Copyright © 2010 CLEAN
via Diodato Lioy 19,
80134 Napoli
telefax 0815524419-5514309
www.cleanedizioni.it
[email protected]
Alcuni scritti sono tratti da:
NapoliGuida 14 itinerari di architettura
moderna, a cura di Sergio Stenti
con Vito Cappiello,
CLEAN, Napoli 1998
6 INTRODUZIONE Sergio Stenti
8 I LUOGHI DEL MODERNO Sergio Stenti
23 NAPOLI VERSO IL FUTURO Vito Cappiello
33 1. Napoli dallʼalto
PAESAGGIO METROPOLITANO Sandro Dal Piaz
Tutti i diritti riservati
È vietata ogni riproduzione
ISBN 978-88-8497-104-3
39 2. Napoli dal mare
UNA GITA IN BARCA Enzo Andriello
Editing
Anna Maria Cafiero Cosenza
47 3. Napoli dal tram
INCONTRI FUORI DALLʼORDINARIO Giacomo Ricci
Grafica
Costanzo Marciano
in copertina:
Francesco Venezia,
Municipio, residenze e piazza,
S. Pietro a Patierno.
in retrocopertina, dall’alto:
Salvatore Bisogni, Anna Buonaiuto,
Mercatino e centro sociale, Napoli;
Giulio De Luca, Arena Flegrea,
Napoli; Silvio d’Ascia, Stazione di
Montesanto, Napoli; Giancarlo
Scognamiglio, Antonio Costa, MED
Maxicinema, Napoli; Renzo Piano,
Vulcano Buono, Nola; Oscar
Niemeyer, Auditorium, Ravello.
Indice
79 4. Rione Carità
UN NUOVO CENTRO Paola Cislaghi
Le schede delle opere sono di:
Anna Aragosa (A.A.), pp. 238-251
Tilde Bavaro (T.B.), pp. 146-149, 151
Alba Cappellieri (A.C.), pp. 203-207
Vito Cappiello (V.C.), pp. 65-66, 78,
150-151, 191-192, 269-270
Emanuele Carreri (E.C.), pp. 64-64,
149-150, 187-188, 259-269, 273
Ugo Carughi (U.C.), pp. 183-193
Paola Cislaghi (P.C.), pp. 85-94
Carola Coppo (C.C.), pp. 215-220,
224-229, 318
Giovanna Fimiani (G.F.), pp. 282-285,
287-288
Gaetano Fusco (G.Fu.), pp. 121-126
Ludovico Maria Fusco (L.M.F.),
pp. 297-298, 305-308
Rosa Maria Giusto (R.M.G.), pp. 329-337,
344
Giuseppe Guida (G.G.), pp. 143-144
Luisa Indulgenza (L.I.), pp. 283, 286
Fabio Mangone (F.M.), pp. 103-114
Francesco Domenico Moccia (F.D.M.),
pp. 141-143
Giuseppe M. Montuono (G.M.M.), pp.193,
259, 285-286, 298-299, 310, 312,
316-323
Maria Dolores Morelli (M.D.M.), pp. 121,
123-128
Alessandro Napoli (A.N.), pp. 309-311
Lilia Pagano (L.P.), pp. 163-174
Tania Polichetti (T.P.), pp. 281-282
Giacomo Ricci (G.R.), pp. 59-64,
67-69, 71-77
Michelangelo Russo (M.R.), pp. 141,
144-148
Massimiliano Savorra (M.S.), pp. 106-109
Olga Scotto di Vettimo (O.S.V.),
pp. 215-220, 224-227
Anna Spatocco (A.S.), pp. 282, 287-288
Sergio Stenti (S.S.), pp. 65, 67, 69-72,
77-78, 94-96, 129, 146, 185-186,
260-261, 273, 312, 322, 337, 344
97 5. Chiaia
IL FASCINO DISCRETO DELLʼEDILIZIA BORGHESE Fabio Mangone
115 6. Posillipo
IL PANORAMA DENTRO CASA Pasquale Belfiore
131 7. Fuorigrotta
UN QUARTIERE MODERNO Francesco D. Moccia
153 8. Mostra dʼOltremare
UN PARCO URBANO Lilia Pagano
175 9. Vomero
LA CITTAʼ ALTA Ugo Carughi
195 10. Centro Direzionale
LA CITTAʼ CHE SALE Alba Cappellieri
209 11. Stazioni della metropolitana
ARCHITETTURA + ARTE Sergio Stenti
UN MUSEO IPOGEO Olga Scotto di Vettimo
231 12. Parchi
IL VERDE IN CITTAʼ Vito Cappiello
253 13. Periferie
ESPANSIONI NOVECENTESCHE E CONURBAZIONI Emanuele Carreri
275 14. Casali
IL RECUPERO URBANO Carlo Gasparrini
291 15. Dintorni
ITINERARI FUORI PORTA Alessandro Castagnaro
297 1 / POZZUOLI
300 2 / MONTERUSCELLO - NASCITA DI UNA CITTAʼ Ludovico M. Fusco
309 3 / DA VIETRI SUL MARE A RAVELLO
312 4 / DA SCAFATI A PORTICI
318 5 / DA CASORIA A NOLA
324 6-7 / ISOLE - LʼARCHITETTURA Eʼ DI CASA Cherubino Gambardella
346
356
358
363
370
PROFILI BIOGRAFICI Gemma Belli
BIBLIOGRAFIA
INDICE DELLE OPERE
INDICE DEI NOMI
REFERENZE FOTOGRAFICHE
INTRODUZIONE
Sergio Stenti
6
a storia della città di Napoli ha 25 secoli
e l’architettura moderna ne occupa
appena uno. Una stagione corta appena
cento anni che si è manifestata più con la
costruzione di una smisurata periferia che per
l’eccellenza delle sue trasformazioni urbane.
Eppure, anche in tanta storia, così inclusiva e
stratificata con sorprendente disordine, ricca
di luoghi simbolici e di miti amorevolmente
coltivati, l’architettura moderna ha lasciato
significative tracce dei suoi radicali propositi
di ridisegnare l’intera città.
Napoli è sempre Napoli recita il ritornello e
non si capisce bene se è una fortuna o una
iattura, eppure qui, più che altrove, il nuovo è
stato, e in parte ancora è, sotto condizione e
ostacolato, perché l’identità della città si
L
rispecchia più nel suo genius loci, fatto di natura+ storia+miti, piuttosto
che nella sua realtà fattuale.
Un legame particolare con la tradizione e un’inerzia trasformativa,
hanno ritardato l’affermazione e gli sconvolgimenti della modernità e
l’hanno preservata sia da radicali e qualche volta disastrose
trasformazioni sia da idee fortemente innovatrici (si pensi alle proposte
infrastrutturali di Avena e Lamont Young). Le trasformazioni
ottocentesche si sono estese fin quasi tutta la prima metà del Novecento
determinando l’immagine di molta parte della città attuale; mentre
ancora oggi sono in pieno svolgimento quelle trasformazioni tipiche del
secolo passato come le infrastrutture della mobilità e i servizi.
Il contributo dell’architettura moderna alla città è stato quello di
proporre singole eccellenti architetture che poco si sono misurate con la
storia e con la costruzione di luoghi moderni e sebbene in sintonia con
lo strabismo moderno che ha separato architetture e contesti,
l’architettura moderna napoletana è stata invero meno radicale che
altrove, più intrecciata con l’emergente anima classica della città.
Il pericolo di una città “generica” come risultato della globalizzazione
dell’architettura, indifferente ai luoghi cioè, appare qui più limitato.
Più che l’omogeneizzazione indifferenziata, è imponente invece l’assenza
di architettura e urbanistica civile nell’espansione novecentesca che
rappresenta comunque i due terzi della città.
Selezionare singole opere per costruire un catalogo non è stata la nostra
intenzione; la guida, attraverso la descrizione dei luoghi e delle
architetture cerca di indagare sui contesti e sugli stili, senza privilegiarne
alcuno; nella convinzione di restituire una visione plurale, a molte voci e
con punti di vista diversi, della città moderna.
L’idea della guida per luoghi e opere è nata nel 1996, nelle strade della
città, durante le manifestazioni dell’Autunno dell’Architettura,
promosse e organizzate con la CLEAN dall’allora Assessore all’Identità
del Comune di Napoli Renato Nicolini, da Gianni Cosenza, da Vito
Cappiello e da me, con l’apporto di numerosi studiosi.
Era una proposta di esperienza che tendeva a superare il divario tra
cultura d’élite e cultura popolare, attraverso la conoscenza diretta di
opere di qualità e di quartieri moderni abitabili, un tentativo di
divulgazione e di apertura critica al nuovo. C’era un convincimento che
ci guidava: la comprensione dell’architettura moderna come
indispensabile strumento anche per capire meglio l’architettura della
storia e basare su questa conoscenza l’accelerazione delle trasformazioni
e densificazioni che urgevano e urgono in questa città. Allora come ora
si tratta di accettare le modernizzazioni necessarie a patto di non
danneggiare l’urbano storico consolidato, lo stravolgimento invece
necessario della disastrosa periferia inabitabile attraverso estese
riqualificazioni dei contesti anche per alloggiare decine di migliaia di
persone, e infine il blocco dell’espansione urbana come condizione per
la riqualificazione del paesaggio.
7
LUOGHI E
ARCHITETTURE
DEL MODERNO
Sergio Stenti
Francesco De Simone,
progetto di parco
a villette, 1917
8
na passeggiata a passo svelto per la città
consente solo di soffermarsi su quei temi
e opere che hanno segnato le più
importanti trasformazioni urbane del Novecento.
Il rapido e sintetico racconto della Napoli
moderna parte dalla stagione liberty dei primi
anni del 1900, mette a fuoco i due rilevanti
elementi urbani della città fascista, il rione Carità
e la Mostra d’Oltremare; prosegue con la
costruzione dei quartieri razionalisti nel
dopoguerra e con le prime grandi Attrezzature
urbane che guardano oltre il razionalismo stesso;
descrive i grandi interventi della nuova
dimensione metropolitana e la breve stagione
della riqualificazione della periferia seguita al
terremoto del 1980; termina con l’attuale
sviluppo delle infrastrutture e con uno sguardo
alle principali realizzazioni nei dintorni della
città.
U
Un liberty epidermico e uno storicismo
sostanziale
A cavallo del Novecento il modernismo europeo
ha avuto una debole diffusione in Italia,
localizzata soprattutto a Torino, Milano e
Palermo, mentre Napoli è rimasta assai poco
influenzata dalla stagione del movimento liberty.
I forti cambiamenti che si sono verificati nell’arte,
nell’architettura e nell’urbanistica sono stati
soprattutto il frutto dell’intreccio tra sviluppo
dell’industria, sperimentazioni tecnologiche sul
ferro e sull’acciaio, sviluppo delle arti applicate, e
nuovi ceti imprenditoriali emergenti, che hanno spinto a rifiutare l’eredità
culturale dell’eclettismo storicistico ottocentesco; ma tali cambiamenti a
Napoli, anche se presenti, sono stati di entità modesta e non sono riusciti a
caratterizzare pienamente le nuove parti di città.
L’urbanistica borghese napoletana infatti si è realizzata a partire da un Piano
ottocentesco (Piano di Risanamento, 1885) che produce la sua influenza
fino alla Seconda guerra mondiale, pur con modifiche e ampliamenti,
sventrando il centro storico con un Rettifilo dalla Stazione in centro città,
progettando ampliamenti sulle colline, e a Chiaia dove compaiono puntuali
fabbriche liberty che dialogano sempre con la tradizione.
Mentre, infatti, la nuova strada in Rettifilo allinea palazzi ottocenteschi in
stile neorinascimentale e neobarocco, le nuove parti urbane borghesi si
caratterizzano da un lato (via Filangeri, via dei Mille, parco Margherita)
come espressione superficiale di un tardo floreale che affascinava i ceti
emergenti, dall’altro, negli interventi a S. Lucia, piazza Vanvitelli, viale Elena
e nei rioni “popolari” come il Duca d’Aosta a Fuorigrotta, come profonda
adesione alla tradizione costruttiva e figurativa del palazzo d’affitto
ottocentesco.
Tra l’innovazione liberty e la continuazione del linguaggio storicista, la
preferenza delle classi borghesi e di quelle “popolari” viene data agli elementi
della tradizione con preferenza per il gusto neorinascimentale.
La strada che meglio esprime il carattere del periodo, nella sua versione
urbana, è via Filangeri-via dei Mille dove si allineano le fabbriche costruite
dall’impresa Ricciardi, Mannajuolo, Borrelli, disegnate da Giulio Arata, che
mostrano le variazioni del liberty napoletano con ibridazioni di motivi
floreali e decori su fabbriche sostanzialmente ottocentesche. Palazzo
Mannajuolo si distingue per il ruolo scenografico che svolge, in asse con via
dei Mille, risolto con una soluzione d’angolo concavo-convessa, con
semicupola al di sopra della scala ellittica e decori in graniglia di cemento.
La novità è rappresentata dagli edifici commerciali (negozi Leopoldo Gatti e
Lotto Zero, edificio Martone al Rettifilo): una nuova tipologia urbana di cui
quello di Giulio Arata disegnato per il commerciante Gatti (via Filangeri 55,
1909) rappresenta una “moderna” soluzione architettonica, risolta con
ridotte strutture murarie e grandi pareti vetrate, in linea con i migliori
esempi di edifici commerciali europei.
Delle tre tipologie del liberty napoletano, palazzi urbani, palazzine e ville di
cui parla Renato De Fusco, le palazzine sono la parte più consistente e
diffusa della nuova residenza borghese e nella quale l’architettura liberty
trova maggiore libertà compositiva: corpi liberamente articolati, geometrie
poligonali, dissimmetrie in altezza e pianta, presenza di torri e torrini,
facciate variate con aggetti volumetrici (bow windows), balconi coperti e
verande, diffuse opere in ferro lavorato e decori floreali. In via Palizzi al
Vomero e nelle zone panoramiche le palazzine liberty si posizionano su
terreni in pendenza dei quali sfruttano abilmente i dislivelli creati dai
tornanti che risalgono le colline (Palazzina Russo Ermolli, Palazzina Velardi,
etc.).
9
Camillo Guerra,
Casa del Mutilato,
interno, 1938
nella pagina accanto
Marcello Canino,
progetto per la sede della
Banca d’Italia, 1951
Al parco Margherita e a Posillipo al rione Carelli (F. De Simone, 1910)
vengono progettate, come residenze altoborghesi, due urbanizzazioni a
parco con villini e palazzine liberty e neomedievali, lungo strade a tornanti
in posizione panoramica; ma solo il parco Margherita, riuscirà a mantenere
nel tempo, pur con l’aumento della densità edilizia, un carattere ambientale
ed architettonico che ricorda il modello urbano originario e lo stile delle
palazzine liberty immerse nel verde. Mentre Villa Pappone a Posillipo è
forse il miglior esempio di palazzina liberty, gli edifici di Adolfo Avena in via
Lordi (1927) e a Villa Spera (1922) sono gli esempi più caratteristici della
variante medioevale neoromanica partorita dall’interno del movimento
liberty a cui potremmo affiancare alcune tarde opere del visionario e geniale
ingegnere Lamont Young (Villa Ebe, 1920). Unico esempio di intreccio tra
liberty e classicismo è il complesso delle Terme nella conca di Agnano, di
Giulio Arata (1909) che, influenzato dalla forza del luogo antico, ibridato
con lo spirito della belle epoque con giochi e motivi floreali, sembra
anticipare quel dialogo col mito della classicità che alimenterà molte
architetture napoletane successive.
Un nuovo centro città monumentale
Mentre durante il liberty e fino alla Prima guerra mondiale le residenze
borghesi marcano lo sviluppo e le trasformazioni urbane, durante il fascismo
sono invece gli interventi pubblici che diventano l’asse portante delle nuove
trasformazioni ed espansioni della città gestite dirigisticamente da un Alto
Commissariato per la città e la Provincia creato nel 1925.
Sul piano urbanistico continua ad essere operante il Piano di Risanamento
del 1885 che viene ampliato affidando ai privati la costruzione delle
aggressive espansioni edilizie sulle colline del Vomero, Arenella e Posillipo.
Sul piano urbanistico si fa strada una nuova visione della città come
sviluppo: si studiano nuovi piani per immaginare un ordine ed un destino a
tutto l’insieme urbano (F. De Simone, 1914-21 e V. Pantaleo 1921) o per
migliorare la sua parte storica, alla luce delle teorie sul diradamento edilizio
10
e l’ambientamento (G. Giovannoni, 1927); ma tali piani rimangono solo
referenti culturali, utilizzati a piacimento, e inapplicati; valga l’esempio
concreto della bonifica del rione Carità che rimane fortunatamente l’unico
caso di sventramento massiccio nel centro storico. Per la verità, sul versante
degli sventramenti, anche i successivi piani (1939 e 1946) prevederanno
insani tagli viari nel centro città che fortunatamente non verranno realizzati.
Durante il periodo tra le due guerre, la città viene investita da notevoli
interventi infrastrutturali, come la creazione della strada litoranea est-ovest
attraverso il tunnel della Vittoria, il collegamento con Fuorigrotta attraverso
il tunnel della Laziale, due nuove funicolari, una per il Vomero (la funicolare
Centrale mostra un interessante connubio tra il giovane strutturista
P.L. Nervi e l’accademico A. Foschini) ed una per Posillipo, la ferrovia
direttissima per Roma nel sottosuolo della città, e da bonifiche di aree
urbane pregiate come il rione Carità e il rione Carducci a Chiaia.
Il rinnovamento dell’architettura avviene nello spazio ristretto di un
generale “richiamo all’ordine dopo le intemperanze del liberty” (Canino).
Il rapporto con la tradizione italiana diventa metro di paragone per la nuova
architettura pubblica in tutte le sue varianti (dal barocchetto al classicismo,
dal Novecento allo stile littorio) e ogni sperimentazione sull’International
Style anche nella versione più soffice del razionalismo italiano viene
confinata ai margini. Tra i due filoni che caratterizzano la modernità di
questo periodo, tra avanguardia e tradizione viene innalzata un’opposizione
ideologica senza mediazione: solo in opere private come a Villa Oro o a
Villa Savarese o in interventi pubblici “funzionali”, come al Mercato Ittico
(tutte di Luigi Cosenza), è possibile rintracciare un’eccelsa sperimentazione
d’avanguardia che si misura col razionalismo e la mediterraneità.
Non maggiore diffusione trova in città la rielaborazione della classicità in
chiave moderna, il cui esempio migliore è la Villa La Loggetta (M. Canino,
1936, oggi trasformata).
Durante il fascismo la penuria di abitazioni popolari si aggrava (nel 1920,
780.000 persone abitavano in 270.000 stanze, con una densità media di
11
creato occasioni per riqualificare il contesto. Un caleidoscopio di linguaggi
architettonici unito ad un museo pubblico di arte decorativa (curato da
A. Bonito Oliva) caratterizzano i nuovi interventi infrastrutturali; ma dove
l’intreccio arte+design+architettura conferisce maggiore eccitazione agli
spazi circostanti è nelle 5 stazioni della Linea 1: Dante, Museo, Rione Alto,
Materdei, e soprattutto Salvator Rosa (A. Mendini, 2001) dove si evidenzia
anche una super-disegnata riqualificazione estetica dell’intorno. Per la verità
alcune stazioni, costruite in superficie nei limitati e stratificati spazi storici,
alterano senza vera necessità gli spazi urbani circostanti (piazza Lala e
Dante) e mostrano la inutilità di ingombrare ancora con nuovi volumi spazi
urbani definiti e già insufficienti per gli abitanti. Molto meglio infatti,
soprattutto nel centro storico, il ruolo di quelle stazioni (progetto Stazione
Municipio, A. Siza) che rimangono nel sottosuolo e che non occupano spazi
liberi e preziosi per i cittadini.
Dintorni
Passeggiate tradizionali legate alla città, i dintorni di Napoli mostrano
importanti episodi architettonici moderni che qualche volta diventano
“luoghi” influenzando il contesto; oppure in altri è la forza del contesto che
ne influenza le architetture. È questo secondo caso ciò che accade e
accomuna le tre isole del golfo, dove classicità e modernità si danno
manforte reciproca, mentre la Fabbrica Olivetti a Pozzuoli (1951-54) si
inscrive tra le grandi architetture che creano luoghi dialogando con il
paesaggio a partire dalla loro forza intrinseca. Diverso è il caso della fabbrica
di ceramiche Solimene a Vietri (1952-55), dove una grande architettura
organica costruisce un tempio al lavoro artigianale esaltando un aspetto
della cultura e tradizione locale. Esempio ignorato è invece quello della Città
Alfa Romeo a Pomigliano (A. Cairoli, 1939) dove un raro esempio di
razionalismo urbano italiano crea una brano di città che funziona
perfettamente ancora oggi.
Ancora, nell’ampio spazio extra urbano di Nola, il segno territoriale del
nuovo centro commerciale Vulcano Buono (R. Piano, 2007) si pone quale
struttura isolata e conchiusa tra architettura ed urbanistica: un largo e basso
cono troncato, ricoperto di verde con al centro una piazza per eventi.
Con la natura dei luoghi, e segnatamente con l’acqua, si misurano invece le
due architetture termali a Castellammare, una al porto l’altra in collina,
mentre a Ravello, Niemeyer cerca di spiazzare la tradizione reinventando,
con il progetto dell’Auditorium, un rapporto coi terrazzamenti dei terreni
della costiera e l’architettura locale.
22
gni grande città tende ad organizzare
le proprie strategie di sviluppo
intorno ad alcuni grandi “sistemi” che
costituiscono sia una nuova offerta di qualità
quotidiana alla popolazione, sia un’attrattiva
per il turismo.
Le strategie che Napoli ha messo in atto negli
ultimi quindici anni sembrano basate
piuttosto su di una logica legata al
consolidamento della città storica e
stratificata, strategia fortemente radicata in un
Piano, approvato dopo una gestazione durata
più di un decennio, generalmente considerato
più vincolistico che di sviluppo.
Sono sembrati mancare nei fatti, o essere
appena accennati, quei grandi progetti
strategici “portanti” che caratterizzano città
più fortemente orientate alla modificazione.
Tuttavia, qualcosa è stato portato avanti, come
il grande progetto di mobilità su ferro,
connesso ad un sistema di tipo regionale; o il
progetto delle aree a verde e dei parchi, il cui
punto forte, ma ancora agli inizi della
realizzazione, è il “Parco Metropolitano delle
Colline”; o, ancora, il sistema dei musei e degli
eventi della modernità, basato principalmente
sul PAN e sul MADRE; o il tentativo di
riorganizzazione delle aree portuali,
puntualmente bloccato da ricorsi alle decisioni
derivate dal concorso.
Più debole il sistema di rinnovamento urbano
basato su nuove architetture di qualità.
Negli ultimi anni Napoli, apparentemente, ha
voluto avvicinarsi a un modello di offerte e di
concorrenzialità tra grandi metropoli, anzi da
un lato ha addirittura inventato una sua
specificità unificando, attraverso la
“metropolitana dell’arte”, mobilità e offerta
culturale moderna; dall’altro, tuttavia, è
rimasta un po’ a metà del guado per quanto
riguarda un capacità di svolgere con lo stesso
livello di innovatività la modernizzazione del
sistema degli spazi aperti e, soprattutto,
dell’architettura.
Quando lo ha fatto, si è rivolta troppo spesso a
grandi nomi esterni, sottovalutando le
O
NAPOLI VERSO
IL FUTURO
Vito Cappiello
23
Gruppo Cellini-Ghio,
progetto del Parco di
Bagnoli sulle aree ex
Italsider
nella pagina accanto
Progetto di
completamento del Centro
Direzionale,
F. Cellini, S. Cordeschi,
G. Martuscelli, 2003
potenzialità di una nuova generazione di architetti, sensibili agli stimoli
internazionali, che comincia ad emergere anche nelle professionalità
napoletane, ma le cui realizzazioni avvengono più fuori che dentro le
mura urbane, mentre le maggiori opere “moderne” realizzate in
connessione al sistema delle stazioni su ferro sono state affidate
“dall’alto” alle principali star internazionali.
Talvolta, poi, grandi occasioni di trasformazione urbana sono state
affidate ad anonime società o risolte all’interno degli uffici pubblici con
scarsi aneliti alla vera modernità.
Ciò penalizza ancora un vera modernizzazione dell’immagine urbana e
ne localizza i pochi segni significativi in limitate occasioni, mentre una
idea di base di “restauro generalizzato” dell’immenso tessuto “storico” è
ben lungi dal poter essere praticata realmente, a fronte di grandi aree di
degrado urbano, anche in zone centrali.
All’interno di un procedere (lento) che la città va svolgendo (malgrado
se stessa) in direzione di una moderatissima modernità (ben delimitata e
poco interiorizzata), ciò di cui si avverte la necessità, è di un più radicale
processo di trasformazione (e forse anche di formazione della classe
politico-amministrativa) in direzione di una vera modernità, non solo
rivendicata a parole, ma praticata nei fatti, e che trovi una strada matura,
capace di coniugare appartenenza alla contemporaneità e appartenenza
a una lunga tradizione colta, non da rinnegare, ma da riconoscere come
parte innegabile della nostra attualità.
Dentro questo processo contraddittorio tra conservazione e modernità,
sembrano tuttavia emergere alcune nuove professionalità che hanno
avuto modo di esprimersi in recenti significativi progetti, alcuni dei
quali facenti parte di “progetti strategici” quali quelli prima menzionati,
altri invece costituenti delle occasioni di vera e propria architettura
moderna. Quasi tutti godono, per lungaggini o irrisolte controversie
amministrative, dello status di “progetti interrotti”.
occasione di trasformazione urbana, è il progetto del Parco di Bagnoli
sulle aree ex Italsider. Alcune delle vicende connesse alla gestazione di
questo parco sono raccontate nel capitolo introduttivo all’itinerario dei
parchi. Il progetto, dopo una gara malamente annullata, è stato affidato
al gruppo Cellini-Ghio. L’area investita riguarda circa 120 ettari
affacciati sul mare tra Nisida e Pozzuoli; è basato, sulla scorta di quanto
stabilito nel PRG e nel PUA di Bagnoli, su un grande sistema di verde
con varie qualità, sulla predisposizione di aree umide tra la spiaggia e il
mare, sul riutilizzo di molti elementi dell’archeologia industriale salvati
dallo smantellamento dell’Italsider, alcuni conservati in situ e
riqualificati con nuove funzioni, altri da rimontare all’interno dei
percorsi previsti, come “totem simbolici” del passato industriale.
Il grande parco dovrà fungere anche da collegamento fra la Città della
Scienza, posto sul lungomare in edifici di archeologia industriale
recuperati, il “museo-ospedale delle tartarughe”, già realizzato, le altre
funzioni da allocare in edifici da recuperare, e il Parco dello sport a
ridosso del costone di Posillipo, in via di completamento. Il Parco di
Bagnoli, tuttavia, incontra continui tentativi di ripensamento
relativamente alle funzioni in esso previste, e, allo stato attuale è ancora
più sulla carta che nella realtà.
Un secondo, significativo progetto, che fin dai primi anni della gestione
Bassolino è stato vantato come un grande progetto di riconfigurazione
del rapporto tra fronte a mare e città storica, è il progetto di
riqualificazione del waterfront del Porto di Napoli. Il progetto di
concorso per la riqualificazione dell’area monumentale del Porto di
Napoli è stato elaborato nel 2004 e affidato a M. Euvè e altri.
L’area d’intervento interessa un ampio arco portuale: dal molo
borbonico di San Vincenzo, all’Immacolatella, a ridosso del Maschio
Uno dei più significativi di questi progetti, su cui il PRG e
l’amministrazione napoletana sembrava aver basato una fondamentale
24
25
< 3 > Napoli dal tram
Incontri fuori dellʼordinario
20
19
18
21
17
13
14
15
12
11
22
10
9
4
1
2
3
5
8 6
7a 7b 7c
7d
N
16
NAPOLI DAL TRAM/3
sperimentalismo avanzato e assolutamente innovativo. E, comunque, vi
piaccia o no, l’architettura moderna è anche questo. Certo, appartiene a
un modo di esprimersi molto…soggettivo… e…
- Basta, basta… - mi mise a tacere il principe e, poi, rivolto agli altri che
avevano assistito divertiti al mio discorsetto - Però, il pover’uomo se l’è
cavata. - E di nuovo rivolto a me:
- Caro Ricci, non c’è bisogno di giustificare niente e nessuno. Ognuno è
libero, almeno finora, di seguire la sua strada. Anche se, a onor del vero,
una casa dovrebbe somigliare a una casa, una strada a una strada e una
piazza a una piazza e lo sperimentalismo dovrebbe, alla fine, approdare a
risultati stabili, come dire?, classici… - Ma il suo tempo è scaduto! - mi salvò definitivamente Vittorio.
Fecero fermare il tram. Eravamo nei pressi del Ponte della Maddalena.
- Se vi allungate più avanti - dissi - potrete visitare anche la Stazione
Centrale. È un edificio di ampio respiro; vi hanno lavorato i migliori.
- Sarà fatto - mi disse il principe, stringendomi la mano - A ben
rivederci… - Rivolto agli altri - Ragazzi salutate - Seguì un “arrivederci”
di tutti in coro. Il principe, poi rivolto a Peppino, mentre scendevo:
- Oh, giovanotto, penna, carta e calamaio, su. Sei pronto? Peppino si era aggiustato alla meglio per scrivere sotto dettatura.
- Signorina, veniamo, noi, con questa mia addirvi…una parola. Scusate
se sono poche, …ma settecentomila lire, a noi ci fanno specie che
quest’anno c’è stata una grande morìa delle vacche come voi ben sapete,
punto, due punti. Ma sì, abundandis in abundandum …Che dica che noi
siamo tirati, cafoni… Vidi Peppino con sguardo malinconico stringere il pacchettino di paglia
sotto il braccio, quasi a piangere l’abbandono forzato di quel piccolo
tesoro. Poi si sporse dal finestrino e me lo passò con un sorriso, dicendo:
- Professo’, non si offenda, noi avevamo pensato che le facesse piacere… La porta si chiuse e il tram se ne partì scampanellando allegramente.
Mi avevano pagato, per un mio lavoro! Allora mi resi conto che si
doveva trattare per forza di un sogno. E mi svegliai subito.
Attualmente il percorso del tram, a causa dei lavori per la Metropolitana,
parte da piazza Vittoria anziché da piazza Sannazzaro.
NAPOLI DAL TRAM/3
1
EDIFICIO
RESIDENZIALE
2
corso Vittorio
Emanuele
1927
Gaetano Costa
L
a Stazione fu inaugurata il 28 ottobre del 1927,
in occasione del varo della direttissima RomaNapoli. L’autore Gaetano Costa era un
professionista molto in vista che, tra l’altro,
partecipò anche all’importantissimo Concorso
Internazionale per il progetto del Palazzo delle
Nazioni. Dal punto di vista planimetrico l’impianto è
costituito dai due saloni degli “arrivi e delle
partenze”, coperti da volte a botte cassettonate
con elementi in vetrocemento, rifinite con stucchi e
decorazioni in stile tardo liberty, tra loro collegati da
un passaggio che mette in comunicazione anche
con la sala ristorante situata in posizione
baricentrica. I pavimenti sono in marmo.
Di notevole rilievo formale, inoltre, le due facciate in
legno di rovere delle biglietterie situate nelle sale
principali e realizzate in stile di gusto classicistico.
Il prospetto principale su corso Vittorio Emanuele è
caratterizzato da una rigorosa distribuzione
simmetrica delle masse e da un basamento in un
pesante bugnato in travertino. L’articolazione della
facciata rispecchia con estrema fedeltà
l’organizzazione degli ambienti interni e si adatta
alla leggera pendenza della strada. Gli ingressi ai
due saloni sono sovrastati da archi decorati.
Il corpo centrale presenta, in sommità, un grande
arco nel quale, oltre a statue e stucchi, è ospitato
un orologio. Elemento notevole è la pensilina a
sbalzo che fa da copertura degli ingressi ai saloni
laterali e al ristorante centrale, eseguita in ghisa
traforata da elementi quadrati ricoperti in vetro
colorato. La pensilina attraversa tutto il corpo di
fabbrica per l’intera lunghezza. In ghisa è anche
l’altra pensilina situata al livello superiore del parco
binari, costituita da un sistema semplice ed
elegante in travatura reticolare continua lasciata a
vista, sostenuta da una serie di esili colonne. (G.R.)
R
isalta,in questo edificio, l’abilità del progettista
nel risolvere felicemente condizioni di partenza
decisamente sfavorevoli: il lotto d’impianto
caratterizzato da una forma planimetrica irregolare
e la presenza dei dislivelli della salita Piedigrotta e
58
STAZIONE DI
MERGELLINA
salita Piedigrotta 3
1927-1928
Giulio Ulisse Arata
59
NAPOLI DAL TRAM/3
delle rampe Sant’Antonio. La soluzione si basa
sulla realizzazione di un basamento d’imposta
dell’edificio ad altezza variabile che ha lo scopo di
assorbire l’irregolarità altimetrica lungo il suo
perimetro e sull’adozione di una tipologia a corte
aperta verso la strada, alla quale è affidato il
compito di razionalizzare le difficoltà planimetriche
dettate dalla forma trapezoidale del lotto
edificatorio. Dal punto di vista stilistico, l’eclettismo
e le tipiche ridondanze a questo connesse, proprie
dell’Arata di tutto il decennio precedente, risultano
smorzate dall’adozione di decorazioni contenute e
sobrie. Nella corte centrale è ubicato il corpo
d’ingresso, segnato da due vani, l’uno che ospita il
varco d’accesso vero e proprio e l’altro cieco.
Da segnalare, inoltre, la particolare soluzione
d’angolo tra le rampe Sant’Antonio e la salita
Piedigrotta, che mostra una veranda sovrastata da
un terrazzino al quinto livello che assicura all’edificio
una particolare valenza estetica. (G.R.)
3
UFFICI COMUNALI
EX
CASA DEL FASCIO
RIONALE
largo Torretta
1936
Giuseppe Mannajuolo
60
S
i tratta di un edificio situato all’incrocio tra le vie
Mergellina e Piedigrotta, che conclude, a guisa
di “testata”, l’insula prospiciente sull’incrocio che
prende il nome di “Largo Torretta”, il quale deriva
dalla presenza nella composizione volumetrica della
costruzione, d’un volume parallelepipedo,
sviluppato in senso verticale, comunemente detto,
per la sua particolare forma e per l’uso cui era
destinato, per l’appunto, la “Torretta”. Il complesso
presenta un’articolazione estremamente semplice,
basata sull’unione-contrapposizione del corpo
principale sul quale s’innesta il volume della
Torretta. L’edificio si sviluppa su quattro livelli.
Le facciate prospicienti sulle due strade laterali
sono quasi interamente rivestite in travertino e
ripartite in tre parti significative: la linea
basamentale, caratterizzata da uno zoccolo
d’imposta e da finestre a doppia altezza; la parte
NAPOLI DAL TRAM/3
centrale con finestre in doppio ordine, impaginate
in campi rettangolari rivestiti in mattoni, che
vengono alternate da paraste in travertino a
tutt’altezza e, infine, la parte a coronamento, ridotta
alla parete nuda in travertino la cui continuità risulta
interrotta dalla sola scansione di finestre quadrate
prive di qualsiasi cornicione di protezione.
Il prospetto sullo slargo è costituito da due ali
cieche che fanno da cornice al volume della
“Torretta”. Quest’ultimo, l’elemento formale di
maggiore spicco, è, a sua volta, suddiviso in tre
fasce verticali: le due laterali, in mattoni a
tutt’altezza, fanno da ali al corpo centrale nel quale
trovano posto, partendo dal basso, il portale
d’ingresso, un balcone dalla balaustra lapidea, due
finestre l’una sull’altra e, in sommità, un orologio
dalle cifre stilizzate che conclude l’assieme.
Una gradonata di sapore vagamente monumentale,
anche se in tono decisamente “minore”, permette
di superare il dislivello tra la strada e il piano terra
dell’edificio. (G.R.)
CIRCOLO DELLA
STAMPA
Villa Comunale
lungomare Caracciolo
1948
Luigi Cosenza
Marcello Canino
L
a costruzione è ubicata all’interno della Villa
Comunale, poco distante dall’edificio
neoclassico della Stazione Zoologica e dalla Cassa
Armonica in ferro e vetro di Enrico Alvino.
L’intervento dei progettisti è stato di ristrutturare ed
ampliare una fabbrica già esistente, danneggiata
nel corso dell’ultimo conflitto mondiale. L’edificio è
costituito da un ampio salone dal quale si diparte
una galleria vetrata che, separando due patii,
conduce al corpo del ristorante. La costruzione
preesistente, costituita da massicce murature
portanti, venne, nel progetto di ristrutturazione,
rifunzionalizzata e a essa venne aggiunta una
nuova parte di ampliamento che dava luogo alla
sala conferenze a doppia altezza, prospiciente a
mezzogiorno, verso il mare, mediante ampie
vetrate situate sia al primo che al secondo livello.
Le vetrate al secondo livello sono protette da
61
4
RIONE CARITAʼ/4
che verrà realizzata qualche anno più tardi. Fulcro di questo insieme
urbano è il monumentale Palazzo delle Poste. Posto in asse con la via
Guantai nuovi, con la sua parete curva dilata lo spazio della piazza,
mentre la fascia basamentale assorbe il forte dislivello con via
Monteoliveto. Le architetture che fanno da quinta all’edificio
postale si rapportano a quest’ultimo rispettandone non solo l’altezza
ma anche alcuni temi di facciata: è sempre un alto portale a
connotare le piane superfici marmoree e dovunque assenza di
stucchi, di decorazioni. Molto diverso è invece il discorso per l’altra
piazza del rione, quella della Carità. Qui, a fare da fondale
prospettico, non è un grande edificio pubblico ma l’edifico dell’Ina,
destinato ad abitazioni e uffici. Posto in posizione centrale rispetto
all’invaso della piazza, si eleva, incurante del contesto, per ben
undici piani ma, nonostante l’esibita monumentalità del fronte
principale, non riesce a ‘ordinare’ la nuova piazza, organizzata
secondo canoni di simmetria contraddetti dall’irregolarità del fronte
opposto. A rompere la rigidità dell’impianto e a bilanciare il vuoto
triangolare del ‘vecchio’ Largo della Carità è però la grande abside
del Palazzo degli Uffici Finanziari che, allineato lungo via Diaz,
risolve con un volume semicilindrico l’innesto tra le due nuove
arterie che si immettono in piazza Carità. Al termine dell’asse che
prolunga il Rettifilo fino a via Toledo, il Piano del 1934 prevedeva
infine due edifici gemelli con soluzione angolare. Solo uno, quello
oggi occupato dalla Banca Nazionale del Lavoro, sviluppa tuttavia
il tema della torre d’angolo; l’altro, un edificio per abitazioni e uffici,
sembra ignorare il proposito di segnalare con una ‘porta’ l’ingresso
alla cittadella direzionale.
84
RIONE CARITAʼ/4
I
l Palazzo delle Poste e Telegrafi è un edificio di
conclamata qualità architettonica, per cui è citato
nei principali manuali di storia e nelle guide di
architettura moderna e contemporanea, ma ha
avuto anche una notevole incidenza nella bonifica
del rione negli anni Trenta. Partiti da una soluzione
di concorso risolta in chiave storicista, i due
architetti Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi, nel
passaggio alla fase esecutiva, conferirono al
progetto un carattere decisamente più moderno
che ha condizionato l’immagine del nuovo quartiere
‘direzionale’. Il lotto era un lotto ‘difficile’, per
l’irregolarità del perimetro, per il forte dislivello
esistente tra le due estremità del fronte principale e
perché confinante con due architetture antiche - il
chiostro grande del convento di Sant’Anna dei
Lombardi e un piccolo loggiato cinquecentesco che bisognava compenetrare nella nuova struttura.
Tre diversi problemi complicati dal ruolo assegnato
al grande edificio postale, collocato in posizione
centrale rispetto all’invaso della nuova piazza.
Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi con l’invenzione
della facciata curva dilatarono lo spazio ristretto
della piazza, mentre con l’inserimento della rampa
gradonata, verso via Monteoliveto, ridussero la
forte inclinazione del piano della piazza che
avrebbe certamente compromesso la
composizione del fronte principale. Interessante è il
modo in cui i due architetti risolvono il rapporto con
le preesistenze. Se infatti il chiostro di Monteoliveto
costituisce un ‘limite’ in quanto fissa l’altezza del
nuovo edificio, il portichetto partecipa invece al
gioco compositivo. Il basamento del lungo fronte
PALAZZO DELLE
POSTE
piazza Matteotti 3
1928-1936
Giuseppe Vaccaro
Gino Franzi
85
1
RIONE CARITAʼ/4
RIONE CARITAʼ/4
del pianoterra gli arredi sono permanenti. Tavoli,
ancora in marmo rosso, sono disposti davanti le
grandi vetrate delle lunghe sale-galleria, per il
telegrafo e la corrispondenza. Gli sgabelli, in nichel
e cuoio rosso, erano dotati di un particolare
meccanismo, purtroppo oggi non più funzionante,
per cui sedendosi al tavolo si accendeva la
lampada corrispondente. (P.C.)
Foto d’epoca
86
su via Monteoliveto è realizzato con una pietra di
colore grigio scuro, la diorite di Baveno, che, posta
in opera per un’altezza pari a quella dell’antico
frammento architettonico, prolunga idealmente i tre
ordini di archi a tutto sesto in piperno grigio fino al
fronte sulla piazza. Il disegno delle facciate
rispecchia la spazialità interna: grandi aperture al
pianoterra, in corrispondenza dei saloni per il
pubblico; semplici finestre rettangolari ai due piani
degli uffici e una striscia vetrata, in alto, per
illuminare la grande sala degli apparati telegrafici,
che, completamente libera di divisori, ricompone il
disegno ‘a martello’ della pianta, così definito dallo
stesso Vaccaro per la particolare conformazione
planimetrica; da qui partivano i cavi del telegrafo
che, attraverso il pilone posto al centro del portale
d’ingresso, raggiungevano il sottosuolo. Il portale
d’ingresso, le grandi bucature al pianoterra, le
finestre e persino la lunga vetrata risultano tutti
multipli e sottomultipli della griglia marmorea che,
nella parte superiore, è in marmo di Vallestrona, un
materiale di notevole pregio. Il rivestimento, messo
in opera senza aggetti né sporgenze, risvolta
ininterrotto lungo stipiti e architravi: non vi sono
cornici a definire i vani né cornicioni aggettanti, solo
i davanzali sporgono dal piano lapideo con il
tradizionale bordo sagomato a toro. Anche la
pensilina di coronamento, in alto, e il portale
d’ingresso sono arretrati rispetto al filo di facciata.
L’arretramento del portale, in particolare, è ottenuto
con l’arrotondamento degli spigoli laterali
sottolineati da un motivo a strisce. All’interno,
superato l’atrio a triplice altezza, con il Monumento
ai Caduti opera dello scultore Arturo Martini, vi è la
Sala vaglia, organizzata intorno alla parete curva in
vetrocemento che delimita la scala principale. Qui,
per ridurre l’ingombro delle strutture portanti, gli
architetti utilizzano due sottili colonne in ghisa che
partono da un lungo tavolo ovale in marmo rosso di
Monte Amiata e raggiungono la ‘brillante’ volta di
copertura. Anche nelle grandi sale per il pubblico
PALAZZO DELLA
PROVINCIA
2
CASA DEL
MUTILATO
3
piazza Matteotti 1
1934-1936
Marcello Canino
Ferdinando
Chiaromonte
C
on la variante del 1934 il lotto per il Palazzo
della Provincia, inizialmente previsto nel Largo
Carità, venne spostato a piazza Matteotti,
all’incrocio con via Diaz in un’area di forma
irregolare. L’edificio, che reinterpreta sia pure in
forme semplificate la tradizionale ripartizione di
facciata - basamento, piani degli uffici e piano attico
con cornice di coronamento - presenta sul fronte
rivolto alla piazza un portale in bronzo a tutt’altezza,
con bassorilievi opera dello scultore C. De Veroli.
Il portale, come di rigore negli edifici pubblici del
regime, occupa tutta la facciata in travertino mentre
il resto dell’edificio è rivestito in klinker giallo.
All’edificio manca quella ricerca di ‘trasparenza’, di
rispondenza tra interno ed esterno, che si ritraccia
anche nel più moderno Palazzo delle Poste;
all’interno è interessante la soluzione dell’andronepassante decentrato rispetto allo stretto cortile
interno, che prosegue fino al fronte retrostante,
rivolto verso il palazzo degli Uffici Finanziari. Tale
passaggio è segnalato, anche da questo lato, dalla
presenza del travertino che interrompe, fino alla
cornice del piano attico, i filari di klinker che
rivestono l’edificio e configura, ancora una volta, una
sorta di grande portale. (P.C.)
L’edificio, sede napoletana dell’Associazione
Nazionale tra Mutilati e Invalidi di Guerra, occupa un
lotto d’angolo tra via Diaz e via Guantai Nuovi.
Considerata la posizione di confluenza tra due
grandi arterie del quartiere, l’intenzione iniziale di
Camillo Guerra era quella di coniugare il tema del
via A. Diaz 58
1938-1940
Camillo Guerra
87
CHIAIA/5
prevalentemente su suoli prima occupati dalla Caserma di
Cavalleria. In questo caso l’intento di creare una certa qualità urbana
si traduce in una cospicua omogeneità degli interventi, con grandi
blocchi scatolari a impianto ortogonale: essi appaiono, rispetto alle
costruzioni di fine Ottocento e inizio Novecento, meno flessibili in
relazione alle variazioni di quota del sito e alle “presenze”
preesistenti. Nel linguaggio prevale una spiccata tendenza alla
monumentalità e una comune aspirazione alla modernità, tradotta a
seconda dei casi con toni ora più marcatamente novecentisti, ora più
razionalisti. Ma, al di là degli specifici accenti, i blocchi compatti e
allineati confermano quel diffuso decoro urbano acquisito dal
quartiere con gli interventi dei decenni precedenti, e il nuovo rione
si integra senza brusche fratture con la trama del piano ottocentesco.
Con il rione San Pasquale si conclude la lunga fase della compiuta
“urbanizzazione” del quartiere, ma prosegue invece quel processo di
“densificazione” che in qualche misura aveva già contrassegnato il
passaggio dalle previsioni di piano alle concrete attuazioni.
Si tende a saturare l’area, con la progressiva rinunzia agli spazi verdi.
È il caso, ad esempio, del grande blocco ad appartamenti in piazza
Amedeo costruito a metà degli anni Venti su progetto di Arata: se da
una parte l’edificio nel disegnare una monumentale quinta della piazza
consolida quei valori “urbani” man mano affermatisi nel quartiere,
dall’altra comporta la perdita dell’ampio giardino del Villino Coppola
Pignatelli. Il fenomeno di densificazione, com’è noto, assume vaste
proporzioni e conduce a esiti nefasti (anche se forse meno disastrosi
rispetto ad altri quartieri) con la speculazione del secondo
dopoguerra, e in particolare negli anni dell’Amministrazione Lauro.
Un po’ dappertutto, ove ve ne sia la possibilità, nuove e voluminose
costruzioni vengono realizzate sugli spazi verdi residui, o sulle aree
ricavate dalla demolizione di edifici dalla più modesta volumetria: la
via del Parco Margherita perde in parte il suo carattere pittoresco, e
nel fervore speculativo scompaiono anche interessanti architetture di
inizio secolo, come un villino progettato da Adolfo Avena. Esiste
qualche raro caso (come l’edificio residenziale in via Cappella Vecchia
3, architetto Fernando De Blasio, 1958) in cui gli interventi di
sostituzione mostrano un qualche interesse, ma in linea di massima i
grandi blocchi in cemento armato piuttosto che affermare nuovi
valori urbani, dissipano quelli consolidatisi nei decenni precedenti.
In senso opposto rispetto ai processi di saturazione procede il più
recente edificio segnalato, la Scuola materna in via Carlo Poerio: se è
discutibile la incompleta attuazione del progetto, piuttosto difforme
da quanto previsto dagli ideatori (Pica Ciamarra Associati), ritorna
di attualità però il proposito di risolvere le contraddizioni del
contesto all’interno del singolo intervento.
102
CHIAIA/5
CASTELLO
ASELMEYER
1
PALAZZINA
PARADISIELLO
2
corso Vittorio
Emanuele 166
1899-1902
Lamont Young
C
ostruito in origine come propria residenza
dall’architetto-ingegnere di origine inglese,
estroso autore di vari edifici sulla collina del Parco
Grifeo, il castello rappresenta uno dei più vistosi esiti
di un eclettismo inteso come architettura della
memoria, come deliberata riproposizione di
suggestioni distanti nel tempo e nello spazio.
Ma mentre le citazioni stilistiche - con motivi anglogotici, Tudor ed elisabettiani - rimandano a contesti
lontani, il legame con il luogo è affermato dal felice
posizionamento nella collina, ottenuto integrando il
più possibile la costruzione nel sito “naturale”, del
quale peraltro alcuni elementi vengono artificialmente
rimodellati per accentuarne la pittoresca irregolarità.
Il corpo in basso della portineria risulta oggi
deturpato da incongrue sopraelevazioni. (F.M.)
via del Parco
Margherita 36
1907-1909
Giulio Ulisse Arata
C
ostruita per l’imprenditore Germano Ricciardi,
la palazzina ad appartamenti costituisce un
significativo episodio del liberty cittadino, del quale
ripropone l’ambivalenza. Infatti, per un verso, il
trattamento degli esterni manifesta raffinate
citazioni riferite alla locale tradizione barocca,
evidenti sia nel trattamento delle facciate con
specchiature in mattoni rossi racchiuse da “lesene”
in pietra artificiale grigia, sia nell’articolato disegno
delle cornici delle bucature; peraltro, il tenore
generale dell’apparato ornamentale rimanda
all’Art Nouveau europeo, con espliciti richiami al
vitalismo della natura, particolarmente evidenti nei
103
CHIAIA/5
CHIAIA/5
ferri battuti così come negli stucchi. D’altronde, la
stessa ambizione di realizzare un’architettura ricca
di valenze “artistiche” e coerente fin nel dettaglio
più minuto, costituisce una significa testimonianza
del clima liberty. Particolarmente significativa risulta
l’esile ed elegante scala interna. (F.M.)
3
PALAZZINA
RESIDENZIALE
via del Parco
Margherita 14
1909
Emanuele Rocco
I
l problema dell’edificazione intensiva di un ampio
lotto servito da strade poste a quote
sensibilmente diverse viene qui risolto con un
grande blocco suddiviso in due parti,
apparentemente indipendenti e ciascuna dotata di
un’autonoma fisionomia. In entrambi i casi accurate
decorazioni moderniste e spunti tratti dalla recente
architettura viennese - e segnatamente dall’opera
di Otto Wagner - si amalgamano con stilemi più
tradizionali in un’intonazione monumentale,
sottolineata dall’adozione di lesene giganti. Toni più
tendenti al classicismo prevalgono sulla simmetrica
facciata sul parco Margherita, dominata dall’asse
centrale di simmetria su cui si pone l’elegante
ingresso; un carattere più neobarocco assume
invece il settore su via San Pasquale, dove invece è
l’elemento d’angolo con l’ampio portone (ingresso
al Teatro Sancarluccio) ad essere evidenziato. (F.M.)
L
A
l contrario della maggior parte degli esempi
cittadini di liberty, nei quali l’aspirazione a una
certa vivacità compositiva viene per lo più
concentrata in esuberanti apparati decorativi al di
sopra di banali blocchi parallelepipedi, questa
palazzina ad appartamenti propone un originale
impianto planimetrico, movimentato dal profilo a
spezzata del lato verso la strada. L’intonazione
Art Nouveau è d’altronde rafforzata dagli elementi
decorativi in stucco sui prospetti, con motivi floreali
e fitomorfi che si combinano con bassorilievi di
gusto più classico, e dall’elegante pensilina sul
corpo emergente d’ingresso. (F.M.)
4
PALAZZO
ACQUAVIVA
COPPOLA
via del Parco
Margherita 12
via San Pasquale 48
1912
Augusto Acquaviva
Coppola
104
a costruzione, originariamente destinata ad
albergo, rielabora in un linguaggio piuttosto
originale alcuni caratteri tipici dei luoghi di svago e
di villeggiatura fin de siècle, dalla vivacità della
composizione planivolumetrica all’accuratezza del
partito decorativo. Tra suggestioni orientaliste e
aperture al linguaggio Art Nouveau piuttosto
precoci per l’ambiente napoletano, gli spunti
eterogenei si amalgamano in un linguaggio
composito, caratterizzato peraltro da contrasti
cromatici sottolineati dall’accurata definizione di
dettagli artigianali in mattone, in maiolica, in ferro.
Il tema della varietà, evidente nei particolari
ornamentali, è presente anche nel movimentato
gioco dei volumi, appropriato al contesto urbano,
e accentuato dalla lieve dissimmetria prodottasi
con la mancata realizzazione del piano attico sul
lato orientale, previsto invece nel progetto originale.
Sebbene, soprattutto negli ambienti interni, siano
andati perduti alcuni dei più caratteristici elementi
decorativi, resta una godibilissima articolazione
degli esterni, apprezzabile anche per il felice
posizionamento nella pittoresca quinta “aperta” di
piazza Amedeo. (F.M.)
I
l massiccio e tradizionale blocco per
appartamenti con corti interne testimonia di una
fase in cui, definitivamente le suggestioni
stilistiche della Belle époque, si ripiega sui
materiali della tradizione, senza rinunciare però né
a una certa inventiva nel rielaborare gli stili storici,
in questo caso prevalentemente il barocco, né a
una costante cura per il dettaglio decorativo.
La caratteristica principale di questo edificio è
data dalla capacità di configurare una quinta
monumentale, definendo con coerenza
GRAND
HOTEL EDEN
5
PALAZZO
COTTRAU
RICCIARDI
6
via del Parco
Margherita 1
1899-1901
Angelo Trevisan
piazza Amedeo 8
1925-1926
Giulio Ulisse Arata
105
POSILLIPO/6
Pozzuoli la sua interpretazione dell’atrio corte attingerà livelli di notevole
bellezza. La stessa bellezza che in altri contesti e con differenti linguaggi
si ritrova nello spazio centrale coperto della Villa a Trentaremi di
Massimo Nunziata del 1954, in quello porticato del Centro
Antitubercolare del 1940 alla confluenza tra le vie Manzoni e Padula
(unico episodio compositivamente interessante in un complesso edilizio
invero modesto) ed in quello a corte semiaperta della Casa plurifamiliare
di Massimo Pica Ciamarra del 1970 in via Petrarca.
Si chiude qui il rapido baedeker dell’architettura moderna a Posillipo.
Certo, non v’è moderno che possa competere con Donn’Anna e Fanzago,
non v’è giardino sia che si tratti del piccolo e rarefatto giardino estivo di
Villa Oro o dei tetti giardino cari a Davide Pacanowski che possa
sostenere il confronto con i grandi giardini e parchi delle belle dimore
allineate sulla costa e sovente annunziate da sobri portali lungo la via
Posillipo. Insomma, che qualcosa o molto nel Novecento sia cambiato
nella società, nel costume, nell’economia, nel regime di proprietà dei
suoli, nell’architettura e ancor più in generale nel gusto dell’abitare lo si
avverte massimamente proprio a Posillipo ove la prevalenza della
tipologia della villa unifamiliare esalta tutte queste differenze facendo
apparire il moderno sempre disadorno e dimesso, soprattutto nella sua
declinazione razional-funzionalista. Tale sensazione è diffusa ma non
risponde al vero perché, soprattutto nelle prime testimonianze edilizie
ispirate al linguaggio razionalista, i pionieri del moderno affidavano al
bianco volume disadorno un messaggio etico ancor prima che estetico.
Il nemico da combattere, per così dire, era la paccottiglia storicista sotto
la cui ridondanza decorativa si nascondeva una crisi di valori e di
comunicazione. In tale direzione vanno letti e valutati i primi bianchi
volumi allineati sulle balze di Posillipo a partire dagli anni Trenta.
Un itinerario che voglia concretamente ripercorrere le tappe
dell’architettura moderna a Posillipo principia sempre da Mergellina,
atrio della collina, e si conclude sempre al Capo. Da qui, volgendo lo
sguardo sulla costa a occidente ci si rende conto che le antiche mitologie
di Posillipo e dei Campi Flegrei hanno ceduto il passo alla proterva
mitologia della modernità industriale. Oggi però questa presenta i segni
della disfatta. Lo sterminato opificio sembra una Pompei di metallo.
POSILLIPO/6
RIONE DUCA DI
GENOVA
piazza S. Luigi
1932-1935
Istituto Case Popolari
L
a compatta cortina di edifici lungo via Posillipo
sembra che all’improvviso si arretri e compare
una sorta di cavea. Siamo, invece, al centro di una
vecchia cava di tufo sistemata scenograficamente
con la costruzione di tre edifici alti sette piani.
Quello centrale è incassato parzialmente nel
retrostante costone di tufo e presenta un ingresso
posto al termine di una monumentale gradinata.
Bella piazza-belvedere affacciata sul golfo di
Napoli, gli edifici sono realizzati da un ICP ancora in
grado di determinare un disegno della città
attraverso i suoi interventi. (M.D.M.)
Foto d’epoca
MAUSOLEO
SCHILIZZI
2
VILLA A
TRENTAREMI
3
via Posillipo 155
1881-1920
Alfonso e Camillo
Guerra
L’
eclettico edificio progettato da Alfonso Guerra
fino al 1889 fu terminato soltanto nel 1920 dal
figlio Camillo, quando il Comune di Napoli acquistò
il complesso per raccogliervi le salme dei caduti di
guerra. L’intento celebrativo della grande ‘cappella
funebre’ è espresso da un linguaggio eclettico, per
così dire ‘neoegizio’. La costruzione è composta da
un grande basamento, dalla vera e propria cella
con quattro grandi colonne nel pronao. Al di sopra,
la piccola torre con cupola è caratterizzata da
pseudo-cariatidi. (M.D.M.)
L
a villa sorge sulla sommità del promontorio di
Trentaremi e si affaccia su una delle baie più belle
e suggestive di Capo Posillipo, proprio di fronte
all’isolotto della Gaiola. È completamente immersa
nel verde che la rende pressoché invisibile sia dalla
costa che dall’alto. Raggiungerla dalla discesa
Gaiola è un viaggio nella natura e nella storia della
collina. È stata ricostruita negli anni Cinquanta nello
stesso posto in cui sorgeva l’originaria costruzione
dell’ambasciatore inglese a Napoli, distrutta dai
120
1
discesa Gaiola 37
1954
Massimo Nunziata
121
POSILLIPO/6
POSILLIPO/6
maioliche delle cimase delle finestre e delle fasce
marcapiano, nei mensoloni in bronzo che
sorreggono il cornicione. Questa corrispondenza
tra il carattere della decorazione e la condizione
sociale ed economica della committenza è una
delle caratteristiche dello stile liberty adottato dalla
borghesia imprenditoriale e utilizzato per
comunicare gli ottimistici progetti di questo ceto
emergente nell’epoca a cavallo tra il XIX e il XX
secolo. (G.Fu.)
bombardamenti alla fine della Seconda guerra
mondiale. È articolata con forme e volumi semplici
sobriamente rifiniti, senza particolari virtuosismi
formali. Una misura esemplare più volte rimarcata
dalla critica. All’interno le camere si distribuiscono
intorno a uno spazio centrale a tripla altezza e sono
raggiungibili con una scala in legno illuminata
dall’alto da un lucernario a torretta. (G.Fu.)
4
QUARTIERE
SPERIMENTALE
TORRE RANIERI
5
via Manzoni
via Torre Ranieri
1945-1955
Luigi Cosenza
Franceso Della Sala
Adriano Galli
VILLA PAPPONE
salita del Casale di
Posillipo 5
1912
Gregorio Botta
Foto d’epoca
U
L
a villa è situata in una stradina secondaria della
collina di Posillipo con la facciata liberty
sottolineata da una bella pensilina in ferro e vetri
policromi sostenuta con grifoni di bronzo.
Il villino plurifamiliare è una sorta di ‘specchio’ della
personalità del committente, il commendator
Pappone, commerciante di fiori. Difatti l’ornamento
della facciata è tutto giocato su motivi floreali
leggibili nelle balaustre in ferro battuto, nelle
122
n sogno “socialista”: un quartiere popolare
nella borghese Posillipo, un laboratorio dal
vivo che sperimenta soluzioni tecniche innovative
per realizzare quartieri pubblici di case popolari.
La realtà è andata diversamente, ma il valore
“eroico” di questo gruppo di progettisti
(appartenenti alla Fondazione Politecnica
dell’Università di Napoli) che si cimenta con
l’abbattimento dei costi, attraverso processi di
prefabbricazione e di industrializzazione,
rinunciando alla ricerca estetica e snobbando il
subdolo panorama, è memoria storica che
appartiene alle battaglie dell’architettura sociale
tese a dare una casa a tutti. 16 palazzine
tradizionali con due alloggi per piano,
ordinatamente in fila e disposte secondo la
migliore insolazione (nord-ovest, sud-est)
sperimentano altrettanti sistemi costruttivi
verticali e orizzontali. Solo in qualche dettaglio,
una balconata, un muro, sfuggiti casualmente di
mano, si riconosce la bellezza di una soluzione
architettonica semplice e necessaria. (M.D.M.)
I
l progetto prevedeva la costruzione di otto
abitazioni unifamiliari intorno a un preesistente
albero di noce, oggi trasformate in parte in studio
e laboratorio di progettazione. La villa ruota
intorno a una piazzetta-corte di progetto e ricalca
VILLA BIANCA
via Petrarca 38
1965-1970
Massimo Pica
Ciamarra
123
6
FUORIGROTTA/7
Vittorio Silvestrini, la Città della Scienza, con il suo annuale appuntamento
di Futuro Remoto, il museo, l’incubatore di imprese e il centro congressi
ricavato sempre in antichi capannoni industriali dalla sensibile riconversione
firmata da Pica Ciamarra Associati. Intanto procede la bonifica che
dovrebbe includere lo smantellamento della colmata col ripristino della
spiaggia e la creazione del porto turistico. Sono in fase di progettazione ed
esecuzione impianti sportivi e per il benessere, un vasto parco (Francesco
Cellini) con relitti di archeologia industriale dove troveranno posto studi di
registrazione audiovisiva, acquario, completato da polo tecnologico e
alberghi, per diventare la sede principale del Forum delle culture nel 2013.
Frattanto la passeggiata sul recuperato pontile ci apre nuove prospettive sul
paesaggio flegreo.
Per molti napoletani Fuorigrotta si identifica con lo sport-spettacolo del
gioco del calcio. Ma il quartiere era ricco di attrezzature sportive già da
prima degli anni Sessanta, quando superava il terzo di tutti gli impianti
cittadini, con lo Sferisterio, la Piscina scoperta (1940) della Mostra e la
Scuola di equitazione (1939). Dopo, negli anni Settanta, la Piscina
Scandone e il Palazzetto dello Sport formarono un'ulteriore polarità
all'estremo del viale dei Giochi del Mediterraneo, a fianco del Cinodromo,
che si prolunga fino all'Ippodromo di Agnano. Lo Zoo e il parco di
divertimenti di Edenlandia completano le attrezzature ricreative di interesse
cittadino.
Alle attività che richiamano flussi di visitatori e che danno un apporto alla
dinamica economica del quartiere si contrappongono quelle attività recluse
che occupano talvolta porzioni anche rilevanti del territorio e lo rendono
inaccessibile se non al gruppo ristretto dei titolari. Tra queste possiamo
annoverare le aree militari che sono cresciute intorno al Tirassegno, la base
aeronautica e il carcere di Nisida - tra le due guerre sede dell'Accademia
Aeronautica poi spostata a Pozzuoli - e la base della Nato al Villaggio Ciano
di Bagnoli - trasferita a Gricignano. Contrariamente alla teoria urbanistica
moderna monofunzionale, si è formata una parte di città ricca e articolata,
scampata allo stigma di "periferia", in cui si riconosce il consolidamento di
una struttura commerciale con la massima concentrazione, nella zona
occidentale, di negozi di vasta portata. Così non possiamo più identificare
Fuorigrotta come una delle porte di ingresso a Napoli, perché la sua capacità
attrattiva su tutta la zona occidentale da Bagnoli, a Pianura, a Soccavo confermata dall'elevata mobilità interna - la consolida piuttosto come una
nuova centralità complementare e autonoma: il cuore di Napoli moderna.
140
FUORIGROTTA/7
STAZIONE DELLA
CUMANA
1
piazzale Tecchio
1939-1940
Frediano Frediani
ristrutturazione 1990
Nicola Pagliara
L
e due stazioni della Cumana progettate da
Frediano Frediani sul finire degli anni Trenta,
sono episodi di grande qualità architettonica e
costituiscono il raffinato segno di una cultura
modernista capace di mantenere un forte
collegamento con i modelli della classicità, in
particolare nelle declinazioni che appartengono alla
tradizione locale. La stazione di piazzale Tecchio
rappresenta un polo nel grande vuoto
monumentale che segnava l’ingresso della Mostra
delle Terre italiane d’Oltremare: da ciò deriva la
scelta di una geometria centrale come quella del
cerchio che rimanda alle memorie dell’architettura
greco-romana dei templi rotondi, producendo forti
collegamenti con le immagini dell’archeologia del
territorio flegreo (i templi di Serapide, di Venere o di
Diana). La geometria in pianta dei cerchi
concentrici si traduce in alzato in un raffinato
innesto di cilindri, esaltato dall’esile griglia di pilotis
e dalle ampie finestrature a tutt’altezza che
attraversano l’edificio fino all’atrio. L’invaso centrale
è caratterizzato da un unico pilastro centrale da cui
partono le travi radiali che sorreggono la copertura
in vetrocemento, come piazza coperta illuminata da
luce zenitale. Il restauro del ‘90 ha esaltato gli
elementi strutturali dell’edificio, aggiungendo
dettagli e impreziosendo i materiali - come la base
dei pilastri, gli infissi e i rivestimenti lapidei. (M.R.)
FACOLTAʼ DI
INGEGNERIA
viale Augusto,
piazzale Tecchio
1955-1980
Luigi Cosenza, Michele
Pagano, Marcello
Picone, Giorgio
Savastano, Luigi
Tocchetti, Mario Taddei,
Ottavio Vocca, Rosario
De Stefano
141
2
FUORIGROTTA/7
FUORIGROTTA/7
N
el complesso di piazzale Tecchio la zona
basamentale è nettamente distinta dalla lamina
degli istituti. La prima è organizzata intorno al
principio del “chiostro”, esplicitamente assunta dal
progettista, Luigi Cosenza, come luogo ideale della
didattica, un elemento che persiste nelle diverse
alternative di progetto, fin dalla soluzione a padiglione
che configurava un vero e proprio campus.
Il rivestimento delle pareti con lavagne rende ancora
più esplicito lo scopo del porticato. Le aule di disegno
si aprono a nord con frangisole. Le pareti meridionali
chiuse sono un’occasione di sperimentazione della
“unità delle arti”, teorizzata da Cosenza. Sono
ricoperte da mosaici di Domenico Spinosa. Sulla
facciata principale i mosaici di Paolo Ricci decorano
l’aula magna e la biblioteca (deposito dei libri).
La composizione analitica degli elementi mina ogni
solidificazione in volumi, facendovi immediatamente
emergere i piani costituenti, librati tra i pilastri tondi,
separati da vetrate, o identificati in sottili lamine
verticali. Questa tensione dinamica trova il suo
culmine nell’impressione empatica di peso suggerita
dall’innesto della lamina sul basamento che pare
determinare una depressione con relativo
rigonfiamento verso l’aula magna e le aule da
disegno, sul fronte laterale di viale Augusto. Questa
vibrazione espressionistica di un linguaggio
razionalista si arricchisce ulteriormente del colorismo
organico dell’azzurro, contrastante con i toni delle
terre. L’interno fluido e continuo, non è modulato dalle
chiusure, ma dalla distribuzione della luminosità
naturale. Vanno segnalati, oltre agli ambienti già citati,
il vasto atrio dei passi perduti, con le scale metalliche
aperte; la sala del consiglio; gli ascensori da cui
godere il panorama della Mostra. (F.D.M.)
3
spazio di circolazione, faceva sviluppare gli alloggi al
piano superiore e inferiore a quello d’ingresso.
Ma anche le case in linea realizzate hanno importanti
innovazioni. Luigi Cosenza, che ha dedicato attenti
studi sull’abitazione nella sua evoluzione moderna e
nella tradizione campana, ribalta lo sviluppo della
scala in modo da avere lo smonto in facciata ed
evitare la finestra all’altezza di metà piano. In questo
modo, il passaggio dall’esterno all’interno della casa
avviene attraverso spazi più articolati, scoperti,
coperti, aperti, semichiusi, chiusi. Inoltre, la loggia di
tradizione rurale è affrancata dalla servitù di
passaggio. Caratterizzano le facciate i frangisole
metallici delle scale e quelli in cemento vibrato, che
nascondono i terrazzini dei servizi. Lungo il viale
l’allineamento è assicurato da un porticato con un
piano di abitazioni. Questa facciata esposta a nord,
dove non sarebbe consigliabile realizzare affacci infatti, è la testata opposta che si apre con balconi si propone, comunque, di disegnare lo spazio
urbano con i terrazzini d’angolo e le finestre a
nastro. (F.D.M.)
PIAZZALE TECCHIO
1988-1990
Pica Ciamarra Associati
CASE POPOLARI
PER SENZATETTO
viale Augusto
1947-1951
Luigi Cosenza
Carlo Coen
P
I
l progetto originario prevedeva di occupare tutto
l’isolato fino a piazzale Tecchio, includendo il lotto
della Facoltà di Ingegneria. Sulla piazza dovevano
essere costruite due lame a ballatoio dalla pianta
innovativa che, per evitare l’affaccio su questo
142
rogettato alla fine degli anni Trenta da Marcello
Canino, piazzale Tecchio si proponeva come porta
della città dall’area flegrea e baricentro di importanti
poli di comunicazione, come le stazioni FS,
Metropolitana e Cumana. Oggi rappresenta un ambito
urbano che collega funzioni attrattive di grande
importanza come la Mostra d’Oltremare, lo Stadio
S. Paolo, il Politecnico, il Polo tecnologico CNR,
l’Auditorium Rai. Su quel primo progetto, che
ripensava la piazza in maniera unitaria, si sono
sovrapposti negli anni una serie di innesti che ne hanno
frammentato lo spazio e modificato il sistema della
mobilità, sia carrabile che pedonale. Il progetto di Pica
Ciamarra Associati, ri-articola la parte nord del piazzale
Tecchio e si propone di tradurre in forma urbana il
complesso sistema di relazioni di cui è nodo: così si
143
4
MOSTRA DʼOLTREMARE/8
vicissitudini tese a porre riparo alla grave situazione debitoria dell’Ente.
Nei quarant’anni successivi la progressiva cessione delle aree di bordo, le
requisizioni post terremoto, la triste vicenda dei mondiali del 1990,
l’incuria, la cattiva gestione hanno prodotto danni sicuramente
maggiori di quelli causati dall’ultima guerra. Basti pensare alla
demolizione di architetture quali le Serre Tropicali di Carlo Cocchia o a
quella più recente dell’Arena Flegrea di Giulio De Luca, una delle più
belle opere realizzate a Napoli durante il Ventennio, peraltro avallata
dallo stesso De Luca autore della nuova Arena. Per non parlare del
proliferare di recinti, superfetazioni o della costruzione di nuovi
padiglioni del tutto ignari, nelle proporzioni come nei rapporti
compositivi, delle sottili e complesse regole urbane insite nell’impianto
del parco che aspirava a divenire un giorno il centro rappresentativo del
quartiere flegreo. Per finire, sempre in occasione dei mondiali del
1990, i lavori di “ristrutturazione artistica” di piazzale Tecchio hanno
alterato irreversibilmente i presupposti di questo grande progetto
fondativo, ossia lo stretto originario rapporto della Mostra con il viale
Augusto, a suo tempo concepito come “pronao monumentale” al
complesso espositivo.
Questo sciagurato processo di depauperamento è stato arrestato
miracolosamente alla fine degli anni Novanta, ancora una volta grazie
alle capacità e alla dedizione di “singoli” (il presidente Raffele Cercola e
l’architetto Marisa Zuccaro direttore tecnico-architettonico della
Mostra d’Oltremare). Gradualmente l’affascinante e per certi versi
misterioso frammento urbano della Mostra ha ripreso a raccontare il
mito esotico e moderno all’origine del quartiere flegreo. L’intenso
lavorio condotto all’interno del recinto man mano ha puntato più in
alto, ben oltre gli obiettivi di un semplice recupero, e oggi la scommessa,
formalizzata nel PUA approvato nel 2005, sembra finalmente porsi al
livello della posta in gioco: un parco congressuale, culturale, fieristico e
del tempo libero che, recuperando lo splendore e la dimensione
originaria della Triennale del 1940, divenga un fondamentale
riferimento per Napoli e il Mediterraneo.
Chissà, forse giungerà anche il momento in cui la città sarà finalmente
in grado di raccogliere quanto suggerì a suo tempo Carlo Cocchia:
“Riconosciamo questa straordinaria circostanza: il centro di un
quartiere di espansione è stato costruito prima del quartiere stesso.
Sfruttiamo questa fortunata occasione convertendo un’inutile mostra
triennale nel cuore di un nucleo cittadino già pulsante di iniziative”.
MOSTRA DʼOLTREMARE/8
PALAZZO CANINO
EX
T
estata d’angolo del fronte principale del
complesso fieristico, l’edificio si configura come
un blocco compatto a tre livelli in muratura di tufo
rivestita in travertino. Gli ampi “tagli” verticali in
corrispondenza degli androni accolgono colonne
circolari con trabeazioni proprie che sul fronte
principale acquistano un andamento semi-ellittico
sposandosi con la bassa e ampia gradonata
circolare che disegna il parterre antistante.
Originariamente articolato sulla successione
planimetrica di tre corti, vede i locali rappresentativi
del corpo principale, e in particolare il “vestibolo” e
il “salone d’onore”, tutti rivolti verso il “cortile
d’onore” che con i suoi colonnati laterali e la vasca
rettangolare richiama esplicitamente i caratteri
dell’atrio a impluvium della Domus romana. Il
“salone d’onore”, così come il vestibolo, presenta
altezza doppia; le pareti longitudinali sono
conformate da una successione di nicchie; quelle
terminali sono decorate con affreschi a tutta parete,
opera di Emilio Notte e Franco Girosi. Il palazzo,
nello scenario di recupero definito dal PUA, è stato
destinato ad albergo ed è ormai prossimo l’inizio
dei lavori finalizzati alla sua riconversione. (L.P.)
Restauro e
rifunzionalizzazione
come albergo (in corso)
L. Casalini
TORRE DELLE
NAZIONI
TORRE DEL PARTITO
NAZIONALE FASCISTA
1940
Venturino Ventura
EX
R
isultato di un concorso nazionale ad ampia
partecipazione, la torre si configura come un
oggetto parallelepipedo a base quadrata (24.50m),
piuttosto tozzo (h=46m), appoggiato su di un alto
basamento in laterizio (3.20m), di cui due fronti “pieni”
162
1
PALAZZO DEGLI UFFICI
1940
Marcello Canino
Riedificazione del
corpo posteriore
1952
Delia Maione
163
2
MOSTRA DʼOLTREMARE/8
rivestiti in travertino sono orientati rispetto a quella che
era concepita come la nuova direttrice fondativa della
piana, mentre vetrate e brise soleil definiscono l’effetto
di trasparenza tra il piazzale e la Fontana. Nella versione
del 1940 la fascia basamentale era decorata in gesso e
cartone con bassorilievi che incorniciavano la statua
della Vittoria Fascista, opera di Pasquale Monaco e
Vincenzo Meconio. Il volume interno si configura, dal
primo piano in poi, come un unico ambiente a sviluppo
verticale: lo schema tipologico classico “a torre” con il
blocco centrale degli ascensori risulta qui “spaccato” a
metà e articolato su livelli sfalsati mediante due
sottostrutture in c.a di grande impegno e arditezza per
l’epoca, rese otticamente indipendenti dall’involucro
esterno. Si realizzava in tal modo una sorta di macchina
della visione confluente mediante il sistema di scaleponte, verso il terrazzo-belvedere, che consentiva di
gustare a pieno lo spettacolo fantasmagorico di luci
e suoni offerto dalle Fontane dell’Esedra. Attualmente
inagibile, la torre è stata destinata dal PUA a Museo ed
esposizioni ed è prossimo l’inizio dei lavori di restauro
(Progetto Corvino+Multari). (L.P.)
3
TEATRO
MEDITERRANEO
MOSTRA DʼOLTREMARE/8
suggestivo “Salone dei fiori” (13x30 m, alto 10 m)
corrispondente in facciata al loggiato principale.
La sala del Teatro Mediterraneo, progettata per ben
due volte da Luigi Piccinato, è conformata da
un’unica platea che termina alla quota di imposta di
quella che era la balconata presente nella versione
originaria del 1940; il boccascena è delimitato da
torri mobili che consentono di regolarne l’ampiezza
fino a un massimo di 20 m. Attualmente è ormai in
fase di completamento il restauro di questa
avanguardistica macchina scenica che riporterà nel
pieno delle sue potenzialità il teatro-auditorium. Il
palazzo già dispone di sale convegnistiche di varie
dimensioni e ospita gli uffici della Mostra. (L.P.)
EX PALAZZO DELLʼARTE
1940
Nino Barillà
Vincenzo Gentile
Filippo Mellia
Giuseppe Sambito
Interno del Teatro
1940 e 1952
Luigi Piccinato
Restauro delle opere
artistiche del
Palazzo,1999,
Sovrintendenza BB.AA,
Ch. Gambardella
Recupero del
palcoscenico e dei
camerini, 2008-2009
D.T.A./MdO
diretto da M. Zuccaro
164
Foyer del teatro
RISTORANTE CON
PISCINA
1940 e 1952
(ristrutturazione)
Carlo Cocchia
Recupero e adeguamento
funzionale della piscina,
2004, Studio Pica
Ciamarra Associati
R
isultato di un concorso nazionale che aveva
visto il confronto serrato tra impostazioni
linguistiche e architettoniche fortemente
differenziate, il palazzo si caratterizza
accademicamente come fondale scenico del
piazzale principale: una cornice in travertino
inquadra il grande loggiato neoclassico con le sue
quattordici colonne d’ordine gigante e la parete
interna interamente affrescata, opera di Chiancone
e Barillà; al di sotto, un’ampia scalea marmorea
conduce ai varchi del portico d’ingresso ritagliati
nella scura fascia basamentale in serpentino.
Conformato tipologicamente da una planimetria a T
derivante dalla giustapposizione del Teatro al
Palazzo dell’Arte, l’interno si sviluppa intorno
all’elegante atrio di ingresso di 800 mq,
pavimentato in marmo verde serpentino e articolato
su due livelli; frontalmente una doppia fila di pilastri
rivestiti in marmo calacatta delimitano l’ampia
scalea che conduce al ridotto e alla sala del teatro
e, al di sopra, al ridotto superiore e al bar che a sua
volta introduce al grande salone dei congressi, il
I
l disegno di piano della Mostra vincolava
l’andamento dell’angolo dell’edificio verso la
Fontana come una delle due testate (insieme al
padiglione della Banca d’Italia) che segnavano
l’ingresso al “Parco dell’Esedra”. Di qui la
giustificazione della dissimetria planimetrica
dell’impianto a T generato dall’innesto della piscina
nel corpo ristorante. La soluzione compositiva e
rappresentativa di quest’ala di minori dimensioni fu
affidata alla citazione della rampa lecorbusieriana
che conduce al piano superiore dell’edificio e al
terrazzo di copertura. La rampa era originariamente
configurata come corpo autonomo a tre livelli. Nella
ristrutturazione del 1952, opera dello stesso
Cocchia, la rampa acquistò l’attuale senso di
continuità formale con i loggiati nella configurazione
asimmetrica della facciata principale,
accentuandone l’apertura fino a tutta la lunghezza
Restauro del ristorante,
in corso, D.T.A./MdO
diretto da M. Zuccaro
Foto d’epoca
165
4
VOMERO/9
VOMERO/9
EDIFICIO
RESIDENZIALE
1
VILLA LORELEY
2
via Lordi 6
piazza Fuga
1927-1928
Adolfo Avena
La Tangenziale
da via Cilea
le case, impongono bruschi salti di scala
dimensionale al vissuto urbano. Queste
prospettive fatte di visuali panoramiche
(particolarmente nei tratti ArenellaCapodimonte-via Cilea), di aperture rapide e
improvvise sulle residue bellezze del territorio
verso i Campi Flegrei, si interrompono con la
stessa subitaneità, in corrispondenza degli
innesti nel purgatorio urbano di via Cilea,
dell’Arenella, dei Camaldoli.
Con la realizzazione della metropolitana, si
può dire che è stato definitivamente
trasformato l’ambiente di un tempo, sia nel
materiale impegno di ogni spazio utile, anche
sotterraneo, sia nel totale stravolgimento dei
ritmi di percorrenza e di uso del territorio.
Rimangono, a residua testimonianza, pochi,
casuali frammenti, quali alcuni elementi
dell’antico villaggio di Antignano, o, accanto
all'inizio della discesa del Petraio, la Villa
Giannone, in via Annibale Caccavello e le
stradine tra il muro di tufo che recinge
Castel S. Elmo e il giardino di Villa
Fermariello, elegante costruzione in stile
neorinascimentale. Alcuni palazzi e casolari di
un tempo in calata S. Francesco, in via
Belvedere, in vico Acitillo, nella maggior parte
dei casi completamente decontestualizzati,
sembrano rimanere solo per dar conto del
tempo trascorso.
182
S
i tratta dell'ultima opera di Avena, realizzata in
occasione dell'incarico di sistemazione della
piazza antistante la Funicolare centrale, ricevuto da
Gustavo Giovannoni, che da poco era stato
nominato Alto Commissario della Provincia di
Napoli. L'architetto ristruttura la villa detta
“Palazzolo”, conservando il portale settecentesco e
rifacendosi nello stile a quel periodo. Nel prospetto
su via Lordi si rifà a un repertorio affine al gusto
tedesco e olandese, attraverso una raffinata
stilizzazione degli elementi architettonici. (U.C.)
via Toma 14
1912
Adolfo Avena
S
ituata in un tornante della strada, I’edificio sfrutta
l’orografia del terreno, elevandosi su tre piani
verso l’esterno e presentando un quarto livello sul
lato del giardino. Nella facciata, svincolata dalla
configurazione planimetrica secondo il gusto
anglosassone, sono evidenti i richiami al liberty.
Il progetto è caratterizzato da un notevole
movimento chiaroscurale, con un elemento di
grande interesse costituito dalla veranda angolare
che, come rileva il De Fusco, “rappresenta uno
svuotamento del volume edilizio compensato dal
ritmo grafico degli archi che è strettamente fuso al
motivo ferreo della balconata di coronamento”. (U.C.)
183
VOMERO/9
3
VOMERO/9
PALAZZINA RUSSO
ERMOLLI
rispetto alla strada e degradante, sul lato opposto
verso il panorama. I prospetti sono contrassegnati
da un sobrio graficismo, determinato dall'incrocio
di rilievi orizzontali e fasce verticali che partono dal
coronamento superiore del corpo di fabbrica. (U.C.)
via Palizzi 50
1915-1918
Stanislao Sorrentino
VILLA
CATELLO-PICCOLI
5
PALAZZINA
via Morghen 37
1935-1937
Gino Avena
6
via Cimarosa 70
1918
Adolfo Avena
S
i eleva con un massiccio corpo a sei piani,
la cui superficie è, tuttavia, mossa da una sorta
di configurazione ondulata, condotta in verticale
su tutta l’altezza, che evita il volume bloccato,
conferendo all'insieme un aspetto organico.
La superficie esterna è rivestita da un piatto
bugnato, interrotto, in corrispondenza di ogni
piano, da larghe fasce chiare con motivi a riquadri.
Il corpo di fabbrica è definito superiormente da un
massiccio coronamento orizzontale, aggettante
con un profilo a “toro”, frastagliato superiormente
da elementi verticali disposti a costituire una sorta
di discontinua merlatura, unificata inferiormente da
un fascione decorato con motivi floreali. Altri motivi
decorativi naturalistici animano il prospetto sul lato
d’ingresso, contribuendo ad impreziosire l'aspetto
dell'edificio. (U.C.)
4
R
icavata dalla ristrutturazione di una preesistente
costruzione, “con poche demolizioni si ottenne
una disposizione organica tra stanze che
difettavano anche di luce diretta”, secondo
I’anonima, coeva descrizione dell’“Architettura
Italiana”. La costruzione rimanda, nell’aspetto
esteriore contrassegnato dalle bugne in pietra, a un
piccolo fortilizio, con motivi catalano-durazzeschi
nel balcone prospettante sull’emiciclo della
Floridiana o in quello in pietra e ferro su via
Cimarosa o, ancora, nelle decorazioni a rilievo sul
portale d'ingresso. (U.C.)
VILLA DE
CRISTOFORO
via Palizzi 39
1912-1914
Michele Platania
E
R
ealizzata sui modelli di un Mackintosh o di un
Hoffmann, presenta un ingombro volumetrico
modesto con un corpo a due piani, a L, arretrato
184
dificio di un certo impegno progettuale per una
moderna committenza borghese con forte
volontà di rappresentazione. In un piccolo lotto il
progettista realizza un edificio con pianta a T, con
scala centrale che dà accesso a quattro alloggi per
piano. L’accesso all’edificio, che avviene dal
giardino, consente di eliminare i vincoli di passaggio
185
CENTRO DIREZIONALE/10
(Lorenzo Monardo, 1987/1991), sono state realizzate con il medesimo
tipo edilizio. Ruotate di 45° rispetto alle ortogonalità prevalenti del
Centro, le torri si sviluppano per 22 piani fuori terra, il pianterreno e i
due piani interrati sono destinati a garage e locali tecnici.
Il mancato completamento dell’Asse sportivo e dei collegamenti
contribuisce in maniera determinante all’insuccesso del Centro
Direzionale di Napoli, ma non ne rappresenta l’unica causa.
Se l’obiettivo di Tange era “un centro amministrativo, di affari e
residenziale nel suo insieme unitario, con funzioni interrelantisi tra
loro”, stupiscono alcune “leggerezze” progettuali, frutto di un intervento
standardizzato e decisamente poco consono alla fama del maestro
nipponico. Prima fra tutte l’orientamento dell’Asse Verde che, per pochi
gradi, rinuncia allo straordinario fondale naturale del Vesuvio,
perdendosi nell’anonimato del vuoto. Anche la rivisitazione dell’idea di
“spazi mediterranei” quali piazze e portici non appare felicemente
risolta. Piazze sconfinate si succedono a rue corridor dove l’uomo e
l’edificio divengono casuali protagonisti di rapsodici cambiamenti di
scala.
Non convince neanche la scelta del curtain wall come legante
dell’intervento e garanzia di modernità. Tange decide di ignorare la
tradizione architettonica del luogo all’insegna di una sperimentazione
che ormai non ha più nulla da sperimentare - i grattacieli in curtain wall
risalgono agli anni Cinquanta - spacciando per avanguardia un
linguaggio che già di fatto apparteneva alla retroguardia. La superficie
riflettente non ha garantito né l’uniformità architettonica dell’insieme,
né l’immagine moderna e futuribile della “nuova Napoli”.
202
CENTRO DIREZIONALE/10
SEDE ENEL
1
SEDE
DELLʼOLIVETTI
1987-1988
Renzo Piano
2
1986-1995
Giulio De Luca
Renato Avolio De Martino
Massimo Pica Ciamarra
G
li edifici prospettanti sull’Asse Verde sono
destinati al terziario e alla direzionalità con una
forte presenza di attività commerciali ai piani terra,
lungo i porticati e le gallerie interne. La destinazione
d’uso rende ancora più esplicita la valenza
rappresentativa di quest’asse che si raccorda al
Corso Malta mediante le due Torri gemelle
dell’Enel, una sorta di gigantesco portale
d’ingresso al Centro voluto da Tange. Ma la forte
identità tecnologica delle torri, di cui è stato
invertito l’orientamento, rende ancora più tangibile
la cesura tra il tessuto urbano e il nuovo
complesso, finendo, di questo, a segnalarne il
confine più che l’ingresso. Tuttavia le torri
presentano non pochi motivi di interesse. Il sistema
costruttivo è basato sui due grossi pilastri angolari
in cemento, che contengono le scale. Su di essi è
stato issato il grande travone di collegamento (alto
7 metri), da cui sono stati progressivamente issati e
sospesi i solai dei vari piani (la parte in vetro
specchiato). Gli ascensori a vista percorrono come
capsule le altre facciate. I basamenti (contenenti
funzioni collettive) radicano a terra le torri. (A.C.)
203
CENTRO DIREZIONALE/10
L’
edificio presenta una sorta di “parete ventilata”
realizzata con elementi e materiali tradizionali.
Combinati al nitido telaio in cemento armato,
troviamo nella facciata esterna elementi dalla
marcata valenza estetica, come la pensilina con
pannelli curvati, i brise-soleil, il parapetto e le tende,
che, nella loro semplicità, tradiscono l’attenzione del
celebre architetto del Centre Pompidou verso i
dettagli costruttivi. Gli uffici sono dislocati intorno alla
fascia perimetrale esterna del piano terra, mentre il
secondo piano è dedicato agli spazi espositivi. Piano
rinuncia qui a soluzioni enfatiche a favore di una
chiarezza espressiva e distributiva che determina il
carattere di elegante nitore dell’edificio. (A.C.)
3
CENTRO DIREZIONALE/10
nostalgica percorre i due edifici, nelle allusioni egizie
dei pannelli di rivestimento, e nel ponte di
collegamento, che rievoca immagini da vagone
ferroviario fine Ottocento e “scuola viennese”.
La stessa sensibilità decorativa traspare anche
dall’altro edificio di Pagliara, quello dell’Edilres,
ubicato di fronte alle Torri del Banco di Napoli. (A.C.)
SEDE IMI
4
TORRI GEMELLE
DEL CNR
5
1984-1992
Camillo Gubitosi
Alberto Izzo
TORRI DEL BANCO
DI NAPOLI
1987-1993
Nicola Pagliara
L
L
e torri sono collegate a quota 18,63 metri da un
ponte in acciaio a doppio livello che connette le
funzioni distribuite nei due edifici. L’impostazione
progettuale è volta alla rispondenza forma/contenuto
e si estrinseca attraverso l’applicazione degli schemi
funzionali tradizionali. Particolarmente influenti in
sede progettuale si sono rivelati i vincoli della
volumetria del planivolumetrico (51,60x16,80 m e
altezza 79 m) e delle particolari esigenze del
committente. Obiettivo del progettista era “ricercare
con l’uso di materiali particolari una forza espressiva
che tenesse nel tempo e che consentisse di rilevare
a prima vista il significato del suo contenuto”.
Questa volontà si è tradotta nella forte monoliticità
tettonica delle torri, e nella loro diversificazione
cromatica e materica. Una nota tra ironica e
204
a classica impostazione della sede dell’Edilres
fondata sulla tripartizione orizzontale in
basamento, fusto e coronamento, viene ripresa
nella contigua sede dell’IMI, raccordata con un
portico all’edificio di Pagliara. Lo schema strutturale
si sviluppa secondo i moduli indicati dal
planivolumetrico di 7,20 e 3,60 metri e la scansione
delle campate è segnata da strette asole ottenute
binando pilastrini a setto. La regolarità della maglia
verticale è interrotta sul prospetto lungo l’Asse
Verde, da una campata irregolare in
corrispondenza dell’ingresso mentre è rispettata sul
prospetto laterale, scandito secondo una partizione
simmetrica di sei campate. All’esaltazione materica
e cromatica della sede dell’Edilres, fa da
contrappunto l’elegante mimetismo di questo
edificio, tutto giocato sui toni del rosa e del grigio.
Degli stessi autori, prospettano sulla piazza,
l’edificio dell’Isveimer, caratterizzato dal
coronamento semicircolare concavo e il complesso
Esedra, con riferimenti alle architetture di Mario
Botta e James Stirling. (A.C.)
I
nsieme al Palazzo per uffici, le Torri gemelle del
CNR segnano l’attuale confine est del Centro
Direzionale. Di altezza poco inferiore ai 90 metri,
esse hanno il nucleo irrigidente in cemento armato
e la struttura in acciaio. Questa soluzione ha
consentito il progressivo restringimento dell’edificio
verso l’alto e le grandi “smagliature” sulle zone
basse delle facciate con l’inserimento di travi
reticolari che evitano il prolungamento dei pilastri
1988-1995
Pica Ciamarra Associati
205
STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11
Questa ricerca di definizione d’arte e architettura, troverà, nell’ancora
non realizzata stazione di Anish Kapoor di Monte S. Angelo - per la
quale è stato dato incarico alla SEPSA dalla Regione Campania - il suo
apice in una sintesi perfetta tra le arti, dove scultura e architettura si
integreranno in un’unica forma, approfondendo il concetto stesso di
‘stazione dell’arte’. Affidando il coordinamento scientifico
dell’operazione “metropolitana dell’arte” ad Achille Bonito Oliva, si è
inteso segnare questi ambienti di transito con una scelta curatoriale
omogenea, che mescolasse generazioni artistiche e provenienze
nazionali. Le sette stazioni della linea collinare, inaugurate in momenti
diversi a partire dall’aprile 2001, pertanto, propongono testimonianze
dei linguaggi contemporanei che hanno determinato la cultura visiva
cittadina e ancora corrispondono alla sua vocazione internazionale.
Gli stessi artisti napoletani, storici o di nuove generazioni, chiamati a
vario titolo a partecipare al progetto, declinano, infatti, un vocabolario
di segni, forme e pensieri che vanno oltre l’ambito locale per spingersi
verso ricerche di innovazione e sperimentazione. In un percorso ideale
che dal centro storico (piazza Dante) procede verso la periferia urbana
(rione Alto) è possibile, dunque, fare esperienza d’arte e di museo, dove
critica e storia dell’arte costituiscono il fondamento di scelte
museologiche e museografiche precise. Un progetto ambizioso che
rientra nel Piano Comunale dei Trasporti, realizzato dalla società
Metropolitana di Napoli e gestito da Metronapoli.
Stazione Materdei
Luigi Ontani mosaico
STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11
Linea 1
el 1982 è approvato il progetto generale, nel 1993 viene aperta la prima
tratta collinare Vanvitelli-ColliAminei, nel 2003, la tratta Vanvitelli-Dante.
N
Attualmente è in costruzione avanzata la tratta Dante-Garibaldi.
Il completamento dell’anello ferroviario è previsto nel 2015 con la tratta
Garibaldi-Piscinola che collegherà anche il Centro Direzionale e l’aeroporto di
Capodichino.
STAZIONE DANTE
piazza Dante
Gae Aulenti
2002
Michelangelo Pistoletto
Nicola De Maria
nella pagina successiva
Jannis Kounellis
N
ella settecentesca piazza disegnata da Luigi
Vanvitelli per Carlo III di Borbone e definita da
un grande emiciclo scandito da un ordine gigante
tuscanico, il progetto di Gae Aulenti per le uscite
della metropolitana cerca di costruire il meno
possibile e in modo leggero e trasparente.
Due scatole d’acciaio e vetro, sono posizionate
agli angoli dei lati di un triangolo virtuale il cui
vertice è rappresentato dal centro dell’emiciclo,
davanti al quale il Vanvitelli aveva previsto la statua
del re. Le nuove uscite sono state anche
l’occasione per il ridisegno della piazza, ora
interamente pedonale, che ha inglobato anche il
piccolo giardino laterale con palmizi. La
pavimentazione in pietra vulcanica dell’Etna, è
disegnata a quadroni e fasce che si sforzano,
senza riuscirci, di riprendere e regolarizzare i ritmi
variabili delle paraste dell’ovale vanvitelliano. (C.C.)
Vero e proprio scrigno di preziose testimonianze
artistiche, la Stazione di piazza Dante ci offre un
primo raffinato saggio di linguaggi internazionali:
dalle opere nel mezzanino di Carlo Alfano, eseguite
negli ultimi anni di vita e segnate da motivi
autobiografici ed echi concettuali; alla riflessione
proposta nella scritta al neon di Joseph Kosuth,
che recita una frase tratta da il “Convivio” di Dante,
posta sulla scala mobile e leggibile solo in
movimento; ai pannelli metallici del greco Jannis
Kounellis, attraversati da putrelle che trattengono,
214
215
1
STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11
STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11
schiacciandoli, scarpe e altri oggetti e che
rievocano frammenti interrotti di binari; alla telaspecchio di Michelangelo Pistoletto, su cui una
linea nera traccia i confini dei paesi del
Mediterraneo, mentre la sagoma riflessa del
viaggiatore, impegnato nella discesa verso la
banchina, ne modifica e rinnova la lettura;
all’acceso cromatismo del mosaico di grandi
dimensioni di Nicola De Maria, costruito con
evocativi elementi figurali e astratti, desunti
dall’immaginario infantile. (O.S.V.)
2
espressività dei napoletani Luciano D’Alessandro,
le cui fotografie, datate dagli anni Cinquanta ai
Novanta, offrono lucidi spaccati sociali; Antonio
Biasiucci, il cui sguardo si sofferma su frammenti
quotidiani, sottratti dall’indifferenza e caricati di
nuovo mistero; Fabio Donato, con i ritratti di alcune
figure che hanno segnato il vissuto culturale
cittadino e con orientali sequenze giovanili; Raffaella
Mariniello, nei cui scatti appaiono paesaggi
spopolati e architetture industriali oggi in disuso.
(O.S.V.)
STAZIONE MUSEO
piazza Cavour
Gae Aulenti
2001
Copia dell’Ercole
Farnese,
Mimmo Jodice
STAZIONE
SALVATOR ROSA
via Salvator Rosa
via Conte dellʼAcerra
Atelier Mendini
2001
P
Raffaella Mariniello
Luciano D’Alessandro
iù che una piazza, piazza Cavour è uno slargo
molto allungato fuori le mura della città.
L’elemento unitario di tale spazio disordinato è dato
proprio dal verde che ne riempie tutto un lato. Il
progetto di Gae Aulenti ha cercato di dare
maggiore unitarietà all’area tra il Museo e l’imbocco
di via Duomo, ridisegnando la viabilità, unificando il
lungo giardino e disseminando dentro di esso
piccoli cubi rossi di muratura che rappresentano la
parte “sopra” della Stazione Museo. I bassi volumi,
con copertura piana interamente vetrata, illuminano
il mezzanino sottostante portando grande luce nelle
stanze dell’Ercole Farnese e del Cavallo Carafa e
nei due lunghi percorsi che collegano il Museo
Archeologico alla Stazione di piazza Cavour (linea
2). Gli interni, come per Dante, sono in bianco e
nero: controsoffitti a volta ribassata in acciaio
porcellanato bianco e pareti con pannelli in vetro
colorato bianco e pavimenti in linoleum nero. (C.C.)
Non distanti dalla copia dell’Ercole Farnese,
eseguita dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti, e
dalla Testa di Cavallo Carafa attribuita a Donatello,
la sequenza fotografica di Mimmo Jodice introduce
alle collezioni del Museo Archeologico Nazionale,
che conserva le statue in bronzo dei Lottatori e
delle Danzatrici della Villa dei Papiri a Ercolano,
oggetto dello scavo nella memoria compiuto
dall’artista. Il corridoio di collegamento alla Stazione
di piazza Cavour è segnato, invece, dalle diverse
216
È la più paradigmatica delle “stazioni dell’arte”, un
luogo ludico ed estetico tra disordinati palazzoni
anni Sessanta. Un semi-severo volume ispirato al
Novecento milanese denota la stazione e fa da
perno a un assemblaggio di pezzi dove, un parco
urbano, una scala mobile entro un lucido tubo in
acciaio specchiato, resti di ruderi ruderizzati insieme
a sculture coloratissime e a un variegato arredo
urbano, costruiscono uno spazio urbano inaspettato
coinvolgendo con grandi affreschi le facciate cieche
dei palazzoni circostanti. Un luogo giocoso sopra e
sotto la stazione, esemplare delle intenzioni
operative e artistiche, poi estese alle altre stazioni,
volte a utilizzare l’occasione delle fermate della
metropolitana per creare luoghi estetici intrecciando
architettura, arte decorativa e installazioni. (C.C.)
217
3
STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11
STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11
Baldo Diodato
Mimmo Rotella
Salvatore Paladino
Perino&Vele
4
STAZIONE QUATTRO
GIORNATE
piazza Quattro Giornate
Domenico Orlacchio
2001
218
Ancora più articolata è la spazialità della Stazione di
Salvator Rosa. La riorganizzazione ha coinvolto
anche i palazzi che costeggiano la stazione, sulle cui
pareti, a mo’ di quinte, hanno lasciato i loro segni
Renato Barisani, Mimmo Rotella, Mimmo Paladino,
Gianni Pisani ed Ernesto Tatafiore. Come in un
parco, sculture e mosaici arricchiscono le
suggestioni architettoniche: le opere ludiche di Alex
Mocika, il rigore della forma di Renato Barisani, la
colonna bronzea di Nino Longobardi, il mosaico
‘liberty’ di Fulvia Mendini (che si ripete, con motivi
diversi, anche sulla banchina all’interno), il bronzo di
Augusto Perez e le esili sagome di Riccardo Dalisi,
mentre a invadere la chiesetta neoclassica sono
collocati i lavori di Ugo Marano, Lucio Del Pezzo e
Gloria Pastore. Dopo una ripida scala mobile, i
‘giochi’ nel parco: totem coloratissimi realizzati da
Salvatore Paladino, mentre di Mimmo è la grande
mano-orologio. Nell’atrio, all’interno, il gigantesco
fiore di Raffaella Nappo, i pannelli in policarbonato di
Luca (Luigi Castellano) e la rossa ceramica di Enzo
Cucchi, che introduce alla discesa, al termine della
quale troviamo le 500 Fiat trapuntate di vetroresina
di Perino & Vele e la lunga tela di Anna Sargenti che
costeggia la banchina. L’altro ingresso della stazione
è segnalato dalla solare decorazione di un palazzo a
opera di Mimmo Paladino, dai richiami agli stereotipi
della tradizione partenopea di Lello Esposito, di Enzo
Cucchi e dalle ceramiche di Ugo Marano, che
segnano il varco di accesso. Da qui ci si confonde
nelle grottesche immagini visionarie di Natalino Zullo,
nei giochi di luce e profondità di Quintino Scolavino
e nell’incerta mescolanza delle gocce d’acqua di
Santolo De Luca. (O.S.V.)
S
opra, lungo lo stadio Collana, semplici scale
sbucano nel nuovo giardino di quartiere; sotto,
un curato rivestimento di marmi venati crea un
ambiente domestico, quasi un salone
residenziale.(C.C.)
Ci si accosta alla stazione con la tensione dinamica
della severa geometria della scultura esterna di
Renato Barisani. Nel piano mezzanino trovano
posto i bassorilievi e le tele di Nino Longobardi,
che rievocano, nelle presenze figurali scarnificate e
nei simboli che le accompagnano, gli avvenimenti
della storia a cui è dedicata la piazza. L’alfabeto
segnico, preistorico e tribale di Sergio Fermariello
si esprime sulle pareti con decine di minuscoli
guerrieri armati, diversamente dai riferimenti zen
dell’opera che sovrasta le teste dei viaggiatori,
impronta di pneumatico su una superficie di
vetroresina. Poco oltre, la luminosa fenditura
nell’acciaio di Baldo Diodato e la suggestione
narrativa di Anna Sargenti, che, mescolando
pittura, fotografia e poesia, racconta un tango
struggente. La memoria è anche negli oggetti
custoditi nelle teche di Umberto Manzo, rette da
strutture metalliche che fanno il verso ai binari del
treno, mentre il claustrofobico lightbox di Betty Bee
evoca l’idea della costrizione dello spazio. Denso di
stimoli percettivi è il lavoro di Maurizio
Cannavacciuolo, le cui sagome, quella umana e
quella animale, non immediatamente distinguibili,
obbligano a una pausa di riflessione. Prima della
superficie le donne-combattenti di Marisa
Albanese, ancora un’allusione al vissuto della
piazza, al ruolo della donna, all’esercizio della
mente. (O.S.V.)
U
n ordinato quartiere novecentesco, a palazzine,
intercluso alla città, viene immesso nel circuito
del trasporto pubblico e invaso da nuovi oggetti di
design (ascensore, aiuola, lucernari, panchine,
dissuasori) che inseriscono nel quieto ambiente
un’estrosa nota “brasilera”. Il “sotto” della stazione
mostra più coese operazioni di assemblaggio:
spazi bucati e illuminati da alte guglie, rivestiti di
opere a mosaico che si intrecciano alle installazioni
artistiche. (C.C.)
Nino Longobardi
Sergio Fermariello
STAZIONE
MATERDEI
piazza Scipione
Ammirato
Atelier Mendini
2003
219
5
PARCHI/12
1
PARCHI/12
VILLA COMUNALE
via Caracciolo
1780
Carlo Vanvitelli e
Felice Abate
superficie 12.000 mq
2
PARCO
VENTAGLIERI
3
via San Gennaro dei
Poveri
2000-2007
Vanna Fraticelli
con Antea Andriello
RESTYLING
A. Mendini
1998
con B. Gregori
F. Ferrari
A. Busci
T. Teodonio
IL GIARDINO DI
SAN GENNARO
AL RIONE SANITAʼ
P
rogettata da C. Vanvitelli per volere di
Ferdinando IV di Borbone, la villa è giunta ai
nostri giorni modificata nel suo progetto originario a
causa dell’alternarsi delle vicende politiche e degli
architetti. Il «real passeggio» oggi è costituito da un
grande viale alberato rettilineo, che conduce alla
Fontana dei Leoni, oltrepassa la Società di Belle Arti,
e la Stazione zoologica Anton Dohrn, e termina alla
Cassa Armonica di Enrico Alvino. Nel 1998 il parco è
stato sottoposto a interventi rilevanti di restyling a
cura di A. Mendini: pavimentazioni in pietra e battuto
di tufo, incremento di oltre un ettaro e mezzo della
parte destinata a verde, protezione del parco con
una nuova cancellata perimetrale (su nuovo disegno
di A. Mendini), con cui è stata sostituita la vecchia
cancellata ottocentesca, installazione di parchi
giochi per bambini, una pista di pattinaggio, tre
chioschi “castelli turriti“, rivestiti di ceramica e
mosaico ipercolorato e riflettenti (su progetto di
Mendini). La vegetazione all’interno della Villa è
costituita da lecci, pini, palme, araucarie, eucalipti,
platani, alberi di giuda, ippocastani, alberi del
corallo, querce rosse, le greville (originarie
dell’Australia) e una gran varietà di palme. Con i
lavori di restauro sono state introdotte Fitolacche,
Casuarine e Canfori. Il progetto di due nuove
stazioni su ferro (metrò Linea 6) Stazione Arco Mirelli
- ingresso ovest Villa Comunale, Stazione San
Pasquale - ingresso est Villa Comunale, introdurrà
ulteriori modifiche all’impianto originario. (A.A.)
I
l progetto rimanda alla tradizione storica del
giardino napoletano come giardino agreste,
adattata agli usi contemporanei di uno spazio
destinato allo svago, al riposo e al gioco dei
bambini. Davanti all’Ospedale di San Gennaro si
accede con una rampa alla terrazza dei tigli a una
quota intermedia; da qui, superando il portale
d’ingresso si accede al piccolo bar con i servizi e si
può raggiungere il cuore del giardino, con il campo
del gioco libero, delle attività collettive e il pergolato
panoramico attrezzato per la sosta. Il giardino si
sviluppa come successione di luoghi diversamente
caratterizzati: il giardino delle rose, il belvedere sulla
sommità del prato con gli ulivi; il giardino dei meli,
con i giochi per i bambini più piccoli; i lievi
terrazzamenti per la sosta tra gli agrumi e i pendii
con le piante aromatiche. (A.A.)
via Ventaglieri
via Avellino a Tarsia
1983 inizio lavori 1997
riqualificazione
Lucio Barbera
Roberto Zappi
I
l parco si innesta su uno spettacolare costone di
tufo, in parte naturale, e in parte sorretto da un
muraglione ad archi da dove sono visibili le grotte
preesistenti, scavate nel tufo. L’impianto
progettuale è organizzato su quattro livelli diversi:
dal primo, partendo dalla scala mobile all’entrata,
fino ad arrivare all’ultimo, il parco diventa un
percorso ascensionale con viali in mattoni che
conducono a piccole spianate e terrazze “arredate”
con arbusti tipici della macchia mediterranea: ulivi,
piante di rosmarino, salvia, lavanda e fiori dai colori
intensi. Interessante è il cromatismo dei materiali:
porfido, tufo e mattoni. La percezione dello spazio
238
239
PARCHI/12
PARCHI/12
PARCO
MASCAGNA
5
GIARDINI
VIA RUOPPOLO
via Ruoppolo
Servizio Ambiente
2005
DI
cambia in base alla scelta dei percorsi. È possibile,
infatti, optare per la risalita meccanizzata oppure
passeggiare per i viali e godere di una vista
suggestiva verso il Golfo, Spaccanapoli, la Certosa
di San Martino e Castel Sant’Elmo. (A.A.)
4
PARCO VIVIANI
PARCO DI
SANTʼANTONIO AI MONTI
tra via G. Santacroce
e via SantʼAntonio ai
Monti (corso Vittorio
Emanuele)
1990-93
Vittoria Calzolari
Francesco Ghio
DETTO ANCHE
I
l piccolo parco fu realizzato nella prima metà del
Novecento. È stato modificato più volte, pur
conservando l’impianto arboreo originario. L’ultimo
progetto di restyling definisce un’area esterna
sempre praticabile e un’area interna, protetta da
una recinzione, utilizzabile solo negli orari di
apertura e chiusura. L’impianto, di forma
quadrangolare, si inserisce nella maglia urbana del
Vomero. I percorsi conducono alle varie attività che
si possono svolgere nel parco. Entrando da via
Ruoppolo, sulla destra troviamo il percorso ginnico
e il labirinto verde; a sinistra lungo via Piccinni
trovano posto un campo di bocce e pergole con
sedute per i giochi delle carte. Sul fondo una
fontana a caduta d’acqua costituisce un luogo di
polarizzazione degli incontri. (A.A.)
PARCO AGRICOLO
DIDATTICO
DELLʼARENELLA
via Domenico Fontana
2005-2006
Biagio Cillo
con Nicola Pagano
superficie 9.400 mq
I
l parco, situato su un versante della collina del
Vomero, si affaccia sul golfo di Napoli e sul centro
storico. La configurazione morfologica è
caratterizzata da due alti costoni di tufo, intervallati
da un ampio pianoro, alla base dei quali è possibile
visitare una vecchia cava di tufo, detta l“occhio di
monte” a cui si accede da una scala elicoidale.
Entrando da via Sant’Antonio ai Monti il visitatore
può scegliere di seguire il viale rettilineo o prendere
le scale alla sinistra che conducono alla parte alta
del parco. Il progetto si innesta su un preesistente
fondo rustico e riprende le trame antiche dei frutteti
(agrumi, fichi, albicocche, melograni, meli, kaki)
all’interno di una nuova griglia quadrata
riconoscibile per i filari di palme e per i percorsi
rettilinei in pietra di tufo. Il rapporto con la città si
realizza attraverso visuali e percorsi fortemente
accentuati. Le pavimentazioni e le sedute sono in
pietra di tufo. (A.A.)
240
I
l progetto si innesta su un’area a carattere
agricolo circondata su tutti i lati da edifici
residenziali e si configura come l’arena di un
anfiteatro con percorsi continui, che attraversano
tutti gli ambienti del parco: gioco, riposo,
241
6
PARCHI/12
PARCHI/12
meditazione, osservazione, spettacolo, studio,
giardinaggio, garantendo un’ampia articolazione
degli spazi. L’area giochi per i bambini diventa
l’occasione per riposare; dal terrazzo dei giochi da
tavolo si osserva lo spazio centrale che diventa una
platea. Dalle diverse rampe che garantiscono
l’accessibilità sono percepibili le diverse essenze
arboree fruttifere tipiche dell’ambiente agricolo
napoletano. (A.A.)
7
DI
via Nicolardi
2000/2008
Servizio Ambiente
Comune di Napoli
Alessandra Fasanaro
Bruno Discepolo
(consulenti)
B. Sciannimanica
(coordinatore unico)
superficie 32.000 mq
PARCO
DI VIA DEL POGGIO
via dello Scudillo e
viale degli Oleandri
2001
Servizio Ambiente
Comune di Napoli
Alessandra Fasanaro
Bruno Discepolo
(consulenti)
B. Sciannimanica
(coordinatore unico)
superficie 37.000 mq
PARCO
VIA NICOLARDI
I
l parco sorge a ridosso del vallone San Rocco,
area di rilevante valore paesaggistico, oggetto
attualmente di recupero. L’impianto progettuale del
parco è organizzato su due differenti quote: la
quota bassa di ingresso con uno specchio d’acqua
ovale che conduce, a est, a un’area gioco per i
bambini e, a ovest, a un’area per attrezzature
sportive. Nella parte alta del parco è stato
conservato l’impianto arboreo esistente. I percorsi
sinuosi accompagnano il visitatore alla scoperta del
parco e del paesaggio. (A.A.)
Zona orientale
I
l progetto recupera un’ex cava sottratta
all’edificazione edilizia. Lo schema compositivo è
costituito da lunghi viali alberati che, adattandosi
all’orografia del sito, accompagnano il visitatore alla
scoperta del parco. Entrando da viale degli Oleandri
ci si incammina lungo un percorso che attraversa, a
destra, l’area gioco per i bambini, il lago artificiale
alimentato da cascatelle (2.300 mq) ricco di bambù
e sterlizie, con il palcoscenico sull’acqua e il teatro
all’aperto; a sinistra il giardino botanico con alcune
varietà di cactacee. I percorsi sinuosi coperti da
pergolati conducono ad aree belvedere, che
riproducono nell’impianto e nella scelta dei materiali
le caratteristiche dei luoghi verso i quali si affacciano
e che fanno da cornice al parco: Capodimonte,
San Martino, il Golfo. La vegetazione è tipica della
macchia mediterranea: magnolie, lecci, piante
ornamentali. (A.A.)
242
- il Parco Troisi (tra il 1982 e il 1994) posto accanto al nuovo insediamento di
Taverna del Ferro, comprende un lago e una collinetta artificiale, aree verdi
pianeggianti, aree attrezzate per spettacoli all’aperto, e attrezzature sportive;
è pensato sia come elemento di riorganizzazione della parte urbana, sia come
luogo di attivazione di nuovi rapporti sociali;
- il Parco dei Fratelli De Filippo a Ponticelli (tra gli anni Ottanta e il 1995), che
insieme al Palasport e ad altri interventi segna la rinascita di un quartiere ad alto
degrado urbano e sociale. L’accesso è caratterizzato da strutture alquanto pesanti
in cemento armato. Contiene una serie di servizi con “stanze verdi” e piazze per
eventi.
Sempre nell’area orientale, ma su programmi successivi al terremoto, sono stati
realizzati:
- il Parco di Vigliena, (2004) nell’area dismessa tra la Ferrovia e la Centrale Enel,
con attrezzature per lo sport e per gli anziani;
- il Parco di Villa Letizia a Barra, basato su variazioni del preesistente impianto
planimetrico ottocentesco.
Altri parchi recenti nell’area orientale, anche se di minore interesse, sono:
- il Parco delle Repubbliche Marinare (su di un ex fondo rustico), il Parco di
Pazzigno e il Parco De Simone.
243
8
PERIFERIE/13
3
PERIFERIE/13
RIONE PARCO
AZZURRO
INA-CASA
IPOGEO
COMUNALE
5
SCUOLA MATERNA
A 6 AULE
6
Cimitero comunale
via S.M. del Pianto
1974-1982
Gaetano Borrelli Rojo
Alfonso Beraglia
Mario Bucchignani
via Figurelle 25, 27
Barra
1950-1952
Carlo Cocchia
Foto d’epoca
“A
interrompere la serie continua di elementi
paralleli a tre piani e a definire gli spazi liberi
sono stati disposti i tre elementi-torre a otto piani.
Nella zona di Barra, piatta e bassa, i tre elementi
rappresentano una nota armonica di tono più
elevato, acquistano la funzione estetica del cipresso
del giardino”. Dalle parole di Cocchia e dal confronto
con le vicine case di Cosenza emergono le
preoccupazioni organico-psicologiche introdotte,
con gli anni Cinquanta, dal programma residenziale
Ina-Casa, le novità rispetto al rigoroso razionalismo,
appena temperato dalla luce del Mediterraneo, delle
case popolari napoletane negli anni Quaranta.
Planimetrie mosse e variate, articolazione dei volumi
nel verde, assortimento dei tipi edilizi, policromia,
alloggi più borghesi che operai, persino, perché no,
tapparelle al posto di scuri e persiane. (E.C.)
4
U
na grande struttura, un masso di beton brut,
forte e severo che si disvela solo percorrendo i
bassi porticati che la recingono. L’architettura
dell’ipogeo, composto da un recinto edificato
intorno a due cortili quadrati, è segnata dallo studio
in sezione di uno spazio, un’asola vuota
rastremata, che taglia in due l’edificio tipo. La luce
filtra dall’alto del quarto piano, assecondata nel suo
discendere dalla rastremazione dei livelli che
contengono i loculi fissi. Il piano terra artificiale
copre l’ipogeo vero e proprio. (S.S.)
via Aquileia 31
Poggioreale
1983-1988
Salvatore Bisogni
Anna Buonaiuto
CASA PER ANZIANI
E PIAZZA
via Bartolo Longo
Ponticelli
2005-08
Diego Lama
Michelangelo Russo
Enrico Picariello
I
L
a necessità di razionalizzare la viabilità intorno
alla vecchia Stazione della Circumvesuviana è
stata colta dai progettisti come occasione per
disegnare uno spazio innovativo nella periferia di
Ponticelli e per “creare un luogo” in un quartiere
denso di residenze popolari, dove il gigantismo
delle strade, la divisione dei recinti delle case
popolari e la spettrale presenza di grandi vuoti
raffigura una città senza simboli e senza identità.
Il progetto della nuova piazza di Bartolo Longo e
del piccolo edificio per anziani con l’annessa
pensilina è un esercizio di disegno di oggetti
riconoscibili, dai colori vivaci e ironici. (S.S.)
260
n mezzo a una Napoli quanto mai eterogenea, ai
piedi della «sacra» collina di Santa Maria del Pianto e
alle spalle di via Poggioreale, stretta tra una caserma,
le propaggini primo Novecento e razionaliste degli
ottocenteschi quartieri operai del Vasto e
dell’Arenaccia, e i primi edifici dell’area industriale,
una piccola area residuale sottoposta a una strada
diventa un giardino e il dislivello «un civilissimo
frammento di architettura» dell’edilizia post-terremoto:
una scuola materna a sei aule la cui «calma» facciata
principale sul giardino «evoca una grandiosità di
intenti che raramente si è vista in Italia o altrove
nell’ultimo mezzo secolo», secondo suggestioni
svarianti tra «Terragni, il Gruppo 7 e la Cité industrielle
di Tony Garnier». A quanto scritto, con qualche
esagerazione, dal molto autorevole Kenneth
Frampton, si potrebbe aggiungere una cert’aria
neoclassica che ricorda la bianca stagione dell’edilizia
napoletana, tra Settecento e Ottocento. (E.C.)
261
7
PERIFERIE/13
PERIFERIE/13
CASE OPERAIE
MANIFATTURE
COTONIERE
MERIDIONALI
OFFICINE ANGUS
AMPLIAMENTO
Casavatore
1961-1967
Massimo Pica Ciamarra
via Don Bosco
Capodichino
1938
Camillo Guerra
E
nigmatico ziggurat, grande corte aperta sulla città,
simmetrico frammento di redent lecorbusieriano, e
involontario monumento alla residenza operaia, versione
ridotta delle hof viennesi...Queste e altre ancora sono le
contrastanti immagini suscitate dai 202 alloggi progettati
da Camillo Guerra per le M.C.M. nel 1938 sulla collina di
S. Maria del Pianto: uno dei rari interventi di abitazioni
operaie realizzate da una grande industria napoletana
durante il fascismo. Il bianco edificio - forse il più
moderno di un Guerra sempre indeciso tra tradizione e
modernità - visibile da quasi tutta la città storica e
importante elemento dello skyline urbano, cattura oggi,
assieme alle torri del Centro direzionale, gli sguardi di
quanti percorrono l’ultimo tratto, verso Oriente, della
Tangenziale. Attualmente colori, ringhiere e qualche
dettaglio sono stati modificati. (E.C.)
8
UNITAʼ URBANA A
SERVIZI INTEGRATI
«PIAZZA
GRANDE»
via Nicolini
Ponti Rossi
1979-1989
Aldo Loris Rossi
Annalisa Pignalosa
Luigi Rivieccio
Foto d’epoca
D
urante tutti gli anni Sessanta, a più riprese,
Massimo Pica Ciamarra - al suo primo lavoro
importante - progetta l’ampliamento delle officine di
una società britannica che produce guarnizioni ad
alta tecnologia, in gomma, neoprene e acciaio.
L’ampliamento deve essere a sua volta ampliabile e
le tecnologie usate non devono essere da meno di
quelle di casa alla Angus. Ed ecco l’acciaio, il vetro,
le schiume di poliuretano, le strutture reticolari
spaziali, i solai sospesi, le «maglie in attesa»
(di ampliamenti ulteriori)...che calano in un pezzo di
vuota campagna dalle parti di Casavatore. Con gli
anni, sordi capannoni cementizi si affiancano alla
scintillante Angus che chiude proprio quando è
ormai possibile osservarla dal punto di vista più
adatto al suo esibito high-tech: da una macchina
che sfreccia a cinque metri dal suolo, su una nuova
freeway che quasi sfiora quelle «maglie» che non
hanno ormai più nulla da attendere. (E.C.)
QUARTIERE
«SOCCAVOCANZANELLA»
INA-CASA
F
orse la più grande - per dimensioni - architettura
moderna costruita a Napoli. Una sun house
wrightiana ingrandita a dismisura e messa sul fondo
del vallone dei Ponti Rossi, al posto di un vecchio
opificio per la lavorazione della juta. Un edificio che,
come tutti quelli di Rossi, «si oppone con violenza ai
dati ambientali», ignorando e mortificando, con empito
tardo-futurista - il vicinissimo frammento di acquedotto
romano e l’edilizia circostante. Una megastruttura,
un’«urbatettura», sei volte turrita fortezza circolare
(100 m di diametro) che poggia su un suolo artificiale, e
intrattiene una qualche relazione contestuale e scalare
con quello che resta della pittoresca orografia dei Ponti
Rossi e con la Tangenziale. (E.C.)
262
9
A
ll’inizio degli anni Sessanta, diecimila napoletani
sono venuti ad abitare su questo ripido e
pittoresco pendio (nel 1964, c’è andato persino
Mastroianni a cercar casa alla Loren in “Matrimonio
all’italiana”, annacquata versione cinematografica di
“Filumena Marturano”) che doveva restare verde per
impedire, dieci anni dopo, la saldatura tra il Vomero e
il quartiere-città del Traiano con le sue trentamila
anime. La parte più interessante e innovativa è quella
disposta a nord, lungo il vertiginoso scivolo di via
via Piave, via Giustiniano
Soccavo
1957-1962
urbanistica:
Giulio De Luca
architettura:
settore nord
Mario Fiorentino
Giulio Sterbini
settore sud
Giulio De Luca
settore nord-ovest
Delia Maione,
settore ovest M. Canino
chiesa N.S. di Fatima:
G. De Luca
263
10
CASALI/14
CASALI/14
BARRA
INTERVENTO
1
RESIDENZIALE IN
VIA CICCARELLI
1982-1987
Pietro Barucci
Renato Conte
Vladimiro DʼAgostino
Simone Ombuen
I
che non possono essere garantite dalle “attrezzature da standard”
quantunque rare e pregiate com’è capitato in alcuni casi, ma da uno
strutturale coinvolgimento di altri soggetti pubblici e privati e dalle loro
disponibilità ad investire e rischiare sotto la regia di un Comune che lavori
a tutto campo nel territorio metropolitano, per garantire condizioni
appetibili e trasparenti di investimento.
In questo senso il Programma Straordinario è stato forse il più intelligente,
raffinato ed esteso “canto del cigno” dell’urbanistica degli anni Sessanta e
Settanta, fondata sull’esproprio generalizzato e sulla pretesa dirigistica di
governare la trasformazione urbana con le sole risorse pubbliche.
Un’urbanistica alla quale si è pensato poi di contrapporre per alcuni anni in
Europa e in Italia il suo esatto contrario, la contrattazione pubblico-privata
a oltranza senza regole condivise e trasparenti.
Oggi forse, consapevoli dei danni di entrambi i modelli, siamo di fronte
alla possibilità di costruire nuove forme di piano in grado di coniugare
sguardo generale e attenzione alla piccola scala: strategie, regole e progetti;
concretezza programmatica e finanziaria e capacità prefigurativa fisica e
funzionale. Alcuni assunti e intuizioni poste a base del PRG del 2004 e la
scommessa ormai lanciata con i cosiddetti “programmi di recupero urbano”
che il Comune sta finalmente affrontando in alcune aree della periferia
pubblica, lavorando per l’integrazione tra pubblico e privato, tra ceti sociali
e attori diversi, tra funzioni di diversa natura e qualità, indicano che forse
anche a Napoli si è inaugurata una nuova stagione urbanistica in grado di
raccogliere l’eredità migliore degli anni Ottanta.
l casale di Barra è caratterizzato da una forma
allungata dovuta alla sua crescita progressiva
lungo corso Sirena e da sequenze di corti
sviluppatesi in profondità. L’intervento, il migliore
del gruppo Barucci, s’inserisce in un’area libera al
margine settentrionale del casale e completa
l’edificazione di un lotto in cui preesisteva un
edificio a corte che è stato recuperato. Le corti di
progetto riprendono per profondità e larghezza le
dimensioni della tipica corte del luogo. In tal modo
viene riproposta la fruibilità di uno spazio intermedio
tra il pubblico (la strada) e il privato (la casa) che era
una caratteristica propria dell’architettura “a corte”
dei casali, dove la spazio antistante la casa
realizzava “una sorta di camera urbana”. Il progetto
degli edifici in linea, propone poi uno dei pochi
esempi realizzati di uso delle coperture; destinate
infatti a pergolati o stenditoi, le coperture sono
aggregate agli alloggi duplex sottostanti.
L’intervento è stato parzialmente alterato da opere
abusive: come la sopraelevazione di un piano e la
chiusura di alcuni terrazzi. (T.P.)
SAN GIOVANNI
A TEDUCCIO
INTERVENTO
RESIDENZIALE IN
VIA VILLA
1982
Mario DellʼAcqua
Carlo Memoli
L’
in alto
Riqualificazione a S. Pietro a Patierno,
disegno di G. Borrelli Rojo
280
intervento, composto per lo più da
sostituzioni e completamenti, riguarda una
parte centrale del casale di Villa, il cui tessuto
urbano è caratterizzato da corti monoesposte
organizzate intorno all’incrocio di due assi
principali. La geometria dell’intervento nasce da
un reticolo quadrato desunto dall’esistente.
L’accesso alle corti avviene tramite dei “portali”
d’ingresso aperti sull’asse generatore e lo spazio
281
2
CASALI/14
CASALI/14
cortilizio viene segnato dal progettista con
imponenti arcate in facciata, in cui trovano alloggio
i sistemi distributivi. (T.P.)
3
PONTICELLI
FRONTE DI
CONSERVAZIONE
I
l casale di Ponticelli, specialmente lungo i tre
percorsi generatori, presenta un tessuto di corti
che rispetto agli altri casali appare più riconoscibile
e compiuto. Il fronte su via Napoli è sicuramente un
esempio di intervento particolarmente riuscito, nel
quale niente è lasciato al caso, con evidente
equilibrio delle parti. Nelle corti di recupero è chiaro
l’intento di realizzare una conservazione intesa più
come cultura dell’abitare e del costruire, che non
come semplice conservazione delle pietre.
Un progetto quindi, nel quale il mantenimento del
tessuto edilizio, diventa l’obiettivo di una ricerca di
regole che, coerenti con il processo generativo del
tessuto stesso, sono perseguite fino all’ultima fase
della scelta del colore, senza escludere il recupero
degli elementi decorativi. (A.S./G.F.)
PONTICELLI
TORRE
DELLʼOROLOGIO
piazza M. De Iorio
1989
Riccardo Dalisi
282
5
SECONDIGLIANO
NUOVE CORTI
6
piazza Guarini
Francesco Venezia
1988-1999
via Napoli
1982
Giulio Fioravanti
Fausto Borzetti
4
S. PIETRO A
PATIERNO
MUNICIPIO
RESIDENZE E
PIAZZA
D
i un fantasioso
progetto di
sistemazione di piazza
De Iorio (G. Fioravanti,
R. Dalisi) è rimasto solo
il completamento del
Municipio, già
parzialmente realizzato
nel 1978. I nuovi
volumi, diafani e
imprevisti, interamente
vetrati, acquistano
vigore nello scatto verticale della Torre dell’Orologio
che cerca di triangolare, come una torre civica,
antiche emergenze visive del casale. Ruotata in
diagonale, con all’interno un gigantesco orologio, la
scalettata torre in vetro si mostra come un raffinato
oggetto di design. (T.P.)
L’
antico insediamento del casale di S. Pietro a
Patierno si sviluppa intorno all’incrocio di due
percorsi principali. La sua struttura è costituita da
una lottizzazione in serie semplice di corti, arricchita
nel tempo da edifici di cortina stradale. La nuova
edificazione (D. Rabitti, R. Lucci) ben interpreta,
riproponendola la morfologia del casale e la
arricchisce di qualificati interventi di verde pubblico.
La parte più interessante è però data dalla
sistemazione della piazza: nuova residenza,
caserma e sede circoscrizionale. Il progetto di
Venezia conferisce spessore e qualità monumentali
al centro del casale intorno alla chiesa di S. Pietro.
Cucendo insieme preesistenze recuperate, nuovi
edifici pubblici e sistemazioni della piazza
attraverso attente riprese e nuove giaciture curve, il
complesso e raffinato progetto esprime una
notevole qualità architettonica tutta in chiave
moderna ma memore di suggestioni antiche. (L.I.)
vichi Censi
1982-1991
Luigi Pisciotti
Giancarlo Buontempo
Pietro Catanzaro
Carmela Cotrone
Antonio Lavaggi
Luigi Milano
I
Censi sono un rione fortemente caratterizzato a
ridosso del vecchio nucleo del casale. Esso è
costituito da un tessuto di piccole corti agricole,
283
DINTORNI/15
residenziali; in tempi recenti Pasquale Miano vi ha realizzato un Parco
Urbano che rappresenta un elemento di connessione tra due diversi
ambiti territoriali. Il degrado sociale talvolta deturpa altera e
manomette anche opere di architettura di qualità appena terminate,
come nel caso del complesso - con attività civili, commerciali e religiose
- realizzato da Antonio Lavaggi, con Buontempo e Pisciotti, ad
Afragola.
Un’altra testimonianza eccezionale - anche perché frutto di uno dei rari
concorsi internazionali di progettazione svoltisi a Napoli, vincitore
l’irachena Zaha Hadid - è la stazione di “testa” della TAV in corso di
realizzazione ad Afragola: un progetto decostruttivista, un segno
incisivo e facilmente identificabile, un’architettura da calare in un
contesto dequalificato e profondamente manomesso dalla
cementificazione selvaggia, con l’obiettivo ambizioso di farlo rinascere.
La stazione ha una duplice funzione: riqualificare il territorio e collegare
Napoli con Roma e Salerno, quindi allargare e decentrare i confini
urbani della metropoli moderna.
Secondo la stessa filosofia a Nola - dove alla fine degli anni Settanta
Franz di Salvo, già noto per il progetto delle “Vele” a Secondigliano/
Scampia, aveva realizzato la centrale telefonica con Forino e Taranto oggi è sorto il “Vulcano Buono”, un’opera di Renzo Piano inglobata in
un cratere artificiale, nella quale si prevede di trasferire parte dell’attività
produttiva terziaria e commerciale sia dal centro che dalla periferia,
grazie alla possibilità di rapidi collegamenti consentiti dalle reti
infrastrutturali che vi fanno pervenire un maggior numero di utenti.
Nell’ambito dei dintorni il territorio, dal secondo dopoguerra in poi, ha
subito alterazioni notevoli che hanno alterato con edilizia massiva e
speculativa le valenze naturali e molte volte quelle storico-artistiche.
Anche le architetture contemporanee di qualità subiscono nella
fruizione risvolti negativi grazie a una difficile contestualizzazione.
DINTORNI/15 POZZUOLI/1
L’
impianto planimetrico progettato da Luigi
Cosenza per la fabbrica di Adriano Olivetti si
contrappose in maniera decisa alle direttive dettate dai
tecnici dell’Olivetti: un unico capannone rettangolare.
Il complesso realizzato è, infatti, costituito da due corpi
lineari, tra di loro ortogonali; la soluzione a croce risulta
la più idonea a conciliare le varie esigenze:
ottimizzazione dell’esposizione, articolazione di spazi
chiusi e aperti, possibilità di miglioramenti nel processo
lavorativo; non ultima la possibilità di articolare i volumi
edilizi per adattarli alle pendenze del suolo. L’accesso
sul fronte della Domiziana è costituito da un basso e
lungo portico che oltre a segnalare in maniera discreta
la presenza della fabbrica, assicura protezione per
l’area del parcheggio e soprattutto consente di isolare
l’organismo architettonico nella vegetazione.
Sulla testata occidentale dell’edificio si trovano gli
spogliatoi per gli operai, collegati mediante un
POZZUOLI
FABBRICA
OLIVETTI
via Domiziana
1951-1954
(ampliamenti fino al
1970)
Luigi Cosenza
L’itinerario prevede tre direzioni:
- Pozzuoli, Monteruscello
- Vietri, Ravello, Scafati, Castellammare, Pompei, Torre Annunziata,
Torre del Greco, Portici
- Casoria, Afragola, Pomigliano d’Arco, Nola
15.1 Pozzuoli
15.2 Monteruscello
15.3 da Vietri a Ravello
15.4 da Scafati a Portici
15.5 da Casoria a Nola
15.6 Isola di Capri
15.7 Isola di Ischia
296
297
1
DINTORNI/15 POZZUOLI/1
DINTORNI/15 POZZUOLI/1
Pozzuoli una maturità progettuale che gli permette
di contestualizzare la lezione dei Maestri del
Movimento Moderno all’area mediterranea.
L’impianto evoca la locale edilizia rurale e, come
per la scuola elementare a Ercolano, le pareti di
tompagno vengono ruotate per catturare la luce
solare. La soluzione prevede - nel desiderio di
coniugare moderna urbanistica e moderna
architettura - una successione razionale di
abitazioni, incernierate le une alle altre dalle scale
all’aperto, in modo tale da creare uno spazio corte,
vero nucleo della vita collettiva del quartiere. Tutto il
complesso rappresenta, nella logica distributiva e
nella ricerca tipologica, la risposta più completa
delle sperimentazioni di Cosenza sulla residenza
popolare. (G.M.M.)
passaggio coperto ai vari ambienti di supporto:
l’ambulatorio, la biblioteca, la mensa. La testata
meridionale dell’edificio a due livelli, con un elegante
portico antistante, ospita la direzione. Di estremo
interesse è la sezione trasversale dell’edificio principale
le cui coperture sono inclinate verso il centro in modo
da lasciare entrare maggior luce; lo smaltimento delle
acque piovane avviene mediante un sistema di pluviali
allocate nei pilastri cavi così da non avere
canalizzazioni esterne. Le facciate sono disegnate dal
ritmo elegante dei pilastri e delle pensiline che si
stagliano sulla griglia regolare delle vetrate. (L.M.F.)
2
Opere in costruzione
POZZUOLI
TEMPIO-DUOMO
rione Terra
progetto di restauro
2004-2008
Marco Dezzi
Bardeschi
(capogruppo)
A. Castagnaro
R. De Fusco
Gnosis architettura
POZZUOLI
QUARTIERE
OLIVETTI
INA-CASA
via Terracciano 19
1952-1963
Luigi Cosenza
con P. Ciaravolo
A. Galli
P. Porcinai
M. Nizzoli
L’
L
a stessa équipe di progettisti che aveva
realizzato lo Stabilimento Olivetti a Pozzuoli
progetta, nelle vicinanze, il quartiere INA Olivetti.
Il complesso, nato per l’esigenza abitativa dei
dipendenti dell’azienda, rappresenta una delle
risposte più articolate di Cosenza al tema della
residenza popolare. Dopo aver progettato nel
dopoguerra, quartieri razionalisti che guardavano
alle esperienze tedesche come nelle cellule di Barra
e Luzzatti, Cosenza raggiunge nel quartiere di
298
intervento è il frutto di uno dei pochi concorsi
internazionali realizzati a Napoli negli ultimi 10
anni; un progetto di estrema complessità per una
cattedrale frutto di una stratificazione che inizia nel
194 a.C. con il Tempio di Augusto per proseguire con
gli interventi di Bartolomeo Picchiatti e di Cosimo di
Fanzago e, le scelte “demolitive”, di Ezio De Felice successive all’incendio del 1964 - che hanno portato
alla luce duemila anni di storia edilizia della fabbrica.
Il progetto di restauro prevede che dalla piazzetta
antistante il Tempio, una passerella-ponte, superando
l’area archeologica, conduca i fedeli all’ingresso
originario della cattedrale barocca. In questo percorso,
come nel passaggio che conduce all’ingresso riservato
al clero e all’area archeologica, la scelta di utilizzare il
vetro offre leggerezza ed evoca superfici marmoree. Il
vetro è utilizzato anche per le tamponature: all’ingresso
centrale esso è costolonato e tra le colonne laterali è
tirantato. Il “contemporaneo” campanile - riposizionato
rispetto all’originale - dialoga con la cappella del
SS. Sacramento. (G.M.M.)
299
3
DINTORNI/15 MONTERUSCELLO/2
DINTORNI/15 DA VIETRI SUL MARE A RAVELLO/3
VIETRI SUL MARE
FABBRICA
CERAMICHE
ARTISTICHE
SOLIMENE
Opere molto trasformate o abbandonate
9
MERCATO
COPERTO
via U. Saba
1984-1985
Luigi Pisciotti
via Madonna
degli Angeli
1951-1956
Paolo Soleri
L’edificio del Mercato replica nella dimensione e
nella definizione tipologica a corte le regole del
tessuto residenziale, demandando alle soluzioni
formali, all’uso dei materiali e alla stessa
collocazione la sua specificità di luogo pubblico.
La pendenza del terreno è sfruttata per consentire
l’ingresso diretto ai due livelli. Uno a quota della
corte aperta e l’altro che, mediante una rampa di
scale a tesa unica, porta al ballatoio superiore
anch’esso a cielo aperto che disimpegna i locali
per la vendita. Lo spessore del ballatoio costituisce
il portico della corte dove altri locali per la vendita
sono distribuiti sul lato orientale e occidentale.
La struttura in cemento armato è rivestita in mattoni
di cotto. Il mercato non ha mai funzionato ed è in
stato di abbandono. (L.M.F.)
10
U
PIAZZA MERCATO
1983-1985
via L. Bovio
e via A. De Curtis
Dante Rabitti
La piazza mercato è intesa come un grande
chiostro tra le case e le sue dimensioni (46x46 m)
rimandano alle misure del Tempio di Serapide a
Pozzuoli (45x48 m). Un porticato con pilastri a
rocchi cilindrici di cemento a faccia vista e
copertura in lamiera grecata a due falde delimita su
tre lati l’area per il mercato all’aperto. Il quarto lato
è definito dal salto di quota di circa 5 metri, con la
parte superiore a giardino, in cui sono ricavate delle
botteghe con un piccolo portico antistante.
Il giardino, che occupa la parte a sud, si articola in
uno spazio centrale pavimentato, a pianta
semicircolare, circondato da un pergolato e da due
piccoli chioschi che si affacciano sulla piazza.
La piazza appare in disuso e le strutture del
porticato sono degradate. (L.M.F.)
308
nica opera realizzata in Italia da Paolo Soleri, e
progettata durante il suo soggiorno a Vietri sul
Mare. Il progetto risente delle influenze di Frank
Lloyd Wright, di cui Soleri era già stato allievo a
Taliesin West in Arizona negli anni 1947-48 e della
sua ricerca per un’architettura in armonia con
l’uomo e l’ambiente, che svilupperà appieno negli
anni successivi al 1955, attraverso i laboratori
urbani di Cosanti (Phoenix) e Arcosanti (a metà
strada tra Phoenix e il Grand Canyon). L’edificio
ospita la produzione e vendita delle ceramiche
artistiche Solimene, ed è situato lungo un costone
roccioso. All’esterno è caratterizzato dall’alternarsi
di una sequenza di figure coniche, rivestite da
20.000 vasi di ceramica di colore verde e cotto e
da ampie vetrate in ferro, che proiettano il mare e il
sole della costiera dentro gli ambienti dei laboratori,
in un gioco di scambio continuo tra l’interno e
l’esterno. Il rivestimento in cotto svolge la duplice
funzione di isolamento termo-acustico e di
“manifesto” pubblicitario della produzione
ceramica. La spazialità interna è tutta caratterizzata
da una rampa a spirale, liberamente ripresa dal
Guggenheim di New York, che collega tutte le
attività della fabbrica ai vari livelli; essa si articola
intorno a un grande spazio centrale illuminato dal
tetto, a sua volta sorretto da grandi pilastri ad
albero, che richiamano i pini che spuntano al
309
11
DINTORNI/15 DA VIETRI SUL MARE A RAVELLO/3
DINTORNI/15 DA VIETRI SUL MARE A RAVELLO/3
disopra del costone roccioso. Un edificio da
scoprire, non solo per l’avvincente costruzione
spaziale e l’inserimento nel contesto, ma anche per
la raffinata e interessante produzione artigianale di
ceramica. (A.N.)
12
CETARA
VILLA BIFAMILIARE
1968-1970
Nicola Pagliara
L
a villa, come la roccia, degrada verso il mare e
della roccia assume la forma e la superficie.
La volontà di “progettare” una continuità tra il
costone roccioso e la villa viene evidenziata sia
dalla forma estremamente articolata e spigolosa,
sia dal rivestimento in pietra da taglio di Nocera dei
grandi muri esterni. Scrive Pagliara «…Chi
pensasse ad un’Architettura senza definirne il
modo di ogni singola parte sarebbe in grave errore:
anche la falsificazione della “natura” deve essere
espressa tempestivamente nella definizione del
progetto, in modo che le parti risultino tra loro
omogenee». Un’architettura wrightiana che non
dimentica l’eclettismo del castello Aselmeyer di
Lamont Young. Dal mare, luogo ideale dal quale
osservare l’opera, non è agevole riconoscere le due
residenze di cui si compone la villa: una si sviluppa
su due livelli e l’altra su tre livelli intorno a una
spaziosa scala a chiocciola. Un percorso comune e
una torre “saracena” collegano le due residenze
con la bella distesa di ciottoli della spiaggia della
costiera amalfitana. (G.M.M).
13
RAVELLO
AUDITORIUM
via della Repubblica
2000-2010
Oscar Niemeyer
310
I
nserito in uno dei luoghi più belli e significativi, sul
piano paesaggistico, artistico e culturale della
costiera amalfitana, il progetto dell’Auditorium è
un’opera dell’architetto brasiliano Oscar Niemeyer,
già progettista della Mondadori a Milano, della
capitale del Brasile e di centinaia di opere in tutto il
mondo. Una struttura concava dalla pianta
trapezoidale con una copertura in cemento armato
intonacata di bianco, che ospita circa 500
poltroncine. In un lotto stretto e lungo, ricavato
nell’ansa di un tornante, il progetto dell’Auditorium
prevede che l’area riservata al pubblico sfrutti il
declivio naturale del terreno, così che la platea riesca
a godere, attraverso un grande occhio vetrato, anche
dello scenario mozzafiato che gli si apre di fronte.
Ai due lati un grande cerchio vetrato e un’intera
parete, anch’essa vetrata, ritmata dai possenti stralli
in acciaio che sorreggono l’accentuato sbalzo del
palcoscenico. Un ampio terrazzamento panoramico
collega l’altra piccola struttura polifunzionale
incastrata nella curva del tornante. Riprendendo,
inoltre, lo scenario e le soluzioni spaziali dei
tradizionali concerti estivi ospitati nei piccoli giardini di
Villa Ruffolo, Niemeyer prevede di posizionare
l’orchestra ed il foyer a sbalzo, sul vuoto, forzando
l’immagine della ripida orografia della costiera. (A.N.)
311
PROFILI BIOGRAFICI
a cura di Gemma Belli
Sono riportati i profili biografici dei
principali progettisti operanti a Napoli
le cui opere sono presenti nella Guida
Vittorio Amicarelli (Sala Consilina 1907Napoli 1971)
Architetto, esordisce con le
Autorimesse, il padiglione dei Servizi
Generali, gli ingressi al Parco Faunistico,
al Teatro e al Parco Divertimenti nella
Mostra d’Oltremare (1939). Due anni
dopo redige con Calza Bini il piano
paesistico dell’isola d’Ischia e nel
dopoguerra realizza il noto stabilimento
balneare La Canzone del Mare a Capri
(1950, con P. Porcinai), valido esempio
del dialogo tra ragioni dell’architettura e
caratteri ambientali, Villa Ferri in via
Nevio e il Palazzo sulle colonne in via
Manzoni (1952-1957).
Marcello Angrisani (Napoli 1925-2000)
Architetto, docente, membro INU dal
1971 e CESUN nel 1970-1972, scrive
Lo spazio interno architettonico da Frank
L. Wright a Louis I. Kahn (1963).
Tra le sue opere, eleganti e compatte,
influenzate dall’architettura
anglosassone degli anni Cinquanta e da
Wright: gli edifici di via Giulio Cesare
(1953, con S. Paciello), la scuola
elementare a Miano-Secondigliano
(1960-1969), i quartieri INA-Casa a
Secondigliano (1957-1960, in gruppo) e
CEP Traiano a Soccavo (1957-1972, in
gruppo).
Giulio Ulisse Arata (Piacenza 1881Milano 1962)
Architetto, accademico di San Luca, è
tra i protagonisti dell’architettura italiana
degli anni Dieci. Erede culturale di Boito,
Sommaruga e Calderini, concorre alla
ricerca di un’espressione nazionale con
una sua interpretazione di modernismo.
Autore prolifico - noto è L’architettura
arabo-normanna e il Rinascimento in
Sicilia (1913) - partecipa intensamente al
coevo dibattito culturale. Attivo in molte
città italiane, realizza a Napoli le Terme di
Agnano (1909, parzialmente demolite),
Palazzo Leonetti (1909-1910), l’edificio
residenziale in via dei Mille (1909-1910),
Villa Ricciardi ad Agnano (1909-1911),
Palazzo Mannajuolo (1910-1911) in via
Filangeri, Palazzo Cottrau Ricciardi in
piazza Amedeo (1925-1926) e l’edificio
in salita Piedigrotta (1927-1928).
Adolfo Avena (Napoli 1860-1937)
Ingegnere, dal Ministero della Pubblica
346
PROFILI BIOGRAFICI
Istruzione a Roma si trasferisce nel 1887
a Napoli, dove per decongestionare la
città progetta una funicolare aerea tra via
Roma e corso Vittorio Emanuele (1884).
Soprintendente ai Monumenti dell’Italia
Meridionale dal 1908, con studi come
Monumenti dell’Italia Meridionale (1902)
partecipa al dibattito sulla conservazione
di opere minacciate dall’edilizia di
rinnovamento. Interviene, così, nella
chiesa di S. Pietro a Maiella e sull’arco di
Alfonso di Aragona a Castel Nuovo
(1901-1904) e poi nel Palazzo
Donn’Anna (1904-1910). Mediando tra
floreale e eclettico, si dedica in età
matura a progetti residenziali: le
palazzine Avena in via Giordano e
Scaldaferri in via Preti (anni Dieci,
demolite), le ville Lorely in via Toma
(1912), Ascarelli in via Palizzi (19131915), Frenna-Scognamiglio in via
Cimarosa (1918), Spera in via Tasso
(1922) e l’edificio in piazza Fuga (19271928).
Gino Avena (Napoli 1898-1979)
Architetto-ingegnere, Grande Ufficiale
dell’Ordine al Merito della Repubblica
Italiana, consigliere dell’Ordine degli
Ingegneri, dopo un esordio in ambito
eclettico attento agli aspetti ornamentali,
propende verso il moderno declinato in
chiave protorazionalista con riferimenti a
Loos e Hoffman. Così, se il fabbricato in
via Sanfelice (1931-1933) si pone nella
scia del neoromanico, l’edificio in via
Tasso (1934-1935) segna il passaggio
dall’eclettismo al mediterraneo
razionalismo della successiva palazzina
in via Morghen (1935-37). Altre sue
opere: Palazzo Panorama in via Falcone
(1949-1948, con T. Cotronei), l’immobile
in via Palizzi (1950-1953) e l’Hotel
Majestic in largo Vasto a Chiaia (19571959).
Renato Avolio de Martino (Milano 1909,
Napoli 2006)
Architetto, elegge Le Corbusier e Wright
suoi principali riferimenti. Debutta alla
Mostra d’Oltremare (1938-1952),
progettando il Commissariato di Polizia
(1936-1937) e l’Albergo delle Masse
(1936, demolito) nell’antistante piazzale
Tecchio. Dopo la Guerra disegna
Palazzo SME-ENEL in via Bracco (19501955), primo skyscraper della città,
l’edificio curtain wall in via Partenope
(1953-1958), la Sede RAI in via Marconi
(1958-1963, con R. Cortigiani e M. De
Renzi), interviene nel rione CEP Traiano a
Soccavo (1957-1972, in gruppo) e
realizza la Sede dell’ENEL (1986-1995,
in gruppo) al Centro Direzionale.
Salvatore Bisogni (Napoli 1932)
Architetto, docente, allievo di Cosenza e
Quaroni, riconduce gli studi urbani
nell’ambito del progetto architettonico,
avvicinandosi ad Aldo Rossi e al filone
neorazionalista. A Napoli è autore delle
scuole al quartiere Traiano (1974-1989) e
in via Aquileia (1983-1988, con
A. Bonaiuto) e del mercatino di S. Anna
di Palazzo (1980-2001, con
A. Bonaiuto). Presente alla XV Triennale
di Milano con il progetto per
Montecalvario (1973, in gruppo), cura
diverse pubblicazioni tra cui Napoli:
L’architettura del limite (1993),
Montecalvario questione aperta (1994) e
Periferie (1996).
Gaetano Borrelli Rojo (Napoli 1934)
Architetto, docente, è stato presidente
dell’Ordine degli Architetti della Provincia
di Napoli. Studioso delle proposte
illuministe per la Città, pubblica opere e
progetti, anche in ristampa anastatica,
tra cui la ricostruzione (1979) del
disegno urbano di Vincenzo Ruffo nel
Saggio per l’abbellimento di cui è
capace la città di Napoli (1789). Tra i
suoi lavori: il grande Ipogeo Comunale
(1976-1977, con A. Beraglia e M.
Bucchignani), la ristrutturazione di una
delle linee funicolari (1977, con A. De
Fazio e G. Trella) e il Comparto
residenziale n. 7 a S. Pietro a Patierno
(1981-1988).
Marcello Canino (Napoli 1895-1970)
Ingegnere, docente, è preside della
Facoltà di Architettura napoletana nel
1941-1952. Attento alle vicende
dell’ambiente culturale romano degli anni
Venti e Trenta, muovendo dagli studi di
Giovannoni sul barocco sviluppa un
autonomo percorso progettuale
incentrato sulla nozione critica di storia.
Tra le sue opere: il Palazzo degli Uffici
Finanziari (1933), il Palazzo INA (1935),
Villa La Loggetta (1936), la Banca d’Italia
(1938-1952), il Piano urbanistico e il
Palazzo degli Uffici della Mostra
d’Oltremare (1938), il rione CEP Traiano a
Soccavo (1957-1972, in gruppo), a
Napoli; Villa Zegretti a Roma (1942); le
Terme Stabiane a Castellammare (1955)
e il Palazzo di Giustizia ad Avellino (1958).
Michele Capobianco (Vitulano 1921Napoli 2005)
Architetto, docente, allievo di Canino, si
perfeziona a Stoccolma. Il soggiorno
svedese - da cui derivano la sofisticata
monografia Asplund e il suo tempo
(1959) e la cura di mostre e convegni
d’intesa con l’Arkitektur Museet - ne
plasma il linguaggio, sensibile alle
questioni urbane e ai temi architettonici
dei percorsi e della luce. Tra le sue
opere: il Padiglione del Lavoro Italiano in
America Latina alla Mostra d’Oltremare
(1952, in gruppo), l’edificio in piazzetta
S. Stefano (1956, premio IN/ARCH
1961), l’edificio Decina a Parco Grifeo
(1956, con G. De Luca), la chiesa nel
Rione la Loggetta (1956-1962, con G.
De Luca), la Borsa Merci al corso
Meridionale (1964-71, in gruppo), il
Palazzo di Giustizia al Centro Direzionale
(1971-1990, in gruppo), la Facoltà di
Economia e Commercio a Monte
Sant’Angelo (1982-1993, in gruppo), la
Stazione MN a piazza Vanvitelli (19901993, con D. Zagaria) e l’intervento ai
vichi Ponte a Miano nel PSER (19831986, premio IN/ARCH 1992).
Ferdinando Chiaromonte (Napoli 19021985)
Ingegnere-architetto, docente,
presidente ANIAI-Napoli, indaga la
pratica del costruire in rapporto a
materiali e tecniche, dando vita a studi
come Nuovi sistemi e prodotti per
l’edilizia (1953). Partecipa alla V e alla VII
Triennale di Milano (1933, 1940) e alla
redazione del PRG del 1939; interviene
nel Rione Carità con i Palazzi della
Provincia (1934-1936, con
M. Canino), INA (1938-1939), l’edificio
d’angolo in via Diaz (1938) e l’albergo
Oriente (1939). Progetta poi residenze
borghesi distinte da una personale cifra
stilistica: i palazzi Persichetti e Fernandes
(1939) in via Carducci, il condominio in
viale Michelangelo (1939). Nel
dopoguerra realizza gli alberghi Royal
(1959) e Mediterraneo (1963) e la chiesa
di S. Vitale a Fuorigrotta (1939-1963).
Carlo Cocchia (Napoli 1903-Roma
1993)
Architetto, pittore tra i maggiori del
futurismo partenopeo, docente, è autore
di L’edilizia a Napoli dal 1918 al 1958
(1961), acuta analisi di un quarantennio
di trasformazioni. Esordiente realizza
nella Mostra d’Oltremare la Fontana
dell’Esedra, il Ristorante con Piscina, il
Ristorante del Boschetto (demolito), le
Serre (demolite) e l’Acquario tropicale
(1939-1940). Nel dopoguerra vince i
concorsi per lo Stadio San Paolo a
Fuorigrotta (1948), la Stazione FS a
piazza Garibaldi (1954, in gruppo), le
Nuove Terme del Solaro a
Castellammare di Stabia (1957-1963,
con A. Sbriziolo) e la Facoltà di Medicina
e Chirurgia (1963, in gruppo),
realizzandone le architetture; affronta i
347