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Tropico d'Australia
Darwin e il Top End Northern Territory.
“Hey mate (amico), qui ci si diverte un mondo!” Così vi sentirete dire dalla miriade di
ragazzi che giungono da ognidove per girare questa meraviglia di paese in lungo e in largo.
Dopo Tasmania, Melbourne e la Great Ocean Road, con la spettacolare visione dei dodici
apostoli - icona dello stato di Victoria ritenuta una delle meraviglie del pianeta - raggiungo
il Northern Territory ansioso di visitare il Top End, la leggendaria regione tropicale che
racchiude alcuni dei parchi più famosi del continente Australia, come il Litchfield o il
Kakadu, patrimonio dell’Umanità protetto dall’Unesco. Canguri, dingo, varani, coccodrilli e
grossi volatili di ogni genere lungo piste color vermiglio che - grazie alla wet season - solcano
lussureggianti foreste di un verde intenso, mentre sulla costa intricate mangrovie e palme
da cocco orlano l’infinita catena di spiagge da poster, immacolate e del tutto deserte. La
stessa Darwin, città multirazziale, vibrante e di tendenza, attestata tra le dieci città al
mondo da visitare nel 2012, rappresenta una base d’eccezione sia per la dimensione
vacanziera da easy life che per la quantità di splendide escursioni nel suo immediato
outback dominato dalla cultura aborigena. Rasa al suolo dai caccia bombardieri giapponesi
nel 1942, gli stessi di Pearl Harbour, e dal ciclone Tracy nel giorno di Natale del 1974,
Darwin è stata completamente ricostruita in chiave funzionale e piacevolmente moderna.
Da ex città di frontiera, abitata perlopiù da pescatori, camionisti, aborigeni e hippy, oggi
raduna circa cinquanta nazionalità diverse con un’alta percentuale d’immigrati provenienti
dai paesi asiatici. Sede delle principali compagnie di noleggio camper, Darwin è il luogo in
cui perdersi e ritrovarsi, in uno dei paesaggi più vari, esaltanti e pionieristici che Madre
Natura possa offrirci, da “estasi perpetua”: generosa miscela fra giungla, oceano e deserto,
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dove la filosofia itinerante è una ragione di vita.
I pericoli dell’Outback
A metà novembre (primavera australiana) mi trovo davanti al Visitor Centre di Darwin con
gli amici Liz e Peter giunti appositamente da Cairns a bordo del loro mansardato Kea
Endeavour di 7 metri, costruito in Nuova Zelanda su meccanica Ford Transit 2700.
Partiamo subito verso la penisola di Cox a 130 km, alla ricerca di un aereo precipitato anni
prima e lasciato nella foresta come cimelio. La strada che esce da Darwin è la Stuart
Highway, la stessa che attraversa tutta l’Australia centrale in un coast to coast di circa 3000
km. Cosa straordinaria di questo grande territorio è la varietà di paesaggi e situazioni:
appena fuori dai centri abitati il traffico scompare e si respira subito la natura selvaggia di
un altro universo, vegetale e animale, popolatissimo; purtroppo le carcasse di animali
travolti lungo le strade sono frequenti, soprattutto giovani canguri, e bisogna prestare
attenzione. E’ il motivo per cui molti veicoli sono dotati di una robusta struttura frontale,
detta bullbar. La stretta lingua d’asfalto termina a Wagait Beach, in cima alla penisola.
Spiaggia e mare superbi, ma con l’accesso “tappezzato” da cartelli che avvisano di non
immergersi e di stare lontani dalla riva, frequentata dai temibili coccodrilli estaurini (il più
grande rettile vivente: 7 m e 1300 kg) e da box jellyfish, un genere di medusa altrettanto
mortale.
E’ tardo pomeriggio e col camper cerchiamo comunque la posizione più idonea a bordo
spiaggia, per scattare alcune foto che ne esaltino il paesaggio. Dopo la breve sosta Liz
ingrana la retromarcia e il fondo che pareva ben solido si apre di colpo, con le ruote che
sprofondano in una polvere di sabbia fine come talco. Proviamo con pala e legni sotto i
pneumatici ma niente da fare. In aggiunta, scopriamo di essere finiti sul suolo dei nativi
Wagait per le urla di un aborigeno ubriaco che minaccia di spararci: “I kill you!”. Ma poi,
piano, piano, diventiamo quasi amici. Telefoniamo al soccorso stradale, essendo però
venerdì sera e il luogo sperduto, ci chiedono duemila dollari. Rifiutiamo rimandando il
problema all’indomani, rassegnati a passare la notte al margine della spiaggia, nella
speranza che non piova o ancor peggio non capiti una di quelle predette alte maree che
potrebbe raggiungere il camper. Per l’agognato caffè in spiaggia facciamo girare una
potente torcia che identifica da lontano i coccodrilli, grazie al particolare riflesso dei loro
occhi. All’alba lungo la strada fermiamo un gippone guidato da Mark, il quale accetta di
aiutarci sotto compenso. Prova a trainarci ma si piega pure la barra del suo mezzo, quindi
torna con trattore, pala, asce, fune e per 500 dollari ci sbroglia da quella “fottutissima”
situazione. A onor del vero ne aveva chiesti 100, ma quando Liz si è fatta sfuggire che gli
altri ne volevano 2000, il prezzo in automatico è lievitato.
Litchfield National Park
Di nuovo liberi di muoverci, raggiungiamo il vicino molo di Mandorah, da dove il Sea Cut
Ferry fa la spola con l’attracco di Cullen Bay a Darwin, ben visibile oltre lo stretto.
Localizziamo la zona dell’aereo, chiamato Usaf Liberator, ma la pista all’interno è tutta un
pantano, impraticabile, e rinunciamo. Tornati sulla Stuart Hwy verso sud, dopo
l’aeroporto-museo di Coomalie Creek, che colleziona aerei della seconda guerra mondiale,
giriamo a destra per Batchelor, l’unico abitato alle porte del Litchfield National Park, uno
dei parchi più belli del Top End. Passiamo la notte indisturbati nel parcheggio del Town
Centre di Batchelor, una sorta di primitivo hangar in lamiera ondulata col portico, che
racchiude la posta, i bagni pubblici e un fornito supermercato. Tenete presente che al
distributore attiguo il prezzo del carburante è parecchio inferiore a quello praticato dalla
stazione posizionata sulla strada principale, a un paio di chilometri.
L’ingresso al parco, gratuito, lo troviamo a una quindicina di chilometri e dopo altri venti
c’è la prima attrazione importante, la Magnetic Termite Mounds, che raduna centinaia di
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giganteschi e strani termitai. Anche se ai lati di tutta la strada si ergono termitai di ogni
forma e misura, questi sono diversi. A parte l’enorme Cathedral, la star del parco che ha
raggiunto i 5 m d’altezza in 50 anni di vita, la passerella dal lato opposto consente di
osservare la distesa di termitai alti, piatti e allineati come soldati di terracotta che
attraversano la vallata. Tutti girati nello stesso modo, in un’opera d’ingegneria naturale che
obbliga a riflettere e a documentarci per cercare di capire meglio quest’altro mistero della
natura. E’ sbalorditivo che milioni di minuscoli insetti abbiano innalzato i loro templi lungo
un asse nord-sud “magnetico” allo scopo di proteggere le colonie dal calore intenso del sole.
Proseguiamo e dopo 7 km giriamo nell’unica laterale a destra che in breve sale al Buley
Rockhole, una serie di piscine scolpite nella roccia con l’acqua chiara che salta da una
all’altra formando tanti idromassaggi naturali. Il parco sorge su un altipiano circondato da
scarpate rocciose. Continuando a salire, dopo un paio di chilometri la strada termina nei
pressi del belvedere collocato sopra alle roboanti Florence Waterfalls, un magnifico salto di
due cascate gemelle che vanno a riempire l’enorme incavo sottostante in cui è possibile
nuotare. Per arrivare a bagnarci scendiamo una ripida scalinata di rocce piuttosto
impegnativa. Tornati sull’unica strada che percorre il parco, in 15 km e una scarpinata di
500 m giungiamo alla piattaforma che consente la veduta aerea delle Tolmer Falls, un getto
d’acqua che scivola da un’alta parete verticale e riempie il profondo bacino. Non è però
consentito bagnarsi, a salvaguardia delle colonie di Orange Horseshoe e Ghost, le rare
specie di pipistrello che popolano la grotta semi-sommersa a lato della cascata.
Ancora 8 km verso l’interno e siamo alle Wangi Falls (pronuncia "uon-gai"), l’attrazione più
scenografica del Litchfield e anche quella di più facile accesso. L’habitat da foresta pluviale
ci dona l’immagine di un luogo idilliaco per eccellenza, di rara bellezza da sembrare irreale.
Le due cascate formano un’ampia laguna di acque chiare in cui è piacevole immergersi,
esplorare il fondale e nuotare fin sotto il getto che ci scroscia addosso. Un sentiero conduce
fin sopra le cascate e il chiosco nel parcheggio serve bibite e sandwich. Per un pasto più
“umano” a 4 km ci si può rilassare al Cafè Latitude, nei pressi del Safari Camp.
Mary River National Park
Dopo un paio di giorni in giro per il Litchfield prendiamo la Arnhem Hwy per Jabiru, strada
che ci porta dritti ad altre mille visioni da poster. Sulla via, eloquente il cumulo di bottiglie
di birra vuote attorno alla tomba di un giovane posta sul ciglio della strada, un'ultima
sbornia in memoria dell’amico perito in un incidente. La deviazione alle spalle della collina
del Window on the Wetlands, osservatorio sulle terre che verranno sommerse dalle
imminenti piogge monsoniche, ci conduce all’Adelaide River da dove partono le escursioni
per la jumping crocodile cruise, il modo più sicuro e comodo per vedere i coccodrilli nel loro
ambiente naturale. Diventa uno show unico quando il marinaio dal battello allunga una
canna con appesa la carne ed enormi coccodrilli balzano fuori dall’acqua per afferrarla con
incredibili salti nel vuoto. Tornati sulla via principale, la seconda laterale a sinistra in 20
km di pista d’arenaria color ruggine, che contrasta magnificamente col verde della foresta e
l’azzurro del cielo, ci porta al selvaggio capolinea di Corroboree Billabong, un’ansa interna
del Mary River riservata alle Houseboat, case galleggianti che le famiglie utilizzano per
andare a pescare principalmente grossi barramundi, il pesce simbolo del Top End. Lo
spettacolo della natura circostante è garantito: bufali, dingo, cinghiali, colonie di grossi
volatili e schiere di canguri e wallaby (marsupiali più piccoli) che saltellano liberi a bordo
pista, per nulla intimoriti. Anche qui come altrove rimproverano chi si avvicina troppo alla
riva per il reale pericolo di coccodrilli sia d’acqua dolce che salmastra: “Don’t risk your life”.
Gli operatori stanno fissando e chiudendo tutto a regola d’arte, oggi è l’ultimo giorno
lavorativo, torneranno a maggio. A breve le piogge saranno talmente abbondanti da alzare
il livello dell’acqua di 4-5 metri, allagando tutta la regione.
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Kakadu National Park
Poco dopo il ponte sul Mary giusta pausa al Burk Hut Inn di Annaburroo, rustico saloonpub con l’arredo in stile western, compreso il biliardo, le teste di bufalo appese alle pareti e
il cavallo meccanico da rodeo. Qui si fa benzina, si cena con bistecche di canguro, si gioca,
si beve e si canta. E’ l’ultimo luogo dov’è possibile acquistare birre, poiché nel Kakadu non
servono alcolici. Passiamo la notte nel Caravan Park sul retro, tra storici gipponi
ammaccati, utilizzati dai primi pionieri per dirigere le mandrie di bufali di questa regione
nota per i suoi vasti allevamenti di bestiame. Sulla deserta Arnhem Road due grandi scritte
ai lati dell’ingresso al Kakadu Park citano World Heritage Area, patrimonio archeologico,
etnologico e naturalistico che si estende per 20.000 kmq (quanto la Puglia), e il cartello
appresso riporta Welcome to the Aborigenal Lands, tuttora proprietari e gestori del parco.
Il Bowali Visitor Centre, quartier generale del parco nei pressi di Jabiru, è la sosta obbligata
per l’ufficio ticket (25A$, valido 14 giorni), ma anche per rilassarsi all’An-me Cafè e per
raccogliere più informazioni possibili sulle caverne d’arenaria dipinte dagli antenati del
Dreamtime: opere rupestri tra le più importanti al mondo. Ci rechiamo subito a Ubirr per
vedere le raffigurazioni di animali, tra cui il Tilacino, una sorta di tigre estintasi un migliaio
di anni orsono, e il Serpente Arcobaleno del Paleolitico. Saliamo poi la ripida scalinata
esterna del belvedere, dal quale si gode un’ampia veduta sulle piane alluvionali
dell’Arnhemland, la più grande e inesplorata terra aborigena d’Australia (100.000 kmq,
come il nord Italia), uno stato nello stato: ancora oggi l’accesso è disciplinato da un decreto
degli antichi proprietari e non è facile ottenerne il permesso. Qui è nato il mitico didgeridoo,
l’autoctono strumento a fiato.
La mattina seguente prendiamo la Kakadu Hwy verso sud e a breve entriamo nel celebre
sito circolare di Nauralangie Rock, le cui grotte conservano i resti di pitture datate 20.000
anni, raffiguranti spiriti e immagini che forniscono informazioni utili sulla cultura
aborigena attraverso i secoli. Poco distante, si torna a una natura spettacolare con la
navigazione sulle acque paludose delle Yellow Waters, che si snoda tra foreste vergini,
mangrovie, ninfee e il frastuono di un’avifauna esuberante: aironi, cicogne, aquile,
pellicani, emù, megachirotteri (volpi volanti, sugli alberi a testa in giù), oltre a clamidi,
varani, coccodrilli e persino cavalli selvatici detti brumbies. Luogo arcaico straordinario: la
bellezza del creato che si lascia toccare, vivere. Alle cascate Jim Jim e Twin, all’interno di 60
km, dobbiamo invece rinunciare: la pista è chiusa a causa delle piogge; optiamo per la
Kakadu Air dall’aeroporto di Jabiru East, per vivere l’emozione di osservarle dall’alto, con
vedute mozzafiato che ci fanno quasi dimenticare il costo dell’aereo. Durante la stagione
monsonica, da ottobre a maggio, le cascate sono ricche d’acqua che scorre abbondante,
mentre nel resto dell’anno il paesaggio del Top End non è così verde e lussureggiante, bensì
arido e brullo. All’uscita dal parco, birra e rifornimento alla Roadhouse Mary River prima
di fare ritorno a Darwin via Pine Creek. Purtroppo il tempo a disposizione sta per scadere,
ma in questo straordinario paese spero davvero di tornarci presto!
Il cibo delle sei stagioni aborigene
L’abbondanza di cibo naturale rende il Top End un luogo veramente unico. A cominciare
dalla cognizione delle stagioni: dove noi distinguiamo solo due grandi momenti climatici
annuali, la stagione secca e quella delle piogge, gli aborigeni ne vedono sei. Ognuna offre
risorse naturali differenti, utili al proprio nutrimento:
Gunumeleng (metà ottobre - fine dicembre), iniziano i primi temporali estivi e gli animali si
radunano attorno ai billabong (pozze d’acqua) rendendo più facile la caccia.
Gudjewg (gennaio - marzo) è la stagione monsonica, i fiumi straripano e abbondano pesci,
ninfee e uova di oche gazze.
Banggerren (aprile), la fine delle piogge, tempo di crostacei di fiume, gamberetti, anatre e
radici di yam, il dolce tubero della Dioscorea villosa.
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Yegge (maggio - metà giugno), inizia il clima secco, si abbassa il tasso di umidità, è la
stagione del miele selvatico delle api Emydura e del riso incolto del tipo Zizzania.
Wurrgeng (metà giugno - metà agosto), cuore della stagione secca, clima mite, il periodo
più “freddo”: tartarughe, goane (varanidi), noci acquatiche e le onnipresenti ninfee.
Gurrung (metà agosto - metà ottobre), le temperature si alzano, quindi tartarughe dal collo
di serpente, volpi volanti e ofidi diventano le leccornie stagionali.
Per maggiori informazioni:
Enti Turismo Top End
Darwin Visitor Centre (tel. 08-89806000)
www.centralaustraliatourism.com
www.australia.com/it
Kakadu National Park (tel. 08-89381120), Bawali Visitor and Cultural Centre, a 5 km da
Jabiru
Litchfield National Park (tel. 08-89760292), Batchelor Information Office, Tarkarri Rd.,
www.litchfieldnationalpark.com
Katherine Gorge (tel. 08-89710877), Nitmiluk Visitor’s Centre www.krta.com.au
Documenti utili:
Passaporto con validità residua di 6 mesi assieme all’e-visitor visa, che si può richiedere
tramite internet.
Giò Barbieri
17 gennaio 2013
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