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2 pubb plagron
sommario
NUMERO SETTE
NOVEMBRE/DICEMBRE 2007
Giardinaggio Indoor
www.giardinaggioindoor.it
[email protected]
Pubblicazione e distribuzione gratuita
---------------------------Responsabile di redazione
Michel Venturelli
Caporedattore
Massone Giada
Redazione
Massone Giada
Michel Venturelli
Cantabrina Glauco
Manzilli Clementina
Lodi Lidia
Roccatagliata Giustina
Collaboratori di redazione
Noucetta Kehdi
William Texier
Mal Lane
Andrea Sommariva
Christian Cantelli
---------------------------Contatti
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Pubblicità
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Giardinaggio Indoor è una pubblicazione
bimestrale a distribuzione gratuita edita da
Michel Venturelli
Casella Postale 207
6500 Bellinzona 5
Svizzera
---------------------------Giardinaggio Indoor è disponibile presso i
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MCK Bio-Gardening (LI)
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Greentown Biogardening Growshop (MI)
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I contenuti della pubblicazione sono di proprietà
dell’editore, nessuna parte della rivista può
essere utilizzata senza espresso consenso
dell’editore.Le opinioni contenute nella
pubblicazione ed espresse negli articoli dai
giornalisti partecipanti alla redazione sono da
considerarsi personali e non necessariamente
condivise dall’editore.
Foto copertina: Denis Grachev
Foto pagina 3 : Stephanie Raines
SOMMARIO
EDITORIALE
4
GLI ORMONI NELLE
PIANTE
5
IDROPONICA ED
ECONOMIA
7
TEST: LE COMPRESSE
DI CO2
10
PIANTE CARNIVORE
18
NEWS
24
L’ESPERTO RISPONDE
28
LA REDAZIONE SEGNALA 30
Editoriale
a cura della Redazione
Arriva, o dovrebbe arrivare, la stagione fredda: bisogna correre ai ripari e trasferire la nostra coltivazione in interni.
Spero abbiate tutti provveduto all’usuale pulizia della growroom o della serra e al controllo di tutta la stumentazione, come ricorda spesso il nostro esperto, per assicurare un inverno tranquillo alle vostre piantine.
A valutare dal numero delle email che riceviamo è davvero sempre più evidente che tantissime persone si stanno
organizzando per rendersi indipendenti nella produzione ortofrutticola, ma anche delle piante verdi o dei fiori
preferiti, e non si parla solo degli addetti ai lavori ma soprattutto di appassionati che ritagliano il loro spazio di
benessere quotidiano nella cura delle piante.
Piccole serre, growroom, growbox, angoli di casa vengono allestiti per dare la possibilità al privato di capire,
vedere, toccare con mano in ogni fase della crescita e seguire il ciclo di sviluppo esattamente come può fare il
professionista.
Ma come funzionano davvero le piante, di cosa sono composte, di che tipo di sensi sono dotate? Possiamo dare
una prima occhiata interessandoci ai misteriosi ormoni, spesso sentiti nominare e di cui ancora tanto abbiamo
da imparare, nel chiaro compendio dedicato principalmente all’auxina, sostanza dai molteplici impieghi che tanto
influisce sullo sviluppo vegetale.
Per restare negli argomenti che destano interesse e curiosità, pubblichiamo su questo numero la prima parte di
una completissima ed esaustiva guida alle piante carnivore, a cura dell’esperto Fabio d’Alessi, dell’ A.I.P.C (Associazione Italiana Piante Carnivore): pur avendo spesso fama di piante difficili da curare o con esigenze particolari,
scopriremo che si tratta di un genere molto vasto con specie alla portata di ogni principiante.
Non dimenticate di visitare il sito ufficiale, www.aipcnet.it, di cui vorremmo segnalare la ricca sezione dedicata ai
blog degli appassionati ( http://www.aipcnet.it/blog ) ricca di foto, suggerimenti e report di coltivazione.
Foto: Verdona Team, 2007
G
GLI ORMONI NELLE PIANTE
prima parte
di Siglinde from Hesi
Gli ormoni degli esseri umani e degli
animali sono sostanze particolari,
che causano grandi reazioni anche
in piccole quantità e che vengono
prodotte da speciali ghiandole ma
hanno effetto altrove.
Un esempio lampante sono gli
ormoni sessuali maschili e femminili, detti estrogeni e androgeni,
o gli ormoni della tiroide: queste
sostanze non solo influenzano le
nostre reazioni fisiche, ma anche il
nostro comportamento sociale e i
nostri pensieri.
Anche le piante hanno ormoni, come
tutti abbiamo scoperto leggendo le
etichette dei prodotti radicanti per
talee.
In realtà quelli delle piante sono differenti da quelli animali, ma il ruolo
che svolgono è fondamentalmente
lo stesso.
La produzione invece avviene
in maniera differente e, se negli
uomini è prodotta da ghiandole
preposte, è possibile indicare
solo in maniera generica la zona
della pianta che li produce, situata
nell’apparato radicale e in quello
foliare.
Si tratta di agenti molto mobili, che
possono essere trasportati pressochè da qualunque via all’interno
della pianta.
Ci sono cinque differenti gruppi di
ormoni:
-le auxine
-le gibberelline
-le citochinine
-l’acido abscisico
-l’etilene
Gli ormoni hanno molte funzioni, ed
è praticamente impossibile parlare
di uno senza parlare dell’altro a
causa della grande interazione e
interdipendenza.
Questi agenti si combinano, influenzano la produzione degli altri
ormoni, regolano specifiche e
complesse funzioni e sono in gran
parte responsabili della velocità di
sviluppo della pianta.
zione alla grandezza della porzione
di stelo) possiamo fare alcune osservazioni:
AUXINA
A- L’auxina è presente nell’estremità
non trattata: il trasporto ha avuto
luogo.
E’ l’ormone della crescita che utilizziamo solitamente come stimolatore della radicazione, noto
anche come acido indolacetico, ed è
prodotto dai meristemi del fusto, del
fiore, del seme, del frutto allo stadio
iniziale dello sviluppo, delle foglioline giovani.
Viene trasportato fino all’apparato
radicale direttamente attraverso le
cellule, senza percorrere un canale
principale, come accade anche in
altre funzioni primare della pianta,
ad esempio con l’acqua carica di
nutrienti assorbita dai peli radicali e
trasportata al fusto attraversando le
pareti cellulari.
IL SENSO DELL’ORIENTAMENTO
B- Se capovolgiamo il tutto la
migrazione dalle foglie alle radici
continua correttamente, anche se
ora l’ormone deve risalire lo stelo
anzichè discendere.
C- Se poniamo la gelatina trattata all’estremità dove si trovano le
radici il passaggio non avviene e il
procedimento si blocca.
D- Se teniamo la gelatina con
l’ormone nella posizione delle radici
e capovolgiamo il tutto, il processo
non ha comunque luogo.
Ogni cellula della pianta riconosce la posizione esatta delle foglie
Un esperimento
permette di capire in che modo
l’auxina si muove.
Prendiamo un
pezzo di stelo o
di radice, immergiamo l’estremità
superiore in una
gelatina trattata
con auxina e poniamo l’altra in un
contenitore con la
stessa gelatina,
questa volta non
trattata.
Ricordiamo che
l’auxina va posizionata nella
parte opposta alle
radici, a simulare la naturale
produzione a
carico delle foglie/
frutti.
Trascorso un po’
di tempo (variabile in propor-
5
e delle radici, ha un suo ‘ senso
dell’orientamento’ ed è dotata di
due poli con una precisa collocazione all’interno del sistema.
Non è dunque l’ormone a percorrere
una via piuttosto dell’altra, ma sono
le cellule a guidarlo nella giusta
direzione.
come abbiamo visto il flusso
dell’auxina può scorrere solamente
dalle foglie alle radici, e non viceversa, indipendentemente dal verso
in cui si pone lo stelo. Ogni cellula
lavora come una pompa che spinge l’ormone nella cellula attigua,
trasportandolo verso il basso.
COMUNICAZIONI ALL’INTERNO
DELLA PIANTA
Se vengono percepiti i fattori
ambientali adeguati alla proliferazione nella parte alta della pianta
la produzione di auxina aumenta,
promuovendo lo sviluppo di nuove
radici.
Nel caso i fattori ambientali non
siano positivi, ad esempio se
la luce non è sufficiente o c’è
un’infestazione in corso, l’apparato
preposto produrrà ed invierà meno
auxina alle radici.
Questa sorta di messaggio può
6
salvare la vita della pianta che,
percepito un rischio o un minore
apporto energetico, produce meno
radici e concentra le risorse per
fronteggiare il pericolo.
specialmente nella coltivazione
del grano: l’erba a sviluppo rapido
infatti assorbe più erbicida e muore,
mentre il grano, che ha una crescita
più lenta, sopravvive.
L’AUXINA NELL’INDUSTRIA
Questi erbicidi hanno lunga vita
prima di decomporsi e il rischio di ritrovarseli nel piatto è molto elevato.
La comune polvere radicante in
realtà non contiene auxina naturale, ma un composto chimico con
caratteristiche simili, che di fatto
‘inganna’ la pianta.
La parte dell’ormone deputata allo
sviluppo delle radici infatti viene
riconosciuta come tale e innesca la
reazione voluta, ma la materia che
contiene questa chiave non viene
riconosciuta dalle radici.
Non riuscendo a riconoscere questo
materiale estraneo la decomposizione avviene molto lentamente e
la polvere resta più a lungo, lavorando intensivamente.
Proprio per questa longevità si raccomanda di non utilizzare stimolanti
artificiali su piante adulte, che non
riuscendo a smaltire l’eccesso in
tempo per il raccolto finirebbero per
immettere sostanze chimiche nella
catena alimentare.
Sostanze simili all’auxina vengono
utilizzate anche come erbicidi,
I defoglianti tristemente noti utilizzati ad esempio durante la guerra in
Vietnam, come il famigerato ‘Agente
Arancio’, erano a base di auxina ed
erano in grado di rendere sterile il
terreno e di intossicare la popolazione al punto di provocare nascite di
bambini deformi anche a distanza di
anni.
Evidentemente una dose troppo elevata di ormone radicante ha un effetto decisamente opposto a quello
ottenibile utilizzando la corretta
quantità, lo si può verificare quando
malauguratamente immergiamo
una talea troppo in profondità nella
polvere radicante.
E’ importante cercare di evitare che
il prodotto attivo si attacchi attorno
allo stelo, intingendo solo la parte
inferiore affinchè l’auxina possa
penetrare senza eccessi di sorta.
IDROPONICA ED ECONOMIA:
PERCHE’ SI’, PERCHE NO.
di M.Bruna Zolin
Università di Venezia, Facoltà di Economia
Le coltivazioni senza suolo
L’imprenditore agricolo è definito,
dall’articolo 2135 del Codice Civile
(così come modificato dalla “legge
di orientamento” D.Lgs: 18 maggio 2001, n, 228), come colui che
esercita un’attività diretta alla
coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e
all’esercizio di attività connesse alle
precedenti.
Per coltivazione del fondo, per
silvicoltura e per allevamento del
bestiame si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un
ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere
vegetale o animale, che utilizzano
o possono utilizzare il fondo, il
bosco o le acque dolci, salmastre o
marine.
L’introduzione nella legislazione
attuale del “… possono utilizzare il
fondo…” fa sì che il legame un tempo indissolubile tra l’imprenditore
agricolo e il fondo sia ora venuto
meno.
Se le attività di allevamento (allevamenti intensivi), da oramai lunghi anni, hanno reciso il tradizionale
legame tra fattori produttivi terracapitale-lavoro è difficile pensare
che alcune coltivazioni vegetali,
indipendentemente dal quadro
giuridico, possano avvenire senza il
supporto del fattore terra.
E’ questa una delle innovazioni che
le colture idroponiche (coltivazione
delle piante in acqua) e aeroponiche (coltivazione delle piante in
aria) introducono.
La possibilità di coltivare le piante
in assenza del terreno non è recente: i giardini pensili di Babilonia
o i giardini degli aztechi in Messico
sono solo alcuni esempi.
Le colture senza suolo, per certi
versi assimilabili alle protette
(serre), si basano sulla modificazione dell’ambiente alle esigenze
specifiche della pianta. Il fuori suolo, inoltre, è una pratica colturale
che permette coltivazioni intensive
anche nel caso di suoli sono poco
produttivi e/o con problemi legati
alla fertilità o di scarsa disponibilità
del fattore terra come nel caso di
alcuni Paesi asiatici.
Ad ostacolare la diffusione del fuori
suolo, tuttavia concorrono:
la forte incidenza dei costi di
produzione che risultano elevati
(nonostante il risparmio del fattore terra) sia per quanto riguarda
l’acquisto dei fattori produttivi a
logorio parziale (strumenti, impianti) sia per quelli a logorio totale (fertilizzanti), se comparati ai
tradizionali metodi di coltivazione;
le tecniche ancora adatte a un numero piuttosto limitato di colture;
i problemi ambientali derivanti dal
riciclaggio degli input impiegati nella
coltivazione.
Le coltivazioni Idroponiche
L’idroponia è l’arte di far crescere
le piante nell’acqua. Può essere
definita come la tecnica che consente lo sviluppo delle piante senza
l’utilizzo del terreno, sostituito da
un mezzo più o meno inerte (quale
perlite, torba, pietra pomice, sabbia,
ecc.), al quale viene aggiunta una
soluzione nutritiva contenente gli
elementi necessari alla pianta.
Pur descritta da geroglifici egizi risalenti a prima di Cristo, l’idroponica
è diventata una tecnica a partire
dal 1930, quando uno studioso
dell’Università della California (W.F.
Geriche) applicò le proprie esperienze di laboratorio su vasta scala.
La prima applicazione pratica di
rilievo risale agli anni Quaranta
durante la seconda guerra mondiale.
I militari americani, operando
in zone molto disagiate, risolsero con l’idroponia il problema
dell’approvvigionamento degli
ortaggi freschi. Nonostante questa
parentesi, la tecnica non ebbe
grande diffusione.
La sperimentazione “necessaria” ha,
tuttavia, il pregio di dare il via alla
ricerca e allo sviluppo di una vasta
gamma di tecniche di coltivazione,
specialmente a partire dagli anni
Settanta, molte delle quali hanno
trovato un’estesa applicazione su
scala commerciale in diversi paesi.
I sistemi idroponici di maggiore successo sono quelli che si avvalgono di
un substrato che prevede l’impiego
di materiali alternativi al terreno
destinati a sostenere le piante. Tra i
più utilizzati si ricordano:
-La torba: deriva dalla decomposizione di alcune specie vegetali e si
caratterizza per problemi di smaltimento molto contenuti, considerata
la sua facile degradabilità, e per
bassi costi di impianto e di gestione;
-La perlite: è un particolare tipo di
roccia vulcanica, capace di espandersi sino 20 volte rispetto al
suo volume originario, ha un ottimo
drenaggio ed ossigenazione;
-La lana di roccia (o grodan): è
una roccia vulcanica (basalto), che,
opportunamente trattata, arriva
a raggiungere un volume circa 90
volte superiore a quello iniziale. Ha,
tuttavia, lo svantaggio di creare
notevoli problemi di smaltimento a
fine ciclo di coltivazione;
-La fibra di cocco: tra i più pratici
ed efficienti, è ecologica e riciclabile; a differenza della torba con il
passare dei mesi rimane soffice favorendo così un più facile sviluppo.
L’idroponia permette, dunque, di
recuperare aree di coltivazione
uno sguardo al fuori suolo nel
mondo per fare il punto della
situazione e valutare pro e contro
di una tecnica affascinante
svantaggiate nelle zone climatiche
sfavorite, di superare le difficoltà
legate alla diminuita fertilità dei
terreni, di ampliare i calendari
di raccolta con una continuità
dell’offerta e di ottenere una migliore standardizzazione del prodotto.
Per contro, gli ostacoli possono
essere sintetizzati in problemi di
natura economica e in problemi
ambientali e logistici.
Sotto il profilo economico si deve
ricordare che le attuali metodologie
idroponiche comportano sprechi di
terreno (le cosiddette tare improduttive), che possono arrivare
fino al 40-50% della superficie
protetta, elemento che, unito agli
elevati costi di realizzazione e gestione degli impianti, si traduce in un
non trascurabile aumento dei costi
di produzione.
Tra i fattori ambientali, il rilascio
nel terreno degli elementi chimici
inquinanti in seguito all’utilizzo di
soluzioni nutritive a perdere e il
difficile smaltimento dei materiali di
sostegno utilizzati sono i principali
ostacoli.
Rientrano tra i fattori logistici i
sistemi in grado di far fronte al
marciume radicale dovuto alla
carenza di ossigeno alle radici e alla
formazione di alghe. Altri problemi
sorgono poi nella preparazione tecnica degli addetti per la conduzione
della coltivazione.
Nonostante gli ostacoli descritti,
alcune potenzialità fanno presagire
un consistente sviluppo. Tra queste
si citano: i tassi crescenti di innovazione tecnologica, i progetti
di sviluppo per i Paesi in Via di
Sviluppo, la minor disponibilità di
terra per gli aumentati fenomeni di
desertificazione e di urbanizzazione.
Per diffondere e risolvere i problemi
che gli operatori agricoli incontrano
8
nella gestione delle coltivazioni
idroponiche si deve, tuttavia, poter
disporre di un adeguato servizio di
assistenza tecnica, capace di guidare gli agricoltori nell’applicazione
di questi nuovi sistemi e di mettere
a punto sistemi gestionali semplici
ed economicamente efficienti (capaci di ridurre l’elevato costo degli
investimenti e di formazione degli
operatori).
A livello mondiale, in anni recenti,
l’idroponica ha registrato grandi
progressi come mezzo di produzione
intensiva. Il paese leader è l’Olanda
che, oltre a destinare una notevole
superficie a tale tecnica colturale,
vanta un’indiscussa tradizione in
questo settore.
In Gran Bretagna, Francia, Belgio e
Giappone il senza suolo è una realtà
conosciuta.
In Spagna e Grecia è in fase di forte
espansione. Da alcuni anni anche in
Italia è cresciuto l’interesse verso
questi sistemi di coltivazione.
La superficie delle colture idroponiche di 40-50 ettari nel 1990, è
andata rapidamente aumentando.
Attualmente si stimano circa 400 ettari: le zone più importanti sono in
Veneto e in Trentino per la fragola,
in Sicilia ed in Sardegna per il pomodoro, in Toscana, Liguria, Lazio e
Campania per la gerbera e la rosa.
Coltivazioni Aeroponiche
L’aeroponia è una tecnica di coltivazione avanzatissima, con elevate
rese produttive. Le piante sono
poste su appositi pannelli forati
destinati solamente a sorreggere la
pianta.
Lo sviluppo e la crescita avvengono
in tubi di plastica attraverso i quali
passano le soluzioni nutritive: le
radici delle piante sono esposte
all’aria e non hanno alcun tipo di
contatto con substrati, naturali o
artificiali.
Il tempo di crescita della pianta,
indipendente dalle stagioni (ciclo
continuo), è lo stesso delle coltivazioni tradizionali in terra, però
senza interruzioni (nessun periodo
di riposo).
Contrariamente a quanto avviene
per l’idroponica, la coltivazione
aeroponica permette di utilizzare
l’intero volume della serra e di
modificare i parametri della soluzione nutritiva in modo da ottenere i
migliori risultati colturali.
Attualmente l’aeroponia è relativamente diffusa in Australia, in
Canada e in alcune regioni/aree
degli Stati Uniti mentre nei paesi
europei trova scarsissima adesione.
Presenta un elevato grado di innovazione e si presta alla soluzione di
singoli problemi. E’ di conseguenza
assente un riferimento omogeneo
capace di standardizzare i risultati
ottenuti e di trasferirli in un sistema
produttivo su larga scala e accessibile anche a persone di formazione
media.
Le potenzialità sono, tuttavia, molto
elevate. Le sue migliori applicazioni, anche in un’ottica di soluzione
di problemi gravissimi quali quelli
della malnutrizione, possono essere individuare nell’aumento della
produzione agricola in territori rocciosi o semidesertici.
A tal proposito la FAO (Food and
Agricolture Organization) ha promosso alcune importanti iniziative
al fine di esportare tale tecnica nei
Paesi in Via di Sviluppo, soprattutto
in quelli in cui l’acqua è una risorsa
molto scarsa.
L’Organizzazione privilegia, infatti,
lo sviluppo rurale e l’agricoltura,
individuando strategie a lungo ter
mine capaci di garantire la sicurezza alimentare, conservando le
risorse naturali.
Per il raggiungimento di tale obiettivo, tuttavia, numerosi ostacoli
devono essere ancora rimossi e la
tecnica rimane a titolo sperimentale.
Tra i principali ostacoli si annoverano:
-L’elevato costo degli impianti e
l’alto fabbisogno energetico, non
compensati dalle alte rese;
-I problemi di competizione luminosa tra le piante nei sistemi che
cercano di ridurre al massimo lo
spreco di superficie coltivabile;
-Lo scarso adattamento degli impianti e delle soluzioni nutritive in
relazione alle esigenze delle diverse
specie orticole e floricole coltivabili;
-La gestione e il controllo computerizzato della produzione difficilmente utilizzabili dall’operatore
agricolo di media professionalità.
Attualmente in Italia la coltivazione
aeroponica viene pratica sulle seguenti varietà vegetali:
pomodoro, peperone, melanzana,
zucchina, cetriolo, lattuga, radicchio,
cavolfiore, broccolo, basilico, salvia,
melone, fragola per le orticole;
garofano, rosa, crisantemo, iris,
tulipano, narciso, gladiolo, fresia,
gerbera per le floricole.
Nella foto il progetto della FAO sviluppato in Senegal per combattere il
degrado urbano e fornire strumenti
per il sostentamento delle famiglie
attraverso un progetto di idroponica
semplificata e orti doestici.
L’USO DELLA CO2
E LE RIVOLUZIONARIE PASTIGLIE A
LENTO RILASCIO
di C. Cantelli
Il test di Giardinaggio Indoor del
mese si occupa di un nuovo rivoluzionario tipo di pastiglie di anidride
carbonica a lento rilascio.
LA CO2
Innanzitutto è il caso di spendere
due parole sull’uso della CO2 per
una coltivazione domestica ed i
suoi benefici: tutte le piante sono
costituite da tre macro elementi
fondamentali, Idrogeno, Ossigeno e
Carbonio; I primi due elementi, presenti nell’acqua (composta da due
molecole di Idrogeno ed una di Ossigeno) sono assorbiti dalla pianta
tramite l’apparato radicale, mentre il
Carbonio viene prelevato dall’aria.
ambiente chiuso e ristretto come
potrebbe essere una tipica istallazione per la coltivazione domestica
basti pensare che il livello medio di
anidride carbonica solitamente si
assesta tra le 300 e le 500 parti per
milione.
E’ bene inoltre far notare che in
assenza di un adeguato sistema di
ventilazione le piante esauriscono
dere una più elevata temperatura
in quanto il carbonio è più efficacemente metabolizzato in questo
modo.
Se una pianta ad esempio necessita
di una temperatura di 24-26 gradi in
presenza di un’elevata concentrazione di biossido di Carbonio la stessa
pianta avrà bisogno di 30-32 gradi.
Durante la fase di fioritura invece,
Nello specifico la pianta scompone
le molecole di anidride carbonica (altrimenti detta CO2 dalla sua
composizione molecolare o bi-ossido
di Carbonio) tenendo una parte di
Carbonio e rilasciando due parti di
Ossigeno grazie al processo di fotosintesi clorofilliana.
L’USO
Saturare un microclima di anidride
carbonica permetterà alla pianta di
assorbire una maggiore quantità di
carbonio e di conseguenza avere
maggior materiale di costruzione
disponibile per la sua crescita: un
ambiente saturo di CO2 permetterà alle piante una crescita rapida e
rigogliosa.
I sistemi professionali per la somministrazione di anidride carbonica
comprendono solitamente una bombola di gas, un timer per regolarne il
rilascio e possibilmente uno strumento per la misurazione della concentrazione del gas nell’ambiente.
Le quantità ottimali di CO2 sono di
circa da 1600 fino a 2000 parti per
milione durante la fase vegetativa
e tra 1000 e 1500 parti per milione
durante la fase di fioritura.
Per avere un’idea della quantità
di CO2 necessaria per integrare
quella normalmente presente in un
10
molto velocemente la scorta di anidride carbonica presente nella growroom rimanendo presto a corto di
carbonio.
La crescita della pianta sarà quindi
lenta e stentata.
Ad una maggior concentrazione di
CO2 nell’ambiente deve corrispon-
essendo necessaria una minore
concentrazione di anidride carbonica, le temperature potranno tornare
tra i 26 ed i 28 gradi anziché degli
ipotetici 22-24 gradi necessari con
un’atmosfera non arricchita.
Un’ulteriore appunto da ricordare
per il coltivatore domestico è che
le piante, in presenza di una mag-
giore temperatura e di un metabolismo accelerato dalla saturazione
di CO2, avranno anche bisogno di
una quantità maggiore di acqua e di
fertilizzanti.
Inoltre, se le piante sono allevate in
coltura idroponica è bene far sì che
esse ricevano anche un supplemento di Ossigeno tramite l’apparato
radicale, aggiungendo una pompa
con Ossigenatore o addizionando
l’acqua di Ossigeno.
LE PASTIGLIE
Per una piccola coltivazione domestica non è sempre possibile avere a
disposizione un impianto di somministrazione di gas professionale, ma
si può comunque usufruire dei benefici dell’arricchimento dell’atmosfera
utilizzando le pastiglie di anidride
carbonica presenti in commercio.
Queste pastiglie possono essere
usate sia per somministrazione
radicale nelle vasche idroponiche
(le piante possono assorbire una
percentuale del loro fabbisogno di
CO2 tramite le radici) oppure essere
disciolte in un recipiente d’acqua
all’interno dell’ambiente di coltivazione per permettere al biossido di
Carbonio in esse presenti di essere
rilasciato nell’aria.
Ovviamente più lento sarà il processo di rilascio del gas migliore sarà la
diffusione e la saturazione dell’ambiente da parte dello stesso.
UN METODO PRATICO
Per poter sfruttare al meglio le
pastiglie di anidride carbonica
all’interno di una piccola coltivazione domestica si può procedere in
questo modo:
All’accensione delle luci le piante si
“sveglieranno” ed apriranno gli stomi, questo è il momento di miglior
e maggior traspirazione, e sarà il
miglior momento per somministrare
ad esse una dose di CO2.
Sarà opportuno fermare temporaneamente l’impianto di areazione
per evitare che il gas sia trascinato
via, in questo modo avverrà anche
un rapido aumento di temperatura
che favorirà ulteriormente la metabolizzazione del Carbonio.
Lasciando disciogliere una pastiglia
o due in un recipiente basso e largo
pieno d’acqua una dose di anidride
carbonica sarà rilasciata nell’aria
che ne diverrà quindi satura.
volume dello spazio di coltivazione
moltiplicando altezza x larghezza x
profondità.
2) Stimiamo una concentrazione di
CO2 di 400 parti per milione e se
dobbiamo raggiungere le ipotetiche
1500 parti per milione dovremo
alzare la concentrazione di 1500400=1100 ppm
3)Moltiplichiamo il volume della
stanza per 0,0011 (1100 parti per
milione uguale 0,0011) ed otterremo il volume di anidride carbonica
necessaria per saturare l’ambiente.
Esempio: grow-room 100cm x 100
cm x 200cm volume 200 cm cubi
moltiplicato 0,0011 dà 0,22 cm cubi
di biossido di Carbonio necessari ad
alzare la concentrazione da 400 a
Se le temperature non raggiungeranno picchi troppo elevati sarà
opportuno lasciare l’impianto di
areazione fermo per un paio d’ore
per garantire un ottimale assorbimento del gas. Dopodiché si potrà
riavviare la circolazione d’aria.
Questo piccolo trattamento garantirà alla pianta una crescita eccezionale ed un metabolismo accelerato,
piccola spesa, grandi risultati.
UN PO’ DI MATEMATICA
Ma di quanta anidride carbonica c’è
bisogno? Certo che con un misuratore di CO2 è tutto più semplice, ma
in mancanza d’altro si può calcolare
la quantità di gas necessaria a saturare la nostra grow-room.
1) Innanzitutto occorre calcolare il
1500 ppm.
IL TEST
Per il nostro test abbiamo provato la
velocità di discioglimento di tre tipi
di pastiglie di anidride carbonica.
Le tradizionali sulla destra, a lento
rilascio al centro ed il nuovo rivoluzionario tipo sulla sinistra.
Presi tre bicchieri di semplice acqua del rubinetto alle 16:00 parte
l’esperimento, per ogni recipiente
un tipo diverso di pastiglia.
Sin dal primo minuto si nota quanto
velocemente venga rilasciato il gas
dalla pastiglia tradizionale, non solo,
si nota anche quanto residuo lasci in
superficie.
In un tempo record di 3 minuti e
dieci secondi la pastiglia tradiziona-
12
le è completamente
disciolta, essa ha rilasciato molto velocemente tutto il gas.
La pastiglia a lento
rilascio si comporta
decisamente meglio con un’azione
più lenta e graduale, mentre il nuovo
tipo rilascia soltanto
qualche bollicina per
volta.
Dopo altri dieci
minuti le pastiglie
sono ancora entrambe in azione, ma la
differenza tra le due
comincia a diventare
notevole, la sfida non
assomiglia già più ad
un testa a testa.
Oltre trenta minuti
dopo l’immersione
nell’acqua la pastiglia a lento rilascio
sta ancora cedendo gas ma è ormai
agli sgoccioli, un rilascio molto più
lento è ormai evidente nel nuovo
tipo di pastiglia, e quando l’orologio segna le 13:35 rimane una sola
concorrente per il nostro test.
La pastiglia a lento rilascio ha agito
comunque per oltre trenta minuti in
più della pastiglia tradizionale, già
un ottimo risultato.
Alle 17:15 la pastiglia sale in superficie, poi scende, risale. In altri
quindici minuti infine si dissolve
definitivamente.
Quindici minuti dopo la pastiglia di
nuova generazione ancora resiste.
Ha resistito un’ora e trenta minuti,
contro i tre minuti della pastiglia
tradizionale ed i trenta di una a
lento rilascio.
Un risultato strabiliante.
Notiamo inoltre una quasi assenza
di residuo in entrambe le pastiglie a
lento rilascio se paragonate a quella
tradizionale.
Una ulteriore piccola quantità di
anidride carbonica sarà rilasciata
dall’acqua nelle successive 2 o 3
ore, questo è il tempo necessario ad
una completa evaporazione;
Un lento rilascio risulterà migliore
per saturare progressivamente l’ambiente mentre la pianta metabolizza
il carbonio, e la piccola ulteriore
quantità di gas manterrà il livello
ottimale per il tempo necessario.
Un trattamento giornaliero con
l’arricchimento dell’aria con CO2 ci
garantirà risultati eccezionali con le
nostre piante.
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PIANTE CARNIVORE
di Fabio d’Alessi
A.P.I.C Associazione Italiana Piante Carnivore
Introduzione
Le piante carnivore sono piante che
mangiano animali.
Sara’ vero? Definite cosi’ potrebbero
sembrare degli esseri mostruosi
e pericolosi. In effetti e’ cosi’, ma
gli “animali” di cui queste piante
si nutrono sono per lo piu’ insetti
non piu’ grandi di una vespa o di un
moscone.
Questo e’ il motivo per il quale
spesso si usa il termine piante insettivore, senz’altro meno cruento e
impressionante.
Per la verita’, le piante carnivore
si nutrono di insetti per necessita’.
Sono piante, infatti, che in natura
vivono in ambienti particolarmente
poveri di quei nutrienti necessari
alla crescita di tutte le piante.
Le ritroviamo in paludi, in torbiere
acide, su rocce spoglie, abbarbicate su tronchi di altre piante,
sott’acqua... Le piante carnivore
riescono a sopravvivere in questi
ambienti sterili e inospitali ricavando
il loro nutrimento dagli insetti. In
questo modo, anche se il terreno
e’ sterile, queste piante riescono
comunque a crescere e moltiplicarsi.
Molti pensano che le piante carnivore siano la sola “Venus acchiappamosche”, conosciuta da tutti (qui
a sinistra).
Al contrario, ce ne sono altre. Anzi,
molte altre. Esistono centinaia di
specie, distribuite dal Sud Africa
al Canada del Nord. Alcune sono
tropicali, altre le troviamo in aridi
deserti e altre ancora sulle cime
delle nostre Alpi.
Alcune sono piccole come la punta
di uno spillo, altre lunghe metri e
metri. Verdi e spoglie o vistose e
coloratissime, acquatiche, terrestri,
sotterranee, ce n’e’ per tutti i gusti.
No, decisamente, le piante carnivore
non si limitano alla sola “Venus acchiappamosche”, per quanto carina
e affascinante essa sia.
Le piante carnivore non sono solo
moltissime, ma anche molto diverse tra loro. Diversi sono i loro
sistemi di cattura, e diversi i modi di
uccidere e digerire le prede. Alcune
sono dotate di trappole a tagliola,
altre di tubi ripieni di liquido digestivo, altre ancora ricoperte di colla
acida... in effetti e’ affascinante studiare tutti i meccanismi che queste
piante hanno messo a punto per
catturare le loro prede.
Molte sono le fantasie e i racconti
che riguardano le piante carnivore,
e non e’ raro trovare persone convinte che ne esistano di enormi,
in grado di divorare cani e gatti,
magari nascoste in qualche foresta
tropicale. Tutto cio’ e’ dovuto essenzialmente alla colossale ignoranza
che circonda queste piante.
Anche e specialmente in Italia,
questa ignoranza e’ spesso totale
ed assoluta: il primo libro sulle
carnivore e’ uscito solo nel 2002
e non c’era, fino a pochi anni fa,
alcun punto di riferimento ne’ alcun
gruppo di coltivatori o appassionati,
niente. In questa desolante mancanza di tutto, l’unica sorgente di
qualcosa di carnivoro sono i pochi
negozietti e vivai in grado di vendere la mitica “venus acchiappamosche”.
Anche in questo caso, pero’, la vendita e’ accompagnata da consigli di
coltivazione assolutamente vaghi,
pittoreschi e spesso errati: purtroppo gli stessi negozianti non ne
sanno piu’ degli ignari principianti e
si limitano a dare quattro consigli in
croce, magari accompagnandoli da
raccomandazioni da finti espertoni
(campane di vetro, cioccolata nelle
trappole, inverno in casa e orrendita’ simili).
Questa situazione, fortunatamente, sembra destinata a finire
presto, grazie alla nascita dell’AIPC
(l’Associazione Italiana Piante Carnivore), e alla diffusione di internet,
che ha reso finalmente semplice e
veloce la circolazione di notizie, dati
e materiale tra gli appassionati.
Mettendo insieme tutte le informazioni che abbiamo appena letto,
rivediamo quindi cosa sono le piante
carnivore.
Le piante carnivore sono un vasto
gruppo di piante, molto diverse tra
loro, che vivono in ambienti poveri di nutrienti e che hanno quindi
sviluppato la capacita’ di sfruttare
insetti e altri piccoli invertebrati
come sorgente alternativa di cibo.
Hanno sviluppato diversi sistemi per
attirare, catturare, uccidere ed assimilare le loro prede. Sono molte,
sono diffuse su tutto il globo (spesso in paludi o torbiere), e sono generalmente molto poco conosciute.
Adesso che sappiamo meglio di cosa
stiamo parlando, entriamo in qualche dettaglio sul loro riconoscimento
e sulla loro coltivazione.
Primo riconoscimento
Con il termine riconoscimento (o
determinazione) ci si riferisce al
procedimento logico tramite il quale
osservando una pianta qualsiasi
si giunge a determinarne correttamente il binomio latino, o nome
scientifico (per esempio ‘Bellis
perennis’ per la comune margherita
da campo). Da notare che il binomio
latino e’ sempre composto da due
parti, la prima sempre in maiuscolo
che descrive il Genere e la seconda
sempre in minuscolo che descrive la
specie.
Riconoscere correttamente una
pianta carnivora e’ un procedimento
spesso difficile e laborioso. A volte
ci vogliono molti anni e una gran
dose di esperienza per riuscire a
riconoscere correttamente una
determinata pianta, e ci sono piante
carnivore talmente simili tra loro
che nemmeno i piu’ esperti riescono
a distinguerle con certezza senza
un’accurata indagine al microscopio.
Lasciando quindi la determinazione
specifica delle piante carnivore ai
piu’ esperti, possiamo pero’ riuscire,
in cinque minuti, a farci un’idea
delle piante carnivore esistenti e
imparare a riconoscerle almeno a
grandi linee. Non saremo in grado di
distinguere una Sarracenia rubra alabamensis da una Sarracenia rubra
gulfensis ma per lo meno saremo in
grado, facendo un parallelo, di distinguere una rana da un cavallo.
Come detto, le piante carnivore
hanno sviluppato diversi sistemi
di cattura (o trappole) per piccoli
invertebrati.
Proviamo quindi a dividere le piante
carnivore in categorie a seconda del
tipo di trappola.
Per ogni tipologia di trappola divideremo le piante a loro volta in
generi ed eventualmente in specie.
Ricordiamo che il binomio generespecie e’ usato in tutti gli ambienti
per identificare univocamente un
organismo (esempio Homo sapiens
per l’uomo).
Nel caso delle piante carnivore, due
piante appartenenti a due generi
diversi sono spesso diversissime tra
loro, mentre due piante appartenente allo stesso genere ma a specie
diverse sono diverse tra loro ma non
in maniera marcata.
Quindi, Sarracenia psittacina e Pinguicula vulgaris sono due piante assolutamente diverse tra loro (genere
e specie diverse), mentre Drosera
capensis e Drosera regia sono due
piante molto simili.
Passiamo ora in rassegna quindi
tutti i tipi di trappola delle piante
carnivore, e per ogni tipo elenchiamo che piante esistono in natura.
Piante con trappola a tagliola
La trappola a tagliola e’ un meccanismo formato da una foglia
modificata in modo da chiudersi a
scatto quando viene sollecitata da
un animaletto.
La foglia si richiude sul malcapitato,
intrappolandolo e soffocandolo. Nei
giorni seguenti la cattura, la pianta
secerne degli enzimi digestivi dentro
la tagliola, che consumano la preda.
E’ una trappola molto evoluta, e si
riconosce immediatamente (aspetto
tipico a tagliola).
Ecco l’unica specie dotata di trappola a tagliola. E’ la famosa Dionaea
muscipula, comunemente chiamata
“dionea” o “venus acchiappamosche”, di certo la pianta carnivora
piu’ nota.
In natura e’ diffusa negli Stati Uniti
sudorientali, in terreni acquitrinosi e
soleggiati. Predilige un clima simile
al nostro, posizione in pieno sole,
e inverni anche sottozero, durante
i quali entra in uno stato di dormienza.
19
La dionea forma una rosetta schiacciata al terreno o con foglie sollevate
e puo’ arrivare a 20-30 centimetri
di diametro con decine di foglie.
Le trappole possono essere lunghe
5-6 centimetri. Fiori semplici e poco
vistosi, bianchi.
Questo tipo di trappola si riconosce
facilmente passando un dito sulla
superficie superiore di una foglia. Se
al dito rimane attaccata una sorta
di bava trasparente e appiccicosa,
siamo davanti a una pianta carnivora di questo tipo.
E’ l’unica pianta esistente al mondo
con trappole a tagliola di questo
tipo (a parte una rarissima specie
acquatica), quindi quando vedete
una pianta del genere, potete dire
immediatamente “dionea!” e magari
gonfiarvi il petto con il completo
binomio latino Dionaea muscipula.
Essenzialmente le piante carnivore
con meccanismo a colla si dividono
in due grandi categorie. Vediamole.
Un unico genere con un’unica specie: Dionaea muscipula.
Molto comune (anche se in natura
rischia l’estinzione) e di facile coltivazione
Piante con trappola a colla
Categoria molto vasta di piante carnivore in cui le foglie si sono modificate in modo da produrre una colla
appiccicosa che intrappola gli insetti
e li digerisce lentamente.
Quello della colla e’ un sistema
piuttosto semplice ma efficace per
catturare le prede, ed e’ infatti utilizzato da molti generi diversi di piante
carnivore.
20
Trappola a colla --- foglie con
ghiandole invisibili
Le piante di questo tipo appartengono ad un solo genere, il genere
Pinguicula. Queste piante presentano tutte foglie ricoperte di migliaia
di peli microscopici e appena visibili
a occhio nudo, che secernono un liquido simile a bava.
Nonostante questo le foglie delle
pinguicole sono delle trappole veramente eccezionali e le pinguicole
sono tra le piante carnivore piu’ di
successo, capaci di sterminare decine di piccoli insetti per foglia.
Pinguicula: unico genere con trappole a colla con ghiandole invisibili.
Ha decine e decine di specie distribuite su tutto il globo e in molti
ambienti. Esistono anche in Italia
(Pinguicula vulgaris, Pinguicula alpina e altre).
Estremamente comuni e alcune
di facile coltivazione. Pinguicula
moranensis rappresenta una tipica
pianta da principianti.
Trappola a colla --- foglie con
ghiandole ben visibili
Questo liquido ricopre le foglie
formando un velo di colla. Quando
un insetto cammina sulla foglia, vi
rimane invischiato e il liquido lentamente scioglie e digerisce la preda.
In questo caso le foglie sono coperte
di peli molto sottili che portano alle
estremita’ delle specie di goccioline.
Queste goccioline sono composte
da varie sostanze che servono ad
intrappolare, appiccicare e uccidere
le prede, una volta catturate.
La pianta ha un tipico caratteristico
verdechiaro-giallino, ed ha un aspetto tutt’altro che carnivoro. Anzi,
con le sue foglie morbide e spesse
e i suoi fiori simili a violette sembra piu’ una pianta grassa che una
pianta carnivora.
Le foglie di questo tipo sono spesso
dotate di una certa mobilita’, e
quindi una volta catturata una preda
non e’ raro vederle (nel corso di
alcune ore) ripiegarsi e avvolgere la
preda stessa.
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ambienti. Esistono specie australiane microscopiche e specie sudafricane molto grandi e vistose.
Qualora vi troviate di fronte ad una
pianta carnivora con trappola a colla
e ghiandole ben visibili, siete quasi
sempre in presenza di una drosera.
In Italia sono presenti Drosera rotundifolia, Drosera anglica e Drosera
intermedia.
Alcune specie di Drosera sono
comuni e di facile coltivazione, al
contrario degli altri generi qui sotto
elencati. La Drosera capensis e’ la
specie in assoluto piu’ indicata per i
principianti.
* Drosophyllum lusitanicum: unico
genere, unica specie. Molto simile
ad una drosera con fusto lignificato,
e’ una pianta molto particolare e
bella che vive in Spagna, Portogallo
e Marocco. Rara.
* Byblis: genere con poche specie,
tipico dell’Australia e della Nuova
Guinea. Rare.
* Roridula: genere quasi estinto,
con due specie, nativo del Sud Africa. Rarissime.
Quindi riassumendo: foglie appiccicose e bavose = trappola a colla.
Controlliamo le foglie piu’ da vicino:
se le foglie sono all’apparenza normali, con ghiandole invisibili siamo
di certo davanti a una Pinguicula,
se invece le foglie sono pelose con
ghiandole ben visibili siamo quasi
sempre davanti a una Drosera, raramente altri generi.
[continua sul prossimo numero.]
Vediamone alcuni esempi:
Drosera spatulata, una pianta appartenente al genere Drosera.
Questa pianta in particolare forma
una piccola rosetta di foglie larga
fino a 7-8 centimetri, e adagiata a
livello del terreno. Le foglie possono
essere di colore verde, o rosso, o
ramato.
Predilige ambienti torbosi e in pieno
sole, dove fiorisce continuamente,
producendo abbondanti semi.
Drosera binata.
Questa specie, al contrario di quella
precedente, presenta foglie molto
ramificate e sollevate da terra,
formando una specie di ragnatela
impenetrabile di veri e propri tentacoli ricoperti di colla. Il meccanismo
di base (peli con gocce di colla) e’ lo
stesso in entrambe le specie, ma la
forma delle foglie e’ completamente
diversa.
Esistono diversi generi di piante con
trappole a colla e ghiandole ben
visibili.
Vediamoli:
* Drosera: genere di enorme successo, con decine e decine di specie,
sparse su tutto il globo e in tutti gli
23
NEWS
L’IMPERO DEL POMODORO
IDROPONICO AUSTRALIANO
mano- più igienico, affidabile e
controllato.
provvede al rifornimento idrico e un
computer regola i fattori ambientali.
Spesso il pensiero diffuso vuole che
l’ortofrutta idroponica sia un prodotto di serie b da comparare con
‘il sano frutto della terra’ , maturato
al sole, concimato con lo stallatico,
curato da un contadino vigoroso che
indossa un cappello di paglia e tiene
una spiga in bocca.
Diverso è il discorso in altri Paesi,
dove le tecnologie agricole alternative sono più diffuse e conosciute, e
il prodotto idroponico viene valorizzato in quanto tale: è il caso della
Flavorite Hydroponic Tomatoes, ditta
australiana specializzata appunto in
pomodori idroponici.
La raccolta è stata recentemente
automatizzata così come il confezionamento, a garanzia di assoluta
igiene, e la Flavorite è in lizza come
una delle realtà col miglior rapporto
produttività/costi pur mantenendo
standard qualitativi molto elevati.
Certo quest’immagine è piuttosto
obsoleta e a meno che quel contadino non siate voi o un vostro
vicino conoscente possiamo essere
sicuri che la frutta e la verdura che
consumiamo viene in ben altri modi
prodotta. Il prodotto cresciuto in
maniera ‘artificiale’ viene ancora
avvertito in Italia come poco appetibile, nonostante sia -prove alla
Il procedimento è piuttosto semplice: germinazione in blocchetti per
tre giorni alla temperatura costante
di 29 gradi, seguita dal trapianto
in blocchi più grandi alla comparsa
delle prime foglie.
Terminata la prima fioritura le piante vengono trasferite nella serra
dove un irrigatore a gocciolamento
Qualche cifra: ogni pianta vive tra i
9 e i 12 mesi, crescendo fino a 1012 metri (sorretti da cavi attaccati al
soffitto) e produce 25-30 chili di pomodori che vengono garantiti come
maturi al punto giusto, freschissimi
e particolarmente saporiti come da
marchio di fabbrica (Flavorite è un
gioco di parole tra flavour, ovvero
sapore, e favourite, preferito).
Il prodotto viene confezionato in
loco e distribuito giornalmente, e
data la richiesta la produzione è
salita alla cifra stellare di 9.000 tonnellate nell’anno 2005/2006, di cui
una parte destinata all’esportazione
a Singapore e Dubai.
Tra i punti forti dell’azienda c’è
l’attenzione al risparmio idrico
effettuato grazie ad un impianto
d’irrigazione molto avanzato, che
permette di impiegare solo 23 litri
d’acqua per chilo di prodotto (contro i 60 litri/kg della coltivazione
tradizionale in campo).
Questo pur otttimo risultato è destinato a migliorare ancora grazie
all’impiego di un nuovo sistema che
permette di riciclare l’acqua (arrivando ad impiegare 18 litri/kg).
L’impegno per il futuro è di far scendere l’utilizzo di pesticidi dall’attuale
livello definito basso allo zero,
grazie all’impiego di antagonisti
naturali.
L’azienda offre anche molti servizi
(vendita di piante e semi, confezionamento conto terzi, consegne a
domicilio del prodotto, forniture
di materiali, manutenzione e know
how) ed organizza visite guidate
della struttura, che attualmente occupa 80.000 mq.
Un bell’esempio di imprenditoria che
guarda lontano. Il sito dell’azienda,
in inglese, è ricco di informazioni:
www.flavorite.com.au
ENERGIA TERMICA DAL
GRANTURCO
Il granturco (mais) usato da millenni
nell’alimentazione ha ora assunto
una importanza notevole anche
come fonte energetica con numerose applicazioni.
Da diversi anni sono in produzione motori alimentati a biodiesel
ricavato dal granoturco ed ora si è
rivelato un ottimo combustibile che
opportunamente usato in speciali
stufe, termostufe e caldaie sviluppano una elevata potenza rispettosa
dell’ambiente.
Si tratta di un’ottima fonte in quanto
non inquinante, rinnovabile, di facile
reperibilità e trasporto, semplice da
immagazzinare, economico.
Fornisce una combustione neutra, pulita, atossica e sicura, che
non apporta sostanze nocive quali
l’ossido di carbonio all’atmosfera, ed
è già impiegato con profitto in strutture pubbliche e private, nelle serre,
negli stabilimenti e in acquacoltura.
Ha un potere calorico di circa 6200
25
Kcal/kg (con umidita intorno al
15%), e le stufe pensate per questo
tipo di alimentazione si prestano
anche alla combustione di cippato
(noccioli di ciliegia e oliva, noccioli
frantumati di pesca o albicocca,
gusci di noci, nocciole, pinoli, etc )
o pellets (trucioli vegetali pressati in
cilindretti).
Spesso sono previste dalle Regioni
agevolazioni fiscali da chi adotta
sistemi di riscaldamento ecocompatibili, è bene informarsi in merito
per iniziare a pensare ad una fonte
di riscaldamento più ecologica e
risparmiare sulla bolletta; infatti in
termini economici il mais garantisce
un elevato risparmio se confrontato
con Metano (PCI 8250 kcal/m³) e
GASOLIO (PCI 8560 kcal/l):1,6 kg
di mais = 1 m³ Metano = 1 l Gasolio.
Esistono tuttavia polemiche circa
l’utilizzo del mais in questo contesto, come le preoccupazioni per
l’impiego di sostanze chimiche
per l’agricoltura, per un ipotetico
incremento nella diffusione degli
OGM, per l’impianto della monocoltura a grande scala, per i conflitti
con le colture a scopo alimentare e
la possibile impennata dei prezzi di
26 pubb enivrolite
alimenti tradizionalmente “poveri”,
per il rapporto tra energia ottenuta e consumata e ancora per la
percezione della biomassa come
combustibile di scarso valore o poco
vantaggioso.
LA MUNGITURA DELLE PIANTE
Grazie ad un innovativo metodo
inventato nel centro di Agronomia
e Ambiente dell’Istituto francese di
ricerche agricole (Inra), a Nancy,
sarà possibile estrarre principi attivi
dalle piante senza distruggerle.
Elaborato in oltre otto anni di
ricerche da Eric Gantier e Fréderic
Bourgoud, questa tecnica brevettata
col nome di Pat (Plans à la traire,
piante da mungere), permetterà
di ricavare preziosissime sostanze
senza mettere a repentaglio piante
rare per fini economici.
Attualmente per ottenere un grammo di tassolo, un potente anticancro, è necessario abbattere tre
alberi di tasso vecchi di almeno 150
anni.
Applicando questa nuova tecnica si
può ottenere la molecola dalle radici
più volte la settimana. La “mungitura” viene applicata su piante in col-
tura idroponica, nella cui sostanza
nutritiva viene aggiunto un tensioattivo che aumenta la permeabilità
delle radici favorendo la fuoriuscita
delle molecole bioattive.
In seguito vengono introdotti agenti
che stimolano le difese della pianta,
inducendola a produrre i preziosi
metaboliti secondari in grande
quantità attraverso le radici invece
che nelle foglie.
28
l’esperto risponde
Coltivo fiori in terra nella
mia serra, ho notato la
presenza di molti insetti
che non conosco.
Si tratta di bestioline
senza ali, con una specie
di esoscheletro a placche, che si appalottolano
se toccati e restano immobili.
Stanno nella terra, non
sulle piante. Sempre nella terra ci sono degli insetti tipo millepiedi. Non
ho notato peggioramenti
nella salute delle piante,
ho provato comunque a
trattare con olio di neem
ma non ho visto risultati.
Come posso intervenire?
L’ insetto che ‘fa la palla’,
detto comunemente anche porcellino di terra, è
l’ Armadillidium vulgare.
Si tratta di un crostaceo
dell’ordine degli Isopoda,
che vive in ambienti umidi
cibandosi di vegetali ed
animali morti.
Normalmente non sono considerati
dannosi per le piante, in quanto
cibandosi principalmente di materiale marcescente contribuiscono alla
pulizia e alla salute dell’ambiente di
coltura.
C’è però da considerare che la
presenza massiccia e improvvisa
di questa animale è probabilmente
dovuto ad un aumento sensibilie
dell’umidità della serra (magari dovuto ad una minore illuminazione) o
alla presenza di materiale vegetale
in decomposizione.
Fai dunque attenzione e controlla
che non ci siano piante malate e
che i valori ambientali siano nella
norma.
Variando improvvisamente il tasso
di umidità e rendendolo secco c’è il
rischio che l’Armadillidium attacchi
le piante sane per procurarsi l’acqua
di cui ha bisogno per sopravvivere,
quindi è bene che gli interventi
siano graduali.
Quelli comunemente detti millepiedi
sono chilopodi o miriapodi (millepiedi e centopiedi). Ve ne sono molte
specie diverse facenti capo alla
stessa famiglia: in generale sono
animali che amano gli anfratti bui
e umidi, e la loro alimentazione
talvolta può comprendere anche
le radici o le gemme delle piante.
Il problema dovrebbe risolversi da
sè correggendo eventualmente i
problemi di illuminazione/ umidità/
perdite del sistema di irrigazione.
La credenza popolare vuole che
si combattano queste infestazioni
piantando nella serra qualche fiore
del genere Tagetes, il cui odore
penetrante e sgradevole parrebbe
infastidire gli insetti nocivi.
[foto: Franco Folini]
l’esperto risponde
Posso mettere delle piante in
idroponica all’interno del terrario dell’iguana? E nel paludario
con le tartarughe?
Benchè non sia il mio campo direi
proprio di no.
Si tratta di animali che divorerebbero le piante e anche mettendole
fuori portata farebbero una gran
confusione danneggiando le radici e
sporcando l’acqua. Alcune piante acquatiche possono sopravvivere in un
laghetto con tartarughe a patto che
vi siano condizioni particolarmente
favorevoli e spazio in abbondanza.
a chiazze nella chioma, germogli
cespugliosi, nessun frutto : carenza
di zinco
- Foglie apicali ingiallite, rami fragili
con protuberanze su quelli più giovani : carenza di rame
Le lampade ai vapori di sodio
vanno gettate nel cassonetto del
vetro?
Assolutamente no.
Si tratta di rifuti pericolosi il cui
Il decreto, già pesantemente criticato, risente di una carenza strutturale
di fondo e ha creato malcontento
presso molti esercizi commerciali,
scontratisi con una burocrazia contorta e con la poca versatilità degli
strumenti forniti loro.
Attualmente per il privato o la piccola azienda è d’obbligo informarsi
presso il proprio comune sulle modalità di ritiro o contattare una ditta
privata, o anche il consorzio per il
recupero e lo smaltimento di appa-
Sto provando a coltivare in serra
alcune piante di agrume, soprattutto arance, vorrei sapere
come distinguere i sintomi della
carenza di qualche elemento.
Come faccio a sapere perchè la
pianta è sofferente?
Normalmente utilizzando fertilizzanti
completi adeguati non dovrebbero
verificarsi carenze, ma ecco qualche
suggerimento generico per riconoscere i sintomi:
- Foglie pallide fra le nervature, di
dimensione normale, pochi frutti :
carenza di manganese
- Foglie ingiallite lungo le nervature, crescita stentata, frutti piccoli,
fioritura regolare o abbondante :
carenza di azoto
- Caduta delle foglie, dei germogli
e/o dei frutti, crescita stentata :
carenza di potassio
- Foglie verde scuro e piccole, foglie
vecchie con macchie nere e morte, sviluppo fermo o molto lento :
carenza di fosforo
- Foglie pallide sui margini e fra le
nervature, sviluppo lento : carenza
di calcio
- Foglie ingiallite con nervature
verdi, che cadono, frutti piccoli :
carenza di magnesio
- Foglie sottili, pallide con nervature
verdi, tendenti alla caduta, frutti
piccoli e gialli : carenza di ferro
- Foglie piccole e ravvicinate,
gialle fra le nervature, zone morte
trattamento è regolamentato dalle
disposizioni di riferimento sulla gestione dei RAEE (Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche),
ovvero la messa in atto di alcune
direttive comunitarie del 2002 e
2003, recepite nel Decreto Legislativo 151/2005.
Dovendo inizialmente entrare in vigore il 13 agosto 2005, l’applicazione del Decreto ha subito numerosi
rinvii, per essere infine ratificata il
1° luglio 2007.
La normativa prevede che il consumatore possa riconsegnare l’usato
direttamente al negoziante a fronte
dell’acquisto di un prodotto analogo,
ma nel periodo di regime transitorio
della durata di 120 giorni la raccolta
dei RAEE continuerà ad essere svolta dalla municipalità.
recchiature di illuminazione ( i cui
soci fondatori sono i giganti dell’industria General Electric, Filometallica, Leuci, Osram, Philips e Sylvania)
Ecolamp.
Quest’organizzazione, che si propone di essere presente capillarmente
sul territorio, si occupa sia di RAEE
provenienti da utenze domestiche
sia quelli di provenienza professionale.
Il servizio del consorzio è a disposizione di chiunque ne faccia richiesta
ed è a pagamento.
Per altre informazioni, per consultare la legge in questione o sapere
quali prodotti sono interessati, consulta www.ecolamp.it
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la redazione segnala
SARTORIUS PP STRUMENTI DI
MISURA PROFESSIONALI
Risultati di misura stabili, gestione
dei dati affidabile e risparmio di
tempo considerevole grazie ad un
comfort di utilizzo ottimale: queste
sono le caratteristiche essenziali
che contraddistinguono non solo il
lavoro professionale quotidiano in
laboratorio, ma anche la nuova generazione di strumenti Professional
Meter della Sartorius.
La Sartorius, azienda fornitrice di
tecnologie di laboratorio, ha rielaborato e ottimizzato la sua famiglia
di strumenti PP. Il risultato è rappresentato da quattro strumenti
di analisi in grado di fornire fino a
tre valori in un’unica misurazione:
il valore di pH, la temperatura e la
conduttività elettrica.
Grazie ad un’interfaccia utente
comandata mediante menu, alla
funzione di guida in linea attiva correntemente e ai commenti di aiuto
opzionali per un’esatta esecuzione
dei test, il comando degli strumenti
risulta estremamente semplice e
sicuro. Inoltre, l’utilizzo dei nuovissimiprocessori Motorola Coldfire
garantisce un’elevata velocità di
analisi.
La maggiore rapidità nella trasmissione dei dati si traduce a sua volta
in un migliore monitoraggio del
comportamento di scorrimento dei
sensori .
In aggiunta, rispetto al modello
base PP15, il PP20 analizza il valore
della conduttività, mentre il PP25
consente anche l’analisi iono-selettiva.
Sartorius DocuClip® e Docu-pH
Meter
L’uso dei pH-metri rende evidente
quanto grande sia la differenza tra
la teoria e la pratica. Con i nuovi
prodotti DocuClip® e Docu-pHMeter
la Sartorius, azienda fornitrice di
tecnologie di laboratorio, ha risolto
questo problema in modo più che
convincente.
Collegato in modo irreversibile
all’elettrodo di pH, il DocuClip®
memorizza la designazione del tipo
e il numero di serie dell’elettrodo
corrispondente. Inoltre, essendo
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dotato di unamemoria ciclica, il
DocuClip® può conservare i dati
completi delle ultime cinque calibrazioni.
Una volta collegato al Docu-pHMeter, i dati dell’elettrodo memorizzati nel DocuClip® vengono trasferiti al Docu-pHMeter per l’analisi
e la registrazione delle misurazioni.
I dati di calibrazione aggiornati
vengono scritti nella memoria del
DocuClip’s® e qui associati in modo
irreversibile all’elettrodo corrispondente.
Oltre al tipo e al numero di serie
individuale, vengono memorizzati
i dati completi della calibrazione
iniziale: pH, mV, temperatura, pendenza e il punto zero dell’elettrodo,
nonché l’ora e la data al termine
della calibrazione.
UMIDIFICATORE NEBLER
Umidificatore ad ultrasuoni, a basso
consumo (40w per il modello ad
1 membrana, 105w per quello a
3), ideale per le zone dedicate alla
germinazione / taleaggio o più in
generale per ricreare un’ambiente
sufficentemente umido alla crescita
vigorosa delle piante, soprattutto in
fase vegetativa quando il tasso di
umidità non dovrebbe essere inferiore al 60%.
Funziona con un trasformatore da
12V, incluso nella confezione.
Dotato di sensore per lo spegnimento automatico il Nebler come
dice la parola stessa crea una finissima nebbia di vapore, generata in
un qualsiasi contenitore riempito
d’acqua, ha una portata di 0,25 litri
/ ora per il modello ad una membrana, 1,2 litri / ora per quello a 3.
LUXMETRO DIGITALE LM631
METERMAN
Facile da usare, portatile, compatto,
questo luxmetro digitale è pensato
per essere usato in maniera intuitiva con una sola mano, fornendo
una misurazione veloce, affidabile e
chiara.
Costruito per entrare in dotazione
al personale addetto ai controlli
dell’illuminazione negli ambienti di
lavoro, è raccomandato a chiunque
desideri uno strumento resistente,
pratico e di alta qualità.
Esegue un’ampia gamma di misure
della luce, fino a 20.000 fc o lux,
selezionabili sul panello anteriore.
Strumento molto preciso ad alta
risoluzione pari a 0,01 fc/lux è dotato di calotta del sensore con cavo
di 115 cm di lunghezza per un facile
orientamento.
Allineato alla curva dello spettro
CIE per avvicinarlo alla risposta
dell’occhio umano, mantiene in memoria i valori più alti registrati. Ha
un ampio display a 3-1/2 cifre con
retroilluminazione ed è conforme
alla certificazione di sicurezza CE
EN61326-1.
L’uscita è analogica mV per la registrazione delle misure, la custodia in
dotazione ha un design ergonomico
realizzata in plastica Valox per una
presa più comoda e sicura.
Il vano batterie dotato di sportello
per una facile e rapida sostituzione.
Corredato di borsa per il trasporto,
protezione per lenti, quattro batterie
AAA installate e manuale.
b’cuzz
32 pubb ghe