Manuali Didattica e Ricerca Kenichi Konishi, Giampiero Paffuti Meccanica Quantistica: nuova introduzione Meccanica quantistica: nuova introduzione / Kenichi Konishi, Giampiero Paffuti. Pisa: Pisa university press, c2012. - x, 403 p. ; 24 cm. - (Didattica e ricerca. Manuali) 530.12 (21.) 1. Meccanica quantistica. I. Paffuti, Giampiero. CIP a cura del Sistema bibliotecario dell’Università di Pisa © Copyright 2012 Pisa University Press srl Società con socio unico Università di Pisa Capitale Sociale Euro 20.000,00 i.v. - Partita IVA 02047370503 Sede legale: Lungarno Pacinotti 43/44 - 56126, Pisa Tel. + 39 050 2212056 Fax + 39 050 2212945 e-mail: [email protected] Member of ISBN 978-88-6741-038-5 Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org Ai lettori L’impatto che uno studente riceve quando sente parlare per la prima volta delle leggi della meccanica quantistica può essere talvolta traumatico. Invece delle solide equazioni della meccanica classica - le equazioni di Newton - con le loro predizioni univoche e inevitabili, lei (o lui) impara che la nuova meccanica descrive le particelle come una sorta di onde, e la teoria predice soltanto le varie probabilità (!) di osservare certi risultati. Quando lei (o lui) impara un po’ di più, tuttavia, apprende che in realtà la cosa non è poi così male: l’equazione fondamentale - l’equazione di Schrödinger - è dopotutto un’equazione differenziale lineare rispettabilissima, e, finché non viene osservato, il sistema microscopico (particelle elementari, atomi, molecole, solide, etc.), si comporta in maniera perfettamente causale. Non solo, per merito delle leggi di quantizzazione (e questa è la parte bella), la nuova meccanica ha delle previsioni molto più precise, sotto certi aspetti, della meccanica di Newton. Tutti gli atomi di idrogeno, per esempio, nel loro stato usuale hanno proprietà rigorosamente identiche, indipendentemente da come sono stati formati. Questo permette l’esistenza delle strutture regolari del mondo macroscopico. Poi ci sono i concetti di spin, momento angolare intrinseco, una sorta di rotazione quantizzata, e il principio di Pauli, secondo il quale due particelle identiche di alcune specie (elettroni, protoni, etc.) non possono stare nello stesso stato quantistico. Man mano che avanza nello studio, poi, lo studente (laureanda, dottoranda, giovane ricercatrice o ricercatore) vede che in realtà si tratta di una meccanica molto legata a ciò che si osserva, espressa in una matematica molto elegante, precisa, e dopotutto piuttosto semplice. Addirittura, ci sono molti fenomeni macroscopici (“perché vediamo le stelle distanti?”) che diventano quasi evidenti, visti con gli occhi della meccanica quantistica, e quest’ultima alla fine diventa naturale quasi come il linguaggio quotidiano, per discutere e affrontare i problemi di fisica e chimica. Oggi anche di biofisica, genetica, neuroscienze, micro- o nano-tecnologia, quantum computing, crittografia quantistica, etc, etc. Andando avanti un giorno, forse, uno (o una) arriva ad imparare che i fisici stanno discutendo al giorno d’oggi sull’accordo (o meno) tra i valori sperimentali e quelli teorici per il momento magnetico della particella μ (una sorta di elettrone pesante), a livello della settima cifra significativa, 1 , e si convince definitivamente del potere predittivo della materia che sta studiando. In breve, la meccanica quantistica è una teoria di grandissima precisione e eleganza, e nonostante la sua naturale area di applicazione sia il mondo atomico, la sua presenza permea il nostro mondo quotidiano: dal lettore di CD ai transistors. Magari poi lei o lui diventerà un ricercatore di professione o un docente e comincierà a tenere un corso di meccanica quantistica, e, dopo molti anni, continuerà a meravigliarsi dell’eleganza e semplicità di questa teoria, delle sue sottigliezze e delle sue profonde implicazioni. Il nostro primo scopo, in questo libro, è stato quello di cercare di trasmettere ai lettori, soprattutto ai giovani che cominciano ad apprezzare ed amare la fisica, questo senso di meraviglia. Il lettore può legittimamente chiedere: perché un altro libro sulla meccanica quantistica? È vero, esistono già molti bei libri classici sulla meccanica quantistica, Laudau-Lifshitz e Dirac (quasi una bibbia, questi due), e poi, Messiah, Davydov, Schiff, Gottfried, il terzo volume di Fisica di Feynman, e ancora, un po’ più moderni, Cohen-Tannoudji et. al., Sakurai, etc. 1 Per la precisione, qui si tratta della teoria standard delle interazioni forti e elettrodeboli, ma questa teoria è basata sulla meccanica quantistica relativistica. ii D’altra parte, molte questioni fisiche (significato fisico del potenziale vettore, l’impossibiltà di sostituire il postulato probabilistico della meccanica quantistica con una statistica di tipo classico, la quantizzazione di tipo topologico, etc.) sono state comprese e sviluppate soltanto nella seconda metà del secolo appena passato. Molto più recentemente, poi, lo sviluppo tecnologico (la micro eletttronica, la tecnica di laser cooling, PC, programmi numerici come Matematica, Maple, Matlab) ha reso possibile da un lato realizzare degli esperimenti per vedere direttamente il comportamento dei quanti 2 e dall’altro permette di studiare numericamente, con una certa facilità, problemi che non sono né solubili analiticamente né abbordabili con metodi perturbativi. Tutto questo sviluppo sta cambiando la visione generale della meccanica quantistica, e pensiamo che un testo su questo argomento oggi debba in qualche maniera riflettere tale cambiamento. Poi c’è una questione legata ai tempi della storia: cento anni fa Einstein (1905) spiegava che l’effetto fotoelettrico era una evidenza chiara e diretta del quanto della luce (fotone) e della nuova costante h, scoperti qualche anno prima da Planck (1900). La formulazione appropriata della meccanica quantistica così come la conosciamo oggi dovette attendere i lavori di Heisenberg, Schrödinger, Bohr, de Broglie, Born, Dirac, Pauli, ..., attorno a 1925, ma si può dire che l’anno 1905 ha rappresentato un momento cruciale nello sviluppo di fisica moderna (per non parlare della teoria della relatività speciale, presentata sempre da Einstein nello stesso anno(!)). Ci sembra che sia più che opportuno e significativo (ed è un grande onore per noi) presentare un nuovo libro sulla meccanica quantistica quest’anno. Questo libro è inteso come introduzione ai principi della meccanica quantistica e alle sue applicazioni più semplici. L’elaborazione dei vari metodi di approssimazione (la teoria delle perturbazioni, il metodo variazionale, l’approssimazione semi-classica), e le applicazioni alla fisica atomica, teoria della diffusione, etc., saranno discussi in un secondo volume, “Meccanica Quantistica: Applicazioni”. Questo primo volume dovrebbe essere appropriato per il livello del nuovo corso triennale in fisica, quale è oggi nelle università italiane. Il libro è organizzato, come ogni libro che si rispetti, in Capitoli e sottocapitoli, ma contiene vari Complementi, e Note, contrassegnati con (†), che in prima lettura possono essere saltati, lasciandoli per un approfondimento nei momenti più opportuni, a giudizio del lettore. Alla fine di diversi capitoli, a parte qualche problema semplice, abbiamo discusso alcuni problemi risolti numericamente. Nel CD che accompagna il libro, troverete dei files - notebook - di Mathematica per questi problemi. Questi notebook dovrebbero essere abbastanza comprensibili anche per chi usa per la prima volta il programma Mathematica, e ogni lettore può imparare e divertirsi, per esempio visualizzando le funzioni d’onda, e, soprattutto, generalizzando i problemi e le loro soluzioni, modificando i files a suo piacere (un piccolo consiglio: prima di modificare un file.nb, fatene una copia!). Le analisi numeriche nel testo e nel CD sono state fatte con il programma Mathematica 5, Wolfram Research. Per convenienza del lettore, i files.nb sono preparati sia per Mathematica 5, sia per Mathematica 4, che per MatLab. Questi problemi hanno l’unico scopo di familiarizzare il lettore con i concetti espressi nel capitolo. I metodi numerici usati spesso non sono ottimizati nè in velocità nè in precisione. Nello stesso CD troverete anche un file in formato pdf con una piccola raccolta di problemi, pochi ma interessanti, con soluzione analitica 3 . 2 La figura della copertura di questo libro rappresenta i fasci di elettroni, fatti passare attraverso una sottile membrana di nitrocellulosa (cortesia del Dott. Akira Tonomura). Vedi anche l’introduzione. 3 Per aggiormenti e correzioni: http://www.df.unipi.it/ konishi/konishi.html e http://www.df.unipi.it/ paffuti iii Per convenienza del lettore abbiamo ripotato in fondo una tabella di Coefficienti di ClebschGordan e una tabella di costanti fisiche, da Particle Data Group, S. Eidelman et al., Phys. Lett. B592, 1 (2004). Infine, vorremmo ringraziare molti nostri amici e colleghi le conversazioni con i quali sono state preziose fonti di informazione e di ispirazione: in particolare, D.M. Brink, R. Collina, E. D’Emilio, A. Di Giacomo, M. Fukugita, C. Giannessi, V. Gracco, R. Guida, F. Maccarrone, P. Menotti, M. Mintchev, G. Morchio, L. Picasso, M. Rocca, P. Truini, A. Vainshtein e G. Veneziano. Ringraziamo Akira Tonomura, Hitachi Fellow, Hitachi Advanced Research Laboratory, per avere messo a nostra disposizione alcune figure utilizzate nella copertina del libro e nei Capitoli 1 e 8. K. K. ringrazia la sua famiglia (Angela, Izumi e Mahiko) per la loro pazienza e per l’incoraggiamento. K. Konishi, G. Paffuti [email protected], [email protected] Pisa, 2005. Indice 1 2 Introduzione 1.1 Diffrazione e interferenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Stabilità e identità degli atomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Effetto tunnel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 3 5 Complementi 1.A Nascita della meccanica quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.A.1 La radiazione del corpo nero e la formula di Planck . . . . . . . . . . 1.A.2 Effetto fotoelettrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.A.3 Modello atomico di Bohr . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.A.4 Condizione di quantizzazione di Bohr e Sommerfeld; Onda di de Broglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.B Meccanica Analitica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.B.1 Formalismo Lagrangiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.B.2 Formalismo Hamiltoniano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.B.3 Parentesi di Poisson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.B.4 Trasformazioni canoniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.B.5 Equazioni di Hamilton-Jacobi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.B.6 Invariante adiabatico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.B.7 Teorema del viriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 6 6 11 13 14 15 15 18 19 20 22 23 25 Problemi 1.A Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 26 Principi della meccanica quantistica 2.1 Lo stato quantistico e il principio di sovrapposizione . . . . . . . . . . 2.2 Principio di indeterminazione di Heisenberg . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Operatori e variabili dinamiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 Operatori e variabili dinamiche: risultato della misura . . . . . . . . . . 2.4.1 Risultati reali per una misura; Operatori Hermitiani . . . . . . 2.4.2 Prodotti di operatori, commutatori, osservabili compatibili . . . 2.4.3 Operatori di posizione e di impulso, commutatori fondamentali, zione di Heisenberg . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 Evoluzione del sistema: Equazione di Schrödinger . . . . . . . . . . . 29 29 34 38 38 40 41 v . . . . . . . . . . . . . . . . . . rela. . . . . . 43 45 INDICE vi 2.6 Spettro continuo e relazioni di completezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.1 Spettro continuo e funzione delta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.2 Relazione di completezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.3 Autostati di posizione; autostati dell’impulso; impulso come operatore di traslazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6.4 Complemento: Integrale nel piano complesso . . . . . . . . . . . . . Proprietà generali dell’Equazione di Schrödinger . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.1 Condizioni al contorno; minimo dell’energia . . . . . . . . . . . . . 2.7.2 Teorema di Ehrenfest . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.7.3 Densità di corrente; Equazione di continuità . . . . . . . . . . . . . 2.7.4 Due teoremi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 49 52 Problemi 2.A Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 60 2.7 3 52 55 55 56 57 57 58 Equazione di Schrödinger unidimensionale 63 3.1 Equazione di Schrödinger in una dimensione . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 3.1.1 Impostazione del problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 3.1.2 Particella libera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 3.1.3 Sistemi in uno spazio topologicamente non banale . . . . . . . . . . 66 3.1.4 Alcune proprietà dell’equazione di Schrödinger unidimensionale . . . 67 3.2 Stati legati in buche di potenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70 3.3 Applicazioni della buca infinitamente alta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 3.4 Oscillatore armonico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 3.4.1 Soluzione con polinomi di Hermite . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 3.4.2 Operatori di creazione e di distruzione . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 3.4.3 Dalla fisica di una particella alla fisica dei sistemi di molti gradi di libertà: cristallo unidimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 3.5 Processi d’urto e effetto tunnel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 3.5.1 Barriera di potenziale e Effetto tunnel . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 3.5.2 Gradino di potenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 3.5.3 Buca e Barriera di potenziale con funzioni δ . . . . . . . . . . . . . 98 3.6 Effetto tunnel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 3.6.1 Considerazioni generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 3.7 Potenziali periodici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 3.7.1 Considerazioni numeriche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 110 3.8 Potenziale periodico e struttura di bande d’energia . . . . . . . . . . . . . . . 110 3.9 Doppia buca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 Complementi 3.A Hamiltoniana del campo elettromagnetico 3.B Potenziale g δ(x) . . . . . . . . . . . . . 3.B.1 Relazioni di ortogonalità . . . . . 3.B.2 Completezza . . . . . . . . . . . 3.C Matrice S . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.C.1 Descrizione con pacchetti d’onda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 115 116 117 119 120 121 INDICE 4 5 vii Problemi 3.A Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.B Problemi numerici e simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 125 126 Rappresentazioni 4.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Rappresentazione delle coordinate e degli impulsi . . . . . 4.3 Bra e Ket, spazio di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3.1 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3.2 Intermezzo sullo spazio di Hilbert (†) . . . . . 4.4 Variabili dinamiche, operatori autoaggiunti e spettro . . . 4.4.1 Pausa di riflessione sui domini (†) . . . . . . . 4.4.2 Operatori autoaggiunti . . . . . . . . . . . . . . . 4.5 Trasformazioni unitarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6 Schema di Heisenberg . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6.1 Oscillatore armonico . . . . . . . . . . . . . . . . 4.7 Operatori di traslazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.8 Regole di commutazione e principio di indeterminazione . 4.8.1 Regole di Weyl (†) . . . . . . . . . . . . . . . 4.8.2 Il teorema di von Neumann (†) . . . . . . . . . . 4.8.3 Regole di commutazione per variabili angolari (†) 4.8.4 Trasformazioni canoniche (†) . . . . . . . . . 4.8.5 Regole di quantizzazione in coordinate curvilinee 4.9 Stati misti e matrice densità . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.9.1 Polarizzazioni del fotone . . . . . . . . . . . . . . 4.10 Regole di superselezione (†) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 135 135 136 139 143 146 150 152 154 161 163 165 167 169 171 172 172 176 178 180 184 186 Complementi 4.A Osservazioni sulle osservabili compatibili . . 4.B Perché ψ è complessa? . . . . . . . . . . . . 4.C Complemento sugli spazi di Hilbert . . . . . 4.C.1 Funzionali . . . . . . . . . . . . . . 4.C.2 Operatori . . . . . . . . . . . . . . . 4.C.3 Osservabili ed operatori autoaggiunti 4.C.4 Operatore Q . . . . . . . . . . . . . 4.C.5 Operatore P . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191 191 196 199 199 200 203 204 205 Problemi 4.A Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 208 208 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Momento angolare 5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 Definizione e regole di commutazione . . . . . . . . . . 5.3 Momento angolare come generatore delle rotazioni . . . 5.4 Quantizzazione del momento angolare . . . . . . . . . . 5.5 Momento angolare orbitale; funzioni armoniche sferiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211 . 211 . 212 . 213 . 215 . 218 INDICE viii Elementi di matrice di J. . . . . . . . . . . Composizione dei momenti angolari . . . . 5.7.1 Coefficienti di Clebsch-Gordan . . 5.8 Spin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.8.1 Matrici di rotazione: spin 12 . . . . 5.9 Teorema di Wigner-Eckart . . . . . . . . . 5.10 Un esercizio sui sistemi a due stati . . . . . 5.11 Simmetrie in meccanica quantistica . . . . 5.11.1 Considerazioni generali . . . . . . 5.11.2 Parità (P) . . . . . . . . . . . . . . 5.11.3 Inversione del tempo (time reversal) 5.12 Invarianza di Galileo . . . . . . . . . . . . 5.6 5.7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221 . 224 . 228 . 229 . 231 . 232 . 235 . 236 . 236 . 237 . 240 . 242 Complementi 5.A Polinomi di Legendre . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.B Gruppi e rappresentazioni: elementi di teoria dei gruppi 5.B.1 Assiomi di gruppo e alcuni esempi . . . . . . . 5.B.2 Rappresentazioni di un gruppo . . . . . . . . . 5.B.3 Gruppo di Lie e Algebra di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 244 . 244 . 245 . 245 . 247 . 248 Problemi 5.A Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 Problemi tridimensionali 6.1 Sistemi in tre dimensioni . . . . . . . . . . . . . . . 6.1.1 Massa ridotta . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.1.2 Moto in campo a simmetria centrale . . . . . 6.1.3 Onde sferiche . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2 Stati legati in una buca di potenziale tridimensionale 6.3 Atomo di idrogeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 251 251 253 . 253 . 253 . 254 . 255 . 258 . 259 Problemi 266 6.A Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 266 6.B Problemi numerici e simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 267 7 Evoluzione temporale 7.1 Evoluzione come operatore unitario . . . . . 7.2 Funzioni di Green . . . . . . . . . . . . . . . 7.3 Trasformazioni unitarie dipendenti dal tempo 7.4 Spin in campo magnetico variabile . . . . . . 7.5 Evoluzione adiabatica . . . . . . . . . . . . . 7.5.1 Variazione istantanea . . . . . . . . 7.6 Fase di Berry . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.1 Esempio . . . . . . . . . . . . . . . 7.6.2 Spin in un campo magnetico rotante . 7.7 Oscillatore armonico con frequenza variabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269 . 269 . 272 . 275 . 276 . 277 . 280 . 280 . 282 . 283 . 284 INDICE ix 7.7.1 7.7.2 Operatori a, a† . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 288 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292 Complementi 7.A Hamiltoniane dipendenti dal tempo . . . . . . . . . . . . . 7.B Particella nella buca con parete mobile . . . . . . . . . . 7.B.1 Oscillazioni e risonanza . . . . . . . . . . . . . . 7.C Particella in campo esterno . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.D Anello con difetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.D.1 Operatori di Heisenberg e regole di commutazione 8 9 . . . . . . 295 295 297 302 305 308 310 Problemi 7.A Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.B Problemi numerici e simulazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 315 315 316 Moto in campo elettromagnetico 8.1 Interazione elettromagnetica in meccanica classica e quantistica 8.1.1 Formulazione quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.1.2 Interpretazione geometrica dell’invarianza di gauge . . . 8.2 Particella carica e solenoide . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3 Effetto Aharonov-Bohm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3.1 Superconduttore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 321 321 323 326 333 338 341 Complementi 8.A Formula di Poisson . . . . . . . . . . . . 8.B Oscillatore e stringa magnetica . . . . . . 8.C Complementi sull’effetto Aharonov-Bohm 8.C.1 Teorema di Eherenfest . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 345 . 345 . 346 . 347 . 350 Metodi di approssimazione 9.1 Teoria delle perturbazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.1.1 Perturbazioni indipendenti dal tempo . . . . . . . . . . . . 9.1.2 Esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.1.3 Perturbazioni dipendenti dal tempo; transizioni quantistiche 9.2 Metodo Variazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.2.1 Principio variazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.2.2 Lo stato fondamentale dell’Elio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 355 . 355 . 355 . 361 . 362 . 369 . 369 . 370 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373 . 373 . 373 . 374 . 375 . 376 . 377 . 378 . 378 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Sviluppi ulteriori 10.1 Statistiche di Bose-Einstein e di Fermi-Dirac . . . . . . . . . 10.1.1 Indistinguibilità delle particelle identiche e la statistica 10.1.2 Stato di N bosoni identici debolmente accoppiati . . . 10.1.3 Principio di esclusione di Pauli . . . . . . . . . . . . . 10.1.4 Interazioni di scambio . . . . . . . . . . . . . . . . . 10.1.5 Campo elettromagnetico vs elettrone . . . . . . . . . . 10.2 Disuguaglianze di Bell; Quantum Entanglement . . . . . . . . 10.2.1 Problema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . INDICE x 10.2.2 Dimostrazione . . . . . . . . . . 10.2.3 Coppie di fotoni correlati . . . . 10.3 Path-integral . . . . . . . . . . . . . . . . 10.4 Supersimmetria in meccanica quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 380 381 383 388 Problemi 10.A Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 394 394 Capitolo 1 Introduzione Il comportamento quantistico delle particelle è per molti aspetti straordinario, dal punto di vista delle nostre esperienze quotidiane, siano esse elettroni, protoni, atomi o molecole. Discuteremo qui alcuni esempi. 1.1 Diffrazione e interferenza Gli aspetti più caratteristici del comportamento “non classico” dell’elettrone sono quelli della diffrazione e dell’interferenza, ambedue tipici di un’onda. Figura 1.1: La frange di interferenza nell’esperimento à la Young con la luce visibile. Come è ben noto, classicamente, la luce è un’onda, un’onda elettromagnetica, e come tale esibisce molti fenomeni caratteristici di questo tipo di propagazione. Prendiamo in esame la famosa esperienza di Young (1801) in cui la luce di una lampada viene fatta passare attraverso una doppia fenditura, facendola poi incidere su uno schermo fotografico. Le immagini di frange di intensità regolari e alternate osservate in tale esperimento (Fig. 1.1) possono essere interpretate come conseguenza dell’interferenza di due raggi, passati attraverso le due diverse fenditure. 1 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 2 d x L Infatti, se la distanza tra le fenditure, la distanza tra la fenditura e lo schermo, la posizione verticale del punto sullo schermo sono date rispettivamente da d, L, x (vedi Fig. 1.2), allora l’angolo di diffrazione è circa θ ∼ x/L (assumendo d L; x L), perciò la differenza nel cammino tra i due raggi è data da Δd d sin θ dθ dx/L. Fig. 1.2 Esperienza di Young. Se la lunghezza d’onda della luce è λ, la condizione per l’interferenza positiva è Δd/λ = n, n = 0, 1, 2, . . . , mentre per x tale che Δd/λ = n + 1/2, n = 0, 1, 2, . . . si avrà interferanza distruttiva. Nell’esperimento di Young, L/d ∼ 103 ; λ ∼ 103 Å = 10−5 cm, perciò tipicamente la spaziatura delle frange è dell’ordine di 0.1 mm. Nel caso di elettroni, un’analoga esperienza è (per motivi tecnici) divenuta1 possibile solo qualche anno fa (1989). È da notare che tale esperienza è spesso qualificata nei libri di meccanica quantistica come “Gedanken experiment”, cioè una esperienza “pensata” o “ipotetica”. Non lo è più. La figura 1.3, ripresa da un articolo di Tonomura et.al. (Am. Journ. Phys. 57 (1989)117), dimostra una straordinaria somiglianza con quella precedente, Fig. 1.1, relativa all’esperienza di Young. Ad un’analisi più attenta, però, si può cogliere qualche differenza. La prima differenza riguarda la scala. Nel caso dell’esperienza con la luce visibile la spaziatura delle frange d’interferenza era dell’ordine del mm, mentre nel caso degli elettroni è dell’ordine di 10−4 mm. Questa differenza - quantitativa ma non qualitativa - non è concettualmente essenziale, ma comporta notevoli difficoltà tecniche, che sono le ragioni per cui Fig. 1.3 Esperienza di Tonomura. questa esperienza è stata realizzata soltanto di recente. La differenza più importante, apparentemente, è il fatto che gli elettroni sono particelle 1 La prima osservazione della diffrazione di un fascio elettronico su un cristallo è di Davisson e Germer, 1927. 1.2. STABILITÀ E IDENTITÀ DEGLI ATOMI 3 (mentre la luce è “ovviamente” un’onda ), con la massa e la carica elettrica ben definite: infatti non è difficile distinguere i punti lasciati da singoli elettroni sullo schermo nell’esperienza di Tonomura et. al. In questo esperimento è stato usato un fascio di elettroni di intensità molto ridotta, ∼ 103 / sec. Tenendo conto della velocità media degli elettroni, ∼ 0.4 c, la distanza media tra due particelle è circa ∼ 150 Km, mentre l’intero apparecchio sperimentale ha una dimensione di circa 1.5 m. È ragionevole, in tali condizioni, pensare che gli elettroni arrivino “uno ad uno”, senza interagire tra di loro in maniera significativa. Le cinque immagini corrispondono, rispettivamente, a 10, 100, 3000, 20000 e 70000 elettroni. Arriviamo quindi ad una conclusione apparentemente paradossale. Il singolo elettrone in qualche maniera “vede” le due fenditure, si comporta come un’onda ed i due fronti d’onda relativi alle due fenditure interferiscono! Questa proprietà è nota come “dualità onda-corpuscolo”. È di fondamentale importanza il fatto che tale dualità si riferisce ai singoli elettroni, e non ad una proprietà collettiva del fascio degli elettroni. Con recenti sviluppi tecnologici, anche l’esperienza di Young originale può essere ripetuta con un fascio di fotoni molto debole, di modo che i fotoni arrivino uno a uno. Col senno di poi, ci si rende conto che non esiste nessuna differenza sostanziale tra l’esperienza di Young con i fotoni e quella di Tonomura et.al. fatta utilizzando un fascio di elettroni. Risulta infatti (de Broglie) che tutte le particelle elementari, atomi e molecole, posseggono tale proprietà duale. Come vedremo in seguito la meccanica quantistica descrive queste caratteristiche con un linguaggio matematico coerente e molto elegante. 1.2 Stabilità e identità degli atomi Il secondo aspetto riguarda la stabilità e l’assoluta identità di atomi (dello stesso tipo). Consideriamo l’atomo di idrogeno, che è uno stato legato formato da un elettrone e un protone. Il moto dell’elettrone intorno al nucleo è descritto, nella meccanica di Newton, dall’equazione, m r̈ = − e2 + m r θ̇2 ; r2 r2 θ̇ = cost. (1.1) Assumiamo per semplicità, un moto circolare, corrispondente alla soluzione r = costante dell’eq.(1.1). La forza statica Coulombiana descritta dalla (1.1) è tuttavia solo uno degli aspetti dell’interazione elettromagnetica: le cariche accelerate emettono radiazione, secondo la teoria di Maxwell, questo provoca una perdita di energia e rende instabile l’orbita. Per l’elettrone che si muove con accelerazione v̇ l’energia persa per un intervallo unitario di tempo è: S= 2 e2 (v̇)2 3 c3 (erg/sec) (1.2) (vedi Landau-Lifshitz Vol. 2). Supponiamo che la perdita di energia sia piccola di modo che l’orbita possa essere considerata approssimativamente circolare, e calcoliamo in quanto tempo un atomo di raggio a 10−8 cm collassa sul centro di attrazione. Poniamo r(t = 0) = a. Dall’eq(1.1) si ha e2 mrθ̇2 = m|v̇|, r2 (1.3) CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 4 o e2 . mr2 (1.4) dE 2e6 . = dt 3m2 c3 r4 (1.5) |v̇| = Sostituendo questo in (1.2), si trova S=− Ma per un moto circolare vale la relazione: E= 1 e2 e2 mv 2 − =− , 2 r 2r (1.6) perciò 4e4 . (1.7) 3m2 c3 Sia tc il tempo necessario al collasso, r(tc ) = 0. Integrando nell’intervallo [0, tc ], si ha r2 ṙ = − r(0)3 − tc = 4e4 tc = 0, m2 c3 m2 c3 3 a 10−10 4e4 sec. (1.8) Secondo la fisica classica dunque un atomo di idrogeno dovrebbe collassare in 10−10 sec! Questo non è certamente quello che accade in Natura. Pur ammettendo che ci possa essere una ragione sconosciuta per cui la (1.2) non si applichi al mondo atomico - dopotutto la teoria di Maxwell è stata scoperta nel mondo macroscopico e quindi trascurando le difficoltà che ne conseguono, c’è un altro problema molto serio per un modello “planetario” degli atomi come descritto da (1.1). La difficoltà sta nel fatto che ogni atomo dovrebbe avere un raggio diverso, un raggio che dipende dalla condizione iniziale usata nel risolvere la (1.1). Come vedremo in seguito, in meccanica quantistica tutti i moti (classicamente) periodici sono “quantizzati”: solo alcuni “stati” sono permessi. Di conseguenza due atomi dello stesso tipo (nel loro stato normale) hanno proprietà rigorosamente identiche. La “quantizzazione” del moto risolve in modo naturale anche il problema dell’instabilità dell’atomo accennato sopra: esiste uno stato di energia minima per il sistema. È facile capire la ragione per la quale l’eq.(1.1) non può avere una soluzione con un raggio ben definito (che non dipenda da una condizione iniziale accidentale). Gli unici parametri che appaiono nell’equazione sono m e e con dimensioni (in unità cgs) m = [gr]; e = [gr1/2 cm3/2 sec−1 ] : Con questi parametri è impossibile formare, tramite una loro combinazione, alcuna costante con la dimensione di una lunghezza. In meccanica quantistica esiste una costante fondamentale della natura chiamata costante di Planck () con dimensione = [gr · cm2 /sec]; 1.3. EFFETTO TUNNEL 5 questa costante caratterizzerà l’intera costruzione della meccanica quantistica. Avendo a disposizione anche , si può costruire una combinazione con le dimensioni di una lunghezza 2 rB = (1.9) m e2 chiamata “raggio di Bohr.” Con i valori numerici noti si ottiene rB 5 10−9 cm ; ( ≡ h = 1.054571596(82) · 10−27 erg · s) 2π (1.10) che è ragionevole come grandezza di un atomo. L’assoluta identità delle proprietà intrinsiche di due atomi (o più in generale, di due particelle elementari - due protoni, due elettroni, ecc.) della stessa specie, è la base della regolarità e stabilità del mondo macroscopico (cristalli, sistemi biologici, ecc.) Senza tale identità i fenomeni biologici (riproduzione, metabolismo etc.) sarebbero impossibili. Tale aspetto del mondo microscopico è in chiaro contrasto, ma in certo senso in armonia, con le infinite varietà dei fenomeni macroscopici. 1.3 Effetto tunnel Il terzo esempio che vogliamo presentare è un aspetto del fenomeno della conduzione elettrica. In un modello semplificato di V(x) metallo l’elettrone è rappresentato da una particella che si muove in un potenziale periodico (Fig.1.4), che descrive il reticolo cristallino. e Secondo la meccanica classica la particella si sposterà nel campo elettrostatico ma non riuscirà ad attraversare le barE<Vmax riere di potenziale (se il campo esterno, Fig. 1.4 Potenziale periodico. che provoca il suo movimento, non è sufficientemente forte). In meccanica quantistica, l’elettrone è capace di attraversare la barriera anche se ha energia insufficiente dal punto di vista classico (“effetto tunnel”), permettendo così la conduzione elettrica osservata quotidianamente. L’effetto tunnel è collegato strettamente con la dualità onda-corpuscolo delle particelle. Ricapitolando, la meccanica classica di Newton non può descrivere il mondo regolare in cui viviamo. Tale struttura richiede l’assoluta identità degli atomi dello stesso tipo, e questo è possibile soltanto in meccanica quantistica dove l’equazione contiene una nuova costante fondamentale, dimensionale. Inoltre l’elettrone e tutte le altre particelle elementari, nuclei, atomi e molecole esibiscono una doppia natura “onda-corpuscolo”: la quantizzazione dei moti periodici e il fenomeno del “tunnelling” sono strettamente legati a questa proprietà. La meccanica quantistica descrive questi comportamenti (e molti altri!) in modo coerente e con un formalismo matematico molto elegante. CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 6 Complementi 1.A Nascita della meccanica quantistica In questo paragrafo discuteremo brevemente alcuni aspetti dello sviluppo storico che hanno portato alla scoperta della meccanica quantistica: il concetto di dualità onda-corpuscolo delle particelle elementari e l’idea della quantizzazione dei moti periodici, accennati nell’introduzione, saranno esposti con maggiore dettaglio. 1.A.1 La radiazione del corpo nero e la formula di Planck Consideriamo un sistema macroscopico descritto dalle variabili canoniche {pi , qi }, i = 1, . . . s. Il numero di gradi di libertà s è molto grande, tipicamente dell’ ordine di NA 6 · 1023 (il numero di Avogadro). Supponiamo che questo sistema sia in equilibrio con un serbatoio termico tenuto ad una temperatura fissa, T . Sia E(q1 , p1 , . . . ps ) l’energia del sistema. Secondo la fisica statistica di Boltzman la probabilità che il sistema si trovi tra gli stati (q1 , q1 + dq1 ), (p1 , p1 + dp1 ), . . . (ps , ps + dps ) è data da 1 P (q1 , . . . ps ) dq1 · · · dps = e−E(q1 ,p1 ,...ps )/kT (1.11) N dove k = 1.380658 · 10−23 J · K−1 è la costante di Boltzman; N è la costante di normalizzazione N = · · · dq1 · · · dps e−E/kT , (1.12) definita in modo tale che la probabilità totale sia uno. Dalla legge di Boltzman segue immediatamente la legge di equipartizione: per un sistema descritto da una Hamiltoniana qualsiasi del tipo H= s (αi p2i + βi qi2 ), (1.13) i=1 il valor medio di un singolo termine dell’Hamiltoniana è uguale a < αp2n >=< βn qn2 >= 1 kT, 2 (indip. da n), (1.14) i.e., ogni grado di libertà del sistema ha in media la stessa frazione 12 kT di energia. La teoria classica del calore specifico è una conseguenza semplice della legge di equipartizione. Per esempio, nel caso di un gas ideale monoatomico, αi = 1/2m, βi = 0, mentre (p2jx + p2jy + p2jz ) p2θ + p2φ / sin θ2 E= Ej ; E j = + 2m 2I j per un gas bi-atomico, dove gli ultimi termini rappresentano i gradi di libertà di rotazione (il grado di libertà di oscillazione radiale tra le due molecole è qui trascurato). L’energia totale per una mole è allora 3 3 U = kT NA = RT ; 2 2 1.A. NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA 7 5 5 kT NA = RT, 2 2 rispettivamente per i gas monotomici e per i gas bi-atomici. NA è il numero di Avogadro, R = NA k 8.31441 · 107 erg · mol−1 K−1 è la costante di gas. Segue che il calore specifico nei due casi è dato da: 3R/2 2.98, gas monoatomici, ∂U C= = (1.15) ∂T 5R/2 4.96 gas biatomici U= (in unità Cal/K/mol). Questi risultati della teoria classica sono ben verificati sperimentalmente, per molti gas, a temperatura ambiente ma a temperature più basse il calore specifico osservato tende a valori più piccoli. Lo stesso vale nel caso dei solidi dove il risultato classico, C 3R 5.9 (legge di Dulong-Petit), è valido, nei casi più favorevoli, solo a temperatura ambiente: il calore specifico sperimentale tende a zero a basse temperature. Sembra dunque che a basse temperature certi gradi di libertà “muoiano” o “vengano congelati” e non prendano la loro parte di energia come ci si aspetterebbe dalla legge di equipartizione. (Infatti la teoria corretta del calore specifico è stata formulata da Debye e da Einstein dopo la scoperta del quanto di energia da parte di Planck (1900).) Essenzialmente lo stesso problema appariva, in modo più drammatico, negli ultimi decenni del 19-simo secolo, nel cosiddetto problema “del corpo nero”. Consideriamo una cavità tenuta ad una temperatura T . Il suo interno è riempito da radiazione elettromagnetica, in equilibrio con il serbatoio termico (la parete della cavità). Qual’è il colore della radiazione di un corpo nero? Detto in altri termini, quale colore (lunghezza d’onda) della luce si trova in un corpo nero, e con quale intensità relativa? Qual’è il calore specifico del “vuoto”, cioè della radiazione elettromagnetica a temperatura T ? La risposta della fisica classica a questi problemi è la seguente. L’energia del campo elettromagnetico nel vuoto è (vedi Landau-Lifshitz, Vol. 2): 1 H= (E2 + H2 )dv. (1.16) 8π V Le soluzioni formali delle equazioni di Maxwell nel vuoto sono E=− 1 ∂ A; c ∂t H=∇×A (φ = 0), (1.17) dove A è un potenziale vettoriale che soddisfa alle equazioni ΔA − 1 ∂2 A = 0; c2 ∂t2 ∇ · A = 0. (1.18) La seconda equazione (1.18) è una scelta di gauge usata per eliminare la ridondanza esistente nella parametrizzazione dei campi elettromagnetici in termini del potenziale vettore A. La soluzione generica delle eq.(1.18), è un’onda piana del tipo con k arbitario, k ≡ |k|, 1 cos(k · r − ckt) + 2 sin(k · r − ckt) (1.19) 1 · k = 2 · k = 1 · 2 = 0. (1.20) CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 8 La soluzione generale è una qualsiasi combinazione lineare di queste oscillazioni armoniche. L’Hamiltoniana che dà luogo a una tale combinazione come soluzione, è semplicemente: 2 c2 c 2 H= (1.21) p2(1) + k2 q2(1) + p(2) + k2 q2(2) : 4 4 k k Il sistema è equivalente a due gruppi di oscillatori indipendenti. Le due possibili direzioni dell’oscillazione corrispondono alle due polarizzazioni possibili della luce, fatto ben noto empiricamente. Nelle precedenti equazioni, k sono vettori arbitari: per “contare” i gradi di libertà è spesso conveniente immaginare che il sistema sia confinato (come è in effetti nel caso di un corpo nero finito) in un volume finito e introdurre un’opportuna condizione al contorno, per es., periodica. Ad esempio se la cavità è un cubo di lato L, i valori permessi per k sono kx = πnx ; L ky = πny ; L kz = πnz ; L nx , ny , nz = 0, 1, 2, 3, . . . .∞ (1.22) Visto che l’Hamiltoniana del campo della radiazione ha la forma standard (1.13), si può applicare la legge di equipartizione per calcolare la sua energia. La risposta è semplicemente U = f k T, f (= il numero dei gradi di libertà) = ∞, (1.23) perciò ∂U = ∞. (1.24) ∂T Dunque secondo la teoria di Maxwell l’energia del campo di radiazione elettromagnetica in un volume finito sarebbe infinita; per aumentare la temperatura di una cavità di un grado sarebbe necessario un calore infinito. Questi risultati sono in chiara contraddizione con le più elementari esperienze quotidiane. Più precisamente l’energia per unità di volume, U , è data da: U = σ T 4 ; σ = 7.64 · 10−15 erg cm−3 K−4 . U = ∞; C= Le legge (1.25) (legge di Stefan-Boltzman) è stata stabilita empiricamente da Stefan e poi dedotta con considerazioni termodinamiche da Boltzman. Questo è, essenzialmente, il problema del corpo nero. La causa di questa catastrofe è facile da individuare: secondo la legge classica di equipartizione alle vibrazioni di lunghezza d’onda arbitrariamente corta - nx , ny nz arbitrariamente grandi - dovrebbe essere assegnata una quantità kT di energia. I fatti sperimentali indicano che il numero effettivo di gradi di libertà ad ogni temperatura è in realtà molto minore. È istruttivo studiare l’energia del campo elettromagnetico per intervallo di frequenza, ∞ U= dν u(ν), (1.25) 0 u(ν)dν è l’energia del campo dovuta alle oscillazioni con frequenze tra ν e ν +dν. Calcoliamo ora u(ν). Siccome |n|c ν(n) = , (1.26) 2L 1.A. NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA 9 segue che 2Ldν . (1.27) c Le componenti di n = (nx , ny , nz ) sono numeri interi positivi, perciò il numero dei modi tra ν e ν + dν è dato dal numero di punti contenuti in un ottante sferico: dn = 1 8πL3 2 N (ν)dν = 2 (4πn2 )dn = ν dν. 8 c3 (1.28) Il fattore 2 è dovuto alle due polarizzazioni possibili. Applicando la legge di equipartizione, troviamo un risultato finito per volume unitario, u(ν)dν = kT N (ν)dν = 8πkT 2 ν dν. c3 (1.29) (Formula di Reyleigh - Jeans). Osservazioni • A fissa temperatura T , la formula di Reyleigh - Jeans è in accordo con i dati sperimentali a bassa frequenza. • L’intervallo di frequenze dove la formula è valida, si allarga verso le alte frequenze con T ; in altri termini, a ν fissa, la formula è valida ad alte temperature ma fallisce a basse temperature. È chiaro che qui incontriamo lo stesso problema che abbiamo incontrato per la teoria del calore specifico di altre sostanze: ad una data temperatura solo alcuni gradi di libertà sono “attivi”; altri sembrano “inattivi” . • Effettuando l’integrazione della (1.29) da 0 a ∞ ritroviamo il risultato disatroso che è stato notato prima (i.e., ∞). È chiaro che la divergenza è dovuta ai modi di frequenza arbitariamente alta. (Per questo motivo, il problema è a volte chiamato catastrofe ultravioletta.) Il primo passo verso la soluzione è stata compiuto da Wien (1893). Egli notò che i dati sperimentali mostravano una “legge di scaling”: u(ν) dν = 8π F (ν/T )ν 3 dν : c3 (1.30) con una funzione F da determinare empiricamente. In altri termini, se u(ν) è noto empiricamente ad una temteratura, siamo in grado di predire u(ν) a qualsiasi altra temperatura usando (1.30). Come è facile verificare, inoltre, la formula di scaling è consistente con la legge di Stefan. Anche se Wien non riuscì a calcolare F , egli fu in grado di trovare una formula approssimata, F (x) = kβe−βx ; β = cost., (1.31) che è in accordo con i dati ad alta frequenza x = ν/T . Sostituendo questa funzione troviamo la formula di Wien, u(ν) dν = 8πkβ −βν/T 3 8πhν −hν/kT 2 e ν dν = e ν dν, c3 c3 (1.32) CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 10 dove h ≡ kβ = 6.626 · 10−27 erg · sec. (1.33) Abbiamo dunque la formula classica (1.29), valida a basse frequenze, e la formula di Wien (1.32), valida ad alte frequenze. Fu Planck (1900) a trovare la corretta formula di interpolazione, 8π hν u(ν) dν = 3 hν/kT (1.34) ν 2 dν. c e −1 Questa è la celebre formula di Planck. Essa si riduce a (1.29) ed a (1.32), nei limiti, hν/kT 1 e hν/kT 1, rispettivamente. La morale della storia è che per spiegare i dati sperimentali, nella formula classica (1.29) va fatta la sostituzione, kT ⇒ hν ehν/kT −1 . (1.35) Ma quel’è il significato di questa sostituzione? Il contributo fondamentale dato da Planck (1900), che segna la nascita della nuova meccanica, fu quello di dare la corretta interpretazione della (1.35), i.e., notando che essa implica l’esistenza di un quanto di energia. Forniremo ora una versione semplificata dell’argomentazione di Planck, dovuta essenzialmente ad Einstein, e dimostreremo la formula (1.34), usando l’ipotesi di quanto di energia. Per ogni frequenza e per ognuna delle due polarizzazioni, l’Hamiltoniana per il campo elettromagnetico è un semplice oscillatore armonico, H = aq 2 + bp2 . (1.36) L’energia media a temperatura T è ∂ log N , ∂(−1/kT ) dx dy −(x2 +y2 )/kT √ , e ab √ √ nella seconda equazione si è effettuato il cambio di variabile x = aq; y = bp. Passando a coordinate polari, E ≡ x2 + y 2 ; θ ≡ tan−1 y/x, e notando che l’integrazione angolare è banale, si ha ∂ N = dEe−E/kT . (1.37) < E >= log N , ∂(−1/kT ) < E >= N = dq dp e−(aq 2 +bp2 )/kT = Se si effettuasse l’integrazione su E si otterrebbe < E >= kT e ritroveremmo la formula di Reyleigh-Jeans. Supponiamo invece, con Planck, che per qualche ragione l’energia possa prendere solo valori discreti, En = n, n = 0, 1, 2, 3, . . . In questo caso l’integrale viene sostituito dalla somma, dE → . n (1.38) (1.39) 1.A. NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA 11 Di conseguenza si ha < E >= ∂ log N , ∂(−1/kT ) N = e−n/kT = n . 1 − e−/kT (1.40) Si ottiene così la formula “quantistica” per < E > < E >= e/kT −1 . (1.41) Se scegliamo come unità (“quanto”) di energia = hν, (1.42) e usiamo la (1.41), al posto del risultato classico, kT , per < E >, ed introduciamo il numero di modi della cavità otteniamo precisamente la formula di Planck! Dunque il significato della formula empirica di Planck è questo: l’energia del campo elettromagnetico è “quantizzata”. La luce monocromatica, di frequenza ν (i.e., di lunghezza d’onda λ = c/ν) è costituita da un insieme di quanti (che chiameremo “fotoni”), ciascuno con energia hν. La legge di equipartizione non è più valida perché i gradi di libertà associati alle frequenze alte, avendo quanti troppo grandi ad una data temperatura (hν kT ) non riescono ad ottenere la loro porzione di energia (kT ) ed rimangono effettivamente inattivi. Un’analoga spiegazione del comportamento del calore specifico di varie sostanze è stata data da Einstein e Debye. L’esempio più grande di corpo nero è l’universo stesso: come è noto l’universo di oggi è riempito da radiazioni a microonde (cosmic microwave radiation) corrispondenti alla temperatura di circa 2.7 K, che è una sorta di radiazione fossile dall’epoca iniziale dell’espansione dell’universo. 1.A.2 Effetto fotoelettrico La soluzione del problema del corpo nero e l’ipotesi del quanto di energia (Planck, 1900) segnarono la nascita della fisica quantistica, ma dovettero attendere quasi 10 anni prima di essere universalmente accettate. Un’evidenza più diretta della proprietà corpuscolare della luce venne dall’analisi (Einstein, 1905) del cosidetto “effetto fotoelettrico” (Hertz 1887). In questa esperienza, un raggio X (raggio elettromagnetico di alta frequenza) viene fatto incidere sulla superficie di un metallo alcalino (per es. Li). Dalla superficie del metallo provengono degli elettroni, che vengono misurati in forma di corrente (Fig.1.5). I fatti empirici principali sono: X e Li e G Fig. 1.5 Effetto fotoelettrico. (i) l’energia di ciascun elettrone è indipendente dall’intensità della luce; CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 12 (ii) al crescere dell’intensità della luce aumenta il numero degli elettroni (i.e., aumenta la corrente foto-elettrica); (iii) l’energia di ciascun elettrone dipende dal colore (λ) del raggio; (iv) la corrente fotoelettrica viene rivelata immediatamente dopo l’illuminazione della superficie. È estremamente difficile dare conto di questi fatti nella teoria di Maxwell. (vedi [Tomonaga]). Fu Einstein il primo a osservare che tutte le suddette caratteristiche dell’esperienza trovano una spiegazione naturale se si adotta l’ipotesi di quanto di energia di Planck. Infatti supponiamo che il raggio X sia costituito da un fascio di “fotoni”, ciascuno con energia hν (ν sarà uguale per tutti se la luce è monocromatica; altrimenti si troveranno diversi tipi di fotoni nel fascio). Supponiamo inoltre che gli elettroni, originariamente legati agli atomi del metallo, ricevano tutta l’energia del fotone che li colpisce; se l’energia ricevuta è sufficientemente grande (i.e., rispetto all’energia di legame) essi saranno estratti dal materiale. Questa teoria predice una semplice relazione tra l’energia massima dell’elettrone E e la frequanza della luce ν, E = hν − A, (1.43) dove A è una costante che dipende dalla sostanza. I dati sperimentali in fig.(1.6), riprodotti dall’articolo originale di Millikan (1916) mostrano che la relazione lineare predetta da (1.43) è effettivamente osservata; inoltre dall’inclinazione della retta che interpola i dati si trova per h il valore: h 6.65 · 10−27 erg · s, (1.44) in ottimo accordo con il valore ottenuto da Wien-Planck (1.33). In questo modo l’ipotesi di Planck ed Einstein dell’esistenza di una quantizzazione dell’energia per la luce, è stata inequivocabilmente verificata. Figura 1.6: Figura originale di Millikan sulla relazione 1.43. Notiamo che il carattere corpuscolare della luce, messo in evidenza dall’analisi dell’effetto fotoelettrico, si manifesta chiaramente anche nella diffusione di raggi X da elettroni (Effetto Compton: vedi Problema (1.1)). 1.A. NASCITA DELLA MECCANICA QUANTISTICA 1.A.3 13 Modello atomico di Bohr Nella discussione dello sviluppo storico che ha portato alla scoperta della nuova meccanica, un passo fondamentale è stato quello compiuto da Bohr (1913). Come era già noto allora, i gas ad alta temperatura emettono luce con uno spettro caratteristico dell’elemento. (Per es., la lampada al sodio con la caratteristica luce di colore giallo - arancio). Per l’idrogeno, lo spettro contiene le linee corrispondenti alle lunghezze d’onda, 6562.8, 4861.3, 4340.5, 4101.7, . . . (Å). Per queste linee spettrali, Balmer (1885) aveva trovato una formula empirica, λ= n2 λ0 , n2 − 4 λ0 = 3645.6 , n = 3, 4, 5, . . . (1.45) Più tardi Rydberg aveva scoperto che la frequenza delle righe spettrali può essere espressa nella forma ν(n2 , n1 ) = T2 (n2 ) − T1 (n1 ) (1.46) con n1 , n2 numeri interi. Tenendo fisso n2 e variando n1 si ha una serie spetrale. I termini T (n) sono detti termini della serie. Nel caso dei metalli alcalini è possibile esprimere i termini in una forma semplice ν R 1 R − ; = = 2 c λ (m + a) (m + b)2 (1.47) dove R è una costante universale (i.e., indipendente dall’atomo), R = 109678 cm−1 , (1.48) (chiamata costante di Rydberg) e a, b sono costanti che dipendono dall’elemento e dalla serie, e vengono chiamate correzioni di Rydberg. La (1.47) rappresentava bene tutte le linee spettrali misurate per vari atomi. Il punto fondamentale della posizione (1.46) è che le frequenze di transizione soddisfano a relazioni algebriche semplici (regole di ricombinazione di RaleyghRitz) ν(n3 , n1 ) = ν(n3 , n2 ) + ν(n2 , n1 ) Restava da interpretare e comprendere il significato della formula di Rydberg. L’idea di Bohr era che l’energia dell’elettrone legato nell’atomo potesse prendere soltanto valori discreti, in analogia con quanto avveniva per l’oscillazione elettromagnetica. Più precisamente, Bohr formulò le seguenti ipotesi sull’atomo (l’insieme di queste era chiamato modello di Bohr): [1] i valori possibili dell’energia di un atomo sono discreti, E1 , E2 , . . . (Livelli di energia). Finché l’atomo è in uno dei possibili stati (stati stazionari) non emette luce; [2] l’atomo emette o assorbe luce quando un elettrone compie una transizione (un “salto”) da uno stato (n) ad un altro (m); la luce emessa o assorbita in tale transizione ha la frequenza uguale a, hν = En − Em , (1.49) [3] l’elettrone che si trova in uno stato stazionario si muove secondo la meccanica classica (questa ipotesi subirà una sostanziale modifica in meccanica quantistica); CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 14 [4] per n 1, i risultati della nuova meccanica coincidono con quelli ottenuti in meccanica classica (Principio di Corrispondenza di Bohr). Notiamo che le ipotesi di Bohr eliminano immediatamente (per decreto) la difficoltà legata alla stabilità dell’atomo, discussa nell’introduzione. Le ipotesi [1] e [2] permettono una naturale interpretazione della struttura della formula di Rydberg, attribuendo ai singoli termini En (livelli di energia), e non alle loro differenze, il significato fondamentale. Con grande ingegno, combinando le ipotesi sopra descritte, Bohr fu in grado di ottenere En nel caso dell’atomo di idrogeno: Rhc En = − 2 ; n = 1, 2, . . . . (1.50) n e di calcolare la costante di Rydberg in termini di m, e, c e h: R= 2π 2 me4 1.09 · 105 cm−1 ch3 (1.51) in accordo con il suo valore empirico (vedi [Tomonaga]). Bohr riuscì inoltre a determinare l’ordine di grandezza del raggio dell’atomo di idrogeno rBohr = 2 0.529177 · 10−8 cm me2 (1.52) (chiamato raggio di Bohr) dove è stata introdotta una costante legata a h, ≡ h 1.05 · 10−27 erg · sec. 2π (1.53) L’esistenza di stati stazionari discreti (livelli di energia) in atomi è stata verificata in un’elegante serie di esperienze da Franck e Hertz (1913). 1.A.4 Condizione di quantizzazione di Bohr e Sommerfeld; Onda di de Broglie La correttezza dell’idea di quantizzazione fu dunque inequivocabile dopo il lavoro di Planck (quantizzazione dell’energia elettromagntica); quello di Einstein-Debye (quantizzazione dell’oscillazione atomico/molecolare nella teoria del calore specifico) e ora quello di Bohr (quantizzazione del moto degli elettroni nell’atomo), ma la formulazione corretta della meccanica quantistica dovette attendere i lavori di Heisenberg (1925) e Schrödinger (1926). È di un certo interesse storico, tuttavia, ricordare due altri contributi importanti dell’epoca “pre-meccanicaquantistica”. Bohr e Sommerfeld tentarono di formulare l’idea della quantizzazione in modo universale, di modo che essa fosse applicabile a tutti i moti classici finiti (quasi-periodici). Per sistemi unidimensionali, o per sistemi che possono essere ricondotti a questo caso, essi ipotizzarono la regola p dq = nh (n = 0, 1, 2, . . .) (1.54) (condizione di quantizzazione di Bohr e Sommerfeld ) dove q e p si riferiscono a una coppia di variabili canoniche, e l’integrale va calcolato su un ciclo della variabile q. Osservazioni: 1.B. MECCANICA ANALITICA 15 • La limitazione ai moti quasi-periodici è importante. Nei primi anni del ’900 la formulazione più avanzata della condizione (1.54) è stata fornita da Einstein e copriva il caso dei sistemi classicamente integrabili. Solo recentemente sono state scoperte delle generalizzazioni della (1.54) applicabili a sistemi generici. • Per l’oscillatore armonico la (1.54), in accordo con l’ipotesi di Planck, dà il risultato En = nω = nhν, che per l’esattezza differisce da quello corretto della meccanica quantistica solo per una costante. • Per l’atomo di idrogeno, la (1.54) dà il risultato corretto, ottenuto da Bohr. • Come è noto, p dq è “un invariante adiabatico”. In altri termini, se uno o più parametri presenti nel sistema variano lentamente col tempo, l’integrale su un periodo del moto rimane invariante. Si noti che per variazioni sufficientemente lente, il moto del sistema è approssimativamente periodico per molti periodi, e perciò l’integrale p dq è ben de finito. Il fatto che p dq sia un invariante adiabatico, è fondamentale per la consistenza della condizione di Bohr-Sommerfeld, (1.54). Altrimenti, non avrebbe senso proporre tale condizione come condizione universale. Basta pensare due sistemi che differiscono poco nei parametri (massa, profondità del potenziale, etc.). • Notiamo per chiarezza che, in generale, la (1.54) non è esatta in meccanica quantistica, ma risulta essere approssimativamente valida nel limite semi-classico. L’ultimo tassello mancante, per così dire, alla formulazione della meccanica quantistica fu il concetto che la dualità onda - corpuscolo, scoperta per la luce e successivamente per gli elettroni (per es. l’esperienza di Davisson-Germer (1927)), fosse in realtà valida per tutte le particelle elementari (de Broglie, 1925). In particolare, ad ogni particella di impulso p, va associata una sorta di onda (onda di de Broglie) di lunghezza d’onda λ= h p (1.55) (de Broglie). Questa relazione, pur semplice, è di fondamentale importanza. de Broglie fu in grado di dare una “derivazione” della formula di Bohr e Sommerfeld a partire dalla (1.55). Inoltre, la consistenza dell’ipotesi (1.55) implica che ad ogni particella va associato un “pacchetto d’onda”. La velocità della particella va associata alla velocità di gruppo di quest’ultimo (e non la velocità di fase). In altre parole il lavoro di de Broglie offrì una prima chiave per interpretare e quantificare l’inconsueta idea della dualità onda - corpuscolo. 1.B Meccanica Analitica In questa sezione diamo un breve riassunto di alcuni aspetti rilevanti della meccanica classica. 1.B.1 Formalismo Lagrangiano L’equazione di Newton per una particella è dp/dt = F (1.56) CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 16 dove p è l’impulso (o quantità di moto); F è la forza cui la particellla in questione è sottoposta. Se la forza è conservativa si può scrivere F = −∇V (1.57) V è l’energia potenziale. Dalle eqs. (1.56) e (1.57) segue la legge di conservazione dell’energia totale E = T + V ; T = p2 /2m = mṙ2 /2 (energia cinetica). (1.58) Inoltre, se il potenziale è a simmetria sferica, V (r) = V (r) è conservato anche il momento angolare L = r × p. Nel formalismo Lagrangiano della mecccanica di Newton, la quantità fondamentale è la Lagrangiana L = L(qi , q̇i ; t) = T − V considerata come una funzione delle coordinate generalizzate qi , i = 1, 2, . . . , s, delle loro derivate temporali q̇i , e del tempo t. Data la Lagrangiana, l’equazione del moto è: ∂L d ∂L − = 0, ∂qi dt ∂ q̇i i = 1, 2, . . . (1.59) (eq. di Eulero-Lagrange). L’equazione di Eulero-Lagrange segue dal principio di minima azione. L’azione S è definita da t2 S≡ L(qi , q̇i ; t). (1.60) t1 Le equazioni (1.59) si ottengono imponendo la stazionarietà di S rispetto ad una variazione arbitraria delle funzioni qi (t), con la condizione che i loro valori, ai tempi iniziali e finali qi (t1 ), qi (t2 ), siano tenuti fissi. In formule: δS|δq(t1 )=δq(t2 )=0 = 0, (1.61) Nota: Il valore dell’azione dipende dalla traiettoria, ovvero dalle funzioni, qi (t). In altre parole, S è un funzionale di qi (t). La dimostrazione delle affermazioni precedenti è lasciata come esercizio. Lo strumento fondamentale è il seguente teorema. Teorema: Se Z t2 dt η(t)F (t) = 0, (1.62) t1 dove F (t) è una funzione continua in (t1 , t2 ); η(t) è una funzione qualsiasi continua insieme alla sua prima derivata nello stesso intervallo, tale che η(t1 ) = η(t2 ) = 0, allora F (t) = 0, t 1 ≤ t ≤ t2 . (1.63) 1.B. MECCANICA ANALITICA 17 Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che F (t0 ) > 0; t1 < t0 < t2 . Siccome la funzione F è continua, esiste un intervallo di t, [ξ1 , ξ2 ] (ξ1 < t0 < ξ2 ) dove F (t) > 0. Prendiamo una funzione 8 > t1 ≤ t ≤ ξ1 , <0, η = (t − ξ1 )2 (t − ξ2 )2 , ξ1 ≤ t ≤ ξ2 , (1.64) > : 0, ξ 2 ≤ t ≤ t2 , che soddisfa le condizioni richieste. Per tale η si trova però Z t2 Z ξ2 dt η(t)F (t) = (t − ξ1 )2 (t − ξ2 )2 F (t) > 0, t1 (1.65) ξ1 che è una contradizione. Osservazioni • L’equazione di Eulero-Lagrange è invariante (in forma) per cambiamenti arbitrari delle coordinate generalizzate, qi (t) → Qi (t) = Qi ({qi (t)}; t). Queste trasformazioni sono chiamate trasformazioni puntuali. • La formulazione del principio di minima azione risulta molto proficua per successivi sviluppi in fisica teorica. (Sistemi relativistici, teoria dei campi, il formalismo dell’integrale sui cammini di Feynman della meccanica quantistica, ecc.) • La Lagrangiana per un dato sistema fisico non è univoca, ma ha un’arbitrarietà del tipo, L(q, p; t) → L(q, p; t) = L(q, p; t) + dF (q, t) . dt (1.66) Infatti, l’azione cambia secondo la relazione S → S = S + F (q2 , t2 ) − F (q1 , t1 ) : (1.67) ma allora segue, ricordando la condizione al contorno δq1 = δq1 = 0, che δS = δS. (1.68) Come esempio particolarmente significativo scriviamo la Lagrangiana nel caso di una particella interagente con un campo elettromagnetico esterno: L= m ṙ2 q + ṙ · A − q φ(r). 2 c (1.69) dove 1 ∂A . (1.70) c ∂t L’ultimo termine della (1.69) è semplicemente l’energia elettrostatica. L’equazione di EuleroLagrange dà2 q q m r̈i + Ȧi = −q ∂i φ + ṙj ∂i Aj . (1.71) c c B = ∇ × A, E = −∇φ − 2 Qui e nel seguito verrà generalmente usata la convenzione di Einstein: si sottintende una somma sugli indici ripetuti. CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 18 Esplicitando la derivata temporale nel primo termine: ∂ d Ai = Ai + ṙj ∂j Ai , dt ∂t e raccogliendo termini, si ha 1 ∂ m r̈i = −q ∂i φ + Ai + c ∂t 1 ∂ Ai + = −q ∂i φ + c ∂t q ṙj (∂i Aj − ∂j Ai ) = c q q ṙj ijk Bk = q Ei + (ṙ × B)i , c c (1.72) (1.73) che è l’equazione di Newton, con il termine di forza di Lorentz. Il potenziale vettoriale A e il potenziale scalare φ sono definiti a meno di transformazioni di gauge 1 ∂f A → A + ∇f ; φ→φ− ; (1.74) c ∂t sotto le quali E, B sono invarianti, mentre la Lagrangiana si trasforma con ΔL = q d f (q(t), t) . c dt (1.75) In virtù di quanto è stato osservato precedentemente le equazioni del moto rimangono invariate per tali transformazioni. 1.B.2 Formalismo Hamiltoniano Nel formalismo Lagrangiano le variabili indipendenti sono le coordinate qi , i = 1, 2, . . . , s. Infatti si ottiene una descrizione completa di un sistema ad s gradi di libertà risolvendo s equazioni differenziali del secondo ordine. Nell’equazione di Eulero-Lagrange le derivate parziali sono prese come se qi e q̇i fossero indipendenti, ma questo è solo un aspetto formale. Infatti, nel derivare l’equazione di Eulero-Lagrange, le variazioni considerate indipendenti sono solo le δqi , mentre δ q̇i (t) ≡ (d/dt)δqi (t). Nel formalismo Hamiltoniano (detto “canonico”), il numero delle variabili indipendenti è raddoppiato (2s). Le coordinate qi e gli impulsi coniugati pi sono ambedue variabili indipendenti, e in più appaiono in maniera (quasi) simmetrica nell’equazione del moto. L’Hamiltoniana è definita da: H(qi , pi ) ≡ pi q̇i − L(qi , q̇i ), (1.76) i dove pi ≡ ∂L . ∂ q̇i (1.77) La (1.76) è un esempio di trasformazione di Legendre. È inteso che l’eq.(1.77) è risolta per q̇i , cioè q̇i = q̇i (pj , qj ) e che la dipendenza di H da qi , pi al primo membro di (1.76) è intesa in 1.B. MECCANICA ANALITICA 19 tal senso. Le equazioni del moto che seguono da (1.76) e dall’equazione di Eulero-Lagrange sono: ∂H ∂H q̇i = ; ṗi = − , (i = 1, . . . s), (1.78) ∂pi ∂qi (equazioni di Hamilton o equazioni canoniche). Osservazioni • Nell’esempio semplice L = (1/2) m ṙ2 − V , H è data da p2 +V : 2m l’Hamiltoniana rappresenta l’energia del sistema. H= • Le equazioni canoniche sono invarianti per una classe molto grande di trasformazioni di variabili dette trasformazioni canoniche, vedi par. 1.B.4. • Sebbene il numero delle equazioni sia raddoppiato rispetto al formalismo Lagrangiano, esse sono ora equazioni differenziali (in t) del primo ordine: il numero delle condizioni al contorno (2s) è invariato rispetto al formalismo Lagrangiano (s equazioni del secondo ordine). • Lo stato del sistema è specificato da un punto nell’iperspazio 2s− dimensionale {q, p} ( spazio delle fasi ); l’evoluzione del sistema è rappresentata dal movimento del punto in questo spazio. Scriviamo l’Hamiltoniana per una particella carica che si muove in un campo elettromagnetico esterno φ(r), A(r). q H = [ p − A(r, t) ]2 + q φ(r, t) + V (r), (1.79) c V indica un eventuale potenziale meccanico aggiuntivo. Il campo elettrico, E e quello magnetico B sono dati dalle (1.70). Per transformazioni di gauge (1.74) E, B sono invarianti. L’Hamiltoniana non è invariante, ma si può dimostrare che esiste una trasformazione canonica (vedi par.1.B.4) che riporta le equazioni di moto nella forma originale. L’equazione di moto che segue dalla (1.79) è la (1.73). L’ interazione con il campo vettoriale è rappresentata da una sostituzione formale p → p − qc A(r, t) nel termine cinetico, questo tipo di interazione è noto come accoppiamento minimale. 1.B.3 Parentesi di Poisson L’evoluzione temporale di una variabile generica nel formalismo Hamiltoniano viene elegantemente descritta in termini delle parentesi di Poisson. La parentesi di Poisson tra due variabili generiche f = f (qi , pi ; t), g = g(qi , pi ; t) è definita come s ∂f ∂g ∂f ∂g . (1.80) − {f, g} ≡ ∂qi ∂pi ∂pi ∂qi i=1 L’evoluzione di una variabile f è df dt = ∂f + ∂t i=1 = ∂f + ∂t i=1 s s ∂f ∂f q̇i + ṗi ∂qi ∂pi ∂f ∂H ∂f ∂H − ∂qi ∂pi ∂pi ∂qi = ∂f + {f, H}. ∂t (1.81) CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 20 L’equazione del moto di una quantità fisica qualsiasi è dunque data - a parte la dipendenza esplicita dovuta ad eventuali parametri esterni - dalla sua parentesi di Poisson con l’Hamiltoniana. Dalla definizione (1.80) seguono le parentesi di Poisson fondamentali: {qi , pj } = δij ; {qi , qj } = 0; {pi , pj } = 0. (1.82) Riportiamo le proprietà principali della parentesi di Poisson, facilmente verificabili dal lettore: {f, g} = −{g, f }; {qi , f } = ∂f /∂pi ; {f1 + f2 , g} = {f1 , g} + {f2 , g}; {f, c} = 0 (c = cost.); {pi , f } = −∂f /∂qi ; {f1 f2 , g} = f1 {f2 , g} + f2 {f1 , g}; {{f, g}, h} + {{g, h}, f } + {{h, f }, g} = 0 1.B.4 (Identità di Jacobi). (1.83) Trasformazioni canoniche Il formalismo canonico ammette un’ampia classe di cambiamenti di variabili. Le trasformazioni del tipo, {qi , pi } → {Qi (q, p; t), Pi (q, p; t)} (1.84) che lasciano invariata la forma delle equazioni canoniche, cioè tali che Q̇i = ∂ H̃ ; ∂Pi Ṗi = − ∂ H̃ , ∂Qi (i = 1, . . . s), (1.85) sono chiamate trasformazioni canoniche. Per studiare quali trasformazioni hanno questa proprietà, e qual’è la relazione tra l’Hamiltoniana originale e quella nuova, possiamo ripartire dal metodo variazionale. L’azione può essere riscritta come (1.86) S = Ldt = ( pi q̇i − H)dt, e l’equazione del moto segue dal principio di minima azione ∂H d ∂H ( δqi + δpi )]dt 0 = δS = [ (δpi q̇i + pi δqi ) − dt ∂q ∂pi i i i ∂H ∂H )δpi + (−ṗi − )δqi ]dt. = [ (q̇i − ∂pi ∂qi (1.87) Ricordando che, nel formalismo canonico, δqi e δpi sono indipendenti si ha che in effetti le equazioni canoniche seguono dalla (1.87). Una trasformazione canonica deve essere allora tale che dF S = dt( pi q̇i − H) = dt( Pi Q̇i − H̃ + ) (1.88) dt 1.B. MECCANICA ANALITICA 21 dove F è una funzione delle coordinate, degli impulsi e di t. Supponiamo che F sia del tipo, F = F1 (q, Q; t). Poiché ∂F1 dF1 ∂F1 ∂F1 Q̇i ) + ( q̇i + = , dt ∂q ∂Q ∂t i i i (1.89) le relazioni tra le variabili nuove e quelle vecchie si ottengono uguagliando i due membri di (1.87): ∂F1 (q, Q, t) ; ∂Qi ∂F1 (q, Q, t) H̃(Q, P ) = H(q, p) + . ∂t pi = ∂F1 (q, Q, t) ; ∂qi Pi = − (1.90) (1.91) La seconda equazione (1.90) va risolta rispetto a qi , fornendo qi = qi (Q, P ; t), che sostituito nella prima relazione dà pi = pi (q, Q; t) = p̃i (Q, P ; t). La (1.91) infine dà la nuova Hamiltoniana. In breve, data una arbitraria funzione F1 (q, Q; t), il cambiamento delle variabili e dell’Hamiltoniana definito da (1.90) e (1.91), è tale che le equazioni del moto in termini delle nuove variabili sono ancora della forma (1.85). La funzione F1 (q, Q) è detta funzione generatrice della trasformazione. 1 Consideriamo ad esempio F1 = i qi Qi . In questo caso si ha pi = Qi ; , Pi = −qi ; , ∂F ∂t = 0 e quindi H̃(Qi , Pi ) = H(qi , pi ) = H(−Pi , Qi ). È da notare che in questa trasformazione, il ruolo delle coordinate e degli impulsi è stato scambiato! Ci sono altre specie di trasformazioni canoniche, classificate a seconda del tipo di funzione generatrice usata, F2 (q, P ; t); F3 (p, Q; t); F4 (p, P ; t); (1.92) i.e., secondo la dipendenza da nuove o vecchie variabili. Una trasformazione di seconda specie può essere introdotta attraverso una di prima specie, F2 (q, P ; t) = F1 (q, Q; t) + Qi Pi ; con: Pi ≡ − i ∂F1 . ∂Qi (1.93) La trasformazione in questo caso è: pi = ∂F2 (q, P, t) ; ∂qi Qi = ∂F2 (q, P, t) ; ∂Pi H̃(Q, P ) = H(q, p) + ∂F2 (q, P, t) . ∂t P Esempio 1. F2 = i Φi (q, t)Pi Questo corrisponde alle trasformazioni puntuali, Qi = Φi (q, t). P Esempio 2. F2 = i qi Pi Questo corrisponde alla trasformazione identica, Qi = qi ; pi = Pi ; H̃ = H, come è facile verificare. P Esempio 3. F2 = i qi Pi + ψ(q, P ), con 1. (Trasformazioni infinitesime) Questa funzione generatrice dà luogo alla trasformazione (considerando i termini fino all’ordine O()), CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 22 Qi pi ∂ψ(q, p) ∂ψ qi + ∂Pi ∂pi ∂ψ(q, p) ∂ψ Pi + Pi + , ∂qi ∂qi qi + (1.94) cioè, δqi = ∂ψ(q, p) ; ∂pi δpi = − ∂ψ(q, p) ∂qi (1.95) Osservazione L’evoluzione temporale di un sistema è descritta dai cambiamenti, dqi = ∂H dt; ∂pi dpi = − ∂H dt, ∂qi (1.96) secondo le equazioni del moto. L’evoluzione dinamica è perciò una successione di trasformazioni canoniche infinitesime, con H (l’Hamiltoniana) come funzione generatrice. In seguito vedremo che anche in meccanica quantistica l’Hamiltoniana (più precisamente la quantità corrispondente, l’operatore Hamiltoniano) gioca un ruolo centrale nella descrizione dell’evoluzione temporale del sistema (i.e. l’equazione di Schrödinger.) 1.B.5 Equazioni di Hamilton-Jacobi È opportuno menzionare qui un’altra formulazione indipendente della meccanica Newtoniana, che sarà utile per illustrare la relazione tra la meccanica classica e la meccanica quantistica. Nel formulare il principio di minima azione, l’azione S è vista come funzionale delle traiettorie qi (t) a fisse condizioni al bordo. Possiamo però calcolare S sulla traiettoria classica al variare della posizione finale, q, e del tempo t: S= dtL = ( pi q̇i − H)dt = (qi ) pi dqi − t dt H = S(qi , t), (1.97) i in questo modo S viene a dipendere da qi , t. Dalla (1.97) segue ∂S = −H(qi , pi ); ∂t pi = ∂S ; ∂qi (i = 1, 2, . . . s) (1.98) combinando queste equazioni, si ottiene una singola equazione ∂S ∂S(q, t) , t) = 0. + H(qi , ∂t ∂qi (1.99) la (1.99) è chiamata equazione di Hamilton-Jacobi. La funzione S è chiamata funzione principale di Hamilton. È notevole il fatto che la singola equazione (che è tuttavia una equazione differenziale nonlineare, in generale difficile da risolvere) è equivalente alle s equazioni di Eulero-Lagrange o alle 2s equazioni canoniche. (vedi Landau-Lifshitz, Vol.1 o Goldstein, “Meccanica Classica”.) 1.B. MECCANICA ANALITICA 1.B.6 23 Invariante adiabatico Un concetto importante nelle discussioni generali dei sistemi in cui uno o più parametri esterni variano lentamente, e che ha giocato un ruolo chiave nello sviluppo della meccanica quantistica, è quello di invariante adiabatico. Consideriamo un sistema con un moto periodico. La traiettoria nello spazio delle fasi p(q) - la soluzione delle equazioni del moto - è una curva chiusa. Supponiamo ora che uno o più parametri del sistema, indicati con α, varino col tempo. La traiettoria p(q, α(t)) non sarà più periodica, ma se la variazione di α(t) è sufficientemente lenta, la traiettoria resterà per molti periodi approssimativamente una curva chiusa. In tale situazione potremo definire ancora l’integrale su un periodo I(α) ≡ dq p. (1.100) Si può dimostrare in maniera generale che I(α) è invariante, ı.e., non dipende3 dal tempo t. Invece di dimostrare il teorema in generale, consideriamo l’esempio di un pendolo di massa m e di braccio L, appeso ad una carrucola, di modo che la lunghezza del braccio può essere modificata accorciando (o allungando) lentamente il filo (Fig. 1.7). Per piccole ampiezze, come è noto, l’oscillazione orizzontale del pendolo è approssimativamente descritta da un oscillatore armonico (x ≡ L θ) H= 1 1 1 m ẋ2 + m g L (1 − cos θ) = m ẋ2 + m ω 2 x2 + . . . . 2 2 2 dove ω= g . L (1.101) (1.102) La soluzione dell’equazione del moto è x(t) = A sin (ω t + ϕ). (1.103) L’energia dell’oscillatore è H=E= p2 1 1 + m ω 2 x2 = m ω 2 A2 . 2m 2 2 (1.104) Lasciamo come esercizio per il lettore verificare che per un oscillatore I(L) = 2 π E . ω (1.105) Ora supponiamo di tirare su (o lasciare andare giù) il filo lentamente. Come variano l’energia e la frequenza? La variazione della frequenza è data esplicitamente dalla (1.102) δω = − ω δL 2 L (1.106) 3 Per essere più precisi se la variazione dura un tempo T , dando luogo ad una variazione finita Δα ∼ α̇T del parametro, allora la variazione di I(α) è dell’ordine di ΔI ∼ α̇Δα e tende quindi a zero quando α̇ → 0 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 24 θ L Figura 1.7: Esemplificazione di una trasformazione adiabatica per un pendolo. La variazione dell’energia (1.104) è più difficile da vedere, perché sia A che ω variano. Per calcolarla, occore sapere il lavoro richiesto alla forza esterna per tale processo. La tensione media del filo è data da T = m g cos θ m g − 1 1 mg 2 x + ... m g θ2 + . . . = m g − 2 2 L2 (1.107) Facendo uso della soluzione (1.103) si trova perciò T = mg − m g A2 . 4 L2 Il lavoro richiesto per accorciare il braccio del pendolo di δL è dunque δW = T δL = m g δL − m g A2 δL. 4 L2 (1.108) Tuttavia non tutto il lavoro è utilizzato per aumento dell’energia dell’oscillatore: il primo termine non è altro che il lavoro necessario per innalzare il centro di massa del pendolo di δL, i.e., per aumentare l’energia potenziale. L’aumento cercato per l’energia dell’oscillatore è dunque m g A2 δE = − δL. (1.109) 4 L2 Segue che δE δL =− . (1.110) E 2L Usando questo risultato e la (1.106) si ha E = const. ω (1.111) assicurando così l’invarianza adiabatica di I(L), eq.(1.105). Questo esempio, in questo contesto, è stato per la prima volta proposto da Einstein nel primo Congresso Solvay. 1.B. MECCANICA ANALITICA 1.B.7 25 Teorema del viriale Un teorema di singolare importanza, che appare ripetutamente in vari problemi di moti finiti, è il teorema del viriale. Consideriamo una particella che si muove in un potenziale, V (r), Dalle equazioni del moto di Newton si ha: m r̈ = −∇V (r), ⇒ m r · r̈ = −r · ∇V (r). Prendiamo ora la media temporale di questa equazione nell’intervallo, (−T /2, T /2) . Un’integrazione per parti dà 1 T /2 (1.112) m r · ṙ|T /2 − m ṙ2 = −r · ∇V (r). T Se il moto è finito, il primo termine tende a zero nel limite T → ∞: risulta allora m ṙ2 = r · ∇V (r), (1.113) cioè la media del termine cinetico è uguale alla media di 12 r · ∇V (r) (teorema del viriale). Nelle molte applicazioni pratiche V è una funzione omogenea di grado ν ed il teorema di Eulero sulle funzioni omogenee implica r · ∇V (r) = νV (r). (1.114) In questo caso la eq.(1.113) fornisce direttamente una relazione fra il valor medio dell’energia cinetica e quello dell’enegia potenziale 1 2 ν mṙ = V (r) 2 2 (1.115) CAPITOLO 1. INTRODUZIONE 26 Problemi 1.A Problemi Problema 1.1. Effetto Compton e cinematica relativistica. Si consideri lo scattering di un raggio X su un elettrone in quiete. Il raggo X di lunghezza d’onda λ è considerato come un fascio di fotoni, ciascuno con energia hν e impulso p = hν/c, dove ν = c/λ. Siano X X mv pe = 1 − v 2 /c2 q e mc2 Ee = 1 − v 2 /c2 l’impulso e l’energia dell’elettrone nello stato finale, e chiamiamo φ e ψ gli angoli che formano le velocità finali del fotone e dell’elettrone, rispetto alla direzione incidente. Il fotone ha energia e impulso finali hν e hν /c. (vedi Fig. 1.8). s e Fig. 1.8 Effetto Compton. • Si usi la conservazione dell’ impulso per trovare la relazione 2 2 2 mv hν hν hν hν cos φ. + −2 = c c c c 1 − v 2 /c2 • Si usi la conservazione dell’energia e la formula precedente per ottenere: ν = ν 1 + (2hν/mc2 ) sin2 (φ/2) • Si dimostri che la lunghezza d’onda λ del raggio X emesso nella direzione φ soddisfa λ − λ = 2h sin2 (φ/2) mc (Formula di Compton; h/mc = 2.42 · 10−10 cm si chiama lunghezza Compton dell’elettrone) • Si calcoli l’energia dell’elettrone Ee nello stato finale, in termini di ν e di φ. Si calcoli Ee per λ = 10−9 cm e φ = π/2. (m = 9.1 · 10−28 gr quindi mc2 = 8 · 10−7 erg). Problema 1.2. Si consideri un atomo d’idrogeno (1 protone + un elettrone; mp 1836 me ). • Si calcoli la massa ridotta (e si concluda che possiamo usare mridotta me ); • Si risolva l’equazione del moto (classico) me r(dθ/dt)2 = (e/r)2 , assumendo r costante; • Sia θ(t) = 2πνt + δ. Si determini ν facendo uso di me = 9 · 10−28 gr, r = 5 · 10−9 cm, e2 = 2 · 10−19 erg · cm; 1.A. PROBLEMI 27 • Si calcoli hν, dove h è la costante di Plank (h = 7·10−27 erg·sec) e lo si paragoni con kT per T = 273o K, dove k è la costante di Boltzman (k = 1 · 10−16 erg · K−1 ). Dimostrare che i gradi di libertà associati agli elettroni sono “congelati” a T ∼ 0o C e giustificare il calcolo del calore specifico dei solidi, fatto senza tener conto degli elettroni. Problema 1.3. Si costruiscano quantità che abbiano la dimensione di una lunghezza, facendo uso di [me ], [c], [h] e [e2 ]. Problema 1.4. Si dimostri la formula I = 2d¨2 /3c2 per l’intensità di energia irradiata per unità di tempo da un dipolo elettrico. Problema 1.5. Sono state osservate (all’inizio del XXo secolo) le seguenti linee spettrali per un atomo (in cm−1 ): ν̃1 = 82258.27 ν̃5 = 15232.97 ν̃9 = 7799.30 ν̃6 = 20564.57 ν̃4 = 105290.58 ν̃10 = 2469 ν̃8 = 5331.52 ν̃3 = 102822.84 ν̃2 = 97491.28 ν̃7 = 23032.31 (1.116) dove ν̃ = 1/λ è l’inverso della lunghezza d’onda (“numero d’onda”). (i) Si trovino tutti gli esempi della regola di combinazione di Ritz. (Per es., ν̃7 − ν̃5 = ν̃9 ); (ii) Si dimostri che tutte le linee corrispondono alle varie combinazioni di cinque termini spettrali; (iii) Si trovi una formula semplice per questi termini (tenendo conto del fatto che le considerazioni i) e ii) danno solo le differenze tra i termini).; (iv) Di che atomo si tratta? Problema 1.6. Si calcoli il numero di fotoni emessi al secondo da una sorgente di luce di 1 candela. Si assuma λ = 5600 Å. (Una sorgente di una candela emette luce con una potenza di 0.01 watt). Supponete che un osservatore guardi questa sorgente di luce, isotropa, a una distanza di 100 metri. Calcolate il numero di fotoni che entrano in uno dei suoi occhi al secondo; assumete che la pupilla abbia un diametro di 4mm. Osservazione: Poiché il numero di fotoni è così grande, non osserviamo alcun tremolio, anche se il flusso luminoso è piccolo per gli standard macroscopici. Problema 1.7. Una stella di prima magnitudo apparente, come la stella di Aldebaran, è facilmente visibile a occhio nudo e la si vede lampeggiare. Tale stella produce un flusso sulla superfice della terra di 10−6 lumen/m2 . Un lumen alla lunghezza d’onda di massima visibilità, che è di circa 5560 Å, corrisponde a 0.0016 watt. Si calcoli il numero di fotoni che entrano nell’occhio di un osservatore che vede una tale stella. Problema 1.8. Si verifichi che le equazioni di Eulero-Lagrange sono invarianti per trasformazioni puntuali. Problema 1.9. Si verifichi che le equazioni di Hamilton per una particella in campo elettromagnetico sono equivalenti alle equazioni di Eulero-Lagrange. 28 CAPITOLO 1. INTRODUZIONE Problema 1.10. Si verifichi che una trasformazione di gauge può essere riassorbita da un cambiamento canonico delle coordinate, lasciando così invarianti le equazioni di Hamilton. Problema 1.11. Dimostrare che se f e g sono costanti del moto, lo è anche {f, g}. (Teorema di Poisson). Problema 1.12. Dimostrare che il volume nello spazio di fase occupato da stati tra (qi , pi ) e (qi + δqi , pi + δpi ) rimane invariante durante l’evoluzione temporale dei sistemi. (Teorema di Liouville). Indicazioni bibliografiche Gli argomenti brevemente trattati in questo capitolo possono essere approfonditi dal lettore interessato consultando i diversi testi a disposizione in letteratura. Fra questi vogliamo segnalare il libro di Born e quello di Tomonoga citati in bibliografia. I libri di van Der Waerden e di Ter Haar contengono la traduzione inglese di alcuni degli articoli orginali della “old quantum theory”, in particolare in quello di Ter Haar si trova l’articolo di Franck ed Hertz, [Frank-Hertz], citato nel testo. L’articolo di Millikan si trova in [Millikan]. L’esperimento moderno sull’interferenza elettronica è riportato in [Tonomura]. Per quanto riguarda le questioni relative alla meccanica analitica alcuni fra i testi disponibili sono quelli di Landau-Lifshitz, quello di Goldstein, e quello di Arnold. Per l’elettromagnetismo classico si veda [Landau2]. Bibliografia [Arnold] V. I. Arnold: Metodi Matematici della Meccanica Classica, Editori Riuniti, 1979. [Born32] M. Born: Fisica Atomica, Boringhieri, (1968). [Frank-Hertz] J. Franck, G. Hertz: Verh. Dtsch. Phys. Ges. Berlin 16, 512, (1914). [Goldstein] H. Goldstein: Meccanica Classica, Zanichelli, (1971). [Landau1] L.D. Landau,E.M. Lifšits: Meccanica, Ed. Riuniti. [Landau2] L.D. Landau, E.M. Lifšits: Teoria dei Campi, Ed. Riuniti. [Millikan] R.A. Millikan: Phys. Rev D7, 355, (1916). [TerHaar] D. Ter Haar: The Old Quantum Theory, Ed. Pergamon Press, (1967). [Tomonaga] S. Tomonaga: Quantum Mechanics, vol. 1, Ed. North-Holland, (1968). [Tonomura] A. Tonomura, J. Endo, T. Matsuda, T. Kawasaki e H. Ezawa: Am. J. Phys.57, 117, (1989). [vanderWaerden] B.L. van Der Waerden: Sources of Quantum Mechanics, Ed. Dover, (1968). Capitolo 2 Principi della meccanica quantistica In questo capitolo sono introdotti i postulati principali e le leggi della meccanica quantistica. Lo stato quantistico è descritto da una funzione d’onda; le variabili dinamiche da operatori hermitiani; infine l’evoluzione temporale dello stato dall’equazione di Schrödinger. Le predizioni della nuova meccanica sono formulate in termini di probablilità che la misura di una variabile, in un dato stato, dia uno dei possibili valori. Questi ultimi sono autovalori del relativo operatore Hermitiano. 2.1 Lo stato quantistico e il principio di sovrapposizione La discussione dell’esperimento di Tonomura et. al., discussa nel Capitolo 1 è una conferma diretta della relazione di de Broglie, (1.55). Questi ci porta a definire uno stato quantistico non in termini di valori simultanei {p, q} delle variabili canoniche, come avviene in meccanica classica, ma con una sorta di onda. Infatti, abbiamo il primo Postulato Fondamentale della Meccanica Quantistica: lo stato è descritto da una funzione complessa stato quantistico ∼ ψ({q}, t) (2.1) chiamata funzione d’onda. Essa dipende dalle coordinate canoniche e dal tempo ma non dagli impulsi.1 La conoscenza della funzione d’onda equivale alla completa conoscenza dello stato quantistico. Essa permette di calcolare le probabilità di ottenere determinati risultati in qualsiasi tipo di misura, come sarà mostrato nel seguito. 1 Tale descrizione sembra introdurre la perdita della simmetria per lo scambio tra le coordinate e gli impulsi, che caratterizza il formalismo canonico della fisica classica. In realtà le leggi della meccanica quantistica hanno una completa simmetria per q ↔ p; l’apparente violazione di questa simmetria in (2.1) è dovuta alla scelta del linguaggio, alla particolare scelta della rappresentazione per lo stato quantistico, come sarà spiegato nei capitoli successivi. 29