Diocesi di Piacenza-Bobbio Ufficio Stampa: Servizio Documentazione Cattedrale – Concelebrazione Eucaristica Festa dell’Epifania del Signore Messa dei Popoli 6 Gennaio 2005 Messa dei popoli. La S. Messa vuole riunire i piacentini e gli immigrati intorno all'Eucaristia. Guida il canto la cappella Maestro Giovanni diretta dal M° M. Berzolla. Processione del pellegrinaggio dei Magi svolto dalla parrocchia di Rivalta. Liturgia della Parola. Isaia (60, 1-6); Efesini (3, 2-3.5-6); Matteo (2, 1-12). Dizionari. Libreria Editrice Vaticana. Presiede Mons. Luciano Monari Presentazione Padre Gianromano Gnesotto La festa dell’Epifania è la festa dei popoli che si riconoscono uniti in una unica appartenenza. Il nostro Papa, nel messaggio della Pace del 1° Gennaio, diceva: “L'appartenenza alla famiglia umana conferisce ad ogni persona una specie di cittadinanza mondiale, rendendola titolare di diritti e di doveri, essendo gli uomini uniti da una comunanza di origine e di supremo destino. Basta che un bambino venga concepito perché sia titolare di diritti, meriti attenzioni e cure e qualcuno abbia il dovere di provvedervi. La condanna del razzismo, la tutela delle minoranze, l'assistenza ai profughi e ai rifugiati, la mobilitazione della solidarietà internazionale nei confronti di tutti i bisognosi non sono che coerenti applicazioni del principio della cittadinanza mondiale” (ibidem n. 6). Oggi con questa festa il discorso si completa con il concetto e il valore di fratellanza mondiale. Gesù Cristo, nato nel tempo, ci rivela il volto di Dio e ci manifesta che Dio è Padre, padre di tutti, e dunque noi siamo tutti fratelli. Non ci sono distanze che posso non allontanare questa bella notizia. E il nostro cuore si incarica di ricordarcelo quando batte più forte per i fatti che chiedono solidarietà e aiuto. Introduzione Il Signore ha manifestato la sua salvezza e noi siamo invitati a contemplarla e ad accoglierla con l’amore e con lo sguardo della fede. Ci presentiamo davanti al Signore in questa Celebrazione della Epifania, per lasciare che la nostra vita sia illuminata dalla sua Parola e dalla forza che viene dal suo Amore. Presentandoci davanti a Lui confessiamo la meschinità del nostro cuore, le chiusure che sperimentiamo nei nostri sentimenti e desideri. Perché la festa che Celebriamo, come festa di apertura a tutti i popoli, allarghi anche il nostro cuore e lo renda gioioso e disponibile. Il Diacono dà lettura del seguente Annunzio 1 L’annunzio del giorno della Pasqua Fratelli carissimi, la gloria del Signore si è manifestata e sempre si manifesterà in mezzo a noi fino al suo ritorno. Nei ritmi e nelle vicende del tempo ricordiamo e viviamo i misteri della salvezza. Centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto, che culminerà nella domenica di Pasqua, il 27 marzo. In ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte. Dalla Pasqua scaturiscono tutti i giorni santi: le Ceneri, inizio della Quaresima, il 9 febbraio; l’Ascensione del Signore, l’8 maggio; la Pentecoste, il 15 maggio; la prima domenica di Avvento, il 27 novembre. Anche nelle feste della santa Madre di Dio, degli Apostoli, dei santi e nella commemorazione dei fedeli defunti, la Chiesa pellegrina sulla terra proclama la Pasqua del suo Signore. A Cristo che era, che è e che viene, Signore del tempo e della storia, lode perenne nei secoli dei secoli. Omelia –I– Gerusalemme è Madre 1. Il profeta Isaia vede un pellegrinaggio che fino dagli estremi confini della terra si muove verso Gerusalemme. Verrà il momento in cui tutti i figli di Israele ritornano, e Gerusalemme li riabbraccia come una madre. La città di Gerusalemme è edificata sul colle. Allora capita che quando al mattino il sole sorge da Oriente, dietro al Monte degli Olivi 1, viene illuminata per prima la città. Mentre intorno, le valli – la Valle del Cedron, la Valle di Hinnom – sono ancora nel buio, nella tenebra. E il profeta Isaia parte proprio da questa visione stupenda di una Gerusalemme all’alba: «1]Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce (…) [2]Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore» (Is 60, 1.2). Quello spettacolo che il Profeta poteva contemplare al mattino lo interpreta in modo spirituale. Non è solo il sole che sorge da oriente che illumina Gerusalemme, è quel sole che è il Signore stesso con il suo amore e la sua misericordia, con la benevolenza che ha usato verso il suo popolo. Dice Isaia: «su di te risplende il Signore», è Lui la luce. E si capisce che, dal punto di vista spirituale, il mondo appaia così al Profeta: Gerusalemme che conosce Dio, illuminata. Le nazioni, che ancora non lo conoscono, nel buio, nelle tenebre. E il Profeta vede un pellegrinaggio che fino dagli estremi confini della terra si muove verso Gerusalemme, invita “quindi la città a sollevare gli occhi e a guardare”: «I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. [5]A quella vista sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te» (Is 60, 3.4-5). Il significato è preciso se voi ricordate che, quando questo Profeta scrive, i figli di Israele sono ormai nella diaspora 2, cioè sono dispersi, dispersi in vari luoghi: in Mesopotamia, in Egitto, in Asia Monte degli Olivi. Collina alta 830 metri, circa 1 Km ad est di *Gerusalemme, sul lato opposto alla valle del *Cedron. Nell’AT è menzionato nella storia di *Davide (2 Sam 15, 30.32) e in Zc 14, 4. Nei Vangeli si dice che a volte Gesù vi passava la notte (cf Gv 8, 1-2); contemplando il *tempio da quella collina, pronunciò il discorso *escatologico (cf Mt 24, 3 e par.); dopo l’*ultima cena, Gesù e i suoi discepoli “uscirono verso il monte degli ulivi” (Mt 26, 30; Mc 14, 26) e lì, o meglio nell’orto che si estendeva nella sua parte inferiore, andarono a cercarlo *Giuda e una folla mandata dai suoi nemici (Mc 14, 43 e par.). Da qui, Gesù ascese al cielo (At 1, 12). 2 Diaspora. (Gr “dispersione”). Applicato inizialmente agli Ebrei deportati sotto gli Assiri (722 a.C.) ed i Babilonesi (597 a.C.), il termine finì per designare tutti gli Ebrei viventi fuori della Palestina (Gv 7, 35), di cui un milione circa vivevano in Alessandria al tempo di Gesù. La traduzione dell’AT cosiddetta dei “Settanta” è opera di Ebrei di lingua greca della Chiesa di Alessandria. L’annuncio cristiano fuori della Terra Santa avvenne in un primo tempo in sinagoghe ebraiche (At 9, 19-20; 11, 19; 13, 5.14-44; 17, 12, ecc.). Con la distruzione del Tempio e il progresso del Cristianesimo, 1 2 Minore… praticamente in tutto il bacino del Mediterraneo, ormai si sono dispersi. E questa dispersione degli Ebrei è per il Profeta un segno di debolezza e di miseria e di povertà. Ma verrà il momento in cui tutti i figli di Israele ritornano, e Gerusalemme li riabbraccia come una madre che aveva perduto i suoi figli e li ritrova, gli vengono riportati. Quindi la gioia di una “Gerusalemme Madre” 3. –II– Il Messia nasce a Betlemme 1. Il Vangelo vede un pellegrinaggio verso la «luce», e con gli Ebrei si mescolano anche dei pagani, e la meta non è più Gerusalemme ma Betlemme. Ma madre di chi? Nell’ottica del profeta Isaia, madre dei figli di Israele, madre degli Israeliti. Ma se voi leggete il Vangelo vi accorgete che c’è qualche cosa di sorprendente. Il pellegrinaggio c’è, vengono da lontano, vengono da Oriente, ma “sono pagani” 4; e sono guidati da una «stella». La stella era stata annunciata da un profeta, ma stranamente un profeta pagano, era Balaam che aveva annunciato quella stella, un profeta che veniva dall’Est, non ebreo (cfr. Nm 24, 15-17). Allora accade qualche cosa di sorprendente: in questo pellegrinaggio verso la «luce» 5, con gli Ebrei si mescolano anche dei pagani, e la meta a questo punto non è più Gerusalemme, è spostata di otto chilometri, non è tanto, è spostata a Betlemme 6, è spostata in un luogo a parte. E accade nel Vangelo qualche cosa di sorprendente, che i pagani, guidati dalla stella, arrivano fino a Betlemme. Mentre Gerusalemme, e il «re Erode» 7, non si muove; sa, attraverso il profeta Michea, che il Messia deve nascere a Betlemme (cfr. Mt 2, 6; Mi 5, 1), ma non lo va a cercare, rimane lì. gli Ebrei della diàspora divennero più isolati e la loro religione si sviluppò nell’ebraismo talmudico del Medioevo e dei tempi moderni. Il NT usa invece il termine diàspora per i cristiani dispersi nel mondo e viventi in ambienti stranieri e alle volte ostili (Gc 1, 1; 1 Pt 1, 1). Le persecuzioni e emigrazioni dei tempi moderni hanno portato in larga scala una diàspora di Cristiani orientali. In Germania, la parola “diàspora” si riferisce a minoranze confessionali, sia di Cattolici che di Protestanti. 3 Gerusalemme Madre. (Gerusalemme Ebr “città di pace”). La città del re e sacerdote Melchisedech il quale benedisse Abramo (Gn 14, 18-20). Situata in una posizione strategica sul Monte Sion e sulle colline circostanti, Gerusalemme fu una roccaforte della resistenza dei Gebusèi contro l’invasione degli Israeliti. Verso il 1000 a.C., Davide espugnò la città e ne fece la capitale del Regno di Giuda (2 Sam 5, 6-7). Salomone vi costruì un “tempio grandioso” (1 Re 6, 1-38), e Gerusalemme fu esaltata come la Città di Dio (Sal 48; 87). È, però, probabile che Salomone non abbia fatto altro che trasformare un santuario già esistente dei Gebusèi in una specie di cappella regale. Dopo la caduta nel 586 a.C. (2 Re 24-25), Gerusalemme divenne la patria verso cui sospiravano gli esiliati (Sal 137). Quando ritornarono, ricostruirono il Tempio (Cf Esd 3, 1-13; 4, 246, 22). Dopo la presa della città per opera dei Romani nel 64 a.C., Erode il Grande (che regnò dal 37 al 4 a.C.) costruì un Tempio ancora più maestoso. Gesù fanciullo visitò Gerusalemme e il suo Tempio (Lc 2, 22-38.41-50). Pianse sopra Gerusalemme (Lc 19, 41-44) e ivi morì crocifisso. I Romani distrussero la città nel 70 d.C. Al tempo della rivolta di Bar Kocheba (132-135 d.C.), ricostruirono Gerusalemme chiamandola Aelia Capitolina e proibirono agli Ebrei di ritornarvi sotto pena di morte. Gerusalemme è la Chiesa Madre e il luogo più importante di pellegrinaggio per tutti i cristiani. Fu riconosciuta come Patriarcato dal Concilio di Calcedonia (451). In Gerusalemme, la chiesa del Santo Sepolcro che abbraccia sia la tomba di Cristo sia il luogo del Calvario, manifesta le divisioni attuali dei cristiani e ha sei gruppi separati di cristiani che l’occupano: i Cattolici latini, i Greci Ortodossi, gli Armeni, i Siri, i Copti e gli Etiopici. Ci sono oggi tre patriarchi a Gerusalemme: quello Greco Ortodosso, quello Apostolico Armeno (= Ortodosso Orientale) e quello Latino. La “nuova” e “santa” città di Gerusalemme sarà la patria finale di tutti i beati (Gal 4, 25-26; Ap 3, 12; 21, 2.10). 4 “Sono pagani”. I Magi in origine era il nome di una tribù della Media o *Persia, che esercitava funzioni sacerdotali e poiché quei sacerdoti si dedicavano all’astrologia, scienza segreta, il nome si applicò successivamente sia a indovini e stregoni che a saggi. Mt 2, 1-12 li presenta come saggi, venuti da fuori, non appartenenti al popolo ebraico. Non dice che fossero tre e nemmeno che fossero re. Dato che i racconti dell’infanzia appartengono a un genere particolare all’interno del *vangelo, non è facile distinguere ciò che in questa narrazione è storico nel senso attuale del termine. L’intenzione di Mt è quella di presentare la cattiva accoglienza del *messia da parte del suo popolo, e il fatto che veniva a salvare tutti gli uomini, di cui questi non israeliti erano figura. 5 Luce. Nell’ambito religioso, la luce è un elemento *simbolico tra i più importanti. In un certo senso, la luce ricrea le cose nel trarle dal buio nel quale erano scomparse. Nelle *Lodi del mattino (vedi *Liturgia delle ore) si tiene presente questa nuova creazione dell’universo. La luce libera dall’incertezza che accompagna il camminare al buio. Per questo è simbolo della fede, con la quale percepiamo il senso delle cose e della vita stessa. Dio è luce: “Nella tua luce vediamo la luce”, dice il salmo 36 (35). Sono molto numerosi i passi dell’Antico e del Nuovo Testamento in cui si parla della luce e del suo contrario, le tenebre. Camminare nella luce è vivere secondo Dio; camminare nelle tenebre è il peccato. Questa chiarezza, questa luce, la dona in modo particolarmente diafano Cristo, culmine della *rivelazione di Dio. Lui stesso ha detto: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8, 12). Su questo simbolismo si basa la pratica liturgica di accendere ceri per le celebrazioni liturgiche (alla luce si aggiunge in questo caso il simbolismo del fuoco, anch’esso importante). In questo senso, la celebrazione più significativa è quella della *Veglia pasquale, durante la quale si benedice il cero e lo si porta in processione cantando: “Lumen Christi”, “La luce di Cristo”, o meglio “La luce che è Cristo” (cf NDL-P). Questo cero è presente durante tutto il *tempo pasquale (vedi anno *liturgico) e si accenderà nella celebrazione del *battesimo. Nel rito del primo sacramento, si dà al battezzato o ai suoi genitori la luce presa dal cero pasquale, con le parole: “Ricevete la luce di Cristo”. Infatti, Gesù dice ai suoi discepoli: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 14). Nei riti più significativi della Chiesa si accendono dei ceri: quando si legge solennemente il *vangelo, nei funerali, nella celebrazione eucaristica. Alla pietà popolare piace accendere delle candele, gesto che, colto nel suo senso simbolico, ha il suo valore. 6 Betlemme. Si suole interpretare il nome come “casa del pane”, anche se questa etimologia non è certa. Città a sette chilometri a sud di Gerusalemme, è la “città di Davide”. In essa, secondo Mt 2, 1 e Lc 2, 4.7, nacque Gesù. A quei tempi avrà avuto circa 2.000 abitanti, oggi ne ha circa 30.000. 3 Si sperimenta quello che è uno dei drammi della storia dell’uomo e in fondo della storia della “elezione di Dio” 8. Il Signore chiama; quando chiama il Signore, ama con un amore di predilezione, di affetto. Però chi è amato, e chi è scelto, deve stare attento a non trasformare la vocazione e la elezione in privilegio, come se la elezione di Dio lo collocasse al di sopra degli altri, in una posizione di potere, dal punto di vista mondano o sociale o religioso… Perché nell’ottica della Scrittura l’elezione di Dio c’è: Dio si è innamorato di un popolo, e ha scelto quel popolo (Dt 32, 7-14). Ma non lo ha scelto perché quel popolo allontanasse da sé gli altri. Ma lo ha scelto come strumento, perché attraverso di lui l’amore e la predilezione di Dio diventasse universale, perché tutti gli altri popoli vedendo quel popolo e vedendo il suo rapporto con Dio e vedendo la sua fede e la sua carità venissero condotti a ricercare il Signore (cfr. 1 Tm 2, 4), appunto come i «Magi» del Vangelo. 2. L’elezione di Dio, che è partita da Israele, riguarda tutti i popoli della terra, nessuno escluso! Per questo san Paolo nella seconda lettura, parla di un disegno di Dio misterioso, ma adesso rivelato. Il disegno è questo: l’elezione di Dio, che è partita da Israele, riguarda tutti i popoli della terra; nessuno escluso! (cfr. Ef 3, 2-3.5-6). Quando il Signore aveva chiamato Abramo, gli aveva detto: «in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12, 3). E il popolo di Israele doveva servire per questo. Era necessario che l’elezione riguardasse un popolo particolare. Era necessario perché l’amore, per essere rivelato, ha sempre bisogno di predilezione. La formula dell’amore è: “tu sei per me unico al mondo”; e Dio ha detto questo a Israele (cfr. Es 19, 5-6). Ma non perché Israele disprezzasse gli altri, ma perché al contrario quell’amore che ha ricevuto lo diffondesse su tutti i popoli. –III– Dio è la Luce 1. La luce di Dio ci ha illuminato! Ma evidentemente a noi oggi non interessa riflettere semplicemente su Israele, ma interessa riflettere su di noi. Non c’è dubbio che voi potete dire: «la gloria del Signore splende sopra di noi» (Is 60, 1), la luce di Dio ci ha illuminato! E non c’è dubbio: che abbiano conosciuto l’amore di Dio come un cristiano, non ce ne sono persone sulla faccia della terra. Perché l’immagine di “un Dio che si fa uomo e muore sulla croce per noi” (cfr. Rm 5, 8) ha qualche cosa di impressionante, di unico. E noi questa luce l’abbiamo, l’abbiamo ricevuta: «Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi» (1 Gv 4, 16). Erode il Grande. (nota “n” Bibbia TOB). Nacque verso il 73 a.C.; figlio di Antipatro, maggiordomo di Giovanni Arcano II (63-40), fu nominato nel 47 stratega della Galilea e poi della Celesiria, e nel 40 re della stessa Giudea da parte del senato romano. Nel 37 s’impadronì di Gerusalemme, stermino gli Asmonei, e ricevette da Augusto la Traconitide, la Batanea e l’Auranitide. Abile politico e grande costruttore di città ellenistiche, s’appoggiò al partito dei farisei; mori nel 4 a.C., la cui nascita può essere fissata due anni prima. Collegando Erode con Gesù, Matteo annunzia il conflitto che opporrà alle autorità ufficiali il vero re e salvatore del suo popolo (Mt 1, 21; 2,2). Un altro tema matteano è il seguente: colui che le autorità del popolo respingono viene adorato dalle nazioni pagane, rappresentate dai Magi. 8 Elezione. Nella Bibbia, l’assegnazione che Dio, di sua iniziativa, fa di una missione a una determinata persona. Sono famose le grandi elezioni, che vanno costituendo la trama nello sviluppo della storia della salvezza; elezione di un popolo, di *Abramo, di *Giacobbe, di *Mosè, di *Davide, di *Samuele, di ognuno dei profeti, di *Giovanni Battista, di *Maria, dei dodici… L’eletto può accettare o rifiutare l’elezione o realizzare indegnamente la missione per la quale è stato eletto, come fu il caso, ad esempio, di Saul. 7 4 E non c’è dubbio che questo amore è una luce, che la nostra vita viene illuminata e arricchita da questo. Ma bisogna stare molto attenti a non trasformare questo dono in privilegio, a non prendere il dono del Signore, la fede che abbiamo ricevuto, la conoscenza del suo amore, come se questo ci mettesse al di sopra degli altri, o se ci allontanasse dal cammino degli altri. Al contrario, quello che abbiamo ricevuto, non l’abbiamo ricevuto per noi, appartiene a tutti. L’amore di Dio è per tutti gli uomini! «[4] Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 4). Se dunque tu questo amore lo hai conosciuto, è perché tu ne gioisca, ma perché tu ne faccia gioire anche gli altri; perché tu ne diventi testimone, e perché attraverso la tua vita, illuminata, la conoscenza di Dio arrivi a tutti gli uomini, senza esclusione di nessuno, senza escludere nessuna cultura, nessuna tradizione, nessuna storia, nessuna razza se le razze esistono… niente per tutti. Il senso della festa della Epifania è questo. 2. Se lasciamo che la rivelazione che abbiamo ricevuto illumini la nostra vita, l’effetto è che «siamo in comunione gli uni con gli altri». Rimarrebbe l’ultima cosa da dire: in che modo quella fede che abbiamo ricevuto può diventare testimonianza? E come può quindi diventare invito a credere all’amore di Dio rivolto a tutti gli uomini? C’è nella prima Lettera di san Giovanni una espressione molto bella che dice: «[5]Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che ora vi annunziamo: Dio è luce e in lui non ci sono tenebre (…) [7]Ma se noi camminiamo nella luce, come Egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, suo Figlio, ci purifica – ci perdona, ci libera – da ogni peccato» (1 Gv 1, 5.7) Notate, dice: «Se noi camminiamo nella luce», cioè se lasciamo che la rivelazione che abbiamo ricevuto illumini la nostra vita, l’effetto è che «siamo in comunione gli uni con gli altri». Allora è chiarissimo: se voi volete che la vostra vita diventi luce, «siate in comunione gli uni con gli altri». Vogliatevi bene, «siate un cuore solo e un’anima sola» (At 4, 32). Non badate solo al vostro interesse ma anche a quello degli altri, condividete le gioie e le sofferenze, gioite quindi con chi gioisce e piangete con chi piange. Se fate questo la vostra vita diventa “luce”: è illuminata da Dio ma illumina di riflesso, come la Luna che anche lei illumina solo di riflesso ma illumina davvero. La nostra vita deve andare in quella direzione. Non quella dell’assorbire la luce come se fosse patrimonio monopolizzabile, ma comunicarla e trasmetterla attraversa una vita che sia fatta di comunione fraterna, di quell’amore che la rivelazione di Dio ci ha fatto conoscere. Siamo quindi ormai al termine delle feste del Natale, di contemplazione dell’amore di Dio. Ecco, questo lo possiamo prendere come invito alla consapevolezza e alla responsabilità: che quello che abbiamo contemplato, quello in cui crediamo, lo riusciamo a fare nostro, ma nel momento in cui riusciamo a farlo nostro, lo testimoniamo anche e lo doniamo a tutti, senza escludere nessuno, senza trasformare il dono in un possesso geloso, ma comunicandolo perché è l’unico modo attraverso cui il dono di Dio può diventare davvero anche ricchezza e salvezza per noi. &&&&&&&&&&&&&&&&&& &&&&&&&&&&&&&&& Al termine della Celebrazione Eucaristica il Vescovo ha manifestato i ringraziamenti. 5 Esprimiamo un ringraziamento grande alla parrocchia di Rivalta. La loro presenza qui è per noi uno stimolo a fare della nostra vita un pellegrinaggio alla ricerca del Signore; questo significano i Magi e questo significa la loro presenza in mezzo a noi. Che il Signore li benedica e dia a loro di trovare quello che loro hanno cercato con questa rappresentazione. Che il Signore dia a noi di essere stimolati nella stessa ricerca e desiderio. La benedizione che chiediamo al Signore è anche l’avvio al cammino dell’anno liturgico verso la Pasqua, come ci è stato annunciato. * Cv. Documento rilevato come amanuense dal registratore, scritto in uno stile didattico e con riferimenti biblici, ma non rivisto dall’autore. 6