilistico, la stabile organizzazione non è un
soggetto giuridico distinto dalla società cui fa parte, mentre da un punto di vista fiscale, assume
veste autonoma con la conseguenza che sarà necessario distinguere tra partecipazioni riferite alla
società non residente e partecipazioni riferite alla stabile organizzazione
16.1.2. Il soggetto controllato (art. 117)
Le controllate sono necessariamente società di capitali residenti in Italia ed in particolare soggetti
di cui all’articolo 73, comma 1, lett.a) – s.p.a.; s.a.p.a; s.r.l.
Si noti che l’art. 120, comma 1, Tuir (definizione del requisito di controllo), richiamando le sole
forme giuridiche della spa, srl e sapa, di fatto esclude le società cooperative e società di mutua
assicurazione.
Definizione di controllo (art. 120 Tuir)
La misura della partecipazione non deve essere inferiore a quella necessaria per il controllo di
diritto, diretto o indiretto, di cui all’articolo 2359 c.c. Secondo il quale “ sono controllate le
società in cui un’altra società dispone, direttamente o indirettamente, della maggioranza dei voti
esercitabili nell’assemblea ordinaria”.
Il controllo di diritto deve sussistere con i requisiti di cui all’art 120 Tuir secondo il quale le Spa
le Sapa e le Srl si considerano controllate quando la controllante partecipa, direttamente o
indirettamente, per una percentuale superiore al 50% al capitale sociale e agli utili delle citate
partecipate, tenendo conto anche dell’effetto demoltiplicatore derivante dalla catena societaria di
controllo (cioè della effettiva quota di partecipazione) ma senza considerare le azioni prive del
diritto di voto esercitatile nell’assemblea generale.
Il requisito del controllo deve sussistere “ininterrottamente” sin dall’inizio del periodo d’imposta
per il quale la società o ente controllante e la società controllata optano per il consolidato.
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Soggetti espressamente esclusi (art.126)
Società che fruiscono della riduzione dell’aliquota dell’imposta sui redditi delle società (cioè che
adottano regimi fiscali particolari nei quali non trova riscontro l’applicazione dell’aliquota unica
IRES del 33%).
Società per le quali si verifichi il fallimento o la liquidazione coatta amministrativa, le quali, se
hanno optato per la tassazione di gruppo decadono dai benefici con effetto decorrente dall’inizio
dell’esercizio in cui interviene la dichiarazione di fallimento o il provvedimento che ordina la
liquidazione coatta amministrativa.
L’opzione e’ irrevocabilmente di durata triennale, salvo le eccezioni del caso.
Tale vincolo temporale è motivato da una logica di cautela fiscale per far sì che la disciplina in
commento non si applichi ai quei soggetti che solo occasionalmente transitino all’interno del
gruppo e se ne escono una volta conseguiti i benefici fiscali connessi.
Nei casi di operazioni straordinarie (fusioni, scissioni e liquidazione volontaria) “l’opzione non
perde efficacia e le società interessate continueranno a fare parte del consolidato anche per i
periodi d’imposta che di determinano all’interno dello stesso esercizio sociale”.
Tale rigida previsione decade nel caso in cui viene meno il controllo di diritto e Si interrompe nei
casi previsti dall’art. 124, comma 5.
Puo’ essere derogata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lett.m) del d.lgs n.344/2003 secondo cui le
opzioni fatte possono essere revocate con effetto dagli esercizi relativamente ai quali le norme per
la determinazione del reddito d’impresa sono adeguate ai principi contabili internazionali di cui al
regolamento (ce) n.19 luglio 2002, n.1606/2002 del parlamento europeo e del consiglio del 19
luglio 2002.
16.2. Condizioni oggettive
Ai fini dell’applicazione della disciplina in oggetto, occorre soddisfare una serie di condizioni:
a) Identità dell’esercizio sociale di ciascuna società controllata con quello della società o
ente controllante (cioè identità di chiusura del periodo d’imposta secondo la relazione
governative) Anche una società di nuova costituzione può optare per il consolidato, ove
ricorrano gli altri requisiti. Ovviamente, se l’esercizio chiude il 31.12 e la costituzione
avviene dopo il 30 giugno la disciplina del consolidato “si applicherà solo dal periodo
d’imposta successivo, visto che l’opzione deve essere comunicata all’amministrazione
finanziaria. Entro il 6° mese del primo esercizio in cui ha inizio la tassazione di gruppo,
nella fattispecie entro il 30/6 del periodo d’imposta”
b) L’opzione va esercitata congiuntamente da ciascuna controllante e controllata dando
luogo “a opzioni in coppia”.
c) Ciascuna controllata deve eleggere domicilio presso la società o ente controllante ai fini
della notifica di atti e provvedimenti relativi ai periodi d’imposta per i quali è esercitata
l’opzione;
d) L’avvenuto esercizio congiunto deve essere comunicato all’amministrazione finanziaria.
Entro il 6° mese del 1° esercizio cui si riferisce l’esercizio dell’opzione stessa con le
modalità che saranno stabilite con decreto di cui all’articolo 129. Tale comunicazione ha
efficacia costitutiva nei confronti sia dell’amministrazione finanziaria che delle parti.
16.4. Determinazione di un unico reddito complessivo consolidato
Alla controllante compete il riporto a nuovo della eventuale perdita emergente, la liquidazione
dell’unica imposta dovuta o eccedenza rimborsabile o riportabile a nuovo.Le eccedenze di
imposta riportate a nuovo dalle società che hanno aderito al consolidato e relative agli esercizi
pregressi a quello di inizio del consolidamento possono essere utilizzate dalla società controllante
o alternativamente dalle società cui competono.
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In ogni caso, resta ferma la possibilità di cederle all’interno del gruppo alle condizioni poste
dall’art. 43-ter del D.P.R. n. 602/73.
Le perdite fiscali pregresse (anteriori all’inizio della tassazione di gruppo) possono essere
utilizzate solo dalle società cui si riferiscono.
Secondo la relazione governativa al decreto “in sede di consolidato, le società dovranno dapprima
compensare le perdite pregresse (anteriori all’introduzione della tassazione di gruppo) con i
propri imponibili positivi e successivamente trasferire il saldo (se positivo) ovvero la perdita
d’esercizio alla controllante”
A riguardo è intervenuta l’agenzia delle entrate chiarendo che il comportamento previsto nella
relazione può essere assunto anche dalla controllante con riferimento alle proprie perdite
pregresse prima del consolidato (che può compensare prima del consolidato solo con utili propri e
non può utilizzarle per compensare imponibili delle controllate).
La società controllante che consolida è l’unica legittimata a riportare a nuovo l’eventuale perdita
risultante dalla somma algebrica degli imponibili (oltre che a liquidare l’unica imposta dovuta o
l’unica eccedenza rimborsabile o riportabile a nuovo)
La controllante beneficia del risparmio fiscale derivante dall’utilizzo delle perdite provenienti
dalle società consolidate.
Al fine di evitare che la società che trasferisce le perdite risulti penalizzata dall’impossibilità di
utilizzare le stesse in compensazione dei redditi futuri, l’art.118, comma 4 dispone l’esclusione
dal concorso alla formazione del reddito imponibile delle somme versate o percepite tra le società
“consolidate” in contropartita dei vantaggi fiscali ricevuti o attribuiti.
E’ necessario al riguardo formulare le seguenti osservazioni:
il compenso è stabilito dalla libera contrattazione delle parti;
la sua determinazione assume rilevanza in presenza di partecipazioni non totalitarie, per
cui al fine di non ledere gli interessi dei soci di minoranza sarebbe opportuno un accordo tra le
parti per regolare tali situazioni.
In caso di interruzione del regime prima del decorso del triennio, le perdite fiscali risultanti dalla
dichiarazione unico di consolidamento (così come i crediti chiesti a rimborso e, salvo diversa
opzione, le eccedenze riportate a nuovo) permangono nell’esclusiva disponibilità della società o
ente controllante, salva la possibilità prevista dall’articolo 124, comma 4 di prevedere appositi
criteri (con il decreto attuativo di cui all’articolo 129) per l’attribuzione delle perdite fiscali alle
società che le hanno prodotte e nei cui confronti viene meno il requisito del controllo.
Modalità di determinazione dell’unico reddito
Si tratta della somma algebrica dei redditi complessivi netti (positivi e negativi) delle società
coinvolte. Per quanto concerne le controllate va preso l’intero importo indipendentemente dalla
quota di partecipazione riferibile al soggetto controllante.
Rettifiche di consolidamento:
- Variazioni in diminuzione per la quota imponibile dei dividendi distribuiti dalle
controllate, anche se provenienti da utili assoggettati tassazione in esercizi precedenti quello di inizio dell’opzione. Questa totale esclusione dal concorso alla formazione del
reddito complessivo del gruppo dei dividendi distribuiti dalle controllate rappresenta
un’agevolazione rispetto al regime ordinario, che prevede un’esclusione limitata al 95%
del dividendo lordo.
- Variazioni in aumento o diminuzione per tener conto della neutralizzazione degli effetti
prodotti dalla norma di cui all’articolo 97 (pro-rata patrimoniale, in base al quale sono
indeducibili gli interessi sui finanziamenti contratti per l’acquisto delle partecipazioni che
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usufruiscono della participation exemption). L’ipotesi in cui il ricalcolo del pro-rata di
indeducibilità può comportare una variazione in aumento nella dichiarazione consolidata è
quella in cui la partecipante non consolida o non può consolidare tutte le partecipate e le
partecipate consolidate hanno distribuito rilevanti importi di dividendi interamente non
tassati nel regime del consolidato.
Variazione in diminuzione per un importo pari alla differenza tra il valore di libro e quello
fiscale riconosciuto dei beni assoggettati al regime di neutralità di cui all’art. 123
(plusvalenze realizzate in regime di neutralità fiscale per gli scambi infragruppo di
determinati beni)
In pratica, fra le società che hanno aderito al consolidato, le cessioni di beni - diversi da quelli che
generano ricavi (art. 85) e da quelli soggetti alla participation exemption (art. 87) – possono
avvenire in regime di continuità di valori fiscali riconosciuti – su opzione congiunta delle società
coinvolte.
L’opzione per la neutralità fiscale di tali scambi:
- deve essere esercitata congiuntamente dalle due società del gruppo interessate
dall’operazione (che possono anche concordare di applicare lo speciale regime di
neutralità a singole operazioni anziché a tutti gli scambi infragruppo);
- deve risultare da relativo contratto stipulato in forma scritta;
- è valida a condizione che nella dichiarazione dei redditi della controllante risulti la
differenza tra il valore di libro e il valore fiscale riconosciuto del cespite trasferito.
E’ comunque la controllante a decidere se applicare o meno la neutralità fiscale nell’ambito
dell’accordo tra le parti in quanto “la fattispecie rientra sicuramente tra le scelte di tipo
economico che il gruppo ha la possibilità di effettuare” (telefisco ilsole24ore del 27.1.04).
A riguardo, è prevista una norma antielusiva (art.123 comma 2) secondo cui le perdite
fiscali pregresse (relative ad esercizi anteriori all’inizio della tassazione di gruppo) non
possono essere utilizzate per compensare le plusvalenze realizzate dal cessionario con la
successiva cessione o il successivo conferimento dei beni trasferiti secondo il presente regime
di neutralità fiscale, salvo l’accoglimento di istanza di interpello di cui all’articolo37-bis
comma 8 d.p.r. 600/73.
In pratica occorre dimostrare che la cessione dei beni non ha inteso eludere alcuna disposizione
dell’ordinamento e cioè per trasferire dei beni in regime di neutralità a favore di società che
hanno a disposizione perdite fiscali maturate prima dell’ingresso nel consolidato e che possono
poi eventualmente sterilizzare la plusvalenza derivante dalla cessione a terzi dei beni medesimi.
16.5. Obblighi e facoltà della controllante
La posizione della controllante è imperniata da una serie di obblighi e facoltà:
- Presentare la dichiarazione dei redditi del consolidato
- Calcolare il reddito complessivo
- Obblighi di versamento, utilizzo dei crediti d’imposta e delle ritenute d’acconto delle
società controllate, la possibilità del riporto a nuovo delle perdite fiscali
- Versare l’acconto determinato sulla base dell’imposta, al netto delle detrazioni, dei crediti
d’imposta e delle ritenute d’acconto, corrispondente alla somma algebrica degli imponibili
relativi al periodo precedente come indicati nella dichiarazione dei redditi della
consolidata o, in caso di primo esercizio di consolidamento, presentate per il periodo
stesso dalle società singolarmente considerate (in altre parole, per il primo esercizio la
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controllante determina l’acconto dovuto comportandosi come se fosse già stata presentata
per il periodo precedente la dichiarazione dei redditi consolidata..
D’altro canto le controllate devono:
- Compilare il modello di dichiarazione dei redditi al fine di comunicare alla controllante la
determinazione del proprio reddito complessivo, delle ritenute subite, delle detrazioni e
dei crediti d’imposta spettanti (compresi quelli compensabili ex art. 17/241) e degli
acconti autonomamente versati;
- Allegare alla citata dichiarazione il prospetto relativo agli ammortamenti dei beni
materiali e immateriali e agli altri accantonamenti e rettifiche;
- Fornire alla controllante i dati relativi ai beni ceduti ed acquistati in regime di neutralità
fiscale, specificando la differenza residua tra valore di libro e valore fiscale riconosciuto;
- Collaborare con la controllante per l’adempimento degli obblighi nei confronti
dell’amministrazione finanziaria
Responsabilità controllata:
- per le maggiori imposte accertate, sanzioni ed interessi con riferimento alla propria
dichiarazione, al proprio reddito complessivo e alle modalità per la sua determinazione
Responsabilità controllante:
- per le maggiori imposte accertate, sanzioni ed interessi con riferimento alla propria
dichiarazione e al proprio reddito complessivo
- per le maggiori imposte accertate, sanzioni ed interessi con riferimento agli obblighi
connessi alla determinazione del reddito complessivo globale di cui all’articolo 122
- in solido con ciascuna controllata, per le maggiori imposte accertate, sanzioni ed interessi
con riferimento alle somme dovute ai sensi dell’articolo 127, comma 1 dalle controllate.
Nel caso di omesso versamento dovuto in base alla dichiarazione dei redditi di cui all’articolo
122, le somme che risultano dovute sono richieste prioritariamente alla società o ente controllante
16.6. Svalutazioni dedotte su partecipazioni consolidate
La ratio è quella di evitare che, nel passaggio da un sistema che ammette la svalutazione delle
partecipazioni ad uno che prevede la tassazione di gruppo, gli stessi costi, concorrano più volte
alla determinazione del reddito imponibile.
In pratica, dapprima indirettamente tramite le svalutazioni delle partecipazioni operate a fronte di
rettifiche di valore e di accantonamenti fondi rischi non deducibili effettuati dalla società
controllata e tali da ridurre il proprio patrimonio netto contabile (operazione, quest’ultima, non
più consentita per effetto dal d.l. 209 del 24.9.02) e poi dopo il consolidamento degli imponibili,
quando diventano fiscalmente rilevanti per la partecipata cioè all’atto dell’utilizzo dei fondi da
parte della partecipata con conseguente variazione in diminuzione.
La norma parte quindi dal presupposto che la doppia deduzione del costo, resa possibile dal
passaggio dal vecchio al nuovo sistema, costituisca un indebito vantaggio fiscale.
“il meccanismo correttivo si applica in ogni caso in presenza di svalutazioni della partecipazione
direttamente correlabili alla quota di riduzione del patrimonio netto della partecipata
determinatasi per effetto delle anzidetti rettifiche di valore e accantonamenti. Pertanto la norma
trova applicazione in presenza di svalutazioni derivanti da riduzioni del pn della partecipata
susseguenti a perdite prodotte diverse da quelle c.d. Gestionali.
Occorrerà riallineare i valori fiscali del patrimonio della partecipata ai valori contabili nei limiti
dell’importo delle svalutazioni dedotte, rideterminando i valori stessi ripartendo le svalutazioni in
proporzione a detti disallineamenti.
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Ambito applicativo
svalutazioni dedotte nei 10 esercizi antecedenti quello dal quale ha effetto la tassazione
consolidata e determinatesi per effetto di rettifiche di valore e accantonamenti fiscalmente non
riconosciuti, al netto delle eventuali rivalutazioni assoggettate a tassazione.
Modalità applicative
si effettua un riallineamento dei valori fiscali ai valori civilistici degli elementi dell’attivo e del
passivo di una controllata inclusa nel consolidato
Per le società con esercizio coincidente con l’anno solare occorrerà verificare:
- A decorrere dal 2004, le svalutazioni dedotte tra il 1994 e il 2003;
- A decorrere dal 2005, le svalutazioni dedotte tra il 1995 e il 2003;
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I.B.17. Il riporto delle perdite fiscali
(a cura di Ottavio Mannara)
17.1. Disposizioni di carattere generale
Ai sensi di quanto disposto dall’articolo 84 del D.P.R. n.917/86, nel caso in cui una società
consegua una perdita fiscale, questa può essere portata in diminuzione dal reddito complessivo
dei periodi di imposta successivi, eccetto che nel caso in cui siano verificate particolari
compravendite di partecipazioni.
La disciplina generale in oggetto lega il numero di esercizi entro i quali è possibile effettuare il
riporto con il periodo in cui si è realizzata la perdita come segue:
- le perdite realizzate nei primi tre periodi di imposta, a partire da quello di costituzione
della società, possono essere compensate negli esercizi successivi senza limiti di tempo;
- le perdite successive al terzo periodo d’imposta dalla costituzione della società
possono essere compensate nei cinque esercizi successivi. Se alla fine del quinto esercizio
la perdita non è ancora stata interamente compensata non è più possibile riportarla a
nuovo.
In presenza sia di perdite riportabili senza limite, sia di perdite riporta bili non oltre i cinque anni,
si ritiene possibile utilizzare prima quelle limitate nel tempo
Si tenga presente che, nel caso di procedure fallimentari o di liquidazione coatta amministrativa,
il periodo compreso tra l'inizio del periodo d'imposta e la data di dichiarazione del fallimento o
della liquidazione coatta costituisce un autonomo periodo d'imposta per il calcolo del
quinquennio. Analogamente il periodo compreso fra l'inizio del fallimento o della liquidazione
coatta e la chiusura delle stesse (Ris. Min. 4 novembre 1977. n.11/3745; Ris. Min. 1° settembre
1980, n. 9/1116; Ris. Min. 11 dicembre 1981, n. 9/4009).
Qualora siano stati conseguiti proventi esenti da IRES, la perdita riportabile deve essere diminuita
di un importo esattamente pari alla parte degli stessi che eccede l'ammontare degli interessi
passivi e delle spese generali non dedotte.
17.2. Regole di imputazione
Le perdite devono essere utilizzate nel rispetto di specifiche regole, previa la perdita del loro
diritto alla deduzione:
- devono essere dedotte per l'intero importo che trova capienza nel reddito dell'esercizio
immediatamente successivo. Le perdite pregresse non compensate con il reddito
dell'esercizio, per incapienza dello stesso, devono essere indicate in un apposito prospetto
contenuto in dichiarazione dei redditi.
- non è ammesso il riporto dell'eccedenza a periodi successivi o l'utilizzazione parziale
quando il reddito imponibile dell'esercizio in corso è capiente, salvo il caso in cui, dalla
riduzione parziale, derivi un'imposta pari ad uno dei seguenti crediti o eccedenze:
crediti di imposta;
ritenute alla fonte subite a titolo di acconto;
versamenti di imposta in acconto.
Le perdite non compensate nella dichiarazione dei redditi per assenza di reddito imponibile
possono essere usate, se, successivamente a rettifica della dichiarazione, emerge un reddito
imponibile (Ris. Min. 5 novembre 1976, n. 10/1429). Analogamente, può accadere che, a seguito
di rettifica di una dichiarazione da cui emergeva una perdita fiscale riportabile, il reddito
imponibile del periodo di imposta successivo non risulti più interamente compensato dalla minor
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perdita riportata. In tal caso, l'eventuale imponibile ancora risultante può essere compensato con.
altre perdite fiscali pregresse, purché non ancora cadute in prescrizione (5 anni dall’ esercizio in
cui sono generate) (Circ. Min. 16 luglio 1998, n. 188/E).
È, altresì, vietato riportare le perdite (anche relative a periodi precedenti) in presenza di
trasferimenti di quote societarie che presentino determinate caratteristiche, a meno che il
trasferimento sia effettuato all'interno del gruppo o riguardi società operative. Precisamente, ai
sensi dell’articolo 84 comma 3 del Tuir, è vietato il riporto delle perdite se si verificano
contemporaneamente le seguenti due situazioni:
a) la maggioranza delle partecipazioni aventi diritto di voto nelle assemblee ordinarie della
società che ha subito le perdite sono trasferite, o comunque acquisite da terzi, anche a
titolo temporaneo. L'acquirente delle partecipazioni deve, a tal fine, acquisire il controllo
della suddetta società: ciò si verifica sia nel caso di trasferimento di un pacchetto di
controllo, sia in caso di integrazione della partecipazione già posseduta. Inoltre, il
trasferimento può riguardare non solo la proprietà, ma anche altri diritti, come ad esempio
l'usufrutto (Circ. Min. 19 dicembre 1997 n. 3201/E);
b) nel periodo di imposta in cui è trasferita la partecipazione, ovvero nei due successivi
o anteriori, viene modificata l'attività principale esercitata di fatto dalla società nel
periodo in cui ha subito le perdite (la verifica deve, pertanto, riguardare cinque
periodi di imposta). L'attività principale è valutata in base all'ammontare dei
relativi ricavi.
Il suddetto divieto non trova, però, applicazione:
- per i trasferimenti di partecipazioni effettuati all'interno del gruppo societario, ossia se
l'acquisto è effettuato da società controllate dallo stesso soggetto che controlla anche la
società che ha subito le perdite, ovvero società che controllano il suddetto soggetto controllante;
- per le cessioni di partecipazioni di società operative, ossia società che nel biennio
precedente a quello di trasferimento hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore a
10, e nell’ esercizio precedente a quello di trasferimento un ammontare di ricavi e di spese
per Prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, risultanti dal conto economico
(rispettivamente alle voci a) n. l, b) n. 9lett. a) e b), superiore al 40% rispetto alla media
degli ammontari relativi agli ultimi due esercizi anteriori.
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I.B.18. I patrimoni destinati
Le norme che disciplinano il nuovo istituto introdotto dalla riforma del diritto societario sono
contenute negli articoli dal 2447-bis al 2447-novies del codice civile appunto dedicati alla
disciplina dei patrimoni destinati ad uno specifico affare.
Le regole generali dei patrimoni destinati possono così riepilogarsi:
- una società può costituire uno o più patrimoni ciascuno dei quali destinato in via esclusiva ad
uno specifico affare (art. 2447 bis, 1 comma, lett. a));
- per giungere a tale risultato si deve costituire una vera e propria separazione patrimoniale a
cui sono da ricondurre beni e rapporti (“l’affare”). Tale patrimonio separato produrrà quindi
un risultato autonomo che necessita di essere individuato tramite una contabilità “separata”
che consideri solo gli atti e i fatti correlati allo stesso;
- è necessaria una deliberazione costitutiva, contenente tutti i dati necessari alla identificazione
dell’operazione;
- è introdotto un regime di pubblicità, connesso all’efficacia reale della separazione;
- è prevista la necessità di una contabilizzazione separata del patrimonio e sono fissati i principi
per la redazione del bilancio.
Secondo l’OIC “l’affare”, oltre ad essere “specifico”, ossia avere un oggetto ben individuato e
non generico (l’esempio portato dall’organismo è quello della costruzione di un fabbricato e
successiva vendita delle unità immobiliari di cui si compone) deve avere una durata determinata,
mentre è esclusa la possibilità che lo stesso abbia una durata indeterminata (come può invece oggi
avvenire per le società). Tale affermazione discende dall’analisi delle previsioni secondo cui
l’affare deve essere “specifico”, per ogni affare deve esservi un apposito piano economicofinanziario che non può contenere previsioni di costi, ricavi e flussi finanziari per una durata
indeterminata). Inoltre l’esclusione della possibilità di una durata indeterminata risulta anche,
dalla norma dell’art. 2447-novies che parla di momento in cui l’affare può considerarsi
“realizzato” e che prevede la compilazione di un “rendiconto finale” con riferimento ad una data
che è necessariamente anteriore al termine di durata della società”.
La contabilità “separata”
Con riguardo alle regole contabili occorre prima di tutto sottolineare una differenziazione. La
costituzione di un patrimonio destinato comporta la necessità di adempiere ad alcuni obblighi
specifici del patrimonio destinato (creare una contabilità per lo stesso) ma anche seguire le
indicazioni dettate dal codice civile per rappresentare tale contabilità “sezionale” nei bilanci
d’esercizio.
In primo luogo l’art. 2447-sexies prevede che per ciascuno specifico affare cui un patrimonio è
destinato, gli amministratori della società costituente “tengono separatamente i libri e le scritture
contabili prescritti dagli articoli 2214 e seguenti”. Per ogni patrimonio destinato devono essere
tenuti appositi libri giornale e inventari, dalla cui compilazione deriverà una contabilità separata e
quindi la possibilità di redigere uno stato patrimoniale e ad un conto economico del singolo affare
Nel dettaglio le regole da seguire sono:
- nel libro degli inventari si deve indicare una situazione patrimoniale iniziale costituita dalle
attività e dalle (eventuali) passività che fanno parte del patrimonio destinato (da iscrivere
anche tra i conti d’ordine);
- le disponibilità liquide concernenti il singolo affare devono essere rilevate in specifici conti
correnti bancari e/o postali;
- se vengono emessi specifici strumenti finanziari, deve essere tenuto un apposito “libro” col
contenuto precisato dal 2° periodo dell’art. 2447-sexies.
Secondo l’OIC2 “nel libro degli inventari si parte da una situazione patrimoniale iniziale
costituita dalle attività e dalle (eventuali) passività che fanno parte del patrimonio destinato,
nonché dai diversi rapporti giuridici individuati nella delibera di “destinazione” ed iscritti fra i
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conti d’ordine (cosiddetti off-balance sheet items nella terminologia internazionale). Sebbene non
vi sia un espresso obbligo legislativo in tal senso, è ragionevole attendersi che le disponibilità
liquide pertinenti all’affare (originarie e successive) siano rilevate in specifici conti correnti
bancari e/o postali, relativi a ciascun affare”.
L’art. 2447-septies, comma 2, stabilisce poi che “per ciascun patrimonio destinato gli
amministratori redigono un separato rendiconto, allegato al bilancio, secondo quanto previsto
dagli artt. 2423 e seguenti”.
In forza del richiamo all’art. 2423 e seguenti, il rendiconto deve assumere la forma tradizionale e
quindi essere composto da un conto economico, da uno stato patrimoniale e da una nota di
commento, a meno che l’affare non si concluda all’interno di un esercizio sociale, nel qual caso
secondo il nuovo principio contabile è sufficiente che il rendiconto sia “limitato all’illustrazione
del risultato finale dell’affare medesimo” senza la necessità che esso assuma la struttura di un
bilancio.
Più nel dettaglio secondo l’organismo italiano di contabilità il rendiconto deve essere costituito
da:
- stato patrimoniale: redatto secondo gli schemi rigidi imposti dal codice civile (con la
particolarità che nei conti d’ordine tra i rischi deve essere iscritto il valore della responsabilità
illimitata se esistente). Nel patrimonio figurerà la voce patrimonio o deficit netto, suddivisa in
importo originario, specifiche riserve conseguenti agli apporti di terzi, utile (perdita) di
periodo, utili (perdita) dei periodi precedenti;
- conto economico dello specifico affare: redatto secondo gli schemi rigidi imposti dal codice
civile;
- nota di commento;
- rendicontazione dell’affare: deve contenere i criteri di valutazione adottati, i criteri di
imputazione dei costi speciali o diretti dell’affare e di ripartizione dei costi generali
industriali, amministrativi, commerciali, finanziari e tributari, i criteri di individuazione dei
ricavi dell’affare e di eventuale separazione di ricavi comuni a più affari.
E’ sempre necessario il riferimento al contenuto della delibera di costituzione del patrimonio
destinato.
Le regole e i principi da utilizzare per la redazione di tale documento sono quelli previsti in tema
di redazione del bilancio d’esercizio e ciò vale anche con riguardo alla valutazione delle attività e
passività che transitano nel patrimonio destinato da quello generale (non vi è pertanto la
possibilità che con la destinazione si faccia luogo una rivalutazione di attività).
Secondo l’OIC con riguardo ai trasferimenti da un patrimonio all’altro:
- gli apporti dei terzi, in proprietà o in godimento per una durata determinata, vanno valorizzati
al fair value del bene o del diritto di utilizzo temporaneo (es.: usufrutto) analogamente a
quanto stabilito dall’art. 2343 codice civile per gli apporti in società di beni e di crediti;
- i beni e crediti trasferiti dal patrimonio generale al patrimonio destinato in sede di costituzione
iniziale di questo devono essere trasferiti a valori contabili;
- le cessioni di prodotti, materie e merci a titolo oneroso (vendite, permute) da uno ad altro
patrimonio destinato o dalla società ad un patrimonio destinato e viceversa, devono essere
effettuate al valore di mercato ai fini di una corretta determinazione del risultato economico
dell’affare,.
Inoltre si precisa che “mentre nei rendiconti dei singoli patrimoni separati gli utili e le perdite
“interni” derivanti dagli scambi sopra menzionati devono essere rilevati ed incidono sulla
determinazione del risultato economico dell’affare, in sede di redazione del bilancio generale
della società essi devono essere eliminati, analogamente a quanto avviene in sede di redazione del
bilancio consolidato”.
La contabilità “generale”
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Le scritture “separate” devono poi confluire nel giornale generale, in quanto pur se destinato il
patrimonio dedicato fa sempre parte del stato patrimoniale della società: L’Oic sul punto concede
una facilitazione ammettendo (aderendo alla tesi già sostenuta dalla corte di cassazione sezione I,
con la sentenza del 19 dicembre 1991, n.13672) che “il processo di confluenza, potrà avvenire
per saldi di conto e non per singole scritture contabili, con le medesime tecniche della contabilità
sezionale, tali da consentire un raccordo con la contabilità generale della società”.
Nonostante questa confusione tra valori l’art. 2447 septies, 1 comma, codice civile stabilisce che
“i beni e i rapporti compresi nei patrimoni destinati ai sensi della lettera a) del primo comma
dell’art. 2447-bis sono distintamente indicati nello stato patrimoniale della società”.
Secondo l’organismo ciò può essere ottenuto:
- creando per ciascuna voce interessata dello stato patrimoniale generale, un “di cui”;
- creando, per ciascuna voce, una specifica sottovoce;
- separando gli importi relativi al patrimonio destinato in una colonna interna;
- indicando distintamente le classi di attività e passività relative al patrimonio destinato in
apposita zona, rispettivamente dell’attivo e del passivo, dopo tutte le altre voci relative
all’attività generale della società.
Con riguardo invece al patrimonio netto non é necessario iscrivere una voce complessiva del tipo
“Patrimonio Netto relativo ai patrimoni destinati” e ciò anche perchè il patrimonio destinato non
può essere suddiviso nelle tipiche voci del patrimonio (capitale sociale, riserva legale, ecc.).
Importanti sono le conclusioni a cui giunge l’Oic con riguardo all’ipotesi di perdita derivante
dall’affare gestito separatamente. Si legge infatti nel principio contabile che se “in un determinato
esercizio, le perdite subite per uno specifico affare superino l’importo del netto patrimoniale
relativo al patrimonio destinato, creando un deficit patrimoniale per la eccedenza delle passività
sulle attività (…)pur dovendo tali passività essere regolarmente rilevate nella contabilità e nel
bilancio generale della società, le relative perdite potrebbero poi essere ridotte con l’inserimento
di apposite poste correttive nello stato patrimoniale e nel conto economico, in modo da ridurre a
zero il deficit patrimoniale che si è venuto a creare, salvo il caso in cui, pur in assenza di una
clausola di garanzia illimitata, la società madre si assume a proprio carico tutto il residuo deficit
patrimoniale dello specifico affare. Naturalmente tale operazione dovrà essere esaurientemente
illustrata in nota integrativa. In questa ipotesi, i creditori insoddisfatti potranno chiedere la
“liquidazione” del patrimonio destinato, nei termini e con le modalità previste dall’art. 2447novies, comma 2”.
L’art. 2427-septies, comma 4, stabilisce poi che, qualora sia prevista una responsabilità illimitata
della società per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare, “l’impegno da ciò
derivante deve risultare in calce allo stato patrimoniale e formare oggetto di valutazione secondo
criteri da illustrare nella nota integrativa”.
Nonostante il codice civile non si esprima in modo esplicito circa le modalità di redazione del
conto economico, il principio contabile afferma che “il conto economico generale non può
limitarsi ad indicare i soli saldi dei conti economici dei singoli patrimoni destinati, sia perché in
tal modo risulterebbe violata la norma dell’art. 2425 del codice civile (trattandosi pur sempre di
costi e ricavi riferibili all’attività di un medesimo soggetto giuridico costituito dalla società), sia
perché si priverebbero i lettori del bilancio di una visione d’insieme dei componenti dell’unitario
risultato economico della società e si altererebbero alcuni parametri utilizzati nell’analisi della
redditività dell’impresa”.
Nella nota integrativa gli amministratori devono illustrare:
• il valore dei beni e dei rapporti giuridici compresi in ciascun patrimonio destinato, ivi inclusi
quelli apportati da terzi;
• la tipologia dei beni e dei rapporti giuridici compresi in ciascun patrimonio destinato, ivi
inclusi quelli apportati da terzi;
• i criteri adottati per la imputazione degli elementi comuni di costo e di ricavo;
• il regime della responsabilità.
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Con riguardo ai costi inoltre occorre prevedere:
per tutti i costi da essa sostenuti ed imputati all’ “affare”: oltre alla ordinaria rilevazione di tali
costi si dovrà rilevare un credito verso il patrimonio destinato ed un ricavo per il rimborso
corrispondente;
• costi generali amministrativi e di vendita: si possono imputare in base al costo industriale o di
fabbricazione (totale dei costi di fabbricazione diretti e indiretti);
• costi generali di natura finanziaria relativi all’utilizzo da parte dell‘affare di una quota di
finanziamenti a breve o medio-lungo termine propri della società: si imputano in proporzione
all’ammontare del finanziamento utilizzato.
Le imposte e gli apporti
L’Oic 2 permette di individuare il trattamento da riservare sia alla voce imposte che algi apporti
di terzi.
Nel primo caso di specifica che:
•
alcuni oneri tributari possono essere imputati
specificamente al singolo affare (tasse concessioni governative, imposta di bollo, imposta di
registro, Iva indeducibile addebitata dai fornitori o risultante dal pro-rata di Iva esente
calcolato per lo specifico affare);
•
l’Irap deve essere imputata in base al calcolo della
“produzione netta” relativa all’affare;
•
“il risultato economico dell’affare non può, invece,
essere calcolato al netto dell’ IRES, sia perchè se l’affare si chiude in perdita l’IRES non è
dovuta, sia perchè, in ipotesi di ripartizione dell’utile con i terzi apportanti, la società ed i terzi
dovranno sopportare, come onere proprio, l’imposta sul reddito dovuta. Dunque questa non
può essere inclusa fra i costi di realizzazione dell’affare (salve, ovviamente, le diverse
pattuizioni degli interessati ed eventuali diverse future disposizioni sulla disciplina tributaria
dei patrimoni destinati)”.
Con riferimento agli apporti di terzi l’OIC2 chiarisce che al patrimonio destinato può essere
apportato oltre al denaro, qualunque tipo di bene o servizio utile allo svolgimento dell’affare. Nel
caso di prestazioni d’opera del terzo apportante si ritiene opportuna, ma non obbligatoria, la
garanzia prevista dall’art. 2464, 6° comma in tema di conferimento in società a responsabilità
limitata: ossia la stipula di una polizza di assicurazione o una fidejussione bancaria.
Le due categorie di apporti sono:
•
apporti restituibili
•
apporti non restituibili.
Se non esclusa esplicitamente il terzo, alla conclusione dell’affare, oltre ad ottenere la sua quota
di utile ha diritto alla restituzione del bene stesso o, se questo non c’è più, ad un equivalente
importo in denaro. Se però il terzo partecipa anche alle perdite e l’affare si è chiuso in perdita “
egli o riceve un importo in denaro pari al valore originario del bene apportato ridotto della quota
di perdita, oppure deve versare alla società l’importo della perdita medesima”.
La società dovrà iscrivere all’attivo, nel bilancio del patrimonio destinato, il valore dell’utilizzo
del bene o della prestazione d’opera personale con contropartita un’apposita riserva indisponibile
(“Riserva da apporti di terzi a patrimoni destinati”). Tale valore verrà iscritto, a seconda dei casi,
fra le immobilizzazioni materiali o immateriali ed assoggettato ad ammortamento ed a riduzione
per perdite di valore per tutta la durata dell’affare, o per la minore durata di utilizzo prevista.
Nelle note al bilancio del patrimonio destinato occorre fornire opportune informazioni su:
•
natura dell’apporto,
•
criterio di valutazione
•
modalità di imputazione al conto economico
•
indicazione dell’esistenza di un debito di restituzione del bene alla conclusione dell’affare
(e se è previsto che il bene dovrà essere restituito nelle medesime condizioni in cui si
•
•
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trovava al momento dell’apporto, deve essere iscritto, ed incrementato gradualmente, un
“Fondo per oneri di manutenzione e ripristino di beni apportati”. Il relativo accantonamento
costituisce un costo di gestione dell’“affare”).
La quota di utile o perdita dell’affare di spettanza del terzo apportante va iscritta rispettivamente
come costo o provento. Si ritiene opportuno che, nello stato patrimoniale del patrimonio
destinato, la quota di utile (netto) o di perdita di pertinenza del terzo apportante venga iscritta
distintamente dal debito di restituzione dell’apporto.
La “Riserva da apporti di terzi a patrimoni destinati”, man mano che si procede
all’ammortamento del valore di utilizzo dei relativi beni o al realizzo delle materie e merci
apportate dal terzo viene ad essere liberata e può essere riclassificata ad altra riserva (disponibile)
della società.
•
•
•
•
•
Il rendiconto finale
Il rendiconto finale è previsto dall’art. 2447-novies, comma 1, che stabilisce che quanto l’affare
“si realizza” ovvero “è divenuto impossibile”, gli amministratori o il consiglio di gestione devono
redigere un rendiconto finale che deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle
imprese. Il rendiconto finale deve essere accompagnato da una relazione dei sindaci e del
soggetto incaricato della revisione contabile.
L’obbligo nasce nel momento in cui l’affare “si realizza” ovvero “è divenuto impossibile”.
Se l’“affare” non si protragga oltre l’esercizio in cui ha avuto inizio, il rendiconto finale coincide
con il rendiconto periodico dello specifico affare.
Il contenuto dello stesso sarà formato da:
stato patrimoniale (necessario perché in presenza di debiti contratti nell’esecuzione dell’affare e
non pagati, i creditori possano conoscere l’esatta composizione del patrimonio destinato ai fini
delle eventuali azioni esecutive da svolgere o della richiesta di liquidazione del medesimo ai sensi
dell’art. 2447-novies, comma 2);
conto economico;
nota integrativa;
regole di rendicontazione dell’affare;
riferimento al contenuto della delibera di costituzione del patrimonio destinato.
Se l’affare è divenuto impossibile, nel rendiconto finale devono essere esposti i motivi di tale
impossibilità.
Dopo la realizzazione dell’affare o sopraggiunta l’impossibilità della sua realizzazione il
patrimonio destinato “rientra” nel patrimonio generale della società “nel senso che viene a cessare
lo speciale regime di “segregazione patrimoniale” determinato con l’adozione della delibera di
“destinazione” prevista dall’art. 2447 ter”.
Per quanto riguarda la distribuzione della quota di utile di pertinenza dei terzi apportanti, essa
deve avvenire in conformità agli accordi assunti con la società, ossia annualmente dopo
l’approvazione del bilancio di ciascun esercizio, o in unica soluzione a termine dell’affare.
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I.B.19. La cessione delle eccedenze d’imposta
(a cura di Ottavio Mannara)
Nonostante i miglioramenti registrati negli ultimi anni, le posizioni creditorie nei confronti
dell’erario sono fra i punti critici della gestione finanziaria delle imprese.
La disciplina in oggetto può essere affrontata sotto un duplice aspetto: da un lato la cessione delle
eccedenze di imposta a favore di terzi soggetti; dall’altro lato, la cessione a favore di società del
gruppo.
19.1. Cessione crediti d’imposta a terzi
Ai sensi dell’articolo 43-bis DPR 600/1973 e DM 384/97, il credito d'imposta chiesto a rimborso
tramite la dichiarazione dei redditi può essere ceduto a terzi tramite una procedura apposita (c.d.
procedura ordinaria): la cessione deve riguardare sia l'intero ammontare del credito chiesto a
rimborso per ciascuna delle imposte sui redditi e sia i relativi interessi che non possono formare
oggetto di autonomo atto di cessione e spettano comunque al cessionario. Qualora il cedente
abbia avviato la procedura di rimborso delle eccedenze tramite apposita istanza, le stesse non
possono più formare oggetto della presente cessione.
La cessione delle eccedenze di imposta si perfeziona nel rispetto di precise modalità: deve, infatti,
essere effettuata con atto pubblico o scrittura privata autenticata da un notaio e deve essere
notificata, a pena di inefficacia, ai seguenti enti:
• all'ufficio delle entrate competente per la dichiarazione dei redditi del cedente;
• al concessionario del servizio della riscossione competente in ragione del domicilio fiscale del
cedente alla data di cessione del credito.
L’acquisizione efficace del credito pone, tuttavia, in capo al cessionario alcuni vincoli:
• il cessionario non può cedere a sua volta il credito acquistato (sono, infatti, inefficaci nei
confronti dell'Amministrazione finanziaria i successivi atti di cessione a terzi del credito
ceduto); - ha diritto alla percezione degli interessi relativi;
• nell'ipotesi di indebito rimborso, il cessionario è obbligato in solido con il cedente
(ovviamente nei limiti delle somme rimborsate). La solidarietà ha effetto purché gli siano
notificati gli atti con cui gli organi competenti procedono al recupero delle somme
indebitamente rimborsate. In caso di variazione del domicilio fiscale il cedente e il cessionario
hanno l'obbligo di dare tempestiva comunicazione all'Amministrazione finanziaria, altrimenti
non possono opporre il difetto di notifica.
La disciplina in oggetto prevede, inoltre, che l'atto di cessione dei crediti è inefficace nei confronti
dell'Amministrazione finanziaria se al momento della notifica:
• l'Amministrazione ha già proceduto all'emissione dell'ordinativo di pagamento;
• è già stata presentata richiesta per il rimborso mediante titoli di Stato e il Ministero delle
Finanze ha già proceduto alla trasmissione dell'elenco degli aventi diritto al rimborso al
Ministero del Tesoro;
• risultano a carico del cedente eventuali iscrizioni a ruolo relative a tributi erariali già
notificate. In tal caso la cessione ha effetto solo per gli importi eccedenti quelli oggetto delle
iscrizioni a ruolo.
La cessione non pregiudica, in ogni caso, i poteri della Amministrazione finanziaria relativi al
controllo delle dichiarazioni dei redditi, all'accertamento e all'irrogazione delle sanzioni nei
confronti del cedente.
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19.2. Cessione crediti d’imposta all’interno di un gruppo
Per le società appartenenti ad un medesimo gruppo, accanto alla procedura ordinaria appena
esaminata, esiste una procedura semplificata relativamente ai soli crediti IRPEG/IRES risultanti
dalle dichiarazioni dei redditi (non compensati, né chiesti a rimborso ma riportati al periodo
successivo) (art. 43-ter DPR 602/73 e DM 384/97).
Tali crediti possono essere ceduti, parzialmente o totalmente, a una o più società appartenenti al
gruppo, oppure alla società od ente capogruppo e la quota non ceduta può essere portata in
diminuzione dei versamenti d'imposta relativi agli esercizi successivi o chiesta a rimborso.
Per l’applicazione della presente “procedura semplificata” occorre che siano soddisfatti precisi
requisiti.
19.2.1. Requisiti soggettivi
Prima di tutto è da verificare cosa debba intendersi per gruppo che è definito in tale
ambito dal successivo comma 4 del citato articolo 43-ter del D.P.R. n.602/1973 il quale
stabilisce che appartengono allo stesso gruppo:
1. l’ente o società controllante e le società da questo controllate;
2. le società o gli enti tenuti alla redazione del bilancio consolidato.
Con riguardo al punto 1:
• si considerano controllate le società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità
limitata le cui azioni o quote sono possedute dall'ente o società controllante o tramite altra
società controllata da questo per una percentuale superiore al 50 per cento del capitale;
• la partecipazione deve essere posseduta fin dall'inizio del periodo di imposta precedente a
quello cui si riferiscono i crediti di imposta ceduti;
• questa definizione del “gruppo” è più rigida rispetto a quella civilistica. Il preciso riferimento
alla quota di capitale porta, ad esempio, ad escludere le ipotesi in cui il controllo discende da
altre situazioni (esempio: l’esistenza di un influenza dominante esercitata da un soggetto nei
confronti di un altro);
• il testo letterale della norma lascia qualche dubbio circa la possibilità di considerare verificata
tale condizione nel caso di partecipazione corrispondente alla maggioranza dei voti
assembleari ma inferiore alla maggioranza del capitale come potrebbe accadere nel caso di
presenza di azioni di risparmio.
Si forniscono di seguito alcuni esempi a riguardo.
Esempio 1: controllo a catena
51%
60%
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Soci
età
A
Socie
tà B
S
o
c
i
e
t
à
C
La società A controlla la società B, la quale a sua volta controlla C.
Qualora le quote di partecipazioni siano state sempre superiori al 50% sin dall’inizio dell’anno
solare precedente le opzioni possibili sono:
• A può cedere i suoi crediti IRES a B o/e C;
• B può cedere i suoi crediti IRES ad A o/e C;
• C può cedere i suoi crediti IRES a B o/e A.
Esempio 2: controllo a raggiera
Y
51%
45%
W
51%
X
Z
35%
K
80%
L
In questa situazione rimangono escluse invece in ogni caso dalla procedura le società W e K in
quanto le quota possedute sono inferiori al 50%.
Le opzioni possibili (in caso di possesso delle partecipazioni a far data dall’anno precedente)
sono:
• X può cedere i suoi crediti IRES a Y o/e Z o/e L;
• Y può cedere i suoi crediti IRES a X o/e Z o/e L;
• Z può cedere i suoi crediti IRES a Y o/e X o/e L;
• L può cedere i suoi crediti IRES a Y o/e X o/e Z.
Con riguardo al punto 2, la nota n. 483/E del 23 maggio 1996 ha ritenuto che la norma “consenta
la cessione delle eccedenze tra i soggetti che hanno l'obbligo di redigere il bilancio consolidato
(non quindi la mera facoltà) e che in tal caso si prescinde dalla sussistenza o meno delle
condizioni previste dalla prima parte del comma 4 dell'art. 43-ter medesimo”.
Sulla base di quanto sin qui detto, la cessione può, pertanto, essere esperita, sia come soggetto
cedente che come soggetto cessionario, da parte della:
• società (o ente) controllante, sia essa società di persone o di capitali, enti commercialI o non
commerciali;
• società ed enti obbligati alla redazione del bilancio consolidato ai sensi del D.Lgs. 127/91 e
del D.Lgs. 87/92 (vedi MS n. 7397). Per questi soggetti non è necessaria la presenza dei
requisiti illustrati al punto seguente (Nota Min. 23 maggio 1996 n. 483/E). Si precisa, però,
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•
che la cessione non è ammissibile in relazione ad un gruppo di società italiane. in cui la
controllante risulta a sua volta controllata da una società straniera obbligata alla redazione del
bilancio consolidato (Parere Comitato Consultivo 21 luglio 1999 n. 18).
società controllate, soltanto se di capitali. Si ricorda che sono controllate le società di capitali
possedute, fin dall'inizio del periodo d'imposta precedente a quello a cui si riferiscono i crediti
d'imposta ceduti, dalla controllante (anche tramite una o più controllate, residenti o meno) per
una percentuale superiore al 50% del loro capitale sociale. Se il periodo d'imposta del cedente
e del cessionario non coincidono, la sussistenza del periodo minimo di controllo dovrebbe
riferirsi al periodo d'imposta della società cedente. Cedente e cessionario possono essere,
indifferentemente, sia due società controllate sia una società controllata e la controllante. Nel
primo caso il periodo minimo di controllo di cui al punto 3) deve sussistere nei confronti di
entrambe le società.
19.2.2. Formalità ed effetti della cessione
Ai sensi dell’art. 43-ter comma 1, del D.P.R. n.602/1973, l’eccedenza IRES risultante
dalla dichiarazione dei redditi delle società appartenenti a un gruppo può essere ceduta, in
tutto o in parte, a una o più società appartenenti allo stesso gruppo, senza l’osservanza
delle formalità previste dagli articoli 69 e 70 del R.D. 2440/1923 (che richiedono che
l’atto di cessione sia redatto in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata da un
notaio e che il medesimo atto sia notificato all’amministrazione finanziaria debitrice).
Operativamente ciò significa che la semplice indicazione in dichiarazione dei redditi permette di
ritenere valida e efficace anche nei confronti dell’amministrazione finanziaria la cessione.
Condizione per il perfezionamento della cessione è, pertanto, che il soggetto cedente indichi,
nella propria dichiarazione (Quadro RK), i dati identificativi del cessionario (o dei cessionari) e
gli importi ceduti: la cessione si considera effettuata all'inizio del periodo d'imposta in cui si
presenta la dichiarazione dei redditi suddetta (es. per l'eccedenza generata dal cedente nel 2005 e
indicata nella relativa dichiarazione dei redditi, la cessione si considera effettuata alla gennaio
2006).
A partire dalla stessa data il cessionario può utilizzare il credito ricevuto per compensare i
versamenti delle imposte e dei contributi che si versano con il modello F24 e la parte non
utilizzata può essere chiesta a rimborso in sede di dichiarazione dei redditi secondo la procedura
ordinaria.
19.2. Le norme antielusive
Potrebbe sorgere il dubbio che tali operazioni infra gruppo (incentrate su cessioni delle
eccedenze IRES ai sensi dell’art. 43-ter del Dpr 602/73) possano porre in essere
fattispecie elusive o potenzialmente tali.
Sul tema il comitato consultivo norme antielusive ha offerto un suo parere (il n.18 del
21/07/1999).
Il caso prospettato era il seguente.
La società Alfa Spa, il cui capitale è detenuto per il 95% da una società di diritto olandese, aveva
acquistato una partecipazione di controllo ai sensi dell'art. 2359 del codice civile in alcune società
residenti.
Successivamente alcune delle stesse avevano deliberato la loro fusione per incorporazione nella
Alfa Spa mentre altre avevano deliberato la distribuzioni di dividendi a favore di Alfa con
l’assegnazione di crediti d’imposta pieni (basket A) alla stessa. Tale fatto aveva comportato la
creazione di un ingente eccedenza IRPEG (imposta vigente all’epoca del parere in oggetto)in
capo ad alfa la quale era intenzionata a cederla ad una società del gruppo affinché la stessa
potesse utilizzarle in diminuzione dei versamenti IRPEG dovuti.
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Un vincolo a tale fatto era dato dal fatto che nel caso di specie la successione di operazioni
societarie intercorse non permettevano che si verificasse l’ipotesi per cui le azioni detenute da
Alfa lo fossero fin dall'inizio del periodo di imposta precedente a quello cui si riferivano i crediti
d'imposta ceduti.
Secondo il comitato inoltre nel caso di specie non poteva trovare applicazione la seconda regola
in grado di individuare un gruppo rilevante a tali fini. Ciò in quanto la stessa prevede la
possibilità della cessione tra i soggetti tenuti alla redazione del bilancio consolidato, quindi tra
i soggetti che hanno l'obbligo e non la mera facoltà di redigere lo stesso. Ora nel caso di specie
tale obbligo non si rinveniva in quanto Alfa poteva essere esonerata dall'obbligo di redazione del
bilancio consolidato.
La soluzione del comitato quindi non ha espresso un giudizio circa la presunta natura
elusiva di un’operazione di cessione del credito ai sensi dell’art. 43-ter del Dpr 602/73, ma
ha escluso la liceità dell’operazione descritta in quanto nel caso esaminato tale operazione
sarebbe risultato carente uno dei presupposti costitutivi richiesti dalla norma.
In realtà non ci pare di ravvisare in tale ipotesi possibili censure di elusività essendo tale
procedura prevista da una disposizione di legge specifica e non comportando per di più
alcun risparmio d’imposta ma unicamente un beneficio di carattere finanziario. In ogni caso
si può ritenere che l’elusività non debba mai essere riferita alla cessione delle eccedenze di
credito ma eventualmente alla costruzione societaria creata in precedenza.
19.3. La disciplina civilistica
Dall’assenza di specifici requisiti di forma, fermo restando il rispetto di quanto sopra
illustrato, si ritiene che la cessione possa essere posta in essere, ad esempio, anche
attraverso uno scambio di corrispondenza commerciale.
Per ciò che concerne la regolamentazione dei rapporti tra cedente e cessionari si applica la
disciplina civilistica della cessione dei crediti contenuta negli articoli 1260 e seguenti del
codice civile.
Sinteticamente le regole sono:
• art. 1260: il credito può essere ceduto anche senza il consenso del debitore purchè non
abbia carattere strettamente personale o sia vietato per legge. Le parti possono escludere la
cedibilità, ma tale patto non è opponibile al cessionario se non si prova che lo stesso lo
conosceva al tempo della cessione;
• art. 1262: il cedente deve consegnare i documenti probatori del credito che sono in suo
possesso;
• art. 1263: il credito è trasferito con i privilegi, le garanzie e gli altri accessori. La cessione
non comprende i frutti scaduti;
• art. 1264: la cessione ha effetto nei confronti del ceduto quando questi l’ha accettata o gli
è stata notificata;
• art. 1265: se il credito è ceduto a più persone rileva la cessione che è stata notificata per
prima o quella che per prima è stata accettata con atto di data certa;
• art. 1266: se la cessione è a titolo oneroso il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del
credito al tempo della cessione. La garanzia può essere esclusa ma il cedente resta sempre
obbligato per il fatto proprio. Se la cessione è a titolo gratuito il cedente garantisce nei casi
e nei limiti in cui la legge pone a carico del donante la garanzia per l’evizione;
• art. 1267: il cedente non risponde della solvenza del debitore salvo che ne abbia assunto la
garanzia. In questo caso egli risponde nei limiti di quanto ha ricevuto.
Un punto decisivo è quello concernente la necessità della notifica al debitore ceduto, elemento
richiesto come necessario dall'art. 1264 del codice civile affinché la cessione diventi efficace.
A questa funzione assolve l'indicazione nel modello unico del cedente degli estremi del
cessionario e dell'ammontare del credito ceduto.In caso di omissione la cessione diverrebbe
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inefficace nei confronti dell’erario e quindi sostanzialmente priva di quegli effetti operativa che
l’avevano motivata.
Ne le norme fiscali che quelle civilistiche richiedono alcun altro adempimento formale oltre
a quelli descritti.
Motivi di opportunità e linearità dei rapporti tra società consorelle consigliano in ogni caso
di pattuire per iscritto l’operazione.
Ciò può avvenire mediante l’invio da parte della cedente di una proposta alla società cessionaria
che manifesti la volontà di cedere le eccedenze IRES alle condizioni ivi previste.
Successivamente l’accettazione di tale proposta permetterà di considerare perfezionato il
contratto stesso.
E’ evidente che solo con la forma scritta si ha la possibilità di indicare i diversi patti di cessione
quali ad esempio: un eventuale corrispettivo richiesto per la cessione, il regime di responsabilità
ecc.
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I.C. Comparazioni tra il diritto societario del bilancio e il diritto tributario delle società
(a cura di Norberto Villa)
La redazione del bilancio di esercizio trova il proprio fondamento in principi tecnicoragionieristici corroborati dai Principi Contabili nazionali ed internazionali, avendo poi
riferimento all'osservanza della normativa statuita dal Codice Civile (art. 2423 e seguenti), così
come modificata dal recepimento della IV Direttiva CEE, avvenuto con il D.Lgs. n. 127 del
9aprile 1991.
Il bilancio di esercizio così redatto costituisce la base la determinazione dei redditi da
assoggettare a tassazione, mediante un “riesame fiscale" di tutte le valutazioni effettuate secondo
le norme civilistiche che comporta la quantificazione l’applicazioni di variazioni in aumento
ovvero in diminuzione al risultato civilistico. Tale impostazione, che mira ad una integrazione tra
le diverse necessità civilistiche e tributarie presenti nella redazione del bilancio di esercizio, pone
icto oculi un problema di gerarchia tra le norme civilistiche e quelle tributarie: nel nostro
ordinamento non è, pertanto, adottata la soluzione del "doppio binario" secondo cui la disciplina
civilistica in tema di bilancio di esercizio è completamente autonoma rispetto a quella tributaria e,
conseguentemente, la determinazione del reddito d'esercizio e del reddito imponibile
avverrebbero secondo regole differenti e tra loro non sovrapponibili. Al contrario, l’ordinamento
nazionale riconosce l’influenza della disciplina civilistica su quella tributaria e , nella prevalenza
delle une o delle altre, ravvisa l’applicazione del principio di dipendenza ovvero del principio di
dipendenza rovesciata
I.C.20. Il principio di dipendenza
Il principio di dipendenza è contenuto nel disposto dell’articolo 83 del TUIR ed è stato modificato
a seguito della riforma dell’ordinamento tributario nazionale al fine di tenere conto della
riorganizzazione delle disposizioni del TUIR: in particolare, mentre il previgente articolo 81
faceva riferimento alle disposizioni previste dal capo VI del titolo I (determinazione del reddito
d’impresa per i soggetti IRPEF), col novellato articolo 83 la situazione viene ribaltata ed è la
normativa prevista per le società ad essere richiamata dalla disposizioni previste per i soggetti
IRE.
Il reddito d’impresa corrisponde alla risultanza del bilancio redatto ai fini civilistico
ridotto/aumentato delle variazioni apportate in sede di dichiarazione dei redditi. Questa
operazione di “correzione” del bilancio civilistico secondo regole fiscali è conosciuto anche come
“principio della dipendenza” e comporta importanti differenze tra il risultato di bilancio e la
effettiva base imponibile fiscale. Tali differenze possono essere distinte in due tipi:
- divergenze permanenti: derivano da componenti di reddito ritenuti indeducibili o non
imponibili a livello fiscale; l’influenza di queste divergenze si esaurisce in un unico
periodo d’imposta (es. spese rappresentanza non deducibili per 2/3 del totale).
- divergenze temporanee: derivano dalla diversa valutazione fiscale rispetto alla civilistica
di componenti di reddito e sono all’origine della fiscalità differita. Le divergenze
temporanee sono tassabili, quando generano una base imponibile in esercizi futuri e quindi
passività per imposte differite (es. ammortamenti anticipati); si classificano come
deducibili quando danno origine ad importi imponibili nell’esercizio di rilevazione e
perciò si hanno attività per imposte anticipate (es. ammortamenti iscritti in bilancio per
importi superiori a quanto previsto fiscalmente o spese di rappresentanza per i quinti
deducibili negli esercizi successivi).
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Il risultato derivante dal conto economico, attraverso le variazioni previste dalla normativa
fiscale, si trasforma in reddito imponibile ovvero in perdita fiscale a seconda che il differenziale
delle variazioni in diminuzione ed in aumento sia maggiore o minore dell’utile o della perdita
civilistici. Le variazioni di cui sopra devono essere, in ogni caso, apportate extracontabilmente in
sede di dichiarazione dei redditi, precisamente nel quadro RF appositamente destinato ad
evidenziare questi interventi che devono essere apportati al reddito complessivo per pervenire alla
determinazione del reddito ovvero della perdita relativa al periodo d’imposta
Con riferimento all’eliminazione delle interferenze fiscali dal bilancio d’esercizio, in particolare
in merito alla deducibilità dei componenti negativi di reddito in via extracontabile, occorre
richiamare il disposto dell’articolo 109 del TUIR.
Si segnala, da ultimo, che il provvedimento IAS ha apportato modifiche anche all’articolo 83
citato: per determinare il reddito imponibile, infatti, prima di effettuare le variazioni in aumento
ed in diminuzione, occorre considerare il risultato fornito dal conto economico “[…] aumentato o
diminuito dei componenti che, per effetto dei principi contabili internazionali, sono imputati
direttamente a patrimonio […]”. L’introduzione di tale inciso è giustificata dalla volontà di
equiparare il trattamento fiscale previsto per le società che utilizzano i metodi di
contabilizzazione “tradizionali” con le società che, invece, applicano le disposizioni recate dagli
standards: secondo gli IAS, infatti, per determinati componenti reddituali è prevista una diretta
imputazione a patrimonio netto senza il preventivo transito a conto economico.
I.C.21. Il principio della dipendenza rovesciata
Il principio di dipendenza rovesciata, invece, stabilisce l’influenza della disciplina tributaria nella
redazione del bilancio civilistico: l'analisi empirica del processo di contabilizzazione degli accadimenti aziendali evidenzia, infatti, come nella prassi la legislazione tributaria giunga ad inficiare il
bilancio di esercizio, inquinando le disposizioni civilistiche ad opera della normativa tributaria.
La progressiva crescita dell'attenzione prestata alla materia fiscale nella redazione del bilancio di
esercizio, al fine di contenere la pressione fiscale, conduce infatti sempre più di frequente alla
determinazione di un risultato di esercizio condizionato da valutazioni tributarie e, come tale,
passibile di essere espressione di politiche di bilancio a fini fiscali la cui attuazione, peraltro,
altera spesso la chiarezza espositiva. Risulterebbe, però, irrealistico negare l'esistenza di tali
politiche di bilancio, in considerazione dell'ampiezza del fenomeno facilmente ravvisabile nella
prassi economica.
Il fenomeno della "dipendenza rovesciata", contrastando con la corretta redazione del bilancio
d'esercizio, ha indotto il legislatore a cercare soluzioni volte a evidenziare quanto meno l'effetto
distorsivo generato dalle interferenze fiscali nella determinazione del risultato civilistico.
In un primo momento, in sede di recepimento della IV Direttiva CEE, la soluzione del problema è
stata ravvisata nell'adozione di una configurazione di conto economico contenente una
"appendice fiscale" nella quale imputare tutte le poste tributarie in modo tale da isolare e
rappresentare gli "effetti tributari" nella determinazione del risultato di esercizio; in seguito
all'abrogazione dell'appendice fiscale le norme civilistiche hanno, invece, previsto la possibilità di
effettuare rettifiche di valore e accantonamenti esclusivamente in applicazione di norme
tributarie, a condizione che la loro iscrizione a conto economico sia finalizzata all'ottenimento di
una riduzione del reddito imponibile e debba comunque avvenire mediante una chiara e completa
informativa nella nota integrativa.
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I.C.22. Le interferenze fiscali
Novità fondamentale introdotta dalla riforma del diritto societario è quella che ha portato
all’abrogazione del secondo comma dell'art. 2426 c.c., il quale consentiva di “…effettuare
rettifiche di valore e accantonamenti esclusivamente in applicazione di norme tributarie”. Come è
noto tale regola ha comportato il raggiungimento del cosiddetto disinquinamento del bilancio:
fino allo scorso anno il risultato economico-contabile poteva, infatti, essere inficiato da
appostazioni di natura puramente tributaria.
Si pensi ad esempio a coloro i quali seguendo un comportamento consentito dal principio
contabile n.25 imputavano gli ammortamenti anticipati a conto economico e classificati
all’interno della voce B.10.b (ammortamento delle immobilizzazioni materiali).
La contropartita contabile della quota di ammortamento imputata a conto economico era iscritta
in un fondo di ammortamento ed è evidente come un tale comportamento aveva come effetto
quello di abbattere (artificiosamente) il risultato economico. E’ pur vero che tale situazione
doveva trovare evidenza nella nota integrativa in cui ai sensi dell’art. 2427 n.14 doveva essere
evidenziato l’impatto di tale scelta (dovevano essere illustrati gli effettivi valori dei beni
ammortizzabili, degli ammortamenti, del risultato di esercizio e del patrimonio netto qualora non
si fossero imputati a conto economico gli ammortamenti anticipati).
Il coordinamento con il Tuir
Prima della riforma del Tuir (successiva a quella del diritto societario) il timore era quello di un
mancato coordinamento di queste novità con le regole fiscali. L’abrogazione del secondo comma
dell’art. 2426 poteva infatti creare delle difficoltà di coordinamento con il vecchio art. 75 del
Tuir. Molto banalmente:
•
l’art. 75 del Tuir prevedeva che perché fosse riconosciuta la deducibilità di un onere
occorreva la sua imputazione a conto economico;
•
il nuovo articolo 2426 vietava però l’imputazione a conto economico di poste di rilevanza
puramente fiscale;
•
coordinando tali due regole si correva il rischio di veder perse alcune agevolazioni
concesse al contribuente dal legislatore fiscale.
Ancora più chiaramente si può ricordare come prima della riforma introdotta con il decreto
legislativo 6/2003 vi era un’opzione offerta dall’art. 2426 che premetteva l’iscrizione in bilancio
di componenti negativi, che non avevano giustificazione civilistica, ma che erano giustificati
unicamente dal fatto di concedere un vantaggio (in termini di minore imposte) tributario. In
questo modo (forzando le regole contabili) si permetteva che il contribuente potesse godere
realmente di tali agevolazioni consentendo allo stesso la loro iscrizione in contabilità.
Nel dopo riforma senza un restyling delle norme fiscali il rischio che si correva era quello invece
di vedere vanificati tali vantaggi fiscali:
•
i componenti negativi avrebbero potuto essere imputati a conto economico solo in base
alle disposizioni del codice civile;
•
quelli di natura esclusivamente tributaria non transitando dal conto economico rischiavano
di non poter essere dedotti e quindi di non comportare alcun vantaggio al contribuente.
Ora che anche le norme fiscali sono state adeguate grazie al nuovo testo dell’art. 109, comma 4,
lettera b) del Tuir. Lo stesso ha infatti derogato alla rigida regola precedente ed ammesso la
deducibilità anche per taluni componenti di reddito che non sono imputato a conto economico a
patto che risultino indicati in un prospetto della dichiarazione dei redditi. Lo stesso stabilisce che
“gli ammortamenti dei beni materiali ed immateriali, le altre rettifiche di valore e gli
accantonamenti” non imputabili a conto economico “sono deducibili se in apposito prospetto
della dichiarazione dei redditi è indicato il loro importo complessivo, i valori civili e fiscali dei
beni e quelli dei fondi”. In sostanza si stabilisce che i componenti negativi di reddito possono
essere portati in deduzione in via extracontabile anche se il testo dell’art. 109 lascia qualche
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dubbio. Lo stesso infatti si riferisce espressamente solo agli “ammortamenti dei beni materiali ed
immateriali”, alle “rettifiche di valore” e agli “accantonamenti”, ma tali categorie non esauriscono
tutte le possibili poste che presentano differenze nel trattamento contabile e in quello fiscale.
I.C.23. Il disinquinamento dei bilanci
Nel passato si è a lungo discusso circa i componenti “fiscali” che potevano realmente essere
compresi tra quelli per i quali risultava applicabile li secondo comma dell’art. 2426. Vi era chi
riteneva che la regola dell’art. 2426 consentiva di imputare a conto economico le sole rettifiche di
valore ed accantonamenti previsti da disposizioni fiscali “sovvenzionali” o “agevolative” (in
sostanza da disposizioni fiscali che tendevano a favorire l'autofinanziamento delle imprese
attraverso la detassazione degli utili realizzati, qualora questi fossero stati accantonati in apposite
poste del patrimonio netto). Una seconda tesi invece considerava comprese fra le rettifiche di
valore e gli accantonamenti imputabili a conto economico (sempre ai sensi dell'art. 2426, secondo
comma) anche quelle previste da disposizioni di natura “forfetaria”.
Nel proprio documento interpretativo n.1, l’organismo italiano di contabilità, anche considerando
quanto precisato dalla relazione illustrativa del D. Lgs. n° 344 del 12 dicembre 2003, abbraccia la
seconda delle tesi sopra esposte.
E ciò per i seguenti motivi:
- non sarebbe coerente, ora che non si deve più inquinare il bilancio, immaginare un ambito
più ristretto, limitato, cioè alle sole norme sovvenzionali;
- le imprese non obbligate a redigere il bilancio o, comunque, obbligate a redigerlo senza
doversi attenere alle disposizioni della IV direttiva hanno potuto dedurre dal reddito
d'impresa anche le rettifiche di valore e gli accantonamenti previsti da norme di natura
forfetaria;
- le misure di forfetizzazione, pur non essendo agevolative sono sempre opportunità o
vantaggi con la funzione di eliminare controversie su una materia altrimenti di difficile
definizione quale, appunto, quella delle valutazioni.
Da ciò consegue che secondo l’OIC è da ritenere possibile la deduzione in via extracontabile
(mediante cioè l’indicazione nell’apposito prospetto) di tutte le rettifiche di valore e gli
accantonamenti che in precedenza dovevano intendersi richiamate dalla disposizione di cui
all’art. 2426, secondo comma e pertanto anche:
- le svalutazioni dei crediti,
- le svalutazioni per rischio contrattuale delle rimanenze relative ai lavori di durata
ultrannuale, gli oneri derivanti da operazioni e concorsi a premio ecc.
Cosa si deduce nel prospetto
1. ammortamenti eccedenti rispetto a quanto necessario per ridurre il valore delle
immobilizzazioni immateriali in relazione alla loro residua possibilità di utilizzazione
2. ammortamenti eccedenti rispetto a quanto necessario per ridurre il valore delle
immobilizzazioni materiali in relazione alla loro residua possibilità di utilizzazione
3. ammortamento dell'avviamento eccedente il limite deducibile;
4. ammortamento integrale nell’esercizio in cui il relativo costo è stato sostenuto per i beni
di valore unitario non superiore a un 516,46 euro;
5. svalutazioni di partecipazioni eccedenti rispetto a quanto necessario per ridurre il valore
delle partecipazioni al costo rettificato per perdite durevoli;
6. svalutazioni di lavori in corso su ordinazione eccedenti rispetto a quanto necessario per
tener conto delle perdite previste e dei rischi connessi nonché valutazione dei lavori in
corso secondo il criterio della commessa completata;
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7. svalutazioni di crediti eccedenti rispetto a quanto necessario per ridurre il loro valore al
valore presumibile di realizzazione;
8. limitazioni della deducibilità di accantonamenti a fondi del passivo e per rettifiche di
valore (ad esempio: oneri derivanti da operazioni a premio e concorsi a premio).
La distribuzione di utili
Una norma correlata a quella sopra descritta è quella contenuta dall’art. 109, comma 4, lettera b)
che introduce dei limiti al fine di non consentire la distribuzione di utili che non abbiano scontato
l'imposizione. La regola dispone infatti che “in caso di distribuzione, le riserve di patrimonio
netto e gli utili di esercizio, anche se conseguiti successivamente al periodo d'imposta cui si
riferisce la deduzione, concorrono a formare il reddito se e nella misura in cui l'ammontare delle
restanti riserve di patrimonio netto e dei restanti utili portati a nuovo risulti inferiore all'eccedenza
degli ammortamenti, delle rettifiche di valore e degli accantonamenti dedotti rispetto a quelli
imputati a conto economico, al netto del fondo imposte differite correlato agli importi dedotti”.
La norma è di tipo cautelativo: si vuole evitare che possano formare oggetto di distribuzione utili
realizzati contabilmente che però non sono stati assoggettati a tassazione. Se fosse stata concessa
una piena libertà di distribuzione di tali utili si sarebbe giunti a permettere ai singoli soci utili non
assoggettati a tassazione con un evidente salto di imposizione.
Operativamente la regola così introdotta comporta che:
- le imprese hanno l'onere di vincolare fiscalmente in riserve diverse da quella legale, un
ammontare almeno pari a quello dei componenti negativi di reddito dedotti in via
extracontabile, al netto del fondo imposte differite correlato agli importi dedotti;
- le imprese che dovessero procedere alla distribuzione di tali riserve si troverebbero come
conseguenza quella di dover far concorrere gli importi distribuiti alla formazione del
reddito d'impresa fino a concorrenza dell'eccedenza "netta" dell'ammontare dei predetti
componenti negativi di reddito rispetto alle restanti riserve di patrimonio netto, diverse
dalla riserva legale.
Come correggere i bilanci
Con il cambiamento delle regole contabili si pone ora il dubbio di come comportarsi per adeguare
i bilanci alle nuove disposizioni. Negli stessi potrebbero infatti essere presenti delle poste iscritte
in base alla vecchia disciplina che devono ora essere annullate. Si pensi ad esempio alla
possibilità che risulti iscritto in bilancio un fondo rischi su crediti accantonato negli esercizi
precedenti non per riallineare al valore di realizzo il valore nominale dei crediti, ma più
semplicemente per godere della deducibilità forfetaria stabilità dal Tuir. La riforma del diritto
societario non si sofferma sul punto e non detta le regole per gli operatori. In soccorso giunge il
documento dell’OIC. Lo stesso esclude che le rettifiche di valore e i fondi contabilizzati prima
dell'entrata in vigore della nuova disciplina dei bilanci possano essere “mantenuti in bilancio fino
a che non siano stati riassorbiti in quanto cos’ì facendo ci si troverebbe obbligati a “contabilizzare
gli eventuali “utilizzi” e i “rigiri” delle predette voci con la conseguente violazione del divieto di
contabilizzazione di rettifiche di valore e accantonamenti giustificati esclusivamente per ragioni
tributarie”. Tornando all’esempio precedente una tale soluzione comporterebbe la necessità di
iscrivere l’utilizzo del fondo rischi nel momento in cui lo stresso dovesse essere utilizzato o
abbandonato.
La strada scelta è stata invece quella che prevede l’imputazione a conto economico delle rettifiche
di valore e degli accantonamenti già rilevati nei precedenti esercizi. Si giunge in tal modo ad un
adeguamento immediato alle nuove regole che comportano il disinquinamento dei documenti
contabili. Una tale opzione non comporta d’altro canto alcuna conseguenza fiscale. Si consideri
infatti che l’art. 4, lett. h delle "Disposizioni varie, transitorie e finali" ha reso applicabile il
comma 4 dell'art. 109 del Tuir anche “agli ammortamenti, alle altre rettifiche di valore e agli
accantonamenti operati: 1) esercizi precedenti a quello di entrata in vigore del D. Lgs. 17 gennaio
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2003, n° 6 per effetto dell'abrogato articolo 2426, secondo comma, del codice civile ed eliminati
dal bilancio in applicazioni delle disposizioni di tale decreto”. Anzi la riforma del Tuir ha
addirittura ammesso che tale regola possa trovare applicazione anche all'“esercizio in corso al 31
dicembre 2003 che termina successivamente alla medesima data” e, quindi, anche all'esercizio
precedente a quello a partire dal quale le disposizioni del nuovo Tuir risultano applicabili. In
sostanza si è fissata la neutralità fiscale di tali operazioni contabili.
LE IPOTESI DELL’OIC 1
ammortamenti anticipati o comunque devono essere riportati unicamente nell’apposito
eccedenti le aliquote economico- prospetto da allegare alla dichiarazione dei redditi
tecniche
in
bilancio
dovranno
essere
stanziate
le
corrispondenti imposte differite (per l’effetto reversal
che si avrà nei periodi d’imposta successivi)
Altre rettifiche ed accantonamenti
gli importi non dovranno più essere rilevati nel Conto
economico
le imposte differite dovranno essere imputate al
Conto economico
Come correggere il passato
- non è più possibile effettuare rettifiche di valore e accantonamenti esclusivamente in
applicazione di norme tributarie
- la norma fiscale non detta come occorre operare contabile per “correggere” il passato
- nemmeno le nuove regole dettano istruzioni sul punto
- non è più possibile mantenere iscritti in bilancio i valori residui di poste determinatesi in
precedenza (esercizi anteriori al 1° gennaio 2004) secondo il previgente art. 2426 comma 2,
sino al loro esaurimento. In tal modo infatti negli esercizi successivi si dovrebbero
contabilizzare gli “utilizzi” o i “rigiri” delle poste già iscritte violando in tal modo il nuovo
divieto
- tale tesi è confermata anche dall'abrogazione del numero 14 del precedente articolo 2427 del
codice civile che richiedeva di indicare "i motivi delle rettifiche di valore e degli
accantonamenti eseguiti esclusivamente in applicazione di norme tributarie ed i relativi
importi"
- Le due strade percorribili risultano quindi:
Ipotesi
1: occorre contabilizzare lo storno delle poste fiscali presenti in bilancio (riferibili,
quindi, sia agli ammortamenti anticipati che alle altre rettifiche e accantonamenti) con la
diretta attribuzione del relativo saldo all’inizio dell’esercizio ad una riserva di
patrimonio netto, al netto delle corrispondenti imposte differite da stanziarsi secondo
quanto previsto dal Principio Contabile n° 25 “Il trattamento contabile delle imposte sul
reddito” (metodo preferenziale secondo l’OIC).
Ipotesi
2: in alternativa si ritiene possibile rilevare gli effetti a conto economico, tenendo conto
delle relative imposte differite.
Nel caso in cui si volesse invece seguire il secondo tra le possibilità indicate in tabella , l’Oic
sottolinea come si otterrebbe l’effetto di produrre un accredito al conto economico dell'esercizio
con il rischio di inficiare la trasparenza e la chiarezza del documento contabile. Per minimizzare
tale conseguenza è allora richiesto:
•
di indicare l'effetto complessivo del disinquinamento in una voce specifica del conto
economico, da includere tra le componenti straordinarie (voce E 20) del conto economico, in
conformità a quanto previsto nel Documento interpretativo del Principio Contabile n° 12;
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•
di includere nella Nota Integrativa una informativa circa i saldi residui all’inizio
dell’esercizio delle pregresse rilevazioni effettuate solamente in applicazione di norme fiscali,
delle correlate imposte differite che su tali saldi sono state rilevate e dell’effetto netto sulla
situazione patrimoniale-finanziaria e sul conto economico.
Il documento dell’OIC sottolinea che in conseguenza dello storno degli eventuali residui di
appostazioni effettuate in applicazione di norme esclusivamente tributarie la nota integrativa
dovrà illustrare il criterio seguito per effettuare tale eliminazione ed indicarne gli effetti sul
patrimonio netto. Ed anzi sottolinea, richiamando il principio contabile 29: , “ “Si incoraggia
altresì la predisposizione, in nota integrativa, di una situazione economico-patrimoniale sintetica
pro-forma che evidenzi gli effetti del cambiamento di principio contabile ove tali effetti siano
rilevanti e/o si ripercuotono su una pluralità di voci interessate (in inglese, il «pervasive effect»).
Le grandezze contenute nella situazione economico-patrimoniale pro-forma dovranno comunque
essere confrontabili con quanto riportato nei conti annuali e consolidati”.
I.C.24. Le imposte anticipate e differite
Tra le nuove regole dettate dalla riforma del diritto societario è presente anche quella
concernente l’esposizione in bilancio della fiscalità differita. Le innovazioni concernono il
maggior numero di informazioni che sono richieste sia negli schemi rigidi di stato
patrimoniale e conto economico che nella nota integrativa con riguardo agli importi relativi
alle imposte differite ed anticipate.
Lo stato patrimoniale
L’articolo 2424 aggiunge tra le voci delle attività da indicare nello stato patrimoniale due
componenti da indicare separatamente tra i crediti (voce C) II:
- 4- bis) crediti tributari, e
- 4- ter) imposte anticipate.
Al riguardo la relazione ministeriale di accompagnamento alla riforma chiarisce che “per le
imposte anticipate stante la loro natura ("che non è esattamente quella di un credito riscuotibile,
quanto piuttosto di minori imposte da pagare in futuro") l'indicazione “imposte anticipate” non è
preceduta dal termine “crediti” né dalla preposizione “per”.
Con riguardo invece alle passività è previsto che quelle costituite dai debiti tributari e dalle
imposte differite siano stanziate, rispettivamente, nei debiti tributari alla voce D)12), e nell’apposito fondo imposte differite, alla voce B)2).
Anche in questo caso la relazione afferma che: “si è ritenuto sufficiente integrare la dizione della
voce B (2): fondi per imposte con la precisazione “anche differite”; infatti le imposte differite non
sono debiti effettivi da pagare quanto piuttosto maggiori imposte da pagare in futuro”.
Il conto economico
Passando invece al conto economico l'articolo 2425 stabilisce la voce 22 (imposte sul reddito) con
la dizione: “imposte sul reddito dell'esercizio, correnti, differite e anticipate”. Si deve osservare a
questo proposito che ancorché la norma non richieda espressamente la separata presentazione
delle imposte correnti da quelle differite (incluse le imposte anticipate), ciò appare
raccomandabile, in alternativa al fornirne il dettaglio in nota integrativa, per ovvie ragioni di
chiarezza.
La nota Integrativa
Le maggiori novità sul punto sono però quelle che riguardano le informazioni richieste in nota
integrativa. Al nr 14 dell'art. 2427 la nuova norma richiede la redazione di un prospetto che
indichi:
a) la descrizione delle differenze temporanee che hanno comportato la rilevazione di imposte
differite e anticipate, specificando l'aliquota applicata e le variazioni rispetto all'esercizio
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precedente, gli importi accreditati o addebitati a Conto Economico oppure a Patrimonio Netto, le
voci escluse dal computo e le relative motivazioni;
b) l'ammontare delle imposte anticipate contabilizzato in bilancio attinenti a perdite dell'esercizio
o di esercizi precedenti e le motivazioni dell'iscrizione, l'ammontare non ancora contabilizzato e
le motivazioni della mancata iscrizione;
Per semplificare i compiti di chi si troverà alle prese con la necessità di offrire tali nuove
indicazioni l’OIC 1 offre un esempio di alcuni prospetti da includere nella nota integrativa.
Le regole di calcolo
La riforma del diritto societario e quella del Tuir (e neanche le indicazioni contenute nel
documento dell’organismo italiano di contabilità) non mutano le regole generali di calcolo delle
imposte differite.
Continuano pertanto ad essere applicabili le regole già dettate dai principi contabili che possono
così riassumersi.
Secondo i principi generali di redazione del bilancio (ed in particolare il principio di competenza
di cui all’art. 2423, bis 1 comma nr. 3 del codice civile) e come chiaramente esposto dal principio
contabile nr. 25 nel documento contabile devono essere recepite le imposte di competenza
dell’esercizio, ovvero quelle che si riferiscono a componenti del risultato economico di
quell’esercizio anche se la loro esigibilità e traslata nel tempo in forza delle particolari regole
introdotte dal legislatore fiscale.
Le due regole che il principio contabile impone perché le imposte differite e anticipate siano
iscritte in bilancio che:
• le imposte differite: non devono essere iscritte in bilancio qualora sia “scarsamente
probabile” che avranno rilevanza fiscale nel periodo d’imposta in cui dovrebbero assumerla;
• le imposte anticipate: non devono essere iscritte in bilancio qualora vi sia la ragionevole
certezza dell’esistenza negli esercizi futuri di un reddito imponibile non inferiore all’importo di
tali differenze.
Le regole per un corretto calcolo delle imposte differite e anticipate sono:
- le stesse sono da calcolare sull’ammontare complessivo di tutte le differenze temporanee
tra il valore attribuito secondo le regole civilistiche e quelle fiscali;
- l’aliquota da applicare è quella in vigore al momento in cui le differenze temporanee si
riverseranno;
- le differenze temporanee sono da calcolare sia con riguardo all’Ires che all’Irap tenendo
però conto del fatto che le stesse per le due imposte sono differenti (non darà ad esempio
luogo ad un imposta Irap anticipata il compenso non pagato all’amministratore stante la
diversa rilevanza dei compensi ai fini Ires e Irap);
- occorre che in ogni esercizio siano verificate l’esistenza delle condizioni sopra viste che
permettono l’iscrizione delle imposte anticipate o differite.
- Si può schematizzare come deve operare il redattore di bilancio nel calcolo delle imposte
differite:
- deve prima considerare congiuntamente tutte le differenze temporanee;
- deve però considerarle distintamente in relazione al periodo d’imposta in cui saranno
riversate: ad esempio le spese di rappresentanza danno luogo ad imposte anticipate che
verranno riversate per un quindicesimo per ognuno dei 4 esercizi successivi;
- una volta individuate le masse di differenze temporanee correlate ai singoli esercizi
successivi deve applicare alle stesse l’aliquota che sarà in vigore in quei singoli esercizi.
- Nel caso di mutamento dell’aliquota d’imposta si dispone che:
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se sono previste differenti aliquote fiscali applicabili a differenti livello di reddito le
imposte differite e anticipate vanno calcolate utilizzando le aliquote medie attese nei
periodi in cui le differenze si riverseranno;
- se ciò risulta troppo difficoltoso è accettabile l’utilizzo dell’aliquota effettiva dell’ultimo
esercizio.
Se dopo aver calcolato le imposte differite o anticipate le aliquote che erano state prese a base del
calcolo (si ricorda che le aliquote da considerare sono quelle previste da norme già entrate in
vigore alla data di redazione del bilancio) occorrerà “apportare adeguati aggiustamenti” ai crediti
o debiti già calcolati.
Vi è poi da ricordare che le imposte anticipate non derivano unicamente dalle differenze
temporanee. Un secondo fattore che può dar luogo all’iscrizione di un credito d’imposta per
minori imposte che si pagheranno è l’importo delle perdite fiscali riportabili.
Le perdite fiscali possono infatti essere portate in diminuzione del reddito imponibile degli
esercizi futuri. In tal modo la presenza di perdite fiscalmente rilevanti potrebbe dar luogo all’idea
che le imposte di competenza di periodi d’imposta successivi potrebbero essere abbattute grazie
all’utilizzo delle stesse.
Il beneficio fiscale futuro connesso alle perdite non deve essere iscritto in bilancio salvo che:
- esista una ragionevole certezza di ottenere in futuro redditi che potranno assorbire queste
perdite;
- esiste la ragionevole certezza che tali perdite non si ripeteranno e derivano da circostanze
ben identificate.
In presenza di tali condizioni (ma solo in questo caso) si potrà iscrivere un credito per imposte
anticipate derivante dalle perdite fiscali riportabili. Se in bilancio sono presenti imposte differite
che si “riverseranno” in periodi d’imposta in cui le perdite riportabili possono essere utilizzate, il
beneficio fiscale derivante da tali perdite deve essere portato a deduzione della passività per
imposte differite fino a concorrenza di tale differenza temporanea.
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I.D. L’imposizione locale sulle società
(a cura di Efrem Longoni)
I.D.25. IRAP
25.1.Premessa
La Legge 23/12/1996 n. 662 all’art. 3, commi da 143 a 153, nel conferire al Governo apposita
delega ai fini dell’istituzione di un’imposta regionale sulle attività produttive ha altresì
riconosciuto al Governo stesso, la facoltà di integrare e correggere le disposizioni del decreto
istitutivo (il Dlgs. n.466 del 15/12/1997) con provvedimenti successivi da emanarsi entro due anni
dall’entrata in vigore del decreto stesso nel rispetto degli stessi principi e criteri direttivi fissati
dalla legge delega.
Il Legislatore avvalendosi della suddetta facoltà è più volte intervenuto a modificare la disciplina
originaria apportando importanti modifiche1 al citato decreto 466/97 istitutivo dell’Irap.
Inoltre anche la Legge 23/12/1999 n. 488 (Finanziaria 2000) e il decreto legge n.268 del
30/9/2000 hanno innovato alcuni aspetti dell’impianto normativo contenuto nel decreto istitutivo
stesso.
Richiamiamo inoltre il disposto normativo della legge Finanziaria 2001 (L.23 dicembre 2000
n.388) che ha apportato leggere, ma per certi aspetti significative modifiche alla disciplina
vigente, nonché la legge 289 del 27 dicembre 2002 che ha modificato alcune delle regole
contenute nell’art. 11 del decreto legislativo Irap.
Nel presente lavoro ci si propone di analizzare in chiave interpretativa e, se possibile, operativa la
complessa normativa inerente l’Irap soprattutto in riferimento ai suddetti “innesti” normativi,
sottolineando, allorquando se ne presentasse l’occasione, eventuali dubbi interpretativi e problemi
di conciliabilità delle istruzioni ministeriali pregresse con le disposizioni di legge di ultima
introduzione.
A completamento del presente lavoro è proposta in allegato una guida pratica che consente di
individuare in maniera rapida ed efficace il trattamento ai fini dell’Irap delle principali
componenti positive e negative di reddito delle imprese commerciali che determinano il valore
della produzione netta nei modi ordinari (art. 3, comma 1, lettere a e b D.Lgs. 446/97).
1
Cfr. Dlgs. n.147 del 10/4/1998, Dlgs. n.422 del 19/11/1998, Dlgs. n.176 del 10/6/1999 e Dlgs. n.506 del
30/12/1999.
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I SOGGETTI INTERESSATI
SOGGETTI NON INTERESSATI
- le società di capitali
- i fondi comuni di investimento;
- gli enti pubblici e privati ;
- i fondi pensione;
- le società di persone e quelle ad esse - i Gruppi economici di interesse europeo
equiparate ;
(GEIE) (a determinate condizioni stabilite
- i liberi professionisti anche in forma
tassativamente dall’art. 13 D.Lgs. 446/97)
associata;
- i titolari di reddito da lavoro dipendente;
- i titolari di reddito agrario non esonerati - i percettori di redditi assimilati a lavoro
dagli adempimenti IVA
dipendente.
- gli organi e le amministrazioni dello Stato ;
- i collaboratori coordinati e continuativi
- le società ed enti non residenti nel territorio
coloro che esercitano occasionalmente
dello stato ;
attività di lavoro autonomo e coloro che si
- associazioni sportive e dilettantistiche ;
assumono obblighi di fare, non fare o
- associazione senza scopo di lucro e le pro
permettere,
quali
per
esempio
i
loco;
collaboratori occasionali;
- soggetti minimi;
- i soggetti che svolgono attività sportiva
dilettantistica;
- enti non commerciali .
i venditori porta a
porta (che subiscono una ritenuta alla fonte
a titolo di imposta);
- i condòmini.
25.2. Gli obiettivi e il presupposto
La relazione ministeriale al decreto legislativo 446/97, individua gli obiettivi perseguiti dal
legislatore con l’introduzione dell’Irap:
a) avvio e consolidamento del federalismo fiscale
b) semplificazione del sistema tributario
c) riduzione del costo del lavoro
d) riduzione dell'aliquota formale sugli utili
e) riduzione della convenienza all'indebitamento da parte delle imprese
L’Imposta regionale sulle attività produttive secondo il modello predisposto dal legislatore
presenta le seguenti caratteristiche:
1. è un'imposta “locale” in quanto la fattispecie impositiva è territorialmente limitata alle attività
produttive esercitate in un dato ambito territoriale;
2. si tratta di un'imposta reale: infatti la capacità contributiva dei soggetti passivi è conseguenza
della struttura amministrativa e organizzativa;
3. è indeducibile ai fini delle imposte sui redditi.
Il presupposto impositivo dell’Irap è rappresentato dall'esercizio abituale di un'attività
autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di
servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni
dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto d’imposta (art. 2).
L'Irap si differenzia dall'Ires, dall'Irpef e dall'Iva in quanto si tratta di un’imposta autonoma e
dotata di uno specifico corpo normativo rispetto alle imposte dirette o all’IVA pur sussistendo dal
punto di vista procedurale non pochi punti in comune con le norme disciplinanti tali imposte.
Ai fini Irap si ha esercizio abituale quando l'attività è svolta professionalmente,
conseguentemente proponiamo i seguenti esempi: colui che effettua sporadiche ed isolate
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operazioni di acquisto e rivendita di beni, non esercita attività abituale e non è soggetto passivo
Irap; colui che effettua una serie di atti economici coordinati, ma circostanze oggettive rivelano
in maniera inequivocabile la natura occasionale dell’attività stessa, non esercita attività abituale e
non è soggetto passivo Irap; colui che effettua una serie di atti economici coordinati ed inoltre
impiega fattori produttivi tali da rilevare inequivocabilmente l’esistenza di una struttura
produttiva permanente esercita attività abituale ed è dunque soggetto passivo Irap.
Per quanto riguarda i soggetti non residenti, essi risultano soggetti passivi Irap esclusivamente
quando dispongono di una stabile organizzazione nel territorio (di una regione) del nostro Paese e
ivi vi operano per un periodo di tempo non inferiore a tre mesi (cfr. C.M. n.263 del 12/11/1998).
Il concetto di stabile organizzazione è intesa secondo l'accezione dello schema Ocse e delle
particolari convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Al contrario, la presenza sul
territorio nazionale di un mero ufficio acquisti o di un ufficio di rappresentanza non costituisce
per il soggetto non residente presupposto per l'assoggettamento al tributo regionale.
In maniera speculare, i suesposti principi valgono anche nei confronti dei soggetti passivi
residenti nel territorio dello Stato che esercitano attività produttive all'estero; ciò implica che il
soggetto italiano che dispone di un ufficio di rappresentanza all'estero non ha il diritto
all'esclusione dalla base imponibile Irap del reddito mentre è legittimato all’esclusione qualora
l’entità economica presente all’estero si configuri come stabile organizzazione.
Relativamente alle particolari situazioni giuridiche della vita aziendale è opportuno sottolineare
che il presupposto soggettivo di applicazione dell'Irap sussiste in tutti i casi di liquidazione
volontaria, mentre nell’ipotesi di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa il presupposto
impositivo si realizza esclusivamente nel caso in cui via sia esercizio provvisorio d'impresa. Tale
regola si rende applicabile sia alle procedure concorsuali iniziate successivamente all’entrata in
vigore del D.Lgs. 446/97 sia a quelle in corso a tale data
25.2. Il presupposto oggettivo e la base imponibile
L'Irap si applica sul valore della produzione netta generato dalla attività esercitata nel territorio
della regione. Ciò posto, la regole che presiedono i criteri di determinazione di tale valore variano
in funzione sia della natura giuridica del soggetto passivo considerato che dal tipo di attività dal
medesimo svolta.
Dall’analisi congiunta della normativa vigente, delle circolari ministeriali e dalle istruzioni dettate
dal Ministero delle Finanze per la compilazione dei modelli dichiarativi negli ultimi anni,
nell’ambito delle quali, in particolare, è possibile desumere le procedure tecniche cui deve
attenersi il contribuente per la determinazione della base imponibile.
In particolare, le norme che fissano i cardini della materia sono:
- il D.Lgs. 446/97 istitutivo dell’Irap e successive modifiche, fissa i cardini normativi
dell’imposta e dispone in che modo ed in quale misura si rendano applicabili le norme del
codice civile e quelle del Tuir;
- il codice civile, che indicando con precisione (art. 2425) la classificazione di bilancio
(costi e ricavi), fissa in linea di massima gli elementi attivi e passivi rilevanti ai fini
dell’imposta;
- il Tuir (Dpr. 917/86) che prevede diverse norme in materia di valutazioni ai fini delle
imposte dirette che hanno valenza anche in ambito Irap;
In sostanza, la base imponibile del tributo, è costituita dal valore netto della produzione, cui si
perviene apportando le opportune rettifiche alla base imponibile lorda.
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Ciò posto, si ritiene opportuno descrivere le diverse metodologie di determinazione della base
imponibile Irap in funzione del tipo di soggetto passivo cui afferiscono, poiché sono
sostanzialmente differenti.
Soggetti obbligati alla presentazione del bilancio d’esercizio in forma UE
Le regole che presiedono alla determinazione della base imponibile ai fini dell’Irap per le società
e gli enti di cui all'art. 87, comma 1, lett. a) e b) del Tuir, sono state in parte modificate e
semplificate per effetto dei recenti interventi del legislatore di cui si è fatto cenno in premessa.
In esito in particolare dell’entrata in vigore del decreto legislativo n.506/99, sono stati ridefiniti
alcuni aspetti della determinazione della base imponibile cercando di completare il processo di
omogeneizzazione della base imponibile Irap con quella delle imposte sui redditi2,.
Volendo schematizzare l’iter logico che deve condurre a determinare l’imposta dovuta si ottiene:
1. La base imponibile lorda è data dalla differenza tra valore della produzione (Lettera A del
Conto Economico) e costi della produzione (Lettera B del Conto Economico) escludendo:
• tutte le spese per il personale dipendente (costi contributivi e retributivi e
accantonamenti al TFR);
• le perdite e gli accantonamenti per perdite (e rischi) su crediti;
2. I componenti positivi e negativi di reddito che concorrono alla formazione della base
imponibile lorda (di cui sub 1) devono essere assunti apportando ad essi le variazioni in
aumento ed in diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi fatte salve le eccezioni
previste dagli artt. 11 e 11-bis come espressi dal decreto correttivo 506 in parola e che di
seguito verranno dettagliate.
La base imponibile lorda
In seguito alle modifiche apportate dall’art 1 del D.Lgs 506/99 all’art. 5 D.Lgs. 446/97, il
procedimento di determinazione della base imponibile lorda risulta semplificato rispetto alla
previgente formulazione.
A seguito della citata rivisitazione dell’impianto normativo, la base imponibile delle imprese
industriali, mercantili e di servizi deve essere calcolato sottraendo a tutte le voci del Valore della
produzione ( Voce A del conto economico) tutte le voci del Costo della Produzione (Voce B del
conto economico) esclusi i costi del personale e le perdite su crediti per espressa previsione del
legislatore.
Le modifiche rispetto al passato, è bene sottolinearlo, non sono meramente formali.
Sulla scorta di quanto previsto dalla citata normativa risultano infatti per ora deducibili, nei limiti
di quanto disposto dal TUIR, anche i componenti negativi di reddito, a suo tempo esclusi,
classificabili nelle seguenti voci del conto economico:
B10 lett. c)
B10 lett. d)
B12
B13
"Altre svalutazioni delle immobilizzazioni"
“Svalutazione dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle
disponibilità liquide” 3
“Accantonamento per rischi"
“Altri accantonamenti”;
2
Tale discrasia ha creato i presupposti per la nascita del cosiddetto “terzo binario” di cui si traccia nel prosieguo un
breve profilo.
3
Relativamente alla perdite su crediti, alla svalutazione crediti ed agli accantonamenti per rischi su crediti la relazione ministeriale e le istruzioni alla compilazione
dell’UNICO 2000 precisano che la deducibilità delle perdite su crediti non risulta coerente con la definizione della base imponibile Irap. Le perdite su crediti non
concorrono in nessun modo alla determinazione della base imponibile Irap vuoi se imputate al conto economico in via meramente estimativa attraverso
accantonamenti o svalutazioni dei crediti (voci B10 lett. d) e B 11,) vuoi se ivi realizzate a seguito di realizzi definitivi (voce B14). Secondo l’interpretazione del
Ministero delle Finanze l’indeducibilità Irap si estende oltre alle perdite stimate anche a quelle realizzate.
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Le eccezioni alla regola generale: inclusioni ed esclusioni dalla base imponibile
Definite le voci di bilancio formalmente rilevanti ed irrilevanti ai fini della determinazione della
base imponibile Irap, il legislatore con l’art. 11 del D.Lgs. 446/97 alla luce delle modifiche
introdotte dall’art. art.1 comma 1 lett. h) del decreto 506, dispone una serie di eccezioni, con la
conseguenza che una serie di costi e di ricavi indipendentemente dalla loro classificazione nel
bilancio civilistico, sono sottratti alle disposizioni delle norme generali.
In forza di ciò, sono deducibili ai fini dell’Irap, quindi rilevano nella determinazione della base
imponibile:
1. il 100% dei contributi per le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro
(premi INAIL) per chiunque corrisposti (inclusi i premi corrisposti per i collaboratori
coordinati continuativi previsti a partire dal 2000);
2. il 100% del costo del lavoro relativo agli apprendisti e, come stabilito ai sensi del comma
2 dell’art. 16 della Legge 388/2000 (Legge finanziaria per il 2001), per i disabili; pertanto,
volendosi brevemente soffermare sulla nuova misura introdotta, dal 1° gennaio 2001, tutti i
soggetti d’imposta IRAP (che determinano la base imponibile con il sistema ordinario di cui
all’art.5) datori di lavoro, potranno dedurre della base imponibile assunto per il calcolo
dell’imposta regionale, le retribuzioni, ma anche i contributi il Tfr e gli altri costi specifici
inerenti, sostenuti per i lavoratori disabili in forza; tale norma rappresenta evidentemente un
incentivo all’assunzione di soggetti appartenenti alla particolare categoria professionale in
esito ai sensibili vantaggi fiscali che ne discendono; si spera si amplifichino in tal modo gli
effetti già positivi in tal senso derivanti dagli obblighi di assunzione di cui alle legge 68/99
sempre a favore di tali categorie.
3. il 70% del costo del lavoro relativo ai dipendenti con contratto di formazione lavoro (ad
esclusione dell’INAIL già inclusa al 100% più sopra);
4. i costi per beni e servizi destinati alla generalità dei dipendenti e dei collaboratori;
La risposta ministeriale contenuta al punto 2.1.3 della circolare ministeriale n.98/E del 2000,
chiarisce la deducibilità di tali spese in quanto sostenuti direttamente dall’imprenditore alla
stregua costi inerenti l’attività;
5. le somme erogate ai dipendenti ed ai collaboratori per rimborsi spese con metodo
analitico (ad eccezione delle indennità chilometriche come si evince dall’analisi delle
istruzioni ministeriali alla compilazione dell’Unico 2000);
Sono indeducibili e quindi non rilevano nel calcolo della base imponibile:
1. i costi per il personale classificabili alle voci B9 e B14; trattasi in generale di tutti i costi per
il personale classificati (per natura) alla voce B9) e alla voce B14) ad esclusione di quelli più
sopra specificati come deducibili;
2. le somme corrisposte dal distaccatario al distaccante a titolo di rimborso degli oneri
contributivi e retribuitivi del personale dipendente (congiuntamente i ricavi a tale titolo
del distaccante non rilevano);
3. i costi per compensi corrisposti per prestazioni di lavoro autonomo occasionale;
4. i costi per compensi corrisposti per prestazioni di collaborazione coordinata e
continuativa (inclusi i costi INPS per i contributi a carico del committente versati alla
gestione separata);
5. i compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente;
Nella circolare n.17/E del 17/2/2000, il ministero ha sostenuto che le borse di studio e gli
assegni di ricerca – in qualità di redditi pur assimilati a redditi di lavoro dipendente ma che
sono esenti dal reddito delle persone fisiche – sono esclusi (quindi deducibili) dalla base
impositiva Irap.
6. gli utili spettanti agli associati in partecipazione;
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7. la componente di costo dei canoni di leasing relativa agli interessi passivi (per la
determinazione di tale componente è necessario rispettare le regole di calcolo dettate dal
Ministero delle Finanze con apposito decreto);
Il decreto ministeriale 24 aprile 1998 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 108 del 12
maggio 1998) in attuazione di tale norma ha stabilito le modalità per il calcolo forfetario
della “quota interessi” racchiusa nei canoni di locazione finanziaria; in particolare, tale quota
si ottiene sottraendo, dall'ammontare dei canoni di competenza di ciascun esercizio, la “quota
capitale” degli stessi, risultante dal rapporto tra costo sostenuto dall'impresa concernente,
moltiplicato per il numero dei giorni del periodo d'imposta, e il numero dei giorni di durata
complessiva del contratto.
La circolare n. 141/E del 4 giugno 1998, basandosi sul dato letterale della formula prevista
nel citato decreto ministeriale aveva precisato che, ai fini del suddetto rapporto, il costo
sostenuto dall'impresa concedente avrebbe dovuto assumersi “... al lordo del prezzo di
riscatto contrattuale”.
Tale impostazione è stata poi corretta dallo stesso Ministero delle Finanze che nella citata
circolare 263 del 1998, ha chiarito che, “... per dare corretta e concreta attuazione alla
richiamata disposizione normativa...”, ai fini del calcolo forfetario della quota di interessi
passivi inclusa nel canone, il costo del concedente deve essere assunto al netto del prezzo di
riscatto.
Fatto salvo quanto sopra, il legislatore precisa altresì che concorrono in ogni caso alla
determinazione della base imponibile Irap:
• i proventi e gli oneri classificabili in voci diverse da quelle previste dalla legge ( A Valore
della Produzione e B Costi della Produzione) qualora gli stessi siano correlati a
componenti positivi e negativi del Valore della produzione netta di periodi d’imposta
precedenti o successivi;
• le plusvalenze e le minusvalenze relative a beni strumentali (cfr. C.M. n. 98/E del
17/5/2000, punto 2.1 e C.M. n.101 del 19/5/2000, punto 3.1che ribadiscono la non
rilevanza dei plusvalori da dismissione di beni destinati a finalità estranee all’impresa) non
derivanti da operazioni di trasferimento di azienda indipendentemente dalla loro
classificazione nel conto economico;
• i contributi erogati a norma di legge ad esclusione di quelli correlati a componenti
negativi non ammessi in deduzione (ad es. contributi erogati per agevolare l’assunzione di
nuova forza lavoro)
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Le regole del TUIR e la determinazione della base imponibile Irap
Individuati i componenti positivi e negativi che concorrono alla determinazione della base
imponibile Irap e tenuto conto delle già suesposte eccezioni e deroghe (art.11), l’art. 11 bis del
D.Lgs. 446/97 – introdotto dal decreto 506/99 – fissa i principi di compatibilità della normativa
Irap in relazione alle norme previste dal TUIR.
La regola generale introdotta è la seguente:
“… i componenti positivi e negati di reddito che concorrono alla determinazione della base
imponibile (individuati secondo le regole più sopra richiamate) si assumono apportando ad essi
le variazioni in aumento o in diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi…”
(estratto 1° comma).
Rappresentano un esempio di tale regola le quote di spese di rappresentanza di periodi pregressi
(1/15), le eccedenze di manutenzioni e riparazioni di periodi pregressi deducibili in 5 anni, le
quote di plusvalenze di periodi pregressi per le quali è stato previsto il differimento in 5 anni ecc.
Sono previste tuttavia una serie di particolarità4:
1. i proventi esenti ai fini delle imposte sui redditi (art. 58 TUIR) concorrono comunque alla
determinazione della base imponibile Irap per l’importo risultante dal conto economico;
2. gli interessi passivi che ai fini delle imposte sui redditi, in presenza di ricavi esenti, sono
deducibili in base a pro-rata (art. 63 TUIR), risultano comunque integralmente indeducibili ai
fini dell’Irap;
3. le spese e gli altri componenti negativi che ai fini delle imposte sui redditi sono deducibili se
e nella misura in cui siano correlati a beni o attività da cui derivano ricavi tassati (art. 75
comma 5 e 5 bis TUIR), risultano comunque integralmente deducibili ai fini dell’Irap;
4. l’Imposta Comunale sugli immobili (ICI) indeducibile ai fini delle imposte sui redditi
risulta viceversa deducibile ai fini dell’Irap;
5. le erogazioni liberali deducibili ai fini delle imposte sui redditi (art. 65 comma 2 TUIR)
risultano indeducibili ai fini dell’Irap;
6. i ricavi corrispondenti al valore normale dei beni-merce destinati al consumo personale
dell’imprenditore, assegnati ai soci o più in generale destinati a finalità estranee all’esercizio
d’impresa ancorché non rilevati in contabilità risultano imponibili sia ai fini delle imposte sui
redditi (art. 53, comma 2) sia ai fini dell’Irap;
7. le plusvalenze corrispondenti al valore normale dei beni strumentali destinati al consumo
personale dell’imprenditore, assegnati ai soci o più in generale destinati a finalità estranee
all’esercizio d’impresa ancorché non rilevati in contabilità risultano imponibili sia ai fini delle
imposte sui redditi (art. 54 comma 1) sia ai fini dell’Irap;
8. i componenti di reddito derivanti da rapporti infra-gruppo con società non residenti nel
territorio dello Stato (di cui all’art. 76 comma 5) sono valutati in base al valore normale de
beni ceduti e dei servizi prestati se ne deriva un aumento del reddito ciò vale sia ai fini delle
imposte sui redditi sia ai fini dell’Irap.
La determinazione della base imponibile
Quanto sin qui descritto riassume alcuni fra gli aspetti più significativi del disposto normativo di
cui al decreto 506/99 e cioè quelli inerenti il nuovo sistema di calcolo della base imponibile Irap.
4
Cfr. art. 11-bis del decreto 466/97 “ 1. I componenti positivi e negativi che concorrono alla formazione del valore della produzione, così come determinati ai sensi
degli articoli 5, 6, 7, 8 e 11, si assumono apportando ad essi le variazioni in aumento o in diminuzione previste ai fini delle imposte sui redditi. Tuttavia, non si
applicano le disposizioni degli articoli 58, 63, e 75, commi 5, seconda parte, e 5 bis, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e dell'articolo 17,comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504. Le erogazioni liberali, comprese quelle
previste dall'articolo 65, comma 2, del predetto Testo unico delle imposte sui redditi, non sono ammesse in deduzione.
2. Ai componenti indicati nel comma 1 vanno aggiunti i ricavi, le plusvalenze e gli altri componenti positivi di cui agli articoli 53, comma 2, 54, comma 1, lettera d),
e 76, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917
.
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Sulla base della relazione di accompagnamento al decreto e ancor di più della circolare
esplicativa dello stesso di più recente emanazione (circolare ministeriale n.148/E del 26/7/2000)
appare opportuno chiarire alcuni concetti che hanno acquisito
rilevanza con l’entrata in vigore del decreto in parola.
Innanzitutto, la nuova versione dell’art. 11 comma 4 stabilisce che i componenti positivi e
negativi, indipendentemente dalla loro collocazione nel conto economico, sono accertati in
ragione della loro classificazione.
Alla lettera, e suscitando non poche perplessità, sembra palese la rinuncia esplicita a quanto
contenuto nei principi contabili dei ragionieri e dei dottori commercialisti ai fini della corretta
classificazione delle voci.
La circolare 148/E attenua, se vogliamo, la portata della norma asserendo semplicemente che il
disposto normativo va interpretato semplicemente come “… un riferimento più mediato ai
principi della corretta contabilità…” che sono ora desumibili oltre che dalle elaborazioni della
dottrina (leggi principi contabili) anche dal codice civile, dalla normativa comunitaria e dalle
interpretazioni delle giurisprudenza, a tutto vantaggio della flessibilità e, in ultima analisi, del
contribuente che può trovare riscontri su ogni specifico caso.
Altro elemento di rilievo e di notevole innovatività è rappresentato dal disposto normativo di cui
al comma 3 del medesimo art. 11 quando si ripropone in maniera sicuramente più enfatizzata il
principio di correlazione, di per sé già insito nella disciplina Irap.
Come detto, la base imponibile Irap è formata da un elenco tassativo di voci del conto economico
al netto di una serie di componenti positive e negative di cui ai citati artt. 5, 6 e 7.
La norma a questo punto prevede però che assumono altresì rilevanza anche le voci di conto
economico che risultano correlati a componenti positive o negative che in periodi precedenti o
successivi concorreranno alla formazione del valore della produzione netta.
La circolare in parola, come del resto la relazione ministeriale di accompagnamento, hanno in
questo caso rafforzato questa interpretazione, ribadendo tuttavia che sono comunque da
considerare esclusi dalla base imponibile elementi estranei alla produzione quali sconti, resi, ecc..
Proseguendo nella disamina delle novità inerenti la determinazione della base imponibile, non ci
si può esimere dall’analisi del contenuto dell’ultimo periodo del citato comma 3 dell’art. 11
allorché si indicano i criteri di imputazione dei contributi.
Il disposto normativo in parola recita che “… i contributi erogati a norma di legge con esclusione
di quelli correlati a componenti negativi non ammessi in deduzione…”.
La circolare 148/E, in proposito, precisa che per configurarsi la correlazione tra contributo e
componente negativo, deve sussistere una relazione forte tra i due elementi; in altri termini la
somma deve essere erogata specificatamente per spesare il componente negativo in questione.
Ciò stante, non sono rilevanti i contributi che solo indirettamente risultano parametrati a
componenti negativi non rilevanti.
Nel momento in cui un contributo assume rilevanza e concorre alla determinazione della base
imponibile in esito alle regole su esposte, ai fini del computo si seguono le regole del Tuir; come
a dire che:
- i contributi in conto esercizio rilevano per competenza ex art. 53;
- sul tema si riporta il contenuto della risoluzione ministeriale n.8/E del 28/1/2000,
nella quale il ministero ha espresso il proprio parere in merito al trattamento da
riservare ai fini Irap ai contributi in parola; in particolare si conferma la generale
assoggettabilità dei contributi in conto esercizio ad eccezione di quelli che seppur
classificati in una voce di conto economico rilevante ai fini dell’imposta, sono
correlati a componenti negativi che non sono ammessi in deduzione ai fini
dell’imposta stessa.
- Si ritiene pertanto necessario che la legge istitutiva del contributo preveda
espressamente la destinazione e la finalità precisa dell’erogazione affinché non
sorgano dubbi in sede di dichiarazione Irap;
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-
quelli in conto capitale lo fanno invece per cassa ed eventualmente in cinque esercizi
(art.55 comma 3 lett. b));
i contributi in conto impianti, infine, in esito alla medesima norma, “…partecipano
indirettamente alla determinazione della base imponibile Irap, attraverso la deduzione di
minori quote di ammortamento, calcolate sul costo di acquisizione al netto del
contributo…”.
Infine si ritiene opportuno rappresentare la disciplina prevista per il transfer price anche essa in
parte ridefinita.
Con riferimento a tali operazioni, il nuovo art. 11-bis ha ripreso l’orientamento palesato nella
circolare ministeriale n.141/E del 4 giugno 1998 confermando la loro rilevanza ai fini
dell’imposta secondo i criteri di determinazioni previsti dall’art.76 comma 5 del Tuir.
Di nuovo c’è da indicare, come chiarito dalla circolare 148/E del 26 luglio scorso, che, qualora il
corrispettivo dei beni ceduti (o servizi prestati) dall’impresa residente verso la controllata non
residente, sia inferiore al relativo valore normale ovvero il valore normale dei beni e servizi
ricevuti lo sia rispetto al costo di acquisizione, in sede di dichiarazione Irap, si dovrà operare una
variazione in aumento della base imponibile pari alla differenza.
Quello che la circolare non ha chiarito è il motivo per cui nel caso inverso in cui emerga una
differenza di segno opposto, non si debbano operare variazioni in diminuzione della base
imponibile.
Il c.d. “terzo binario”
Il problema del “terzo binario” deriva dal fatto che, i valori rilevanti ai fini dell’Irap, si determina
in maniera difforme sia da quelli contabili sia da quelli significativi ai fini delle imposte sui
redditi.
In particolare le previgenti versioni dei commi 1 e 2 dell’art. 5 del D.lgs. 446/97 stabilivano che
la determinazione della base imponibile scaturisse dalla somma algebrica delle voci A1, A2, A3,
A4, A5 dal alto dei ricavi, e di quelle B6, B7, B8, B10a, B10b, B11 e B14 al netto delle perdite su
crediti, dal lato dei costi.
Il legislatore, all’art. 11 comma 1, chiariva che tali importi dovevano essere assunti ai sensi delle
norme fiscali desumibili dal Tuir, salvo poi, nelle istruzioni ministeriali impartire per la
compilazione della dichiarazione disposizioni che determinava di fatto l’esistenza di un terzo
binario.
Si prevedeva infatti che:
− le componenti di base Irap, non imputate a conto economico, rilevano secondo le regole del
Tuir (es. ammortamenti anticipati);
− le componenti che interessano in conto economico ma non rilevano ai fini Irpeg, si computano
applicando i risconti contabili ( es. proventi ex art.58 Tuir – proventi da cespiti che fruiscono
dell’esenzione di imposta);
− i valori rilevanti ai fini dell’imposizione sul reddito che però non trovavano classificazione nel
conto economico finivano con il non assumere rilievo ai fini della produzione assoggettabile
ad Irap.
Come sopra accennato, le modifiche introdotte dal D.lgs. N.506/99 mirano ad ottenere
un’omogeneizzazione della base imponibile dell’Irap con quella delle imposte sui redditi iniziato
con il Dlgs.176/99.
Purtroppo la prassi operativa, insegna che tale risultato non è stato ancora raggiunto.
Nonostante gli sforzi del legislatore, il calcolo dell’Irap dovuta necessita di valutazioni differenti
rispetto a quanto operato ai fini civilistici e delle imposte dirette.
Si ritiene che ad oggi si possa affermare che l’esistenza e la rilevanza del cosiddetto “terzo
binario” sia ancora attuale.
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25.3. Soggetti (imprenditori e società personali) non tenuti alla redazione del bilancio d’esercizio
in forma UE
Le società in nome collettivo e in accomandita semplice, quelle ad esse equiparate (società di
armamento, società di fatto …) e gli imprenditori individuali, pur non essendo obbligati alla
redazione del bilancio nelle forme civilisticamente prescritte, non si discostano ai fini Irap dalle
regole su indicate.
Il valore della produzione netta per tali soggetti è determinato, adottando le medesime regole
previste per i soggetti obbligati alla redazione del bilancio d’esercizio. In altri termini tali soggetti
non tenuti alla redazione del bilancio con riferimento al modello di cui all'art. 2425 del codice
civile è consentito redigere lo schema di conto economico secondo modelli differenti, dovranno,
in sede di compilazione nella dichiarazione Irap, provvedere a riclassificare i componenti di conto
economico secondo lo schema disciplinato dall'art. 2425 del codice civile.
Questa disposizione è stata peraltro confermata dal ministero al punto 3.2 della circolare n.101
del 19/5/2000.
25.4. Soggetti esercenti attività professionale in forma individuale o associata
Un caso particolare è rappresentato dai soggetti esercenti attività professionale in forma
individuale o associata.
Per i soggetti esercenti arti e professioni in forma individuale o associata la base imponibile è
determinata dalla differenza tra i compensi percepiti e l’ammontare dei costi sostenuti (principio
di cassa equivalente a quello dettato dal TUIR ai fini delle imposte sui redditi) compreso
l’ammortamento dei beni materiali e immateriali, esclusi gli interessi passivi e le spese per il
personale dipendente.
25.5. Banche e altri enti e società finanziarie
Oltre alle regole valevoli per i soggetti obbligati alla redazione del bilancio, particolari
disposizioni sono dettate dall'art. 6 del D.Lgs. 446/97 per la determinazione del valore della
produzione netta da parte di soggetti passivi Irap quali le banche e gli enti o società finanziarie.
Per essi la base imponibile Irap è rappresentata da:
- la somma degli interessi attivi e proventi assimilati, dei proventi di quote di partecipazione
ai fondi comuni di investimento, delle commissioni attive, dei profitti da operazioni
finanziarie, delle riprese di valore su crediti verso la clientela, degli altri proventi di
gestione;
e
- la somma delle degli interessi passivi e oneri assimilati, delle commissioni passive e delle
perdite da operazioni finanziarie, delle spese amministrative diverse da quelle inerenti al
personale dipendente, degli ammortamenti, delle rettifiche di valore su crediti alla
clientela comprese quelle su crediti impliciti relativi ad operazioni di locazione
finanziaria, nonché degli accantonamenti per rischi su crediti, compresi quelli per interessi
di mora*, degli altri oneri di gestione.
La novità rilevante per tali soggetti intervenuta con l’entrata in vigore del decreto 506/99 in
parola, è costituta dall’inserimento, quale componente deducibile ai fini dell’Irap degli
accantonamenti per rischi su crediti inclusi quelli relativi ad interessi di mora.
Per i soggetti che svolgono, in via esclusiva o prevalente, attività di assunzione di partecipazioni
in società esercenti attività diversa da quella creditizia o finanziaria la base imponibile si
determina sommando algebricamente al valore della produzione netta determinato con le modalità
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esposte per le società ed enti obbligati alla presentazione del bilancio in forma UE, i seguenti
componenti:
1) proventi finanziari, esclusi quelli da partecipazione;
2) profitti derivanti dal realizzo di attività finanziarie non immobilizzate;
3) i proventi derivanti dalle rivalutazioni di attività finanziarie che non costituiscono
immobilizzazioni;
4) gli oneri finanziari;
5) le perdite derivanti dal realizzo di attività non immobilizzate;
6) le svalutazioni di attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni.
25.6. Altri soggetti passivi d’imposta
Analizziamo ora in sintesi i diversi criteri di determinazione della base imponibile Irap, cui
devono sottostare altre forme societarie operanti nel settore finanziario e non, anche alla luce
delle novità in commento.
Società di intermediazione mobiliare
Con riferimento alle società di intermediazione mobiliare non fanno parte dei componenti della
base imponibile:
1) i profitti e le perdite connesse a riprese e rettifiche di valore su crediti alla clientela;
2) i profitti e le perdite da operazioni finanziarie ed i proventi di quote di partecipazione a fondi
comuni di investimento;
3) gli interessi attivi e passivi ed i proventi e gli oneri assimilati rispettivamente agli interessi
attivi e proventi assimilati ed agli interessi passivi e oneri assimilati (art. 6, comma 1, lettere a) e
g) del D.Lgs. 446/97), rilevano limitatamente a quelli relativi a operazioni di riporto e di pronti
contro termine.
Quanto detto non trova applicazione nei confronti delle società che svolgono attività di
negoziazione per conto proprio e di collocamento di valori mobiliari con assunzione di garanzia
per le quali non rilevano soltanto le riprese e le rettifiche di valore su crediti alla clientela.
Gestione fondi comuni
Per le società di gestione di fondi comuni di investimento si comprendono tra i componenti della
base imponibile soltanto le commissioni attive e passive, gli altri proventi e oneri di gestione, le
spese amministrative e gli ammortamenti di cui alle lettere c) e h), f) e o), l) e m) del comma 1
dell’articolo 6 del D.Lgs. 446/97.
Società di investimento a capitale variabile
Le società di investimento a capitale variabile determinano la base imponibile calcolando la
differenza tra:
- la somma delle commissioni di sottoscrizione;
- la somma delle provvigioni passive a soggetti collocatori, delle spese per consulenza e
pubblicità, dei canoni di locazione immobili, dei costi per servizi di elaborazione dati, delle spese
amministrative diverse da quelle inerenti al personale dipendente e degli ammortamenti dei beni
materiali e immateriali.
Banca d’Italia e Ufficio italiano cambi
Per la Banca d’Italia e per l’Ufficio Italiano Cambi la base imponibile è determinata con gli stessi
criteri indicati per le banche e gli altri enti e società finanziarie (art. 6 comma 1 Dlgs n. 446/97).
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Assicurazioni
Per le imprese di assicurazioni la base imponibile Irap (art. 7 del D.Lgs. 446/97) è data dalla
differenza tra:
- l’ammontare complessivo dei premi, degli altri proventi tecnici, dei proventi derivanti da
investimenti in terreni e fabbricati, da altri investimenti che non siano azioni o quote e da
riprese di rettifiche di valore su investimenti non durevoli nonché da profitti sul realizzo di
investimenti mobiliari non durevoli,
e
- l’ammontare complessivo delle provvigioni, comprese quelle di incasso e quelle di
acquisizione, degli oneri relativi a sinistri (comprese le spese di liquidazione), delle
perdite su realizzo di investimenti mobiliari non durevoli, delle variazioni delle riserve
tecniche obbligatorie, dei ristorni e partecipazioni agli utili e degli altri oneri tecnici, degli
oneri di gestione degli investimenti, delle rettifiche di valore su investimenti non durevoli,
degli ammortamenti, delle altre spese amministrative.
I componenti positivi e negativi per il calcolo della base imponibile si considerano con
riferimento agli importi di competenza dell’esercizio, al netto delle cessioni di riassicurazione e
con esclusione di qualsiasi spesa relativa al personale dipendente.
Sono inoltre deducibili gli interessi passivi classificabili per tali imprese nei conti II.9.a) dei rami
vita e III. 5.a) del conto non tecnico, disciplinati dal Dlgs n. 173/97 sulla redazione del bilancio
delle imprese di assicurazione.
Enti privati non commerciali diversi dalle società (nuova lettera e del comma 1 dell’art.3 del
decreto 466/97)
Gli enti privati non commerciali diversi dalle società ed in ogni caso i consorzi di garanzia
collettiva fidi di primo e di secondo grado determinano la base imponibile secondo le seguenti
regole dettate dall’art. 10 del D.Lgs. 446/97 e in maniera differente in funzione del tipo di attività
svolta:
- I soggetti che esercitano esclusivamente attività non commerciale calcolano la base
imponibile come la somma delle retribuzioni e compensi spettanti al personale dipendente
e ai collaboratori coordinati e continuativi (art. 49, comma 2, lett. a del TUIR), dei redditi
assimilati a quelli di lavoro dipendente e dei compensi derivati da attività di lavoro
autonomo non esercitate abitualmente (esempio: collaboratori occasionali). Sono in ogni
caso escluse dalla base imponibile le remunerazioni dei sacerdoti, nonché le borse di
studio e simili corrisposte sino al 31/12/99.
- I soggetti che esercitano in via prevalente attività non commerciale alla quale è associata
anche un’attività commerciale calcolano la base imponibile, relativamente alle attività
commerciali svolte, secondo le regole ordinarie previste dall’art. 5 D.Lgs. 446/97 in base a
pro-rata determinato secondo le regole dettate dall’ultimo comma dell’art. 10.
Enti e società non residenti nel territorio dello Stato
Le società e gli enti non residenti nel territorio dello Stato, fatta salva la sussistenza del requisito
della territorialità, determinano la base imponibile Irap secondo le regole ordinariamente previste
per i soggetti residenti. Ne consegue che le società e gli enti commerciali non residenti
determinano la base imponibile del tributo in parola nel rispetto di quanto disposto dagli articoli
5, 6 e 7 del D.Lgs. 446/97 mentre le associazioni e le società esercenti arti e professioni secondo i
criteri dettati dall’art. 8 del citato decreto.
Organi ed Amministrazioni dello Stato e soggetti equiparati (lettera e-bis del comma 1 dell’art.3
del decreto 466/97)
A seguito delle modifiche all’impianto normativo apportate con il D.Lgs. 30/12/1999 n. 506 il
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legislatore ha aggiunto all’impianto normativo del D.Lgs.446/97 il nuovo art. 10-bis dedicato
esclusivamente ai criteri di determinazione della base imponibile Irap degli organi e delle
amministrazioni dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni, dei consorzi tra enti locali,
delle associazioni e degli enti gestori di demani collettivi, delle comunità montane ecc..
Si segnala in particolare l’esistenza di alcuni criteri alternativi ai fini della determinazione della
base imponibile in funzione della tipologia di attività esercitata:
- Per i soggetti che esercitano esclusivamente attività non commerciale la base imponibile
è data dalla somma: delle retribuzioni e compensi spettanti al personale dipendente e ai
collaboratori coordinati e continuativi (art. 49, comma 2, lett. a del TUIR), dei redditi
assimilati a quelli di lavoro dipendente (ad esclusione delle borse di studio e simili
corrisposte sino al 31/12/99) e dei compensi derivati da attività di lavoro autonomo non
esercitate abitualmente (esempio: collaboratori occasionali).
-
Per i soggetti che si qualificano come enti commerciali ai fini delle imposte sui redditi che
esercitano in via esclusiva o principale attività commerciali la base imponibile è
determinata applicando le regole ordinarie applicate alle imprese commerciali già più
sopra analizzate.
-
Per i soggetti che esercitano in via prevalente attività non commerciale alla quale è
associata anche un’attività commerciale la base imponibile di tali soggetti, relativamente
alle attività commerciali svolte, può essere determinata secondo le regole ordinarie
previste dall’art. 5 D.Lgs. 446/97 in base a pro-rata determinato secondo le regole dettate
dall’ultimo comma dell’art. 10-bis.
La circolare del ministero del tesoro n. 11 del 6/3/2000, illustra le modalità di discriminazione
delle attività commerciali dalle non commerciali, fondamentale per il sistema di applicazione
dell’Irap applicabile.
“… si considerano commerciali quelle attività che rilevano ai fini dell’imposta sui redditi, ovvero
per i soggetti (…) esclusi da tale imposta, quelle rilevanti ai fini Iva…”.
25.7. Le aliquote IRAP
L’imposta è determinata, secondo quanto disposto dall’art. 16 DPR 446/97, applicando al valore
della produzione netta l’aliquota del 4,25%. Tale misura dell’imposta trova applicazione nei
confronti delle imprese, dei professionisti, degli enti non commerciali, dello Stato e
dell'amministrazione pubblica con le seguenti eccezioni:
-
soggetti che operano nel settore agricolo e per le cooperative della piccola pesca e loro
consorzi
Banche, altri enti e società finanziarie, imprese di assicurazione
Organi e Amministrazioni dello Stato, i comuni, le province
25.8. Trattamento fiscale ai fini irap di alcuni componenti positivi e negativi di reddito di
impresa commerciale
1) (art. 5 D.Lgs. 446/97) - La base imponibile IRAP è determinata dalla differenza tra Valore
della produzione (lettera A)) e Costi della produzione ( lettera B)) del conto economico
escludendo dalla lettera B) i seguenti componenti di costo:
• spese per il personale dipendente;
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• perdite su crediti;
• accantonamenti al fondo (svalutazione/rischi su) crediti.
2) (art. 11 e 11bis D.Lgs. 446/97) - I componenti positivi e negativi che concorrono alla
formazione della base imponibile di cui sub 1) si assumono apportando ad essi le variazioni in
aumento ed in diminuzione previsti ai fini delle imposte sui redditi salvo le eccezioni previste
dagli artt. 11 e 11-bis come meglio precisato di seguito:
A1(RQ1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni
Tipologia di conto
trattamento ai riferimenti normativi e C.M.
fini IRAP
Ricavi eventualmente evidenziati non imponibili
in sede di dichiarazione dei (extraredditi ai fini dell’adeguamento contabilmente)
dei parametri art. 3, comma 126
L. 662/96)
La componente in oggetto non
transita in contabilità e non rientra
nelle eccezioni di cui all’art. 11 e
11bis D.Lgs 446/97 novellato -
Assegnazione ai soci, auto- imponibili
consumo, destinazione a finalità
estranee
all’esercizio
dell’impresa
Concorrono alla determinazione della
base imponibile IRAP ai sensi
dell’art. 11 bis
D.Lgs 446/97
novellato -
Transfer pricing – differenza imponibili
positiva tra valore normale del
bene ceduto/servizio prestato ed
il valore contabilizzato -
Concorrono alla determinazione della
base imponibile IRAP ai sensi
dell’art. 11 bis
D.Lgs 446/97
novellato (C.M. 148/E del 26/7/2000)
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A5(RQ5) Altri Ricavi
Tipologia di conto
trattamento ai riferimenti normativi e C.M.
fini IRAP
Proventi da immobili NON imponibili
strumentali locati o affittati (rendita
(canoni, affitti ecc.)
catastale)
La componente in oggetto, transitando
in contabilità è soggetta a tassazione
secondo le regole previste per le
imposte sui redditi - C.M.141/E del
4/6/98
Proventi da immobili NON non imponibili
strumentali non locati o sfitti (extra(rendita catastale extra-contabile) contabilmente)
La componente reddituale costituita
dalla rendita catastale non transitando
in contabilità non è oggetto di ripresa a
tassazione ai fini dell’IRAP C.M.141/E del 4/6/98
Plusvalenze da realizzo di beni
strumentali anche se costituenti imponibili
componenti straordinari della
gestione (ad esclusione della
cessione di aziende)
Tale tipo di trattamento, come chiarito
dalla C.M. 141/E del 4/6/98 si applica a
tutte le plusvalenze realizzate a seguito
di: cessione a titolo oneroso,
risarcimento assicurativo per perdita o
danneggiamento, destinazione a finalità
estranee all’impresa
Contributi in conto esercizio
imponibili
Quota
di
competenza imponibili
dell’esercizio dei contributi in
conto capitale commisurati al
costo delle immobilizzazioni
materiali
Proventi esenti ai fini delle imponibili
II.DD.
Sono considerati imponibili ai fini
IRAP i contributi erogati a norma di
legge ad eccezione di quelli correlati a
componenti non deducibili ai fini della
medesima imposta Art. 11, comma 3,
D.Lgs 446/97 novellato –(C.M. 148/E)
Si veda quanto più sopra esposto ed in
particolare quanto specificato. dalla
C.M. 141/E del 4/6/98 e dalla 148/E del
26/7/2000
Tali proventi (previsti dall’art. 58
TUIR) concorrono alla determinazione
della base imponibile IRAP per
l’importo
risultante
dal
conto
economico - Art. 11bis, comma 1,
D.Lgs 446/97 novellato -
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Sopravvenienze attive generate non imponibili
dall’adeguamento del fondo
rischi su crediti al 5% del monte
crediti non garantiti
La norma risulta essere “simmetrica” a
quanto previsto in premessa: non ho
dedotto gli accantonamenti al fondo nel
periodo d’imposta in cui sono stati
stanziati, conseguentemente l’eventuale
eccedenza “stornata” non concorre alla
base imponibile – CM 141/E del 1998
Recupero di oneri di personale non imponibili
distaccato presso terzi
Gli importi spettanti a titolo di recupero
di oneri di personale distaccato presso
terzi non concorrono alla formazione
della base imponibile - Art. 11, comma
2, D.Lgs 446/97 novellato e C.M.
189/99
B7(RQ7) Costi per servizi
Tipologia di conto
Indennità forfetarie di trasferta
trattamento ai riferimenti normativi e C.M.
fini IRAP
non deducibili
L’indeducibilità dei rimborsi spese di
tipo forfetario si desume da quanto
disposto dalla C.M.141/E del 4/6/98 e
da una lettura “a contrario” dell’art. 11,
comma 2, D.Lgs. 446/97
Accantonamenti per Indennità deducibili
cessazione dei rapporti di agenzia
La deducibilità di tale componente di
costo è disposta dagli art. 5 e 11bis co.
1 del D.Lgs. 446/97 novellato
Rimborsi spese analitici
dipendenti (piè di lista)
La deducibilità di tale componente di
costo è disposta dall’art. 11, comma 2,
del D.Lgs. 446/97
ai deducibili
Rimborsi
per
indennità non deducibili
chilometrica per uso auto di
proprietà del dipendente
La deducibilità di tali componenti di
costo è preclusa in ragione di quanto
precisato dalla C.M: 141/E del 1998
Costi e spese relativi ad immobili non deducibili
NON strumentali non locati o
sfitti
I costi relativi agli immobili non
strumentali non locati non concorrono
alla
determinazione
della
base
imponibile IRAP – C.M. 141/98 -
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Compensi
a
collaboratori non deducibili
coordinati
e
continuativi,
amministratori e sindaci (non
soggetti ad IVA)
non deducibili
L’indeducibilità IRAP dei compensi
corrisposti
ad
Amministratori,
collaboratori occasionali, e coordinati
continuativi ( e relativi contributi INPS
a carico dell’impresa) è prevista alla
lett. b), punti 1) e 2) Art. 11, D.LGs.
446/97 novellato e dalla C.M. 141/E
del 4/6/98
Si veda quanto più sopra richiamato
Quota a carico impresa contributo
INPS 10/13%
Compensi
occasionali
a
collaboratori non deducibili
Sono considerati imponibili ai fini
IRAP i contributi erogati a norma di
legge ad eccezione di quelli correlati a
componenti non deducibili ai fini della
medesima imposta Art. 11, comma 3,
D.Lgs 446/97 novellato -
non deducibili
(rimborso
Costi per il personale prestato da retribuzioni/con
società di lavoro interinale
tributi)
La componente di costo costituita dal
rimborso retributivo/contributivo alla
società di lavoro interinale è
considerata alla stregua del lavoro
dipendente ed è quindi indeducibile ai
fini IRAP; la componente di profitto
deducibili
(soggetta ad IVA) è invece componente
(compenso
della
società deducibile in quanto corrispettivo di
concedente)
una prestazione di servizi - C.M. 263/E
del 1998
Costi per il personale distaccato non deducibili
presso l’impresa e dipendente da
altre imprese
La componente di costo costituita dal
rimborso retributivo/contributivo alla
società distaccante è considerata alla
stregua del lavoro dipendente ed è
quindi indeducibile ai fini IRAP - Art.
11, comma 2, D.Lgs. 446/97 novellato.
B8(RQ8) Costi per il godimento di beni di terzi
Tipologia di conto
trattamento ai riferimenti normativi e C.M.
fini IRAP
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Come specificato dal punto 6), comma
non deducibili 1, dell’art. 11 del D.Lgs. 446/97
(interessi)
novellato la deducibilità è prevista per
la sola parte relativa al costo capitale
Canoni
per
la
locazione
nei limiti dei criteri di competenza.
finanziaria di immobili, impianti,
Ai fini della individuazione della
macchinari ed autoveicoli (quota deducibili
componente interessi e della quota
capitale ed interessi)
(capitale)
capitale soccorrono le istruzioni
ministeriali che forniscono un’utile
formula matematica. Il Ministero delle
Finanze ha precisato che il costo
sostenuto dal concedente deve essere
considerato al netto del prezzo di
riscatto dell’utilizzatore.
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B14(RQ14) Oneri diversi di gestione
Tipologia di conto
trattamento ai riferimenti normativi e C.M.
fini IRAP
Sopravvenienze passive correlate indeducibili
a componenti di conto economico
NON rilevanti ai fini IRAP
Sono irrilevanti ai fini IRAP tutti i
componenti positivi o negativi se
correlati a componenti positivi o
negativi
che
NON
parteciparono/parteciperanno
alla
determinazione del valore della
produzione di periodi d’imposta
precedenti o successivi - Art. 11,
comma 3, D.Lgs. 446/97 e C.M.
n.148/E del 26/7/2000.
Sopravvenienze passive correlate deducibili
a componenti di conto economico
rilevanti ai fini IRAP
Sono rilevanti ai fini IRAP tutti i
componenti positivi o negativi se
correlati a componenti positivi o
negativi del valore della produzione di
periodi d’imposta precedenti o
successivi - Art. 11, comma 3, D.Lgs.
446/97 e C.M. n.148/E del 26/7/2000.
Perdite su crediti
Si veda quanto esposto in premessa, le
perdite su crediti sia di natura certa che
di natura previsionale sono sempre
indeducibili ai fini dell’Irap
Imposta
Comunale
Immobili (ICI)
Liberalità
non deducibili
sugli deducibili
non deducibili
La deducibilità di tali componenti di
costo è prevista esplicitamente dal
nuovo testo di legge.
L’indeducibilità IRAP dei compensi
corrisposti a titolo di liberalità è
stabilito dall’Art. 11bis, comma 2,
D.Lgs. 446/97 novellato
3) Dalla base imponibile determinata nel rispetto dei punti sub 1) e sub 2) occorre dedurre:
• i contributi per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) (tutti i premi
pagati e competenziati);
• le spese per apprendisti e disabili (considerando il termine “spese” onnicomprensivo dei
costi sostenuti per tale categoria);
• il 70% delle spese per personale con contratto di formazione lavoro;
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•
le deduzioni forfetarie previste dalla legge finanziaria 2001 (art.16) di cui si è detto.
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I.D.26. ICI
26.1. Definizioni: fabbricati, aree fabbricabili e terreni
1.1 Disciplina generale
Il presupposto dell'imposta comunale sugli immobili è il possesso a titolo di proprietà o di altro
diritto reale di:
• fabbricati
• aree fabbricabili
• di terreni agricoli
se situati nel territorio dello Stato e indipendentemente dall’uso a cui sono destinati. Sono da
assoggettare ad imposta quindi anche gli immobili strumentali o quelli alla cui produzione o
scambio diretta l'attività dell'impresa.
Per quanto concerne le definizioni è lo stesso D.Lgs. 504/92 che le fornisce:
• fabbricato: unità immobiliare iscritta o che deve essere iscritta nel catasto edilizio urbano, cui
sia stata attribuita o sia attribuibile un’autonoma rendita catastale. Si comprende nel
fabbricato l'area occupata dalla costruzione e le eventuali pertinenze quali aiuole, giardini,
ecc. (si veda la sentenza 7905 della Corte di cassazione del 15 aprile 2005);
• area fabbricabile: area che può essere edificata in base a piani regolatori o ad altri strumenti
urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle effettive possibilità di edificazione
determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennità di espropriazione per pubblica
utilità. Non sono considerati fabbricabili i terreni, di proprietà di coltivatori diretti o di
imprenditori agricoli a titolo principale, i quali siano dagli stessi proprietari condotti e sui
quali persista l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla
coltivazione del fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura e all'allevamento degli animali. I
regolamenti comunali possono aver introdotto ulteriori requisiti al fine di riconoscere
l’esistenza di tale situazione;
• terreno agricolo: il terreno adibito all'esercizio di attività dirette alla coltivazione del fondo,
alla silvicoltura, alla funghicoltura ed all'allevamento di animali, come previsto dall'art. 2135
del codice civile. Nella c.m. 9 del 14 giugno 1993 sono indicati i comuni nel territorio dei
quali i terreni agricoli sono esenti dall’ici ai sensi dell’art. 7 del Dlgs 504/92. Sono assimilate
ai terreni agricoli le costruzioni rurali e le loro pertinenze destinate ad attività agriturustiche
(L. 9/94 art. 17, c.3).
Non scontano imposta almeno in linea di principio i fabbricati rurali in quanto il loro valore
catastale è compreso nel reddito dominicale del terreno .
Ma è da notare come il riconoscimento della ruralità glie stessi devono rispettare tutte le
condizioni previste dall’art. 9 del dl 557/93.
Le condizioni per pagare l’ICI
1
Gli immobili e i terreni, per essere soggetti a tassazione, devono essere
situati nel territorio dello Stato.
2
Gli immobili sono colpiti dall'imposta indipendentemente dall'uso cui
sono destinati; infatti, l'obbligo di liquidare l'Ici sorge anche nei confronti
dei soggetti che possiedono fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli
che sono strumentali all'esercizio di attività d'impresa, di arti o professioni o destinati alla vendita, cioè utilizzati come normale merce di
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scambio.
3
L’imposta è in ogni caso dovuta anche per gli immobili costruiti
abusivamente a nulla influendo sul pagamento dell’imposta la regolarità
amministrativa della costruzione (r.m. 2/138/c del 6 giugno 1994).
4
Nel caso di immobile ad utilizzazione promiscua (la casa-studio del
professionista) ai fini Ici occorre sempre far riferimento alle
caratteristiche catastali dell’immobile e non alla sua destinazione
1.2 Fabbricati: casi particolari
Fabbricati in costruzione
Per i fabbricati in costruzione l’imposta si renda dovuta a partire dalla data di ultimazione dei
lavori di costruzione. In questa ipotesi dunque l’imposta sarà dovuta:
• fino a quando il fabbricato non è costruito sul valore dell’area da considerare in ogni caso
fabbricabile (anche in mancanza di tale requisito): il valore del fabbricato in costruzione fino
all’ultimazione dei lavori non assume rilevanza;
• dopo l’ultimazione dei lavori sul valore dell’immobile;
nel caso in cui il fabbricato anche se non ultimato inizia ad essere utilizzato sarà da questo
momento che bisognerà iniziare a pagare l’imposta sullo stesso e non sull’area.
La demolizione dei fabbricati
Regole contrarie sono invece da applicare alle ipotesi di demolizione del fabbricato.
E’ bene subito precisare che l’ipotesi della demolizione è parificata alla ricostruzione e ai casi di
recupero edilizio di cui alla legge 457/78 art. 31, 1 comma, lett. c), d) ed e) che ricordiamo sono:
c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare
l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme
sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e
strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi
compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il
rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi
accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli
elementi estranei all'organismo edilizio;
d) interventi di ristrutturazione edilizia, quelli rivolti a trasformare gli organismi
edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi
comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi
dell'edificio, la eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed
impianti;
e) interventi di ristrutturazione urbanistica, quelli rivolti a sostituire l'esistente
tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso mediante un insieme sistematico
di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli
isolati e della rete stradale.
Dalla data di inizio dei lavori di demolizione (o di recupero o di ricostruzione) fino al momento
di ultimazione dei lavori la base imponibile Ici è data dal solo valore dell’area senza computare il
valore del fabbricato che si sta demolendo o ricostruendo o ristrutturando
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Le parti condominiali
Le parti condominiali che sono state accatastate in modo autonomo (il classico esempio può
essere quella dell’abitazione del portinaio) costituiscono autonomi oggetti dell’imposta. Sarà
cura dell’amministratore del condominio dichiarare l’immobile e pagare l’imposta per lo stesso
dovuta. Se al contrario le parti comuni non risultano accatastate autonomamente (può essere il
caso dell’atrio o del tetto) le stesse non rilevano ai fini Ici.
1.3 Area fabbricabile: casi particolari
Coltivatori diretti o imprenditori agricoli
Questa definizione assume importanza nella qualificazione di un’area come fabbricabile o meno.
Come chiarito dall’art. 58 del D. Lgs 446/97 si considerano coltivatori diretti od imprenditori
agricoli a titolo principale le persone fisiche iscritte negli appositi elenchi previsti dall'articolo 11
della legge 9 gennaio 1963, n. 9, e soggette al corrispondente obbligo dell'assicurazione per
invalidità, vecchiaia e malattia; la cancellazione dai predetti elenchi ha effetto a decorrere dal
primo gennaio dell'anno successivo.
Edificabilità diretta e indiretta
L’individuazione dell’edificabilità di un’area può essere differenziata.
Di certo il caso più semplice risulta quello per cui l’edificabilità risulta dagli strumenti urbanistici,
e in questo caso è sufficiente richiedere al comune un certificato di destinazione urbanistica. Ma
attenzione che possono esservi anche altre ipotesi. Si parla in sostanza anche di un’edificabilità
indiretta ovvero di un’edificabilità che pur non risultando dagli strumenti urbanistici risulta
dall’esistenza di indici probanti tale caratteristica.
L’art. 5, bis del D.l. 11 luglio 1992, n. 333, ha infatti disposto che "per la valutazione
dell'edificabilità delle aree, si devono considerare le possibilità legali ed effettive di
edificazione esistenti al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio".
In sostanza per qualificare un'area come edificabile non è necessaria l'esistenza congiunta di
entrambe le condizioni (edificabilità di fatto ed edificabilità legale) ma seguendo il parere
dell'Avvocatura generale dello Stato, è invece sufficiente il verificarsi anche di una sola delle
condizioni sopra menzionate.
Possiamo provare a esporre un caso
Si pensi a un fabbricato situato in un territorio classificato come non edificabile dagli strumenti
urbanistici. Se da un indagine di fatto risultasse però che tale zona è situata ai margini della zona
abitativa e possa fruire di servizi pubblici si dovrebbe concludere per il riconoscimento
dell’edificabilità di tale area
1.4 Terreno agricolo: casi particolari
Gli imprenditori agricoli
Nella definizione di terreno agricolo sono compresi anche le aree fabbricabili possedute e
condotte da coltivatori diretti o dagli imprenditori agricoli che vi esplicano le attività agro-silvopastorali.
In pratica ciò che diviene fondamentale per la qualificazione di un terreno come agricolo non è
tanto la sua destinazione urbanistica ma piuttosto l’uso a cui sono concretamente adibiti. Sono
quindi esclusi dal campo di applicazione dell'Ici tutti i terreni, diversi dalle aree fabbricabili, nei
quali non vengono esercitate le attività agricole di cui all'art. 2135 del C.C
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I terreni esenti
Il ministero dell’agricoltura e delle foreste, con circolare del 14/06/93 n° 9, ha indicato i
comuni sul cui territorio i terreni sono esenti dall’Ici (in alcuni comuni l’esenzione vige solo
su parte dei terreni, e per sapere quali sono le zone agevolate, occorre rivolgersi agli uffici
locali competenti).
Orticelli
Gli orticelli e i piccoli appezzamenti anche se coltivati per puro diletto dal proprietario non
possono considerarsi terreni agricoli e quindi, se non sono aree fabbricabili, sfuggono
all’imposta comunale sugli immobili.
Terreni non soggetti
L’Ici non colpisce:
• i terreni incolti, a patto che la mancata coltivazione sia dovuta alla tecnica agraria;
• i terreni incolti per i quali il proprietario o il conduttore beneficia di contributi comunitari o
nazionali sostitutivi dei ricavi;
• i terreni utilizzati per attività diverse da quelle agricole, come ad esempio le superfici
pertinenziali di fabbricati industriali;
• i terreni sui quali le attività agricole sono esercitate in forma non imprenditoriale, come
accade per gli orticelli e cioè per quegli appezzamenti solitamente coltivati per diletto e i cui
prodotti sono solitamente autoconsumati.
In ogni caso l’imposta non si applica per i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina
situati nei comuni indicati nell’allegato alla Circolare delle Finanze n. 9 del 14 giugno 1993.
26.2. Gli immobili che non pagano imposta (esenti)
2.1 Le esenzioni
Il decreto legislativo 504 prevede una serie di esenzioni oggettive dall’imposta. Non scontano
imposta:
• gli immobili posseduti dallo Stato, regioni, province e comuni, comunità montane, consorzi
fra detti enti, Unità sanitarie locali, istituzioni sanitarie pubbliche autonome, camere di
commercio, destinati esclusivamente a compiti istituzionali (il comune potrebbe aver previsto
l’esenzione anche per immobili destinati non esclusivamente ad attività istituzionali). Con la
c.m. 14/93 il ministero ha precisato che rientrano in tale ipotesi anche le caserme e le prigioni
inagibili e gli alloggi di proprietà dello Stato messi a disposizione dei titolari di determinati
uffici;
• i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9, e cioè:
−
−
−
−
−
−
−
−
−
E/1
E/2
E/3
E/4
E/5
E/6
E/7
E/8
E/9
Stazioni per servizi di trasporto
Ponti comunali a pedaggio
Fabbricati per esigenze pubbliche
Recinti chiusi per esigenze pubbliche
Fortificazioni
Fari, semafori, torri per orologio
Fabbricati per esercizio di culti
Cimiteri
Edifici particolari non compresi nelle categorie precedenti
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•
•
•
•
•
•
•
i fabbricati destinati ad usi culturali, cioè destinati a sedi aperte al pubblico di musei,
pinacoteche, biblioteche, archivi, cineteche ed emeroteche per i quali al possessore non deriva
alcun reddito dall’utilizzazione dell’immobile stesso;
i fabbricati e loro pertinenze, destinati esclusivamente all'esercizio del culto purché
compatibile con gli articoli 8 e 19 della Costituzione;
i fabbricati di proprietà della Santa Sede;
i fabbricati appartenenti agli Stati esteri e alle organizzazioni internazionali per i quali è
riconosciuta l'esenzione dall'Ilor a seguito di accordi internazionali resi esecutivi in Italia;
i fabbricati che, dichiarati inagibili o inabitabili, sono stati recuperati al fine di essere destinati
alle attività assistenziali, di integrazione sociale delle persone handicappate limitatamente al
periodo in cui sono adibiti allo svolgimento di tali attività;
i terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina;
gli immobili di enti pubblici e privati, diversi dalle società, che non hanno per oggetto
esclusivo e principale l'esercizio di attività commerciali, destinati esclusivamente allo
svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali,
ricreative e sportive ed attività religiose o di culto e ad esse connesse.
2.2 Il caso degli oratori
Tra le esenzioni si è prima richiamata quella prevista dall’art. 7 comma 1, lettera d), del D.Lgs. n.
504 del 1992, la quale stabilisce che sono esenti dall'Ici "i fabbricati e le loro pertinenze
destinati esclusivamente all'esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli
articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze".
La Risoluzione n. 1/DPF-25313 del 3 marzo 2004 ha ricordato sul punto come nella risposta
all'interrogazione parlamentare n. 5-01669 dell'11 marzo 2003, è stato espressamente
specificato che le unità immobiliari adibite a case parrocchiali possano rientrare nel concetto
di pertinenza e godere quindi dell'esenzione dall'Ici, solo ove il comune verifichi la
sussistenza delle condizioni richieste dal codice civile innanzi indicate. Inoltre agli oratori
potrebbe essere accordata l'esenzione anche sulla base della lettera i) dello stesso art. 7,
comma 1, del D.Lgs. n. 504 del 1992, il quale dispone che sono esenti dall'Ici gli immobili
utilizzati dagli enti non commerciali "destinati esclusivamente allo svolgimento di attività
assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive nonché
delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222".
Vi è inoltre da aggiungere che tale esenzione concernente gli immobili “parrocchiali” dovrebbe
essere estesa con la legge finanziaria per il 2006 riguardando tra l’altro non solo gli immobili del
culto cattolico.
2.3 Cooperative assistenziali
Con la ris.m. 7/E del 25 novembre 1994 non è stata riconosciuta l’esenzione per gi immobili
utilizzati dalle società cooperative aventi scopi assistenziali.
Esistono poi altre norme che possono concedere altre esenzioni che riguardano:
• gli immobili, situati (interamente o prevalentemente) sul territorio comunale e di cui il
comune stesso è titolare di un diritto reale (art. 4, comma 1, secondo periodo Dlgs 504);
• gli esercizi commerciali e artigianali situati in zone precluse al traffico a causa dello
svolgimento di lavori per la realizzazione di opere pubbliche che si protraggono per oltre 6
mesi per i quali i comuni possono deliberare agevolazioni (riduzioni), fino alla totale
esenzione (art. 1, comma 86 della L. 549/95);
• gli immobili delle Onlus a patto che il comune ne deliberi l’esenzione (art. 21 del Dlgs n.
460/1997).
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26.3. I soggetti passivi d’imposta
3.1. Disciplina generale
Sono soggetti passivi d’imposta:
•
i proprietari;
•
gli usufruttuari;
•
i titolari di diritto d’uso
•
i titolari di diritto di abitazione
•
gli enfiteuti;
•
i titolari di diritto di superficie,
•
l’utilizzatore degli immobili in leasing;
•
il concessionario delle aree demaniali.
Un caso ricorrente è quello che concerne il diritto di abitazione che spetta al coniuge superstite
ed al coniuge separato convenzionalmente o per sentenza. Medesimo diritto spetta anche al socio
della cooperativa edilizia sull'alloggio assegnatogli. Con riguardo all’assegnatario dell'alloggio
di edilizia residenziale pubblica concessogli in locazione con patto di futura vendita e riscatto.
La corte di cassazione con sentenza 654 del 2005 ha inoltre fissato il principio secondo cui
l'assegnatario dell'alloggio di edilizia residenziale pubblica concesso in locazione con patto di
futura vendita e riscatto, non essendo titolare di un diritto reale di godimento, non è soggetto
passivo di imposta
In ogni caso non rileva la natura “giuridica” del soggetto proprietario (o titolare di un’altra delle
condizioni sopra elencate) e nemmeno la sua nazionalità. In pratica sia le persone fisiche, che
quelle giuridiche e qualsiasi altro ente, sia i soggetti italiani che gli stranieri una volta verificata
l’esistenza delle caratteristiche sopra viste sono considerati in ogni caso soggetti passivi
d’imposta.
Non sono in ogni caso soggetti passivi d’imposta il nudo proprietario, il comodatario, il locatario
e l’affituario.
3.2. Casi particolari
3.2.1. Il leasing
Il soggetto passivo di imposta nell’ipotesi di leasing immobiliare è il conduttore dell’immobile.
Con riguardo al momento in cui la titolarità passiva d’imposta transita dal proprietario al
conduttore in leasing, la circolare 109/E del 18 maggio 1999 ha chiarito che il passaggio della
soggettività passiva Ici dal locatore al conduttore finanziario avviene non al momento della
stipula del contratto ma piuttosto nel momento in cui avviene la consegna del bene immobile
locato.
Questa almeno la regola generale che occorre poi differenziare con riguardo agli immobili
oggetto di locazione finanziaria.
Per i fabbricati classificati nella categoria catastale A o C l’utilizzatore diviene soggetto passivo
Ici dalla data di stipula di consegna dell’immobile, e ciò indipendentemente dal fatto che la base
imponibile sia calcolata in base ad una rendita effettiva, presunta o solo proposta.
Nel caso invece in cui l’immobile oggetto del leasing sia un fabbricato classificabile nella
categoria D privo di rendita, ovvero un fabbricato la cui base imponibile deve essere calcolata
sulla base delle scritture contabili, l’utilizzatore è tenuto al pagamento dell’imposta solo a partire
dall’anno successivo a quello di stipula del contratto. Quindi nel 2005 dovranno pagare l’imposta
gli utilizzatori di immobili di tal tipo che abbiano stipulato contratti di leasing nel corso del 2004:
per quelli stipulati nel 2005 il problema è procrastinato di un anno.
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Ma per tali fabbricati esiste poi la possibilità che il valore ai fini Ici invece che desunto dalle
scritture contabili possa essere proposto dallo stesso contribuente
IL CASO DEL LEASING
IMMOBILI CON BASE
IMPONIBILE PARI ALLA
RENDITA (EFFETTIVA O
PRESUNTA O PROPOSTA)
IL CONDUTTORE DIVIENE
SOGGETTO PASSIVO ICI
DAL MOMENTO IN CUI
L’IMMOBILE E’
CONSEGNATO
IMMOBILI CON BASE
IMPONIBILE DESUNTA DALLE
SCRITTURE CONTABILI
IL CONDUTTORE DIVIENE
SOGGETTO PASSIVO ICI DAL 1
GENNAIO DELL’ANNO
SUCCESSIVO A QUELLO IN
CUI L’IMMOBILE E’
CONSEGNATO
3.2.2. Il diritto di superficie
Con la costituzione del diritto di superficie la proprietà della costruzione rimane distinta da quella
del suolo sottostante. Si assiste alla costituzione di un diritto di superficie qualora venga concessa
la possibilità di costruire su un suolo non di proprietà l’immobile. Con riguardo all’Ici ci si trova
in situazioni differenti:
• durante il periodo che va dalla data di costituzione del diritto fino alla data di ultimazione dei
lavori di costruzione la base imponibile è costituita solo dal valore venale di comune
commercio del suolo su cui si sta costruendo che è sempre considerato area fabbricabile
• alla conclusione della costruzione la base imponibile ICI è costituita dal valore del fabbricato.
Le regole previgenti prevedevano che soggetto passivo d’imposta fosse in ogni caso il
proprietario del suolo. Ciò comportava la possibilità di evitare il pagamento d’imposta in un caso
abbastanza frequente, ovvero in quello in cui il comune concede a terzi, solitamente a
cooperative, il diritto di realizzare case di tipo economico e popolare. Spesso nella fase
antecedente all’ultimazione del fabbricato il Comune, che dovrebbe essere il debitore d’imposta,
riusciva ad evitare tale pagamento in quanto i terreni insistono interamente o prevalentemente sul
territorio comunale e quindi non vi è applicazione dell’ICI in forza del disposto di cui all’articolo
4, comma 1 del decreto legislativo 504/92.
Inoltre i terzi che avevano costruito rimanevano superficiari a cui non competeva il pagamento
dell’imposta in modo diretto ma solo di subire la rivalsa dal proprietario. Siccome questo, il
Comune, non era obbligato all’imposta anche il superficiario era in pratica esentato dall’Ici.
Con le regole attuali che identificano nel superficiario il debitore d’imposta, la possibilità di
sfuggire in tal modo all’imposta è superata.
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3.2.3. Contitolarità
In caso di contitolarità sul medesimo immobile (ad esempio: comproprietà piena; cousufrutto;
proprietà piena per una quota e usufrutto per la restante quota) ciascun contitolare è obbligato ad
effettuare distintamente il versamento dell'imposta limitatamente alla parte corrispondente alla
propria quota di titolarità. Sulla possibilità che un solo soggetto passivo contitolare effettui il
versamento complessivo occorre verificare se ciò sia previsto nel regolamento comunale.
3.2.4. Le procedure concorsuali
Non sfuggono all’Ici gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta
amministrativa. Il pagamento dell’imposta è però posticipato: l’imposta comunale deve essere
versata entro tre mesi dalla data di incasso del prezzo della vendita degli stessi.
3.2.5. Contratto di anticresi
Come confermato dalla ris.min. 2 del 30 marzo 1994, con il creditore anticretico non è titolare di
alcun diritto reale sull’immobile ricevuto. Pertanto è il debitore o il terzo che ha consegnato
l’immobile al creditore a garanzia del credito che rimane soggetto passivo Ici.
3.2.6. Procedimento di espropriazione
In ipotesi di espropriazione per pubblico interesse si deve ritenere che fino a quando non viene
emesso il relativo decreto, soggetto passivo d’imposta resta il proprietario dell’immobile ovvero il
titolare del diritto reale.
L’articolo 16 della legge Ici dispone:
• in caso di espropriazione di area fabbricabile l'indennità è ridotta ad un importo pari al valore
indicato nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata dall'espropriato ai fini
dell'applicazione dell'imposta qualora il valore dichiarato risulti inferiore all'indennità di
espropriazione determinata secondo i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti;
• in caso di espropriazione per pubblica utilità, oltre all'indennità, è dovuta una eventuale
maggiorazione pari alla differenza tra l'importo dell'imposta pagata dall'espropriato o dal suo
dante causa per il medesimo bene negli ultimi cinque anni e quello risultante dal computo
dell'imposta effettuato sulla base della indennità. La maggiorazione, unitamente agli interessi
legali sulla stessa calcolati, è a carico dell'espropriante.
3.2.7. Il concessionario
Tra i soggetti passivi d’imposta è compreso il concessionario degli immobili insistenti su aree
demaniali.
Fino al 31 dicembre 2000 il concessionario non era considerato soggetto passivo dell'Ici
poiché, anche se di fatto possedeva l'immobile, il possesso non conseguiva a nessuna delle
“situazioni” (proprietà, diritto reale ecc.) da cui le norme fanno discendere l'obbligo di assolvere
il tributo.
Dal 2001 le nuove regole riconoscono la soggettività passiva anche a questo soggetto.
Una ipotesi frequente è quella che concerne la concessione di aree comunali a cooperative per la
costruzioni di parcheggi. Soggetto passivo dell’imposta in queste ipotesi è la cooperativa
l’acquirente ma solo dopo la consegna del box.
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3.2.8. La multiproprietà
L’istituto della multiproprietà o meglio la situazione in cui sui beni immobili sono costituiti diritti
di godimento a tempo parziale trova la sua regolamentazione giuridica nel D.Lgs. 9 novembre
1998, nr. 427 che ha dato attuazione alla direttiva 94/47/CE concernente la tutela dell'acquirente
per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo
parziale di beni immobili. La regole stabiliscono che nel caso di proprietà turnaria o di
multiproprietà il pagamento dell'Ici è effettuato dall'amministratore di condominio o della
comunione.
In sostanza viene definito non tanto il soggetto passivo d’imposta quanto piuttosto il soggetto
tenuto ad effettuare materialmente il versamento: lo stesso è individuato nell’amministratore che
a tal fine è autorizzato a prelevare l'importo dalle disponibilità finanziarie del condominio e
successivamente ad attribuire le relative quote al singolo titolare dei diritti di godimento
addebitandole nel rendiconto annuale.
26.4. La base imponibile
La base imponibile Ici è costituita:
•
dal valore dei fabbricati, delle aree fabbricabili e dei terreni agricoli;
•
il valore del fabbricato o dei terreni si ritrova partendo dalla rendita catastale che deve
essere moltiplicata sulla base di coefficienti stabiliti dalla legge;
•
il valore delle aree edificabili è quello commerciale al 1 gennaio.
Le rendite catastali desumibili dai certificati catastali degli immobili devono essere rivalutati del 5
e del 25% (fabbricati e terreni).
Per ciascun anno l’imposta deve essere calcolata partendo dalle rendite risultanti al 1° gennaio.
Quindi le eventuali modificazioni delle rendite possono avere effetto solo dall’anno successivo a
quello in cui si verificano.
LA BASE DELL’ICI
Aree edificabili:
valore commerciale al
1 gennaio.
Fabbricati:
rendita catastale
moltiplicata per i
coefficienti stabiliti dalla
legge;
Terreni:
rendita catastale
moltiplicata per i
coefficienti stabiliti dalla
legge
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4.1. I fabbricati
Per la determinazione del valore dei fabbricati, intendendosi con questi le singole unità
immobiliari iscritte o che devono essere iscritte nel catasto edilizio urbano il valore del bene è
dato dall'intera rendita catastale moltiplicata:
- PER 100 se si tratta di fabbricati classificati nei gruppi catastali A, B e Con esclusione
delle categorie A/10 e C/1;
- PER 50 se il fabbricato è accatastato nel gruppo D e nella categoria A/10
- PER 34 se il fabbricato è accatastato nella categoria C/1.
Nel caso in cui i fabbricati:
2. non siano stati ancora iscritti in catasto;
3. manca l'attribuzione della rendita;
4. oppure la rendita risulta non più rispondente alla situazione originaria (ad esempio,
per effetto di variazioni intervenute sul fabbricato, ovvero per un diverso
classamento dell'immobile),
il valore del fabbricato si determina mediante l'applicazione degli stessi moltiplicatori alle rendite
catastali attribuite a fabbricati similari.
Ricordiamo che gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali per fabbricati e terreni
sono efficaci solo a decorrere dalla data della loro notificazione, a cura dell'Agenzia del
Territorio competente, ai soggetti interessati.
4.2 La rendita presunta
E’ ancora frequente il caso di fabbricati privi di rendita catastale per i quali occorre procedere al
calcolo della rendita (la cosiddetta “rendita presunta”) per poter poi calcolare l’imposta da
versare.
Ogni immobile è individuato da una serie di dati alfa-numerici in base ai quali il catasto
attribuisce la rendita. Quindi per poter determinare la rendita presunta (calcolo che può essere
eseguito da un tecnico del catasto o dal contribuente) bisogna prendere in considerazione alcuni
elementi quali:
• zona censuaria;
• gruppo catastale;
• categoria catastale;
• classe catastale;
• numero dei vani catastali (immobili del gruppo A), dei metri cubi (immobili del gruppo B) e
metri quadrati (immobili del gruppo C).
La zona censuaria può corrispondere all’intero comune. Nei comuni più grandi a volte l’abitato e’
suddiviso in più zone.
I fabbricati sono divisi in gruppi a seconda della loro tipologia, ogni gruppo e’ a sua volta
suddiviso in categorie e ogni categoria e’ suddivisa in classi in base a caratteristiche costruttive,
finiture, epoca di costruzione, dotazione di servizi e impianti (più alto è il numero della classe
maggiore e’ il pregio dell’immobile).
Il calcolo della rendita presunta viene effettuato sui fabbricati appartenenti ai gruppi A, B e C.
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Una volta individuati la zona censuaria, il gruppo, la categoria e la classe di appartenenza
dell’immobile occorre determinare la consistenza. La consistenza si riferisce al numero dei vani
catastali, metri cubi e metri quadrati degli immobili a seconda che appartengano rispettivamente
ai gruppi A, B e C.
Per vani catastali si intendono i locali utili effettivi ad esempio soggiorno, camera, cucina (circa
25/30 metri quadrati per vano).
Ad ogni classe di ciascuna categoria è attribuita (con decreto del ministero delle Finanze) una
tariffa d’estimo: valore unitario che esprime l’astratta redditività di un’unita’ immobiliare.
Moltiplicando la tariffa d’estimo corrispondente alla classe di appartenenza del fabbricato per la
consistenza si ottiene la rendita presunta.
Esempio: abitazione di categoria A/2, classe 2, 5 vani:
5
x
tariffa d’estimo corrispondente al tipo di abitazione
=
rendita presunta
Moltiplicando la rendita così ottenuta per questi coefficienti:
unità immobiliari classificate nei gruppi catastali A, B e C, con esclusione delle categorie
A/10 e C/1:
•
rendita catastale x 100
unità immobiliari classificate nella categoria A/10:
•
rendita catastale x 50
unità immobiliari classificate nella categoria C/1:
•
rendita catastale x 34
si ottiene la base imponibile per la determinazione dell’imposta.
Esempio: abitazione appartenente al gruppo A:
rendita presunta
x
Base imponibile x
100
=
base
imponibile
aliquota deliberata dal comune
:
1.000
= ICI dovuta
TUTTI GLI IMMOBILI CATEGORIA PER CATEGORIA
CATEGORIA DESCRIZIONE
A/1
A/2
A/3
A/4
A/5
Abitazione signorile
Abitazione civile
Abitazione economica
Abitazione popolare
Abitazione ultrapopolare
VALORE AI FINI SOMMA
DA
ICI
VERSARE
Rendita per 100
Valore per aliquota
Rendita per 100
Valore per aliquota
Rendita per 100
Valore per aliquota
Rendita per 100
Valore per aliquota
Rendita per 100
Valore per aliquota
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A/6
A/7
A/8
A/9
A/10
A/11
B/1
B/2
B/3
B/4
B/5
B/6
B/7
B/8
C/1
C/2
C/3
C/4
C/5
C/6
C/7
D/1
D/2
D/3
D/4
D/5
D/6
D/7
D/8
D/9
D/10
D/11
D/12
E/1
E/2
E/3
E/4
E/5
E/6
E/7
E/8
E/9
Abitazione rurale
Abitazioni in villini
Abitazioni in ville
Castelli e palazzi
Uffici e studi privati
Abitazioni tipiche dei luoghi
Collegi e convitti
Case di cura ed ospedali
Prigioni e riformatori
Uffici pubblici
Scuole e laboratori
Biblioteche, musei, ecc.
Cappelle e oratori
Magazzini sotterranei
Negozi e botteghe
Magazzini e locali deposito
Laboratori per arti e mestieri
Fabbricati per esercizi sportivi
Stabilimenti balneari
Stalle, scuderie e rimesse
Tettoie chiuse od aperte
Opifici
Alberghi e pensioni
Laboratori per arti e mestieri
Case di cura ed ospedali
Istituti di credito
Fabbricati, locali per es.
sportivi
Fabbricati ad uso industriale
Fabbricati
ad
uso
commerciale
Edifici galleggianti
Residence
Scuole e laboratori scientifici
privati
Posti barca in porti turistici
Stazioni per servizi di
trasporto
Ponti comunali a pedaggio
Fabbricati
per
esigenze
pubbliche
Recinti chiusi per esigenze
pubbliche
Fortificazioni
Fari, semafori, torri per
orologio
Fabbricati per esercizio di
culti
Cimiteri
Edifici
particolari
non
compresi nelle categorie
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 50
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 34
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 100
Rendita per 50*
Rendita per 50*
Rendita per 50*
Rendita per 50*
Rendita per 50*
Rendita per 50*
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Rendita per 50*
Rendita per 50*
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Rendita per 50*
Rendita per 50*
Rendita per 50*
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Valore per aliquota
Rendita per 50*
Esenti
Valore per aliquota
-
Esenti
Esenti
-
Esenti
-
Esenti
Esenti
-
Esenti
-
Esenti
Esenti
-
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precedenti
*Per rendita si intende il valore calcolato tramite i coefficienti incrementativi (vedi immobili delle
imprese)
4.3. Gli immobili dell’impresa
I criteri ordinari di determinazione del valore sulla base della rendita catastale non si applicano
per i fabbricati interamente posseduti da impresa e distintamente contabilizzati, classificabili nel
gruppo catastale D e sforniti di rendita catastale.
In sostanza per questa tipologia di immobile vale la regola principale che correla la base
imponibile alla rendita catastale, ma nel caso in cui la stessa non sia stata ancora assegnata
occorre rifarsi non alla rendita presunta ma alla procedura particolare per cui per tali fabbricati il
valore è determinato sulla base dei costi di acquisizione ed incrementativi contabilizzati,
attualizzati mediante l'applicazione di determinati coefficienti.
La base imponibile deve essere ritrovata andando a classificare tutti i costi sostenuti per anno di
formazione e applicando agli stessi i coefficienti stabiliti per decreto.
Tra i valori da aggiornare sono compresi il costo d’acquisto o quello di costruzione ed anche le
eventuali rivalutazioni.
Per individuare come comportarsi occorre differenziare l’ipotesi di rivalutazione dei valori già
contabilizzati rispetto a quelli di contabilizzazione di nuovi incrementi. Solo nel secondo caso
sarà infatti necessario presentare la dichiarazione in quanto gli incrementi derivanti
dall’aggiornamento dei coefficienti non costituisce causa di variazione.
E’ bene poi ricordare che:
1. In dichiarazione vanno inserite le variazioni (e quindi i costi capitalizzati) intervenuti nel
secondo anno precedente: nel 2005 vanno ad esempio dichiarati i costi capitalizzati nel
2003.
2. Per il pagamento dell’imposta si deve invece tener conto delle variazioni intervenute
nell’anno precedente: quindi nel calcolo dell’imposta dovuta per il 2005 occorre tener
conto delle variazioni intervenute nel 2004.
Ciò in quanto ai fini del calcolo dell’imposta ciò che rileva è il valore dell’immobile al 1°
gennaio.
Inoltre:
- il criterio di determinazione del valore sulla base dei costi contabilizzati si applica anche
nel caso in cui il fabbricato posseduto dall'impresa, classificabile nel gruppo D e sfornito
di rendita, sia di interesse storico o artistico ai sensi dell'art. 3 della legge 1° giugno 1939,
n. 1089, e successive modificazioni;
- per i fabbricati ai quali sia stata attribuita la rendita nel corso dell'anno 2004, od anni
precedenti, il valore sul quale calcolare l'ICI dovuta per l'anno 2005 è dato dalla
capitalizzazione della rendita (rendita risultante in catasto, aumentata del 5 per cento,
moltiplicata per 50);
- per i fabbricati ai quali sia attribuita la rendita nel corso dell'anno 2005, il valore sul quale
calcolare l'ICI dovuta per l'anno 2005 continua ad essere quello ottenuto attraverso
l'attualizzazione dei costi contabilizzati;
- i costi incrementativi aggiuntivi a quello di acquisizione, contabilizzati nel corso dell'anno
2005, influiscono sull'ammontare del valore soltanto a decorrere dell'ICI dovuta per l'anno
2006.
Nella legge finanziaria per l’anno 2002 è stato introdotta una nuova regola che riguarda
espressamente i fabbricati di categoria D.
L’art. 18, comma 6 prevede infatti che “nel caso in cui l’imposta relativa ai fabbricati del gruppo
D, in precedenza versata a unico comune in base a valori di bilancio unitariamente considerati ,
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sia successivamente da versare a più comuni a seguito dell’attribuzione di separate rendite
catastali per le parti insistenti sui territori di comuni diversi, i comuni interessati sono tenuti a
regolare mediante accordo i rapporti finanziari relativi, delegando il ministero dell’interno a
effettuare le necessarie variazioni dell’importo a ciascuno spettante a titolo di trasferimenti
erariali, senza oneri per lo stato”.
LE REGOLE PER GLI IMMOBILI DELLE IMPRESE
Fabbricati posseduti da impresa (distintamente contabilizzati) classificabili nel gruppo
catastale D e sforniti di rendita catastale.
Dichiarazione
Versamento
vanno inserite le variazioni (e quindi i costi capitalizzati)
intervenuti nel secondo anno precedente: nel 2005 vanno
ad esempio dichiarati i costi capitalizzati nel 2003
si deve invece tener conto delle variazioni intervenute
nell’anno precedente: quindi nel calcolo dell’imposta
dovuta per il 2005 occorre tener conto delle variazioni
intervenute nel 2004.
4.4. Immobili di interesse storico o artistico
Per i fabbricati di interesse storico o artistico deve essere assunta la rendita catastale
determinata mediante l'applicazione della tariffa d'estimo di minore ammontare tra quelle
previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale il fabbricato è situato
4.5. Aree fabbricabili
La base imponibile è pari al loro valore commerciale. I singoli enti comunali possono aver
determinato i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, al fine di limitare il
potere di accertamento.
4.6. Terreni agricoli
Per i terreni agricoli la base imponibile è determinata moltiplicando il reddito dominicale,
risultante in catasto alla data del 1° gennaio 2005, per il relativo coefficiente che è pari a 75. Il
reddito dominicale deve essere preliminarmente rivalutato del 25 per cento.
26.5. Le aliquote
5.1 I minimi e i massimi
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Le delibere dell’ente locale possono individuare una o più aliquote applicabili agli immobili siti
nel territorio comunale variabili da un minimo del 4 per mille ad un massimo del 7 per mille.
L’ampio potere regolamentare concesso ai comuni trova in questa materia uno dei punti in cui si
presenta senza dubbio in misura maggiore. I comuni possono prevedere:
• un’aliquota agevolata per gli immobili degli enti non commerciali;
• un’aliquota minima, per un periodo non superiore a tre anni, relativamente ai fabbricati
realizzati per la vendita e rimasti invenduti dalle imprese che hanno per oggetto esclusivo o
prevalente dell’attività la costruzione e la vendita di immobili;
• un’aliquota inferiore alla misura minima, limitatamente per i contribuenti che effettuano
interventi di recupero di edifici inagibili o inabitabili o per la realizzazione di autorimesse o
posti auto pertinenziali, per la durata massima di un triennio;
• un’aliquota minima per gli “interventi finalizzati al recupero degli immobili di interesse
artistico o architettonico localizzati nei centri storici” (i fabbricati di cui alla legge 1° giugno
1939 n. 1089);
• un’aliquota inferiore alla misura minima per i contribuenti-proprietari che concedono in
locazione a titolo di abitazione principale fabbricati alle condizioni definite dagli accordi
contrattuali;
• un’aliquota massima del 9 per mille, per i fabbricati non locati per i quali non risultino essere
stati registrati contratti di locazione da almeno due anni (gli immobili sfitti).
L’art. 5, bis comma 4 della legge 148/2005 concede ai comuni la possibilità per ridurre
l’imposta sulle abitazioni principali di recuperare gettito aumentando il carico sui terreni
che possono essere utilizzati per costruzioni immobiliari. La motivazione della nuova regola
è duplice: da un lato si vuole alleggerire il peso fiscale sulla casa di abitazione e dall’altro, al
fine di non far gravare ciò sulle casse comunali, si individua una strada alternativa per
pareggiare le minori entrate (colpendo le aree edificabili).
Le regole generali prevedono che l’aliquota Ici sia fissata tra il 4 e il 7 per mille. E’ poi vero che
con proprio regolamento gli stessi possono anche diminuire il livello dell’imposizione minima ma
mai aumentare il limite massimo. Con la nuova norma scompare però il divieto a ritoccare
l’aliquota massima del 7 mille: il comune ha mano libera per innalzare la stessa con riguardo alle
aree edificabili. Le stesse sono considerate quelle utilizzabili a scopo edificatorio in base agli
strumenti urbanistici generali o attuativi: si tratta insomma di quei terreni su cui vi è la possibilità
di edificare una costruzione. E’ inoltre fissato che deve intendersi come area fabbricabile anche
quella che può essere edificata in base alle effettive possibilità di edificazione determinate
secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennità di espropriazione per pubblica utilità, mentre
non sono mai considerati fabbricabili i terreni, di proprietà di coltivatori diretti o di imprenditori
agricoli a titolo principale, i quali siano dagli stessi proprietari condotti e sui quali persista
l'utilizzazione agro-silvo-pastorale mediante l'esercizio di attività dirette alla coltivazione del
fondo, alla silvicoltura, alla funghicoltura e all'allevamento degli animali.
I terreni edificabili potranno quindi subire un aggravio (eventualmente compensato a livello
comunale da una diminuizione dell’Ici sulle abitazioni principali) con un’eccezione.
Qualora il proprietario dell’area edificabile dovesse dichiarare di non voler cedere l’immobile che
si andrà a costruire per un certo periodo, l’aumento non scatterà. Sarà compito dei regolamenti
comunali fissare le modalità con cui tale deroga potrà applicarsi: l’atto comunale dovrà
identificare il periodo per cui l’immobile costruito non dovrà essere ceduto, le modalità e i
termini con cui la dichiarazione dovrà essere resa dal proprietario. In tal caso torneranno quindi
applicabili le regole generali che per i fabbricati in costruzione prevedono che l’imposta si renda
dovuta a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero: nel caso di immobile in
costruzione l’imposta è dovuta fino all’ultimazione dei lavori sul valore dell’area ed in seguito
sul valore dell’immobile.
L’aumento dell’Ici sulle areee edificabili non sarà applicata automaticamente ma dovrà essere
espressamente prevista nel regolamento comunale che fissa annualmente i dettagli dell’imposta
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(aliquote, esenzioni, sconti, modalità di dichiarazione e pagamento ecc.) e, per disposizione di
legge, la stessa potrà trovare applicazione solo a partire dal 2006.
Gli impatti della nuova regola devono essere valutati con attenzione soprattutto considerando le
interpretazioni estensive oggi esistenti del concetto di edificabilità di un terreno. Lo stesso non è
unicamente quello che risulta tale dagli strumenti urbanistici (e in questo caso è sufficiente
richiedere al comune un certificato di destinazione urbanistica per risolvere i dubbi). E’ infatti
ritenuto edificabile (ai fini Ici) anche quel terreno per cui esiste solo un’edificabilità di fatto e
non un’edificabilità legale. L’esempio è quello dell’immobile situato in un territorio classificato
come non edificabile dagli strumenti urbanistici. Se da un indagine di fatto risultasse però che tale
zona è situata ai margini della zona abitativa e possa fruire di servizi pubblici si dovrebbe
concludere per il riconoscimento dell’edificabilità di tale area. Di certo tale classificazione
potrebbe anche essere contestata dal proprietario-contribuente ma l’esito di un eventuale litigio
non pare scontato.
26.6. L'abitazione principale
6.1 Le aliquote
L’abitazione principale è quella posseduta dal contribuente a titolo di proprietà o usufrutto o altro
diritto reale in cui però lo stesso e i suoi familiari dimorano abitualmente.
Non si potrà godere dello sconto Ici per quell’abitazione abitata abitualmente solo dai familiari e
non anche dal proprietario dell’immobile. Ad esempio l’abitazione concessa in uso gratuito dal
genitore al figlio non potrà essere considerata ai fini Ici abitazione principale e dovrà dunque
scontare l’imposta in misura piena (salvo diversa indicazione contenuta nel regolamento
comunale)
In forza dell’articolo 3, comma 56 della legge 662/96 nel caso in cui il proprietario di un
immobile risulti ricoverato in un istituto di ricovero il fabbricato se non locato a terzi può essere
considerato abitazione principale (e godere quindi degli sconti).
I comuni possono deliberare un’aliquota ridotta rispetto a quella ordinaria per le abitazioni
principali. Inoltre possono, deliberare una aliquota ridotta, ai sensi della legge 662 del 23
dicembre 1996, a favore dei proprietari di immobili dati in affitto, con contratto registrato, a
persone che la hanno adibita a loro abitazione principale. L’aliquota in questione, ridotta rispetto
a quella ordinaria, può essere differente da quella adottata per la prima casa in senso stretto.
6.2 La detrazione
Ma oltre che sul fronte delle aliquote il trattamento di favore previsto per tale ipotesi pari a €
103,29. Seguendo le regole generale dell’imposta la detrazione deve essere rapportata al periodo
di possesso in cui l’immobile è stato adibito ad abitazione principale.
Ma attenzione che in caso di più contribuenti dimoranti nell’immobile la detrazione deve essere
suddivisa in parti uguali tra gli stessi senza che a nulla influisca la quota di proprietà di ognuno
dei dimoranti (vedi c.m. 120/E del 27 maggio 1999).
Inoltre il testo originario del D.Lgs. 504/1992 ha subito anche con riguardo alla detrazione per
l’abitazione principale una serie di rilevanti modifiche. E’ oggi infatti concessa la possibilità di:
• ridurre l'imposta dovuta per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto
passivo fino al 50 per cento; in alternativa,
• elevare l'importo base delle detrazione.
La predetta facoltà può essere esercitata anche limitatamente alle categorie di soggetti in
situazioni di particolare disagio economico-sociale, individuate con deliberazione del competente
organo comunale.
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Tale disposizione si applica anche alle unità immobiliari, appartenenti alle cooperative edilizie a
proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei soci assegnatari nonché‚ agli alloggi
regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi case popolari.
Inoltre è bene ricordare che godono della detrazione i “cittadini italiani” non residenti: la norma
dispone che il beneficio non può essere fruito da chi anche dopo aver ottenuto la residenza
italiana nel comune in cui è stata acquistata l’unità immobiliare, non risulti quivi residente (cfr.
r.m. n. 168/E del 13 giugno 1995).
Inoltre la fa riferimento all’unità immobiliare “posseduta a titolo di proprietà o di usufrutto in
Italia, a condizione che non risulti locata”: la Direzione regionale delle Entrate per la Lombardia
(risposta del 30 maggio 1994, prot. 72504/94), ha affermato che la detrazione d’imposta compete
anche se l’unità immobiliare è concessa in uso gratuito a un familiare.
Quindi per godere dell’agevolazione è sufficiente che:
• la persona risulti “non residente” (nel territorio dello Stato e non nel comune di origine o
altro) e
• l’unità immobiliare non venga data in locazione.
L’articolo 58 del D.Lgs. 446/97 ha inoltre concesso la facoltà ai comuni di stabilire la detrazione
per l’abitazione principale in misura superiore e fino a concorrenza dell’imposta dovuta per tali
unità. Vi è un limite al potere dei comuni identificabile nel fatto che la scelta sopra evidenziata
non può comunque portare l’amministrazione locale a fissare un aliquota superiore a quella
ordinaria per le unità immobiliari tenute a disposizioni del contribuente.
6.3 Le pertinenze
Un punto in cui serve la massima attenzione nel calcolo dell’imposta è come sempre quello del
regime da riservare alle pertinenze.
La materia negli ultimi anni è stata oggetto di diversi interventi (legislativi e della prassi) che
hanno creato non poche incertezze.
Partiamo quindi a descrivere il trattamento attuale delle stesse.
Dal 1 gennaio 2001 senza più alcun dubbio (si veda l’articolo 18, 2 comma della legge 388/2000
e la circolare nr. 23/E dell'11 febbraio 2000) alle pertinenze deve essere riservato lo stesso
trattamento fiscale dell'abitazione principale, indipendentemente dal fatto che il comune abbia o
meno deliberato l'estensione della riduzione dell'aliquota anche alle pertinenze.
In sostanza è fatto proprio e applicato anche in tema di Ici il concetto per cui l’abitazione
principale debba considerarsi un qualcosa di “unico” che comprende anche le pertinenze della
stessa.
Per poter individuare l’esistenza di una pertinenza occorre verificare l’esistenza congiunta di due
elementi:
• oggettivo: deve esistere un collegamento funzionale tra la l’abitazione e la pertinenza;
• soggettivo: deve esistere la volontà del soggetto di voler adibire un determinato fabbricato
quale pertinenza di un altro.
Seguendo le linee tracciate dalla prassi si può anche affermare che non è decisivo al fine di
riconoscere la qualifica di pertinenza che la stessa si trovi nel medesimo edificio dell’abitazione e
nemmeno che i due fabbricati siano stati acquistati congiuntamente. Ricordiamo ad esempio che
in tema di agevolazione prima casa ai fini dell’imposta di registro (e Iva) è esplicitamente
ammessa la concessione dello sconto nel caso di acquisto successivo della pertinenza della prima
casa stessa.
6.4 Le parti condominiali
Per le parti comuni condominiali sono previste regole particolari di dichiarazione.
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Le parti comuni sono quelle indicate dall’articolo 117 numero 2 del codice civile.
Se le stesse sono state accatastate in modo autonomo la dichiarazione deve essere presentata
dall’amministratore del condominio per conto di tutti i condomini.
Quanto alle parti condominiali dell’edificio oggetto di autonomo accatastamento (si pensi
all’abitazione del portinaio), l’Ici è dichiarata e pagata dall’amministratore del condominio per
conto di tutti i condomini. Invece, le parti condominiali non suscettibili di autonomo
accatastamento non rilevano ai fini dell’Ici (si tratta dei beni condominiali “non censibili”, quali,
ad esempio, il vano scala, il tetto, i ballatoi, l’androne, i corridoi di cantina, e così via).
26.7. Le altre detrazioni e gli altri sconti
7.1 Fabbricati inagibili o inabitabili
Per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le condizioni di inagibilità o inabitabilità
l’imposta è ridotta del 50 per cento. La condizione di inagibilità o inabitabilità deve essere
accertata dall'ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che deve anche
allegare idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa il contribuente ha facoltà di
presentare autocertificazione.
7.2 I fabbricati costruiti per la rivendita
L'aliquota può essere stabilita dai comuni nella misura del 4 per mille, per un periodo comunque
non superiore a tre anni, relativamente ai fabbricati realizzati per la vendita e non venduti dalle
imprese che hanno per oggetto esclusivo o prevalente dell'attività la costruzione e l'alienazione di
immobili.
7.3 Terreni condotti direttamente
Per i coltivatori diretti o gli imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale, è
concesso uno sconto per l’imposta dovuta per i terreni condotti direttamente. L’imposta è infatti
dovuta solo sulla parte di valore eccedente € 25.822, 84 e con le seguenti riduzioni:
a) del 70 per cento dell'imposta gravante sulla parte di valore eccedente i predetti €
25.822,84 e fino a € 61.974,83;
b) del 50 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente € 61.974,83 e fino a €
103.291,38;
c) del 25 per cento di quella gravante sulla parte di valore eccedente € 103.291,38 e fino a €
129.114,22.
Lo sconto è riconosciuto soltanto ai coltivatori diretti e agli imprenditori persone fisiche iscritti
nelle liste comunali dei soggetti obbligati al pagamento dell’assicurazione per invalidità,
vecchiaia e malattia.
Il valore è quello complessivo dei terreni condotti da un unico titolare indipendentemente dal
fatto che siano situati in più comuni.
26.8. I versamenti
Le regole per calcolare i versamenti da effettuare sono contenuti nell’art. l’art. 10, comma 2 del
D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 come modificato dall’art. 18, comma 1 della finanziaria 2001.
Le stesse stabiliscono:
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•
•
la prima rata deve essere pari al 50 per cento dell'imposta dovuta calcolata sulla base
dell'aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell'anno precedente e deve essere versato
entro il 30 giugno di ciascun anno;
la seconda rata a saldo deve essere pari a quanto effettivamente dovuto per l'intero anno
meno quanto già versato a giugno. Il secondo versamento deve essere effettuato nel periodo
compreso tra il 1º e il 20 dicembre di ciascun anno.
Regola generale
SALDO ICI 2005
DA PAGARE TRA IL 1 E IL 20
DICEMBRE
IL CALCOLO:
IMPOSTA DOVUTA PER L’ANNO IN CORSO MENO IL VERSAMENTO DI GIUGNO
LA RATA DI GIUGNO (SCADENZA 30 GIUGNO) ERA DA CALCOLARE IN
MISURA PARI AL 50% DELL’IMPOSTA DOVUTA PER L’ANNO 2003.
IL CONTRIBUENTE POTEVA DECIDERE A GIUGNO DI UTILIZZARE GIA’
LE ALIQUOTE E LE DETRAZIONI PREVISTE PER L’ANNO 2004 MA IN
QUESTO CASO AVREBBE DOVUTO VERSARE L’INTERO IMPORTO.
Inoltre:
• il mese va computato per intero in capo al contribuente che ha avuto il possesso
dell'immobile per almeno 15 giorni;
• il comune destinatario del tributo è quello nell'ambito del cui territorio insiste, interamente o
prevalentemente, la superficie degli immobili oggetto di imposizione
Queste modalità di pagamento rende in molti casi facile il calcolo della quota di imposta dovuta a
giugno, in quanto a tali fini non è necessario conoscere le nuove delibere comunali che hanno
deciso aliquote, detrazioni e quant’altro per il 2005.
Se ad esempio si ipotizza il caso del contribuente titolare della proprietà di un solo immobile che
non risulta sua abitazione principale, per il quale l’unico cambiamento intervenuto è dato da una
nuova aliquota comunale deliberata si avrà:
• Versamento complessivo 2003: € 500,00 (aliquota 5 per mille)
• Versamento giugno 2005: € 250,00 pari al 50% dell’imposta 2004
• Versamento dicembre 2005 : € 350,00 dato dalla nuova imposta complessiva pari a €
600,00 (aliquota 6 per mille) meno il versamento di giugno pari a € 250,00
Si noti come la regola secondo cui nel versamento di giugno è possibile utilizzare le nuove misure
dell’imposta solo se in tale sede si decide entro tale termine l’intera imposta dovuta, potrebbe
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svantaggiare (finanziariamente) coloro i quali si trovano a dover adottare nel 2005 aliquote
inferiori a quelle del precedente anno.
Esempio: se il comune Alfa ha deliberato nel 2004 un aliquota del 5% e nel 2005 un’aliquota
invece pari al 4%, per poter utilizzare già in giugno l’aliquota inferiore il contribuente avrebbe
dovuto versare per intero l’imposta.
8.1. I cambiamenti della situazione
La positività di tali regole è stata sottolinetaa anche dall’amministrazione finanziaria che nella
circolare 3/FL del 7.3.2001 ha ricordato che “la ratio del nuovo sistema di pagamento appare
essere quella di facilitare al contribuente il computo dell'Ici almeno nella fase del
versamento dell'acconto, quando cioè potrebbero non essere ancora conosciute l'aliquota e
le detrazioni deliberate dal comune per l'anno in corso”.
Qualche difficoltà in più la si incontra nell’ipotesi in cui “qualcosa” sia cambiato rispetto all’anno
precedente. I comportamenti corretti sono quelli dettati dalla circolare ministeriale 3/FL del
7.3.2001.
Caso 1: cambiamento delle caratteristiche dell’immobile
Il primo cambiamento è quello che riguarda le caratteristiche dell’immobile. Come è noto
l’imposta è modulata proprio in base alle diverse caratteristiche che sono proprie di un immobili
ed obbligatorio, nel caso in cui una di queste vari, adeguare di conseguenza anche l’imposta da
versare.
L’esempio è quello del contribuente che possiede già da anni un immobile che però solo nel
2005 è adibito ad abitazione principale.
In questa ipotesi il contribuente aveva tutto l’interesse a far si che già nel mese di giugno scorso
fosse riconosciuta tale caratteristica dell’immobile così’ da poter calcolare anche l’acconto
considerando la detrazione per l’abitazione principale.
Se avesse dovuto versare l’acconto considerando l’imposta per l’anno 2004 avrebbe infatti preso
come riferimento un importo probabilmente più alto di quello dovuto per il 2005.
A circolare per tale ipotesi ha ricordato che l'Ici deve essere calcolata applicando alla nuova
fattispecie (abitazione principale) le aliquote e le detrazioni in vigore per l'anno precedente per
detta fattispecie.
L’acconto poteva in questo caso calcolarsi nel seguente modo:
• occorreva ricalcolare l’imposta che sarebbe stata dovuta nel 2004 qualora l’immobile fosse
già destinato ad abitazione principale;
• l’imposta “ipotetica” così ottenuta diveniva la base di calcolo dell’acconto 2005;
• l’acconto 2005 poteva essere pari al 50% dell’imposta “ipotetica” 2004.
Se il comportamento tenuto è stato quello descritto in sede di versamento di dicembre occorre
quindi:
• calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni
deliberate per l’anno dal comune;
• detrarre da ciò quanto già versato a giugno.
E’ possibile però che nel primo anno di applicazione delle nuove regole il comportamento tenuto
lo scorso mese di giugno non sia stato quello sopra descritto ed in particolare che si sia
semplicemente versato il 50% di quanto dovuto per il 2004.
Anche in questo caso non dovrebbero crearsi problemi per il contribuente. In effetti il versamento
di giugno dovrebbe risultare più alto di quanto effettivamente dovuto (non si è quindi in presenza
di un carente versamento che verrebbe sanzionato) e quindi per il pagamento di dicembre sarà
sufficiente anche in questo caso:
• calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni
deliberate per l’anno dal comune;
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•
detrarre da ciò quanto già versato a giugno.
Caso 2: acquisto dell’immobile nel corso dell’anno precedente
Una seconda ipotesi particolare è quella in cui l’immobile sia stato acquistato nel corso dell’anno
precedente. Ipotizziamo quindi che l’imposta per l’anno 2004 fosse stata calcolata considerando
solo una parte limitata dell’anno. In tale ipotesi l’acconto Ici dovuto entro giugno doveva essere
dovrà essere calcolato sulla base dell'aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell'anno
precedente. Si doveva in sostanza:
- calcolare l’imposta che sarebbe stata dovuta nell’anno 2004 nel caso di possesso pari a 12
mesi;
- l’imposta così ottenuta doveva essere assunta come base di calcolo dell’acconto 2004;
- l’acconto 2005 sarà stato pari al 50% dell’imposta “ipotetica” 2004.
Se il comportamento tenuto è stato quello descritto in sede di versamento di dicembre occorre
quindi:
- calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni
deliberate per l’anno dal comune e un periodo di possesso 2005 pari a 12 mesi;
- detrarre da ciò quanto già versato a giugno.
E’ però probabile che (per errore) il comportamento tenuto nello scorso mese di giugno abbia
portato a calcolare l’acconto dovuto semplicemente dividendo per due quanto pagato nell’anno
precedente.
In questo caso potrebbero sorgere dei problemi per il contribuente. In effetti il versamento di
giugno sarà risultato (probabilmente) più basso di quello realmente dovuto. In questa ipotesi il
comportamento da consigliare è il seguente:
• ricalcolare l’acconto di giungo in modo corretto;
• grazie al ravvedimento operoso sanare l’irregolarità compiuta;
• calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni
deliberate per l’anno dal comune;
• detrarre da ciò quanto già versato sia giugno che in sede di ravvedimento (chiaramente solo
con riguardo all’imposta e non agli interessi e le sanzioni).
Caso 3: vendita dell’immobile nell’anno 2005 (ante 30 giugno)
L’ipotesi è quella in cui l’immobile da assoggettare ad imposta è stato venduto in una data
compresa tra il gennaio e il 30 giugno.
In questa ipotesi applicando letteralmente la norma si sarebbe versato a giugno un importo
superiore a quella realmente dovuto in quanto:
• il pagamento sarebbe stato pari all’imposta (stimata) dovuta per 6 mesi dell’anno 2005;
• il possesso del fabbricato si è però protratto per un periodo inferiore.
Per evitare ciò il versamento dell’acconto 2005 poteva così effettuarsi:
• si calcolava l’Ici che sarebbe stata dovuta l’anno precedente nel caso di possesso di durata
inferiore a 12 mesi;
• l’imposta così ottenuta era quanto dovuto entro il 30 giugno scorso
Nel caso in cui l’imposta realmente dovuta risulti superiore (ad esempio perché il comune ha
deliberato aliquote più alte) entro il 20 dicembre il contribuente potrà versare il conguaglio
dell’imposta calcolata con le aliquote deliberate nel 2005 (senza sanzioni o interessi o altro).
Se ad esempio un contribuente ha venduto un immobile il 31 marzo poteva effettuare il
versamento di giugno commisurandolo ai tre dodicesimi dell'importo calcolato sulla base
dell'aliquota e delle detrazioni dei dodici mesi dell'anno precedente. Entro il 20 dicembre dovrà
versare l'eventuale conguaglio che (eventualmente) dovesse risultare dalle variazioni
regolamentari deliberate dal comune per l'anno 2005. Si tenga presente che potrebbe verificarsi
anche l’ipotesi di un versamento effettuato in eccesso nel mese di giugno (si pensi al caso in cui
le aliquote comunali siano decrementate). Per evitare una fastidiosa pratica di rimborso (spesso
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anti economica) è da consigliare sempre in questa ipotesi di cercare di versare nel mese di giugno
l'Ici dovuta in unica soluzione, sulla base dell'aliquota deliberata per l'anno in corso.
Nel caso in cui nel mese di giugno non si sia tenuto conto del possesso ridotto e si sia quindi
calcolato il versamento in misura pari al 50% dell’imposta 2004, ci si troverà in una situazione di
credito che potrà essere risolta solo attivando la procedura di rimborso.
Caso 4: vendita dell’immobile nell’anno 2005 (post 30 giugno)
L’ipotesi è quella in cui l’immobile da assoggettare ad imposta è stato venduto in una data
successiva al 30 giugno.
In questa ipotesi il calcolo del versamento di giugno era quello ordinario mentre ora in sede di
versamento del saldo occorre:
• calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni
deliberate per l’anno dal comune e il reale periodo di possesso 2005;
• detrarre da ciò quanto già versato a giugno.
Caso 5: acquisto dell’immobile nell’anno in corso
E’ questa l’ipotesi in cui l’immobile da assoggettare ad imposta sia acquistato in una data
compresa tra il gennaio e il 30 giugno.
In sostanza anche in questo caso alla data di scadenza del pagamento dell’acconto non si era
verifica il possesso dell'immobile per sei mensilità.
Il contribuente entro il 30 giugno poteva versare l'Ici dovuta per l'anno in corso commisurandola
ai dodicesimi di reale possesso e all'importo calcolato sulla base delle aliquote e delle detrazioni
vigenti per l'anno precedente.
In pratica pur non avendo alcuna base di riferimento (l’Ici l’anno precedente non era chiaramente
dovuta) era possibile anche in questa ipotesi calcolare l’imposta che ipoteticamente sarebbe stata
dovuta l’anno precedente.
In questa ipotesi per il calcolo del versamento a saldo occorre:
• calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni
deliberate per l’anno dal comune e il reale periodo di possesso 2005;
• detrarre da ciò quanto già versato a giugno.
Se partendo dall’errata convinzione che non essendo dovuta Ici per l’anno 2004 nulla fosse
dovuto nello scorso mese di giugno, per regolarizzare la posizione occorre ora:
• ricalcolare l’acconto di giugno in modo corretto;
• grazie al ravvedimento operoso sanare l’irregolarità compiuta;
• calcolare l’imposta realmente dovuta per il 2005 considerando le aliquote e le detrazioni
deliberate per l’anno dal comune;
• detrarre da ciò versato in sede di ravvedimento (chiaramente solo con riguardo all’imposta e
non agli interessi e le sanzioni).
L'importo minimo da pagare è pari ad euro 2,58, se alla prima rata non si supera l'importo
minimo, occorre effettuare un unico versamento in sede di saldo.
26.9. Modalità di versamento
9.1 Metodi di versamento
La regola generale impone che l’imposta deve essere versata annualmente, in proporzione ai mesi
di possesso maturati durante l'anno (è sufficiente che il possesso si protragga per almeno 15
giorni affinché il mese venga computato per intero) e prevedono che i versamenti siano effettuati
in due rate al concessionario della riscossione, cioè con versamento diretto presso gli sportelli del
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concessionario oppure presso gli uffici postali attraverso bollettino di conto corrente postale
intestato al concessionario (approvato con D.m. 10 dicembre 2001).
I comuni possono però decidere che per gli immobili ubicati sui loro territori che l’imposta debba
essere versata dai contribuenti non tramite il concessionario della riscossione, bensì
esclusivamente sul conto corrente postale del comune o presso gli sportelli del tesoriere
comunale.
Sono possibili tre diverse situazioni.
Ci sono dunque ancora molti comuni per cui il versamento dovrà essere effettuato per il tramite
del concessionario.
Vi possono poi essere comuni che hanno lasciato aperta la doppia possibilità versamento in
esattoria o in comune.
Vi sono infine i comuni che hanno deciso di fare tutto da se: il versamento deve essere effettuato
solo in modo diretto al comune tramite conto corrente o direttamente nelle casse comunali (alcune
amministrazioni hanno introdotto anche la possibilità di assolvere al debito d’imposta tramite
Internet).
La situazione di certo potrebbe non rendere la vita facile del contribuente anche se bisogna
ricordare che la circolare 118/E del 7 giugno 2000 ha chiarito che: “ è' opportuno comunque
precisare che i versamenti effettuati dai contribuenti sul conto corrente postale del concessionario
della riscossione o presso i suoi sportelli, anziché direttamente al comune, devono essere assunti
come validamente eseguiti, a norma dell’art. 13, comma 3, del D.Lgs. del 18 dicembre 1997, n.
471. A tal fine deve prendersi, come riferimento, la data apposta sul bollettino dall'ufficio postale
ovvero dall'ufficio del concessionario”.
Ecco che allora la norma dall’articolo 18 della legge 388/200 è apparsa più che opportuna. La
norma recita che “il versamento dell'imposta può essere effettuato anche tramite versamenti su
conto corrente postale con bollettini conformi al modello indicato con circolare del Ministero
delle finanze”.
In sostanza è sempre concessa validità ai versamenti effettuati con gli abituali bollettini biancorossi anche se il comune avesse previsto un differente bollettino di versamento.
Quindi le regole prevedono che i versamenti possono essere effettuati:
• presso il concessionario della riscossione, cioè con versamento diretto presso gli sportelli
del concessionario;
• presso gli uffici postali attraverso bollettino di conto corrente postale intestato al concessionario;
• presso un’azienda convenzionata al concessionario.
• direttamente presso la tesoreria comunale qualora l’ente locale abbia deliberato di gestire
in modo diretto la riscossione dell’imposta (e quindi di evitare il passaggio dal
concessionario).
Regole particolari sono invece previste per i non residenti.
Anche per costoro valgono le ordinarie regole sopra illustrate ma è concessa una ulteriore
opzione. Possono infatti effettuare il versamento dell’imposta in un'unica soluzione entro il 20
dicembre pagando però una maggiorazione del 3% su quanto sarebbe stato dovuto nello scorso
mese di giugno.
26.10. Accertamento e liquidazione
10.1 L’avviso di liquidazione e l’accertamento
Le attività di liquidazione e accertamento sono di titolarità degli Enti comunali.
Per le somme liquidate o accertate il comune deve emettere avviso:
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motivato;
con l’indicazione dei criteri adottati;
con l’indicazione dell’imposta o maggior imposta dovuta, delle sanzioni e dei relativi
interessi.
I termini sono i seguenti:
• l'avviso di liquidazione deve essere notificato al contribuente entro il termine di decadenza del
31 dicembre del secondo anno successivo a quello in cui stata presentata la dichiarazione o la
denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso
del quale stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta;
• l’avviso di accertamento, per la rettifica delle dichiarazioni e delle denunce nel caso di
infedeltà, incompletezza od inesattezza, deve essere notificato, anche a mezzo posta mediante
raccomandata con avviso di ricevimento, al contribuente, a pena di decadenza, entro il 31
dicembre del terzo anno successivo a quello in cui stata presentata la dichiarazione o la
denuncia ovvero, per gli anni in cui queste non dovevano essere presentate, a quello nel corso
del quale stato o doveva essere eseguito il versamento dell'imposta.
Nel caso di omessa presentazione, l'avviso di accertamento deve essere notificato entro il 31
dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o la denuncia avrebbero
dovuto essere presentate ovvero a quello nel corso del quale stato o doveva essere eseguito il
versamento dell'imposta.
In pratica l’ente comunale:
a) con la liquidazione corregge i soli errori materiali di calcolo;
b) con l'accertamento in rettifica provvede a contestare l'infedeltà e l'incompletezza delle
dichiarazioni presentate,
c) con l'accertamento d'ufficio fa emergere le omesse presentazioni di dichiarazioni o
denuncie relative ad evasori totali.
Per quanto concerne i termini sopra indicati gli stessi devono essere coordinate con i diversi
provvedimenti di proroga intervenuti.
•
•
•
10.2 I termini
Considerando le proroghe che si sono succedute i termini attualmente in vigore sono i seguenti:
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10.3 L’autotutela
Capita a volte che alcuni avvisi riguardanti anomalie o eventuali irregolarità non risultino corretti.
Per contrastare gli stessi è bene inviare immediatamente al comune un’apposita istanza,
diffidandolo a correggere gli errori in tempi brevi. In tal modo si ottiene un duplice vantaggio. Da
una parte ci si apre alla speranza che l’ente locale annulli la cartella in via di autotutela,
risparmiando così tempo e soldi. Dall’altra ci si riserva la possibilità di ricorrere alla commissione
tributaria provinciale con una garanzia in più: quello di ottenere, proprio grazie all’istanza, la
condanna del comune al risarcimento delle spese processuali. Infatti, nel caso in cui venga
riconosciuta l’erroneità della cartella, il fatto che il comune non abbia provveduto all’auto
correzione richiesta dal contribuente potrebbe far assumere all’ente locale le sue responsabilità.
La domanda può essere inoltrata in carta semplice, e deve contenere la richiesta di annullamento
o di rettifica dell’avviso di liquidazione o di accertamento dell’Ici. E’ opportuno che l’istanza
venga spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno, al fine di precostituirsi la prova della
spedizione.
26.11. Le sanzioni
11.1 Le misure
Le nuove sanzioni previste per gli errori nel campo Ici sono fissate dall’articolo 14 del decreto
legislativo 473 del 18 dicembre 1997.
Anche ai fini Ici trovano applicazione infatti applicazione i principi generali del nuovo sistema
sanzionatorio contenuti nel decreto legislativo 472 del 1997: responsabilità "personale"
dell'autore della violazione, alla intrasmissibilità della sanzione agli eredi, all’inapplicabilità delle
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sanzioni nel caso in cui la violazione sia dovuta ad "obiettiva incertezza" della norma, il
"ravvedimento operoso", l’introduzione dei concetti di illecito continuato e concorso di
violazioni.
Sul punto si deve sottolineare un aspetto che concerne l’ipotesi di omissione della dichiarazione.
Vi è chi sostiene che essendo l’Ici un imposta reale che quindi è da riferire ai singoli beni e non ai
soggetti passivi, il mancato inserimento di un immobile in dichiarazione (anche se la stessa risulta
regolarmente presentata con riguardo ad altri immobili) configuri l’ipotesi di omessa
presentazione della dichiarazione.
Adottando tale tesi si avrebbe:
• la sanzione sarebbe pari dal 100% al 200%;
• il ravvedimento sarebbe possibile solo entro 90 giorni dalla scadenza.
Se al contrario tale ipotesi dovesse rappresentare un ipotesi di infedeltà:
• la sanzione sarebbe pari dal 50% al 100%;
• il ravvedimento sarebbe possibile entro la presentazione della dichiarazione successiva.
Nuova disciplina di cui all’articolo 14 del D.Lgs.
504/92
Omessa presentazione
Sanzione amministrativa dal 100% al 200%
della dichiarazione o denuncia
dell’ammontare del tributo dovuto, con un minimo di €
51,00
Sanzione amministrativa dal 50 al 100% della maggiore
Dichiarazione infedele
(se
gli
errori
incidono imposta dovuta
sull’ammontare dell’imposta)
Sanzione amministrativa da € 51,00 a € 258,00.
Dichiarazione infedele
(se gli errori non incidono
sull’ammontare dell’imposta)
Violazione
Mancata esibizione di atti e simili, Sanzione amministrativa da € 51,00 a € 258,00.
mancata restituzione di questionari o
infedele compilazione
Omesso o insufficiente versamento
Sanzione amministrativa pari al 30% .
11.2 Il ravvedimento
Il sistema sanzionatorio attuale permette però ai contribuenti che decidono di correggere
spontaneamente le irregolarità degli sconti sull’importo da pagare.
E’ applicabile anche in tema di Ici il cosiddetto ravvedimento operoso e cioè la possibilità di
sanare con un importo minore a quello normalmente dovuto le irregolarità qualora non si aspetti
di essere scoperti dal fisco.
La circolare ministeriale 184/E del 13 luglio 1998 ha fornito i chiarimenti sul punto.
Ravvedimento ex articolo 13, comma 1, lettera a)
Pagamento dell'imposta liquidabile sulla base della dichiarazione o denuncia di variazione nei
30 giorni decorrenti da quello di scadenza stabilito dalla legge.
Per perfezionare il ravvedimento, bisogna pagare, entro i 30 giorni:
•
l'imposta;
•
gli interessi moratori sull'imposta calcolata al tasso del 2,5%;
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il 3,75%, a titolo di sanzione, sull'ammontare dell'imposta tardivamente corrisposta (la
sanzione viene ridotta ad un ottavo del minimo. La sanzione dovrebbe infatti esser pari al
30%).
•
Il pagamento va effettuato mediante lo stesso bollettino che serve per versare l'Ici in
autotassazione.
Nelle caselline dedicate alle voci “terreni agricoli”; “aree fabbricabili”; “abitazione
principale”; “altri fabbricati” devono essere indicati gli importi corrispondenti alla sola
imposta e, quindi, senza maggiorati della sanzione ridotta e degli interessi. La somma che si va a
versare deve, invece, comprendere, oltre all'imposta, la sanzione ridotta e gli interessi.
•
Ravvedimento ex articolo 13, comma 1, lettera b)
Pagamento dell'imposta entro l’anno successivo.
Bisogna assumere il termine di presentazione della dichiarazione e non l'altro di "un anno
dall'omissione o dall'errore" in quanto il procedimento dichiarativo, di liquidazione e
accertamento, nonché il regime dell'autotassazione in materia di Ici sono disciplinati in modo
analogo a quello previsto per le imposte erariali sui redditi.
Per perfezionare il ravvedimento bisogna, entro il predetto termine di presentazione si deve
pagare:
•
l'imposta dovuta per l'intero anno precedente;
•
gli interessi moratori sull'imposta al tasso del 2,5% con maturazione giorno per giorno;
•
il 6%, a titolo di sanzione, calcolato sull'ammontare dell'imposta tardivamente
versato. Il 6% è pari ad un quinto della sanzione ordinaria pari al 30%.
Ravvedimento ex art. 13, comma 1, lettera b)
Presentazione di una dichiarazione rettificativa di precedente dichiarazione, determinante
un maggior debito d'imposta, entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa
all'anno di imposta successivo a quello per il quale si intende procedere alla rettifica.
Per perfezionare il ravvedimento bisogna: pagare, entro il predetto termine:
•
l'imposta che risulta ancora dovuta;
•
gli interessi moratori
•
un importo pari al 10% , a titolo di sanzione, calcolato sulla differenza di imposta tra quella
risultante sulla base della dichiarazione rettificativa e quella versata tempestivamente,
•
presentare, entro il predetto termine, al comune competente la dichiarazione rettificativa
Ravvedimento ex articolo 13, comma 1, lettera c)
Presentazione della dichiarazione o denuncia di variazione, che si ha l'obbligo di presentare,
entro i 30 giorni decorrenti dal giorno di scadenza stabilito dalla legge.
Per perfezionare il ravvedimento bisogna pagare entro i predetti 30 giorni:
•
l'imposta che risulta ancora dovuta;
•
gli interessi moratori sull'imposta;
•
il 12,5%, a titolo di sanzione, calcolato sulla differenza d'imposta tra quella risultate
sulla base della dichiarazione tardivamente presentata e quella versata,
•
presentare, nei predetti 30 giorni, al comune competente la dichiarazione o denuncia
di variazione.
11.3 Accertamento con adesione
Anche non accedendo al ravvedimento operoso vi un’altra possibilità per ottenere uno sconto
sulle sanzioni.
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Anche in tema di Ici è infatti possibile evitare il contenzioso e cercare di trovare un accordo con il
comune grazie all’accertamento con adesione. Lo stesso può infatti essere stato introdotto dal
comune in forza del proprio potere regolamentare.
In tal caso è da ricordare che la misura delle sanzioni è ridotta rispetto a quella ordinaria: le stesse
sono infatti ridotte ad un quarto.
26.12. Rimborso
Ai sensi dell’art. 13 del Dlgs n. 504, il contribuente può presentare al comune competente istanza
di rimborso, redatta in carta semplice, per le somme versate e non dovute, entro il termine di tre
anni dalla data del pagamento, oppure dalla data in cui è stato definitivamente accertato il diritto
alla restituzione.
Il termine di tre anni è ritenuto perentorio.
26.13. Il condono edilizio
13.1 Dichiarazione Ici
Ai sensi dell’art. 10 del dlgs 504/92 i titolari della proprietà di un immobile (o gli altri soggetti
passivi Ici) devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello stato (con esclusione di
quelli esenti dall’imposta) entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi
relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio.
La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino
modificazioni dei dati ed elementi dichiarati a suo tempo da cui derivi un diverso ammontare
dell’imposta dovuta.
Nel caso di variazioni l’obbligo dichiarativo deve essere adempiuto di nuovo denunciando le
modifiche intervenute.
Per accedere ai benefici del condono il passaggio dalla dichiarazione Ici sarà necessario (entro il
31 ottobre 2005), non essendo plausibile una regolarizzazione che non comporti (quanto meno)
un mutamento delle caratteristiche dell’immobile.
Ciò in quanto il presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di
terreni agricoli, siti nel territorio dello stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli
strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa. Con il termine
fabbricati sono da intendere le unità immobiliari iscritte o che devono essere iscritte nel catasto
edilizio urbano.
Il fabbricato di nuova costruzione (ai sensi dell’art. 2 del decreto che ha introdotto l’imposta
comunale) è soggetto all’Ici a partire dalla data di ultimazione dei lavori di costruzione ovvero, se
antecedente, dalla data in cui è comunque utilizzato
La presentazione della dichiarazione Ici si configura come un obbligo una tantum a cui il
contribuente deve dunque adempiere nel momento in cui si verificano i presupposti dell’imposta
o successivamente, solo qualora, si modifichino le caratteristiche dell’immobile oggetto
dell’imposta.
Con l’«emersione» della costruzione in forza del condono edilizio è dunque previsto che la
posizione dello stesso debba essere regolarizzata anche con riguardo all’imposta comunale,
mediante una apposita denuncia da presentare al comune.
Chiaramente il carattere eccezionale della norma comporta una deroga alle regole generali con
riguardo ai termini entro cui normalmente tale denuncia deve essere presentata. In tale sede lo
stesso è slegato dall’acquisizione del titolo di proprietà (o altro diritto) e anche dal momento di
ultimazione della costruzione essendo invece collegato all’accesso alla sanatoria immobiliare.
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13.2 Versamento Ici
È la legge 350/2003 (Finanziaria) che prevede i termini e le modalità per eseguire il versamento
dell’Ici da «condono». La stessa prevede il pagamento dell’imposta in acconto per gli anni 2003 e
2004 relativamente agli immobili interessati da procedura di sanatoria edilizia, in attesa della
definizione della pratica, dell’attribuzione del valore catastale e quindi del conguaglio d’imposta.
L’art. 2 della legge 24 dicembre 2003, nr. 350 (legge finanziaria) al comma 41 detta le regole di
calcolo e i termini del versamento Ici sugli immobili oggetto di condono ai sensi dell’art. 32 del
dl 30 settembre 2003, n. 269.
In prima battuta si ricorda come la regola prevede che l’Ici per tali immobili è dovuta dal 1º
gennaio 2003 sul valore risultante dalla sanatoria immobiliare anche se attribuito in un momento
successivo a quello a cui si riferisce l’obbligazione tributaria.
Con riguardo ai meccanismi di calcolo dell’imposta la stessa deve essere calcolata in base alla
rendita catastale attribuita in base alla procedura di regolarizzazione.
Tale fatto rende evidente come sarebbe stato impossibile provvedere al versamento entro i termini
ordinari: l’imposta 2003 sarebbe stata da versare quando ancora non si era a conoscenza
nemmeno dell’effettuazione della sanatoria e chiaramente anche la rendita a cui far riferimento.
Per superare tale situazione la regola prevede di posticipare le scadenze di pagamento per tali
immobili relativi all’imposta 2003 entro i termini previsti per l’Ici 2004. In sostanza si prevede
che l’Ici 2003 doveva essere versata nelle abituali due rate la prima scadente il 30 giugno e la
seconda il 20 dicembre 2004.
Anche in tal modo però i problemi tempistici non sarebbero stati superati in quanto il termine di
versamento sarebbe intervenuto prima dell’attribuzione della rendita e soprattutto non si sono
considerate le successive proroghe.
Si è allora previsto di sdoppiare il versamento:
- un primo dovrà essere effettuato in acconto calcolando un imposta forfetaria pari a 2 euro
per ogni metro quadro di opera edilizia regolarizzata;
- il secondo a saldo che interverrà in un momento successivo una volta attribuita la rendita
all’immobile.
Il conguaglio del totale dovuto è quindi posticipato alla chiusura della pratica di condono.
26.14. La riclassificazione degli immobili
14.1 L’aumento dei valori
Rivoluzione in arrivo per gli estimi catastali con conseguente rincaro delle imposte sugli
immobili. L’imposta comunale sugli immobili, se saranno centrati gli obiettivi del provvedimento
che da attuazione alle regole contenute nella legge finanziaria per il 2005, subirà presumibilmente
un notevole incremento a tutto vantaggio delle casse dei comuni. Praticamente senza limiti gli
immobili che potranno essere oggetto di una rideterminazione della rendita: i mutamenti che
consentono ciò sono infatti anche quelli di piccola entità. Rischio di un incremento del
contenzioso fiscale, in quanto le nuove rendite così attribuite potranoe ssere contestate davanti ai
giudici tributari.
Questo è quanto può ricavarsi dalla lettura della determinazione del direttore dell'Agenzia del
territorio d'intesa con la Conferenza stato-città e autonomie locali (che ha ottenuto ha ottenuto il
parere favorevole dalla Conferenza stato, città e autonomie) (si veda Italia Oggi del 5 febbraio
2005) che da aTtuazione ad una serie di norme contenute nell’ultima legge finanziaria.
Il provvedimento era d’altra parte richiesto dalla stessa legge finanziaria che all’art. 1 comma 339
richiedeva un apposito intervento del direttore dell'Agenzia del territorio al fine di stabilire le
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modalità tecniche e operative per l'applicazione delle innovazioni contenute in finanziaria sul
tema.
I due interventi della legge finanziaria che trovano ora le concrete modalità di attuazione sono:
- quello che concerne la possibilità di rivedere gli estimi catastali in particolari micro
zone comunali in cui la differenza tra estimi e valori di mercato sono più appariscenti;
- quello che consente ai comuni di attivare un procedimento di revisione del classamento
nel caso di immobili mai accastati e per cui non sono state denunciate le opere
migliorative.
14.2 Le micro zone comunali
Il primo intervento è da collegare a quanto previsto dal comma 335 ella legge 311/2004.
Lo stesso dispone che i comuni richiedono agli Uffici provinciali dell'Agenzia del territorio la
revisione parziale del classamento delle unità immobiliari di proprietà privata site in microzone
comunali, per le quali il rapporto tra il valore medio di mercato individuato ai sensi del
regolamento di cui al Dpr 138/1998, e il corrispondente valore medio catastale ai fini
dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili si discosta significativamente
dall'analogo rapporto relativo all'insieme delle microzone comunali.
L’intervento è quindi limitato a:
• unità immobiliari di proprietà privata;
• unità immobiliari situate in alcune micro zone comunali.
Dopo l’input del Comune l'Agenzia del territorio (se dall’esame della documentazione dovesse
verificare la sussistenza dei presupposti posti a base della richiesta dell’ente comunale) deve
procedere alla revisione degli estimi.
Ai sensi dell’art. 2 del Dpr 138/)8 la microzona rappresenta una porzione del territorio comunale
che presenta omogeneità nei caratteri di posizione, urbanistici, storico-ambientali, socioeconomici, nonché nella dotazione dei servizi ed infrastrutture urbane. Altra caratteristica della
micro zona è che nella stessa le unità immobiliari sono uniformi per caratteristiche
tipologiche, epoca di costruzione
e destinazione prevalenti; essa individua ambiti
territoriali di mercato omogeneo sul piano dei redditi e dei valori.
Nell’ambito della micro zona si potrà ora procedere ad una revisione degli estimi, la quale dovrà
basarsi sul valore di mercato medio riscontrabile nella stessa. Tale valore secondo la
determinazione del direttore dell’agenzia del territorio deve essere individuato e budini
aggiornato tenendo conto dei valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare della stessa
agenzia riferiti al secondo semestre 2004.
Il calcolo di individuazione del valore prevede che lo stesso sia quello centrale dell’intervallo dei
valori indicati nell’Osservatorio relativo alla singola micro zona e alla tipologia di immobile
ritenuta omogenea per la stessa. Nel caso in cui a una microzona corrispondano due o due o più
zone territoriali il risultato si ottiene tramite una media dei singoli valori individuati.
Importante è che il provvedimento disponga come gli uffici provinciali debbano mettere a
disposizione dei comuni i valori così individuati. Tale strumento diverrà decisivo ai fini delle
azioni che il comune dovesse decidere di intraprendere per attivare la procedura di revisione.
14.3 La rideterminazione della rendita dei singoli immobili
La seconda disposizione contenuta in finanziaria ha ad oggetto singoli immobili. La disposizione
è contenuta nel comma 336 della legge finanziaria il quale prevede:
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come primo passo che i comuni constatino la presenza di immobili di proprietà
privata non dichiarati in catasto ovvero la sussistenza di situazioni di fatto non più
coerenti con i classamenti catastali per intervenute variazioni edilizie;
- in tal caso i comuni devono richiedono ai titolari di diritti reali di tali fabbricati la
presentazione di atti di aggiornamento;
- tale richiesta avanzata dall’ente comunale deve contenere quanto constatato ed anche
(se rinvenibile) la data cui riferire la mancata presentazione della denuncia
catastale;
- la richiesta è notificata ai soggetti interessati e nel contempo comunicata agli uffici
provinciali dell'Agenzia del territorio.
A questo punto la palla passa a destinatari della richiesta i quali devono ottemperare a quanto loro
richiesto entro novanta giorni dalla notificazione: in caso di mancato adempimento gli uffici
provinciali dell'Agenzia del territorio (che in forza della comunicazione loro inviata sono già a
conoscenza della situazione) provvedono alla iscrizione in catasto dell'immobile non
accatastato ovvero alla verifica del classamento delle unità immobiliari segnalate (le spese del
procedimento sono a carico dell'interessato).
Il risultato dell’operato delle agenzie (nuovo classamento e nuova rendita) deve poi essere
notificato all’interessato.
Anche sul punto si conoscono ora le modalità operative con cui si darà attuazione anche a questa
previsione.
Il primo dubbio che ci si poneva era come, concretamente il comune dovesse verificare
l’esistenza di un fabbricato non censito o della modifica di edificio anch’essa non accatastata. O
meglio ancora quale fossero le fonti da cui tali notizie dovessero pervenire.
Le indicazioni del provvedimento del territorio dell’agenzia sono molto ampie sul punto.
Infatti si sostiene che gli elementi idonei a far scattare la procedura possono essere (a titolo
esemplificativo) quelli:
• rinvenibili nell’archivio edilizio comunale,
• nell’archivio delle licenze commerciali,
• nei verbali di accertamento di violazioni edilizie,
• nella cartografia tecnica,
• nelle immagini territoriali o
• tratti da ogni altra documentazione idonea allo scopo.
Con riguardo ai compiti degli uffici locali dell’agenzia si indica come le stesse devono prendere
in considerazione gli input di derivazione comunale qualora le richieste riguardino unità
immobiliari interessate:
a) da interventi edilizi che abbiano comportato la modifica permanente nella destinazione
d’uso,
b) da interventi edilizi che abbiano portato ad un incremento stimabile in misura non
inferiore al 15% del valore di mercato e della relativa redditività ordinaria derivante, di
norma, da interventi edilizi di ristrutturazione edilizia nonché da quelli di manutenzione
straordinaria, da quelli di restauro e risanamento conservativo qualora in particolare
abbiano interessato l’intero edificio. Su tale punto occorre soffermarsi. Soprattutto
considerando l’inclusione tra gli interventi che possono permettere una revisione della
rendita degli interventi di manutenzione straordinaria appare evidente come l’ambito di
applicazione risulti smisurato. E’ facilissimo trovare edifici che negli ultimi anni hanno
subito interventi di tale tipo e pertanto è da ritenere infinita la platea di immobili che
almeno potenzialmente potranno essere oggetto di revisione catastale. A poco vale la
precisazione che tali interventi saranno considerati “in particolare quando gli stessi
abbiano comportato una variazione della consistenza ovvero delle caratteristiche
tipologiche distributive e impiantistiche originarie delle unità mobiliari”, soprattutto
considerando che la specificazione è preceduta dalla locuzione “in particolare” che
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sembra non escludere in toto le manutenzioni straordinarie che non abbiano comportato
tali effetti;
c) dagli
interventi
edilizi
di
nuova
costruzione
non dichiarate in catasto;
d) dal rilascio di licenze a uso commerciale che abbiano comportato modifiche permanenti
nella destinazione d’uso e che sono iscritte in catasto con categoria non coerente con la
destinazione autorizzata;
e) dal passaggio dalla categoria delle esenti dalle imposte sugli immobili a quelle delle unità
soggette a imposizione (esempio: le costruzioni adibite ad abitazioni o ad altre
destinazioni già funzionali all’esercizio dell’attività produttiva agricola e censite in catasto
come fabbricati rurali, che di fatto hanno perso il requisiti della ruralità).
Le richieste invece non dovrebbero dar luogo ad alcuna procedura da parte degli uffici locali
dell’agenzia se le richieste abbiano per oggetto “unità immobiliari già censite e oggetto di
interventi edilizi che non abbiano comportato una variazione di destinazione d’uso né un
incremento del valore e della relativa redditività ordinaria in misura significativa ai fini della
variazione del classamento”.
Rientrano in tale ipotesi:
a) gli interventi di manutenzione ordinaria
b) gli interventi di manutenzione straordinaria in particolare qualora non abbiano comportato
una variazione della consistenza e delle caratteristiche tipologiche distributive e
impiantistiche originarie delle unità immobiliari (vedi commento al punto b) precedente);
c) gli interventi di restauro e risanamento conservativo qualora in particolare non abbiano
interessato l’intero edificio,
d) gli interventi di adeguamento degli impianti tecnologici alle normative tecniche e di
sicurezza, di riparazione e rinnovo di impianti esistenti,
e) gli interventi di consolidamento e conservazione degli elementi edilizi strutturali.
14.4 La richiesta di classamento
Tutta la procedura trova il suo avvio dalla richiesta notificata dall’ente comunale ai soggetti
obbligati alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Tale richiesta deve contenere:
a) i dati catastali dell’unità immobiliare (se disponibili) o quelli del terreno sul quale insiste
la costruzione non dichiarata in catasto;
b) gli elementi oggetto della constatazione;
c) le modalità e i termini secondo i quali è possibile adempiere agli obblighi, e le
conseguenze in caso di inadempienza;
d) la data, qualora accertabile, cui riferire il mancato adempimento degli obblighi in materia
di dichiarazione delle nuove costruzioni o di variazione di quelle censite al catasto edilizio
urbano.
Una volta ricevuta la notifica della richiesta i titolari di diritti reali sulle unità
Immobiliari sono obbligati alla presentazione degli atti di aggiornamento per il tramite di un
professionista tecnico abilitato.
L’adempimento deve essere effettuato presentando all’Agenzia del territorio gli atti di
aggiornamento entro 90 giorni dalla notifica della richiesta da parte del comune, indicando
protocollo e data della stessa.
Non bisogna però pensare che un eventuale inadempimento (anche se eventualmente sanzionato)
permetta di non aggiornare la posizione catastale dell’immobile. Infatti l’agenzia decorsi i 90
giorni concessi al titolare del diritto reale deve provvedere d’ufficio all’aggiornamento. Per poter
far ciò è previsto che i comuni trasmettano a richiesta degli uffici locali dell’agenzia i documenti
necessari.
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I compiti dell’agenzia (unico titolare a provvedere al classamento) non sono però automatici. Sarà
compito della stessa anche in caso di mancato adempimento del titolare del diritto reale
sull’edificio, di verificare gli atti e i documenti inviati dal comune al fine di decidere circa la
necessità o meno del riclassamento.
Come si vede diventa pertanto necessario un continuo scambio di informazioni tra comuni e
agenzia. A tal fine il provvedimento del direttore dispone che l’Agenzia rende disponibile una
procedura per la creazione di un database informatico contenente l’elenco delle richieste inviate
articolato per unità immobiliare da cui è possibile rintracciare (i dati che seguono sono inviati dai
comuni all’agenzia con cadenza mensile):
• gli identificativi dell’unità immobiliare, se disponibile, o del terreno sul quale insiste la
costruzione non dichiarata in catasto;
• dati relativi alla toponomastica;
• generalità e domicilio dei destinatari della richiesta;
• data e protocollo della richiesta inoltrata ai suddetti destinatari;
• data di avvenuta notifica;
• sintesi dei dati accertati e da cui discende il procedimento attivato dal comune;
• data, se conosciuta, cui riferire la violazione degli adempimenti
• catastali in materia di dichiarazione di nuove costruzioni o di variazione
• di quelle censite.
Successivamente ai provvedimenti di classamento le agenzie poi restituiscono ai comuni un
ulteriore data base da cui dovranno emergere:
• i nuovi dati di censimento attribuiti alle unità immobiliari;
• la data di inserimento in atti del nuovo accertamento;
• la data di avvenuta notifica delle nuove rendite.
14.5 Come difendersi
Il procedimento si chiederà con la notifica di una nuova rendita nonché con la notifica degli oneri
(e delle sanzioni) che sono posti a capo del contribuente. Nelle operazioni di notifica si prevede
che i comuni collaborino con gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio.
Tali notifiche dovranno anche contenere le indicazioni per l’impugnazione ai sensi all’art. 19 del
decreto legislativo del 31 dicembre 1992, n. 546.
In sostanza l’atto finale del procedimento risulta essere una notifica concernete una revisione
della rendita, atto questo per cui è previsto un apposito iter di contestazione e difesa da parte del
contribuente.
Le norme sul processo tributario includono infatti tra gli atti impugnabili gli atti relativi alle
operazioni catastali i quanto la giurisdizione tributaria si estende anche alle controversie “
promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura,
l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo
di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il
classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale”.
Considerando quanto ampia risulta essere il potenziale campo di applicazione del provvedimento
non è difficile ipotizzare un massiccio ricorso alla difesa contenziosa rispetto a quanto notificato.
E ciò in quanto il nuovo classamento porterà ad un incremento delle rendite e quindi del valore
catastale degli immobili con effetti considerevoli in tema di Ici e Irpef da pagare sugli stessi.
Si ritiene che anche nel caso di specie debba valere la regola secondo gli atti attributivi o
modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere
dalla loro notificazione ai soggetti intestatari della partita.
Dalla data di notificazione decorre il termine di 60 giorni per la proposizione del ricorso
avverso l'attribuzione della rendita catastale, ai sensi dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. 31
dicembre 1992, n. 546.
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II. LE OPERAZIONI STRAORDINARIE
L'IMPATTO DELLA RIFORMA DELL'IRES SULLA DISCIPLINA DELLE
OPERAZIONI STRAORDINARIE
Il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, è intervenuto a ridisegnare la disciplina fiscale
delle operazioni societarie straordinarie sulla spinta di una sentita esigenza di razionalizzazione
del sistema, che, con l'avvento della nuova imposta Ires, risultava di fatto ormai superato.
Le modifiche sono state necessarie per due ordini di ragioni:
- in primo luogo, la riduzione dell'entità del prelievo sul reddito ordinario e la fissazione di
un'unica aliquota hanno reso meno giustificabile l'esistenza di un prelievo sostitutivo
- in secondo luogo, l'imposta sostitutiva applicabile a tali fattispecie si prestava ad
arbitraggi di aliquote fra le parti dell'operazione in quanto consentiva all'impresa cedente
di subire la tassazione delle plusvalenze con l'aliquota ridotta e all'impresa cessionaria di
acquisire corrispondenti valori rivalutati dei beni aventi rilevanza, viceversa, ai fini
dell'applicazione dell'aliquota piena.
Come riportato nella relazione illustrativa al Dlgs n. 344/2003, gli effetti distorsivi,
derivanti dalla perpetuazione di tale meccanismo, erano tanto più evidenti nel caso di
imprese appartenenti a un medesimo gruppo e, dunque, con interessi comuni.
Pertanto, in linea generale con la riforma, è stata abolita l'imposta sostitutiva prevista dal Dlgs n.
358/1997, passando all'applicazione del prelievo ordinario Ires con aliquota del 33 per cento.
La ragione di tale abrogazione sta principalmente nell'intento di correggere le distorsioni del
vecchio sistema, per cui il valore attuale dell'imposta sostitutiva, prelevata con l'aliquota del 19
per cento, risultava in linea di massima significativamente inferiore rispetto al risparmio
d'imposta derivante dai corrispondenti ammortamenti deducibili nella misura del 38,25 per cento
(per il 2003).
Tale nuovo meccanismo di tassazione, comunque, non opera in maniera isolata, in quanto, come
verrà approfondito di seguito, le operazioni straordinarie fanno parte di un disegno più vasto
delineato dal legislatore della riforma. Infatti, con le nuove norme, ad esempio, è possibile fruire
di un regime di esenzione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di aziende tra società
appartenenti al medesimo gruppo fiscale per effetto dell'introduzione del consolidato domestico,
che consente il trasferimento infragruppo senza realizzo di plusvalenze o minusvalenze e senza
alterazione dei valori fiscalmente riconosciuti dei beni diversi da quelli che producono ricavi.
Allo stesso modo, le modifiche devono essere collegate all'introduzione della participation
exemption.
Pertanto, dopo alcune brevi considerazioni sui principi e sulla decorrenza delle nuove norme, si
procederà ad un’analisi compiuta della disciplina fiscale delle varie operazioni straordinarie, il cui
regime di tassazione, nei tratti fondamentali, evidenzia i seguenti aspetti:
- assoggettamento a imposizione ordinaria delle plusvalenze derivanti da cessioni e
conferimenti di aziende e di partecipazioni di controllo o collegamento (conseguente
all'abolizione dell'imposta sostitutiva prevista dal Dlgs n. 358/1997)
- abolizione della possibilità, prevista dallo stesso Dlgs n. 358/1997, di ottenere il
riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti per effetto dell'imputazione dei
disavanzi da annullamento e da concambio derivanti da operazioni di fusione e scissione
- mantenimento dei regimi di neutralità fiscale per le operazioni straordinarie tra società di
Stati membri diversi ex Dlgs n. 544/1992.
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Per quanto riguarda la decorrenza, è stato previsto che le nuove norme trovino applicazione a
partire dai periodi d'imposta iniziati a decorrere dal 1° gennaio 2004.
Era stata prevista un'eccezione dall’articolo 3, comma 2, Dlgs n. 344/2003 che ha stabilito che le
disposizioni di cui al D.Lgs n. 358/1997 sono abrogate con riguardo alle cessioni e ai
conferimenti nonché alle operazioni di fusione e scissione perfezionate dopo il 31 dicembre 2003.
Pertanto, riguardo alla decorrenza, occorre distinguere tra:
- soggetti con periodo coincidente con l'anno solare;
- soggetti con periodo non coincidente con l'anno solare;
Mentre per i primi non ci sono particolari problemi, in quanto le nuove norme si
applicano a decorrere dal periodo d'imposta che è iniziato il 1° gennaio 2004, per i
secondi soggetti, occorre scindere tra:
- nuove norme del Tuir: si applicano dal primo periodo d'imposta che inizia dopo il 1°
gennaio 2004
- vecchie norme del D.Lgs n. 358/1997: hanno trovato applicazione sino alle operazioni
perfezionate entro il 31 dicembre 2003.
Inoltre, per fusioni e scissioni è stata prevista una disciplina transitoria: in base all'articolo 4,
comma 1, lettera a), D.Lgs n. 344/2003, per le operazioni di fusione e scissione deliberate dalle
assemblee delle società partecipanti fino al 30 aprile 2004, ha continuato ad applicarsi l'articolo 6,
comma 2 del D.Lgs n.358/1997 ("affrancamento gratuito" del disavanzo di fusione e di
scissione).
Si fornisce di seguito uno schema riepilogativo delle modifiche intervenute agli articoli che
disciplina le operazioni straordinarie dal punto di vista tributario.
Disciplina
Trasformazione di società
Trasformazione eterogenea
Fusione di società
Scissione di società
Fusione e scissione enti diversi da società
Conferimenti aziende o partecipazioni di
controllo o collegamento
Regimi fiscali del soggetto conferente e del
conferitario
Scambi di partecipazioni
Norma attuale
Art. 170 Tuir
Art. 171 Tuir
Art. 172 Tuir
Art. 173 Tuir
Art. 174 Tuir
Vecchia norma
Art. 122 vecchio Tuir
Art. 123 vecchio Tuir
Art. 123-bis vecchio Tuir
Art. 126 vecchio Tuir
Art. 175 Tuir
Art. 3 Dlgs n. 358/97
Art. 176 Tuir
Art. 4 Dlgs n. 358/97
Art. 177 Tuir
Art. 5 Dlgs n. 358/97
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II.1. LE FUSIONI E LE OPERAZIONI DI LEVERAGED BUY-OUT
La fusione è un istituto specifico delle società volto a realizzare una concentrazione aziendale
mediante l’unificazione di due o più società in una sola e, contemporaneamente, l’estinzione di
tutte o di alcune delle società partecipanti.
L’operazione di fusione può avvenire in due modi principali:
- fusione vera e propria (ovvero fusione per unione) con la quale due o più società si
fondono e si estinguono costituendo una nuova società c.d.”risultante”;
- fusione per incorporazione, con la quale una delle due o più società partecipanti rimane in
vita (incorporante) ed incorpora le altre (incorporate) che si estinguono. La fusione per
incorporazione può, tra l’altro, avvenire in diversi modi a seconda che la società
incorporante detenga o meno partecipazioni nelle incorporate.
Rinviando la trattazione civilistica della disciplina della fusione agli articoli 2501 e 2505-quater
del c.c. Nel proseguo si procede ad una disamina della disciplina tributaria della suddetta
operazione straordinaria
1. Il principio di neutralità
Ai fini delle imposte sul reddito, l'operazione di fusione si configura come neutrale, ossia
non suscettibile di generare componenti positivi o negativi di reddito in capo alla
società incorporante o risultante dall'operazione. Le disposizioni che recano la
disciplina fiscale della fusione con riferimento a tale ambito sono contenute nei primi 3
commi del novello articolo 172 del D.P.R. 917/1986, ed in particolare:
- nel comma 1, che stabilisce che la fusione non dà luogo a realizzo né a distribuzione di
plus-valenze e minusvalenze dei beni della società fusa, comprese quelle relative alle
rimanenze e al valore di avviamento;
- - nel comma 2, che stabilisce che nella determinazione del reddito della società
incorporante o risultante dalla fusione non si tiene conto dell'avanzo o del disavanzo
conseguenti al rapporto di cambio delle azioni o quote, né di quelle conseguenti
all'annullamento di azioni o quote. In via ulteriore, che i maggiori valori iscritti in
bilancio per effetto dell'eventuale imputazione del disavanzo, sia esso di annullamento
o di concambio, ai beni della società incorporata o fusa sono fiscalmente irrilevanti,
fermo restando tuttavia l'obbligo di presentare nella dichiarazione dei redditi apposito
prospetto di riconciliazione tra dati contabili e corrispondenti valori fiscali;
- nel comma 3, che sancisce espressamente la neutralità del concambio delle partecipazioni
in capo ai soci delle società fuse o incorporate, fatta eccezione per l'eventuale
conguaglio.
1.1. L'intassabilità delle plusvalenze latenti
Il comma 1 dell’articolo 172 del Tuir sancisce il principio della continuità in capo alla
società incorporante o risultante del valore fiscale dei beni riconosciuto in capo alle società
fuse o incorporate. In altri termini, la disposizione assicura la neutralità fiscale della
fusione, posto che preclude la realizzazione in capo alla società incorporante o risultante
di plusvalenze o minusvalenze imponibili, comprese quelle relative alle rimanenze e al valore
dell'avviamento, per effetto del mero trasferimento dei beni.
La norma, a ben vedere, recupera il disposto dell'articolo del Tuir ante riforma, evitando
tuttavia di replicarne in toto il contenuto. Il comma 1 di quest'ultimo, infatti, accanto a quanto
sopra esposto, disponeva l'irrilevanza, ai fini della determinazione del reddito, dei predetti
plusvalori o minusvalori laddove esposti nelle situazioni patrimoniali di supporto alla fusione,
stabilendo il principio per cui gli stessi non dovessero considerarsi iscritti a bilancio. Tale
mancanza non ha risvolti sostanziali ma al contrario evidenzia l'intenzione del legislatore di
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superare un passaggio letterale di cui si era già evidenziata in passato l'esuberanza: l'avvenuta
abrogazione della lettera c) del vecchio articolo 54, comma 1, del Tuir, e del principio ivi
codificato di rilevanza fiscale delle plusvalenze meramente iscritte bilancio, operata dalla L. 27
dicembre 1997, n. 449, nonché il tenore della norma speculare in tema di minusvalenze,
ovverosia l’articolo 66 del Tuir ante riforma, infatti, garantivano già la neutralità delle poste
in commento.
1.2. Le differenze di fusione
La norma contenuta nel comma 2 del novello articolo 172 del Tuir si muove su presupposti
simili a quelli delineati a regime dal sistema ante 2004, rimarcando nuovamente l'intento del
legislatore di fare della fusione operazione fiscalmente neutrale anche in relazione alle sue
poste tipiche, ovvero le differenze.
Il testo, in questo senso, recupera in larga parte quanto indicato nel precedente articolo del
Tuir, preoccupandosi in primis di sottolineare l'irrilevanza dei disavanzi e degli avanzi iscritti,
sia da concambio che da annullamento, ai fini della determinazione del reddito della società
risultante dalla fusione o incorporante.
Diversamente da tale previsione, alla luce dei principi generali cui risulta ispirato anche il
nuovo sistema delle imposte sul reddito, scompare invece il dispositivo relativo al disavanzo di
annullamento, in passato oggetto di un lungo confronto tra Amministrazione finanziaria
e contribuenti. In luogo dello stesso, infatti, è presente una norma di dettaglio apparentemente
più finalizzata a fungere da normale completamento
del passaggio precedente che ad avere un suo ambito di applicazione specifico. Il comma 2
dell'art. 172, in particolare, completa il principio di neutralità delle differenze di fusione:
- precisando come quest'ultimo non venga meno in caso di ripartizione del disavanzo, sia
esso di annullamento o di concambio, tra i beni della società fusa o incorporata che ne
costituiscono il presupposto;
- fissando il principio per il quale in ogni caso di disallineamenti tra valori civilistici e
fiscali, la società incorporante sia tenuta alla presentazione di un apposito quadro della
dichiarazione.
Certamente più rilevante da un punto di vista sostanziale è l'abolizione della possibilità
di convertire in valori fiscalmente riconosciuti i disavanzi da concambio e da annullamento.
Se infatti, per effetto della disposizione transitoria di cui all'art. 4, lettera a), del decreto di
riforma rimane possibile richiedere il riconoscimento fiscale gratuito dei disavanzi da
annullamento per le operazioni deliberate sino al 30 aprile 2004, è altresì vero che la medesima
opportunità non è più riconosciuta per l'affrancamento "oneroso" di cui all’articolo 6, comma 1,
del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, abrogato con effetto 1° gennaio 2004 dall'art. 3, comma 2,
del decreto di riforma.
Il mutamento del regime fiscale, capace di rendere frequente il prodursi in futuro di
doppi binari civilistico-fiscali legati all'iscrizione in bilancio di valori o di maggiori valori
privi della "copertura" fiscale, è stato ascritto dal legislatore alla necessità di "razionalizzare" il
sistema. Le specifiche ragioni addotte nella relazione accompagnatoria al D.Lgs. n. 344/2003
non risultano tuttavia immuni da osservazioni critiche.
Il prelievo sostitutivo, infatti, è stato ritenuto poco giustificato in relazione alla riduzione
dell'entità del prelievo sul reddito ordinario ed alla fissazione di un'unica aliquota. In via
ulteriore, lo stesso è stato censurato in ragione della sua capacità di favorire degli arbitraggi di
aliquote fra le parti consentendo, in sintesi, all'impresa cedente di subire la tassazione ad
aliquota ridotta e all'impresa cessionaria di acquisire corrispondenti valori rivalutati dei beni
aventi rilevanza ai fini dell'aliquota piena.
Sul punto è agevole notare come non solo la riduzione del prelievo ordinario non appaia tale
da rendere superflua un'aliquota caratterizzata da un significativo scarto percentuale, soprattutto
laddove si condividano ancora gli scopi agevolativi che ne hanno favorito l'introduzione, ma
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come il presunto effetto negativo, dato dal citato arbitraggio, abbia rappresentato il senso
stesso della norma sin dalla
sua
nascita, accompagnandone negli anni la relativa
applicazione.
La previsione, poi, di un sistema di participation exemption sulle plusvalenze da cessione,
capace se non di eliminare quantomeno di ridurre in generale i casi di loro tassazione, ha reso
meno stringente agli occhi del legislatore il problema di doppia imposizione legato alla
fattispecie del disavanzo di annullamento: in questo senso, il lasso di tempo concesso dalla
disposizione transitoria più sopra ricordata deve essere letto come un'opportunità rimessa ai
contribuenti di sanare le riorganizzazione passate al fine di allinearsi al nuovo sistema in
vigore. È giocoforza notare sul punto, tuttavia, come l'attenuazione del problema non implichi
per definizione la sua soluzione così che il tema della duplicità di tassazione permarrà in seno
allo scenario operante a regime ogni qualvolta il sistema di esenzione sulle plusvalenze da
cessione non sarà attivabile e la tassazione scontata non avrà modo di emergere fiscalmente,
sotto forma di ammortamenti deducibili, in seno ad una successiva fusione per
incorporazione della partecipata. A solo titolo esemplificativo, si pensi all'ipotesi in cui la
partecipazione ceduta alla futura incorporante sia relativa a società immobiliari o ancora non
soddisfi il requisito del possesso temporale di cui al novellato articolo 87 del Tuir: in tutti
questi casi, infatti, l'imposizione scontata alla fonte si sommerà a quella indiretta derivante
dal suo mancato riconoscimento a valle, in contrasto con il divieto di doppia imposizione di cui
all'articolo 163 del Tuir e nonostante la perdurante operatività nel sistema di una norma,
l’articolo 37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con la quale l'Amministrazione finanziaria
può censurare fattispecie singolarmente elusive.
1.3. Il concambio delle partecipazioni
Il comma 3 del novello articolo 172 del Tuir è certamente innovativo, esplicitando un
principio già di pacifica applicazione ma in precedenza enunciato nel solo ambito della
scissione. La norma, infatti, recuperando la lettera dell'art. 123-bis del D.P.R. n. 917/1986 ante
riforma, oggi trasfusa nel nuovo articolo 173 del Tuir, sancisce il principio di neutralità fiscale
della fusione in capo ai soci della società fusa o incorporata. La stessa, in particolare, dispone che
il cambio di partecipazioni originarie
non costituisce:
a) né realizzo, né distribuzione di plusvalenze o minusvalenze, per coloro che detengono la
partecipazione fuori dall'ambito imprenditoriale, o che, pur imprenditori, la detengono
quale immobilizzazione finanziaria;
b) né conseguimento di ricavi, per i soci "imprenditori" della società scomparsa per i
quali la partecipazione costituisca un bene dell'attivo circolante.
In caso di conguaglio, tuttavia, viene fatta salva l'applicazione dell'articolo 47 comma 7,
del D.P.R. n. 917/1986, e, se del caso, dei successivi articoli 58 e 87.
2. I fondi in sospensione
L’articolo 172 comma 5, del Tuir, recuperando in buona parte il dispositivo dell'art. 123,
comma 4, ante riforma, dispone che le riserve in sospensione d'imposta iscritte nell'ultimo
bilancio delle società fuse o incorporate concorrono a formare il reddito della società risultante
dalla fusione o incorporante nell'esercizio in cui l'operazione è stata effettuata se e nella
misura in cui non siano state ricostituite a bilancio. In definitiva, si tratta dei fondi "tassabili
in ogni caso", quali, ad esempio, il fondo di accantonamento ex articolo 11 della L. 2 maggio
1990, n. 102, il fondo di accantonamento istituito ex articolo 11 della L. 5 ottobre 1991, n. 317,
il fondo di accantonamento di cui all’articolo 33, comma 9, della L. 30 dicembre 1991, n. 413,
o la riserva per ammortamenti anticipati di cui all’articolo 67, comma 3, del Tuir, nel testo ante
riforma.
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In caso di insufficienza dell'avanzo di fusione, che il legislatore fissa ora come voce deputata
in primis alla ricostituzione delle poste in sospensione, o di incapienza di riserve libere, è
possibile operare la ricostituzione in oggetto vincolando in tutto o in parte il capitale sociale
dell'incorporante "senza che lo stesso abbia separata evidenza nelle poste di patrimonio netto
dello stato patrimoniale". Rimane ferma, chiaramente, la possibilità per i soci di procedere
altresì a dei versamenti in conto capitale.
Peraltro, le riserve tassabili "solo in caso di distribuzione", "se e nel limite in cui vi sia avanzo
di fusione o aumento di capitale per ammontare superiore al capitale complessivo delle
società partecipanti alla fusione al netto delle quote del capitale di ciascuna di esse già possedute
dalla stessa o da altre", concorrono a formare il reddito della società risultante dalla fusione o
incorporante unicamente in caso di distribuzione dell'avanzo o di distribuzione del capitale ai
soci. Tali poste, che costituiscono quindi categoria diversa da quella precedente, sono, ad
esempio, la riserva di rivalutazione monetaria ex L. 19 marzo 1983, n. 72, le riserve di
rivalutazione ex articolo 4 della L. 29 dicembre 1990, n. 408, ed ex articolo 26 della L. 30
dicembre 1991, n. 413, e le riserve da conferimento agevolato costituite ai sensi dell’articolo 34
della L. 2 dicembre 1975, n. 576, così come prorogato dal successivo articolo 10 della L. 16
dicembre 1977, n. 904.
Si sottolinea come allo stato attuale rimanga ancora incerto il trattamento da riservasi alla
posta "avanzo" al fine del calcolo del plafond su cui estendere il regime di sospensione delle
riserve "tassabili solo in caso di distribuzione". In altre parole, è quantomeno opportuno un
chiarimento ministeriale sulla necessità di considerare quest'ultimo nella misura in cui emergente
tout court dalla fusione o al contrario nella misura in cui eccedente l'ammontare utilizzato per
la ricostituzione di
eventuali riserve in sospensione "tassabili in ogni caso".
In via ulteriore, si ricorda come le riserve "tassabili solo in caso di distribuzione", imputate
anteriormente alla fusione al capitale delle società fuse o incorporate, si intendano comunque
trasferite nel capitale della società risultante dalla fusione o incorporante e concorrano a
formarne il reddito in caso di riduzione del capitale per esuberanza.
Sul tema delle riserve in sospensione, si conclude osservando come il legislatore si sia
preoccupato di introdurre nel più ampio dispositivo dell'art. 172 un comma, il 6,
appositamente destinato a disciplinare fiscalmente il destino dell'aumento di capitale o
dell'avanzo di fusione, sia esso di annullamento o di concambio, eccedente l'ammontare
necessario al rispetto del precedente dispositivo. La norma, in particolare, dispone come lo
stesso assuma la natura delle poste, diverse dalle riserve in sospensione di cui sopra, presenti
nel patrimonio netto della società fusa o incorporata, in via proporzionale.
Esemplificando, laddove quest'ultima presenti un patrimonio netto formato, senza
considerare le riserve in sospensione, per il 30 per cento da riserve di utili, l'avanzo e/o
l'aumento di capitale sociale dell'incorporante, una volta rispettati gli obblighi che
discendono dall’articolo 172 comma 5, del Tuir, assumeranno la stessa natura in via
proporzionale. In particolare, la norma sarà da ritenersi rispettata, in presenza di entrambe le
poste, in via cumulativa e quindi:
- calcolando in via aggregata l'ammontare destinato ad ereditare la natura di utili (i.e. il 30
per cento della somma "avanzo" e "aumento di capitale");
- imputando lo stesso per intero, fino a concorrenza del totale, all'"avanzo" e solo per
l'eventuale residuo all'"aumento di capitale sociale".
Così operando, infatti, si eviterà un'inutile complicazione del quadro complessivo, data
dall'eventuale attribuzione della natura di utili ad un pro-quota (nell'esempio sviluppato, il 30
per cento) di entrambe le voci, salvaguardando la ratio della disposizione di legge.
3. Le perdite
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Il riporto delle perdite delle società coinvolte in operazioni di fusione è disciplinato
dall’articolo 172 comma 7, del Tuir, il cui dispositivo recupera in modo pressoché integrale il
dettato del precedente art. 123, comma 5.
Quest'ultima norma rappresenta il frutto di un riorientamento ministeriale avvenuto a
metà degli anni '80, quando, nelle more dell'approvazione dell'attuale testo unico delle
imposte sui redditi, si decise l'inserimento nel precedente decreto in materia di un correttivo
capace di limitare il cosiddetto "commercio delle bare fiscali", ovverosia il trasferimento di
complessi aziendali il cui unico valore aggiunto è la titolarità di perdite pregresse idonee a
ridurre i redditi imponibili. In particolare, con L. 8 agosto 1986, n. 487, fu introdotto un vincolo
atto a limitare il riporto delle perdite delle società fuse o incorporate all'ammontare del
patrimonio netto risultante dalla situazione patrimoniale
redatta ai sensi della norma civilistica, nonché furono sterilizzati i processi di
ricapitalizzazione posti in essere nei 18 mesi anteriori la data di riferimento del predetto
documento.
Il dispositivo così creato, trasfuso integralmente nell’articolo 123 comma 5, del D.P.R. n.
917/1986 e poi nel novello art. 172, comma 7, del medesimo decreto, è quello oggi in vigore,
seppur arricchito nel corso degli anni di previsioni ulteriori volte da una parte a dare rilevanza, ai
fini del computo dell'ammontare di perdite riportabili, anche all'ammontare di patrimonio
netto evidenziato nell'ultimo bilancio approvato, e dall'altra ad aumentare il lasso di tempo
relativo ad operazioni di ricapitalizzazione potenzialmente sterilizzabili. Elemento innovativo
introdotto nel tempo è poi la condizione di operatività posta per le società coinvolte in
operazioni di fusione, volta a limitare la possibilità di una compensazione intersoggettiva di
perdite in presenza di soggetti non solo in stato di profonda crisi ma altresì di fatto non più
attivi.
Il testo oggi applicabile, riassumendo le considerazioni che precedono, recita pertanto quanto
segue: "Le perdite delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante,
possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o
incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l'ammontare del rispettivo
patrimonio netto quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione
patrimoniale di cui all’articolo 2501-quater del codice civile, senza tener conto dei
conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la
situazione stessa, e sempre che dal conto economico dei profitti e delle perdite della società le
cui perdite sono riportabili, relativo all'esercizio precedente a quello in cui la fusione è
stata deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica, e un
ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui
all’articolo 2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media
degli ultimi due esercizi superiori. Tra i predetti versamenti non si comprendono i contributi
erogati a norma di legge dallo Stato e da altri enti pubblici ...".
L'ultimo periodo del comma 7 dell'art. 172 dispone che in caso di possesso delle azioni o
quote della società la cui perdita è riportabile da parte dell'incorporante o di altra società
partecipante alla fusione, la perdita non è deducibile fino a concorrenza dell'ammontare
complessivo della svalutazione effettuata dalla società detentrice delle azioni o quote o
dall'impresa che le ha ad essa cedute, successivamente all'esercizio al quale si riferisce la perdita
e prima dell'atto di fusione. Lo scopo della disposizione è chiaramente quello di evitare che
l'incorporante possa portare in diminuzione dai propri redditi, successivi alla fusione, delle
perdite che sono già state dalla stessa utilizzate fiscalmente mediante svalutazioni delle
partecipazioni, con conseguente duplicazione di effetti.
La riforma, rispetto alla lettera del precedente art. 123, comma 5, non ha introdotto aspetti di
rilevanza sostanziale, limitandosi in buona parte ad aggiornare i richiami civilistici, alla luce
della contestuale entrata in vigore del nuovo diritto societario, nonché a sgravare la norma di
passaggi ormai desueti e privi di significato. In quest'ottica va letta l'abolizione del passaggio
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finale del precedente articolo 123 comma 5, del Tuir, che fissava un'ulteriore decurtazione della
perdita riportabile nella misura in cui la società incorporante o risultante contemplasse a bilancio
un disavanzo in franchigia d'imposta: l'abrogazione della possibilità di iscrivere tali poste,
infatti, fissata dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, impediva da tempo la temuta duplice
rilevanza fiscale della medesima perdita cosicché, come riconosciuto dalla Circolare 3 maggio
1996, n.108/E, il passaggio di legge aveva già perso ogni rilevanza pratica.
La modifica, infatti, assume grande rilevanza per quei soggetti per i quali in passato il rischio
di censure prive di reali giustificazioni era tale da rendere spesso doverosa la presentazione di un
apposito interpello, teso a consentire un apprezzamento della singola fattispecie da parte
dell'Amministrazione finanziaria e quindi a garantire il non prodursi di ingiustificate
discriminazioni. Il riferimento, in particolare, è a tutti quegli enti finanziari che redigono il
bilancio ex D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127, e non secondo le regole previste per gli enti
creditizi e finanziari dal D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 87. Tali sono ad intendersi, tra gli altri, i
soggetti che, svolgendo, non nei confronti del pubblico ed in via esclusiva o prevalente,
attività quali l'assunzione di partecipazioni, la concessione di finanziamenti, la prestazione di
servizi di pagamento e di intermediazione in cambi, sono iscritti nella sezione speciale ex
articolo del D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e
creditizia), dell'elenco generale tenuto presso l'Ufficio italiano cambi. Le società in questione,
infatti, nella piena osservanza dei Principi contabili, includono i propri componenti positivi
"caratteristici" nell'aggregato C di conto economico, e non nella voce A1 fissata espressamente in
passato dall’articolo 123 comma 5, del Tuir, cosicché, prima dell'intervento riformatore del
legislatore, le stesse, in seno ad una fusione, lasciavano il fianco scoperto a possibili censure
slegate dal reale andamento della gestione.
Un'ulteriore novità di carattere sostanziale, apportata dal D.Lgs. n. 344/2003, è poi
rappresentata dal passaggio in seno all'art. 172, comma 7, che prevede il non computo dei
contributi erogati a norma di legge dallo Stato e da altri enti pubblici tra i versamenti capaci
di sterilizzare il plafond di patrimonio che funge da riferimento per la determinazione del
quantum di perdite riportabili. Il punto, che in realtà riprende quanto già operante in passato ex
articolo 16 del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, non presenta tuttavia aspetti di particolare rilievo
se non in relazione alla pratica contabile che presuppone, ovvero l'imputazione dei contributi
pubblici direttamente a patrimonio: la legittimità di quest'ultima, infatti, potrebbe cessare
una volta applicate in Italia le rigide prescrizioni dei principi internazionali (IAS).
4. La retrodatazione
La lettera della norma, trasfusa senza alcuna modifica sostanziale dal precedente comma 7
dell’articolo 123 del Tuir al nuovo comma 9 dell’articolo 172 del medesimo testo unico, si
presta a diverse considerazioni.
Innanzitutto, nulla osta a che in presenza di società fuse con esercizi, e quindi periodi
d'imposta, con date di chiusura diverse, si indichino due, o più, diverse retrodatazioni. Tutte
le operazioni delle società fuse registrate successivamente alla chiusura dell'ultimo bilancio di
esercizio troveranno adeguata manifestazione nel primo bilancio di esercizio della società
incorporante chiuso dopo la data di effetto della fusione; tale modus operandi sarà poi
riconosciuto fiscalmente in ragione del rispetto del limite temporale dato dalla data di chiusura
dell'ultimo esercizio della società incorporante, così come fissato dall’articolo 172 del Tuir.
Secondo aspetto non trascurabile, è poi l'assenza di un limite alla retrodatazione per così
dire "implicito". Ovverosia, l'impossibilità di operare la retrodatazione per le operazioni di
fusione pura sulla base della considerazione per cui gli effetti della fusione non potrebbero
retroagire ad epoca con riferimento alla quale il soggetto incorporante non era ancora venuto
a giuridica esistenza.
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L'assunto di cui sopra, in particolare, ormai maggioritario, nasce non solo dalla constatata assenza
di limiti legislativi, stante che la norma, al contrario, parla espressamente anche di società
"fuse", e non solo "incorporate", ma altresì dalla considerazione per cui la retrodatazione di cui
trattasi persegue il mero scopo di "spostare" la rilevanza contabile e fiscale delle operazioni
avvenute in corso d'anno, e non già di operarne una retrodatazione "reale", tale da modificarne
gli aspetti legali.
A conferma di quanto precede, appare utile ricordare i chiarimenti forniti dal Ministero
delle finanze con risoluzione del 24 novembre 2000, n. 181/E seppur con riferimento ad un
ambito diverso, qual è quello Irap, in merito all'imputazione giuridica dei fatti amministrativi
sorti nel periodo intermedio.
L'unificazione, infatti, a detta dell'Amministrazione finanziaria, ha effetti soltanto contabili e
si sostanzia "nella possibilità offerta alle società coinvolte nella fusione di elaborare un unico
bilancio e un'unica dichiarazione dei redditi per il periodo in cui si verifica la fusione. I rapporti
giuridici posti in essere dalle società coinvolte nella fusione nel periodo compreso tra la data a
partire dalla quale si fa retroagire la fusione e la data dell'ultima iscrizione nel registro delle
imprese mantengono la loro efficacia in capo al soggetto che li ha posti in essere e non vengono
rielaborati contabilmente per effetto della retrodatazione".
Va notato, in via collaterale, come l'argomento trattato dispieghi rilevanti effetti anche in
tema di operazioni intercorse tra i soggetti partecipanti all'operazione di fusione (cosiddette
"operazioni reciproche") nel periodo intermedio compreso tra la data di effettuazione della
fusione e la data a decorrere dalla quale ne sono fatti retroagire gli effetti.
Sul punto, infatti, una parte della dottrina sostiene che le operazioni reciproche non possono
essere private di efficacia e di validità giuridica per effetto della retrodatazione della fusione,
in quanto coinvolgono due distinti centri di imputazione di situazioni giuridiche attive e
passive.
In conclusione di paragrafo, si osservi come l’articolo 172, comma 9, del Tuir, nulla dica in
merito alla possibilità di retrodatare operazioni "eterogenee", ovverosia operazioni tra società
di capitali e società di persone. Gli scriventi, allineandosi alla dottrina maggioritaria,
propendono per la tesi affermativa in ragione dell'assoluta genericità della disposizione di
legge, pur rimarcando la disparità di trattamento che ne deriva rispetto alla disciplina dettata in
materia di trasformazione dall’articolo 170 del Tuir, che prevede l'obbligo di determinare il
reddito infrannuale in sede di mutamento del regime di imposizione.
5. Le dichiarazioni e i versamenti - Gli acconti
L’articolo 172, comma 8, del Tuir, stabilisce l'obbligo di determinare il reddito delle società
fuse o incorporate del periodo compreso tra l'inizio del periodo d'imposta e la data da cui ha
effetto la fusione sulla base delle risultanze di apposito conto economico. Ne consegue,
pertanto, per tale lasso di tempo, ai sensi dell’articolo 5-bis comma 2, del D.P.R. 22 luglio
1998, n. 322, la necessità:
- di presentare la dichiarazione;
- di versare le imposte da essa risultanti, compatibilmente con la forma giuridica della
società scomparsa.
La previsione, tuttavia, non opera qualora avvalendosi della facoltà di anticipare gli effetti
fiscali della fusione ad una data diversa da quella di iscrizione dell'atto finale nel Registro delle
imprese si riesca a far coincidere gli stessi con l'inizio del periodo d'imposta delle società fuse o
incorporate. Ancora, per il richiamo operato dall’articolo 19 comma 6, del D.Lgs. 15 dicembre
1997, n. 446, quanto precede trova applicazione anche con riferimento all'Irap.
Prima di analizzare gli obblighi appena citati, con riferimento al calcolo delle imposte
relative al periodo d'imposta creatosi e più specificatamente degli ammortamenti, si accenna
appena alla necessità per le parti coinvolte da una fusione per incorporazione di procedere ad
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una deducibilità pro quota dei componenti in commento, "per dodicesimi", così come
confermato dalla circolare del 7 novembre 1988, n. 5/3401.
Identico criterio di ripartizione temporale vige per il calcolo delle spese di manutenzione
deducibili oggi regolate dall’articolo 102 comma 6, del Tuir. Relativamente ad esse ed al calcolo
delle imposte per l'incorporante, la circolare citata ha precisato la possibilità per quest'ultima
di calcolare non solo la propria quota di spese deducibili afferenti i beni trasferiti "per
dodicesimi" nel periodo d'imposta della fusione, ma altresì di riprendere 1/5 delle eccedenze di
manutenzioni della società fusa relative a tutti i suoi esercizi pregressi, compreso quello creatosi
per la mancata retrodatazione.
In riferimento, invece, all'eventuale presenza di magazzino nella società incorporata, la
società incorporante, una volta ereditata la stratificazione "storica" dei beni, è tenuta ad
operare una piena integrazione delle variazioni intercorse in corso d'anno anche in assenza di
retrodatazione. La lettera dell’articolo 92 del D.P.R. n. 917/1986, infatti, al pari di quanto
indicato nell’articolo 59 del Tuir ante riforma, fa espressamente riferimento non al termine
"periodo d'imposta" quanto a quello di "esercizio", impedendo pertanto alla fascia creatasi di
assumere una rilevanza Lifo "fiscale".
Si conclude ricordando come la società risultante dalla fusione, o incorporante, sia tenuta ad
inviare le dichiarazioni dei redditi delle società fuse o incorporate relative al periodo
d'imposta precedente, laddove i termini di presentazione siano ancora aperti, in nome e per conto
dei soggetti scomparsi. In via ulteriore, come la stessa sia obbligata a compilare il quadro RR
della propria dichiarazione dei redditi in relazione a ciascuna operazione di fusione intervenuta
nel corso del periodo d'imposta, oltre al quadro RV in presenza di fusioni con differenti valori
civilistici e fiscali.
Da ultimo, con riferimento agli obblighi dei sostituti d'imposta, le istruzioni ministeriali
fissano l'obbligo in capo al soggetto che succede nei rapporti facenti capo alle società
scomparse, di presentare le relative dichiarazioni comprensive delle operazioni compiute da
queste ultime in
corso d'anno.
5.1. La presentazione della dichiarazione
Ai sensi dell’articolo 5-bis comma 2, del D.P.R. n. 322/1998, la società risultante dalla
fusione o l'incorporante deve presentare la dichiarazione relativa alla frazione di esercizio delle
società fuse o incorporate, compresa tra l'inizio del periodo d'imposta e la data in cui ha effetto
la fusione, entro:
- l'ultimo giorno del settimo mese successivo a tale data, per il tramite di una banca o di
un ufficio postale, ove ancora possibile, ovvero,
- l'ultimo giorno del decimo mese successivo, in via telematica.
5.2. I versamenti a saldo
Per quanto concerne i termini per l'effettuazione dei versamenti delle imposte dirette risultanti
dalle dichiarazioni presentate per il periodo "ante fusione" operano le regole generali stabilite
dall’articolo 17 del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435. Pertanto:
- nel caso in cui le società fuse o incorporate siano "di persone", le imposte dovute per la
frazione di periodo "ante fusione" (i.e. Irap ed imposte sostitutive) vanno versate entro il 20
giugno dell'anno in cui scadono i termini per la presentazione della relativa dichiarazione;
- diversamente, se le società fuse o incorporate sono soggette all'Ires, il termine ultimo è
il giorno 20 del sesto mese successivo a quello in cui si è chiuso il periodo cui le imposte si
riferiscono.
5.3. Gli acconti
L’articolo 4, comma 1, del D.L. n. 50/1997, convertito, con modificazioni, nella L. 9 maggio
1997, n. 122, e oggi integralmente trasfuso nel comma 10 dell’articolo 172 del Tuir, ha stabilito
che nelle operazioni di fusione gli obblighi inerenti gli acconti devono essere adempiuti dalle
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società fuse o incorporate fino alla data di efficacia reale della fusione. Dopo la data suindicata,
gli stessi devono intendersi a tutti gli effetti trasferiti alla società risultante o incorporante.
La norma dispone in materia di imposte sul reddito, ma la circolare 12 novembre 1998, n.263/E
ha chiarito che quanto previsto dal D.L. n. 50/1997, e quindi si ritiene quanto oggi indicato dalla
norma del Tuir, si applica anche al versamento dell'acconto Irap, e quindi in relazione agli
obblighi propri delle società di persone.
La previsione legislativa trova la seguente applicazione pratica:
- le società fuse o incorporate sono sempre tenute a versare gli acconti i cui termini
scadono ante conclusione dell'operazione, a nulla rilevando che il periodo di imposta
sia eventualmente imputato alla società risultante o incorporante a seguito di
retrodatazione;
- la società risultante o incorporante è tenuta a calcolare gli acconti, i cui termini di
versamento scadono successivamente all'estinzione della società fusa o incorporata,
tenendo conto anche dell'imposta liquidata dalle società incorporate o fuse nella
dichiarazione di tali soggetti riferita al periodo d'imposta antecedente quello in cui
è intervenuta la fusione.
Sul punto, l'Amministrazione finanziaria ha recato alcuni chiarimenti con la già citata
circolare n. 263/E del 1998, confermando sostanzialmente il quadro delineato in via
interpretativa. Il documento in menzione, in particolare, ha sancito le conclusioni di cui sopra,
precisando altresì che:
- i versamenti in acconto effettuati dalla società fusa o incorporata possono essere
scomputati dalla società risultante o incorporante già in sede di versamento del saldo
delle imposte dovute per la frazione di periodo di imposta creatasi in assenza di
retrodatazione;
- che laddove i termini di versamento scadano successivamente all'estinzione della
società fusa o incorporata, la società risultante o incorporante resta libera di determinare
l'acconto su base previsionale, anziché su base storica.
6. Le operazioni di fusione e l’applicazione della norma antielusiva
L’articolo 37-bis del DPR n. 600 del 1973, prevede che sono inopponibili all’amministrazione
finanziaria gli atti, i fatti ed i negozi anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche,
diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di
imposte o rimborsi altrimenti indebiti. La norma è applicabile a condizione che nell’ambito del
complesso disegno elusivo siano utilizzate una o più delle operazioni indicate nel comma 3 della
norma stessa.
Tra tali operazioni sono comprese anche quelle di fusione.
Nella quasi totalità delle pronunce di prassi emanate dal Ministero delle finanze prima e
dall’Agenzia delle Entrate poi è stato sempre sottolineato che l’operazione di fusione, di per sé,
non manifesta una ipotesi di elusione perseguibile con il citato articolo 37-bis, ma che tale
condizione si verifica quando l’operazione si collega ad altre nell’ambito, come detto, di un più
ampio disegno elusivo.
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l’operazione è elusiva
se ricorrono
le seguenti condizioni
Assenza di valide ragioni economiche
Devono essere
operazioni
elencate nell’art.
37-bis del DPR
n. 600 del 1973
trasformazioni
fusioni - scissioni
conferimenti
cessioni di crediti
ecc.
Aggiramento di obblighi o divieti
previsti dall’ordinamento tributario
Indebito ottenimento di riduzioni e/o
rimborsi d’imposta
In sintesi, affinché un’operazione possa configurarsi come elusiva occorre che si verifichino
contemporaneamente le seguenti condizioni:
- deve trattarsi di comportamenti (intesi come serie di atti, fatti e negozi posti in essere
anche successivamente nel tempo) che, nel loro contesto, comportano l’utilizzo di una o
più delle operazioni indicate al terzo comma dello citato art. 37-bis;
- deve trattarsi di comportamenti privi di valide ragioni economiche;
- deve trattarsi di comportamenti diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti
dall’ordinamento;
- deve trattarsi di comportamenti tesi a perseguire un risparmio d’imposta disapprovato dal
sistema.
Qualora manchi anche uno soltanto di detti requisiti, l’operazione non può essere considerata
elusiva.
L’Agenzia delle Entrate in una sua pronuncia5 ha avuto modo di precisare che il confine tra
“lecito risparmio d’imposta” ed “elusione” va ricercato tra la legittima attività di pianificazione
fiscale, con la scelta tra più comportamenti consentiti dall’ordinamento, quello fiscalmente meno
oneroso e i risparmi d’imposta “patologici” che derivano da un “abuso” che il contribuente fa
della legislazione vigente al fine di sfruttarne lacune o difetti al fine di ottenere risultati che
(anche se formalmente legittimi) contrastano con il sistema tributario visto nel suo complesso.
Non è elusiva, quindi, la scelta da parte del socio di una società di dismettere l’azienda o
attraverso la cessione diretta della stessa o la cessione delle partecipazioni detenute nella società.
5
Agenzia delle Entrate - Risoluzione del 28/02/2002 n. 62
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Ciò, in quanto, non essendo nell’ordinamento i due diversi regimi fiscali tra loro subordinati, la
scelta tra l’uno e l’altro regime è libera.
Con specifico riferimento alle operazioni di fusione, l’amministrazione finanziaria ha in più
occasioni ribadito quali siano le condizioni sussistendo le quali un’operazione può ritenersi
elusiva:
Assenza di valide
ragioni
economiche
Indebito
ottenimento di
riduzioni di
imposte o
rimborsi
E’ stato precisato che nella fusione societaria, in generale,
deve essere presente, ai fini dell’apprezzabilità delle valide
ragioni economiche sottostanti all’operazione, la finalità di
pervenire alla crescita delle dimensioni dell’impresa ed alle
conseguenti economie di scala. L’obiettivo di fondo è quindi il
rafforzamento della posizione dell’impresa sul mercato e il
miglioramento della propria capacità competitiva. Ciò
nell’intento di aumentare la produttività o, in vista di un
allargamento del mercato, di acquisire nuovi vantaggi
concorrenziali, o, semplicemente, di acquisire particolari
conoscenze tecnologiche o professionalità che appaiono
necessarie in vista dei cambiamenti anche tecnologici del
settore economico di appartenenza.
Possono, anche, essere rilevanti motivi puramente di natura
finanziaria come quando la concentrazione risponde
all’esigenza di creare complessi in grado di reperire maggiori
risorse finanziarie e di aumentare le capacità di credito.
La fusione è dunque economicamente valida nel momento in
cui la stessa abbia una apprezzabilità economico gestionale
finalizzata alla integrazione verticale delle fasi successive
dello stesso processo produttivo e al raggiungimento di
rilevanti vantaggi in termini di economia di scala con
conseguente risparmio di costi ed aumento della produttività.
E’ evidente che le fusioni necessitate per rispettare
disposizioni di legge di carattere generale o del settore di
appartenenza, contengono di per sé il requisito delle “valide
ragioni economiche”.
Ai fini fiscali, l’operazione di fusione ai sensi dell’articolo 172 del
DPR n. 917/1986 è caratterizzata dalla neutralità fiscale, in quanto non
dà luogo a realizzo né a distribuzione di plusvalenze e minusvalenze
dei beni della società fuse, comprese quelle relative alle rimanenze ed
al valore di avviamento. In considerazione della riforma dell’imposta
sul reddito delle società (IRES) non sono più rilevanti ai fini fiscali le
eventuali differenze (avanzi e disavanzi) di fusione.
Un consistente risparmio d’imposta potrebbe essere ottenuto mediante
la fusione di un soggetto in perdita con un soggetto prospetticamente
in utile. In tale ipotesi, si permetterebbe, in assenza di valide ragioni
economiche della fusione, di compensare, successivamente alla
fusione, le perdite della incorporante o incorporata (altrimenti
inutilizzabili negli esercizi futuri) con i redditi realizzati dalla
incorporante o incorporata (altrimenti assoggettate ad imposizione
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ordinaria). Va anche ricordato che nel contesto dell’operazione di
fusione tra soggetti che apportano perdite fiscali pregresse l’articolo
172 del Tuir prevede al settimo comma una dispostone antielusiva
generale che condiziona il riporto delle perdite di tutte le società
partecipanti alla fusione al possesso di
determinati requisiti
patrimoniali e di vitalità aziendale. Per tale limitazione al riporto delle
perdite è ammessa, come si vedrà in seguito, la possibilità di
richiederne la disapplicazione ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 37bis del DPR n. 600 del 1973.
Un altro indebito risparmio potrebbe essere perseguito mediante la
fusione di una società immobiliare in una società operativa al fine di
utilizzare il regime delle partecipazioni esenti di cui all’articolo 87 del
TUIR. In tale fattispecie, si permetterebbe, in assenza di valide ragioni
economiche della fusione, di rendere esenti da tassazione anche quella
parte delle plusvalenze scaturenti dalle cessioni di partecipazioni
sociali effettuate successivamente alla fusione riferibili ipoteticamente
alla società immobiliare incorporata
Un altro indebito risparmio che potrebbe essere perseguito con
l’operazione di fusione potrebbe riguardare la tassazione limitata (5%
per i soggetti IRES e 40% per gli altri soggetti) dei dividendi sociali
distribuiti. Si permetterebbe, in assenza di valide ragioni economiche
della fusione, di abbattere anche la parziale tassazione in capo al socio
dei dividendi distribuiti.
Pertanto, si può dire che un risparmio fiscale frutto di un
comportamento meno oneroso rispetto alla regola fissata
dall’ordinamento tributario costituisce elemento rilevante ai fini
dell’acclaramento dell’elusività dell’operazione.
aggiramento
di obblighi o
divieti
L’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 32 del 23.3.2001, ha
affermato che il concetto di aggiramento implica il ricorso ad un
disegno volto al raggiungimento di un risultato disapprovato dai
principi cui si ispira l’ordinamento tributario. Il risultato raggiunto dal
contribuente, in sostanza deve violare un divieto posto dal sistema; si
ha aggiramento quando con la fusione si realizzano risparmi di
imposta disapprovati dal sistema, cioè non riconosciuti legittimi
dall’ordinamento fiscale.
Una particolare operazione societaria che potrebbe ricadere sotto la scure dell’elusività riguarda
l’operazione di fusione a conclusione di una operazione di acquisizione di partecipazioni con
indebitamento, altrimenti detta leverage by out.
A tale proposito appare rilevante fare una breve disamina di tale modalità di acquisizione, anche
in considerazione dell’introduzione nel corpo del codice civile dell’articolo 2501-bis che
permette, a determinate condizioni, di effettuare delle operazioni di “leverage buy out” (LBO).
Tale operazione di natura finanziaria è generalmente finalizzata all’acquisto di una società
(società “obiettivo” o target company) mediante il ricorso a finanziamenti da parte di soggetti
specializzati ( istituti di credito e/o società finanziarie) che verranno, a operazione conclusa,
garantiti e successivamente rimborsati o tramite gli utili prodotti dalla società acquisita o
mediante la cessione, di alcuni o di tutti, i beni aziendali della stessa.
Generalmente l’operazione mira a conseguire il controllo totalitario o la maggioranza della
società “obiettivo”. Le modalità di effettuazione dell’operazione prevedono di regola la
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costituzione (o acquisto) di un’apposita società di capitali (cosiddetta newco o società veicolo),
fortemente sottocapitalizzata in relazione all’operazione che si vuole realizzare, che procederà
all’acquisto della società che si intende acquistare (cosiddetta target company o società
bersaglio). Successivamente all’operazione di acquisto verrà spesso deliberata la fusione fra le
società coinvolte in modo tale che, in conseguenza della confusione dei patrimoni,
l’indebitamento contratto dalla newco per la realizzazione dell’operazione risulterà trasferito sul
patrimonio della società acquisita. A seconda delle modalità di effettuazione della fusione, può
distinguersi il forward leverage by out che comporta l’incorporazione della società bersaglio nella
società veicolo (fusione diretta) e reverse leverage by out che si caratterizza, invece, per
l’incorporazione della società veicolo nella società bersaglio (fusione inversa).
Acquisizione società bersaglio
finanziatore
Società ALFA
100%
Società veicolo
acquista
Società BETA
società bersaglio
Fusione per incorporazione
Società ALFA
finanziatore
100%
Società veicolo
Società bersaglio
Ipotesi particolare di leverage è il leveraged management buy out, che vede come
protagonisti i dirigenti della società bersaglio. In tale ipotesi gli amministratori della
società bersaglio, attraverso la costituzione di una new company, mirano ad acquisire il
controllo della società da loro stessi amministrata.
Ed è proprio per la “pericolosità” dell’operazione di LBO, per via dell’ingente indebitamento
connesso all’acquisizione della società “obiettivo”, che l’articolo 2501-bis sopra citato prevede
una serie di condizioni e di obblighi relativi al controllo della congruenza delle risorse finanziarie
previste per il “soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione” e
necessari anche a certificare le “ragioni che giustificano” l’operazione.
In sintesi, quindi, si potrebbe assumere che le disposizioni civilistiche sanciscono la necessità ai
fini della legittimità dell’operazioni di LBO, non solo di una verifica delle risorse finanziarie ma
anche della coerenza delle ragioni sottese all’effettuazione dell’operazione.
In altre parole si potrebbe intendere che la “ragionevolezza” prevista dalle disposizioni
civilistiche che giustifica l’operazione sia equiparabile alla presenza delle “valide ragioni
economiche” per considerare ai fini tributari non elusiva l’operazione di leverage.
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Da ciò ne dovrebbe, quindi, conseguire che ove l’operazione di LBO risultasse come facente
parte di una più generale disegno imprenditoriale, anche a carattere eminentemente finanziario,
gli eventuali risparmi fiscali (deducibilità degli interessi dell’indebitamento - riportabilità delle
perdite della società “veicolo”, ecc.) dovrebbero essere considerati fisiologicamente compatibili
con l’operazione stessa.
In questi casi la ragione dell’operazione sarebbe insita nella finalità di ristrutturazione aziendale
tramite l’acquisizione di attività imprenditoriali o di partecipazioni finanziarie.
Invece, ove dovesse essere accertato che l’operazione di LBO fosse posta in essere dagli stessi
soggetti che controllano o hanno interessi rilevanti sia nella società acquirente che in quella da
acquistare, si potrebbe affermare che con la fusione delle società “veicolo” ed “obiettivo”
verrebbe a concludersi un’operazione motivata presumibilmente da intenti preminentemente
fiscali e pertanto probabilmente elusiva .
Infatti, data la modifica dal 1.1.2004 del regime dei dividendi e l’introduzione del regime delle
partecipazioni esenti operata dal D.Lgs n. 344 del 2003, la società acquirente, indebitatasi per
acquistare la società “obiettivo”, ove non fosse effettuato con la fusione l’ultimo passaggio
dell’operazione di LBO, potrebbe trovarsi nella difficoltà di poter abbattere gli oneri finanziari
dell’indebitamento considerata la ridotta imponibilità (5%) dei dividendi distribuitole dalla
società acquistata. Inoltre, la stessa società acquirente potrebbe trovarsi nella condizione di dover
applicare per la deducibilità dei predetti oneri finanziari il meccanismo del pro-rata patrimoniale
previsto dall’art. 98 del nuovo Tuir nel caso in cui le partecipazioni nella società acquistata
rientrassero nel regime di cui all’art. 87 del nuovo TUIR.
In tali casi la fusione non sarebbe la conclusione di un’operazione imprenditoriale “ragionevole”
di acquisizione di azienda o di società con indebitamento, ma semplicemente una scappatoia
formalmente legittima ma finalizzata al conseguimento di un risparmio d’imposta indebito ovvero
di aggiramento di obblighi o divieti posti dall’ordinamento.
Nel caso in cui l’operazione di LBO dovesse, come detto in precedenza, essere finalizzata
all’acquisto di attività imprenditoriali possedute da altri soggetti giuridici di cui la parte
acquirente ne ritiene necessaria l’acquisizione per le strategie imprenditoriali dell’intero gruppo
di appartenenza, l’operazione in sé non dovrebbe essere considerata elusiva.
Quanto sopra però va confrontato con le affermazioni del Comitato consultivo per l’applicazione
delle norme antielusive che nel parere n. 2 del 2005, confermato dal parere n. 27 reso in data
16.11.2005, ha considerato elusiva l’operazione tesa esclusivamente a permettere la
compensazione delle perdite della società incorporante attraverso gli utili che la società
incorporata è in grado di produrre, in quanto società effettivamente operativa, come di regola
avviene nel caso di fusione conseguente all’operazione di leverage. Infatti la società incorporante
è di regola la società neo costituita che costituita solo per acuire la partecipazione della società
bersaglio si ritrova ad avere risultati reddituali negativi derivanti in massima parte dai costi dei
finanziamenti ricevuti per l’acquisizione della partecipazione nella società incorporata.
Tale posizione appare a parere di chi scrive estremamente rigida e forse non economicamente
corretta67.
Infatti, non si può tacere del fatto che nell’operazione di leverage gli oneri dell’indebitamento per
l’acquisto della partecipazione sono quelli che determinano la perdita della società veicolo che ha
di regola la caratteristica di holding o sub-holding. Ove si volesse ipotizzare un operazione simile
a quella effettuabile con il leverage si dovrebbe pensare all’acquisto dell’impresa in modo diretto
(o delle partecipazioni della società proprietaria dell’impresa) con l’accensione di un
finanziamento per l’acquisto. In tale ipotesi gli oneri dell’indebitamento sarebbero sicuramente
deducibili in capo al soggetto acquirente finanziato.
6
7
D.Stevanato “La fusione <inversa> non è elusiva” - Il Sole 24Ore - 8.12.2005
M.Piazza “Fusione inverse alle corde” - Il Sole24Ore - 6.12.2005
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Con un esempio si può chiarire meglio la sostanziale equiparazione tra le due operazioni.
Operazione di Leverage
Newco acquirente delle partecipazioni finanziata con oneri finanziari annuali ammontanti a
1.000.000
Newco perdita fiscale 1.000.000
Fusione della newco nella società target
Reddito fiscale della società 2.000.0000 meno perdita deducibile di 1.000.000 = reddito
imponibile di 1.000.000
Acquisto diretto
Società alfa acquista società target con oneri finanziari annuali ammontanti a 1.000.000
Reddito fiscale della società 2.000.000 - 1.000.000 = 1.000.000
Le ultime interpretazioni dell’Amministrazione Finanziaria e del Comitato Consultivo
Fusioni considerate elusive
Comitato consultivo - Parere n. 4 del 8.5.2003
Il comitato ritiene che sia elusiva un’operazione in cui una società in accomandita semplice
incorpora una società in nome collettivo di cui aveva acquisito la proprietà delle partecipazioni
attraverso l’accensione di un mutuo decennale.
La fattispecie prospettata nell’istanza di interpello è costituita dall’intenzione dei soci anziani di
una società in nome collettivo (composta da padre, madre e figlio) di procedere alla cessione della
loro partecipazione (considerato il prossimo raggiungimento dell’età per il pensionamento di
vecchiaia) ad una società in accomandita semplice di cui gli stessi soci faranno parte in qualità di
soci accomandanti. La sas finanzierà l'acquisto della quasi totalità della partecipazione mediante
l'assunzione di un mutuo decennale. Il rimborso della rata di ammortamento del mutuo, sarà
garantito dai proventi della partecipazione acquistata. Dopo l'acquisizione dell'intera
partecipazione, la sas incorporerà la snc.
A parere del Comitato la predetta operazione è tesa a precostituire componenti negativi di reddito
in capo all’incorporante, che ridurranno in modo consistente i redditi imponibili futuri della
società stessa, non è sostenuta da valide ragioni economiche, costituite dal risparmio delle
contribuzioni previdenziali e dal beneficio della responsabilità limitata per i soci cedenti, nonché
dalla liquidazione di quote difficilmente cedibili a terzi, perchè riferibili anche all’ipotesi della
trasformazione societaria”.
Pertanto, rispetto all’ipotesi più lineare della trasformazione societaria, l’operazione progettata
secondo il comitato consente di ottenere un risparmio di imposta.
Comitato consultivo - Parere n. 27 del 11.11.2004
L’inesistenza di valide ragioni economiche che giustificano una complessa ed inisuale operazione
di riorganizzazione aziendale tra società dello stesso gruppo, giustificata solo da un risparmio
d’imposta è di per sè indice di comportamento elusivo. L’operazione rappresentata nell’istanza
d’interpello (dopo un preliminare aggiustamento della proprietà delle partecipazioni) si sostanzia
in una scissione parziale e proporzionale con contestuale costituzione di una newco, cui sarebbe
assegnato, tra gli altri, il contratto di locazione finanziaria e successivamente nella incorporazione
della newco.
Il fine perseguito nella fattispecie rappresentata appare il trasferimento di contratto di leasing da
una società ad un’altra, realizzata prima attraverso la scissione parziale e successivamente dalla
fusione per incorporazione della beneficiaria. Il tutto volto, secondo il comitato, ad aggirare
l’articolo 88, comma 5, del Tuir, ai sensi del quale la cessione del contratto di locazione
finanziaria costituisce una sopravvenienza attiva.
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Comitato consultivo - Parere n. 2 del 25.1.2005
Un’operazione di fusione da cui non consegue una reale ottimizzazione dell’attività
imprenditoriale, ma è posta in essere allo scopo di usufruire delle perdite fiscali pregresse
dell’incorporante esercente esclusivamente l’attività di gestione di partecipazioni sociali,
compresa quella dell’incorporata, presenta aspetti di elusività, in quanto priva di valide ragioni
economiche e diretta a conseguire un vantaggio fiscale costituito dall’utilizzo delle menzionate
perdite fiscali per ridurre la base imponibile della nuova compagine sociale.
Infatti, l’unico apporto dell’incorporante alla nuova società sarebbe la quota di perdite riportabili
utilizzabili per sterilizzare gli utili che l’incorporata è in grado di produrre, in quanto società
effettivamente operativa.
Tale vantaggio tributario è, a parere del Comitato, da ritenersi indebito, poichè realizzato
attraverso “l’aggiramento dell’obbligo, previsto dall’ordinamento tributario, di assoggettare a
tassazione i redditi d’impresa prodotti.”
Situazione ante fusione
Società ALFA HOLDING
100%
Società GAMMA
Situazione post fusione di GAMMA in ALFA HOLDING
Società ALFA
Società BETA
33,33%
66,67%
Società GAMMA
Società DELTA
Comitato consultivo - Parere n. 18 del 13.7.2005
Per il comitato consultivo è elusiva un’operazione di fusione e la successiva scissione parziale
non proporzionale che risulti in concreto finalizzata esclusivamente all’assegnazione di beni ai
soci. La fattispecie è simile a quella trattata nel commento al Parere del Comitato n. 22 del
6.10.2005. Tale operazione, infatti, è priva di valide ragioni economiche,in quanto non appare
dimostrata l’esistenza nell’ambito della compagine societaria di un’irrisolvibile situazione di
conflittualità tra i soci come sostenuto dai contribuenti istanti, L’operazione appare inoltre diretta
a conseguire uno o più vantaggi tributari indebiti rinvenibili nel mancato assoggettamento a
tassazione del valore normale dei beni assegnati ai soci ai sensi dell’articolo 86, comma 3, del
Tuir, poiché realizzati attraverso l’aggiramento di obblighi previsti dall’ordinamento (articolo 86.
primo comma, lettera c) del Tuir) .
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Comitato consultivo - Parere n. 22 del 6.10.2005
La fusione per incorporazione di una società da parte della sua controllante, seguita dalla
scissione totale di quest’ultima a favore di due nuove società aventi come socio unico,
rispettivamente, i due soci della società scindenda e dalla successiva fusione per incorporazione
di ciascuna di tali due nuove società ad opera del rispettivo socio unico, apertamente finalizzata a
consentire ai soci della società incorporante/scindenda di divenire direttamente e separatamente
proprietari del suo patrimonio immobiliare, per poter procedere in autonomia all’ulteriore
esercizio dell’attività imprenditoriale edilizia, appare non sorretta da valide ragioni economiche e
rivolta all’aggiramento di norme tributarie, con indebito risparmio d’imposta, in quanto destinata
in realtà ad eludere lo scioglimento del vincolo societario da parte dei due soci della società
incorporante/scindenda, con ripartizione del relativo patrimonio.
Situazione ante fusione
Società ALFA
Società BETA
33,33%
66,67%
Società GAMMA
100%
Società DELTA
Situazione post fusione di DELTA in GAMMA
Società BETA
Società ALFA
33,33%
66,67%
Società GAMMA
Società DELTA
Situazione post scissione di GAMMA
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Società ALFA
Società BETA
100%
Società ALFAGAMMA
100%
Società BETAGAMMA
Situazione post incorporazione delle società scaturenti dalla scissione
Società ALFA
Società BETA
Società ALFAGAMMA
Società BETAGAMMA
L’operazione secondo il Comitato Consultivo è finalizzata non a realizzare un piano di
riorganizzazione aziendale nell’interesse delle società protagoniste delle operazioni
straordinarie, ma a risolvere e soddisfare le esigenze della compagine societaria con
ripartizione agli stessi del patrimonio delle società partecipate. Infatti, il complesso delle
operazioni porterebbe ogni singolo socio a diventare proprietario unico di parte del
patrimonio immobiliare prima posseduto in comproprietà.
Per tale obiettivo, segnala il Comitato, l’operazione straordinaria più corretta dovrebbe essere lo
scioglimento del vincolo societario da parte dei soci della società detentrice dei cespiti
immobiliari, con l’attribuzione agli stessi, in sede di liquidazione, del patrimonio immobiliare.
Tale operazione risulta più coerente e congrua sul piano giuridico rispetto agli obiettivi perseguiti,
ancorché più onerosa sul piano fiscale. Per tale motivo le operazioni prospettate appaiono tese
all’indebito risparmio d’imposta(86, comma 1, lettera c) del Tuir )mediante l’aggiramento di
norme tributarie (86, comma 3, del Tuir.
Comitato consultivo - Parere n. 27 del 16.11.2005
L’operazione di fusione con conseguente estinzione dell’incorporata società di persone in
possesso di una quota di partecipazione del capitale sociale dell’incorporante (cosiddetta fusione
inversa) presenta profili di elusività in quanto la finalità di semplificare il rapporto di controllo
della società di capitali ed eliminare i costi di gestione non appaiono apprezzabili sotto il profilo
della presenza di valide ragioni economiche.
Situazione ante fusione
SOC PERSONE FISICHE
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100%
Soci
59,81%
40,19%
SRL
età
Situazione Post fusione
SOC PERSONE FISICHE
100%
SRL
Società in nome
collettivo
Tali risultati possano, infatti, a parere del Comitato consultivo raggiungersi in maniera più lineare
procedendo alla liquidazione della società controllante che “si presenta come procedura meno
complessa della concentrazione e per ciò stesso fisiologica allo scopo”.
L’operazione di fusione per incorporazione ha, quindi, la sola finalità di conseguire un indebito
risparmio d’imposta derivante dal mancato assoggettamento a tassazione dell’assegnazione delle
partecipazioni dell’incorporata ai soci eludendo in tal modo la disposizione contenuta
nell’articolo 58, comma 2, del Tuir applicabile alle operazioni di cessione ed assegnazione di beni
ai soci.
Il comitato, infatti, ritiene che la fusione consentirebbe “all’incorporata di trasferire ai propri soci
la quota di partecipazione detenuta nell’incorporante senza aggravio d’imposta, il che, invece, si
verificherebbe qualora si procedesse allo scioglimento della società di persone”.
In tal caso, prosegue il comitato, i soci della società di persone “ verrebbero tassati in base alla
propria aliquota progressiva(ovvero in maniera separata ex articolo 17 del TUIR), mentre
nell’ipotesi di concentrazione gli stessi potrebbero effettuare il concambio delle partecipazioni
possedute nell’incorporata con quelle dell’incorporante in regime di neutralità, ai sensi
dell’articolo 172, comma 3, del TUIR”.
Agenzia delle Entrate - Risoluzione n. 337 del 29.10.2002
L’Agenzia delle Entrate in risposta ad un'istanza di interpello presentata ai sensi dell'art.11 della
legge 212/2000, ha precisato quale sia la corretta applicazione dell'articolo 123, comma 5, (ora
art. 172, comma 7) del TUIR, in caso di fusione per incorporazione e cioè se sia ammissibile il
riporto delle perdite prodotte, nel suo unico anno di vita, dalla società incorporante.
L'Agenzia, al riguardo, ritiene che, nella fattispecie concreta, non sia possibile utilizzare le perdite
subite dalla società incorporante, in quanto la stessa, attesa la sua natura di holding pura,
costituita solo un anno prima di quello in cui è stata deliberata la fusione, non dispone di quegli
elementi contabili, dal cui esame, è subordinato il riporto delle perdite, così come richiesto dal
citato art. 123, comma 5, (ora art. 172, comma 7) del TUIR. Nella risposta si richiama la
possibilità, offerta dalla disposizione di cui all’ottavo comma dell’art. 37-bis del DPR 600/1973,
di
presentare istanza al Direttore Regionale per la disapplicazione della norma in esame laddove il
contribuente non ravvisi quegli effetti elusivi che la norma stessa intende contrastare.
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Fusioni considerate non elusive
Comitato consultivo - Pareri n. 25 e 26 del 12.11.2004
Si tratta di due pareri resi a due diverse società relativamente ad un’operazione di fusione a cui
esse partecipano.
Per il Comitato un’operazione di fusione societaria con costituzione di una nuova società, che
assuma in neutralità fiscale tutti gli elementi attivi e passivi dei patrimoni delle due società
preesistenti e prosegua l’attività imprenditoriale già svolta da queste due, in assenza di perdite
fiscali riportabili nelle due società che si fondono, se non è preordinata al successivo
trasferimento a terzi delle partecipazioni sociali o al compimento di altri atti o negozi che possano
concretizzare, complessivamente, un disegno elusivo, appare sorretta da valide ragioni
economiche e non rivolta all’aggiramento di norme tributarie, giacchè consente un rafforzamento
economico-finanziario dell’impresa gestita dal soggetto societario.
Le modalità di effettuazione dell’operazione, sostiene il Comitato, portano a valutare
positivamente la fusione considerato che avrebbe come fine quello di “aumentare la competitività
e la capacità di credito” del nuovo soggetto societario attraverso la riduzione dei costi,
l’eliminazione dei rapporti economici-finanziari fra le due società e la concentrazione in un’unica
società del ramo immobiliare con quello commerciale-operativo.
Il superamento della diversificazione sociale, prosegue il Comitato, è giustificato dal venire meno
delle esigenze di diversificazione che erano state avvertite dai soci “per ragioni di prudenza
imprenditoriale” nella fase iniziale dell’attività sociale. Attualmente tale diversificazione non è
più ritenuta necessaria in quanto nel corso degli esercizi sono stati “realizzati costanti risultai
positivi sotto il profilo reddituale che consentono il consolidamento in un’unica struttura delle
due attività, immobiliare e commerciale”
Comitato consultivo - Parere n. 31 del 21.12.2004
Il comitato ha dato parere favorevole ad una riorganizzazione aziendale giustificata dalla
eliminazione dei costi amministrativi e dalla più trasparente individuazione della proprietà delle
azioni derivante dall’accorciamento della catena di controllo. L’operazione a parere del Comitato
non appare elusiva anche in considerazione del fatto che non genera emersione di plusvalenze
tassabili in quanto i soci delle srl incorporate riceveranno azioni emesse dalla spa incorporante in
proporzione alla loro partecipazione al capitale
delle suddette srl. Detti soci, secondo quanto affermato nell’istanza, non hanno alcuna intenzione
di cedere le predette partecipazioni. Il comitato rileva, infatti, che il plusvalore latente, costituito
dalla differenza tra il valore delle azioni ricevute da ciascun socio a seguito della fusione e il
costo fiscale della partecipazione al capitale nelle srl incorporate, non viene realizzato e dunque
non è sottratto all’imposizione. Tale plusvalore costituirà reddito imponibile per il socio cedente
all’atto di un’eventuale futura cessione delle azioni della spa.
L’interpello disapplicativo
L’articolo 7, comma 1, del D.Lgs n. 358 dell’8 ottobre 1997 ha introdotto nel DPR n. 600 del
1973 l’art. 37-bis rubricato “Disposizioni antielusive”.
Tale norma individua due autonome e distinte fattispecie.
La prima, disciplinata dai commi da 1 a 7, contiene la norma antielusiva di carattere generale, che
consente all’amministrazione finanziaria di discernere caso per caso le ipotesi elusive da quelle
che tali non sono, sulla base dei criteri indicati nella norma stessa e che risulta applicabile però
solo se il contribuente ha posto in essere uno degli atti analiticamente elencati nel comma 3, dello
stesso art. 37-bis del DPR n. 600/1973.
La seconda fattispecie, regolata dal comma 8 del citato art. 37-bis, consente la disapplicazione
delle norme antielusive di carattere sostanziale e cioè di quelle norme che, per finalità antielusive,
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“limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse
dall’ordinamento tributario”.
La disapplicazione è disposta dal Direttore Regionale delle Entrate, a seguito di istanza presentata
dal contribuente, sul quale ricade l’onere di dimostrare che gli effetti elusivi, contrastati dalla
norma di cui chiede la disapplicazione, non potevano verificarsi.
Nella relazione governativa al decreto legislativo n. 358/1997 è stato affermato che la norma in
esame “introduce un principio di civiltà giuridica e di pari opportunità tra il fisco e i
contribuenti”, riconoscendo che, nel corso degli anni, “sono state introdotte nel nostro
ordinamento una pluralità di norme sostanziali, con lo scopo di limitare comportamenti elusivi:
spesso queste norme, a causa della loro ineliminabile imprecisione, provocano indebite
penalizzazioni per comportamenti che non hanno nulla di elusivo. Se le norme possono essere
disapplicate quando il contribuente le manipola per ottenere vantaggi tributari indebiti, occorre
che lo siano quando l’obiettivo condurrebbe a penalizzazioni altrettanto indebite”.
Il comma 8, dell’articolo 37-bis del DPR n. 600/1973 costituisce, quindi, una disposizione che
consente, attraverso un procedimento appositamente regolamentato, di rimuovere limiti o divieti
previsti da una norma antielusiva di carattere sostanziale.
Il procedimento per la disapplicazione
Le modalità per l’applicazione del comma 8 dell’art. 37-bis del DPR n. 600/1973 sono state
disciplinate dal DM n. 259 del 19.6.1998.
L’istanza è rivolta al Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, competente per territorio, ed
è spedita, a mezzo del servizio postale, in plico raccomandato con avviso di ricevimento,
all’ufficio finanziario competente per l’accertamento in ragione del domicilio fiscale del
contribuente. Tale ultimo ufficio trasmette al direttore regionale l’istanza, unitamente al proprio
parere, entro trenta giorni dalla ricezione della medesima.
Sotto l’aspetto formale l’istanza prodotta deve contenere a pena di inammissibilità:
i dati identificati del contribuente e del suo legale rappresentante;
l’indicazione dell’eventuale domiciliatario presso il quale sono effettuate le comunicazioni;
la sottoscrizione del contribuente o del suo legale rappresentante.
Nell’istanza il contribuente deve descrivere compiutamente la fattispecie concreta per la quale
ritiene non applicabili le disposizioni normative che limitano deduzioni, detrazioni, crediti
d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammessi dall’ordinamento tributario;
l’indicazione della disposizione di legge di cui il contribuente chiede la disapplicazione;
enunciazione dei motivi e l’indicazione degli elementi sulla base dei quali il contribuente intende
dimostrare che nella fattispecie concreta gli effetti elusivi, al cui contrasto sono preordinate le
disposizioni di cui si chiede la disapplicazione, non possano verificarsi; ad essa va allegata copia
della documentazione, con relativo elenco, rilevante ai fini della individuazione e della
qualificazione della fattispecie prospettata.
Le determinazioni del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, concernenti l’istanza, sono
comunicate al contribuente mediante servizio postale, in plico raccomandato con avviso di
ricevimento.
Ai fini dell’applicazione dell’articolo 37-bis, comma 8, del DPR n. 600/1973, l’istanza si intende
presentata all’atto della ricezione del plico raccomandato da parte dell’ufficio competente per
l’accertamento. Le comunicazioni relative all’istanza e le eventuali richieste istruttorie si
intendono eseguite al momento della ricezione del plico raccomandato da parte del destinatario.
Le determinazioni del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate vanno comunicate al
contribuente, non oltre novanta giorni dalla presentazione dell’istanza, con provvedimento che è
da ritenersi definitivo.
Le richieste istruttorie rivolte al contribuente o a soggetti diversi sospendono il termine di cui al
comma 6, per l’emanazione del provvedimento definitivo da parte del direttore regionale delle
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entrate, fino al giorno di ricezione della risposta. Delle richieste istruttorie rivolte ad altri soggetti
è data comunicazione al contribuente.
Sindacabilità dei provvedimenti disapplicativi
Sulla base delle norme vigenti, sembra corretto poter affermare che il legislatore non ha voluto
inserire nell’ordinamento tributario una disposizione antielusiva di carattere generale,
rimettendone la concreta applicazione all’autorità amministrativa. Tale scelta avrebbe, infatti,
comportato più ampi poteri di intervento dell’amministrazione finanziaria.
La norma antielusiva definita “di carattere generale” contenuta nell’art. 37-bis, comma 1, del
DPR 600/1973 riguarda, invece, soltanto un numero ben definito di operazioni suscettibili di
essere considerate elusive.
La scelta del legislatore è stata, quindi, quella di prevedere, oltre alla predetta disposizione
contenuta nel comma 1 del citato art. 37-bis, numerose specifiche norme antielusive di carattere
sostanziale che vincolano non solo i contribuenti, ma anche l’amministrazione finanziaria.
Per evitare che le specifiche disposizioni antielusive di natura sostanziale producano in capo ai
contribuenti indebite penalizzazioni allorché le stesse dovessero incidere su comportamenti che,
in concreto, risultassero essere ben diversi da quelli che le stesse disposizioni intendono
contrastare, viene riconosciuta ad una autorità amministrativa (Direttore Regionale dell’Agenzia
delle Entrate) il potere di disapplicare tali disposizioni.
Ove non fosse stata prevista la possibilità di disapplicare le singole disposizioni antielusive,
sarebbe stato necessario (al fine di garantire i principi costituzionali di una giusta tassazione)
rendere molto più complesse le norme antielusive sostanziali, prevedendo una serie di condizioni
in presenza delle quali le stesse norme avrebbero potuto non trovare applicazione.
Il potere di disapplicazione attribuito al Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate può,
quindi, essere considerato come strettamente correlato e dipendente da un fenomeno particolare
di “delegificazione”, mediante il quale l’autorità politica concede all’autorità amministrativa il
potere di decidere sull’inapplicabilità o meno di una norma.
In dottrina, il Sandulli definisce “atto normativo autorizzato” quel regolamento con il quale
l’autorità amministrativa deroga alla disciplina legislativa in virtù di un’espressa previsione di
legge.
Il potere del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate parimenti trae origine da un’espressa
previsione di legge, che consente all’autorità amministrativa di derogare alla disciplina legislativa
vigente, non attraverso l’emanazione di un regolamento che potrebbe riguardare una pluralità di
destinatari, bensì attraverso l’emanazione di provvedimenti particolari riguardanti la specifica
fattispecie riferibile al singolo contribuente.
Potrebbe trattarsi, quindi, di un provvedimento attraverso il quale l’autorità politica, tramite
l’organo amministrativo, manifesta la volontà o meno di derogare ad una particolare disciplina
legislativa. 8
Ne conseguirebbe l’insindacabilità nel merito del provvedimento, in quanto, anche se
formalmente emanato dall’autorità amministrativa delegata, sarebbe espressione di una volontà
politica per sua natura insindacabile.
Pertanto, l’assenza della tutela giurisdizionale nel merito del provvedimento sarebbe conseguenza
dell’esercizio, attraverso il Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate, della volontà politica
di riconoscere o meno la fondatezza delle richieste avanzate dai contribuenti, escludendo la
possibilità che gli stessi possano richiedere a soggetti diversi la rettifica del provvedimento.
8
L’individuazione del Direttore Regionale, come organo abilitato in luogo dell’autorità politica a poter rendere inefficace una disposizione di
legge, potrebbe essere scaturita da due considerazioni:
la prima riguarda l’applicazione della disposizione alla platea dei contribuenti. Infatti, la decisione nel merito (non essendo proponibile
la costituzione di un apposito organo eminentemente politico) non poteva che essere attribuita ad un organo della pubblica
amministrazione, per principio teso al buon andamento e imparzialità dell’attività amministrativa;
la seconda, conseguenza della prima, concerne la conoscenza tecnica ed il collegamento territoriale tra il soggetto istante ed il soggetto
titolare del potere d’accertamento.
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Ciò, però, non esclude che nella procedura di formazione ed emanazione del provvedimento,
l’autorità amministrativa incorra in comportamenti illegittimi.
In tal caso sembrerebbe logico considerare come ammissibile la possibilità di tutela
giurisdizionale per vizi di legittimità (violazione di legge, eccesso di potere ed incompetenza) con
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica o al TAR, considerato anche che, sulla base
delle disposizioni contenute nel comma 6 del DM 19 giugno 1998, n. 259 il provvedimento del
Direttore Regionale è un atto definitivo, per il quale, quindi, non è ammissibile il ricorso
gerarchico.
Il provvedimento del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate avrebbe, quindi, una duplice
natura:
nel merito, come provvedimento non sindacabile;
nella forma, come provvedimento amministrativo sindacabile.
Tale assunto potrebbe trovare conferma anche in alcune considerazioni che possono essere fatte
in ordine agli effetti derivanti dalle eventuali sentenze conseguenti alle impugnazioni da parte dei
contribuenti.
Infatti, se, ad esempio, il TAR dovesse pronunciarsi sull’illegittimità del provvedimento di rigetto
dell’istanza di disapplicazione per un vizio di legittimità, il provvedimento verrebbe annullato,
ma da ciò non potrebbe derivare alcun effetto favorevole al contribuente, in quanto il TAR non
può comunque disapplicare una disposizione di legge. Il contribuente resterebbe, quindi,
obbligato a rispettare le disposizioni contenute nella norma antielusiva sostanziale della quale
aveva chiesto la disapplicazione.
Istanze di disapplicazione concernenti l’operazione di fusione
L’articolo 172, comma 7, del TUIR (già art. 123, comma 5), prevede che” Le perdite
delle società che partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, possono
essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o
incorporante per la parte del loro ammontare che non eccede l'ammontare del rispettivo
patrimonio netto quale risulta dall'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione
patrimoniale di cui all'articolo 2501-quater del codice civile, senza tener conto dei
conferimenti e versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si
riferisce la situazione stessa, e sempre che dal conto economico della società le cui
perdite sono riportabili, relativo all'esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata
deliberata, risulti un ammontare di ricavi e proventi dell'attività caratteristica, e un
ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui
all'articolo 2425 del codice civile, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla
media degli ultimi due esercizi anteriori. Tra i predetti versamenti non si comprendono i
contributi erogati a norma di legge dallo Stato a da altri enti pubblici. Se le azioni o
quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla società incorporante
o da altra società partecipante alla fusione, la perdita non è comunque ammessa in
diminuzione fino a concorrenza dell'ammontare complessivo della svalutazione di tali
azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito dalla società
partecipante o dall’impresa che le ha ad essa cedute dopo l’esercizio al quale si riferisce
la perdita e prima dell’atto di fusione”.
Si tratta di una disposizione antielusiva di tipo sostanziale, che è stata dettata per contrastare il
commercio delle cosiddette “bare fiscali” e cioè manovre elusive nell’utilizzo del riporto delle
perdite attraverso la fissazione di limiti quantitativi e qualitativi al loro riporto.
In particolare, la disposizione in commento prevede che le perdite pregresse delle società che
partecipano alla fusione, compresa la società incorporante, possono essere utilizzate per ridurre il
reddito della società risultante dalla fusione o incorporante con le seguenti limitazioni:
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l’importo massimo delle perdite utilizzabili è dato dall’ammontare del patrimonio netto risultante
dall’ultimo bilancio della società in perdita o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale redatta ai
fini della fusione ai sensi dell’art. 2501-quater del codice civile. Il patrimonio netto deve essere
ridotto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si
riferisce la situazione patrimoniale;
per poter utilizzare le perdite pregresse entro i limiti del patrimonio netto come sopra
determinato, è comunque necessario che dal conto economico della società le cui perdite sono
riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, risulti un
ammontare di ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per
prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, di cui all’art. 2425 del codice civile,
superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori. Per quanto
concerne le perdite relative alle società holding si ricorda che l’Agenzia delle Entrate (risoluzione
n. 337 del 29.10.2002) ha affermato che:
i componenti reddituali di tipo finanziario assumono rilevanza ai fini della verifica dell’indice di
vitalità riferito ai ricavi;
la mancanza assoluta in bilancio delle spese per il personale dipendente “non è, da sola, sintomo
di scarsa vitalità aziendale, atteso che tale voce molto frequentemente non compare nei bilanci di
tale tipo di società”.
se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano possedute dalla società
incorporante o da altra società partecipante alla fusione, la perdita non è comunque ammessa in
diminuzione fino a concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazioni di tali azione o
quote effettuata ai fini della determinazione del reddito della società partecipante o dell’impresa
che le ha ad essa cedute dopo l’esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell’atto di
fusione.
Le limitazioni di cui ai punti 1) e 2) sono disapplicabili, mentre, relativamente alla limitazione di
cui al punto 3), la norma non appare disapplicabile, in quanto la sua portata dispositiva non
sembra avere valenza antielusiva. Essa, infatti, sembra prevista al fine di evitare la possibile
doppia deducibilità del medesimo risultato negativo. Una prima volta in sede di svalutazione della
partecipazione anche in capo al terzo non partecipante alla fusione. Una seconda volta in
conseguenza della fusione attraverso l’utilizzo delle perdite riportate a nuovo. La disposizione
dovrebbe nel tempo depotenziarsi a causa dell’introduzione del regime delle partecipazioni esenti
che, come è risaputo, non ammette più in deduzione, nella determinazione del reddito d’impresa,
le svalutazioni relative alle partecipazioni sociali (sia con il requisito per l’esenzione che senza).
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II.2. LE OPERAZIONI DI SCISSIONE E SPIN-OFF
2.1 CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Come già evidenziato nell’introduzione del presente capitolo, le operazioni straordinarie hanno
subito modifiche sia sotto il profilo civilistico che sotto quello fiscale: il trattamento civilistico di
dette operazioni è stato modificato con l’emanazione del decreto legislativo n° 6 del 17 gennaio
2003 (norma di riforma del diritto societario), mentre dal punto di vista fiscale le innovazioni
sono state introdotte con la modifica del Testo Unico.
Due importanti ed ulteriori modifiche hanno recentemente interessato la scissione: la prima
importante ed attesa correzione è stata apportata dall'art. 12, comma 2, del D.Lgs. 18 novembre
2005, n. 247, (in S.O. n. 193/L alla G.U. n. 280 del 1° dicembre 2005, Serie generale, in "il
fisco" n. 46/2005, fascicolo n. 2, pag. 6985), testo concernente le disposizioni correttive ed
integrative al D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, in materia di imposta sul reddito delle società,
nonché altre disposizioni tributarie.
Detta norma ha corretto l'errato riferimento contenuto nell'art. 173, comma 15, del Tuir
(approvato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), il quale disponeva, prima della novella, che,
nei riguardi di una società soggetta all'Ires beneficiaria della scissione di una società non
soggetta a tale tributo e nei confronti della società del secondo tipo beneficiaria della scissione di
una società del primo tipo, andavano applicati, in quanto conciliabili, i commi 3, 4 e 5 dell'art.
171 del Tuir, ritenendo per siffatto scopo la società scissa come trasformata per la quota di
patrimonio netto trasportata nella beneficiaria.
Il richiamo all'art. 171 del Tuir (rubricato "Trasformazione eterogenea"), che si occupa,
sia della fattispecie in cui un ente non commerciale si trasforma in una società sia della
fattispecie inversa, era in realtà errato, giacché i nessi logici e sistematici della problematica
affrontata, attinente alla scissione cosiddetta "disomogenea", erano invece contenuti nei commi 3,
4 e 5 dell'art. 170 del Tuir e in tale nuovo riferimento consiste, per l'appunto, la correzione
introdotta dal citato art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 247/2005.
Quindi, nel caso in cui la società scissa sia una società di persone, laddove la beneficiaria è
una società di capitali, la giusta norma da applicare è, come infatti ora confermato dal nuovo
testo dell'art. 173, comma 15, del Tuir, il comma 3 dell'art. 170 del Tuir, secondo cui le
riserve di utili già tassate devono essere iscritte con appropriata denominazione nel bilancio
della società beneficiaria cui vengono assegnate; la susseguente ripartizione ai soci da parte
di quest'ultima non dà vita ad alcun reddito di capitale, fermo restando, ovviamente,
l'abbassamento del costo fiscalmente verificato della partecipazione.
Si tratta, infatti, di riserve precedentemente imputate fiscalmente ai soci, in attuazione del
principio di trasparenza sancito dall'art. 89 del Tuir, secondo cui agli utili conseguenti alla
detenzione di quote in società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice
residenti nel territorio italiano vanno applicati gli ordinamenti dell'art. 5 del Tuir, ragion per
cui essi sono tassati in capo a ciascun socio, a prescindere dalla percezione, in proporzione
alla rispettiva quota di partecipazione agli utili.
È stato inoltre chiarito che se la società scissa è soggetta all'Ires, mentre la beneficiaria è una
società di persone, le riserve di utili prodotte dalla scissa e attribuite parzialmente alla società
beneficiaria soggiacciono ad imponibilità fiscale quali dividendi, allorché vengano ripartite
dalla beneficiaria società di persone. Infatti l'art. 170, comma 4, lettera a), del Tuir dispone
che dette riserve devono essere dettagliatamente e precisamente individuate nel bilancio della
beneficiaria e si considerano distribuite o nel periodo d'imposta in cui avviene effettivamente
l'assegnazione oppure in quello successivo alla scissione se non sono state iscritte nel bilancio
della beneficiaria.
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Se invece tali riserve non vengono iscritte in bilancio oppure giungono in bilancio senza le
necessarie indicazioni, esse, a norma dell'art. 170, comma 4, lettera b), del Tuir, sono imputate ai
soci nel periodo d'imposta successivo alla scissione. Circa quest'ultimo aspetto, attenendosi
letteralmente al dettato legislativo, si arriva ad argomentare, come è stato osservato da attenta
dottrina, che "è questo il caso, ad esempio, della beneficiaria società di persone che opta
per la contabilità semplificata: queste riserve si intendono distribuite ai soci".
L'art. 170, comma 4, applicato alla scissione, può anche riguardare soci di società di capitali
che sono a loro volta società di capitali; in questa ipotesi, per effetto dell'operazione
straordinaria, detti soci si trovano a detenere partecipazioni in società di persone,
confermando l'ammissibilità di tale tipologia di presenza, peraltro chiaramente consentita
dallo stesso Modello UNICO 2005-SC, in cui, nei righi RF9, colonna 1, e RF39, colonna 1,
vanno infatti rispettivamente inseriti l'utile (a prescindere dall'effettiva percezione dello stesso)
o la perdita fiscalmente rilevanti derivanti dalla partecipazione in società di persone.
Va, nondimeno, ricordato che, anteriormente all'emanazione del D.Lgs.17 gennaio 2003, n. 6,
non era ammessa, dal punto di vista civilistico, la partecipazione in società di persone da parte di
società di capitali. In effetti, non esisteva un divieto esplicito normativo in tal senso; l'unica
disposizione esistente sul tema era l'art. 2361 del codice civile (composto da un solo comma),
relativo alle società per azioni, che, nel vecchio testo, vietava l'assunzione di partecipazioni in
altre imprese, anche se prevista genericamente nell'atto costitutivo, se per la misura e per
l'oggetto della partecipazione ne fosse risultato sostanzialmente cambiato l'oggetto sociale
individuato dallo stesso atto costitutivo.
Tuttavia, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, nella fondamentale sentenza n.
5636 del 17 ottobre 1988 (riguardante la partecipazione di una società per azioni in una
società di persone) aveva comunque stabilito tale preclusione, basandosi soprattutto sulla
considerazione che gli amministratori di una società di capitali, che quindi detengono i poteri
di gestione, sono soggetti a principi che mirano a salvaguardare l'integrità del patrimonio sociale
nell'interesse dei soci e dei creditori, ragion per cui,
nell'insieme,
le
regole
sull'amministrazione delle società di capitali costituiscono norme di carattere imperativo. Ciò
premesso, secondo la Corte, permettendo la partecipazione in una società di persone, si
avrebbe l'esito che la parte di patrimonio investita in quest'ultima verrebbe sottratta a quelle
regole, per essere governata dagli amministratori della società di persone medesima,
soggetti a controlli e riscontri assai meno penetranti.
Era stata fatta presente in dottrina l'ovvia obiezione secondo cui, anche nel caso di
partecipazione in altra società di capitali, si ha un tramutamento di potere gestorio riguardo al
patrimonio investito nella stessa, ma la Corte ritenne che le regole applicabili a tale
amministrazione sono, comunque, le medesime applicate nella società partecipante, che, di
rimando, sarebbe così tutelata, avendo lo stesso tipo di governance.
La riforma del diritto societario ha sconfessato tale concezione, ritenendo sostanzialmente
che i soci, nel pieno rispetto del complesso di regole esistenti, possono senz'altro decidere di
conferire una porzione del patrimonio in una società di persone, ancorché la disciplina
applicabile alla società partecipata sia diversa e meno articolata di quella stabilita per le società
di capitali. Infatti, la descritta incertezza è stata definitivamente risolta in senso positivo
grazie al combinato disposto dal comma 2 dell'art. 2361 del codice civile e dall'art. 111duodecies delle "Disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie"
(R.D. 30 marzo 1942, n. 318). La prima delle disposizioni indicate, modificata in virtù dell'art.
1 del D.Lgs 17 gennaio 2003, n. 6, con decorrenza dal 1° gennaio 2004, stabilisce ora che
l'assunzione di partecipazioni in altre imprese, la quale implichi una responsabilità illimitata
per le obbligazioni delle stesse deve essere deliberata dall'assemblea e che gli
amministratori, nella nota integrativa del bilancio, ne debbono fornire espressa menzione.
La seconda norma, inserita per effetto dell'art. 9 del D.Lgs. n. 6/2003 e anch'essa avente
decorrenza dal 1° gennaio 2004, è relativa alla redazione del bilancio e stabilisce che le
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società in nome collettivo o in accomandita semplice, nell'eventualità che tutti i loro
soci illimitatamente responsabili siano società per azioni, in accomandita per azioni o società a
responsabilità limitata, devono redigere il bilancio secondo le norme previste per le società per
azioni: di conseguenza, vi è una ratifica di legge circa la possibilità che una società di capitali
possa partecipare al capitale sociale di una società di persone. Inoltre, in presenza dei relativi
presupposti, esse devono redigere e pubblicare il bilancio consolidato come regolamentato
dall'art. 26 del D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127.
Tornando alle problematiche più strettamente fiscali, un secondo importante intervento
legislativo è stato apportato dall'art. 12, comma 1, lettera b), del citato D.Lgs. n. 247/2005, che
ha modificato ed integrato il previgente comma 6 dell'art. 172 del Tuir, concernente la fusione
e richiamato, per la scissione, dal comma 9 dell'art. 173 del Tuir. Il precedente dettato della
norma, infatti, non aveva chiarito un aspetto concernente la sorte dell'avanzo di scissione una
volta ricostituite, laddove esistenti, le riserve in sospensione d'imposta. Al riguardo, la
disposizione ora afferma che l'incremento di capitale o l'avanzo di scissione , che rimane
successivamente alla ricomposizione delle riserve in sospensione d'imposta, prende su di sé le
caratteristiche tributarie del
capitale e delle riserve della società scissa, dissimili da quelle in sospensione d'imposta che
hanno contribuito (in proporzione) alla sua configurazione. Il chiarimento legislativo è
importante in quanto, nella precedente formulazione, nel criterio di ricostituzione erano
menzionate solo le riserve e non anche il capitale, circostanza che era stata criticata dalla
dottrina . Ma l'attuale art. 172, comma 6, nell'ultimo periodo, stabilisce anche che non vanno
considerate partecipanti all'avanzo sia il capitale che le riserve di capitale fino a concorrenza
dell'importo della partecipazione annullata; quindi, nel calcolo proporzionale vanno computate
solo le poste di capitale che eccedono il valore della partecipazione medesima.
Un esempio potrà risultare utile per meglio comprendere il meccanismo .
Una società "A" beneficiaria si vede attribuire dalla società scissa "B" la seguente parte di
patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio :
- capitale sociale
- riserve in sospensione d'imposta radicale
- riserve in sospensione d'imposta moderata
- riserve di capitale
- riserve di utili
100
30
50
250
100
Totale
530
La partecipazione in "B" è iscritta nella contabilità di "A" al costo di acquisto pari a 200.
Emerge, quindi, un avanzo di scissione pari a 330 (530 - 200); detto avanzo, essendo iscritte
nell'ultimo bilancio della società "B" riserve in sospensione d'imposta radicale (30) e riserve in
sospensione d'imposta moderata (50), dovrà essere prioritariamente utilizzato per ricostituire le
stesse.
L'ammontare che residua (330 - 30 - 50 = 250), in applicazione del comma 6 dell'art. 172
del Tuir, dovrà essere assoggettato al regime fiscale delle altre riserve e del capitale sociale della
società "B" che hanno proporzionalmente concorso alla sua formazione, con l'avvertenza, però,
che le voci di patrimonio netto che hanno natura di capitale per la scissa (350) non devono
concorrere alla formazione dell'avanzo per 200. Residuano pertanto 150 con natura di capitale e
100 con natura di utili: così l'avanzo di 250 sarà formato per il 60 per cento da poste di capitale
e per il 40 per cento da utili.
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Nell'eventualità che vi fossero da dividere solo importi aventi natura di capitale, si applica (in
caso di effettiva ripartizione) quanto previsto dall'art. 47, comma 5, del Tuir, per cui essi possono
essere liberamente assegnati ai soci con esclusione dell'imposizione fiscale, giacché non sono
considerati utili i beni e le somme percepiti dai soci delle società soggette all'Ires, a titolo di
suddivisione di riserve o di altri fondi costituiti con sovrapprezzi di emissione delle azioni
o quote, con interessi di conguaglio erogati dai sottoscrittori di nuove quote o azioni, con
versamenti eseguiti dai soci a fondo perduto o in conto capitale e con saldi di rivalutazione
monetaria esclusi da imposta; ciò nondimeno, le somme o il valore normale dei beni ricevuti
fanno diventare minore il costo fiscalmente riconosciuto delle quote o azioni possedute. Va
rammentato, però, che in caso di distribuzione congiunta di capitale e di utili, subentra la
presunzione prevista dall'art. 47, comma 1, del Tuir, secondo cui, in caso di distribuzione degli
utili delle società o degli enti soggetti all'Ires, si considerano per primi assegnati (con
l'eccezione dei redditi esenti dall'imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo
d'imposta o ad imposta sostitutiva) l'utile dell'esercizio e le riserve diverse da quelle di
capitale, per la quota di esse non accantonata in sospensione d'imposta .
Ciò in maniera del tutto autonoma da quanto deciso dalla delibera assembleare, che, per
questi particolari fini fiscali, risulta del tutto ininfluente. Tale disposizione si rende applicabile a
condizione però che le riserve di utili presenti siano liberamente disponibili.
Risulta perciò essenziale, in caso di siffatte ripartizioni susseguenti a precedenti operazioni di
scissione , che la società informi i soci sia della differente tipologia delle riserve distribuite
e sia del loro relativo stato tributario. Quindi, in caso di suddivisione di riserve di capitale,
occorre indicare che, in mancanza di utili e di riserve di utili, la distribuzione non realizza reddito
soggetto ad imposizione.
Viceversa, nell'ipotesi che vi siano, oltre a riserve di capitale anche riserve di utili disponibili,
la società è tenuta a dettagliare che, a dispetto del fatto che stia suddividendo, dal punto di
vista civilistico, solo le predette poste di capitale, la ripartizione realizza, per effetto di quanto
disposto dall'art. 47, comma 1, del Tuir, componenti positivi tassabili in capo ai percipienti
limitatamente al 40 per cento del loro ammontare.
Nel proseguo si intende fornire un quadro organico della disciplina della scissione evidenziando,
alla fine della trattazione, le implicazioni che l’operazione in analisi ha in materia di elusione.
2.2 SCISSIONE: DEFINIZIONE E MODIFICHE TRATTAMENTO FISCALE
La scissione è l’operazione che comporta il trasferimento (totale o parziale) del patrimonio di
una società (scissa) nei confronti di una o più società preesistenti o di nuova costituzione
(beneficiarie).
La normativa fiscale di riferimento è data dagli articoli 172, 173 e 174 del Testo Unico.
Con riguardo alle modifiche intervenute è senz’altro da segnalare che l’operazione in questione è
da considerarsi fiscalmente neutrale sia con riguardo alla scissa ed ai suoi soci che con riguardo
alla (o alle) beneficiarie (articolo 173, commi 1 e 2), inoltre al successivo comma 3 viene altresì
sancita anche la neutralità del rapporto di cambio.
Quanto detto ha valenza sia per le scissioni parziali che per quelle totali e comporta, come diretta
conseguenza, che, relativamente alle beneficiarie, non costituiscono reddito imponibile gli avanzi
ed i disavanzi da concambio o da annullamento; con riferimento ai soci, il cambio azionario non
genererà plusvalenze in quanto le nuove azioni assumeranno quale costo quello delle vecchie.
2.3 AVANZO E DISAVANZO DA SCISSIONE
Come evidenziato nel paragrafo precedente, l’articolo 173 sancisce al comma 2, la neutralità
fiscale del disavanzo, eliminando la possibilità (prevista dalla normativa previgente) di
affrancamento, gratuito, o attraverso il pagamento di un’imposta sostitutiva ex articolo 6 del
decreto legislativo 358/97.
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La ratio della disciplina è da ricondursi nell’intento del legislatore di colpire le operazioni di
ristrutturazione aziendale effettuate con il solo scopo di conseguire risparmi d’imposta.
Relativamente all’avanzo da scissione, esso è disciplinato dal comma 9 dell’articolo 173, nonché
per espresso rinvio alla normativa relativa alla fusione, dai commi 5 e 6 dell’articolo 172.
L’avanzo costituisce una riserva di patrimonio netto e verrà tassato solo in caso di distribuzione
ai soci.
Esso viene utilizzato in primo luogo per la ricostituzione delle riserve la cui entità sarà
proporzionale alla quota di patrimonio netto assegnata dalla scissa alla/e beneficiaria/e.
Occorre a questo punto distinguere la natura delle riserve da ricostituire in quanto in relazione
alla loro natura ci saranno regimi fiscali differenti.
Relativamente alla riserve in sospensione d’imposta, ai sensi del comma 5 dell’articolo 172,
concorreranno alla formazione del reddito d’esercizio nella misura in cui non vengano
ricostituite, mentre sempre allo stesso comma viene altresì puntualizzato che tale disposizione
non trova applicazione per le riserve tassabili solo in caso di distribuzione (come ad esempio la
riserva di rivalutazione monetaria).
A norma del comma 6, nel caso in cui l’avanzo sia superiore al valore di riserva da ricostituire, la
quota eccedente dovrà essere trattata fiscalmente come le riserve della scissa diverse da quelle
già attribuite o ricostituite, che hanno proporzionalmente concorso alla sua formazione.
2.4 RIPORTO DELLE PERDITE
La disciplina della scissione, all’articolo 173 comma 10, rinvia a quanto disposto al comma 7
dell’articolo 172 in tema di fusione.
Nel parallelo tra fusione e scissione occorre tener presente che la società scissa viene ad essere
equiparata alle società fuse o incorporate, mentre le beneficiarie alla società incorporante o
risultante dalla fusione.
In particolare vanno ripartite tra le beneficiarie in ragione delle rispettive quote di patrimonio
netto contabile trasferite.
Condizione necessaria affinché sia possibile il riporto, disposta del comma 7 dell’articolo 172, è
che la società che detiene le perdite abbia conseguito, nell’esercizio precedente a quello in cui è
stata deliberata la scissione, un ammontare di ricavi dell’area caratteristica (da considerarsi al
netto di eventuali contributi, erogati a norma di legge, dallo Stato o da altri enti pubblici) e di
costi per prestazioni di lavoro subordinato (nonché dei relativi oneri contributivi) di cui
all’articolo 2425 del codice civile superiore del 40% rispetto alla media dei due anni precedenti.
Il limite quantitativo di deducibilità è invece dato dal minore ammontare tra il patrimonio netto
risultante dall’ultimo bilancio della scissa e quello risultante dal progetto di scissione (articolo
2506-bis del codice civile) ovvero della situazione patrimoniale della società scissa (articolo
2506-ter) redatta ai fini della scissione.
2.5 OBBLIGHI DI VERSAMENTO
Relativamente agli obblighi connessi agli obblighi fiscali in tema di versamento degli acconti
d’imposta è da segnalare che la normativa (articolo 172 comma 10) prevede che quelli relativi a
soggetti che si estinguono per effetto dell’operazione, debbano essere assolti dagli stessi fino alla
data di efficacia dell’operazione ovvero fino data di iscrizione dell’atto nel registro delle
imprese, non avendo rilevanza, a tal riguardo, l’eventuale retrodatazione degli effetti
dell’operazione.
A norma dell’articolo 173 comma 5, in caso di scissione totale tali obblighi, se trasferiti in capo
alle beneficiarie verranno ripartiti in funzione della quota di patrimonio netto assegnata, mentre
nel caso di scissione parziale resteranno competenza della società scissa.
2.6. LE PRONUNCE DEL COMITATO ANTI ELUSIVO
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Nell’ambito delle disposizioni di cui all’articolo 37 bis del Dpr n. 600 del 1973, l’operazione che,
con maggiore frequenza è giunta all’attenzione del Comitato consultivo per l’applicazione delle
norme anti elusive è senza dubbio quella di scissione societaria. Ciò in quanto la predetta
operazione è quella che, in relazione ai diversi obiettivi imprenditoriali da modo di “separare” i
patrimoni nell’ambito di un percorso che non assume rilevanza ai fini fiscali. E’ noto che
nell’ambito della analisi di una operazione alla luce della norma prima richiamata, una singola
operazione ben difficilmente può essere considerata come elusiva ma lo può divenire il suo
utilizzo nel contesto di un più ampio disegno elusivo privo quindi di valide ragioni economiche
che, aggirando le regole previste dall’ordinamento tributario, è diretto ad ottenere un risparmio di
imposta non approvato dal sistema. In generale, affinché si possa affermare che l’obiettivo
elusivo è scongiurato con riferimento ad una operazione di scissione, è in sostanza necessario che
la parte di patrimonio societario che si intende separare dall’attività principale sia di per sé
funzionale ad un disegno di organizzazione aziendale. Da questo concetto, si può prendere come
riferimento un principio di valide ragioni economiche sottese ad una operazione di scissione
societaria che sussistono tutte le volte in cui le stesse si fondano o su esigenze di ristrutturazione
organizzativa , finalizzate cioè ad un processo di decentramento di attività industriali o su
decisioni di ridefinizione della struttura finanziaria nel senso, ad esempio, di rendere autonoma
l’evoluzione della stessa dalle varie unità risultanti dall’operazione. Infine, possono sussistere
valide ragioni economiche tutte le volte in cui vengano assunte scelte funzionali assunte per
agevolare dei processi di liquidazione quando si abbia intenzione di avviare alla chiusura la parte
o le parti meno vitali di una azienda attraverso il distacco dalle entità più produttive del gruppo.
Quindi, laddove ad esempio i beni oggetto di separazione non abbiano nemmeno “in nuce” le
caratteristiche tali da potere essere ricondotte ad una delle finalità sopra evidenziate, l’operazione
stessa non assumerà caratteristiche tali da potere essere considerata come valida secondo
l’approccio di cui all’articolo 37 bis del DPR n. 600 del 1973.
Uno dei requisiti previsti dall’articolo 37 bis come sopra esaminato, è l’aggiramento del percorso
fisiologicamente previsto in relazione all’obiettivo che si intende conseguire. In relazione alle
operazioni di scissione, viene frequentemente formulata l’ipotesi dell’impossibilità della
prosecuzione dell’attività sociale nella veste attuale e nella necessità dunque di separare, ad
esempio, due gruppi familiari litigiosi. A tale fine, viene prospettata come operazione fisiologica
quella di scissione non proporzionale dove, al termine della stessa, ciascuno dei due gruppi
detiene una intera società. L’operazione di scissione non proporzionale, dunque, si pone come
alternativa alla liquidazione volontaria della società preesistente ovvero alla operazione di recesso
da parte di un gruppo di soci. In queste due ipotesi, emergerebbero quelle plusvalenze che invece
l’operazione di scissione lascia latenti sino al momento in cui gli stessi usciranno dal regime di
impresa in modo definitivo. Va rilevato come la differenza tra le ipotesi delineate è rappresentata
dal fatto che la liquidazione ed il recesso del socio rappresentano delle operazioni che dal punto
di vista economico concludono l’attività dell’esercizio dell’impresa in via generale (con la
liquidazione) ovvero con riferimento ad un socio od a un gruppo di soci (con il recesso) con la
conseguente dismissione od assegnazione di beni. Con riferimento alla operazione di scissione, la
stessa rappresenta una operazione di riorganizzazione aziendale che attiene alla compagine
societaria ed all’assetto patrimoniale senza che tale vicenda possa interferire con i valori
fiscalmente riconosciuti dei beni dell’azienda. Pertanto, ci si deve chiedere se una operazione di
scissione si pone come alternativa logica e fisiologica, e quindi con lo stesso grado di dignità,
rispetto ad una operazione di liquidazione ovvero al recesso di un socio o di un gruppo di soci o,
invece, non costituisca una operazione che solo formalmente legittima e che invece rappresenta
una operazione semplicemente rivolta ad ottenere dei vantaggi che l’ordinamento tributario
disapprova.
E’ dunque fondamentale, per procedere verso una strada o l’altra, rilevare :
gli effettivi intenti che sono perseguiti con una operazione di scissione;
la composizione e le modalità di ripartizione del patrimonio tra le due società beneficiarie.
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Se ad esempio i soci scelgono l’operazione di scissione al solo fine di sciogliere il rapporto
giuridico esistente beneficiando della neutralità e al contempo hanno già creato delle società
autonome a loro riferibili alle quali sono destinati in neutralità i beni della società scissa, appare
evidente come l’operazione non sia supportata da valide ragioni economiche. Inoltre, laddove
l’operazione di scissione sia esclusivamente rivolta a sciolgliere un rapporto societario esistente
ed ha ad oggetto non una azienda ma una semplice “sommatoria” di beni, appare evidente come
l’operazione medesima non appare supporttata da valide ragioni economiche. Quindi,
sel’operazione di scissione è utilizzata solo per destinare ai soci beni in neutralità quando i soci
medesimi hanno già intrapreso una loro attività di impresa in forma autonoma, l’operazione in
questione non è dunque connotata da valide ragioni economiche.
Particolare attenzione è stata sempre posta dall’amministrazione finanziaria ovvero dal comitato
consultivo sulla circostanza che, successivamente alla operazione di scissione, si procedesse o
meno alla cessione delle partecipazioni ovvero, che nell’ipotesi di operazioni di scissione non
proporzionale, vi fosse un indebito arricchimento di alcuni soci in luogo di altri. In particolare, va
osservato che le operazioni di scissione, come sottolineato dal parere n. 9 del 2002 del comitato
consultivo, sono finalizzate alla necessità che si pervenga ad un diverso assetto del complesso dei.
rapporti attivi e passivi insistenti sulla società scissa tramite il riferimento ad uno o più soggetti,
già esistenti o di nuova costituzione, di quota parte del patrimonio. Secondo il comitato,
l’operazione di scissione consente di risolvere problemi di diversificazione di assetto produttivo e
di piàù razionale ed efficiente configurazione dei processi di attività e, anche nella possibile
molteplicità di ipotesi, presenta la caratteristica del trasferimento di un complesso di rapporti che
può noin essere la sezione proporzionale delle attività societarie originarie ma che dovrebbe,
comunque, rappresentare una quota parte sia qualitativamente che quantitativamente dei rapporti
ricompresi nel patrimonio della società scissa. Si è invece fuori da tale impostazione tutte le volte
in cui, attraverso l’operazione di scissione, si conseguano effetti sostanzialmente simili a quelli
del passaggio di un singolo bene. In questo caso, infatti, avverrebbe il trasferimento in neutralità
fiscale di un bene ad un'altra società e con l’ulteriore possibilità di trasferirlo nel tempo ad altri
soggetti opportunamente rivalutato
Di seguito si richiamano alcune delle recenti prese di posizione dell’amministrazione finanziaria e
del comitato consultivo in materia di scissione ed elusione societaria
Risoluzione n. E’ il caso tipico della scissione nella quale una società mantiene il rampo
114 del 2001
operativo ed altra società diviene proprietaria del compendio immobiliare. Nel
momento in cui l’operazione viene ritenuta giustificata da valide ragioni
economiche (nel caso di specie lo sviluppo dell’attività immobiliare ed
implementazione dell’attività residua anche attraverso l’ingresso dei figli
dell’imprenditore), non vi sono ragioni che portino alla dichiarazione di
elusività. Ciò sempre che l’operazione non rappresenti il primo tassello di una
serie di operazioni successive che hanno come obviettivo la successiva cessione
delle partecipazioni sociali. In questa ipotesi, le valide ragioni economiche
possono ritrovarsi nella necessità di perseguire diverse politiche aziendali
Risoluzione n. In questo caso, l’amministrazione finanziaria ha sostanzialmente riqualificato
116 /2001
come conferimento l’operazione descritta dal contribuente :
società T che opera nel settore dell’impiantistica e che ha il 99,9% di una
società holding Y che controlla tre società operative;
viene scissa T ed alla beneficiaria T2 viene attribuita la partecipazione in Y;
le quote di T, possedute da tre soci persone fisiche, vengono cedute, senza
l’emersione di capital gain, ad Y;
Y viene incorporata in T2;
I soci persone fisiche immettono il denaro ricevuto nella Y per procedere ad un
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Parere n. 5 del
2001
Risoluzione
183 /2001
n.
Risoluzione
28 del 2002
n.
Risoluzione
53 del 2002
n.
aumento di capitale ottenendo in questo modo, una maggiore partecipazione.
La riqualificazione dell’operazione in una operazione di conferimento, trova
ragione nel fatto che, procedendo all acessione di partecipazioni di una società
con riferimento alla quale si sottolinea l’operatività e l’avviamento, i soci non
generano alcun capital gain imponibile. In pratica, si tratta di una operazione di
conferimento da parte dei soci che ricevono come corrispettivo, delle azoni
della holding ed è dunque na operazione che deve avvenire a valori normali ai
sensi dell’articolo 9 del Tuir
Il parere affronta il caso di una scissione parziale e non proporzionale. Nel caso
di specie, in seguito alla necessità di perseguire due diverse politiche aziendali,
viene a crearsi una società unipersonale beneficiaria di cui è titolare il socio
avente il 25 per cento di partecipazione nella società scissa. La società
beneficiaria è titolare dell’immobile di notevole valore economico ed in
relazione al quale è necessaria l’appostazine di un disavanzo di concambio in
capo alla beneficiaria attestante, appunto, il plusvalore latente sul bene.
Secondo il comitato, l’operazione è legittima a condizione che :
l’emersione del disavanzo con conseguente affrancamento non rappresenti un
aggiramento della più onerosa disciplina della rivalutazione ai fini della
cessione del bene;
la scissione non sia finalizzata alla liquidazione della partecipazione ottenendo
dunque una riduzione del carico fiscale
Viene esaminata l’ipotesi di una scissione parziale e proporzionale con la quale
una società proprietaria di un immobile decide, con una operazione di scissione,
di attribuire il bene immobile ad una società già esistente. La società scissa
continuerà ad utilizzare il bene mediante un contratto di locazione, Secondo
l’amministrazione finanziaria, l’operazione non è elusiva a condizione che il
bene continui ad essere utilizzato per lo svolgimento di un’attività di impresa e,
medio tempore, non si provveda alla vcesione delle partecipazioni così da far
circolare beni di secondo grado con una tassazione ridotta
Una società con tre magazzini a Genova poer la distribuzione dei prodotti per la
pesca nel territorio mazionale e titolare di un magazzino locato a terzi. Viene
effettuato uno spin off immobliare con locazione a prezzi di mercato dei tre
magazzini per agevolare nella stessa l’ingresso di nuovi soci. L’agenzia delle
entrate, esprime parere positivo ed osserva che ai costi della ocazione in capo
alla scissa vengono contrapposti i nuovi ingressi dei soci, mentre la società
beneficiaria potrà svolgere una attività immobiliare ricavandone degli affitti. La
scissione, dunque, non appare preordinata ad aggirare i principi di neutralità e
di continuità di valori non generando dei salti di imposta. Se i soci dovessero
cedere il controllo della scissa (anziché procedere alla stipula di accordi di joint
venture) ovvero se i nuovi soci procedono alla risoluzione del contratto di
locazione con la beneficiaria, le operazioni sarebbero in realtà preordinate a
svuotare più che ad alleggerire la scissa dei beni immobili usufruendo del
rehime di neutralità della scissione dilazionando sine die le plusvalenze latenti
La risoluzione in esame appare particolarmente interessante in quanto, pur non
condividendo in pieno le ragioni economiche sottese all’operazione, si valuta in
modo decisivo un altro aspetto, cioè quello del mantenimento nell’ambito del
regime di impresa dei beni oggetto dell’operazione di scissione. La società in
questione ha per oggetto principale l’acquisto, la vendita e la permuta di
immobili in genere, nonché la demolizione, la costruzione e la ristrutturazione
di fabbricati a qualunque uso destinati. Nel 1995, la società acquisisce una vasta
area industriale dimessa al fine di procedere al recupero e nel 1997 viene
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Risoluzione
224 /20002
stipulata una convenzione con la quale viene approvato uno specifico progetto
che prevede la realizzazione di edifici destinati a diversi usi di cui alcuni già
ceduti. Per procedere alla riorganizzazione, la progettazione viene affidata a
soggetti diversi che, presumibilmente, possono perseguire politiche molto
differenti tra loro. Per rispettare le linee guida di intervento si procede ad
effettuare una operazione di scissione in cinque società, oltre al mantenimento
della scissa, ciascuna delle quali viene dotata di un complesso immobiliare
destinato a finalità diverse. In merito alle ragioni economiche la società
descrive come si intenda a :
proseguire l’attività edificatoria sulle aree già acquisite nel rispetto delle
obbligazioni assunte con la sottoscrizione della Covenzione;
raggruppare gli edifici e le unità immobiliari in costruzione e da costruire in
gruppi omogenei definiti in relazione a vari indici
cessione a titolo definitivo di parte degli immobili realizzati e destinare alla
locazione altra parte degli immobili ovvero cedere le quote sociali relative alle
società beneficiarie o le azioni relative alla società scissa.
In merito al requisito del risparmio di imposta, questo verrebbe conseguito
vendendo le quote da parte delle persone fisiche (comprese quelle non
residenti) e questa circostanza è da considerarsi come patologica quando
l’operazione di scissione è preordinata a questo obiettivo. Assoluto rilievo
assumono i tempi dell’operazione, non ravvisandosi sotto il profilo economico
gestionale, la necessità di costituire cinque società in quanto i soci che
gestiscono unitariamente i progetti con un solo soggetto societario, vedono
moltiplicarsi gli adempimenti. L’unico vero obiettivo della scissione sarebbe
dunque la successiva cessione delle quote delle società beneficiarie, ciascuna
contenitore di singolli complessi immobiliari o beni immobili, obiettivo che con
una società non è raggiungibile atteso che l’eventuale cessione delle azioni
della società istante riguarderebbe l’insieme di tutti i beni immobili di primo
grado. Posto che sarebbe più logico procedere alla scissione di attività non
omogenee, l’operazione sarebbe da considerarsi come elusiva quando :
i soci persone fisiche non esercenti attività di impresa di una o più delle società
contenitore procedono ad alienare le loro quote od azioni;
i soci persone fisiche o giuridiche esercenti attività di impresa di una o più delle
società beneficiarie contenitore procedono ad alienare le loro azioni o quote con
assoggettamento a tassazione sostitutiva.
Laddove invece si procede alla cessione degli immobili direttamente da parte
delle società beneficiarie ovvero lo stesse procedono alla stipula di contratti di
locazione, non si potrebbero ravvisare profili di elusività in quanto tutto rimane
nell’ambito della tassazione del reddito di impresa prodotto dalla società.
n. L’operazione in questione è una scissione parziale e proporzionale posta in
essere da una società di persone :
vengono trasferiti i diritti di proprietà, usufrutto o nuda proprietà dei lotti
intestati alla società;
viene effettuato un complesso intervento edificatorio che investe tutta l’attuale
proprietà avente ad oggetto ciascuna delle fattispecie di intervento previste.
La società scissa conserverà la proprietà di tutti gli altri mezzi di produzione al
di fuori dei terreni attribuiti alle società beneficiarie. Inoltre, gli stessi terreni
verranno concessi in affitto alla società scissa affinché essa possa continuare a
svolgere l’attività agricola propria sino alla dismissione od alla utilizzazione
edificatoria degli appezzamenti. Successivamente, le operazioni da porre in
essere potrebbero riguardare :
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Parere
/2002
n.
la cessione o locazione di beni finiti, a lavori edificatori ultimati;
la cessione o locazione di rami di azienda, a lavori edificatori ultimati ed a
attività commerciali avviate;
la cessione parziale delle quote o delle azioni.
Anche in questo caso, l’amministrazione finanziaria afferma l’esistenza di una
possibile ipotesi elusiva nel caso in cui oggetto di cessione siano le quote o le
azioni sia con riferimento alle persone fisiche non imprenditori che nell’ipotesi
in cui i soci esercitano attività di impresa. Va tenuto presente che la risoluzione
è stata emanata in un periodo in cui era ancora in vigore la disposizione che
consentiva l’assoggettamento a tassazione con imposta sostitutiva della
plusvalenza di cessione delle partecipazioni societarie.
Il risparmio di imposta sarebbe comunque indebito in quanto l’operazione è
posta in essere dai soci al solo fine esclusivo di precostituirsi le condizioni,
creando “società beneficiarie contenitori”, per trasformare le plusvalenze
realizzabili su beni di primo grado (immobili), in capital gain su beni di
secondo grado (partecipazioni), ciò in aggiramento delle norme del TUIR che
regolano la tassazione ordinaria delle plusvalenze conseguite nell’ambito del
reddito di impresa. L’assenza delle valide ragioni economiche sarebbe evidente
se la prospettata cessione delle azioni succedesse immediatamente
all’operazione di scissione o, alternativamente, si perfezionasse subito dopo
l’effettuazione da parte delle società beneficiarie di meri interventi di
urbanizzazione e valorizzazione dei terreni attribuiti, in quanto, in queste
ipotesi, verrebbe senz’altro meno l’apprezzabilità economico gestionale
dell’intera operazione. Risulterebbe dunque evidente, in assenza di una effettiva
attività imprenditoriale, che l’unico interesse dei soci è quello di costituire dei
contenitori destinati ad accogliere dei beni da far circolare sotto forma di
partecipazioni. Se infatti l’obiettivo fosse quello di cedere i terreni, sarebbe più
opportuno che tale attività venisse svolta dalla società scissa
9 L’operazione è una scissione parziale non proporzionale da parte di una società
che, attraverso la predetta suddivisione, intendeva risolvere delle conflittualità
tra i soci in merito alle prospettive di sviluppo dell’attività con obiettivi di
diversificazione della stessa. Conseguentemente, il progetto dell’operazione
prevedeva la creazione di una nuova società nella quale l’intero pacchetto
sarebbe stato detenuto dal gruppo di soci che detenevano il 53 per cento della
società scissa. Sempre secondo il progetto dell’operazione, vengono descritte le
conseguenze di natura prettamente tributaria della scissione :
effettuazione dell’operazione in base a valori correnti in relazione a quanto
evidenziato con apposita perizia con conseguente rivalutazione delle poste
iscritte a valori contabili nell’attivo dello stato patrimoniale;
creazione di un avanzo di scissione in capo alla società beneficiaria e,
specularmente, di un disavanzo di scissione in capo alla società scissa. Il
disavanzo, sarebbe stato trattato con le disposizioni di cui all’articolo 6 del dlgs
358 del 1997 con conseguente affrancamento.
Il comitato consultivo, nell’espressione del proprio parere, sottolinea alcune
anomalie esistenti in relazione alla operazione di scissione così come
prospettata nell’istanza formulata dalla società. In primo luogo, viene osservato
che, nel caso di specie, viene sostanzialmente disatteso quello che è un
principio di parità nella ripartizione dei cespiti societari. Infatti, a favore della
società beneficiaria viene destinato un attivo contabile che non corrisponde alla
percentuale di partecipazione detenuta nella società scissa: IN sostanza, a fronte
della iscrizione nel patrimonio netto contabile della società beneficiaria pari al
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53 per cento della scissa, l’iscrizione di attività nette contabili è pari ad oltre il
100 per cento rispetto a quelle presenti nella situazione ante scissione.
Pertanto, in questi termini, i soci della società beneficiaria sarebbero oltremodo
premiati dall’operazione di scissione, facendo paventare, secondo il comitato,
l’esistenza di partite compensative non evidenti, finalizzate a bilanciare il
contenuto di una operazione contrassegnata da un evidente vantaggio arrecato
ai soci della beneficiaria. Dalla affermazione contenuta nel parere del comitato,
pare di comprendere come l’organo consultivo si sia preoccupato, in linea di
principio, di scongiurare il verificarsi di situazioni nelle quali possa verificarsi
un capital gain occulto che sfugge a tassazione. La struttura dell’operazioe,
inoltre, non trova giustificazione nemmeno in altre ipotesi che, in linea id
principio potrebbero invece motivarla (ad esempio una maggiore capacità di
reddito del ramo aziendale e dei relativi cespiti rimasti in capo alla scissa).
Viene inoltre sottolineato che, nel caso di specie, non possono generarsi poste
quali avanzo o disavanzo di scissione, ma semplicemente delle voci che
rappresentano un bilanciamento contabile dell’anomalia sopra descritta.
Un’altra osservazione formulata dal comitato appare degna di rilievo. Si
afferma infatti che la scissione è una operazione fisiologicamente destinata alla
soluzione di problemi legati alla diversificazione ed alla efficienza del sistema
produttivo che, pur necessitando di una suddivisione proporzionale delle
attività originarie, dovrebbe seguire una linea di condotta sostanzialmente
simile. Laddove, invece, si voglia utilizzare l’operazione di scisisone
fiscalmente neutra per ottenere benefici non conseguibili nel caso di mero
trasferimento di un bene (nel caso di specie gli immobili), la stessa contiene
elementi che caratterizzano l’elusività dell’operazione in questione. Peraltro,
posto che l’istanza di interpello viene considerata come inammissibile in
quanto non rispettosa dei canoni civilistico che attengono l’operazione di
scissione, la descrizione della stessa comporterebbe una palese elusività della
stessa. Il parere del comitato si uniforma di fatto ad una linea interpretativa
ormai delineata. In sostanza, in tutti i casi in cui l’operazione di scissione
maschera, ad esempio, il trasferimento di un bene o la creazione di una società
contenitore che sono elementi semplicemente preordinati alla cessione dei beni
o delle partecipazioni, la stessa sarà da considerare come elusiva. Alcuni
passaggi del comitato non escludono in assoluto che l’operazione di scissione
possa rappresentare una operazione lecita per la composizione del dissidio tra
soci
Parere n. 6/2002 Anche in questo caso parere pare di cogliere una sostanziale apertura alla
ipotesi in cui l’operazione di scissione serva a comporre un dissidio tra soci in
merito alle politiche aziendali da perseguire. Viene infatti considerata come
ammissibile l’operazione di scissione che comporta una divisione non
proporzionale del patrimonio in due complessi aziendali che funzionano in
modo autonomo. Di fatto, la divisione non proporzionale è possibile in
relazione alla sussistenza di difformi orientamenti tra i soci in merito alle
attività aziendali da perseguire con strategie differenti. Vi è da rilevare che il
valore fiscale delle partecipazioni in seguito alla operazione di scissione rimane
immutato
Parere
n. In questo parere, il comitato consultivo sottolinea la convergenza sulla tesi
13/2002
dell’elusività nell’ipotesi in cui l’operazione di scissione sia di fatto preordinata
alla creazione di una società che raccoglie i beni della società scissa per poi fare
circolare le partecipazioni con una conseguente tassazione ridotta rispetto ai
beni di primo grado qualora gli stessi rimangano nell’ambito della società
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Parere n. 4/2003 Società immobiliare con immobile industriale diviso in varie unità
catastalmente distinte con compagine societaria in conflitto (socia al 50 per
cento ed altri due soci titolari ciascuno della nuda proprietà dell’ulteriore 50 per
cento il cui usufrutto è detenuto da altro soggetto). Si intende effettuare una
operazione di scissione totale non proporzionale a valori contabili e fiscali
mediante conferimento a due società di persone di nouva costituzione al fine di
dividere l’immobile sociale in due porzioni di uguale consistenza, metratura e
valori di mercato.
Il comitato osserva che il proprio compito consiste nella valutazione
dell’adeguatezza giuridico economica che si vorrebbe realizzare rispetto alle
finalità enunciate e che la stessa sia idonea a soddisfare finalità proprie di altri
atti o negozi giuridici il cui compimento si rivelerebbe fiscalmente più oneroso.
Si rileva quindi che :
nulla si dice in merito alla attività esercitata dalla società che si intende scindere
se cioè la stessa abbia natura imprenditoriale o di mera comunione;
nulla si specifica in ordine alle caratteristiche strutturali e funzionali
dell’immobile che consentono di valutare l’idoneità dell’impiego delle sue
unità cui potrebbero essere destinate in futuro, nonché i criteri della
ripartizione;
non risulta ben identificato l’intento imprenditoriale che si vorrebbe perseguire;
l’ipotizzata scissione comporterebbe la nascita di società di persone con socio
unico non ammessa dal sistema e che, comunque, se si protraesse per oltre sei
mesi determinerebbe lo scioglimento ai sensi dell’articolo 2272 del codice
civile;
non vengono evidenziate prospettive di strutturazione della compagine
societaria in forma unipersonale ovvero di esercizio di attività individuale.
Parere n. 1 In questo parere viene avallata l’ipotesi di una operazione di scissione parziale e proporzionale
nel caso in cui la separazione dell'attività industriale da quella immobiliare trova
/2003
valide ragioni economiche nell'esigenza di razionalizzare il sistema
organizzativo aziendale e di frazionare il rischio d'impresa e degli investimenti
e consentirebbe, peraltro, di agevolare l'ingresso di nuovi soci interessati alla
sola attività tipica svolta dalla società istante, in quanto la scissa verrebbe
sgravata dal peso, in termini di valore, dell'unità immobiliare. Quindi, secondo
il comitato, non presenta margini di elusività, a condizione, tuttavia, che la
medesima non rientri in un più ampio complesso di atti attraverso i quali la
società scissa venga svuotata dei beni immobili e la beneficiaria venga privata
di operatività, risultando mero "contenitore" dei beni in essa trasferiti, al solo
fine di spostare nel tempo la tassazione delle plusvalenze sui beni stessi,
beneficiando del regime di neutralità fiscale tipico della scissione.
Parere n. 3 Il caso è quello di una srl unipersonale che svolge attività agricola nel campo
/2003
vitivinicolo, ma è altresì proprietaria di beni immobili di civile abitazione e
negozi, non strumentali all'attività vitivinicola. La società ha intenzione di
"scorporare" dal proprio patrimonio aziendale gli immobili non strumentali,
attualmente locati e comunque non utilizzati direttamente, realizzando una
scissione parziale mediante la quale il patrimonio immobiliare sarebbe
attribuito ad altra Srl unipersonale, di nuova costituzione con l'assegnazione dei
beni "a valore di libro".
Nella fattispecie ipotizzata:
- la Srl unipersonale di nuova costituzione, beneficiaria dei beni immobili, si
accollerebbe, a seguito dell'operazione, il "debito v/Socio" che figura nel
bilancio della società scindendo;
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- la Srl scissa continuerebbe a gestire l'azienda agricola.
Il comitato osserva che l’operazione in questione non costituisce ipotesi
elusiva.
La continuazione dell'attività agricola da parte della scissa e l'inizio di un nuova
attività immobiliare non comporterebbe la sottrazione al regime d'impresa,
degli immobili "scorporati". Non si configura, quindi, alcun risparmio
d'imposta, nè debito, nè indebito, ovvero l'aggiramento di norme impositive.
Secondo il comitato, dunque, è superflua ogni indagine in tema di "valide
ragioni economiche", che, comunque, nella specie appaiono sussistenti, in
quanto la scissione è posta in essere per una delle sue cause tipiche
(separazione di attività distinte e continuazione delle stesse da parte di soggetti
distinti).
E’ evidente che fatti successivi alla scissione, ad esempio, cessione dei beni
conferiti mediante cessione della partecipazione nella nuova società e, pertanto,
conversione delle plusvalenze sui "beni di grado" in plusvalenze su
"partecipazioni” potrebbero indurre a considerare la scissione come primo atto
di un comportamento elusivo più ampio che concretizza il disegno indicato
dall’articolo 37 bis del DPR n. 600 del 1973
Parere n. 7/2003 Nel caso di specie, è stata affermata l’elusività di una operazione di scissione
societaria in quanto la stessa aveva come obiettivo una gestione delle perdite
diversa rispetto a quanto avviene in fase di fusione societaria, fattispecie più
idonea al caso prospettato.
Parere
n. La società istante ha per oggetto sociale, "la produzione, lavorazione ed il
16/2003
commercio di vino, birra, bibite e bevande in genere, grappe nonchè distillati".
Nel 1976 la società ha acquistato un immobile in proprietà; nel 2002 ha
acquistato un immobile in leasing. Le due unità immobiliari sono usate per lo
svolgimento della propria attività. La società intende procedere ad
un'operazione di scissione parziale proporzionale, avente per oggetto l'intero
patrimonio immobiliare che la società beneficiaria concederà in locazione, alla
scissa, a prezzi di mercato.
I soci della società che sarà scissa intendono, poi, cedere l'intero pacchetto
azionario della stessa alla società beneficiaria di nuova costituzione dopo aver
rivalutato le quote sociali, come previsto dall'art. 5 della legge n. 448 del 28
dicembre 2001 (legge finanziaria 2002), con affrancamento del valore corrente
delle partecipazioni societarie alla data del 01.01.2002 mediante pagamento
dell'imposta sostitutiva.
La riorganizzazione sarebbe dunque posta in essere attraverso i seguenti
passaggi:
1. rivalutazione delle partecipazioni sociali detenute nella società scindenda;
2. scissione parziale e proporzionale, mediante attribuzione del patrimonio
immobiliare alla costituenda società;
3. concessione in locazione, alla scissa, degli immobili;
4. cessione del pacchetto azionario della scissa alla beneficiaria.
Al termine della riorganizzazione, i soci attuali della società scindenda saranno
soci della immobiliare, che, a sua volta, sarà socia totalitaria della scissa.
Viene sostenuta la non elusività delle operazioni prospettate, considerando, tra
l'altro: che gli immobili conserveranno natura strumentale; che, a seguito della
costituzione della immobiliare, nella scissa potranno agevolmente confluire
nuovi capitali; che la cessione del pacchetto azionario sarà fiscalmente
irrilevante perchè i soci rivaluteranno le azioni mediante applicazione
dell'imposta sostitutiva.
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Parere
15/2003
Secondo il comitato consultivo devono essere analizzati i singoli passaggi
dell’operazione in questione :
1) la rivalutazione delle partecipazioni sarà effettuata applicando l'art. 5 della
legge 28 dicembre 2001 (finanziaria per il 2002), che consente la rivalutazione
dei titoli azionari posseduti alla data del 1 gennaio 2002, agli effetti della
determinazione delle plusvalenze e minusvalenze di cui all'articolo 67 comma
1, lettere c) e c bis), del Tuir, mediante pagamento di una imposta sostitutiva.
Detta rivalutazione non può essere giudicata elusiva, in quanto si concreta
nell'applicazione di una specifica norma di legge, di carattere agevolativo, per
cui il pagamento di un carico tributario inferiore a quello che risulterebbe
dall'applicazione del regime ordinario non può essere considerato elusivo.
2) la continuazione dell’attività imprenditoriale da parte della scissa e la
cessione degli immobili (mediante cessione del diritto di proprietà di un
immobile e del contratto di leasing dell'altro immobile) alla società costituenda,
non comporta sottrazione, al regime d'impresa degli immobili, ma
continuazione del loro utilizzo come beni strumentali.
3) La cessione del contratto di leasing comporterà la tassazione della
sopravvenienza attiva.
4) La rivalutazione delle quote e la scissione non appaiono quindi preordinate
ad alcun risparmio indebito d'imposta.
La cessione, da parte dei soci della scissa, dell'intero pacchetto azionario alla
società beneficiaria farà assumere, alla beneficiaria neo costituita, il ruolo di
holding-mista del "gruppo"; gli attuali soci della società scindenda
diventeranno soci della beneficiaria, che sua volta diventerà socia unica della
società scindenda.
Anche tale cessione non può essere giudicata elusiva, perchè preceduta dalla
rivalutazione delle azioni, in applicazione del citato art. 5 della legge n. 448 del
2001. Nel caso di specie, dunque, l'operazione di scissione parziale
proporzionale, mediante la quale vengano scorporati da una società dei beni
immobili, da assegnare con continuità di valori fiscali ad una nuova società, che
concederà gli stessi immobili in locazione a prezzi di mercato alla società
scindenda, non è di per sè elusiva, anche nel caso in cui la partecipazione
azionaria nella società scindenda venga trasferita, previa rivalutazione, alla
società costituenda, salvo che non vengano posti in essere ulteriori atti, fatti o
negozi, connessi a tale operazione, volti ad aggirare norme impositive
n. Una società è proprietaria di due abitazioni rurali, di un immobile del tipo
portico aperto ad uso ricovero mezzi e di un altro immobile sempre ad uso
ripostiglio e ricovero mezzi. I terreni componenti l'azienda sono in parte
pertinenza delle due abitazioni (cortili) e per il resto ceduti in affitto a terzi;
- la compagine sociale è costituita da due soli soci di cui uno in possesso del
97% e l'altro del residuo 3%;
- con l'operazione di scissione si intende costituire una nuova società
(beneficiaria) denominata Y S.r.l. a cui verranno trasferiti gli immobili rurali
unitamente alla aree cortilizie pertinenziali di proprietà, ottenendo così il
risultato di separare la gestione agricola da quella immobiliare;
- la società beneficiaria sarà partecipata dagli stessi soci della scissa, nelle
medesime percentuali di partecipazione al capitale;
- è prefigurata una possibile cessione reciproca di quote tra i due soci con lo
scopo di riorganizzare le compagini sociali, attribuendo ad un socio l'intera
partecipazione della X S.r.l. e all'altro socio l'intera partecipazione della Y S.r.l.
allo scopo di favorire una migliore prosecuzione dell'attività sociale in capo ai
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due soci;
- la cessione avverrà a valori di perizia effettuata al sensi dell'art. 5 della legge
28 dicembre 2001, n. 448;
- le ragioni economiche della riorganizzazione sono sinteticamente indicate
nella necessità di separare l'attività agricola da quella di gestione immobiliare
assegnandole ai due diversi soci, che in origine partecipavano alla società
scissa;
- si prospetta, infine, una operazione di fusione cui dovrebbero partecipare la
società beneficiaria neocostituita Y S.r.l. e la X S.r.l. partecipata al 96% da uno
degli originari soci della società scissa (che a seguito della riorganizzazione
diverrà socio al 100% della Y S.r.l.) e della moglie.
IL comitato osserva che :
1) la riorganizzazione descritta nell'istanza consta di più operazioni successive:
una scissione societaria parziale e proporzionale seguita da una cessione
reciproca di quote tra i soci delle due società risultanti dalla scissione e una
successiva fusione;
2) l'operazione di scissione , singolarmente esaminata, si presenta fiscalmente
neutrale ed il trasferimento degli immobili a favore della società di nuova
costituzione non comporta di per sè la sottrazione degli stessi al regime di
impresa, fatta salva l'ipotesi che la società beneficiaria fruisca di un regime
fiscale privilegiato;
3) la successiva operazione consiste nella cessione reciproca tra i due soci delle
partecipazioni nelle due società risultanti dalla scissione con lo scopo di
attribuire a ciascuno di essi la titolarità esclusiva di una delle società;
4)
i valori di acquisto delle quote della società scissa sono stati
precedentemente oggetto di rideterminazione ai sensi dell'art. 5 della legge n.
448/01;
5) le operazioni descritte ( scissione parziale e proporzionale e successiva
cessione reciproca di quote), se congiuntamente considerate, perseguono, nella
sostanza, l'obiettivo che si sarebbe raggiunto mediante una scissione parziale
non proporzionale atteso che, attraverso la riorganizzatone aziendale
rappresentata, le quote dì partecipazione dei due soci nelle due società risultanti
dalla scissione non rispecchieranno le originarie quote di partecipazione al
patrimonio della società scissa;
6) a seguito della soppressione dell'art. 123-bis, comma 16, del Tuir per effetto
delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 358 dell'8 ottobre 1997, l'operazione
di scissione non proporzionale non è più considerata di per sè elusiva;
7) la sostituzione delle azioni o quote della società scissa con le azioni o quote
della società beneficiaria è operazione neutrale in capo ai soci in quanto anche
il valore fiscale delle partecipazioni possedute da ciascun socio dopo la
scissione rimane invariato rispetto al corrispondente valore delle azioni o quote
possedute in precedenza;
8) se gli interessi economici di un socio risulteranno pregiudicati
dall'operazione di scambio delle partecipazioni, sarà necessario corrispondere
un eventuale "ristoro" in denaro o in natura da parte dell'altro socio, da
assoggettare a tassazione ordinaria in capo al socio percipiente.
Il comitato ritiene che l’operazione in questione non sia elusiva, nel
presupposto che l'attribuzione degli immobili alla società neo costituita non
comporta la sottrazione degli stessi dal regime d'impresa e che i corrispettivi
pagati al momento della successiva cessione delle quote saranno rilevanti ai fini
fiscali secondo le disposizioni ordinarie sulla tassazione del capital gain in capo
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ai soci.
18 In un complesso processo di ristrutturazione societaria si prevede :
a) l'estinzione di una società , a seguito della scissione totale. Il capitale della X
s.r.l. è totalmente detenuto da tre fratelli e che la società, secondo le previsioni
statutarie, svolge attività di gestione immobiliare, che nel concreto consistono,
in via pressochè esclusiva, nella locazione di immobili propri;
b) la costituzione, in concomitanza con la scissione di cui sopra, di tre nuove
società immobiliari, il cui capitale verrebbe attribuito in modo che ciascuno dei
tre soci abbia a detenere l'intero patrimonio della società a lui spettante. Tale
obiettivo verrebbe assicurato attraverso l'assegnazione a ciascuna delle società
beneficiarie, sulla base di apposita relazione di stima, di un lotto di immobili
avente valore all'incirca proporzionale alla percentuale di capitale sociale
detenuto, nella scissa, dai tre soci;
L’operazione in questione :
1) non darebbe luogo a concambi e/o conguagli tra i i soci, ne ad avanzi o
disavanzi di scissione da destinare ad incrementi di valore patrimoniale di
rilievo fiscale,in quanto gli immobili saranno iscritti nel bilancio delle società
beneficiarie sulla base dei valori contabili fiscalmente riconosciuti della società
scissa;
2) non si colloca in un disegno finalizzato al successivo trasferimento, in tutto o
in parte, degli immobili tramite cessione di quote societarie.
Il comitato rileva che nel percorso descritto sono ravvisabili:
sensibili vantaggi di imposta per i soci;
l'utilizzo di schemi giuridici diversi e meno diretti rispetto a quelli
funzionalmente deputati al conseguimento del fine primario che sembra ispirare
l'operazione, che pare doversi identificare nella traslazione della proprietà ai tre
soci. Evidente risulta in specie la volontà dei soci di "liquidare" la X s.r.l. al
fine di conseguire, tramite la costituzione di tre distinte società aventi lo stesso
oggetto sociale, la piena disponibilità della porzione di immobili a ciascuno
spettante.
Le ragioni economiche risultano nella fattispecie tanto labili da non permettere
l'individuazione, di quegli elementi di distinzione/discontinuità operativa (tra la
società scissa e le tre beneficiarie), atti a far emergere la necessità di una
mutazione dell'assetto societario esistente.
A suffragare la convinzione che l'interesse economico preponderante sia quello
dei singoli soci, milita anche la considerazione che la cessazione della società
istante, con contestuale frazionamento in tre nuove entità, depotenzia attitudini
produttive ed accentua la connotazione di mero contenitore/schermo delle
società costituende.
La nascita di dette entità sembra, allo stato, rispondere soprattutto a finalità di:
diluizione del carico fiscale progressivo gravante su persone fisiche; migliore
deducibilità di spese e costi; sterilizzazione nella emersione delle plusvalenze,
con tangibili implicazioni di lock-in effect nell'assoggettamento a prelievo
fiscale delle stesse.
Il manifestato intendimento di non trasferire successivamente le costituende
società o singoli immobili entrati nel loro patrimonio, appare nella fattispecie
irrilevante.
Infatti, l'interesse dei tre soci della X S.r.l. non appare, al momento, la vendita
del patrimonio ma, semplicemente il suo frazionamento con distinta
imputazione ai singoli coeredi.
Sulla base di tale impostazione argomentativi, la via più lineare e diretta per
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perseguire l'obiettivo dei soci sarebbe stata quella della liquidazione della
società, con assegnazione ai soci delle quote a ciascuno spettanti e contestuale
emersione delle plusvalenze latenti ed assoggettamento al prelievo fiscale.
Pertanto, nel caso di specie, l'operazione prospettata, è da considerare elusiva,
in quanto la scelta dello specifico schema operativo risulta scaturire, in via del
tutto prevalente, dall'intendimento di conseguire i vantaggi di natura fiscale
contemplati dall'art. 37 bis del DPR 600/1973.
In ipotesi simili di scissione totale, laddove manchi un comprovato vantaggio
nell'assetto della produzione e per converso, risulti chiaro l'intendimento dei
soci di perseguire finalità indirette ed ulteriori rispetto a quelle dichiarate di
ristrutturazione aziendale, sembra doversi considerare insussistente lo stesso
principio legittimante della neutralità fiscale delle operazioni.
17 Una S.r.l. esercita l'attività di gestione di partecipazioni societarie, immobili,
titoli pubblici e privati, con un capitale sociale sottoscritto da due società
fiduciarie:
- la Y S.r.l., titolare del 70% del pacchetto azionario, di cui, in realtà, il 40%,
appartiene a Tizio ed il rimanente 30% a Caio.
- la Z S.p.a., che ne detiene il 30%, riconducibile, a sua volta, a diversi soggetti
che sono identificabili come un gruppo;
- per l'esercizio dell'impresa, la società istante possiede n.16 immobili, nonchè
un'elevata liquidità, investita in immobilizzazioni finanziarie ed attivo
circolante;
- è intenzione dei citati tre gruppi di soci dell'azienda richiedente (X e "gruppo
X") gestire, in maniera distinta e separata tra di loro, il patrimonio della
medesima ... S.r.l., dividendolo in proporzione alle rispettive percentuali di
partecipazione al capitale sociale;
- in tale prospettiva, la società istante avrebbe ipotizzato di effettuare una
scisisone totale non proporzionale (con contestuale estinzione) di ... S.r.l.
(scissa) in tre nuove società (beneficiarie), da costituire all'atto della scissione
ciascuna delle quali posseduta integralmente da uno solo dei tre gruppi di soci
originari della scissa;
- in particolare, ad ognuna delle imprese beneficiarie, sarebbe attribuita - sulla
base di un'apposita relazione di stima - una parte degli immobili e delle altre
attività e passività della scissa, in maniera tale che, in capo a ciascun gruppo di
soci, la partecipazione nella rispettiva beneficiaria abbia un valore
proporzionale a quello delle quote azionarie in precedenza possedute nella
scissa;
- l'operazione in rassegna consentirebbe ad ognuno dei soci di perseguire
differenti interessi economici e modalità di gestione della società di pertinenza;
non è intenzione degli azionisti, una volta effettuata la scissione cedere la
partecipazione conseguita nella rispettiva beneficiaria.
Il comitato analizza in riferimento alla operazione di specie, l’esistenza o meno
dei requisiti di cui all’articolo 37 bis del Dpr n. 600 del 1973. In merito alla
esistenza delle valide ragioni economiche il comitato sottolinea come il
giudizio deve essere condotto con riferimento ai soggetti che pongono in essere
l'operazione - la società scindenda e le beneficiarie - senza aver riguardo ai
benefici economici che soggetti diversi, tra i quali i soci, potrebbero trarre
dall'operazione medesima, rilevando in tal senso la continuità dell'esercizio
dell'attività d'impresa.
Dall'esame del bilancio della ... S.r.l. relativo all'esercizio 2002 (il cui attivo
ammonta a circa 10 milioni di euro), annesso all'istanza, emerge una rilevante
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consistenza patrimoniale, tale da ritenere che le aziende beneficiarie, anche in
ragione dei cospicui fattori produttivi trasferiti a ciascuna di esse, possano
continuare ad esercitare l'attività già svolta dalla scindenda nel pieno rispetto
del necessario principio dell'operatività richiesto per una valutazione positiva in
ordine alla sussistenza di valide ragioni economiche nell'operazione prospettata.
Pertanto, l’operazione in questione come prospettata non viene identificata
come elusiva.
Parere
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n.
19 La società X & C. S.n.c. svolge le seguenti attività:
- costruzione, assemblaggio ed installazione di impianti frigoriferi industriali
destinati ad alberghi, pubblici esercizi, supermercati etc.;
- installazione di impianti di cottura, con relativi accessori, destinati ai soggetti
sopra indicati;
- fornitura di piccole attrezzature per bar, gelaterie ecc.
L'attività è svolta in due capannoni; il primo è di proprietà della stessa società,
il secondo è in leasing finanziario e sarà riscattato nel luglio 2004. Tali
immobili, rappresentano la voce più consistente dell'attivo patrimoniale della
società.
Secondo la società, allo scopo di garantire lo sviluppo dell'attività, si rende
necessario favorire l'ingresso di nuovi soci nel proprio capitale. Tuttavia,
l'operazione si presenta difficoltosa a causa del rilevante comparto immobiliare
della società stessa. In sostanza, i potenziali soci si sarebbero dimostrati
interessati ad entrare nel contesto operativo della società, ma non altrettanto
disponibili ad acquisire partecipazioni il cui costo sarebbe rilevante per effetto
della presenza, nel patrimonio della società stessa, di immobili di cui, ai fini
dello svolgimento dell'attività, non necessariamente occorre detenere la
proprietà.
Pertanto, allo scopo di favorire l'ingresso di nuovi soci operativi, la società
intende porre in essere:
a) un operazione di trasformazione della s.n.c. in s.r.l.;
b) una scissione parziale proporzionale, a valori di libro, per effetto della quale
il patrimonio immobiliare della società verrebbe scorporato per confluire nel
patrimonio di una società a responsabilità limitata di nuova costituzione.
La società beneficiaria:
- otterrebbe dalla società scissa gli immobili già da questa utilizzati.
- tali immobili sarebbero concessi in locazione alla società scissa derivandone
per la beneficiaria proventi immobiliari da locazione e costi connessi agli
immobili.
- potrebbe, eventualmente, intraprendere l'attività di costruzione di immobili di
natura industriale, commerciale ed abitativa, assumendo la natura di
un'immobiliare vera e propria. Secondo il comitato, l’operazione
complessivamente delineata non è elusiva in quanto l'operazione medesima
non appare finalizzata al conseguimento di vantaggi fiscali o, comunque, al
sostenimento di un onere tributario inferiore rispetto a quello derivante
dall'adozione di altre procedure che portino allo stesso risultato di quella posta
in essere o che si intende porre in essere. Infatti, nella fattispecie, i cespiti sono
dapprima interessati da un'operazione di trasformazione omogenea realizzata
tra società, i cui redditi sono considerati redditi d'impresa e sono determinati
unitariamente secondo le norme relative a tali redditi e, successivamente, dalla
scissione per effetto della quale i beni permangono, comunque, all'interno del
regime d'impresa. Considerato che nè l'operazione di trasformazione, attuata in
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neutralità in quanto operazione "straordinaria" sui soggetti e non sui beni, nè
quella di scissione con attribuzione degli immobili alla società a responsabilità
limitata neocostituita, comportano la fuoriuscita dei beni dal regime dei beni
d'impresa, non si configura alcun risparmio d'imposta, non venendo meno le
condizioni di latenza d'imposta sui plusvalori dei predetti beni, che
concorreranno alla formazione del reddito della società beneficiaria, secondo le
regole ordinarie, al momento della cessione o assegnazione ai soci.
Parere n. 2/2004 La X S.p.A., società a ristretta base familiare, ha come oggetto principale della
propria attività il commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento, per lo
sport ed il tempo libero, calzature, pelletterie, oggettistica. L’attività è esercitata
in più punti vendita ubicati in diversi immobili, alcuni dei quali di proprietà,
altri nella disponibilità della società in base a contratti di locazione
immobiliare, finanziaria e di affitto di ramo di azienda. Gli azionisti hanno
intenzione di procedere ad una separazione dell'attività commerciale vera e
propria, da quella connessa alla gestione delle proprietà immobiliari e della
titolarità delle autorizzazioni di commercio;
In tale prospettiva, la società avrebbe ipotizzato di effettuare una scissione
parziale proporzionale di X S.p.A. (scindenda), con contemporanea costituzione
di una nuova società, la Gruppo X S.r.l. (beneficiaria). Le azioni o quote di
quest'ultima impresa, pertanto, verrebbero attribuite ai soci della scindenda
mantenendo immutate le percentuali di partecipazione attualmente possedute;
Alla azienda di nuova costituzione sarebbero conferite le scorte, le attrezzature
di vendita, parte delle immobilizzazioni immateriali, delle attività liquide e
delle passività, i crediti ed i debiti commerciali, nonchè, la disponibilità degli
immobili e delle autorizzazioni commerciali, di proprietà della società
scindenda;
Alla
società scindenda permarrebbero le proprietà immobiliari, le
autorizzazioni commerciali, le partecipazioni, la rimanente parte delle
immobilizzazioni immateriali, delle attività liquide e delle passività, nonchè i
contratti di locazione finanziaria e quelli da stipulare con la beneficiaria. Viene
inoltre sottolineato che non è intenzione degli azionisti, una volta effettuata la
scissione , cedere la partecipazione posseduta nella società scindenda;
Le ragioni economiche sottese alla scissione sarebbero rinvenibili:
- per la società scindenda, nell'opportunità di garantire un'adeguata
remunerazione degli investimenti immobiliari e delle autorizzazioni
amministrative;
- per la beneficiaria, nella possibilità di impostare, con riguardo agli oneri
connessi all'utilizzo dei beni e diritti sopra citati, la propria contabilità tenendo
conto di costi omogenei, nonchè di adottare una gestione aziendale per
obiettivi, favorendo anche la competitività interna;
- più in generale, nell'esigenza di meglio individuare, nel tempo, le possibili
diseconomie del costituendo complesso aziendale, specie quello della società
beneficiaria, e, in tal caso, adottare gli opportuni correttivi, nonchè di
sensibilizzare gli organi gestori delle due compagini in relazione ai rispettivi
obiettivi sociali;
Il comitato sottolinea che una valutazione deve essere effettuata ,
principalmente con riferimento ai soggetti che pongono in essere l'operazione,
la società scindenda e la beneficiaria, senza aver riguardo ai benefici economici
che soggetti diversi, tra i quali i soci, potrebbero trarre dall'operazione
medesima, rilevando in tal senso la continuità dell'esercizio dell'attività
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d'impresa;
Secondo il comitato, dall'esame del progetto di scissione, emerge che
all'azienda beneficiaria, a seguito dell'operazione di riorganizzazione societaria
di cui trattasi, sarebbe conferita una rilevante consistenza patrimoniale
(dell'ammontare di oltre 13 milioni di euro), tale da ritenere che la medesima
impresa, anche in ragione dei cospicui fattori produttivi ad essa trasferiti, possa
continuare ad esercitare l'attività già svolta dalla scindenda, nel pieno rispetto
del necessario principio dell'operatività richiesto per una valutazione positiva in
ordine alla sussistenza di valide ragioni economiche nell'iniziativa in parola.
Pertanto, l’operazione di scissione non presenta aspetti di elusività, a
condizione che non sia preordinata alla successiva vendita delle partecipazioni
della società beneficiaria o, comunque, a privare di operatività le imprese
partecipi della complessiva riorganizzazione aziendale. In tal caso, infatti,
l'iniziativa delineata risulterebbe priva di valide ragioni economiche e diretta a
conseguire un indebito vantaggio fiscale, in quanto realizzato attraverso
l'aggiramento di obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario.
Parere n. 9/2004 Una società svolge principalmente attività di sistemazione idraulico-forestale,
lavori stradali, di movimento terra, demolizioni, costruzione di acquedotti e
fognature, produzione di calcestruzzi e dispone altresì di un consistente
patrimonio immobiliare, in parte utilizzato direttamente come sede dell'attività
ed in parte gestito attraverso locazione a terzi;
- la compagine sociale è formata da tre soci, che possiedono, rispettivamente, il
70%, il 25% ed il 5% del capitale sociale;
- in tale contesto si darebbe luogo ad una scissione parziale non proporzionale,
a valori fiscali storici, che determinerebbe la nascita di due società beneficiarie
(in nome collettivo) e la ripartizione fra queste del patrimonio immobiliare
della scissa, mentre la società scissa continuerebbe a svolgere le altre attività
d'impresa nella medesima, attuale compagine sociale;
- una delle due società immobiliari beneficiarie (A) sarebbe partecipata dal
primo e dal terzo socio (secondo ampiezza delle quote di capitale sociale
possedute) della società scissa, l'altra società immobiliare beneficiaria (B)
unicamente dal secondo socio della scissa;
- il valore contabile netto del patrimonio immobiliare che andrebbe alla società
beneficiaria A corrisponderebbe al 77% del valore dell'attuale patrimonio
immobiliare della società scissa, mentre il valore del patrimonio immobiliare
della società B sarebbe pari al 23%; il valore dei patrimoni immobiliari delle
due società beneficiarie corrisponderebbe, dunque, approssimativamente,
all'entità delle quote di capitale sociale della scissa attualmente possedute dai
soci che parteciperebbero, rispettivamente, al capitale di A e al capitale di B
- le due società beneficiarie svolgerebbero attività imprenditoriale; la società A
concederebbe in locazione a prezzi di mercato l'immobile sede della società
scissa e sia A che B manterrebbero i contratti di locazione già in essere
relativamente ad altri immobili;
- i soci non intendono cedere, nel periodo successivo alla cessione delle
partecipazioni nelle società beneficiarie;
- con tale operazione, si intende, in primo luogo, separare l'attività di gestione
immobiliare dalle altre attività della società scissa e, in secondo luogo,
differenziare fra le due società beneficiarie la gestione del patrimonio
immobiliare: il primo ed il terzo socio della scissa, infatti, attraverso la
costituenda società beneficiaria A, amplierebbero l'attività immobiliare
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svolgendo anche attività edificatoria; il secondo socio della scissa, invece,
tramite la società beneficiaria B, continuerebbe una gestione propriamente
immobiliare.
Anche in questo caso sono esaminate le valide ragioni economiche legate al
fatto che i beni rimangono nell’ambito dell’attività di impresa e che non
vengano cedute le partecipazioni
Parere n. 6/2004 Una società è proprietaria di un immobile in cui si svolge attività di natura
commerciale;
- i quotisti della società sono due coniugi, ciascuno per il 50%, ed il marito ne è
il legale rappresentante. Essi hanno in animo di trasferire l'attività ai propri figli
mantenendo la proprietà dell'immobile da intestare ad una costituenda s.r.l.;
- la società già esistente, ceduta ai figli, svolgerebbe attività commerciale; la
nuova società, di cui sarebbero unici soci in parti uguali i genitori, svolgerebbe
attività di gestione immobiliare dell'unico immobile che, attualmente,
costituisce bene strumentale della società in essere in quanto è il luogo in cui
viene svolta l'attività;
- la società immobiliare locherebbe alla società commerciale l'unico immobile
da essa posseduto;
- gli istanti ritengono di individuare nell'operazione in esame valide ragioni
economiche in quanto essa consentirebbe loro di garantirsi una rendita ed
inoltre tutelerebbe l'immobile da eventuali dissesti finanziari che potrebbero
travolgere l'attività commerciale.
Secondo il comitato, l'operazione configura una trasformazione nella natura
dell'immobile che rappresenta l'oggetto del trasferimento di proprietà dalla
società esistente a quella da crearsi in quanto, a seguito della scissione e del
trasferimento della proprietà dell'immobile alla società di gestione immobiliare,
esso si muterebbe da bene strumentale a bene unico ed indispensabile per
l'esercizio dell'attività di locazione. Tale operazione di scorporo, secondo il
Comitato, è giustificata da valide ragioni economiche
Parere 22/2004
Una
società ha per oggetto la costruzione, la compravendita e
l'amministrazione di beni immobili;
- la compagine societaria attuale è costituita da un gruppo familiare ;
il patrimonio immobiliare consiste in immobili di civile abitazione ed immobili
commerciali
- il capitale sociale è ripartito in nuda proprietà, mentre la madre è usufruttuaria
delle corrispondenti ...... azioni.
A causa delle divergenze intervenute tra i due fratelli in ordine alla gestione e
alle strategie aziendali, la volontà assembleare di attuare una scissione non
proporzionale in modo tale che:
- un socio diverrebbe titolare della totalità delle azioni della scissa mentre
l'altro socio diverrebbe unico titolare delle azioni della società beneficiaria da
costituire, fermo restante il diritto di usufrutto della madre sia nella società
scissa che nella società beneficiaria;
- da tale operazione conseguirebbe che alla società scissa rimarrebbe il 50% del
patrimonio immobiliare e proporzionalmente le poste dell'attivo e del passivo,
mentre alla società beneficiaria verrebbe assegnato l'altro 50% del patrimonio
immobiliare e proporzionalmente sia le poste dell'attivo e del passivo.
Il comitato osserva che :
- l'operazione di scissione, singolarmente esaminata, si presenta fiscalmente
neutrale ed il trasferimento degli immobili nella percentuale del 50% a favore
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della società di nuova costituzione non comporta di per sè la sottrazione degli
stessi al regime d'impresa, fatta salva l'ipotesi che la società beneficiaria che
verrà a costituirsi non intenda fruire di un regime fiscale privilegiato;
- la successiva operazione consiste nella cessione del pacchetto azionario a
favore del socio della società scissa che, in ragione di tale operazione, diviene
unico socio;
- l'operazione verrebbe effettuata con lo scopo di attribuire a ciascuno dei due
fratelli soci la titolarità esclusiva di una delle società.
In linea di principio, il comitato osserva che l’operazione non è elusiva
Parere
27/2004
n. E’ questo un parere noto in virtù del fatto che si esaminava il caso del
passaggio del contratto di leasing immobiliare. La Società A S.r.l. svolge
attività di gestione di ricovero per anziani. Per l'esercizio di tale attività si
avvale di un complesso immobiliare composto da un corpo di fabbrica
costituente il complesso principale e da un annesso funzionale al medesimo.
L'immobile costituito dal corpo principale è stato assunto in regime di
locazione finanziaria nel 1999 con contratto ottennale e tale contratto, tuttora in
corso, prevede la possibilità di riscatto del bene a prezzo concordato;
- il capitale sociale di A S.r.l. è posseduto per oltre il 90% da B S.p.A. e per il
residuo da soci persone fisiche che non esercitano attività di impresa. Le
persone fisiche socie ne A S.r.l. sono, altresì, tutte socie di B S.p.A..
Quest'ultima, oltre alla partecipazione nella Società A, ha anche partecipazione
in altre Società tra le quali la C S.p.A., Società di Gestione Immobiliare, che
esercita anche attività di costruzione di immobili ed attività agricola. Per
alleggerire i costi di gestione afferenti l'attività di ricovero per anziani, la
Società A S.r.l. intende procedere ad un processo di riorganizzazione aziendale
all'interno del gruppo, avendo come obiettivo quello di scindere l'attività di
gestione dalla proprietà del complesso immobiliare, trasferendo quest'ultimo,
ivi compreso il contratto di leasing, alla Società di Gestione Immobiliare del
gruppo e cioè alla C S.p.A.;
- il progetto prevede tre fasi e precisamente:
1) la C S.p.A. acquisisce l'intera partecipazione in A S.r.l. ad un prezzo
corrispondente al costo fiscalmente riconosciuto in capo ai cedenti (persone
fisiche e B S.p.A.), il quale risulta superiore al valore nominale, ma inferiore sia
all'attuale quota di patrimonio netto contabile corrispondente, sia al relativo
valore di mercato. Dal canto loro i cedenti, al solo fine di dare evidenza fiscale
all'operazione, procederebbero ad evidenziare la plusvalenza imponibile in base
al differenziale tra prezzo di cessione e valore normale della partecipazione
ceduta;
2) A S.r.l. darebbe attuazione ad una operazione di scissione parziale e
proporzionale con contestuale costituzione di una NEWCO., cui sarebbero
assegnati l'immobile di proprietà, il contratto di locazione finanziaria in corso
ed alcuni debiti di finanziamento; mentre alla Società scissa rimarrebbero
l'attività di gestione oltre le restanti immobilizzazioni costituite da mobili,
arredi ed attrezzature nonché crediti e debiti correnti;
3) la NEWCO., beneficiaria della scissione verrebbe successivamente fusa per
incorporazione dalla C S.p.A., che già gestisce il patrimonio immobiliare del
gruppo, ed alla quale, in ultima analisi, verrebbe anche trasferito il contratto di
leasing immobiliare.
Il programmato passaggio del contratto di leasing immobiliare, prima (per
effetto della scissione) dalla società A alla NEWCO e poi (per effetto della
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fusione) dalla NEWCO alla C, non rientrerebbe nell'ambito della previsione
dell'art. 88, comma 5, del T.U.I.R., in quanto fattispecie non assimilabile, anche
per analogia, alla cessione di contratto di locazione finanziaria. Proprio in
relazione a tale vantaggio, il comitato ritiene necessario esaminare molto in
dettaglio le circostanze legate ad una rigorosa dimostrazione che la
programmata operazione societaria fosse sorretta anche da effettive ragioni
economiche e non già strumentalmente preordinata ad ottenere un illecito
risparmio di imposta, consistente nella mancata tassazione, come
sopravvenienza attiva, del valore normale del bene, oggetto del contratto di
leasing che, in sostanza, viene "passato" alla C. Su questo aspetto, il comitato
rileva che la fattispecie illustrata è lacunosa in merito alle valide ragioni
economiche finalizzate al ricorso ad una operazione di scissione parziale, a sua
volta seguita da una immediata incorporazione della società beneficiaria, la
quale risulterebbe, per definizione, priva di qualunque compito operativo, in
quanto destinata ad estinguersi non appena costituita.
Il susseguirsi delle operazioni deve essere dunque ritenuto elusivo in quanto
preordinato ad aggirare la disciplina dell'art. 88, comma 5, del T.U.I.R.,
concernente la cessione del contratto di locazione finanziaria.
Parere n. 1/2005 La X è una SAS in regime di contabilità semplificata ed ha come come oggetto
sociale l'amministrazione e la conduzione di beni immobili, la ripartizione, la
compravendita e la permuta di terreni e fabbricati agricoli civili nonché il
compimento di tutte le operazioni finanziarie, mobiliari e immobiliari, ritenute
necessarie od utili per il conseguimento dello scopo sociale. Il suo capitale
sociale è ripartito tra sei nuclei familiari, facenti capo ad unico stipite;
ed ha sino dalla sua costituzione e quale sua unica attività, sempre e solo
gestito nove unità immobiliari, erette in un'ampia palazzina più un garage,
locate in parte ai soci e in parte a terzi. Gli immobili in questione sono stati
rivalutati avvalendosi delle diverse disposizioni di legge che si sono succedute.
Il compendio, sempre appartenuto alla famiglia, non vuole essere smembrato in
quanto è intenzione di quest’ultima mantenere unitaria la proprietà del
compendio, in quanto tra l'altro la sua tipologia mal si adatta ad una divisione
con estranei. I soci, tutti membri della famiglia, sono peraltro in disaccordo
circa le modalità di gestione del compendio, sia per quanto attiene gli
investimenti da effettuare per ristrutturazione delle singole unità immobiliari sia
relativamente alla tenuta del giardino sia sulle modalità di valorizzazione del
complessivo patrimonio immobiliare. Tale situazione di dissidio compromette,
tra l'altro, il buon funzionamento della società, in quanto rende difficoltoso un
accordo sugli interventi di ristrutturazione da eseguire, con conseguente
impossibilità di imporre adeguati canoni di locazione. Viene dunque ipotizzata :
- una scissione totale proporzionale, con attribuzione a sei società beneficiarie,
anch'esse con la forma di società in accomandita semplice, di determinate unità
immobiliari aventi valore sostanzialmente coincidente fra loro, unitamente alle
corrispondenti poste del passivo;
- che tutti i soci di X diventerebbero soci delle sei società, nelle medesime
percentuali con le quali gli stessi concorrono al capitale della società scissa;
- che ogni rappresentante del nucleo familiare diverrebbe accomandatario, con
ampi poteri di gestione (circa i lavori di ristrutturazione, manutenzione e
disposizione), di una delle società derivate dall'operazione di scissione;
- che nessun altro socio entrerebbe nelle compagini societarie delle nuove
società;
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- che l'intero ammontare della riserva di rivalutazione monetaria iscritta nello
stato patrimoniale di X verrebbe ripartito tra le sei società beneficiarie in
proporzione alle rispettive quote del patrimonio netto contabile trasferite;
- che la scissione avverrebbe interamente a valori contabili e fiscalmente
riconosciuti in X senza emersione di plusvalenze o minusvalenze;
- X, ad operazione avvenuta, si estinguerebbe;
- che non si prevede la cessione a terzi di quote delle società conseguenti
all'operazione di scissione in quanto la volontà dei soci di X è solo quella di
mantenere complessivamente la proprietà del compendio immobiliare nella sua
interezza, per se attraverso la partecipazione proporzionale a sei distinte società.
In questo caso sono molto importanti le osservazioni che vengono fatte dal
comitato in quanto :
- X risulta essere una società finalizzata al puro godimento di un patrimonio
familiare, in quanto le attività di mera gestione delle unità immobiliari di un
unico compendio, in favore, peraltro, di appartenenti ad una medesima
famiglia, appaiono di gran lunga prevalenti rispetto a quelle di sfruttamento
economico delle residue unità immobiliari del compendio date in locazione a
terzi;
- X è uno strumento, a forma e struttura societaria, con il quale un numero
ristretto di soggetti, diretti parenti fra loro, amministrano in comune una serie di
unità immobiliari di un medesimo compendio, destinate a soddisfare esigenze
abitative loro e dei loro rispettivi familiari nonché, residualmente, a creare
comune provvista finanziaria (attraverso contratti di locazione attiva)
verosimilmente destinata, per la maggior parte, se non per l'intero, a sopportare
gli oneri di gestione del compendio immobiliare;
- la prospettata operazione di scissione risulta unicamente rivolta a suddividere
proporzionalmente il compendio immobiliare tra i sei rami fondamentali della
famiglia, senza peraltro che questi ultimi debbano rinunciare allo strumento, a
forma e struttura societaria, di gestione delle singole quote immobiliari
derivanti dalla suddivisione del patrimonio;
- il fatto che la sostanziale comunione persista anche dopo l'operazione
prospettata emerge dalla dichiarata intenzione in ordine alla presenza, nella
compagine sociale di ogni società derivante dalla scissione di tutti gli attuali
soci di X, anche se l'evoluzione migliorativa del modello comune di gestione è
dato dal fatto che i sei rappresentati dei rami in cui si suddivide la famiglia
diventeranno accomandatari, rispettivamente, di ciascuna delle sei nuove
società, nulla residuando di quella originaria (la X, invero, si estinguerebbe ad
operazione conclusa);
- risulta inoltre significativo l'assunto secondo il quale nessun soggetto terzo,
estraneo alla compagine familiare diventerà socio di una delle sei nuove
società.
In questo caso il comitato valorizza anche la circostanza che la scissione ha
come obiettivo quello di divenire ad un appianamento, tra i diversi rami della
famiglia, delle attuali divergenze in ordine alle migliori decisioni da assumere
per la gestione delle diverse quote del compendio immobiliare che soddisfano
le esigenze dei medesimi rami della famiglia . Il parere positivo viene però
subordinato alla persistenza nel tempo di una condizione di fatto essenziale,
ossia che nessun soggetto terzo, estraneo alla famiglia , entrerà a far parte di
una delle sei nuove società, rendendosi così titolare, in quota, di una porzione
del patrimonio immobiliare. Tale condizione essenziale, ove venisse meno,
destituirebbe automaticamente la non elusività dell’operazione in questione.
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Parere n. 5/2005 Una società ha come soci due coniugi e per oggetto dell’attività il commercio al
dettaglio ed all'ingrosso di articoli da regalo, mobili, complementi
d'arredamento ecc. Le vendite all'ingrosso vengono svolte sia in forma diretta
che sotto forma di approvvigionamento alla catena di punti vendita in
franchising, mentre le vendite al dettaglio vengono effettuate in punti vendita
direttamente gestiti dalla società. L'attività viene esercitata, sia per l'attività di
commercio all'ingrosso, che per l'attività di commercio al dettaglio, in immobili
posseduti, sia in proprietà, che acquisti in forza di contratti di locazione
finanziaria;
soci sono giunti nella determinazione di procedere ad una separazione
dell'attività commerciale da quella prettamente di gestione immobiliare e
dell'intestazione della autorizzazione amministrativa relativa all'esercizio del
commercio al dettaglio.
L’intenzione dei soci è quella di procedere, al fine di un miglior utilizzo dei
beni immobili, ad una parziale scissione della X S.p.A. (scindenda) con
contemporanea costituzione di una S.r.l. (beneficiaria) le cui quote sarebbero
suddivise nella percentuale del 50% ciascuno tra gli attuali azionisti della X
S.p.A., quindi, mantenendo immutate le percentuali di partecipazione
attualmente possedute;
l'intera attività viene svolta in locali di proprietà della X S.p.A. o dalla stessa
detenuti in forza di contratti di locazione finanziaria;
nella nuova Società verrebbero conferite le giacenze di magazzino, le
attrezzature, i mobili, tutte le immobilizzazioni immateriali, quota parte delle
passività e la liquidità necessaria al funzionamento della società ed i crediti
alla stessa verrebbe conferita anche la gestione della catena di franchising
costituita da oltre 20 punti vendita;
alla X S.p.A. rimarrebbe il patrimonio immobiliare al lordo delle passività
ipotecarie gravanti sugli stessi, nonché il residuo dei canoni ancora a scadere
relativi alle locazioni finanziarie;
verranno trasferite alla costituenda società anche i ricavi;
alla nuova impresa verranno concessi in locazione tutti gli attuali immobili
ove viene svolta l'attività, sia di proprietà della scindenda che dalla stessa
detenuti, in forza di contratti di locazione finanziaria;
alla X S.p.A. rimarrebbe la proprietà degli immobili, la titolarità dei contratti
di locazione finanziaria, parte dei crediti e dei debiti inerenti alla specifica
gestione della società e dei titoli;
la scissione avverrà sulla base dei valori contabili senza che emergano
plusvalenze o minusvalenze di sorta;
agli attuali azionisti non procederanno alla cessione delle quote da loro
possedute successivamente alla effettuazione della operazione in premessa;
la prescritta operazione non verrebbe effettuata ai fini di conseguire benefici
fiscali, ma come già detto, ai soli fini di una migliore gestione degli immobili
che verranno locati alla costituenda società con applicazione dei canoni di
mercato.
Il comitato osserva che la scissione in questione è una operazione di di scorporo
della azienda commerciale e nel suo trasferimento, con continuità di valori
fiscali, in una nuova società avente compiti operativi. La componente
immobiliare resta nel patrimonio della società scissa agli stessi valori contabili
e senza immutazione dell'originario regime d'impresa cui é sottoposta. Gli
azionisti persone fisiche hanno dichiarato che non intendono procedere alla
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Parere
11/2005
cessione delle loro partecipazioni in entrambe le società dopo l'operazione di
scissione. Secondo il comitato, dunque, l'operazione appare obiettivamente
finalizzata alla realizzazione di situazioni giuridico economiche propriamente
riconducibili alle finalità tipiche della scissione parziale e non già strumentale a
soddisfare finalità proprie di altri atti o negozi giuridici, il cui compimento si
rivelerebbe fiscalmente più oneroso.
n. La X S.r.l. svolge l'attività di amministrazione e gestione di beni immobili ed
ha un capitale sociale, ripartito tra otto soci, dei quali due (A e B) in possesso,
ciascuno, di una quota pari al 38%, mentre i rimanenti (C, D, E e F, nonché G
ed H) titolari, ognuno, di una percentuale del 4%;
in particolare, nell'ambito della compagine societaria sono individuabili due
diversi raggruppamenti di azionisti (il primo composto da A, D e C e da G,
l'altro da B, E e F e da H), tra i quali si sono manifestate divergenze di interessi
e di opinioni in ordine alle finalità ed alle modalità di utilizzo del patrimonio
aziendale, tali da non permetterne un ottimale impiego;
Si vuole dunque effettuare una scissione totale proporzionale dell'azienda in
due società di nuova costituzione, ciascuna delle quali facente capo ad uno dei
predetti gruppi di azionisti, cui seguirebbe l'estinzione della scissa.
Successivamente alla operazione di scissione si ha che
una delle società beneficiarie diverrebbe proprietaria di n. 8 unità immobiliari
e subentrerebbe nel contratto di locazione finanziaria (avente ad oggetto beni
immobiliari) stipulato, nel 2002, dalla scissa con l'Y S.p.A. di..... mentre
all'altra impresa verrebbero conferite n. 4 unità immobiliari;
le quote delle due nuove società sarebbero attribuite ai soci in misura
proporzionale alla percentuale di possesso attualmente detenuta dagli stessi
nella X S.r.l.;
la scissione si realizzerebbe in continuità di valori contabili e fiscali e non si
darebbe luogo né a concambio tra i soci, né questi ultimi procederebbero a
successive cessioni di quote;
l'operazione consentirebbe alle istituende entità di poter intraprendere
autonome iniziative imprenditoriali e di poter disporre liberamente dei beni
sociali, anche offrendoli in garanzia per ottenere finanziamenti;
le predette finalità potrebbero essere perseguite anche avvalendosi di
strumenti giuridici alternativi quali la cessione o l'assegnazione ai soci degli
immobili, i quali, tuttavia, comporterebbero un elevato, quanto insostenibile,
livello di imposizione sia diretta che indiretta.
Nel caso di specie, il comitato sottolinea come la società abbia semplicemente
enunciato un criterio in base al quale sussistono divergenze tra i soci in merito
alle modalità di conduzione dell’attività e rileva come l’operazione in questione
non non risponde ai criteri comunemente ritenuti razionalmente plausibili
nell'ottica di una corretta e remunerativa gestione aziendale, apparendo, al
contrario, potenzialmente idonea a generare riflessi negativi sul piano
imprenditoriale, in quanto:
con la sua realizzazione verrebbe meno l'attuale concentrazione in capo ad un
unico soggetto economico delle funzioni concernenti l'attività di
amministrazione e gestione di beni immobili, ragion per cui l'operazione non
sembra produrre alcun beneficio aggiuntivo rispetto alla situazione attuale, che
appare, invece, garantire la sussistenza di quelle sinergie commerciali che
consentono di conseguire un risparmio in termini di costi e, di converso, un
aumento della produttività;
le attività che s'intendono attribuire alle costituende società darebbero luogo
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ad una sovrapposizione d'interessi tra le due entità;
dalla documentazione che il comitato ha esaminato non emerge alcun
evidente disaccordo tra i soci della scindenda, nel senso che, qualora fosse
risultato sussistere un contrasto interno alla compagine societaria (ad esempio,
reso manifesto nell'ambito dei verbali del consiglio di amministrazione)
l'operazione sarebbe stata suscettibile di diverso apprezzamento, in quanto le
considerazioni in ordine alla validità dell'operazione avrebbero dovuto essere
formulate anche alla luce dell'idoneità della scissione a far venir meno tale
dissidio, capace di generare riflessi negativi sulla stessa scindenda;
In merito al requisito relativo all'indebito risparmio d'imposta, nel caso in cui
l'iniziativa venisse realizzata con le modalità illustrate, gli azionisti della società
istante otterrebbero taluni vantaggi fiscali altrimenti non conseguibili, vale a
dire:
non verrebbe assoggettata a tassazione, ai sensi dell'articolo 88, comma 5, del
TUIR, la sopravvenienza attiva conseguente al trasferimento della titolarità del
contratto di locazione finanziaria dalla scissa ad una delle beneficiarie;
che la scissione proprio perché da ritenersi sostanzialmente non
proporzionale, potrebbe prestarsi ad un uso "distorto" finalizzato, in concreto,
ad una mera assegnazione dei beni ai soci, eventualità questa non
espressamente esclusa dall'interpellante. In questa ipotesi, infatti , qualora, cioè,
anche solo una delle società beneficiarie venisse privata di operatività,
risultando mero "contenitore" dei beni in essa trasferiti (come nel caso della
beneficiaria che riceve n. 4 unità immobiliari, a fronte di altrettanti soci, che, di
fatto, potrebbero utilizzare detti beni per fini personali), il risparmio fiscale
sarebbe rinvenibile nello spostamento sine die della tassazione delle
plusvalenze sui beni stessi, prevista sulla base del valore normale dei medesimi
cespiti, ai sensi dell'art. 86, comma 1, lett. c), e comma 3, del T.U.I.R.;
- circa il presupposto dell'aggiramento degli obblighi e divieti previsti
dall'ordinamento tributario, il requisito de quo deve intendersi sussistente, in
quanto riferito alle disposizioni contenute nei richiamati artt. 88, comma 5, del
T.U.I.R. e 86, comma 1, lett. c), e comma 3, del T.U.I.R., da ritenersi aggirate
proprio in ragione di un abuso dello strumento negoziale da parte del
contribuente.
Pertanto, nel caso di specie, l’operazione, non determinando una reale
ottimizzazione dell'iniziativa imprenditoriale nel suo complesso, ma risultando
finalizzata al trasferimento in neutralità fiscale di un contratto di locazione
finanziaria dalla scindenda ad una delle aziende beneficiarie ovvero appare
volta all'assegnazione di beni ai soci, presenta aspetti di elusività, in quanto
priva di valide ragioni economiche e diretta a conseguire uno o più vantaggi
tributari (rinvenibili nel mancato assoggettamento a tassazione del valore
normale, rispettivamente, delle unità immobiliari oggetto di leasing ovvero dei
beni destinati agli azionisti) da considerare indebiti, poiché realizzati attraverso
l'aggiramento di obblighi previsti dall'ordinamento.
Parere
/2005
n.
17 In questo parere, il comitato sottolinea come una affermazione di principio in
merito ad una ingestibilità della societa' a causa di "irreversibili situazioni di
contrasto" fra i soci, e nella (conseguente) intenzione di separare la "attivita'
commerciale vera e propria da quella connessa alla gestione delle proprieta'
immobiliari", di modo che, da un lato, la societa' scindenda potrebbe proseguire
la propria attivita' risolvendo "una volta per tutte" la conflittualita' fra i soci e,
dall'altro, la beneficiaria potrebbe dar corso ad "una propria autonoma attivita'
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Parere
19/2005
parere
21/2005
n.
e
n.
Parere
22/2005
n.
di gestione immobiliare”, non costituisce una valida ragione economica per
procedere alla scissione in esame.
Nel caso di specie, l’operazione non è obiettivamente finalizzata a realizzare un
piano di riorganizzazione aziendale nell'interesse della societa' scindenda (e di
quella beneficiaria), ma a soddisfare un'esigenza di parziale scioglimento della
compagine societaria, con assegnazione di una porzione del patrimonio a favore
del socio uscente. Questa circostanza viene colta da una serie di elementi quali :
l'unipersonalita' della societa' neo costituenda,
la ristretta base familiare della compagine societaria protagonista della
scissione,
la riduzione numerica della compagine societaria della societa' istante a seguito
della scissione,
la mancanza di prospettive di ingresso di nuovi capitali e/o soci nella
beneficiaria e nella scindenda,
la gestione degli immobili di tipo meramente "locatizio",
il silenzio su qualunque dato giuridico-economico in grado di illuminare, per la
societa' istante/scindenda, nuove strategie imprenditoriali conseguenti alla
scissione e, per la societa' neocostituenda, forme propriamente imprenditoriali
di gestione degli immobili,
nonche' la mancata indicazione dell'assenza di intendimento di cedere
successivamente a terzi la quota totalitaria di partecipazione alla societa'
beneficiaria.
L’operazione in questione non viene dunque apprezzata come una operazione
di ristrutturazione societaria ma destinata a surrogare lo scioglimento dal
vincolo societario da parte del socio detentore del 23% del capitale e
l'assegnazione ad esso di una porzione del patrimonio immobiliare e, quindi,
un'operazione negoziale che, piu' congruente sul piano giuridico rispetto alle
finalita' concretamente perseguite, risulterebbe, tuttavia, fiiscalmente piu'
onerosa, facendo emergere basi imponibili
Una scissione che determini il trasferimento del patrimonio immobiliare della
societa' scissa ad una costituenda societa' beneficiaria, con continuazione da
parte della societa' scissa dell'attivita' d'impresa non immobiliare gia' in atto, e
che sia preordinata alla sottrazione degli immobili ad una gestione
imprenditoriale in forma societaria, bensi' alla separazione tra l'attivita' di
gestione immobiliare e l'attivita' d'impresa, gestita dalla societa' scissa, appare
sorretta da valide ragioni economiche giacche' consente, da un lato, di separare
dall'attivita' commerciale in senso stretto della societa' scissa l'attivita'
immobiliare, concentrando quest'ultima in capo ad un nuovo soggetto
societario, che puo' esercitarla secondo logiche imprenditoriali distinte ed
appropriate al settore immobiliare, e, dall'altro, di favorire l'ingresso di nuovi
soci nella societa' scissa.
Una società è proprietaria di un compendio di immobili. Essa detiene, inoltre, il
100% del capitale sociale di un'altra societa' a responsabilita' limitata,
denominata Y, che pure ha per oggetto sociale la costruzione e la vendita di
immobili e che risulta proprietaria unicamente di un terreno edificabile, in
relazione al quale e' atteso il rilascio dei titoli autorizzatori necessari per
l'edificazione di immobili di edilizia residenziale.
I soci della societa' istante sono due societa' a responsabilita' limitata, titolari
del capitale sociale rispettivamente nella misura del 33,33% e del 66,67%;
IL progetto descritto riguarda :
- fusione per incorporazione della societa' controllata da parte della societa'
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istante/controllante;
- scissione della societa' istante/incorporante a favore di due societa'
beneficiarie di nuova costituzione, ciascuna delle quali cadrebbe nella titolarita'
di un socio unico, da identificarsi, rispettivamente, nell'una e nell'altra delle due
societa' che compongono attualmente la compagine societaria della societa'
istante; il patrimonio immobiliare di quest'ultima verrebbe ripartito fra le due
societa' beneficiarie della scissione in misura proporzionale alle quote di
capitale che ciascuna delle due societa'-socie attualmente detiene nella societa'
istante/scindenda (33,33% e 66,67%);
- fusione per incorporazione di ciascuna delle due societa' beneficiarie della
scissione da parte del rispettivo socio unico;
L’obiettivo è far divenire i soci direttamente proprietari del patrimonio
immobiliare, al fine di poter procedere in autonomia, sul piano operativo e su
quello finanziario, allo svolgimento dell'attivita' edilizia, dopo aver registrato in
proposito forti contrasti.
Il comitato sottolinea come l'operazione in questione e' obiettivamente
finalizzata non a realizzare un piano di riorganizzazione aziendale nell'interesse
delle societa'
protagoniste degli atti di fusione e di scissione, ma a soddisfare un'esigenza di
scioglimento della compagine societaria istante, con ripartizione fra i soci del
suo patrimonio. Infatti :
mediante la prima fusione (con cui la societa' istante incorporerebbe la propria
controllata) i soci della societa' istante eliminerebbero un primo schermo
societario (la societa' controllata al 100%) fra se' ed il terreno edificabile, che
verrebbe a ricadere nel patrimonio della societa' istante;
con la scissione non proporzionale (che nell'istanza viene qualificata come
"parziale", ma che in realta' presenta i caratteri di una scissione totale, dato che
la societa' istante si annullerebbe completamente, perdendo integralmente il
proprio patrimonio a favore delle due societa' beneficiarie) si darebbe luogo,
poi, ad una divisione del patrimonio (immobiliare) della societa' istante, ormai
comprensivo degli immobili gia' edificati ed in corso di vendita e del terreno
ancora da edificare; attraverso la successiva fusione (con cui le due societa'
beneficiare della scissione verrebbero incorporate ciascuna dal proprio unico
socio) si realizzerebbe, infine, l'effetto finale di ripartizione del patrimonio
immobiliare fra le due societa' attualmente costituenti la compagine societaria
della societa' istante, con integrale eliminazione di qualunque schermo
societario intermedio.
Conseguentemente, non vi sarebbe "sopravvivenza" ne' della societa' istante, ne'
delle altre societa' protagoniste delle fusioni e della scissione (vale a dire, la
societa' integralmente controllata dalla societa' istante e le due societa' di nuova
costituzione destinate a beneficiare della scissione). Rimarrebbe, invece,
,immutata l'attivita' imprenditoriale (costruzioni edilizie e relative
compravendite), oggi facente capo alla societa' istante e alla sua controllata e
che all'esito dell'operazione in esame verrebbe svolta, invece, direttamente e
separatamente, dai due soggetti societari attualmente soci della societa'
Pertanto, non sono, dunque, ravvisabili i tratti di una riorganizzazione
imprenditoriale e aziendale delle societa' oggetto di fusione e di scissione,
rispetto alla quale i "movimenti" di soci e di cespiti patrimoniali si pongano in
termini obiettivamente strumentali, come in un rapporto tra fine e mezzi;
l'operazione prospettata appare, invece, destinata a surrogare, lo scioglimento
del vincolo societario da parte dei soci della societa' istante e la ripartizione fra
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Parere
/2005
n.
di essi del patrimonio immobiliare e, quindi, un'operazione negoziale che, piu'
congrua sul piano giuridico rispetto alle finalita' concretamente perseguite,
risulterebbe, tuttavia, fiscalmente piu' onerosa, facendo emergere basi
imponibili.
32 La societa' X SpA svolge attivita' di produzione di pompe per l'industria
alimentare e farmaceutica ed utilizza, a tal fine, un consistente patrimonio
immobiliare. Allo scopo di finanziare alcuni investimenti, la stessa intende
porre in essere un'operazione di lease-back riguardante uno dei cespiti
immobiliari attualmente in uso, deducendo fiscalmente i canoni di locazione
finanziaria;
La societa' porra' poi in essere un'operazione di scissione parziale con scorporo
del patrimonio immobiliare e del contratto in corso di lease-back a favore di
una beneficiaria di nuova costituzione e, conseguentemente, la stessa
beneficiaria affittera' il patrimonio immobiliare alla scissa e subaffittera'
l'immobile in lease-back sempre alla societa' scissa.
La beneficiaria svolgera' esclusivamente attivita' di locazione di beni immobili
propri o assunti in leasing (affittandoli alla societa' scissa X SpA) e continuera'
a dedurre fiscalmente il costo della locazione finanziaria ed a detrarre l'IVA
addebitata unitamente ai canoni.
Le ragioni economiche prospettate a sostegno dell'operazione sono molteplici:
i soci fondatori desiderano mantenere la proprieta' degli immobili e permettere
al contempo l'ingresso nella compagine sociale dei figli, dei dipendenti, o di
terzi, limitando il piu' possibile l'esborso monetario da parte di questi ultimi;
intendono, altresi', svolgere una vera e propria attivita' immobiliare, nettamente
distinta dall'attivita' di produzione di pompe, anche dal punto di vista
gestionale, escludendo in tal modo il patrimonio immobiliare dal rischio
d'impresa;
Secondo il comitato l’operazione in questione non è elusiva in quanto i beni del
patrimonio immobiliare oggetto di scissione non vengono sottratti al regime dei
beni d'impresa, ma mantengono i relativi plusvalori che concorreranno al
reddito secondo le regole vigenti al momento in cui gli stessi verranno ceduti o
assegnati ai soci. La circostanza ulteriore che la societa' beneficiaria concedera'
in locazione a prezzi di mercato gli immobili acquisiti dalla scissa e
subaffittera' l'immobile detenuto per effetto della cessione del contratto di
lease-back, non sembra generare alcun illecito risparmio d'imposta dal
momento che i canoni costituenti costi per la societa' scissa daranno luogo,
correlativamente, a componenti positivi di reddito per la societa' beneficiaria
neocostituita.
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II.3. I CONFERIMENTI DI AZIENDE, PARTECIPAZIONI E BENI
II.3.1. Premessa
La riforma del diritto societario ha introdotto forme di conferimento in società diverse da
quelle tradizionali; contemporaneamente, l'ordinamento tributario societario ha conosciuto in
termini pressoché contemporanei una nuova stagione con "opzioni" di politica legislativa
fiscale evidentemente innovative. La specificità della disciplina civilistica della società a
responsabilità limitata si rapporta a quella fiscale dei conferimenti nell'assetto raggiunto con
le modifiche apportate al Tuir 22 dicembre 1986, n. 917 dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344. Il
quadro normativo di riferimento è disegnato da disposizioni riferibili al conferimento nella
sua genericità oppure circoscritte al solo profilo del valore di quanto conferito e di quanto
ricevuto 1, da disposizioni più specificamente indirizzate ai componenti reddituali che si
potrebbero originare dal conferimento inteso quale cessione a titolo oneroso di beni relativi
all'impresa2 oppure a tipologie di conferimenti individuate in ragione del loro oggetto3.
All'interno di un quadro normativo che contiene regole generali e regole per "tipi" occorre
accertare i "termini" della fiscalità dei diversi modelli di conferimento (di denaro o di beni, di
opere e servizi, di azienda e di partecipazioni, proporzionali e non proporzionali).
II.3.2. Alcuni dati di partenza.
Il conferimento quale atto oneroso, con effetti non traslativi/corrispettivi ma sostitutivi e
con funzione organizzativa - L'operazione di conferimento può essere osservata sotto molteplici
angolature, peraltro comuni all'indagine giuscommercialistica del fenomeno, le quali, qui si
anticipa, sembrano offrire elementi utili a cogliere un loro regime di neutralità fiscale in
una prospettiva sistematica e non meramente agevolativa.
a) L'art. 9, comma 4, del Tuir ai fini delle imposte sui redditi equipara il conferimento ad
una cessione a titolo oneroso e, quindi, ad un negozio giuridico idoneo a realizzare
plusvalenze sui beni conferiti imponibili in base alle condizioni di cui agli artt. 58 e 86
del Tuir (natura onerosa)4.
b) La circostanza che all'avvenuto conferimento segua l'attribuzione al conferente di quote
di partecipazione evidenzia, peraltro, un fenomeno nel quale l'interesse economico
delle parti si soddisfa mediante una "sostituzione" a livello patrimoniale di beni "di
primo grado" (denaro, beni in natura, opere e servizi) o "di secondo grado"
(partecipazioni) con beni necessariamente "di secondo grado" (partecipazioni emesse
dalla conferitaria): di qui un profilo anche permutativo del conferimento (natura
permutativo/sostitutiva).
c) Peraltro, poiché il conferimento può, ora, avere ad oggetto anche mere "entità" comunque
di immediata utilità per la società conferitaria (esempio: l'azienda), emerge un ulteriore
aspetto dell'operazione: quello funzionale.
In ragione del conferimento e della particolare natura del suo oggetto si massimizza,
infatti, l'efficienza della conferitaria nonché, in una logica di gruppo, si soddisfano
esigenze anche di organizzazione dell'impresa a livello metaindividuale distribuendo
nei singoli centri dell'articolazione imprenditoriale di gruppo le diverse "utilità"
conferibili (natura funzionale e organizzativa).
Nel conferimento il trasferimento del bene appare solo strumentale alla causa del negozio
così come accade per le operazioni societarie straordinarie (fusioni e scissioni). Per tale
funzionalità il conferimento dovrebbe essere considerato anche
1
Valore normale - art. 9 del Tuir.
Plusvalenze artt. 58 e 86 del Tuir; plusvalenze esenti - art. 87 del Tuir; minsuvalenze - art. 101.
Azienda - artt. 58 e 175 del Tuir; partecipazioni e partecipazioni esenti - artt. 86, 87 e 175 del Tuir.
4
In ragione della quale le plusvalenze dei beni conferiti verrebbero assoggettate ad imposizione progressiva e proporzionale a seconda della
natura del soggetto conferente (persona fisica o meno, imprenditore individuale, collettivo non societario e collettivo societario).
2
3
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ai fini fiscali un atto non di realizzazione ma di organizzazione nel quale i beni conferiti non
perdono la loro destinazione imprenditoriale ma vengono solo sostituiti dalle partecipazioni
ricevute in una successione di "beni" di "grado" diverso.
II.3.3. Assenza di corrispettività e necessità di valorizzazione oggettiva dei beni trasferiti in
occasione del conferimento
Le circostanze che il conferimento abbia natura non traslativa/corrispettiva ma
funzionale/riorganizzativa e che il suo oggetto, alla luce della riforma del diritto societario, si
sia ampliato a tutte quelle "entità" utili per lo svolgimento dell'impresa accomunano il diritto
societario al diritto tributario nella necessità di individuare i valori dei beni (di primo e di
secondo grado) conferiti e delle partecipazioni ricevute, individuazione che può essere
soggettiva ove espressione delle scelte dei privati ed oggettiva ove demandata ad un terzo o
effettuata dal legislatore. Mentre ai fini civilistici l'oggettivizzazione del valore sembra
giustificata principalmente dall'esigenza di garantire l'effettività del capitale sociale peraltro
attenuata, soprattutto nelle S.r.l., nel diritto tributario essa dovrebbe permettere di accertare se
all'assunta natura permutativa del conferimento consegua o meno un effetto reddituale e, in
caso affermativo, se ed a quali condizioni la libertà di valutazione rimessa alle parti in
occasione del trasferimento dei beni relativi all'impresa "attribuiti" e "ricevuti" condizioni
l'esistenza e l'entità di incrementi o decrementi patrimoniali a valenza reddituale. L'incontro o
scontro tra valorizzazioni di natura soggettiva ed oggettiva si percepisce quando il valore del
bene conferito è diverso da quello della partecipazione ricevuta e tale plus (o minus) valore
resta allo stato latente non emergendo nella base imponibile5. Il trasferimento dei beni a valori
fiscali asimmetrici potrebbe causare un salto di imposta ogniqualvolta il beneficiario assuma un
valore fiscale superiore a quello del suo dante causa o, in senso contrario, una doppia
imposizione se il valore assunto come imponibile non acquistasse, in ragione di ciò, un
riconoscimento fiscale. Il medesimo potrebbe, peraltro, far presumere che le parti, tramite un
negozio non organizzatorio ma prettamente traslativo/corrispettivo destinato al mercato,
abbiano un intento (anche) realizzativo del maggior (o minor) valore dei beni di primo o di
secondo grado trasferiti, valore che avrebbe così valenza reddituale. La possibile divergenza dei
valori fiscali attribuiti dalle parti e la conseguente natura del conferimento meramente
permutativa e sostitutiva senza effetti reddituali, nonostante un incremento o decremento latente
del patrimonio, giustifica la tutela dell'interesse erariale di certezza pro fisco tramite
l'oggettivizzazione del "corrispettivo" del conferimento e, dunque, la normalizzazione dei valori
di (bene di primo e di secondo grado) trasferiti (artt. 9 e 175 del Tuir).
a) a) Prima della L. n. 503/1994 il conferimento rappresentava un'ipotesi di realizzo di
plusvalenze per il conferente laddove il valore normale dei beni conferiti quale
corrispettivo superasse il valore fiscalmente riconosciuto dei medesimi rispetto al
valore delle partecipazioni; per il conferitario ciò avrebbe comportato la possibilità di
iscrivere quanto conferito ad un valore pari a quello normale di cui al corrispettivo senza
alcun salto di imposta o doppia imposizione poiché il valore imponibile per un soggetto
corrispondeva al valore deducibile per altro soggetto.
b) b) La L. n. 503/1994, eliminando per il conferimento nelle sole società non quotate, il
riferimento di cui all'art. 9 all'individuazione del corrispettivo nel valore normale di
beni conferiti creò un vuoto normativo. Tale lacuna sarebbe stata colmabile riconoscendo
che se il legislatore, in tale occasione, aveva voluto abbandonare il criterio della
valorizzazione in ragione di quanto conferito, si potesse verificare, ai fini della
5
Si pensi al plusvalore latente di cui godrebbe il conferente se a seguito del conferimento le partecipazioni ricevute avessero, di fatto, un valore
superiore a quello dei beni conferiti e, viceversa, se il valore del "bene" ricevuto fosse superiore a quello della partecipazione attribuita e, dunque,
a quello del capitale assegnato con il riconoscimento per il conferitario di un maggior costo fiscale spendibile in sede di
determinazione dell'eventuale plusvalenza (o minusvalenza) realizzabile a seguito della cessione del "bene" conferito dal patrimonio del
conferitario.
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plusvalenza o minusvalenza da conferimento, quale fosse il valore attribuito alle
partecipazioni ricevute utilizzando i criteri fissati nell'art. 9 ovvero il riferimento al
patrimonio netto della conferitaria affatto corrispondente a quello venale; in questo
modo il conferimento avrebbe manifestato ricchezza imponibile qualora il conferente
avesse iscritto le participazioni ricevute ad un valore superiore alla quota di
patrimonio netto della conferitaria oppure il conferitario avesse proceduto ad un
incremento del patrimonio netto superiore al valore delle partecipazioni così come
iscritte dal conferente.
c) c) Nella vigenza dell'art. 4 del D.Lgs. n. 358/1997 il conferimento di azienda godeva di
un regime di doppia sospensione seppur solo tra enti commerciali; in particolare, il
regime di irrilevanza delle plusvalenze e minusvalenze era condizionato, oltre che al
possesso dell'azienda per un periodo non inferiore a tre anni, alla circostanza che per il
conferente il valore fiscale delle partecipazioni ricevute fosse pari a quello
dell'azienda conferita e che la conferitaria evidenziasse in un apposito prospetto di
riconciliazione i valori di bilancio ed i valori fiscalmente riconosciuti.
d) La simmetria di valori e, di converso, l'individuazione dei plus - o minusvalori veniva
garantita con la previsione che la conferitaria recepisse i valori fiscali che la
conferente aveva attribuito all'oggetto del conferimento e che la conferente attribuisse
alle partecipazione un valore da iscriversi nel bilancio corrispondente.
e) d) All'indomani della riforma intervenuta con il D.Lgs. n. 344/2003 si considera
"corrispettivo conseguito il valore normale dei beni e dei crediti conferiti" (art. 9,
comma 2, del Tuir)6 individuato, in alcuni casi, nel valore di mercato [art. 9, comma 3, e
comma 4, lettere a) e c), del Tuir] ed in un altro (quote di partecipazione in società non
quotate) in quello in proporzione con il patrimonio netto o all'ammontare
complessivo dei conferimenti [art. 9, comma 4, lettera b), del Tuir].
La regola di cui al comma 2 dell'art. 9 intende raccordare il valore delle partecipazioni ricevute
a quello dell'"oggetto" del conferimento al fine di evitare che vi sia un valore di iscrizione
nella conferitaria superiore a quello delle partecipazioni; pertanto, laddove a seguito
dell'apporto il conferente sia assegnatario non di quote di partecipazione ma solo di strumenti
finanziari partecipativi che non determinano alcun incremento del capitale il criterio di cui
al comma 2 non sarebbe applicato7. In ordine al valore normale alla cui stregua valutare
l'oggetto del conferimento ai sensi dell'art. 9 del Tuir nel caso dei soli conferimenti in società
quotate nonché proporzionali il valore (corrispettivo) non potrà in nessun caso essere inferiore al
valore normale fissato dall'art. 9, comma 4, lettera a), nella media aritmetica dei prezzi rilevati
nell'ultimo mese o, se di nuova costituzione, all'ammontare complessivo dei conferimenti,
valori questi affatto condizionati da pattuizioni soggettive; a tale valore si dovrà iscrivere la
partecipazione ricevuta. Qualora, invece, il conferimento non sia proporzionale tale parametro
non dovrebbe essere necessariamente applicato. Per i conferimenti di azienda o di partecipazioni
di controllo o di collegamento, escluse dal regime di esenzione di cui all'art. 87 del Tuir (la
cosiddetta participation exemption o pex), è "valore di realizzo quello attribuito alle
partecipazioni, ricevute in cambio all'oggetto conferito, nelle scritture contabili del soggetto
conferente ovvero, e superiore,quello attribuito all'azienda o alle partecipazioni conferite
nelle scritture contabili del soggetto conferitario" (art. 175 del Tuir). Da un simile quadro
normativo si può, allora, desumere l'esistenza di criteri di valorizzazione dei "beni" che vengono
trasferiti in occasione del conferimento secondo regole di normalità e di oggettività; ad essa si
6
Si deve notare, sotto il profilo dell'accertamento, che la presunzione che il corrispettivo corrisponda a valori normali non
escluderebbe, secondo un indirizzo giurisprudenziale (Cass., Sez. trib., 6 dicembre 2001, n. 15442) che l'Amministrazione finanziaria possa
provare un maggior valore imponibile dal momento che la norma avrebbe la sola funzione di invertire l'onere della prova a favore del contribuente
che dichiarasse il valore indicato nella norma; ad altra conclusione si potrebbe giungere laddove si osservasse che la norma opera in termini di
qualificazione legale/presunzione assoluta.
7
In questo senso la risposta dell'Agenzia delle Entrate ai cosiddetti quesiti di Telefisco 2005 sulle novità della Finanziaria e
sull'applicazione dell'Ires.
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affianca, come vedremo nel paragrafo che segue, il principio per cui, laddove sia conferita
un'azienda o una partecipazione, si configura un valore di realizzo così normalizzato qualora il
valore del "bene" conferito e quello della partecipazione ricevuta non siano simmetrici ma,
invece, fra loro diseguali. Si è, così, circoscritta la rilevanza del richiamo alla situazione
patrimoniale della conferitaria che, in passato, condizionava il conferimento effettuato a
favore di società non quotate legando in modo del tutto irragionevole la determinazione del
reddito in capo al conferente a situazioni patrimoniali della conferitaria. Di conseguenza il
criterio del valore di quanto conferito esposto dal comma 2 dell'art. 9 del Tuir, dovrebbe, quindi,
riferirsi ai conferimenti di tutti quei "beni" diversi da partecipazioni in società non quotate al
fine sia di individuare il valore fiscalmente riconosciuto che di determinare l'eventuale
plusvalenza. Ciò comporta un necessario rinvio al valore peritale dal momento che la scelta del
legislatore è stata quella di non richiamare il valore di borsa, impossibile per le società non
quotate; di conseguenza, si assisterebbe ad un condizionamento del valore fiscale da parte di
quello civilistico di natura convenzionale e non normativamente predeterminato8. L'art. 177,
comma 2, del Tuir, peraltro, prescrive una valorizzazione puntuale ed affatto "normale" per le
partecipazioni ricevute dall'impresa conferente a seguito di un conferimento di partecipazione
con il quale la conferitaria acquista il controllo di una società nei termini del controllo ex art.
2359 del codice civile.
Il valore è stabilito, in contrapposizione al valore fiscalmente
riconosciuto in sede di determinazione della plusvalenza, "in base alla corrispondente quota
delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto
del
conferimento": sembra, allora, che l'iscrizione nel bilancio della partecipazione ricevuta dalla
conferente ad un valore diverso, perché superiore, da quello fiscalmente riconosciuto e, in linea
generale, il mancato allineamento tra valori fiscali e valori civilistici possa dare luogo ad una
plusvalenza solo fiscale ma non civilistica.
II.3.4. Assenza di corrispettività, funzione organizzativa e continuità dei valori
fiscali fra beni di "primo" e di "secondo" grado: condizione di neutralità speciale
o generale?
Ampliando e razionalizzando l'ambito
applicativo
di
disposizioni
già
presenti
nell'ordinamento a seguito dell'esperienza legislativa della Riforma cosiddetta Visco9, il D.Lgs.
12 dicembre 2003, n. 344 nell'art. 176 del Tuir sembra recepire una ricostruzione della
neutralità fiscale dei conferimenti in chiave sistematica per quanto, almeno letteralmente,
circoscritta al conferimento della sola azienda. La continuità dei valori fiscalmente riconosciuti
all'azienda conferita in quelli dei beni iscritti dalla società conferitaria e nelle
partecipazioni ricevute dal soggetto conferente è, infatti, apprezzata dal legislatore al fine di
escludere o, quantomeno, rinviare la rilevanza dei plusvalori o minusvalori dei beni conferiti e
delle partecipazioni ricevute per il (solo) conferimento di azienda (art. 176 del Tuir).
L'emersione di materia imponibile viene condizionata, nella ratio legis, ad una diversità di
valori fiscali fra un bene di "primo grado" (l'azienda) ed un bene di "secondo grado" (la
partecipazione); si realizza, infatti, un plusvalore imponibile in ragione della sola asimmetria
dei valori dell'oggetto del conferimento e della partecipazione ricevuta di modo che non si avrà
8
La relazione di stima richiesta dagli artt. 2343 e 2465 del codice civile, peraltro di un esperto liberamente scelto dal conferente laddove si tratti
di conferimento in una S.r.l., ha la funzione di evitare che la partecipazione assegnata sia superiore al valore del conferimento operato al di
fuori delle ipotesi in cui si sia espressamente deciso di procedere a conferimenti non proporzionali; in realtà, la tutela dell'integrità del capitale
sociale è garantita dal controllo effettuato sulla somma dei conferimenti; per le S.r.l. ciò è chiarito dall'art. 2464 del codice
civile.
9
In tale contesto normativo (D.Lgs. n. 358/1997) - che peraltro richiama, con l'eccezione della permanenza di una stabile organizzazione, la
disciplina dei conferimenti di aziende infracomunitari - l'inidoneità del conferimento a realizzare plusvalenze era circoscritta al solo
conferimento in società di capitali di aziende purché possedute per un periodo inferiore a tre anni (art. 4) e a condizione del mantenimento in
capo al conferitario degli originari valori fiscalmente riconosciuti; tale regola non era applicabile per i conferimenti di partecipazioni di
controllo e per quelli di azienda in società di persone o imprese individuali per i quali si disponeva (art. 3) solo la coincidenza del valore
delle partecipazioni ricevute a quello delle partecipazioni conferite o, se superiore, a quello attribuito alle stesse dalla conferitaria, ciò
per ragioni di mera semplificazione nella determinazione della plus (o minus-) valenza.
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realizzo qualora i valori siano simmetrici in ragione della scelta delle parti di conservare nelle
rispettive sfere giuridiche i valori fiscali dei beni conferiti e attribuiti.
Peraltro, la non emersione di plusvalenze latenti a seguito della continuità dei valori fiscali
di per sé non pregiudicherebbe l'interesse erariale all'acquisizione dell'imposta: il plusvalore
non emerso a seguito della simmetrica valutazione sarebbe tassabile in occasione della cessione
della partecipazione da parte del conferente o del bene conferito da parte del conferitario.
Se le conclusioni sopra accennate di per sé non sembrano condizionate dalla natura aziendale
del bene conferito, l'art. 176 del Tuir potrebbe, allora, essere interpretato quale espressione di
un principio (neutralità del conferimento con continuità dei valori fiscali) estensibile anche a
conferimenti con oggetto diverso dall'azienda ovvero di partecipazioni.
La regola, se generalizzata, si rivela coerente ai caratteri del conferimento come negozio
privo di natura corrispettiva10, avente, invece, funzione organizzativa dell'impresa.
Infine, si rammenta che l'art. 176, comma 3, del Tuir riconosce alla continuità dei valori
fiscali
l'idoneità
a
provare
la
natura funzionale/organizzativa dell'operazione di
conferimento (ovvero le sue valide ragioni economiche) escludendo che l'operazione sia
sindacabile ex art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973 qualora il bene conferito sia trasferito dalla
società conferitaria con negozi non organizzativi ma traslativi, quando la partecipazione
ricevuta sia ceduta beneficiando del regime dell'esenzione totale di cui all'art. 87 del Tuir
oppure la conferitaria sia "non operativa" non svolgendo, all'epoca del conferimento, un'effettiva
attività di scambio poiché l'imponibilità delle plusvalenze latenti viene conservata in capo al
cessionario delle partecipazioni11.
II.3.5. Il conferimento di azienda
Il conferimento dell'azienda o di un ramo aziendale è disciplinato senza alcuna distinzione
tipologica della società conferitaria; pertanto, l'articolato quadro di riferimento sarà quello
proprio dell'operazione nella sua genericità12.
La riforma tributaria ha conservato per il conferente (imprenditore o non imprenditore) la
tassazione separata delle plusvalenze compreso l'avviamento derivanti dalla cessione a titolo
oneroso di aziende possedute da più di cinque anni (artt. 17, comma 1, e 58, comma 1, del Tuir).
Per il solo conferente imprenditore il legislatore costruisce una disciplina articolata.
a) Per i conferenti imprenditori societari l'art. 86, comma 2 del Tuir prevede la tassazione
delle plusvalenze aziendali compreso il valore dell'avviamento; nel caso in cui alla cessione
segua a titolo corrispettivo il trasferimento di un'azienda o ramo aziendale, la plusvalenza
sarà rappresentata dall'eventuale conguaglio in denaro.
Sempre per gli imprenditori commerciali anche se individuali o non residenti l'art.
175, comma 1, dispone che se il conferimento di azienda è effettuato a favore di un
soggetto anche non residente (purché in quest'ultimo caso l'azienda si trovi in Italia),
il valore di realizzo è rappresentato da quello attribuito alle partecipazioni ricevute
o, se inferiore, a quello attribuito dal conferitario all'azienda ricevuta in base, quindi,
10
Dal carattere corrispettivo ed affatto permutativo è il leasing azionario il quale, sempre afferente alla più ampia fenomenologia delle
fattispecie di investimento in società è stato disconosciuto come causa di ammortamento dei beni ma, invece, qualificato come negozio
strumentale all'acquisto della proprietà della partecipazione ed avente ad oggetto un bene non ammortizzabile di modo che il canone di
leasing non sarà fiscalmente deducibile come, invece, i canoni per la locazione finanziaria di beni effettivamente ammortizzabili perché
soggetti a logorio e obsolescenza; ciò anche in ragione del regime dell'operazione di acquisto
diretto il cui costo non è ammortizzabile; pertanto, l'operazione fiscalmente rilevante sarà la finale (ma eventuale) cessione il cui valore sarà
determinabile quantomeno nella somma dei canoni corrisposti e della rata finale di riscatto (cfr. Ris. Agenzia Entrate 10 maggio 2004, n. 69/E).
11
Si pone, però, il problema di stabilire se tale insindacabilità, che alla lettera varrebbe per i conferimenti effettuati con la continuità dei valori
fiscalmente riconosciuti ex art. 176, valga o meno anche per quelli effettuati a valori correnti ovvero contabili in quanto corrispondenti
al valore dell'oggetto del conferimento o delle partecipazioni ricevute ex art. 175 del Tuir.
La questione potrebbe essere risolta in due maniere alternative: o ritenendo estensibile la disposizione dell'art. 176 oppure accettando la
diversità e, dunque, che i conferimenti ex art. 175 con successiva cessione siano sindacabili ex art. 37-bis sebbene in questo caso si potrebbe
dubitare della ragionevolezza della discriminazione.
12
Definito dagli artt. 17, 58, 86, 175 e 176 del Tuir.
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a scelte convenzionali delle parti che potranno divergere nel quantum dal valore normale
fissato dall'art. 9 del Tuir.
b) In altra prospettiva, il legislatore introduce un regime di neutralità fiscale del
conferimento di azienda richiamando quando già disposto dall'art. 58 del Tuir per il
trasferimento dell'azienda per causa di morte o per atto gratuito, ovvero, che la mancata
realizzazione di plusvalenze aziendali è condizionata all'assunzione della stessa da parte del
beneficiario agli stessi valori fiscalmente riconosciuti che i beni avevano in capo al dante
causa.
In particolare, ex art. 176 del Tuir, se il conferitario è una società soggetta all'Ires residente ed
il conferente un imprenditore commerciale anche non societario ma comunque residente il
conferimento dell'azienda non costituisce realizzo di plusvalenze o minusvalenze a condizione
che il conferente assuma le partecipazioni ricevute all'ultimo valore fiscalmente riconosciuto
dell'azienda13 non essendo più richiesto il vincolo del previo possesso triennale dell'azienda di
cui al D.Lgs. n. 358/1997.
Un elemento che dovrebbe testimoniare l'apprezzamento da parte del legislatore, per la
valenza organizzativa ed affatto traslativo/corrispettiva del conferimento di azienda, si
individua nell'art. 176, comma 4, del Tuir il quale dispone che, a fronte della neutralità fiscale
del conferimento di azienda, le partecipazioni ricevute siano iscritte, nel bilancio della conferente
come immobilizzazioni finanziarie con continuità anche dell'anzianità di iscrizione.
La neutralità del conferimento di azienda condizionata alla continuità dei valori fiscalmente
riconosciuti dell'azienda in capo al conferitario in quanto circoscritta ai soli conferitari società
commerciali ed enti commerciali, esclude le società di persone, gli imprenditori individuali
nonché gli enti non commerciali che esercitano un'attività commerciale in via non principale: ciò
causa una discriminazione nella circolazione di aziende sulla base della natura dell'oggetto
dell'attività principale della cui ragionevolezza si può ben dubitare.
Con riguardo al conferimento in S.r.l. dell'unica azienda dell'imprenditore individuale
nonché dell'impresa familiare in S.r.l. e, dunque, ad una trasformazione cosiddetta impropria,
l'art. 176, comma 6, del Tuir si preoccupa di riconoscere espressamente l'applicabilità
dell'antecedente art. 175 di modo che la plusvalenza sarebbe realizzata solo in caso di
asimmetria tra il valore attribuito alla partecipazione ricevuta e quello dell'azienda conferita.
In base all'art. 175, ultimo comma, del Tuir l'eventuale cessione delle partecipazioni ricevute
dal conferente imprenditore individuale darà luogo ad un reddito diverso con un costo fiscale
della partecipazione, eventualmente plusvalente, individuato in quello attribuito dal conferente
alle partecipazioni ricevute nelle proprie scritture contabili o, se superiore, in quello
dell'azienda conferita; la tassazione delle plusvalenze aziendali latenti viene quindi, anche in
questo caso rinviata al momento del trasferimento della partecipazione il quale, diversamente da
quanto accadeva nella vigenza del D.Lgs. n. 358/1997, non è più considerato come
"appartenente" al mondo dell'impresa, anche quando la vendita avvenga nel triennio successivo
al conferimento dell'unica azienda.
II.3.6. I conferimenti di partecipazioni, il rapporto con la cosiddetta participation
exemption e la prospettiva di una neutralità sistematica
Il conferimento di partecipazioni, al pari di quello di azienda, non presenta peculiarità in ragione
della natura della conferitaria.
13
Il regime di neutralità sopra descritto comporta, quindi, l'emersione di una plusvalenza ai soli fini civilistici, in quanto iscritta tramite
imputazione nel conto economico, nonché un maggior valore (quello conseguente al corrispettivo pagato) rilevante ai soli fini civilistici e
superiore a quello fiscalmente riconosciuto inferiore in coerenza alla non imponibilità della plusvalenza.
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Tale tipologia di conferimento, in quanto cessione a titolo oneroso di beni relativi all'impresa, è
idonea a realizzare plusvalenze imponibili eventualmente rateizzabili se qualificabile ai sensi
dell'art. 86, comma 4, del Tuir.
Ad essa, dunque, si applicherà il criterio fissato dall'art. 9, comma 2 del Tuir alla cui stregua si
considera corrispettivo il valore normale dei beni (alias partecipazioni) conferiti.
Per i conferimenti delle sole partecipazioni di controllo o di collegamento definite dall'art.
2359 del codice civile, effettuati tra soggetti imprenditori commerciali residenti in Italia, il
valore di realizzo, al pari di quanto previsto per il conferimento dell'azienda tra i medesimi
soggetti, ai sensi dell'art. 175 del Tuir, è individuato in quello attribuito alle partecipazioni
ricevute o, se inferiore, a quello attribuito dal conferitario delle partecipazioni.
Ad un primo livello di analisi, dunque, il conferimento darebbe luogo a plusvalenze imponibili
salva la neutralità per talune partecipazioni ed in presenza di valori fiscali simmetrici.
Scendendo nel dettaglio della disciplina si nota come l'imponibilità delle plusvalenze da
partecipazioni sia esclusa dal legislatore qualora il conferimento costituisca un'ipotesi di
trasferimento che possa godere della cosiddetta participation exemption (pex) in assenza dei cui
requisiti il conferimento originerà una componente positiva di reddito.
Si aggiunga, a riguardo, che se le partecipazioni conferite siano prive dei requisiti richiesti
dall'art. 87 del Tuir per il regime di esenzione e le partecipazioni ricevute dal conferente
"non" siano "anch'esse prive" dei medesimi, ad eccezione di quello di cui alla lettera a)
dell'art. 87 (ininterrotto possesso) si applicherà il criterio di determinazione del valore di
realizzo non del comma 1 dell'art. 175 (valore più alto fra quello delle partecipazioni ricevute e
quello dell'azienda o delle partecipazioni conferite) ma dell'art. 9 del Tuir (valore normale).
In ordine alla sussistenza, in capo alla conferente l'azienda, dei requisiti delle partecipazioni
per godere della pex14, la natura sostitutiva del conferimento (anche) di azienda, soprattutto se
effettuato in continuità dei valori fiscali, giustificherebbe una continuità dell'anzianità di
possesso del bene conferito nella partecipazione; di ciò si avrebbe conferma nell'art. 176, comma
4, del Tuir.
Per quanto riguarda l'effettività dell'impresa commerciale esercitata dalla partecipata, le cui
quote siano cedute dal conferente l'azienda, il requisito dovrebbe proseguire in ragione della
continuità di posizioni tra conferente e conferitario di un'azienda di
modo
che
un'eventuale conferitaria non operativa lo diverrebbe in ragione del conferimento di un'azienda
con l'anzianità dell'effettività che deriva dalla conferente anche quando questa cedesse le
partecipazioni; negare la continuità e, dunque, far decorrere l'anzianità dalla data del
conferimento contrasterebbe con la circostanza che l'impresa partecipata godrebbe di
un'azienda già posseduta da altri per assumere una (nuova) fisionomia operativa15.
Con riguardo al caso inverso del conferimento di un'azienda di una società sostanzialmente
non operativa si può dubitare dell'esistenza e continuità del requisito dell'effettività
dell'impresa: in assenza di una nozione generale di società senza impresa e di impresa solo
apparente, salvo nozioni settoriali ed a fronte di requisito dell'effettività che sembra
presumibile quantomeno in via relativa in ragione della forma societaria adottata, dovrebbe
essere onere dell'ufficio dimostrare, in sede di disconoscimento dell'anzianità di possesso del
requisito in esame, che la conferente l'azienda è, in realtà, una società senza impresa perché di
mero godimento.
14
Come, ad esempio, l'effettività dello svolgimento di un'impresa commerciale che dovrebbe sussistere
ininterrottamente dall'inizio del terzo periodo di imposta precedente il periodo di realizzo.
15
Peraltro, se non vi fosse continuità nell'anzianità e, dunque, il periodo triennale decorrente dal conferimento non fosse utile ai fini della pex, la
partecipazione se ceduta potrebbe, in ipotesi, generare (non solo una plusvalenza imponibile ma anche e ciò che più importa ai fini elusivi) una
minusvalenza deducibile, perdita che sarebbe, invece, irrilevante nel regime pex.
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Se la non imponibilità in caso di conferimento di partecipazioni con le caratteristiche di cui alla
disciplina della pex è coerente alla ratio di quest'ultima disciplina, una più generalizzata e,
forse, sistematica neutralità potrebbe essere sostenuta richiamando in via interpretativa il ruolo
decisivo nella neutralità del conferimento di azienda della continuità dei valori fiscali e
della simmetria di valori fra beni conferiti e partecipazioni ricevute, elemento questo che
dovrebbe permettere di superare l'obiezione che, così facendo, ad un conferimento di
partecipazioni iscritte nell'attivo circolante potrebbe
far
seguito l'acquisizione di
partecipazioni a loro volta non imponibili se cedute dal conferente alle condizioni di cui
all'esenzione ex art. 87 del Tuir.
Si aggiunga che l'estensione del regime di neutralità, alle condizioni di cui all'art. 176 del
Tuir, sarebbe coerente all'equiparazione fra conferimenti aziendali e di partecipazione che il
legislatore delegante aveva, nelle intenzioni, voluto realizzare.
Infine, la mancata generalizzazione della neutralità evidenzierebbe un'illegittima
discriminazione alla luce dell'avvenuto riconoscimento di neutralità effettuato dall'art. 179
del Tuir ai conferimenti di partecipazioni infracomunitari ovvero tra soggetti entrambi
residenti nella UE ma in Stati diversi di cui uno costituito dall'Italia.
In particolare, infatti, l'art. 179, comma 4, nell'escludere la realizzazione di qualsiasi
plusvalenza o minusvalenza su partecipazioni, a condizione che le quote ricevute abbiano lo
stesso valore di quelle conferite, richiama le operazioni di cui al precedente art. 178 il quale
alla lettera e) menziona i conferimenti di azioni o quote effettuati da ed in soggetti di cui alla
precedente lettera a): enti commerciali residenti in Italia, da un lato, e, dall'altro, più
genericamente, "soggetti residenti in altri Stati membri" e, quindi, anche imprenditori individuali
ed enti non commerciali.
Il profilo discriminatorio atterrebbe, dunque, all'esclusione dal novero dei conferenti che
possono realizzare conferimenti di partecipazioni neutrali degli imprenditori individuali e degli
enti non commerciali residenti.
II.3.7. Regole fiscali tra tradizione e novità dei modelli di conferimento
Il conferimento di qualsiasi "elemento" economicamente valutabile - L'art. 2464, comma 2, del
codice civile dispone la conferibilità di qualsiasi elemento dell'attivo patrimoniale suscettibile
di valutazione economica e ciò rende possibile un apporto tipico (anche) a favore di S.r.l. di
"beni" quali il cosiddetto know how, l'avviamento, il marchio, i brevetti, le invenzioni
industriali ed i diritti di autore nonché obbligazioni di non fare od obbligazioni di cosa futura16.
La novità risiede nell'atipicità dell'oggetto del conferimento ora esteso a tutto quanto
possa essere di utilità per l'impresa della conferitaria.
Tale modello, al pari di quanto accade a fini civilistici, pone la questione della
valorizzazione e dell'individuazione di uno o più criteri applicabili.
Mentre l'art. 2465, comma 1, del codice civile richiede solo "la relazione giurata di un
esperto o di una società di revisione" la quale, oltre a individuare il valore, attesti che questo "è
almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e
dell'eventuale sovrapprezzo", a fini fiscali la soluzione è più articolata.
Ove si richiamasse il combinato disposto dei commi 2 e 3 dell'art. 9 del Tuir il
"corrispettivo" del conferimento sarebbe individuato nel "valore normale" dei "beni" conferiti
così come determinato alla stregua dei criteri di normalità di cui al successivo comma 3
16
Un'occasione di riflessione potrebbe, peraltro, essere rappresentata dalla conferibilità dei crediti di imposta in ragione, non tanto della
disciplina civilistica che ammette il conferimento di crediti tout court, quanto di quella fiscale in materia di vicende dell'obbligazione
tributaria in genere e di cessione dei crediti di imposta in specie; se, infatti, istituti privatistici quali l'accollo e la compensazione fanno ora
parte, per espresso riconoscimento legislativo, dell'ordinamento tributario, di modo che non vi dovrebbero essere ostacoli concettuali ed
ideologici ad ammetterne di altri, è indubbiamente significativo che la cessione del credito di imposta sia già conosciuta come strumento di
circolazione della posizione giuridica creditoria sia fra privati che fra società di un gruppo. Un simile contesto non può, allora, che indurre
all'impressione che il conferimento possa avere ad oggetto anche crediti vantati dal conferente nei confronti dell'Erario riducendosi la
problematicità al solo profilo della valorizzazione del credito di imposta alla stregua dei crediti in generale.
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ovvero, in caso contrario, alla stregua di criteri i più oggettivi possibili rimessi, a questo
punto, alle parti.
Laddove il "bene" trasferito di per sé abbia utilità identica a quella dei beni aziendali
tradizionalmente intesi il criterio di cui al comma 2 dell'art. 9 conserverebbe validità al pari
delle regole di neutralità di cui all'art. 176 del Tuir.
Il conferimento di opere e servizi - Ai sensi degli artt. 2342 e 2464 del codice civile le
prestazioni di opera e servizi sono conferibili solo nelle società a responsabilità limitata e non in
quelle per azioni17 previa previsione nell'atto costitutivo e, soprattutto, di polizza di
assicurazione o fideiussione bancaria che sollevi la conferitaria dal rischio di mancata
esecuzione dell'opera o della
prestazione.
La conferibilità di opere e servizi pone una serie di questioni legate alla possibile sfasatura
temporale tra la sottoscrizione del capitale e l'effettivo versamento ed alla novità dell'oggetto
ed alla rilevanza o meno della continuità dei valori fra "beni" ricevuti e partecipazione assegnata
nella prospettiva della neutralità di tale tipo di conferimento.
Il legislatore tributario delegato non le ha, al momento, risolte espressamente lasciando,
forse, intendere che siano infondate o siano risolvibili già de iure condito in via interpretativa.
II.3.8. Incremento del capitale e insorgenza dello status di socio tra mancato adempimento e
garanzia del terzo
La prima questione è stabilire in quale momento il conferente possa essere assoggettato al regime
fiscale del socio considerando che la realizzazione dell'opera o servizio conferito potrebbe non
essere contestuale alla sottoscrizione dell'incremento di capitale ed all'attribuzione della quota di
partecipazione e che l'adempimento della promessa di conferimento è, comunque, garantito
dall'assicuratore o dal fideiussore.
L'insorgenza in uno od altro momento della natura di "socio", da un lato, giustificherebbe la
qualificazione di quanto "erogato" dalla società conferitaria quale dividendo o remunerazione di
un'opera o servizio alla stregua di un reddito di lavoro autonomo o di impresa a seconda
della natura del conferente; dall'altro, condizionerebbe il regime fiscale dei costi inerenti
all'opera o servizio conferiti prima ed apportati e del pagamento dell'opera o servizio quale
costo per la conferitaria.
Qualora si enfatizzi l'effettività del capitale nella sua reale consistenza questo aumenterebbe
solo se l'opera ed il servizio conferiti fossero effettivamente prestati alla stregua delle regole
proprie del conferimento di beni in natura diversi dal denaro.
In particolare, a favore di una ricostruzione che condizioni lo status di socio all'effettivo
adempimento potrebbero addursi diversi argomenti:
- l'opera o servizio, per quanto entità economicamente valutabili ed iscrivibili in bilancio,
non assolvono ad alcuna utilità per la società se non nel momento in cui sono rese
oppure quando il terzo assicuratore o garante non ha provveduto a liquidare;
- - qualora in assenza dell'opera o prestazione la società provvedesse all'attribuzione della
quota,
l'effetto
sostitutivo/permutativo caratteristico dei conferimenti non
potrebbe
dispiegarsi
poiché all'incremento patrimoniale, conseguente all'ipotetica
assegnazione della quota, non seguirebbe alcun decremento del conferente
laddove inadempiente almeno fino a quando e se l'assicuratore o fideiussore non
provveda in denaro.
17
Per le società per azioni il conferimento di opere e servizi è ammesso dall'art. 2346, ultimo comma, del codice civile senza possibilità di
aumento del capitale e nel solo caso in cui a tale apporto segua l'emissione di strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o
amministrativi ma privi del diritto di voto nell'assemblea generale degli azionisti.
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Pertanto, in base a questa prima ipotesi l'effetto incrementativo del capitale e con esso
quello reddituale per il conferente e per il conferitario si dispiegherebbero solo al momento e
nella misura in cui l'oggetto del conferimento entri nella sfera giuridica della conferitaria o il
terzo abbia corrisposto l'equivalente in denaro.
La menzionata sfasatura, peraltro, richiederebbe che in attesa della realizzazione la promessa
conferitaria evidenzi un credito verso terzi pari al valore dell'opera o servizio da apportare e lo
riduca ogniqualvolta vi sia anche una parziale realizzazione procedendo, contestualmente, ad
un proporzionale aumento di capitale.
L'effetto reddituale si avrebbe, dunque, solo al momento e nella misura in cui l'opera o la
prestazione siano realizzate seguendo il criterio di competenza o di cassa in base alla natura
del soggetto conferente; non quando, anteriormente ad esso, il conferente nel proprio
bilancio contrapponga al valore della partecipazione che dovrebbe ricevere un debito pari al suo
conferimento e la conferitaria iscriva un credito: in questo momento, precedente al perfezionarsi
del conferimento vi saranno variazioni in diminuzione prima ed in aumento poi rispetto alle
risultanze civilistiche.
Una diversa conclusione si raggiunge laddove si ammetta come caratteristica
innovativa della disciplina del finanziamento dell'impresa in forma di S.r.l. proprio la
possibilità di aumentare il capitale in presenza non solo della sottoscrizione ma anche
della mera promessa di conferimento di "utilità" resa certa nel suo effetto
incrementativo dal ruolo della garanzia assicurativa e fideiussoria.
Il promettente conferente diventerebbe socio e potrebbe esercitare tutti i diritti
patrimoniali e amministrativi a seguito della sottoscrizione "garantita".
A favore di questa seconda ipotesi militano diversi argomenti.
1. Una ricostruzione della nozione di capitale sociale che apprezzi il valore non
solo presente ma anche futuro/programmatico in ragione degli apporti che i soci
effettuano o promettono di effettuare anche alla luce della garanzia, necessaria,
da parte dell'assicurazione o del
fideiussore, scindendo il valore del
comportamento dall'esecuzione del comportamento valutato.
2. La conseguente distinzione fra conferibilità ed iscrivibilità facendo discendere dalla
prima i diritti sociali e dall'avvenuta opera o servizio (o dal
pagamento
dell'assicurazione o del fideiussore) l'incremento di capitale.
3. Infine, il fatto che sia conferibile tutto quanto sia suscettibile di tendenziale
oggettiva valutazione economica, di formare oggetto di un rapporto giuridico ed utile
economicamente al conferitario e, quindi, anche un diritto ad ottenere una certa cosa o
prestazione da un terzo anche quando questi sia socio in fieri.
La sfasatura sarebbe, dunque, fisiologica in ragione della derogabilità del principio di
effettività del capitale sociale a condizione che siano presenti adeguati strumenti di tutela dei
diversi interessi coinvolti18.
L'effettività dell'incremento dal cui rispetto discende, sostanzialmente, l'emissione di
quote di partecipazione che attribuiscano lo status di socio non sarebbe pregiudicata dal
rischio della mancata esecuzione in ragione della garanzia obbligatoria.
La qualificazione reddituale dell'attribuzione della partecipazione, di erogazioni
successive alla "promessa" ed il regime dei costi inerenti l'opera o il servizio conferito
- Dopo aver esposto l'alternativa in punto di aumento del capitale ed acquisto dello
status di socio è possibile verificare i riflessi di una od altra ipotesi con riguardo al
18
Peraltro, la non eseguibilità del conferimento impedirebbe, in ipotesi, l'attuazione della delibera di aumento solo nelle S.p.a. e non nelle
S.r.l. per una diversa esigenza di tutela del socio che abbia già sottoscritto e versato alla luce del peculiare regime di circolazione delle azioni
quali titoli di credito e non delle quote.
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valore reddituale della partecipazione ove
assegnata
prima
dell'effettivo
adempimento nonché alla disciplina dei costi sostenuti dall'assegnatario per la
realizzazione dell'opera o del servizio.
Laddove lo status di socio sussista solo al momento in cui l'opera o il servizio siano realizzati, il
promesso conferente sarebbe un semplice terzo che intrattiene con la società rapporti
contrattuali.
Di conseguenza, la conferitaria dovrebbe iscrivere in bilancio un credito verso terzi per il
valore delle prestazioni conferite ma non ancora eseguite e man mano che queste fossero
ultimate ridurre tale credito deducendo un costo proporzionale al valore della prestazione
ricevuta.
Se così fosse, al fine di evitare salti di imposta, ad un costo deducibile dovrebbe
corrispondere l'imponibilità in capo alla conferente di quanto ricevuto fino al momento
dell'incremento di capitale di modo che l'irrilevanza reddituale dell'aumento di capitale si
accompagni a quella dell'iscrizione del valore della partecipazione nell'attivo del bilancio della
conferente.
Assumerebbe rilievo la distinzione fra promittente socio già imprenditore societario e,
invece, non imprenditore in una dimensione evidentemente corrispettiva/traslativa del
fenomeno.
1) Nel caso di una previa natura societaria imprenditoriale, il valore della partecipazione
nonché i costi inerenti l'opera o il servizio da apportare sarebbero per legge
assoggettati al regime dell'impresa commerciale in virtù del principio di attrazione nel
reddito di impresa di modo che la partecipazione assumerebbe la qualifica di ricavo in
natura ed i costi di componenti negativi deducibili in quanto al primo inerenti.
2) Qualora il promettente fosse già lavoratore autonomo il valore della partecipazione, ove
assegnata, sarebbe configurabile alla stregua di una remunerazione in natura dell'opera o
servizio e, dunque, come lavoro autonomo così come i costi a questi inerenti sarebbero
deducibili in base alla regole del lavoro autonomo.
3) Laddove il promettente non fosse già neppure lavoratore autonomo abituale la
partecipazione sarebbe equiparabile un reddito diverso ex art. 67, comma 1, del Tuir
nelle vesti di reddito di lavoro autonomo occasionale [lettera l), primo period]o
oppure di remunerazione corrispettiva di un obbligo di fare [lettera f), ultimo periodo].
In tutte le alternative ipotizzate, i proventi ottenuti dal conferente saranno qualificabili al pari
dei redditi che il conferente avrebbe prodotto se non avesse conferito quelle opere e quei
servizi ma li avesse offerti sul mercato assimilando l'emissione delle quota ad un'operazione di
scambio con la conseguente possibilità per il conferente di continuare a godere del regime di
deducibilità dei costi inerenti.
Parimenti, la partecipazione quale forma di remunerazione dovrebbe costituire per la
beneficiaria (della promessa) dell'opera o del servizio un costo deducibile.
Sul fronte della valorizzazione, laddove non si trattasse di un conferimento, il valore di
tale "apporto" sarebbe esterno all'area di normalizzazione di cui al citato art. 9 del Tuir di
modo che le parti non sarebbero condizionate a dichiarare valori corrispondenti.
Qualora, poi, a seguito della mera sottoscrizione, il promettente ricevesse dalla società non
solo la partecipazione ma anche erogazioni corrispondenti ai dividendi distribuiti ai soci che
abbiano conferito, in modo tradizionale, quanto erogato fino al momento dell'avvenuta opera
o prestazione potrebbe essere considerato o parte della remunerazione oppure un compenso a
questa assimilabile alla stregua di quanto accade per i proventi dell'associazione in
partecipazione o della cointeressenza con apporto di solo lavoro ex art. 53, comma 2, lettera c),
del Tuir.
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Nell'ipotesi in cui la qualifica di socio fosse attribuita per la semplice sottoscrizione garantita
dalla polizza di assicurazione o dalla fideiussione emergerebbe una natura eccezionalmente
corrispettiva ed obbligatoria dei conferimenti di opere e servizi.
Il valore della partecipazione assumerebbe rilievo non quale remunerazione ed il suo
valore sarebbe legato a quello dei "beni" strumentali in quanto utili conferiti al solo fine
di verificare l'applicazione o meno della norma sulla neutralità del conferimento di azienda.
Se l'aumento si realizzasse con la sottoscrizione verrebbe meno l'inerenza del costo in
quanto relativo ad una prestazione effettuata in qualità non di terzo ma di socio così come per
la conferitaria non vi sarebbe alcun costo deducibile e per il conferente alcuna componente
positiva di reddito.
Valorizzazione dell'oggetto del conferimento e della partecipazione ricevuta nel conferimento
di opera o servizi.
La particolare natura del conferimento di opera e servizi nelle S.r.l. pone un'ulteriore questione
in materia di valorizzazione delle "entità" conferite e della partecipazione ricevuta, da affrontare
alla luce dell'attenzione dedicata dal legislatore alla continuità dei valori dei "beni" conferiti e
ricevuti.
A fronte dell'art. 9, comma 2, del Tuir menziona come "corrispettivo conseguito il valore
normale" dei "beni" conferiti il valore dell'opera o servizio conferito potrebbe essere
alternativamente individuato:
a) nel costo sostenuto dal conferente per la loro realizzazione prima del conferimento
nella misura in cui il conferente lo abbia dedotto;
b) oppure nel valore normale che quell'opera o servizio può avere nel mercato.
Poiché il secondo dei due appare circoscritto alle sole società quotate, sarà il primo a
costituire un oggettivo parametro di valutazione.
Per quanto riguarda il valore delle quote ricevute la sua simmetria a quello del "bene"
conferito non sembra automatica in ragione del riferimento alla quota proporzionale del
patrimonio netto della conferitaria [art. 9, comma 4, lettera b), del Tuir] il cui valore potrebbe
essere diverso dal costo dell'opera o servizio comprendendo, ad esempio, anche il "valore
aggiunto" di quanto realizzato.
È, però, vero che se l'aumento di capitale con garanzia dell'opera o della prestazione fosse
contestuale all'attribuzione di una partecipazione di pari importo si avrebbe un fenomeno in
realtà solo patrimoniale e non reddituale a condizione di eguaglianza dei valori dei "beni" di
primo e di secondo grado.
Ove vi sia continuità di valori si potrebbe ritenere logico e coerente colpire solo l'utile
prodotto (eventualmente maggiore in ragione del conferimento) ed il plusvalore che dovesse
emergere (salva l'esenzione ex art. 87 del Tuir) in sede di cessione della partecipazione ricevuta
ma non i plusvalori da conferimento ed il valore di iscrizione della partecipazione
ricevuta.
L'avvenuta deducibilità del costo inerente all'opera o servizio potrebbe, peraltro, giustificare
il prelievo del maggiore fra il valore della partecipazione ricevuta ed il valore del "bene"
conferito ove individuato nei costi dedotti.
Le condizioni di una possibile neutralità fiscale - Se, come accennato, il
conferimento nel suo genere assolve ad una
funzione organizzativa ed il
trasferimento di beni che esso origina non assume natura corrispettiva ma meramente
onerosa/sostitutiva la peculiarità del conferimento di opera e servizi in una S.r.l. non
dovrebbe escluderlo dall'applicazione del principio di neutralità fiscale laddove i
valori fiscali iscritti dal conferente e dal conferitario siano simmetrici.
È, tuttavia, evidente che la novità della specie costringe a fissare delle regole che permettano,
da un lato, di rinviare l'imposizione di eventuali plusvalenze non iscritte ma latenti dei
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"beni" conferiti e, dall'altro, escludere la deducibilità del "valore" della partecipazione per il
conferitario che riceva l'opera o il servizio e che la "remuneri" anche a fronte dell'iscrizione di un
credito per il socio qualora l'opera o il servizio non venisse eseguito contestualmente alla
sottoscrizione.
Si è, peraltro, ipotizzato che tale neutralità dovrebbe accompagnarsi all'iscrizione della
partecipazione da parte del conferente "a costo zero" rinviando, quindi, l'imposizione delle
plusvalenze al momento della cessione della partecipazione a terzi.
Orbene, la simmetria di valori sottostante alla ratio di una possibile neutralità del conferimento
anche di opera e servizi sembra, invece, operare non solo tra non imponibilità della
plusvalenza latente relativa a quanto conferito e non deducibilità di quanto attribuito dal
conferitario ma anche (e soprattutto) tra valori di beni di "grado" diverso.
Pertanto, se il valore di iscrizione della partecipazione ricevuta dal conferente fosse nullo, di
pari consistenza (e, quindi, nullo anch'esso) dovrebbe essere quello di iscrizione dei "beni"
ricevuti.
Lo stesso art. 176 del Tuir, peraltro, richiede la continuità del valore dei beni aziendali
conferiti in quelli della partecipazione ricevuta: ciò significa che, nel caso del conferimento di
opera e servizi, occorrerà valorizzare i "beni" apportati secondo il criterio di cui all'art. 9,
comma 2, del Tuir e, cioè, a valore normale.
Ad una simile neutralità potrebbe, allora, conseguire un'imposizione circoscritta
all'erogazione del dividendo distribuibile già all'atto del conferimento qualora lo status di
socio sorga
alla
sottoscrizione dell'aumento di capitale previa garanzia assicurativa o
fideiussoria.
II.3.9. I conferimenti non proporzionali
L'art. 2468 del codice civile (ma con esso l'art. 2346 del codice civile per le S.p.a.) nel derogare
alla regola della proporzionalità di valori fra quanto conferito e le partecipazioni ricevute
pone, senza dubbio, una questione.
La previsione di cui all'art. 9, comma 2, del Tuir di determinare il "corrispettivo" del
conferimento in base al valore normale dei beni conferiti dovrebbe, peraltro, risolverla.
Ai sensi dell'art. 9, comma 2, ultimo periodo, del Tuir il valore fiscalmente riconosciuto di
quanto conferito è da individuarsi in base alla stregua del criterio di cui al successivo comma 4,
lettera a), ovvero in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell'ultimo mese, a
condizione, però, che la conferitaria sia quotata e che il conferimento sia proporzionale.
Se ne desume a contrario che se il conferimento non è proporzionale il valore delle
partecipazioni ricevute sarà determinato in base a quello dei beni o crediti conferiti così come
determinato nella perizia se la conferitaria è sia non quotata che quotata.
Qualora la misura della partecipazione attribuita a seguito del conferimento superi tale
valore il plusvalore resterà latente e sarà imponibile, se del caso, in sede di cessione della
partecipazione qualora questa non sia esente ai fini del regime della cosiddetta participation
exemption ex art. 87 del Tuir.
La natura non proporzionale del conferimento con oggetto un'azienda non dovrebbe
condizionare l'applicazione al caso di specie degli artt. 175 e seguenti; un effetto reddituale in
termini di perdita deducibile si avrebbe, invece, per i soci la cui entità di partecipazione si
sia "diluita" in conseguenza dell'assegnazione di quota in misura più che proporzionale al
conferimento.
I conferimenti non proporzionali potrebbero essere esposti al "rischio" di una
predeterminazione normativa del valore in quanto cessioni a titolo oneroso con natura non
tanto permutativa ma, invece, tendenzialmente traslativa e, dunque, a richiamare il criterio di
cui ai commi 3 e 4 dell'art. 9 del Tuir e non quello del comma 2 del medesimo articolo.
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In senso contrario a tale applicazione si può osservare che la normalizzazione di valori
di scambio in operazioni corrispettive è circoscritta alle "operazioni" effettuate infragruppo tra
società residente in Italia e società non residente legate da un rapporto di controllo anche
indiretto ex art. 110, comma 7, del Tuir di modo che il "rischio" non dovrebbe sussistere per
i conferimenti non proporzionali fra società entrambe residenti essendo, al limite, invocabile
l'art. 37-bis del D.P.R.
n. 600/1973 che richiede l'esistenza di valide ragioni economiche per i conferimenti ove questi
possano permettere di ottenere vantaggi fiscali sebbene queste, come visto, sono per legge
dimostrate ove i valori fiscali siano mantenuti.
Si potrebbe, inoltre, obiettare che l'art. 9, comma 2, nel disporre che il criterio del valore
normale da perizia vale per i soli trasferimenti che si perfezionino in occasione di conferimenti
rappresenterebbe una norma speciale rispetto ai commi 3 e 4 circoscritti a cessioni effettuate non
in sede di conferimenti (comma 3) e con oggetto partecipazioni (comma 4).
II.3.10. Gli apporti diversi dai conferimenti "tipici".
L'eventualità di "apporti" diversi dai conferimenti in senso proprio - ciò accade quando il
trasferimento origina un incremento patrimoniale ma non anche di capitale e, talvolta, anche un
diritto di restituzione19 - pone la domanda se a tali fattispecie siano applicabili le regole sopra
analizzate.
Innanzitutto, qualora a tale apporto faccia seguito l'emissione di strumenti finanziari
partecipativi tale estensione non dovrebbe essere condivisa20 per due diverse ragioni:
l'apportante non acquista la qualità di socio pur potendo esercitare alcuni dei diritti a questi
spettanti; l'operazione assume valenza sinallagmatica evidentemente diversa da quella
riconosciuta al conferimento tout court21.
Di conseguenza, il valore sia dell'oggetto dell'apporto che dello strumento non potrà essere
determinato alla stregua dei criteri di cui all'art. 9 del Tuir.
Qualora lo strumento sia assimilabile ad un titolo diverso dalle azioni ed obbligazioni
negoziato in un mercato regolamentato - e ciò accade ai sensi dell'art. 44, comma 2, del
Tuir se la "remunerazione" dello "strumento" è "costituita totalmente dalla partecipazione ai
risultati economici della società emittente o di altre società del gruppo o dell'affare in
relazione al quale" è stato emesso di modo che saranno titoli atipici quegli strumenti privi di
tale caratteristica22 - si
applicherà, invece, il quarto comma, lettera a) dell'art. 9 del Tuir;
Questi apporti non originano componenti positive per la beneficiaria quale sopravvenienza
(attiva o passiva) ex artt. 88, comma 4, e 101, comma 7; possono, però, incrementare il
costo della partecipazione dell'apportante già socio se la partecipazione non è suscettibile
di applicazione della participation exemption di modo che l'incremento si avrà solo se la
partecipazione non sia iscritta come immobilizzazione finanziaria e, dunque, solo per i
titoli diversi da quelli di cui
all'art. 85, comma 1, lettera c), del Tuir.
Laddove l'apporto sia restituito la non tassazione dovrebbe essere coerente con l'avvenuto
incremento del costo della partecipazione: se quanto restituito fosse a questo superiore
19
Come per gli apporti effettuati con conseguente emissione di strumenti finanziari (così circolare Agenzia delle Entrate 10 dicembre 2004,
n. 52/E,) i versamenti in conto capitale ma non, invece, per quelli a fondo perduto o per la rinunzia a crediti.
20
Come sembra, invece, ipotizzare la risposta dell'Agenzia delle Entrate ai cosiddetti quesiti di Telefisco 2005 sulle novità della
Finanziaria e sull'applicazione dell'Ires
21
Della peculiarità del fenomeno è consapevole anche l'Agenzia delle Entrate nella circolare 16 giugno 2004, n. 26/E, paragrafo 2.2. nella parte
dedicata alla definizione di utili e di proventi equiparati ai fini dei redditi di capitale.
22
Così la citata risposta dell'Agenzia delle Entrate ma già la circolare Agenzia Entrate 16 giugno 2004, n. 26/E.
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l'imposta sarebbe dovuta mentre ciò non accadrebbe se l'incremento del costo e quanto restituito
avessero identico valore.
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 47, comma 5, e 87, comma 6, del Tuir qualora si
tratti di particolari apporti come i versamenti a fondo perduto o in conto capitale restituiti
l'eccedenza rispetto al valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione non sarebbe
imponibile ma, invece, esente ex art. 87.
Di qui si potrebbe desumere una conferma
che
l'indeducibilità dell'apporto è
condizionata alla natura esente della partecipazione nella società beneficiaria.
In caso di partecipazione non esente ai fini della pex, in assenza del beneficio costituito
dall'incremento del costo, l'apporto nella sua interezza sarà deducibile a fronte di un ipotetico
maggiore differenziale così come la restituzione dell'apporto sarà imponibile nei limiti in cui
quanto restituito ecceda il valore fiscale della partecipazione anche a seguito di un suo
incremento.
Se la partecipazione non potesse godere del regime di esenzione ed il versamento non potesse
incrementare il costo fiscale della partecipazione, quest'ultimo potrebbe rappresentare un costo
fiscalmente deducibile di competenza dell'esercizio; ex artt. 47 e 87 del Tuir la restituzione
dell'apporto resterebbe, però, esente nella misura pari all'eccedenza fra il costo fiscale della
partecipazione non incrementato e quanto restituito.
Più in generale, allora, in presenza di partecipazioni immobilizzate ai sensi della disciplina
della participation exemption il valore dell'apporto sarà irrilevante per la beneficiaria quale
sopravvenienza attiva e per l'apportante, in termini di mancato incremento della partecipazione,
di non imponibilità della restituzione dell'apporto e di mancata deducibilità del medesimo.
La soluzione opposta, deducibilità
dell'apporto
a
fronte dell'irrilevanza quale
sopravvenienza attiva per la beneficiaria ed esenzione per l'apportante socio, potrebbe
causare evidenti salti di imposta ed asimmetrie dal momento che la restituzione dell'apporto
non sarebbe colpita; inoltre, un'ipotetica deducibilità dell'apporto contrasterebbe con la
regola dell'esenzione che esclude che sia
deducibile quale minusvalenza il costo
dell'investimento in partecipazioni esenti, ad esempio, tramite restituzione del capitale ex art.
101, comma 1, del Tuir.
Laddove, invece, l'apportante partecipi alla beneficiaria con partecipazioni non esenti e,
dunque, il valore dell'apporto non incrementi il costo della partecipazione, la deducibilità per
l'apportante potrebbe rispondere ad esigenze di simmetria, da un lato, con l'imposizione, seppur
limitata, dell'utile ricevuto e, soprattutto, del maggior valore in sede di cessione della
partecipazione, così come, dall'altro, all'imposizione degli utili in capo alla società beneficiaria.
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II.4. LA TRASFORMAZIONE DI SOCIETA’
Introduzione: recenti sviluppi normativi e definizione
La trasformazione costituisce, di fatto, una modifica della forma giuridica di una società,
mentre gli aspetti sostanziali restano invariati; ossia, non produce "novazione" del rapporto
sociale, ma implica la prosecuzione del rapporto sociale in capo allo stesso soggetto, sia pure
con le modifiche conseguenti al cambiamento della forma giuridica. In tal senso, la
trasformazione si caratterizza per l'elemento della "continuazione" (o "conservazione"), che
prevale sul cambiamento della struttura organizzativa, volta al perseguimento dello scopo
societario. Solo nel caso di trasformazione eterogenea da società di capitali in comunione
d'azienda, o viceversa, l'operazione è contraddistinta da una modificazione soggettiva, in
quanto muta l'identità del soggetto trasformato: la persona giuridica si trasforma in una
pluralità di soggetti contitolari dell'azienda o viceversa.
Ai sensi dell'articolo 2499 del codice civile, a differenza di quanto previsto dalla previgente
disciplina, la trasformazione è anche possibile in pendenza di procedura concorsuale, purché
non sia incompatibile con le finalità e lo stato della stessa.
Diverse sono le motivazioni per cui si può decidere la trasformazione di una società, tutte
riconducibili essenzialmente a quattro fattori principali.
Il primo è relativo a ragioni di natura aziendalistica, collegati alle dimensioni aziendali ed alle
relative economie di scala. Ad esempio, le trasformazioni delle società a responsabilità
limitata in società per azioni ove, appunto, con l'ampliarsi delle dimensioni si rende necessario
il cambio della veste giuridica della società, che in tal modo avrà, da un lato, maggiori
possibilità di essere concorrenziale sul mercato e, dall'altro, potrà partecipare a nuove forme
di finanziamento, come la possibilità di emettere prestiti obbligazionari.
Il secondo gruppo di motivi è strettamente da ricondurre, invece, nell'ambito della
cosiddetta responsabilità civilistica. L'esempio che meglio può rappresentare tale aspetto è dato
dal caso in cui una società con struttura giuridica di società di persone si trasforma in società
di capitali. In tali situazioni la trasformazione è dovuta al fatto che, mentre inizialmente nella
società di persone i rischi patrimoniali ricadono totalmente sui soci, con l'avvento del
cambiamento della veste giuridica e, quindi, l'ingresso di terzi nella compagine societaria, sorge
la necessità di distinguere fra beni personali e beni aziendali.
La terza tipologia di motivazioni è praticamente rappresentata da specifiche disposizioni di
legge, non ultime, altresì, le citate disposizioni in tema di procedure concorsuali. Infatti, si
verificano casi in cui la società è tenuta a trasformarsi come conseguenza, ad esempio, di una
riduzione del capitale sociale per perdite, oppure, in altri casi, perché rientrando l'oggetto
sociale nell'ambito di categorie particolarmente tutelate dall'ordinamento giuridico si rende
necessaria una determinata struttura giuridica, imposta, appunto, dalla legge.
Ultima categoria che può determinare un cambiamento della veste giuridica di una
società è data da aspetti di natura fiscale, in considerazione del fatto che la tassazione varia
a seconda della tipologia societaria, ossia progressiva in capo ai soci per le società di persone,
proporzionale per le società di capitali. Da ciò si desume come siano numerose le variabili
che possono determinare una trasformazione; la circostanza comporta che l'unico modo per
comprenderne le motivazioni è dato solo dall'analisi dei singoli casi concreti.
La trasformazione è, tra le operazioni straordinarie, l'istituto che ha subito le maggiori modifiche
a seguito della Riforma del diritto societario entrata in vigore il 1 gennaio 2004: le disposizioni
contenute negli articoli da 2498 a 2500-novies del codice civile, nell’intento di adattare la
struttura organizzativa di un'azienda alle necessità che possono verificarsi nel corso
dell'attività della stessa, ha ampliato le previsioni normative disciplinando, oltre alla cosiddetta
"trasformazione progressiva" (da società di persone a società di capitali), anche la cosiddetta
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"trasformazione regressiva" (da società di capitali a società di persone), nonché la
trasformazione eterogenea da società di capitali in società consortili, società cooperative,
comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni e la trasformazione eterogenea
da consorzi, società consortili, comunioni di azienda, associazioni riconosciute e fondazioni in
società di capitali.
Prima della riforma era comune orientamento della dottrina e della giurisprudenza ritenere
possibile un'interpretazione estensiva degli articoli che regolamentavano le trasformazioni,
valutando in tal modo possibile la trasformazione di ogni tipo di società. Il legislatore non
intendeva interferire nella libertà dei privati di modificare la scelta del tipo di società, ma aveva
precisato i limiti e le condizioni per cui tale libertà non si scontrasse con le esigenze di tutela di
interessi generali, come il buon andamento dell'economia nazionale e la certezza nelle
relazioni giuridiche. Inoltre, alcuni elementi tra i quali la collocazione degli articoli (2498-2500)
alla fine del Titolo V, riguardante tutte le società, la stessa denominazione della relativa
sezione "Della trasformazione delle società", la non previsione, infine, di alcuna
disposizione preclusiva per le trasformazioni, confermavano l'esistenza nel nostro ordinamento
giuridico di un generale "principio di trasformabilità", applicabile ad ogni società di tipo
lucrativo.
Con l’articolo 7 della legge delega al Governo n. 366 del 3 ottobre 2001, vennero definiti i
principi ispiratori della riforma, di seguito sinteticamente riportati, per quel che riguarda,
in particolare, le trasformazioni:
1. semplificazione del procedimento nel rispetto delle direttive comunitarie;
2. disciplina, condizioni e limiti delle trasformazioni;
3. criteri di formazione del bilancio successivo alle operazioni di trasformazione;
4. disposizioni dirette a semplificare le trasformazioni delle società di persone in società di
capitali. Le modifiche apportate alla normativa in tema di trasformazioni ne hanno
ampliato i margini di operatività. Infatti, la possibilità di mutare l'assetto organizzativo
senza liquidare l'ente preesistente e costituirne uno nuovo comporta numerosi vantaggi
sia sul piano civilistico che fiscale.
II.4.1. DISCIPLINA FISCALE DELLA TRASFORMAZIONE
Da un punto di vista generale, la disciplina fiscale della trasformazione trova il suo fondamento
nell’articolo 170 del Tuir in cui vengono fissati, dal legislatore fiscale, i principi fondamentali
applicabili in materia di trasformazione, nonché vengono richiamati altri articoli del medesimo
testo legislativo per enucleare il regime tributario specifico in considerazione del tipo di società.
Dal comma 1 dell’articolo 170 del Tuir si evince che anche il legislatore fiscale ha
presupposto la teoria della continuità, di cui al paragrafo precedente, applicandola nell'ambito
delle norme tributarie disciplinanti tale istituto: infatti, non comportando la trasformazione, da
un punto di vista strettamente civilistico, una novazione della struttura e dei rapporti societari,
bensì una continuazione degli stessi, anche nell'ottica fiscale si è reso operativo tale principio,
prevedendo, appunto, al comma 1 dell'articolo in trattazione il cosiddetto principio di
"neutralità" secondo cui l'operazione di
trasformazione deve considerarsi un'operazione
fiscalmente neutra, ossia non suscettibile di produrre né componenti positivi, né componenti
negativi di reddito, proprio perché, ricollegandoci alla teoria della continuità, l'operazione di
trasformazione di per sé non costituisce un'attività della società produttrice di reddito, ma solo
una modificazione della sua forma societaria.
Nel comma 2 del predetto articolo il legislatore ha altresì previsto che nel caso di
trasformazione di una società soggetta all'imposta sul reddito delle società (Ires) in società non
soggetta a tale imposta, sia necessario distinguere il reddito del periodo antecedente la
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trasformazione da quello prodotto successivamente, nel caso, appunto, in cui si verifichi un
cambiamento del regime fiscale applicabile. Ciò comporta, di conseguenza, la compilazione di
due dichiarazioni riferite distintamente alle due diverse forme societarie ed ai relativi
regimi fiscali applicabili.
Come osservato da più parti in dottrina, la disciplina fiscale delle trasformazioni trova una
regolamentazione, nell'ambito del testo unico, "particolare" rispetto alla disciplina prevista per
l'imposizione diretta.
Ove l'organo impositore fa riferimento, fondamentalmente, all'atto del prelievo tributario, al
reddito del soggetto passivo, nel caso delle trasformazioni, invece, vengono adottati,
dall'organo impositore, come punti di riferimento diversi elementi, tra cui: il lasso temporale in
cui si colloca l'operazione straordinaria, la forma societaria originaria, la forma societaria finale,
i conseguenti diversi regimi fiscali applicabili.
L’importanza del lasso temporale della trasformazione rileva ai fini della definizione del
momento in cui si dispiegano verso l'esterno gli effetti giuridici della trasformazione. A
differenza, però, di altre forme di operazioni straordinarie, nella trasformazione si può assistere,
da un punto di vista fiscale, ad un totale adeguamento della disciplina a quella civilistica, dato
che nulla prevede in merito l’articolo 170 del Tuir. In ordine al punto in esame, sia in dottrina
che in giurisprudenza vi sono state nel tempo tesi contrapposte. Infatti il problema di
definire, soprattutto ai fini dell'imposizione diretta, la data in cui ha effetto la trasformazione ha
trovato soluzioni differenti: a riguardo è, tuttavia, pacifico sostenere, sulla base degli
orientamenti ministeriali e di autorevole dottrina, che la data da cui la trasformazione produce i
suoi effetti non può essere considerata anteriore a quella dell'iscrizione della delibera nel
registro delle imprese, infatti solo da questa data la trasformazione avrà effetto anche ai fini
fiscali.
Chiaro esempio dell’importanza del momento di decorrenza della trasformazione investe il
trattamento delle riserve: il principio su cui si basa la disciplina delle riserve è quello in base al
quale esse conservano il regime del momento in cui si sono formate, ma devono essere
distintamente indicate in bilancio dopo la trasformazione. In virtù, dunque, di quanto stabilito
dal comma 3 dell'articolo in trattazione, nel caso di trasformazione da società di persone in
società di capitali, affinché le riserve di una società di persone non vengano tassate, è necessario
che si verifichino contemporaneamente due condizioni, ossia:
- le riserve devono essere evidenziate nella contabilità e nel bilancio della società di
capitali risultante dalla trasformazione;
- deve essere indicata la loro origine.
Per quanto riguarda le riserve esistenti nelle società di persone queste potranno essere
accorpate in un'unica posta con l'indicazione dell'origine. Tale disciplina non si applica alle
riserve di rivalutazione monetaria. Qualora, poi, dopo la trasformazione si proceda alla
riduzione del capitale sociale con distribuzione ai soci delle riserve, ciò non sarà assoggettato
a tassazione (ai sensi dell'art. 47, commi 5 e 6).
Nel comma 4 dell’articolo 170 del Tuir viene, invece, dettata la disciplina relativa al
trattamento delle riserve nel caso di trasformazione da società di capitali soggetta ad Ires, in
società semplice. Concorreranno a formare reddito imponibile dei soci solo quelle riserve
(sempre, come già evidenziato, indicate nel bilancio della società di persone trasformata con
l'indicazione della loro origine) relative al periodo in cui "... vengono distribuite o utilizzate per
scopi diversi dalla copertura di perdite d'esercizio ...", con esclusione di "quelle di cui al
comma 5 dell'articolo 47 ...". Nel caso in cui le riserve della società di capitali trasformata "non
siano iscritte in bilancio o vi siano iscritte senza la detta indicazione", la tassazione delle
stesse avviene immediatamente "nel
periodo di imposta successivo alla trasformazione ...".
Infine, con il comma 5 dell'art. 170 il legislatore, in considerazione del nuovo regime di
imponibilità parziale degli utili, ha voluto prevedere una norma di chiusura rinviando, per quel
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che concerne l'assoggettamento ad imposta delle riserve di cui al comma 4 del medesimo
articolo, alla disciplina contemplata dall'art. 73, sul regime applicabile alla distribuzione
delle riserve delle società.
Anche la forma societaria iniziale e finale rappresentano un aspetto cardine della disciplina
tributaria della trasformazione in quanto collegata a diversi regimi impositivi. A riguardo è
possibile classificare le varie operazioni di trasformazione in “omogenea”, “eterogenea”,
“progressiva”, regressiva”. Il tema trattato riveste particolare rilevanza, per esempio, ai fini del
trattamento tributario delle perdite la cui disciplina viene analizzata a fine capitolo con
riferimento a ciascun tipo di trasformazione.
II.4.1.1. Le trasformazioni eterogenee
La disciplina fiscale della trasformazione cosiddetta eterogenea è contenuta nell’articolo 171
del Tuir, in merito occorre distinguere i seguenti casi:
Trasformazione eterogenea regressiva (da società soggetta ad Ires ad ente commerciale)
La trasformazione da società di capitali in altro soggetto commerciale è operazione
fiscalmente neutra. I beni della società che si trasforma in ente permangono nel regime
d'impresa e, quindi, non vi è ragione di considerare realizzate le possibili plusvalenze
latenti.
Trasformazione eterogenea progressiva (da ente commerciale a società soggetta ad Ires)
Vale quanto rilevato al punto precedente e, pertanto, l'operazione è neutrale.
Trasformazione eterogenea regressiva (da società soggetta ad Ires a ente non commerciale –
articolo 171, comma 1)
In base al comma 1 dell’articolo 171, la trasformazione da società di capitali in soggetto non
commerciale comporta, di norma, il realizzo al valore normale dei beni della società.
Si ha infatti una destinazione dei beni dell'azienda a finalità estranee all'esercizio
dell'impresa (articolo 86, comma 1, lettera c), del Tuir).
In tale ambito è considerata plusvalenza imponibile la differenza tra il valore normale dei beni
e il loro costo fiscalmente riconosciuto prima della trasformazione.
Tale regola generale è comunque disattesa quando i beni relativi alla società confluiscono
nell'ambito dell'eventuale attività commerciale del soggetto trasformato. In questo caso, infatti,
l'operazione avviene in regime di neutralità fiscale poiché gli stessi beni non escono dal regime
d'impresa.
In merito al trattamento delle riserve esistenti prima della trasformazione (articolo 171
del Tuir) si ha una disciplina analoga a quella già vista per la trasformazione omogenea da
società di capitali in società di persone.
Trasformazione eterogenea progressiva (da soggetto non commerciale a società di capitali –
articolo 171, comma 2)
L'operazione in esame è disciplinata allo stesso modo di un'operazione di conferimento.
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In pratica ai beni dell'ente non commerciale immessi nella società va attribuito, al posto del
costo storico, il valore normale trattandosi di ipotesi realizzativa.
È stata così aggiunta la lettera n) all’articolo 67 del Tuir.
Le plusvalenze derivanti pertanto da tale operazione di trasformazione, costituiscono redditi
diversi e sono tassati se ricorrono le condizioni previste dalle precedenti lettere dello stesso art.
67.
Anche in questo caso, tuttavia, per i beni che si trovano già nella sfera commerciale dell'ente
che si trasforma, l'operazione avviene in regime di neutralità fiscale in quanto per tali beni
non vi è alcun passaggio dalla sfera non commerciale a quella di impresa.
Analizzando più nel dettaglio le problematiche inerenti le trasformazioni eterogenee, occorre da
subito notare che, con la riforma intervenuta nel diritto societario, come dianzi evidenziato,
il legislatore ha introdotto nel codice civile la figura del tutto nuova delle trasformazioni
eterogenee,
regolamentandola specificatamente negli artt. 2500-septies e 2500-octies.
Parallelamente, nell'ambito fiscale vi è stato un adeguamento alle innovazioni civilistiche con la
previsione dell’articolo 171 del Tuir. Sulla scorta di quanto esplicitato dalla relazione
illustrativa allo schema di decreto legislativo, il problema principale, che si sentiva
l'esigenza
di regolamentare in via primaria, appariva consistere nel trattamento delle
plusvalenze maturate prima della trasformazione e realizzate successivamente.
Nel caso di trasformazione eterogenea da società di capitali in enti associativi, vengono, dal
legislatore, prese in esame le due distinte ipotesi di trasformazione, appunto, in soggetti
commerciali ed in
soggetti non commerciali: trasformazione in soggetti commerciali
(l'operazione viene di fatto attuata in regime di neutralità fiscale) e trasformazione in soggetto
non commerciale ("i beni della società si considerano realizzati in base al valore normale,
salvo che non siano confluiti nell'azienda o complesso aziendale dell'ente stesso ..."). Tale
distinzione si giustifica, come è possibile dedurre, dal fatto che si verifica una transizione
dei beni aziendali da una tipologia di soggetto economico ad un altro non commerciale.
Nel comma 2 dell'articolo in trattazione, il presupposto da cui parte il legislatore si basa
sostanzialmente sul fatto che il transito dei beni da un ente non commerciale ad una società di
capitali costituisce ai fini fiscali ipotesi di realizzo. Quindi la trasformazione di un ente non
commerciale in società soggetta all'Ires "si considera conferimento limitatamente ai beni
diversi da quelli già compresi nell'azienda o complesso aziendale dell'ente stesso". Il
valore che dovrà essere riconosciuto ai beni confluiti nella società di capitali dall'ente non
commerciale sarà quello normale; di conseguenza le differenze di valore verranno assoggettate
a tassazione nel momento della trasformazione, costituendo di fatto un maggior valore
imputabile alla società di capitali.
Schematizzando il concetto espresso dall’articolo 171 del Tuir, dunque, sarà possibile
evidenziare diversi casi: in primo luogo, se con la trasformazione non muta la destinazione
dei beni, che restano compresi nel complesso aziendale, non si verificano plusvalenze latenti. Se,
invece, con la trasformazione, perdendo la natura di ente commerciale, il complesso aziendale
si diversifica in una pluralità di beni, si verifica un realizzo di plusvalori sui beni che
fuoriescono dall'azienda, dato che sono destinati a finalità estranee all'impresa. Vi è, infine,
l'ipotesi di beni conferiti ad un complesso aziendale, che si verifica qualora con la
trasformazione si organizzi un complesso aziendale; infatti, in tal caso si genera un plusvalore sui
beni che già si detenevano ante trasformazione, ma che rilevano successivamente, ossia post
trasformazione, nel momento dell'assunzione della veste di ente commerciale.
Per quel che concerne, invece, la decorrenza degli effetti della trasformazione, non
dovrebbero sussistere dubbi sul fatto che essa coincide con la decorrenza ai fini civilistici, ossia
con la data in cui si effettua l'iscrizione dell'atto di trasformazione nel Registro delle imprese.
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Nell'ambito dell'imposizione indiretta, nulla è specificamente previsto per la fattispecie delle
trasformazioni eterogenee, per cui la normativa applicabile appare riconducibile a quella
generale delle trasformazioni tout court.
La normativa in materia di Iva di cui all’articolo 2, comma 3, lettera f), del D.P.R. n. 633 del
26 ottobre 1972, prevede che la trasformazione sia considerata un'operazione fuori campo; la
società risultante dalla trasformazione presenta la dichiarazione di variazione dati entro 30 giorni
dalla data di iscrizione nel Registro delle imprese dell'operazione straordinaria.
La società trasformata presenta dichiarazione annuale Iva entro i termini ordinari, per tutto il
periodo relativo all'anno solare.
Per quanto riguarda le imposte di registro queste sono in misura fissa pari ad euro 168,00
[Tariffa, Parte Prima, articolo 4, lettera c), del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, così come
modificata dal D.L. n. 7 del 31 gennaio 2005. Infine, le imposte ipotecarie e catastali sono
anch'esse stabilite in misura fissa pari ad euro 168,00, mentre, nell'eventualità che nella
trasformazione si aumenti anche il capitale sociale con apporto di immobili, l'ammontare
delle imposte in esame è proporzionale.
Analisi di un caso particolare di trasformazione eterogenea: il passaggio da società ad
impresa individuale
Aspetti societari
Fino all'entrata in vigore della riforma del diritto societario del 2003 (D.Lgs. n. 6 del 17 gennaio
2003), nella letteratura e nella giurisprudenza di diritto civile l'espressione "trasformazione di
società in impresa individuale" è stata utilizzata in modo "atecnico", per "comodità
terminologica", piuttosto che per indicare una delle fattispecie regolate dal codice civile e
definibili come trasformazioni in senso proprio.
La "trasformazione" della società in impresa individuale indicava fenomeni di
continuazione economica dell'impresa, caratterizzati da alcuni tratti comuni:
- un soggetto societario che termina l'esercizio dell'attività imprenditoriale (quantomeno di
quella "gestoria");
- un'attività d'impresa che contestualmente viene avviata individualmente da uno dei
soci;
- una destinazione del complesso aziendale societario, o di parte di esso, all'esercizio
dell'impresa individuale.
Dal punto di vista fiscale, i riflessi di maggior rilievo riguardavano il trattamento dei beni in
circolazione e la loro “realizzazione” a seguito del passaggio dalla sfera societaria a quella
individuale. Tale “realizzazione” veniva disciplinata fiscalmente in modo differente tanto
nell'imposizione diretta quanto in quella indiretta, a seconda delle modalità giuridiche con cui la
circolazione si attuava (cessione a titolo oneroso piuttosto che assegnazione ai soci) ed a
seconda dell'oggetto del trasferimento (singoli beni piuttosto che complesso aziendale o ramo
d'azienda). Appare evidente, pertanto, che il passaggio da società ad impresa individuale si pone
al centro di importanti problematiche di diritto civile e di diritto tributario, riguardanti le cause
di scioglimento della società, l'estensione della fase liquidatoria, la fissazione del momento di
estinzione della società, l'incidenza dei debiti sociali non soddisfatti, la qualificazione giuridica
del passaggio dei beni dalla società al socio.
A seguito della riforma del diritto societario, come illustrato nei paragrafi precedenti, la disciplina
della trasformazione porta ad affermare che la continuità di ordine giuridico non è
necessariamente ancorata alla sussistenza del contratto associativo e nemmeno alla costanza
dell'esercizio dell'impresa. Questo rilievo risulta estremamente importante ai nostri fini, in primo
luogo perché, nel sistema previgente, la trasformabilità, in senso tecnico, della società in impresa
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individuale era negata proprio in base alla considerazione dell'estraneità dell'impresa
individuale dal fenomeno associativo.
Come si è accennato, l'interpretazione prevalente riteneva coessenziali alla trasformazione i
due aspetti della permanenza di un soggetto giuridico collettivo e del relativo vincolo di
destinazione, a rilevanza esterna, impresso sul patrimonio dell'ente. Aspetti, questi,
riconducibili alla portata reale del negozio associativo, la cui presenza costituisce altresì una
tutela per i terzi creditori, i cui interessi possono essere compromessi dalla mancanza di
autonomia patrimoniale, relativamente ai beni d'impresa, propria dell'imprenditore individuale.
Appare evidente come tali argomentazioni, che, in positivo, possono ancora essere poste alla
base delle ipotesi di trasformazioni eterogenee coinvolgenti enti di tipo associativo, non
sembrano
invece
in
grado, in negativo, di rappresentare una condizione ostativa
all'ammissibilità della trasformazione della società in impresa individuale. Nell'attuale sistema,
infatti, deriva, dall'espressa previsione della trasformazione di società in comunione di azienda,
la compatibilità, in linea generale, della trasformazione con il venir meno dell'ente e della
relativa autonomia patrimoniale.
Simile mutamento di giustificazione sistematica dell'istituto può allora aprire la strada ad
interpretazioni che, in via analogica, applichino la disciplina della trasformazione anche
all'ipotesi, non prevista dal codice civile, di passaggio da società unipersonale ad impresa
individuale (e viceversa).
Occorre precisare che l'approdo interpretativo è già stato affermato da diversi Autori che,
negli ultimi anni, hanno commentato la riforma societaria, tanto che la soluzione dovrebbe
dirsi prevalente a livello dottrinale. La "giovane età" della riforma non ha però ancora permesso
di consolidare le posizioni della dottrina e, soprattutto, di delineare precisi orientamenti
giurisprudenziali. Pur con queste cautele, necessarie soprattutto in una prospettiva di "certezza
giuridica" dell'operazione in concreto effettuata, le conclusioni cui si perviene in dottrina
appaiono condivisibili.
Concludendo sul punto, è possibile prospettare, per le ragioni esaminate e con le
avvertenze (rispetto alla "solidità" di un simile orientamento civilistico) indicate, la
trasformabilità della società unipersonale in impresa individuale, per applicazione analogica
della disciplina di cui agli articoli 2498 seguenti del codice civile. Soluzione che, se si
consoliderà l'ulteriore affermazione interpretativa di ritenere applicabili le norme in
materia di trasformazione eterogenea anche alle società di persone, potrà riguardare non solo le
ipotesi delle società di capitali originariamente (ex articoli 2328 e 2463 del codice civile) o
successivamente divenute, unipersonali, ma anche i casi di società di persone in cui viene meno
la pluripersonalità. In particolare, una delibera di trasformazione della società personale in
impresa individuale può ipotizzarsi se si ritiene che,nei sei mesi in cui la pluralità dei soci deve
essere costituita pena lo scioglimento della società articolo 2272, n. 4), del codice civile], il
socio diviene titolare delle posizioni giuridiche attive e passive, con tutti i poteri che, in
precedenza, spettavano agli organi sociali.
In ogni caso, che riguardi una società di capitali od una società di persone, la trasformazione
in impresa individuale dovrà rispettare il procedimento e gli adempimenti formali che il codice
civile richiede per le trasformazioni eterogenee ed in particolare per la trasformazione di
società in comunione di azienda.
Aspetti tributari: imposizione diretta
La configurabilità del passaggio da società in impresa individuale quale trasformazione
eterogenea è in grado di tradurre sul piano giuridico quella continuità che l'operazione
manifesta dal punto di vista economico, con possibile neutralità fiscale, almeno nelle imposte
sui redditi e nell'Iva.
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Osservando, in primo luogo, il settore dell'imposizione sui redditi, occorre mettere in
relazione il principio di continuità con la scelta, operata dal legislatore fiscale (articoli 6,
comma 3, ed 81, Testo unico delle imposte sui redditi, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), di
ritenere realizzata la categoria reddituale d'impresa per le società di forma commerciale,
indipendentemente da una attività d'impresa di fatto posta in essere e per ogni reddito da esse
prodotto.
L'elemento, ad un tempo soggettivo (se esaminato in relazione alla esistenza del soggetto
nell'ordinamento) ed organizzativo (se considerato per i profili di rilevanza giuridica dell'atto
organizzativo che crea l'ente) della sussistenza della società e quello, tipologico, della
commercialità, sono dunque in grado di garantire l'applicazione del regime fiscale d'impresa e, in
particolare, di mantenere i beni di cui la società è titolare all'interno di quest'ultimo.
In questo senso, la fuoriuscita dei beni dal regime fiscale d'impresa potrà realizzarsi per il
venir meno, alternativamente, del soggetto oppure del requisito della commercialità. In ogni
caso, si integrerà una fattispecie fiscalmente realizzativa, in grado di produrre componenti
positivi (ricavi, plusvalenze) e negativi (minusvalenze), per il realizzarsi dell'ipotesi di
destinazione dei beni a finalità estranee all'impresa, oppure di quella dell'assegnazione di beni
ai soci, nel caso di liquidazione ed estinzione della società. La tendenziale neutralità della
trasformazione societaria, così come della fusione e della scissione, può allora giustificarsi
proprio in base al principio di continuità di cui all’articolo 2498 del codice civile. L'assenza
di una vicenda di tipo estintivo-costitutivo-traslativo, ed il conseguente apprezzamento
giuridico dell'operazione quale modifica statutaria, fanno sì che la trasformazione non possa
essere considerata, per i propri effetti giuridici, in termini di discontinuità soggettiva. Nonostante
l'ente societario o collettivo possa venire meno (nella trasformazione da società ad altro ente
nel primo caso, da società a comunione di azienda nel secondo), gli effetti giuridici della
trasformazione impongono di apprezzare l'operazione in una dimensione di continuità nella
titolarità dei rapporti giuridici e del patrimonio, al di fuori di una fattispecie estintiva. Senza
alcuna soluzione di continuità neppure di ordine soggettivo, perché la trasformazione
implica il mantenimento della "propria identità giuridica", il regime fiscale d'impresa continuerà
ad applicarsi anche dopo la trasformazione, in modo da non potersi configurare alcuna fuoriuscita
dei beni da tale regime e, quindi, alcun rilievo in termini impositivi.
Tale neutralità fiscale della trasformazione è, però, in generale, solo tendenziale, in quanto la
trasformazione può in talune ipotesi determinare l'abbandono della forma commerciale
dell'ente. Nella trasformazione (eterogenea) da società commerciale ad ente non commerciale
(così come nell'ipotesi di passaggio da società commerciale a società semplice), il soggetto
perde la commercialità data dalla tipologia e, da un regime fiscale in cui, per qualificazione
normativa espressa, l'agire dello stesso è in ogni caso considerato nella determinazione del
reddito d'impresa, transiterà in un regime fiscale in cui la produzione del reddito d'impresa è
solo eventuale. Nei limiti, cioè, dell'attività effettivamente esercitata ai sensi dell’articolo 55 del
Tuir.
L'abbandono della commercialità della tipologia può però non comportare necessariamente
disapplicazione del regime d'impresa, in quanto l'elemento tipologico può essere sostituito dalla
commercialità dell'attività effettivamente esercitata. Se, in altre parole, vi è esercizio dell'attività
d'impresa ai sensi dell’articolo 55 del Tuir e se, ulteriormente, questa attività sono destinati i beni
di cui la società era titolare prima della trasformazione, la costanza nell'applicazione del
regime d'impresa si accompagna al mantenimento dei beni all'interno del regime medesimo.
Ove, viceversa, l'ente risultante dalla trasformazione non eserciti attività d'impresa oppure
non vi sia destinazione di tutti i beni (nel senso fatto proprio dall’articolo 65 del Tuir)
all'attività imprenditoriale, si integrerà l'ipotesi della destinazione a finalità estranee.
In questi termini, il rilievo della trasformazione eterogenea come possibile fattispecie
realizzativa sembra doversi desumere dal sistema dell'imposizione sui redditi, in particolare
derivando dalla configurazione del presupposto impositivo, rispetto alla produzione di redditi
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d'impresa, per le società commerciali e dalla previsione di ipotesi di "chiusura del sistema" per
la oggettiva fuoriuscita dei beni dal regime fiscale d'impresa.
Appare dunque come coerente con [ed esplicativa dei] principi del reddito d'impresa la
previsione, introdotta dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, dell’articolo 171, comma 1, del Tuir
in base alla quale, nell'ipotesi di trasformazione eterogenea, i beni della società si considerano
realizzati in base al valore normale, "salvo che non siano confluiti nell'azienda o nel complesso
aziendale dell'ente stesso". La norma, infatti,
collega l'irrilevanza
impositiva
alla
configurabilità dei beni quali beni dell'impresa esercitata dal soggetto non commerciale.
In questo quadro, la trasformazione dalla società in impresa individuale, che si presenta
indubbiamente come "eterogenea" sul piano civilistico, appare in grado di garantire
l'irrilevanza impositiva, se si considera l'attività d'impresa individuale esercitata con i beni di cui
la società era titolare.
Se si può sicuramente affermare che l'operazione non si presenta come una frattura soggettiva
e di titolarità del patrimonio, per l'operare del principio di continuità ai sensi dell’articolo 2498
del codice civile, l'ulteriore elemento della sussistenza del requisito della commercialità va
però in concreto verificato in relazione alla destinazione del patrimonio aziendale.
Può, infatti, accadere che alcuni beni della società non siano utilizzati nell'attività
d'impresa individuale o, se immobili, non siano inseriti nell'inventario; più in generale, si può
verificare l'ipotesi che alcuni beni aziendali, in precedenza qualificati d'impresa in base alla
titolarità da parte del soggetto societario, successivamente alla trasformazione perdano tale
connotazione ai sensi dell’articolo 65, comma 1, del Tuir. In simile circostanza, dovrà
affermarsi la destinazione a finalità estranea dei beni in oggetto che, nonostante la
continuità giuridica, escono dal regime fiscale d'impresa. Conclusione che, lo si sottolinea,
deriva dall'applicazione della fattispecie impositiva della destinazione a finalità estranee,
nonostante l'ipotesi in esame non sia considerata nella disposizione di cui all’articolo 171 del
Tuir, ciò che evidenzia ulteriormente, in quest'ultima norma, una portata applicativa dei principi
del sistema.
Aspetti tributari: imposizione indiretta
Considerazioni in qualche modo analoghe a quelle fin qui esposte in relazione all'imposizione
sul reddito debbono essere svolte ove ci si interroghi sul rilievo, ai fini dell'applicazione
dell'imposta sul valore aggiunto, della trasformazione da società in impresa individuale.
Anche la disciplina normativa dell'Iva (articolo 4, comma 2, n. 1), D.P.R.26 ottobre 1972, n.
633] valorizza il dato soggettivo costituito dalla sussistenza della società di forma
commerciale e, con esso, i profili di rilevanza giuridica dell'atto organizzativo.
Sono, dunque, la sussistenza della società e la tipologia commerciale ad essere considerati
elementi sufficienti (salva l'esclusione delle specifiche attività considerate espressamente non
commerciali dall’articolo 4, comma 2, D.P.R. n. 633/1972) ad integrare quell'"esercizio di
imprese" che costituisce l'elemento soggettivo del presupposto.
Il venir meno di questi elementi è in grado di provocare la destinazione a finalità
estranee dei beni d'impresa, operazione imponibile, assimilata alla cessione di beni, ai sensi
dell’articolo 2, comma 2, n. 5), D.P.R. n. 633/1972; previsione normativa che comprende le
diverse ipotesi in cui i beni perdono la propria "destinazione funzionale" d'impresa,
fuoriuscendo dal relativo regime fiscale. A condizione che non si tratti di un complesso di beni
apprezzabile in termini di azienda o ramo di azienda [per i quali opera l'esclusione di cui
all’articolo 2, comma 3, lettera b), D.P.R. n. 633/1972].
Il principio di continuità della trasformazione garantisce il mantenimento dell'identità
soggettiva e, anche per la trasformazione di società in impresa individuale, impedisce di
ricostruire una vicenda estintivo-traslativa in grado di determinare la disapplicazione del regime
d'impresa così come il mutamento di titolarità dei beni.
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In questo quadro ricostruttivo va quindi inserita l'espressa previsione dell’articolo 2, comma
3, lettera f), D.P.R. n. 633/1972, che prevede l'esclusione dall'imposta per i "passaggi di beni
in dipendenza (...) di trasformazioni di società".
La trasformazione può però integrare la fattispecie impositiva qualora la società commerciale
si trasformi in un soggetto che non sia una società commerciale (articolo 4, comma 2, n. 1),
D.P.R. n. 633/1972) o che non sia un ente avente per oggetto esclusivo o principale l'esercizio
di attività commerciali o agricole (articolo 4, comma 2, n. 2), D.P.R. n. 633/1972).
La perdita della tipologia commerciale (non sostituita dalla natura commerciale od agricola
dell'oggetto esclusivo o principale dell'ente) potrà, infatti, non essere seguita dall'esercizio
dell'attività di impresa, agricola o commerciale, da parte del soggetto risultante dalla
trasformazione. Oppure potrà accadere che all'esercizio dell'attività imprenditoriale non
vengano destinati tutti i beni d'impresa.
Nel caso di trasformazione di società in impresa individuale, in particolare, occorrerà
verificare la destinazione dei beni, visto che l'esercizio dell'attività d'impresa è di per sé in
grado di integrare l'elemento soggettivo del presupposto. Entro questi limiti, dunque, anche ai
fini dell'imposta sul valore aggiunto è possibile configurare la neutralità della trasformazione
di società in impresa individuale.
Il principio della continuità risulta, poi, determinante anche nell'applicazione dell'imposta
di registro, se si considera che l'assenza di effetti traslativi, in una fattispecie che si atteggia
giuridicamente alla stregua di una modifica statutaria, impedisce l'applicazione dell'imposta
in misura proporzionale. L'imposta in misura fissa, è prevista dall'art. 4, lettera c), parte prima,
della Tariffa, allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (che, con riferimento agli atti propri delle
società, menziona le "modifiche statutarie, comprese le trasformazioni e le proroghe").
Imposizione in misura fissa che deve essere affermata anche nelle imposte ipotecarie e
catastali, qualora la società trasformata possieda beni immobili, perché la fattispecie di
trasformazione non si risolve in un atto di trasferimento, ai sensi dell’articolo 10, comma 2,
D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347.
Aspetti fiscali: neutralità fiscale e continuità di tipo economico
Da quanto fin'ora considerato, emerge che l'individuazione di una fattispecie non
realizzativa, nel passaggio da società ad impresa individuale, dipende dalla affermazione
del principio giuridico della continuità, a sua volta legato alla prospettazione dell'operazione
come trasformazione.
Appare opportuno sottolineare come una simile continuità, apprezzata agli effetti fiscali, non
possa, relativamente alla fattispecie in esame, essere configurata avvalendosi di diverse
ricostruzioni giuridiche così come di alternativi schemi negoziali.
In altri termini, laddove il passaggio da società ad impresa individuale non si presenti
quale trasformazione, si dovrà affermare una discontinuità di ordine soggettivo, e con essa
una vicenda di tipo circolatorio relativamente ai beni. L'elemento economico della continuità,
ove non si rifletta in quello giuridico proprio della trasformazione, non potrà dunque essere
riconosciuto dal sistema tributario.
Nell'imposizione sui redditi, come già si è avuto modo di accennare, la produzione di reddito di
impresa è legata all'individuazione della relativa fonte reddituale, che può essere integrata, a
seconda dei soggetti interessati, dalla sussistenza di una società di tipo commerciale e di un
ente avente oggetto commerciale o dall'esercizio abituale e professionale dell'attività
commerciale (articoli 6, comma 3, 55 e 81 del Tuir). Nei diversi casi, l'applicazione del regime
fiscale d'impresa è condizionato da elementi di carattere soggettivo: perché l'atto organizzativo
[negoziale] è alla base della configurazione dell'ente quale soggetto; perché l'attività di
impresa risulta individuata soggettivamente, in funzione cioè di colui che la pone in essere.
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Il passaggio da una società ad una impresa individuale (ma lo stesso vale per il passaggio
da una impresa individuale ad altra impresa individuale o da impresa individuale a società)
realizza
inevitabilmente una frattura sul piano soggettivo che impone di rilevare,
rispettivamente, una cessazione dell'esercizio di impresa ed un avvio di una diversa attività
imprenditoriale.
In assenza di una qualificazione dell'operazione come trasformazione, la conseguente
discontinuità nella titolarità dei rapporti e dei beni e nella identità soggettiva sarà in grado di
determinare la disapplicazione della disciplina fiscale d'impresa e la fuoriuscita dei beni dal
relativo regime. Fuoriuscita che, in caso di società (come si vedrà meglio in seguito), si
realizzerà contestualmente allo scioglimento ed all'estinzione dell'ente, integrando la specifica
ipotesi dell'assegnazione dei beni ai soci.
Il riscontro, nella ipotesi in esame, di un aspetto di continuità di tipo economico, appare,
dunque, del tutto insufficiente in un sistema che definisce la fonte categoriale d'impresa
avvalendosi di fattispecie connotate in termini soggettivi e che richiede, relativamente ai beni,
di rilevare elementi reddituali nel momento in cui il regime fiscale non risulta più applicabile.
Così, l'attività imprenditoriale esercitata dal socio superstite di una società unipersonale, o da
colui che, tra i soci della società estinta, prosegue l'esercizio dell'impresa, anche se condotta
con i beni della società ed anche se del medesimo oggetto dell'attività societaria, dovrà
configurarsi come una diversa impresa dal punto di vista fiscale.
Conclusioni, queste, che debbono essere affermate anche nell'imposta sul valore aggiunto, in
cui la disciplina normativa individua l'elemento soggettivo del presupposto (nella specie,
l'esercizio di impresa) in base alla sussistenza della società di forma commerciale o dell'ente
avente oggetto commerciale od agricolo ed all'esercizio professionale di una attività di natura
commerciale o agricola (articolo 4, D.P.R. n. 633/1972). In cui, ulteriormente, l'espulsione dei
beni (non dell'azienda) dal regime d'impresa, conseguente anche al venir meno
dell'elemento soggettivo, configura l'imponibilità dell'operazione. Per tali osservazioni, non pare
quindi possibile concordare con le affermazioni di parte della dottrina che si concentra, nelle
ipotesi di continuità economica dell'esercizio dell'impresa, sull'aspetto della prosecuzione
del medesimo programma imprenditoriale. Giungendo a prospettare, ai fini delle imposte
sui redditi, il regime di neutralità ed il mantenimento dei valori fiscali dei beni d'impresa.
Secondo simile ricostruzione, sviluppata in modo coerente dalla dottrina in esame, il
passaggio da società ad impresa individuale, nonostante i mutamenti di ordine soggettivo e
nella titolarità dei beni aziendali, evidenzierebbe la "continuità sia della destinazione
imprenditoriale che dell'esercizio dell'impresa stessa ad opera del socio superstite quale
imprenditore individuale".
La conservazione del "programma imprenditoriale", che pare debba intendersi quale
prosecuzione dell'attività di impresa e destinazione dei beni a tale attività, giustificherebbe
una
autonoma
considerazione tributaria della continuità, con una "disciplina della
trasformazione solo fiscale cui corrisponderebbe ben altro assetto nella sede civilistica".
Nel senso opposto rispetto alla posizione dottrinale ora illustrata, oltre ai rilievi già svolti,
occorre ulteriormente sottolineare come il sistema dell'imposizione sui redditi (con riferimento
al quale la rilevanza della "continuità del programma imprenditoriale" è stata prospettata), non
sembra riconoscere alcun autonomo rilievo alla "destinazione funzionale" dei beni ad un
"programma imprenditoriale".
Nelle ipotesi di mutamento della titolarità dei beni d'impresa, l'ordinamento impone la
rilevazione di componenti reddituali, indipendentemente da una valutazione relativa al
rapporto tra bene trasferito e programma imprenditoriale perseguito. Così accade per le
cessioni a titolo oneroso e corrispettive; per il conferimento (che è un atto tipicamente di natura
realizzativa, secondo quanto dispone l’articolo 9 del Tuir) ed in relazione al quale non pare
poter assumere alcuna valenza sistematica la neutralità opzionale prevista dall’articolo del Tuir
per i conferimenti aventi ad oggetto l'azienda ed a condizione che il conferitario sia un
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soggetto Ires; per la destinazione dei beni al consumo personale, l'assegnazione ai soci e la
destinazione a finalità estranee, in quanto oggettiva fuoriuscita dei beni dal regime fiscale
d'impresa (in cui l'estraneità è valutata in relazione ad una particolare impresa, connotata in
termini soggettivi dal contratto societario o dall'attività esercitata dal soggetto).
Inoltre, è dato osservare che le ipotesi di riconoscimento legislativo espresso della neutralità,
in presenza di una vicenda circolatoria, non solo debbono valutarsi in un'ottica tipicamente
derogatoria rispetto ad una disciplina generale, ma anche che, nelle stesse, l'elemento della
costanza dell'esercizio dell'impresa e della relativa destinazione dei beni non rappresenta
affatto una costante normativa. Si pensi alle cessioni di partecipazioni esenti ai sensi
dell’articolo 87 del Tuir o alla donazione ed al trasferimento di azienda mortis causa ai sensi
dell’articolo 58, comma 1, del Tuir.
Occorre, infine, osservare che il riconoscimento della neutralità fiscale, in relazione alla
valorizzazione degli elementi di continuità economica della fattispecie in esame, non appare
prospettabile neppure affermando, come pure è stato fatto, che la disciplina della
trasformazione prevista dal Testo unico delle imposte sui redditi accoglierebbe una nozione
solo fiscale di trasformazione, differente da quella civilistica.
Si è notato che il regime di neutralità disegnato dal Tuir si fonda sul principio di continuità, da
cui deriva la connotazione giuridica della trasformazione come fattispecie non estintivocostitutiva, rispetto al soggetto, e non traslativa, riguardo ai beni. La disciplina fiscale, detto
altrimenti, presuppone la continuità giuridica di cui all’articolo 2498 del codice civile, che è
garantita dalla qualificazione dell'operazione come trasformazione in base alle disposizioni
codicistiche, mentre risulta del tutto irrilevante la sola continuità di ordine economico, realizzata
nella discontinuità soggettiva.
In questo senso, la ratio delle disposizioni fiscali porta a ritenere necessaria, ai fini
dell'applicazione degli articoli 170 e seguenti del Tuir, l'individuazione della fattispecie come
trasformazione, compiuta in base agli articoli 2498 e seguenti del codice civile.
La nozione di trasformazione assunta dalla disciplina fiscale corrisponde dunque a quella
civilistica, conclusione cui si deve giungere anche osservando che nessuna definizione espressa
il legislatore fiscale dà dell'istituto, con la conseguenza, secondo l'insegnamento tradizionale,
che lo stesso è assunto nel diritto tributario secondo l'accezione fatta propria dal settore giuridico
di origine.
Nella prospettiva indicata, anche l'applicazione analogica degli articoli 170 e seguenti del
Tuir al passaggio, che non si qualifichi come trasformazione, da società ad impresa individuale
deve considerarsi preclusa. Al di là delle problematiche relative all'utilizzo dello strumento
interpretativo dell'analogia nel diritto tributario, occorre sottolineare che se il regime fiscale di
neutralità richiede, come si è dimostrato, la continuità di tipo giuridico, la non
configurabilità di quest'ultima impedisce il ricorso all'analogia per mancanza del presupposto
della eadem ratio.
II.4.1.2. Le trasformazioni omogenee
Il contenuto dell'articolo 170 riproduce in linea di massima quanto disposto dall’articolo
122 del vecchio Tuir.
Il comma 1 afferma che la trasformazione è un'operazione fiscalmente neutrale: "non
costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle
relative alle rimanenze e il valore dell'avviamento".
Deve quindi ritenersi che ogni passaggio, a seguito di un'operazione di trasformazione, da
soggetto Ire a soggetto Ires e viceversa non produca reddito imponibile.
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Tale operazione non essendo collegabile alla normale attività di gestione dell'impresa, di
per sé non è generatrice di reddito.
Non si può infatti ravvisare un realizzo poiché i beni permangono nello stesso patrimonio.
In base a quanto sopra, la perizia di stima non comporta l'emergere di plusvalenze e/o
minusvalenze patrimoniali aventi rilevanza fiscale. Tale documento avrebbe un carattere
meramente strumentale ai fini della riorganizzazione interna della struttura societaria.
Questa irrilevanza continua a sussistere anche quando le plusvalenze vengano iscritte
nell'attivo dello stato patrimoniale, ciò a seguito della soppressione della lettera c) del vecchio
articolo 54 del Tuir (ora articolo 86) valevole però per i soli beni patrimoniali (fanno
eccezione i beni fungibili).
In ogni caso, quando un soggetto Ire si trasforma in un soggetto Ires o viceversa, si deve
procedere a dividere l'esercizio interessato dalla trasformazione in due periodi (comma 2
dell’articolo 170):
- primo periodo: dall'inizio dell'esercizio alla data di effetto della trasformazione;
- secondo periodo: dalla data di effetto della trasformazione alla data di chiusura dell'esercizio.
Per i due periodi sopra delineati, il soggetto verrà assoggettato alla tassazione propria del
gruppo di appartenenza (società di capitali o società di persone).
Naturalmente quando la trasformazione avviene all'interno della medesima tipologia di
società, non deve essere presentata alcuna dichiarazione.
La trasformazione omogenea progressiva (da società non soggetta ad Ires a società soggetta a
tale imposta: da società di persone a società di capitali).
Le riserve costituite prima della trasformazione con utili già tassati per trasparenza in capo ai
soci, qualora distribuite, non concorrono a formare il loro reddito a condizione che (articolo 170,
comma 3):
- le riserve risultino iscritte nel bilancio della società trasformata;
- sia indicata espressamente la loro origine, ossia che si sono formate in periodi d'imposta "ante
trasformazione".
Se non risulta rispettata anche una sola delle due condizioni, le riserve in questione non
godono della non imponibilità in capo ai soci e all'atto della distribuzione saranno tassate in
base al regime impositivo proprio delle riserve delle società di capitali.
Trasformazione omogenea regressiva (da società soggetta ad Ires a società non soggetta a tale
imposta: da società di capitali a società di persone)
Le riserve di utili costituite prima della trasformazione sono tassate in capo ai soci nei seguenti
casi (articolo 170, comma 4):
- se sono "distribuite o utilizzate per scopi diversi dalla copertura di perdite d'esercizio ... (nel
periodo d'imposta in cui ciò avviene);
- nel periodo "successivo alla trasformazione, se non siano iscritte in bilancio" o vi siano
iscritte senza ... indicazione della loro origine.
Trattasi quindi di un regime di temporanea sospensione d'imposta.
Ad ogni modo, tenendo presente quanto sopra esposto, in caso di tassazione il nuovo
comma 5 dell’articolo 170 stabilisce che questa avvenga secondo il nuovo regime di
imponibilità parziale dei dividendi delle società di capitali.
In pratica potremmo avere:
- persona fisica che possiede una partecipazione qualificata fuori dall'esercizio
d'impresa: le riserve percepite concorrono alla formazione del reddito imponibile nella
misura del 40 per cento (articolo 47, comma 1, del Tuir);
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-
persona fisica che possiede una partecipazione non qualificata fuori dall'esercizio
d'impresa: ritenuta fiscale a titolo d'imposta del 12,5 per cento;
- persona fisica o società di persone che riceve gli utili nell'esercizio d'impresa: le
riserve percepite concorrono alla formazione del reddito nella misura del 40 per cento
(articolo 59, comma 1, del Tuir);
società di capitali: le riserve percepite concorrono alla formazione reddito nella misura
del 5 per cento (articolo 89, comma 2, del Tuir).
II.4.1.3. Il riporto delle perdite
La disciplina tributaria delle perdite fiscali pregresse viene affrontata diversamente e
separatamente per ciascuna tipologia di trasformazione societaria: come anticipato nei
paragrafi precedenti, il diverso trattamento attribuito alle stesse è strettamente connesso
alle modifiche della forma societaria a seguito della trasformazione.
Trasformazione omogenea
Nella trasformazione omogenea o endosocietaria classica (da un tipo all'altro di società
commerciale), l'operazione ha da tempo trovato soluzioni condivise, non destando particolari
problemi ai fini delle imposte sui redditi.
Nel caso di trasformazioni tra società di capitali o enti soggetti all'Ires, il riporto delle perdite
sopportate dalla società trasformanda prosegue nella società o ente risultante dalla
trasformazione, con la puntualizzazione che la perdita conserva la stessa anzianità maturata
presso la precedente.
La trasformazione tra società di persone non incide in alcun modo sul riporto delle perdite
che, in ogni periodo di imposta, vengono trasferite ai soci, diventando ininfluenti le successive
vicende societarie.
Nelle trasformazioni de quibus, la possibilità del riporto delle perdite fiscali subite dalla
società che si trasforma (in modo da ammetterle in compensazione con gli utili conseguibili
nella trasformata) sussiste, ai sensi dei già citati articoli 8 e 84 del Tuir, sia per i soci nel
c