Copyright © 2010 CLEAN via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli telefax 0815524419-5514309 www.cleanedizioni.it [email protected] Alcuni scritti sono tratti da: NapoliGuida 14 itinerari di architettura moderna, a cura di Sergio Stenti con Vito Cappiello, CLEAN, Napoli 1998 6 INTRODUZIONE Sergio Stenti 8 I LUOGHI DEL MODERNO Sergio Stenti 23 NAPOLI VERSO IL FUTURO Vito Cappiello 33 1. Napoli dallʼalto PAESAGGIO METROPOLITANO Sandro Dal Piaz Tutti i diritti riservati È vietata ogni riproduzione ISBN 978-88-8497-104-3 39 2. Napoli dal mare UNA GITA IN BARCA Enzo Andriello Editing Anna Maria Cafiero Cosenza 47 3. Napoli dal tram INCONTRI FUORI DALLʼORDINARIO Giacomo Ricci Grafica Costanzo Marciano in copertina: Francesco Venezia, Municipio, residenze e piazza, S. Pietro a Patierno. in retrocopertina, dall’alto: Salvatore Bisogni, Anna Buonaiuto, Mercatino e centro sociale, Napoli; Giulio De Luca, Arena Flegrea, Napoli; Silvio d’Ascia, Stazione di Montesanto, Napoli; Giancarlo Scognamiglio, Antonio Costa, MED Maxicinema, Napoli; Renzo Piano, Vulcano Buono, Nola; Oscar Niemeyer, Auditorium, Ravello. Indice 79 4. Rione Carità UN NUOVO CENTRO Paola Cislaghi Le schede delle opere sono di: Anna Aragosa (A.A.), pp. 238-251 Tilde Bavaro (T.B.), pp. 146-149, 151 Alba Cappellieri (A.C.), pp. 203-207 Vito Cappiello (V.C.), pp. 65-66, 78, 150-151, 191-192, 269-270 Emanuele Carreri (E.C.), pp. 64-64, 149-150, 187-188, 259-269, 273 Ugo Carughi (U.C.), pp. 183-193 Paola Cislaghi (P.C.), pp. 85-94 Carola Coppo (C.C.), pp. 215-220, 224-229, 318 Giovanna Fimiani (G.F.), pp. 282-285, 287-288 Gaetano Fusco (G.Fu.), pp. 121-126 Ludovico Maria Fusco (L.M.F.), pp. 297-298, 305-308 Rosa Maria Giusto (R.M.G.), pp. 329-337, 344 Giuseppe Guida (G.G.), pp. 143-144 Luisa Indulgenza (L.I.), pp. 283, 286 Fabio Mangone (F.M.), pp. 103-114 Francesco Domenico Moccia (F.D.M.), pp. 141-143 Giuseppe M. Montuono (G.M.M.), pp.193, 259, 285-286, 298-299, 310, 312, 316-323 Maria Dolores Morelli (M.D.M.), pp. 121, 123-128 Alessandro Napoli (A.N.), pp. 309-311 Lilia Pagano (L.P.), pp. 163-174 Tania Polichetti (T.P.), pp. 281-282 Giacomo Ricci (G.R.), pp. 59-64, 67-69, 71-77 Michelangelo Russo (M.R.), pp. 141, 144-148 Massimiliano Savorra (M.S.), pp. 106-109 Olga Scotto di Vettimo (O.S.V.), pp. 215-220, 224-227 Anna Spatocco (A.S.), pp. 282, 287-288 Sergio Stenti (S.S.), pp. 65, 67, 69-72, 77-78, 94-96, 129, 146, 185-186, 260-261, 273, 312, 322, 337, 344 97 5. Chiaia IL FASCINO DISCRETO DELLʼEDILIZIA BORGHESE Fabio Mangone 115 6. Posillipo IL PANORAMA DENTRO CASA Pasquale Belfiore 131 7. Fuorigrotta UN QUARTIERE MODERNO Francesco D. Moccia 153 8. Mostra dʼOltremare UN PARCO URBANO Lilia Pagano 175 9. Vomero LA CITTAʼ ALTA Ugo Carughi 195 10. Centro Direzionale LA CITTAʼ CHE SALE Alba Cappellieri 209 11. Stazioni della metropolitana ARCHITETTURA + ARTE Sergio Stenti UN MUSEO IPOGEO Olga Scotto di Vettimo 231 12. Parchi IL VERDE IN CITTAʼ Vito Cappiello 253 13. Periferie ESPANSIONI NOVECENTESCHE E CONURBAZIONI Emanuele Carreri 275 14. Casali IL RECUPERO URBANO Carlo Gasparrini 291 15. Dintorni ITINERARI FUORI PORTA Alessandro Castagnaro 297 1 / POZZUOLI 300 2 / MONTERUSCELLO - NASCITA DI UNA CITTAʼ Ludovico M. Fusco 309 3 / DA VIETRI SUL MARE A RAVELLO 312 4 / DA SCAFATI A PORTICI 318 5 / DA CASORIA A NOLA 324 6-7 / ISOLE - LʼARCHITETTURA Eʼ DI CASA Cherubino Gambardella 346 356 358 363 370 PROFILI BIOGRAFICI Gemma Belli BIBLIOGRAFIA INDICE DELLE OPERE INDICE DEI NOMI REFERENZE FOTOGRAFICHE INTRODUZIONE Sergio Stenti 6 a storia della città di Napoli ha 25 secoli e l’architettura moderna ne occupa appena uno. Una stagione corta appena cento anni che si è manifestata più con la costruzione di una smisurata periferia che per l’eccellenza delle sue trasformazioni urbane. Eppure, anche in tanta storia, così inclusiva e stratificata con sorprendente disordine, ricca di luoghi simbolici e di miti amorevolmente coltivati, l’architettura moderna ha lasciato significative tracce dei suoi radicali propositi di ridisegnare l’intera città. Napoli è sempre Napoli recita il ritornello e non si capisce bene se è una fortuna o una iattura, eppure qui, più che altrove, il nuovo è stato, e in parte ancora è, sotto condizione e ostacolato, perché l’identità della città si L rispecchia più nel suo genius loci, fatto di natura+ storia+miti, piuttosto che nella sua realtà fattuale. Un legame particolare con la tradizione e un’inerzia trasformativa, hanno ritardato l’affermazione e gli sconvolgimenti della modernità e l’hanno preservata sia da radicali e qualche volta disastrose trasformazioni sia da idee fortemente innovatrici (si pensi alle proposte infrastrutturali di Avena e Lamont Young). Le trasformazioni ottocentesche si sono estese fin quasi tutta la prima metà del Novecento determinando l’immagine di molta parte della città attuale; mentre ancora oggi sono in pieno svolgimento quelle trasformazioni tipiche del secolo passato come le infrastrutture della mobilità e i servizi. Il contributo dell’architettura moderna alla città è stato quello di proporre singole eccellenti architetture che poco si sono misurate con la storia e con la costruzione di luoghi moderni e sebbene in sintonia con lo strabismo moderno che ha separato architetture e contesti, l’architettura moderna napoletana è stata invero meno radicale che altrove, più intrecciata con l’emergente anima classica della città. Il pericolo di una città “generica” come risultato della globalizzazione dell’architettura, indifferente ai luoghi cioè, appare qui più limitato. Più che l’omogeneizzazione indifferenziata, è imponente invece l’assenza di architettura e urbanistica civile nell’espansione novecentesca che rappresenta comunque i due terzi della città. Selezionare singole opere per costruire un catalogo non è stata la nostra intenzione; la guida, attraverso la descrizione dei luoghi e delle architetture cerca di indagare sui contesti e sugli stili, senza privilegiarne alcuno; nella convinzione di restituire una visione plurale, a molte voci e con punti di vista diversi, della città moderna. L’idea della guida per luoghi e opere è nata nel 1996, nelle strade della città, durante le manifestazioni dell’Autunno dell’Architettura, promosse e organizzate con la CLEAN dall’allora Assessore all’Identità del Comune di Napoli Renato Nicolini, da Gianni Cosenza, da Vito Cappiello e da me, con l’apporto di numerosi studiosi. Era una proposta di esperienza che tendeva a superare il divario tra cultura d’élite e cultura popolare, attraverso la conoscenza diretta di opere di qualità e di quartieri moderni abitabili, un tentativo di divulgazione e di apertura critica al nuovo. C’era un convincimento che ci guidava: la comprensione dell’architettura moderna come indispensabile strumento anche per capire meglio l’architettura della storia e basare su questa conoscenza l’accelerazione delle trasformazioni e densificazioni che urgevano e urgono in questa città. Allora come ora si tratta di accettare le modernizzazioni necessarie a patto di non danneggiare l’urbano storico consolidato, lo stravolgimento invece necessario della disastrosa periferia inabitabile attraverso estese riqualificazioni dei contesti anche per alloggiare decine di migliaia di persone, e infine il blocco dell’espansione urbana come condizione per la riqualificazione del paesaggio. 7 LUOGHI E ARCHITETTURE DEL MODERNO Sergio Stenti Francesco De Simone, progetto di parco a villette, 1917 8 na passeggiata a passo svelto per la città consente solo di soffermarsi su quei temi e opere che hanno segnato le più importanti trasformazioni urbane del Novecento. Il rapido e sintetico racconto della Napoli moderna parte dalla stagione liberty dei primi anni del 1900, mette a fuoco i due rilevanti elementi urbani della città fascista, il rione Carità e la Mostra d’Oltremare; prosegue con la costruzione dei quartieri razionalisti nel dopoguerra e con le prime grandi Attrezzature urbane che guardano oltre il razionalismo stesso; descrive i grandi interventi della nuova dimensione metropolitana e la breve stagione della riqualificazione della periferia seguita al terremoto del 1980; termina con l’attuale sviluppo delle infrastrutture e con uno sguardo alle principali realizzazioni nei dintorni della città. U Un liberty epidermico e uno storicismo sostanziale A cavallo del Novecento il modernismo europeo ha avuto una debole diffusione in Italia, localizzata soprattutto a Torino, Milano e Palermo, mentre Napoli è rimasta assai poco influenzata dalla stagione del movimento liberty. I forti cambiamenti che si sono verificati nell’arte, nell’architettura e nell’urbanistica sono stati soprattutto il frutto dell’intreccio tra sviluppo dell’industria, sperimentazioni tecnologiche sul ferro e sull’acciaio, sviluppo delle arti applicate, e nuovi ceti imprenditoriali emergenti, che hanno spinto a rifiutare l’eredità culturale dell’eclettismo storicistico ottocentesco; ma tali cambiamenti a Napoli, anche se presenti, sono stati di entità modesta e non sono riusciti a caratterizzare pienamente le nuove parti di città. L’urbanistica borghese napoletana infatti si è realizzata a partire da un Piano ottocentesco (Piano di Risanamento, 1885) che produce la sua influenza fino alla Seconda guerra mondiale, pur con modifiche e ampliamenti, sventrando il centro storico con un Rettifilo dalla Stazione in centro città, progettando ampliamenti sulle colline, e a Chiaia dove compaiono puntuali fabbriche liberty che dialogano sempre con la tradizione. Mentre, infatti, la nuova strada in Rettifilo allinea palazzi ottocenteschi in stile neorinascimentale e neobarocco, le nuove parti urbane borghesi si caratterizzano da un lato (via Filangeri, via dei Mille, parco Margherita) come espressione superficiale di un tardo floreale che affascinava i ceti emergenti, dall’altro, negli interventi a S. Lucia, piazza Vanvitelli, viale Elena e nei rioni “popolari” come il Duca d’Aosta a Fuorigrotta, come profonda adesione alla tradizione costruttiva e figurativa del palazzo d’affitto ottocentesco. Tra l’innovazione liberty e la continuazione del linguaggio storicista, la preferenza delle classi borghesi e di quelle “popolari” viene data agli elementi della tradizione con preferenza per il gusto neorinascimentale. La strada che meglio esprime il carattere del periodo, nella sua versione urbana, è via Filangeri-via dei Mille dove si allineano le fabbriche costruite dall’impresa Ricciardi, Mannajuolo, Borrelli, disegnate da Giulio Arata, che mostrano le variazioni del liberty napoletano con ibridazioni di motivi floreali e decori su fabbriche sostanzialmente ottocentesche. Palazzo Mannajuolo si distingue per il ruolo scenografico che svolge, in asse con via dei Mille, risolto con una soluzione d’angolo concavo-convessa, con semicupola al di sopra della scala ellittica e decori in graniglia di cemento. La novità è rappresentata dagli edifici commerciali (negozi Leopoldo Gatti e Lotto Zero, edificio Martone al Rettifilo): una nuova tipologia urbana di cui quello di Giulio Arata disegnato per il commerciante Gatti (via Filangeri 55, 1909) rappresenta una “moderna” soluzione architettonica, risolta con ridotte strutture murarie e grandi pareti vetrate, in linea con i migliori esempi di edifici commerciali europei. Delle tre tipologie del liberty napoletano, palazzi urbani, palazzine e ville di cui parla Renato De Fusco, le palazzine sono la parte più consistente e diffusa della nuova residenza borghese e nella quale l’architettura liberty trova maggiore libertà compositiva: corpi liberamente articolati, geometrie poligonali, dissimmetrie in altezza e pianta, presenza di torri e torrini, facciate variate con aggetti volumetrici (bow windows), balconi coperti e verande, diffuse opere in ferro lavorato e decori floreali. In via Palizzi al Vomero e nelle zone panoramiche le palazzine liberty si posizionano su terreni in pendenza dei quali sfruttano abilmente i dislivelli creati dai tornanti che risalgono le colline (Palazzina Russo Ermolli, Palazzina Velardi, etc.). 9 Camillo Guerra, Casa del Mutilato, interno, 1938 nella pagina accanto Marcello Canino, progetto per la sede della Banca d’Italia, 1951 Al parco Margherita e a Posillipo al rione Carelli (F. De Simone, 1910) vengono progettate, come residenze altoborghesi, due urbanizzazioni a parco con villini e palazzine liberty e neomedievali, lungo strade a tornanti in posizione panoramica; ma solo il parco Margherita, riuscirà a mantenere nel tempo, pur con l’aumento della densità edilizia, un carattere ambientale ed architettonico che ricorda il modello urbano originario e lo stile delle palazzine liberty immerse nel verde. Mentre Villa Pappone a Posillipo è forse il miglior esempio di palazzina liberty, gli edifici di Adolfo Avena in via Lordi (1927) e a Villa Spera (1922) sono gli esempi più caratteristici della variante medioevale neoromanica partorita dall’interno del movimento liberty a cui potremmo affiancare alcune tarde opere del visionario e geniale ingegnere Lamont Young (Villa Ebe, 1920). Unico esempio di intreccio tra liberty e classicismo è il complesso delle Terme nella conca di Agnano, di Giulio Arata (1909) che, influenzato dalla forza del luogo antico, ibridato con lo spirito della belle epoque con giochi e motivi floreali, sembra anticipare quel dialogo col mito della classicità che alimenterà molte architetture napoletane successive. Un nuovo centro città monumentale Mentre durante il liberty e fino alla Prima guerra mondiale le residenze borghesi marcano lo sviluppo e le trasformazioni urbane, durante il fascismo sono invece gli interventi pubblici che diventano l’asse portante delle nuove trasformazioni ed espansioni della città gestite dirigisticamente da un Alto Commissariato per la città e la Provincia creato nel 1925. Sul piano urbanistico continua ad essere operante il Piano di Risanamento del 1885 che viene ampliato affidando ai privati la costruzione delle aggressive espansioni edilizie sulle colline del Vomero, Arenella e Posillipo. Sul piano urbanistico si fa strada una nuova visione della città come sviluppo: si studiano nuovi piani per immaginare un ordine ed un destino a tutto l’insieme urbano (F. De Simone, 1914-21 e V. Pantaleo 1921) o per migliorare la sua parte storica, alla luce delle teorie sul diradamento edilizio 10 e l’ambientamento (G. Giovannoni, 1927); ma tali piani rimangono solo referenti culturali, utilizzati a piacimento, e inapplicati; valga l’esempio concreto della bonifica del rione Carità che rimane fortunatamente l’unico caso di sventramento massiccio nel centro storico. Per la verità, sul versante degli sventramenti, anche i successivi piani (1939 e 1946) prevederanno insani tagli viari nel centro città che fortunatamente non verranno realizzati. Durante il periodo tra le due guerre, la città viene investita da notevoli interventi infrastrutturali, come la creazione della strada litoranea est-ovest attraverso il tunnel della Vittoria, il collegamento con Fuorigrotta attraverso il tunnel della Laziale, due nuove funicolari, una per il Vomero (la funicolare Centrale mostra un interessante connubio tra il giovane strutturista P.L. Nervi e l’accademico A. Foschini) ed una per Posillipo, la ferrovia direttissima per Roma nel sottosuolo della città, e da bonifiche di aree urbane pregiate come il rione Carità e il rione Carducci a Chiaia. Il rinnovamento dell’architettura avviene nello spazio ristretto di un generale “richiamo all’ordine dopo le intemperanze del liberty” (Canino). Il rapporto con la tradizione italiana diventa metro di paragone per la nuova architettura pubblica in tutte le sue varianti (dal barocchetto al classicismo, dal Novecento allo stile littorio) e ogni sperimentazione sull’International Style anche nella versione più soffice del razionalismo italiano viene confinata ai margini. Tra i due filoni che caratterizzano la modernità di questo periodo, tra avanguardia e tradizione viene innalzata un’opposizione ideologica senza mediazione: solo in opere private come a Villa Oro o a Villa Savarese o in interventi pubblici “funzionali”, come al Mercato Ittico (tutte di Luigi Cosenza), è possibile rintracciare un’eccelsa sperimentazione d’avanguardia che si misura col razionalismo e la mediterraneità. Non maggiore diffusione trova in città la rielaborazione della classicità in chiave moderna, il cui esempio migliore è la Villa La Loggetta (M. Canino, 1936, oggi trasformata). Durante il fascismo la penuria di abitazioni popolari si aggrava (nel 1920, 780.000 persone abitavano in 270.000 stanze, con una densità media di 11 creato occasioni per riqualificare il contesto. Un caleidoscopio di linguaggi architettonici unito ad un museo pubblico di arte decorativa (curato da A. Bonito Oliva) caratterizzano i nuovi interventi infrastrutturali; ma dove l’intreccio arte+design+architettura conferisce maggiore eccitazione agli spazi circostanti è nelle 5 stazioni della Linea 1: Dante, Museo, Rione Alto, Materdei, e soprattutto Salvator Rosa (A. Mendini, 2001) dove si evidenzia anche una super-disegnata riqualificazione estetica dell’intorno. Per la verità alcune stazioni, costruite in superficie nei limitati e stratificati spazi storici, alterano senza vera necessità gli spazi urbani circostanti (piazza Lala e Dante) e mostrano la inutilità di ingombrare ancora con nuovi volumi spazi urbani definiti e già insufficienti per gli abitanti. Molto meglio infatti, soprattutto nel centro storico, il ruolo di quelle stazioni (progetto Stazione Municipio, A. Siza) che rimangono nel sottosuolo e che non occupano spazi liberi e preziosi per i cittadini. Dintorni Passeggiate tradizionali legate alla città, i dintorni di Napoli mostrano importanti episodi architettonici moderni che qualche volta diventano “luoghi” influenzando il contesto; oppure in altri è la forza del contesto che ne influenza le architetture. È questo secondo caso ciò che accade e accomuna le tre isole del golfo, dove classicità e modernità si danno manforte reciproca, mentre la Fabbrica Olivetti a Pozzuoli (1951-54) si inscrive tra le grandi architetture che creano luoghi dialogando con il paesaggio a partire dalla loro forza intrinseca. Diverso è il caso della fabbrica di ceramiche Solimene a Vietri (1952-55), dove una grande architettura organica costruisce un tempio al lavoro artigianale esaltando un aspetto della cultura e tradizione locale. Esempio ignorato è invece quello della Città Alfa Romeo a Pomigliano (A. Cairoli, 1939) dove un raro esempio di razionalismo urbano italiano crea una brano di città che funziona perfettamente ancora oggi. Ancora, nell’ampio spazio extra urbano di Nola, il segno territoriale del nuovo centro commerciale Vulcano Buono (R. Piano, 2007) si pone quale struttura isolata e conchiusa tra architettura ed urbanistica: un largo e basso cono troncato, ricoperto di verde con al centro una piazza per eventi. Con la natura dei luoghi, e segnatamente con l’acqua, si misurano invece le due architetture termali a Castellammare, una al porto l’altra in collina, mentre a Ravello, Niemeyer cerca di spiazzare la tradizione reinventando, con il progetto dell’Auditorium, un rapporto coi terrazzamenti dei terreni della costiera e l’architettura locale. 22 gni grande città tende ad organizzare le proprie strategie di sviluppo intorno ad alcuni grandi “sistemi” che costituiscono sia una nuova offerta di qualità quotidiana alla popolazione, sia un’attrattiva per il turismo. Le strategie che Napoli ha messo in atto negli ultimi quindici anni sembrano basate piuttosto su di una logica legata al consolidamento della città storica e stratificata, strategia fortemente radicata in un Piano, approvato dopo una gestazione durata più di un decennio, generalmente considerato più vincolistico che di sviluppo. Sono sembrati mancare nei fatti, o essere appena accennati, quei grandi progetti strategici “portanti” che caratterizzano città più fortemente orientate alla modificazione. Tuttavia, qualcosa è stato portato avanti, come il grande progetto di mobilità su ferro, connesso ad un sistema di tipo regionale; o il progetto delle aree a verde e dei parchi, il cui punto forte, ma ancora agli inizi della realizzazione, è il “Parco Metropolitano delle Colline”; o, ancora, il sistema dei musei e degli eventi della modernità, basato principalmente sul PAN e sul MADRE; o il tentativo di riorganizzazione delle aree portuali, puntualmente bloccato da ricorsi alle decisioni derivate dal concorso. Più debole il sistema di rinnovamento urbano basato su nuove architetture di qualità. Negli ultimi anni Napoli, apparentemente, ha voluto avvicinarsi a un modello di offerte e di concorrenzialità tra grandi metropoli, anzi da un lato ha addirittura inventato una sua specificità unificando, attraverso la “metropolitana dell’arte”, mobilità e offerta culturale moderna; dall’altro, tuttavia, è rimasta un po’ a metà del guado per quanto riguarda un capacità di svolgere con lo stesso livello di innovatività la modernizzazione del sistema degli spazi aperti e, soprattutto, dell’architettura. Quando lo ha fatto, si è rivolta troppo spesso a grandi nomi esterni, sottovalutando le O NAPOLI VERSO IL FUTURO Vito Cappiello 23 Gruppo Cellini-Ghio, progetto del Parco di Bagnoli sulle aree ex Italsider nella pagina accanto Progetto di completamento del Centro Direzionale, F. Cellini, S. Cordeschi, G. Martuscelli, 2003 potenzialità di una nuova generazione di architetti, sensibili agli stimoli internazionali, che comincia ad emergere anche nelle professionalità napoletane, ma le cui realizzazioni avvengono più fuori che dentro le mura urbane, mentre le maggiori opere “moderne” realizzate in connessione al sistema delle stazioni su ferro sono state affidate “dall’alto” alle principali star internazionali. Talvolta, poi, grandi occasioni di trasformazione urbana sono state affidate ad anonime società o risolte all’interno degli uffici pubblici con scarsi aneliti alla vera modernità. Ciò penalizza ancora un vera modernizzazione dell’immagine urbana e ne localizza i pochi segni significativi in limitate occasioni, mentre una idea di base di “restauro generalizzato” dell’immenso tessuto “storico” è ben lungi dal poter essere praticata realmente, a fronte di grandi aree di degrado urbano, anche in zone centrali. All’interno di un procedere (lento) che la città va svolgendo (malgrado se stessa) in direzione di una moderatissima modernità (ben delimitata e poco interiorizzata), ciò di cui si avverte la necessità, è di un più radicale processo di trasformazione (e forse anche di formazione della classe politico-amministrativa) in direzione di una vera modernità, non solo rivendicata a parole, ma praticata nei fatti, e che trovi una strada matura, capace di coniugare appartenenza alla contemporaneità e appartenenza a una lunga tradizione colta, non da rinnegare, ma da riconoscere come parte innegabile della nostra attualità. Dentro questo processo contraddittorio tra conservazione e modernità, sembrano tuttavia emergere alcune nuove professionalità che hanno avuto modo di esprimersi in recenti significativi progetti, alcuni dei quali facenti parte di “progetti strategici” quali quelli prima menzionati, altri invece costituenti delle occasioni di vera e propria architettura moderna. Quasi tutti godono, per lungaggini o irrisolte controversie amministrative, dello status di “progetti interrotti”. occasione di trasformazione urbana, è il progetto del Parco di Bagnoli sulle aree ex Italsider. Alcune delle vicende connesse alla gestazione di questo parco sono raccontate nel capitolo introduttivo all’itinerario dei parchi. Il progetto, dopo una gara malamente annullata, è stato affidato al gruppo Cellini-Ghio. L’area investita riguarda circa 120 ettari affacciati sul mare tra Nisida e Pozzuoli; è basato, sulla scorta di quanto stabilito nel PRG e nel PUA di Bagnoli, su un grande sistema di verde con varie qualità, sulla predisposizione di aree umide tra la spiaggia e il mare, sul riutilizzo di molti elementi dell’archeologia industriale salvati dallo smantellamento dell’Italsider, alcuni conservati in situ e riqualificati con nuove funzioni, altri da rimontare all’interno dei percorsi previsti, come “totem simbolici” del passato industriale. Il grande parco dovrà fungere anche da collegamento fra la Città della Scienza, posto sul lungomare in edifici di archeologia industriale recuperati, il “museo-ospedale delle tartarughe”, già realizzato, le altre funzioni da allocare in edifici da recuperare, e il Parco dello sport a ridosso del costone di Posillipo, in via di completamento. Il Parco di Bagnoli, tuttavia, incontra continui tentativi di ripensamento relativamente alle funzioni in esso previste, e, allo stato attuale è ancora più sulla carta che nella realtà. Un secondo, significativo progetto, che fin dai primi anni della gestione Bassolino è stato vantato come un grande progetto di riconfigurazione del rapporto tra fronte a mare e città storica, è il progetto di riqualificazione del waterfront del Porto di Napoli. Il progetto di concorso per la riqualificazione dell’area monumentale del Porto di Napoli è stato elaborato nel 2004 e affidato a M. Euvè e altri. L’area d’intervento interessa un ampio arco portuale: dal molo borbonico di San Vincenzo, all’Immacolatella, a ridosso del Maschio Uno dei più significativi di questi progetti, su cui il PRG e l’amministrazione napoletana sembrava aver basato una fondamentale 24 25 < 3 > Napoli dal tram Incontri fuori dellʼordinario 20 19 18 21 17 13 14 15 12 11 22 10 9 4 1 2 3 5 8 6 7a 7b 7c 7d N 16 NAPOLI DAL TRAM/3 sperimentalismo avanzato e assolutamente innovativo. E, comunque, vi piaccia o no, l’architettura moderna è anche questo. Certo, appartiene a un modo di esprimersi molto…soggettivo… e… - Basta, basta… - mi mise a tacere il principe e, poi, rivolto agli altri che avevano assistito divertiti al mio discorsetto - Però, il pover’uomo se l’è cavata. - E di nuovo rivolto a me: - Caro Ricci, non c’è bisogno di giustificare niente e nessuno. Ognuno è libero, almeno finora, di seguire la sua strada. Anche se, a onor del vero, una casa dovrebbe somigliare a una casa, una strada a una strada e una piazza a una piazza e lo sperimentalismo dovrebbe, alla fine, approdare a risultati stabili, come dire?, classici… - Ma il suo tempo è scaduto! - mi salvò definitivamente Vittorio. Fecero fermare il tram. Eravamo nei pressi del Ponte della Maddalena. - Se vi allungate più avanti - dissi - potrete visitare anche la Stazione Centrale. È un edificio di ampio respiro; vi hanno lavorato i migliori. - Sarà fatto - mi disse il principe, stringendomi la mano - A ben rivederci… - Rivolto agli altri - Ragazzi salutate - Seguì un “arrivederci” di tutti in coro. Il principe, poi rivolto a Peppino, mentre scendevo: - Oh, giovanotto, penna, carta e calamaio, su. Sei pronto? Peppino si era aggiustato alla meglio per scrivere sotto dettatura. - Signorina, veniamo, noi, con questa mia addirvi…una parola. Scusate se sono poche, …ma settecentomila lire, a noi ci fanno specie che quest’anno c’è stata una grande morìa delle vacche come voi ben sapete, punto, due punti. Ma sì, abundandis in abundandum …Che dica che noi siamo tirati, cafoni… Vidi Peppino con sguardo malinconico stringere il pacchettino di paglia sotto il braccio, quasi a piangere l’abbandono forzato di quel piccolo tesoro. Poi si sporse dal finestrino e me lo passò con un sorriso, dicendo: - Professo’, non si offenda, noi avevamo pensato che le facesse piacere… La porta si chiuse e il tram se ne partì scampanellando allegramente. Mi avevano pagato, per un mio lavoro! Allora mi resi conto che si doveva trattare per forza di un sogno. E mi svegliai subito. Attualmente il percorso del tram, a causa dei lavori per la Metropolitana, parte da piazza Vittoria anziché da piazza Sannazzaro. NAPOLI DAL TRAM/3 1 EDIFICIO RESIDENZIALE 2 corso Vittorio Emanuele 1927 Gaetano Costa L a Stazione fu inaugurata il 28 ottobre del 1927, in occasione del varo della direttissima RomaNapoli. L’autore Gaetano Costa era un professionista molto in vista che, tra l’altro, partecipò anche all’importantissimo Concorso Internazionale per il progetto del Palazzo delle Nazioni. Dal punto di vista planimetrico l’impianto è costituito dai due saloni degli “arrivi e delle partenze”, coperti da volte a botte cassettonate con elementi in vetrocemento, rifinite con stucchi e decorazioni in stile tardo liberty, tra loro collegati da un passaggio che mette in comunicazione anche con la sala ristorante situata in posizione baricentrica. I pavimenti sono in marmo. Di notevole rilievo formale, inoltre, le due facciate in legno di rovere delle biglietterie situate nelle sale principali e realizzate in stile di gusto classicistico. Il prospetto principale su corso Vittorio Emanuele è caratterizzato da una rigorosa distribuzione simmetrica delle masse e da un basamento in un pesante bugnato in travertino. L’articolazione della facciata rispecchia con estrema fedeltà l’organizzazione degli ambienti interni e si adatta alla leggera pendenza della strada. Gli ingressi ai due saloni sono sovrastati da archi decorati. Il corpo centrale presenta, in sommità, un grande arco nel quale, oltre a statue e stucchi, è ospitato un orologio. Elemento notevole è la pensilina a sbalzo che fa da copertura degli ingressi ai saloni laterali e al ristorante centrale, eseguita in ghisa traforata da elementi quadrati ricoperti in vetro colorato. La pensilina attraversa tutto il corpo di fabbrica per l’intera lunghezza. In ghisa è anche l’altra pensilina situata al livello superiore del parco binari, costituita da un sistema semplice ed elegante in travatura reticolare continua lasciata a vista, sostenuta da una serie di esili colonne. (G.R.) R isalta,in questo edificio, l’abilità del progettista nel risolvere felicemente condizioni di partenza decisamente sfavorevoli: il lotto d’impianto caratterizzato da una forma planimetrica irregolare e la presenza dei dislivelli della salita Piedigrotta e 58 STAZIONE DI MERGELLINA salita Piedigrotta 3 1927-1928 Giulio Ulisse Arata 59 NAPOLI DAL TRAM/3 delle rampe Sant’Antonio. La soluzione si basa sulla realizzazione di un basamento d’imposta dell’edificio ad altezza variabile che ha lo scopo di assorbire l’irregolarità altimetrica lungo il suo perimetro e sull’adozione di una tipologia a corte aperta verso la strada, alla quale è affidato il compito di razionalizzare le difficoltà planimetriche dettate dalla forma trapezoidale del lotto edificatorio. Dal punto di vista stilistico, l’eclettismo e le tipiche ridondanze a questo connesse, proprie dell’Arata di tutto il decennio precedente, risultano smorzate dall’adozione di decorazioni contenute e sobrie. Nella corte centrale è ubicato il corpo d’ingresso, segnato da due vani, l’uno che ospita il varco d’accesso vero e proprio e l’altro cieco. Da segnalare, inoltre, la particolare soluzione d’angolo tra le rampe Sant’Antonio e la salita Piedigrotta, che mostra una veranda sovrastata da un terrazzino al quinto livello che assicura all’edificio una particolare valenza estetica. (G.R.) 3 UFFICI COMUNALI EX CASA DEL FASCIO RIONALE largo Torretta 1936 Giuseppe Mannajuolo 60 S i tratta di un edificio situato all’incrocio tra le vie Mergellina e Piedigrotta, che conclude, a guisa di “testata”, l’insula prospiciente sull’incrocio che prende il nome di “Largo Torretta”, il quale deriva dalla presenza nella composizione volumetrica della costruzione, d’un volume parallelepipedo, sviluppato in senso verticale, comunemente detto, per la sua particolare forma e per l’uso cui era destinato, per l’appunto, la “Torretta”. Il complesso presenta un’articolazione estremamente semplice, basata sull’unione-contrapposizione del corpo principale sul quale s’innesta il volume della Torretta. L’edificio si sviluppa su quattro livelli. Le facciate prospicienti sulle due strade laterali sono quasi interamente rivestite in travertino e ripartite in tre parti significative: la linea basamentale, caratterizzata da uno zoccolo d’imposta e da finestre a doppia altezza; la parte NAPOLI DAL TRAM/3 centrale con finestre in doppio ordine, impaginate in campi rettangolari rivestiti in mattoni, che vengono alternate da paraste in travertino a tutt’altezza e, infine, la parte a coronamento, ridotta alla parete nuda in travertino la cui continuità risulta interrotta dalla sola scansione di finestre quadrate prive di qualsiasi cornicione di protezione. Il prospetto sullo slargo è costituito da due ali cieche che fanno da cornice al volume della “Torretta”. Quest’ultimo, l’elemento formale di maggiore spicco, è, a sua volta, suddiviso in tre fasce verticali: le due laterali, in mattoni a tutt’altezza, fanno da ali al corpo centrale nel quale trovano posto, partendo dal basso, il portale d’ingresso, un balcone dalla balaustra lapidea, due finestre l’una sull’altra e, in sommità, un orologio dalle cifre stilizzate che conclude l’assieme. Una gradonata di sapore vagamente monumentale, anche se in tono decisamente “minore”, permette di superare il dislivello tra la strada e il piano terra dell’edificio. (G.R.) CIRCOLO DELLA STAMPA Villa Comunale lungomare Caracciolo 1948 Luigi Cosenza Marcello Canino L a costruzione è ubicata all’interno della Villa Comunale, poco distante dall’edificio neoclassico della Stazione Zoologica e dalla Cassa Armonica in ferro e vetro di Enrico Alvino. L’intervento dei progettisti è stato di ristrutturare ed ampliare una fabbrica già esistente, danneggiata nel corso dell’ultimo conflitto mondiale. L’edificio è costituito da un ampio salone dal quale si diparte una galleria vetrata che, separando due patii, conduce al corpo del ristorante. La costruzione preesistente, costituita da massicce murature portanti, venne, nel progetto di ristrutturazione, rifunzionalizzata e a essa venne aggiunta una nuova parte di ampliamento che dava luogo alla sala conferenze a doppia altezza, prospiciente a mezzogiorno, verso il mare, mediante ampie vetrate situate sia al primo che al secondo livello. Le vetrate al secondo livello sono protette da 61 4 RIONE CARITAʼ/4 che verrà realizzata qualche anno più tardi. Fulcro di questo insieme urbano è il monumentale Palazzo delle Poste. Posto in asse con la via Guantai nuovi, con la sua parete curva dilata lo spazio della piazza, mentre la fascia basamentale assorbe il forte dislivello con via Monteoliveto. Le architetture che fanno da quinta all’edificio postale si rapportano a quest’ultimo rispettandone non solo l’altezza ma anche alcuni temi di facciata: è sempre un alto portale a connotare le piane superfici marmoree e dovunque assenza di stucchi, di decorazioni. Molto diverso è invece il discorso per l’altra piazza del rione, quella della Carità. Qui, a fare da fondale prospettico, non è un grande edificio pubblico ma l’edifico dell’Ina, destinato ad abitazioni e uffici. Posto in posizione centrale rispetto all’invaso della piazza, si eleva, incurante del contesto, per ben undici piani ma, nonostante l’esibita monumentalità del fronte principale, non riesce a ‘ordinare’ la nuova piazza, organizzata secondo canoni di simmetria contraddetti dall’irregolarità del fronte opposto. A rompere la rigidità dell’impianto e a bilanciare il vuoto triangolare del ‘vecchio’ Largo della Carità è però la grande abside del Palazzo degli Uffici Finanziari che, allineato lungo via Diaz, risolve con un volume semicilindrico l’innesto tra le due nuove arterie che si immettono in piazza Carità. Al termine dell’asse che prolunga il Rettifilo fino a via Toledo, il Piano del 1934 prevedeva infine due edifici gemelli con soluzione angolare. Solo uno, quello oggi occupato dalla Banca Nazionale del Lavoro, sviluppa tuttavia il tema della torre d’angolo; l’altro, un edificio per abitazioni e uffici, sembra ignorare il proposito di segnalare con una ‘porta’ l’ingresso alla cittadella direzionale. 84 RIONE CARITAʼ/4 I l Palazzo delle Poste e Telegrafi è un edificio di conclamata qualità architettonica, per cui è citato nei principali manuali di storia e nelle guide di architettura moderna e contemporanea, ma ha avuto anche una notevole incidenza nella bonifica del rione negli anni Trenta. Partiti da una soluzione di concorso risolta in chiave storicista, i due architetti Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi, nel passaggio alla fase esecutiva, conferirono al progetto un carattere decisamente più moderno che ha condizionato l’immagine del nuovo quartiere ‘direzionale’. Il lotto era un lotto ‘difficile’, per l’irregolarità del perimetro, per il forte dislivello esistente tra le due estremità del fronte principale e perché confinante con due architetture antiche - il chiostro grande del convento di Sant’Anna dei Lombardi e un piccolo loggiato cinquecentesco che bisognava compenetrare nella nuova struttura. Tre diversi problemi complicati dal ruolo assegnato al grande edificio postale, collocato in posizione centrale rispetto all’invaso della nuova piazza. Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi con l’invenzione della facciata curva dilatarono lo spazio ristretto della piazza, mentre con l’inserimento della rampa gradonata, verso via Monteoliveto, ridussero la forte inclinazione del piano della piazza che avrebbe certamente compromesso la composizione del fronte principale. Interessante è il modo in cui i due architetti risolvono il rapporto con le preesistenze. Se infatti il chiostro di Monteoliveto costituisce un ‘limite’ in quanto fissa l’altezza del nuovo edificio, il portichetto partecipa invece al gioco compositivo. Il basamento del lungo fronte PALAZZO DELLE POSTE piazza Matteotti 3 1928-1936 Giuseppe Vaccaro Gino Franzi 85 1 RIONE CARITAʼ/4 RIONE CARITAʼ/4 del pianoterra gli arredi sono permanenti. Tavoli, ancora in marmo rosso, sono disposti davanti le grandi vetrate delle lunghe sale-galleria, per il telegrafo e la corrispondenza. Gli sgabelli, in nichel e cuoio rosso, erano dotati di un particolare meccanismo, purtroppo oggi non più funzionante, per cui sedendosi al tavolo si accendeva la lampada corrispondente. (P.C.) Foto d’epoca 86 su via Monteoliveto è realizzato con una pietra di colore grigio scuro, la diorite di Baveno, che, posta in opera per un’altezza pari a quella dell’antico frammento architettonico, prolunga idealmente i tre ordini di archi a tutto sesto in piperno grigio fino al fronte sulla piazza. Il disegno delle facciate rispecchia la spazialità interna: grandi aperture al pianoterra, in corrispondenza dei saloni per il pubblico; semplici finestre rettangolari ai due piani degli uffici e una striscia vetrata, in alto, per illuminare la grande sala degli apparati telegrafici, che, completamente libera di divisori, ricompone il disegno ‘a martello’ della pianta, così definito dallo stesso Vaccaro per la particolare conformazione planimetrica; da qui partivano i cavi del telegrafo che, attraverso il pilone posto al centro del portale d’ingresso, raggiungevano il sottosuolo. Il portale d’ingresso, le grandi bucature al pianoterra, le finestre e persino la lunga vetrata risultano tutti multipli e sottomultipli della griglia marmorea che, nella parte superiore, è in marmo di Vallestrona, un materiale di notevole pregio. Il rivestimento, messo in opera senza aggetti né sporgenze, risvolta ininterrotto lungo stipiti e architravi: non vi sono cornici a definire i vani né cornicioni aggettanti, solo i davanzali sporgono dal piano lapideo con il tradizionale bordo sagomato a toro. Anche la pensilina di coronamento, in alto, e il portale d’ingresso sono arretrati rispetto al filo di facciata. L’arretramento del portale, in particolare, è ottenuto con l’arrotondamento degli spigoli laterali sottolineati da un motivo a strisce. All’interno, superato l’atrio a triplice altezza, con il Monumento ai Caduti opera dello scultore Arturo Martini, vi è la Sala vaglia, organizzata intorno alla parete curva in vetrocemento che delimita la scala principale. Qui, per ridurre l’ingombro delle strutture portanti, gli architetti utilizzano due sottili colonne in ghisa che partono da un lungo tavolo ovale in marmo rosso di Monte Amiata e raggiungono la ‘brillante’ volta di copertura. Anche nelle grandi sale per il pubblico PALAZZO DELLA PROVINCIA 2 CASA DEL MUTILATO 3 piazza Matteotti 1 1934-1936 Marcello Canino Ferdinando Chiaromonte C on la variante del 1934 il lotto per il Palazzo della Provincia, inizialmente previsto nel Largo Carità, venne spostato a piazza Matteotti, all’incrocio con via Diaz in un’area di forma irregolare. L’edificio, che reinterpreta sia pure in forme semplificate la tradizionale ripartizione di facciata - basamento, piani degli uffici e piano attico con cornice di coronamento - presenta sul fronte rivolto alla piazza un portale in bronzo a tutt’altezza, con bassorilievi opera dello scultore C. De Veroli. Il portale, come di rigore negli edifici pubblici del regime, occupa tutta la facciata in travertino mentre il resto dell’edificio è rivestito in klinker giallo. All’edificio manca quella ricerca di ‘trasparenza’, di rispondenza tra interno ed esterno, che si ritraccia anche nel più moderno Palazzo delle Poste; all’interno è interessante la soluzione dell’andronepassante decentrato rispetto allo stretto cortile interno, che prosegue fino al fronte retrostante, rivolto verso il palazzo degli Uffici Finanziari. Tale passaggio è segnalato, anche da questo lato, dalla presenza del travertino che interrompe, fino alla cornice del piano attico, i filari di klinker che rivestono l’edificio e configura, ancora una volta, una sorta di grande portale. (P.C.) L’edificio, sede napoletana dell’Associazione Nazionale tra Mutilati e Invalidi di Guerra, occupa un lotto d’angolo tra via Diaz e via Guantai Nuovi. Considerata la posizione di confluenza tra due grandi arterie del quartiere, l’intenzione iniziale di Camillo Guerra era quella di coniugare il tema del via A. Diaz 58 1938-1940 Camillo Guerra 87 CHIAIA/5 prevalentemente su suoli prima occupati dalla Caserma di Cavalleria. In questo caso l’intento di creare una certa qualità urbana si traduce in una cospicua omogeneità degli interventi, con grandi blocchi scatolari a impianto ortogonale: essi appaiono, rispetto alle costruzioni di fine Ottocento e inizio Novecento, meno flessibili in relazione alle variazioni di quota del sito e alle “presenze” preesistenti. Nel linguaggio prevale una spiccata tendenza alla monumentalità e una comune aspirazione alla modernità, tradotta a seconda dei casi con toni ora più marcatamente novecentisti, ora più razionalisti. Ma, al di là degli specifici accenti, i blocchi compatti e allineati confermano quel diffuso decoro urbano acquisito dal quartiere con gli interventi dei decenni precedenti, e il nuovo rione si integra senza brusche fratture con la trama del piano ottocentesco. Con il rione San Pasquale si conclude la lunga fase della compiuta “urbanizzazione” del quartiere, ma prosegue invece quel processo di “densificazione” che in qualche misura aveva già contrassegnato il passaggio dalle previsioni di piano alle concrete attuazioni. Si tende a saturare l’area, con la progressiva rinunzia agli spazi verdi. È il caso, ad esempio, del grande blocco ad appartamenti in piazza Amedeo costruito a metà degli anni Venti su progetto di Arata: se da una parte l’edificio nel disegnare una monumentale quinta della piazza consolida quei valori “urbani” man mano affermatisi nel quartiere, dall’altra comporta la perdita dell’ampio giardino del Villino Coppola Pignatelli. Il fenomeno di densificazione, com’è noto, assume vaste proporzioni e conduce a esiti nefasti (anche se forse meno disastrosi rispetto ad altri quartieri) con la speculazione del secondo dopoguerra, e in particolare negli anni dell’Amministrazione Lauro. Un po’ dappertutto, ove ve ne sia la possibilità, nuove e voluminose costruzioni vengono realizzate sugli spazi verdi residui, o sulle aree ricavate dalla demolizione di edifici dalla più modesta volumetria: la via del Parco Margherita perde in parte il suo carattere pittoresco, e nel fervore speculativo scompaiono anche interessanti architetture di inizio secolo, come un villino progettato da Adolfo Avena. Esiste qualche raro caso (come l’edificio residenziale in via Cappella Vecchia 3, architetto Fernando De Blasio, 1958) in cui gli interventi di sostituzione mostrano un qualche interesse, ma in linea di massima i grandi blocchi in cemento armato piuttosto che affermare nuovi valori urbani, dissipano quelli consolidatisi nei decenni precedenti. In senso opposto rispetto ai processi di saturazione procede il più recente edificio segnalato, la Scuola materna in via Carlo Poerio: se è discutibile la incompleta attuazione del progetto, piuttosto difforme da quanto previsto dagli ideatori (Pica Ciamarra Associati), ritorna di attualità però il proposito di risolvere le contraddizioni del contesto all’interno del singolo intervento. 102 CHIAIA/5 CASTELLO ASELMEYER 1 PALAZZINA PARADISIELLO 2 corso Vittorio Emanuele 166 1899-1902 Lamont Young C ostruito in origine come propria residenza dall’architetto-ingegnere di origine inglese, estroso autore di vari edifici sulla collina del Parco Grifeo, il castello rappresenta uno dei più vistosi esiti di un eclettismo inteso come architettura della memoria, come deliberata riproposizione di suggestioni distanti nel tempo e nello spazio. Ma mentre le citazioni stilistiche - con motivi anglogotici, Tudor ed elisabettiani - rimandano a contesti lontani, il legame con il luogo è affermato dal felice posizionamento nella collina, ottenuto integrando il più possibile la costruzione nel sito “naturale”, del quale peraltro alcuni elementi vengono artificialmente rimodellati per accentuarne la pittoresca irregolarità. Il corpo in basso della portineria risulta oggi deturpato da incongrue sopraelevazioni. (F.M.) via del Parco Margherita 36 1907-1909 Giulio Ulisse Arata C ostruita per l’imprenditore Germano Ricciardi, la palazzina ad appartamenti costituisce un significativo episodio del liberty cittadino, del quale ripropone l’ambivalenza. Infatti, per un verso, il trattamento degli esterni manifesta raffinate citazioni riferite alla locale tradizione barocca, evidenti sia nel trattamento delle facciate con specchiature in mattoni rossi racchiuse da “lesene” in pietra artificiale grigia, sia nell’articolato disegno delle cornici delle bucature; peraltro, il tenore generale dell’apparato ornamentale rimanda all’Art Nouveau europeo, con espliciti richiami al vitalismo della natura, particolarmente evidenti nei 103 CHIAIA/5 CHIAIA/5 ferri battuti così come negli stucchi. D’altronde, la stessa ambizione di realizzare un’architettura ricca di valenze “artistiche” e coerente fin nel dettaglio più minuto, costituisce una significa testimonianza del clima liberty. Particolarmente significativa risulta l’esile ed elegante scala interna. (F.M.) 3 PALAZZINA RESIDENZIALE via del Parco Margherita 14 1909 Emanuele Rocco I l problema dell’edificazione intensiva di un ampio lotto servito da strade poste a quote sensibilmente diverse viene qui risolto con un grande blocco suddiviso in due parti, apparentemente indipendenti e ciascuna dotata di un’autonoma fisionomia. In entrambi i casi accurate decorazioni moderniste e spunti tratti dalla recente architettura viennese - e segnatamente dall’opera di Otto Wagner - si amalgamano con stilemi più tradizionali in un’intonazione monumentale, sottolineata dall’adozione di lesene giganti. Toni più tendenti al classicismo prevalgono sulla simmetrica facciata sul parco Margherita, dominata dall’asse centrale di simmetria su cui si pone l’elegante ingresso; un carattere più neobarocco assume invece il settore su via San Pasquale, dove invece è l’elemento d’angolo con l’ampio portone (ingresso al Teatro Sancarluccio) ad essere evidenziato. (F.M.) L A l contrario della maggior parte degli esempi cittadini di liberty, nei quali l’aspirazione a una certa vivacità compositiva viene per lo più concentrata in esuberanti apparati decorativi al di sopra di banali blocchi parallelepipedi, questa palazzina ad appartamenti propone un originale impianto planimetrico, movimentato dal profilo a spezzata del lato verso la strada. L’intonazione Art Nouveau è d’altronde rafforzata dagli elementi decorativi in stucco sui prospetti, con motivi floreali e fitomorfi che si combinano con bassorilievi di gusto più classico, e dall’elegante pensilina sul corpo emergente d’ingresso. (F.M.) 4 PALAZZO ACQUAVIVA COPPOLA via del Parco Margherita 12 via San Pasquale 48 1912 Augusto Acquaviva Coppola 104 a costruzione, originariamente destinata ad albergo, rielabora in un linguaggio piuttosto originale alcuni caratteri tipici dei luoghi di svago e di villeggiatura fin de siècle, dalla vivacità della composizione planivolumetrica all’accuratezza del partito decorativo. Tra suggestioni orientaliste e aperture al linguaggio Art Nouveau piuttosto precoci per l’ambiente napoletano, gli spunti eterogenei si amalgamano in un linguaggio composito, caratterizzato peraltro da contrasti cromatici sottolineati dall’accurata definizione di dettagli artigianali in mattone, in maiolica, in ferro. Il tema della varietà, evidente nei particolari ornamentali, è presente anche nel movimentato gioco dei volumi, appropriato al contesto urbano, e accentuato dalla lieve dissimmetria prodottasi con la mancata realizzazione del piano attico sul lato orientale, previsto invece nel progetto originale. Sebbene, soprattutto negli ambienti interni, siano andati perduti alcuni dei più caratteristici elementi decorativi, resta una godibilissima articolazione degli esterni, apprezzabile anche per il felice posizionamento nella pittoresca quinta “aperta” di piazza Amedeo. (F.M.) I l massiccio e tradizionale blocco per appartamenti con corti interne testimonia di una fase in cui, definitivamente le suggestioni stilistiche della Belle époque, si ripiega sui materiali della tradizione, senza rinunciare però né a una certa inventiva nel rielaborare gli stili storici, in questo caso prevalentemente il barocco, né a una costante cura per il dettaglio decorativo. La caratteristica principale di questo edificio è data dalla capacità di configurare una quinta monumentale, definendo con coerenza GRAND HOTEL EDEN 5 PALAZZO COTTRAU RICCIARDI 6 via del Parco Margherita 1 1899-1901 Angelo Trevisan piazza Amedeo 8 1925-1926 Giulio Ulisse Arata 105 POSILLIPO/6 Pozzuoli la sua interpretazione dell’atrio corte attingerà livelli di notevole bellezza. La stessa bellezza che in altri contesti e con differenti linguaggi si ritrova nello spazio centrale coperto della Villa a Trentaremi di Massimo Nunziata del 1954, in quello porticato del Centro Antitubercolare del 1940 alla confluenza tra le vie Manzoni e Padula (unico episodio compositivamente interessante in un complesso edilizio invero modesto) ed in quello a corte semiaperta della Casa plurifamiliare di Massimo Pica Ciamarra del 1970 in via Petrarca. Si chiude qui il rapido baedeker dell’architettura moderna a Posillipo. Certo, non v’è moderno che possa competere con Donn’Anna e Fanzago, non v’è giardino sia che si tratti del piccolo e rarefatto giardino estivo di Villa Oro o dei tetti giardino cari a Davide Pacanowski che possa sostenere il confronto con i grandi giardini e parchi delle belle dimore allineate sulla costa e sovente annunziate da sobri portali lungo la via Posillipo. Insomma, che qualcosa o molto nel Novecento sia cambiato nella società, nel costume, nell’economia, nel regime di proprietà dei suoli, nell’architettura e ancor più in generale nel gusto dell’abitare lo si avverte massimamente proprio a Posillipo ove la prevalenza della tipologia della villa unifamiliare esalta tutte queste differenze facendo apparire il moderno sempre disadorno e dimesso, soprattutto nella sua declinazione razional-funzionalista. Tale sensazione è diffusa ma non risponde al vero perché, soprattutto nelle prime testimonianze edilizie ispirate al linguaggio razionalista, i pionieri del moderno affidavano al bianco volume disadorno un messaggio etico ancor prima che estetico. Il nemico da combattere, per così dire, era la paccottiglia storicista sotto la cui ridondanza decorativa si nascondeva una crisi di valori e di comunicazione. In tale direzione vanno letti e valutati i primi bianchi volumi allineati sulle balze di Posillipo a partire dagli anni Trenta. Un itinerario che voglia concretamente ripercorrere le tappe dell’architettura moderna a Posillipo principia sempre da Mergellina, atrio della collina, e si conclude sempre al Capo. Da qui, volgendo lo sguardo sulla costa a occidente ci si rende conto che le antiche mitologie di Posillipo e dei Campi Flegrei hanno ceduto il passo alla proterva mitologia della modernità industriale. Oggi però questa presenta i segni della disfatta. Lo sterminato opificio sembra una Pompei di metallo. POSILLIPO/6 RIONE DUCA DI GENOVA piazza S. Luigi 1932-1935 Istituto Case Popolari L a compatta cortina di edifici lungo via Posillipo sembra che all’improvviso si arretri e compare una sorta di cavea. Siamo, invece, al centro di una vecchia cava di tufo sistemata scenograficamente con la costruzione di tre edifici alti sette piani. Quello centrale è incassato parzialmente nel retrostante costone di tufo e presenta un ingresso posto al termine di una monumentale gradinata. Bella piazza-belvedere affacciata sul golfo di Napoli, gli edifici sono realizzati da un ICP ancora in grado di determinare un disegno della città attraverso i suoi interventi. (M.D.M.) Foto d’epoca MAUSOLEO SCHILIZZI 2 VILLA A TRENTAREMI 3 via Posillipo 155 1881-1920 Alfonso e Camillo Guerra L’ eclettico edificio progettato da Alfonso Guerra fino al 1889 fu terminato soltanto nel 1920 dal figlio Camillo, quando il Comune di Napoli acquistò il complesso per raccogliervi le salme dei caduti di guerra. L’intento celebrativo della grande ‘cappella funebre’ è espresso da un linguaggio eclettico, per così dire ‘neoegizio’. La costruzione è composta da un grande basamento, dalla vera e propria cella con quattro grandi colonne nel pronao. Al di sopra, la piccola torre con cupola è caratterizzata da pseudo-cariatidi. (M.D.M.) L a villa sorge sulla sommità del promontorio di Trentaremi e si affaccia su una delle baie più belle e suggestive di Capo Posillipo, proprio di fronte all’isolotto della Gaiola. È completamente immersa nel verde che la rende pressoché invisibile sia dalla costa che dall’alto. Raggiungerla dalla discesa Gaiola è un viaggio nella natura e nella storia della collina. È stata ricostruita negli anni Cinquanta nello stesso posto in cui sorgeva l’originaria costruzione dell’ambasciatore inglese a Napoli, distrutta dai 120 1 discesa Gaiola 37 1954 Massimo Nunziata 121 POSILLIPO/6 POSILLIPO/6 maioliche delle cimase delle finestre e delle fasce marcapiano, nei mensoloni in bronzo che sorreggono il cornicione. Questa corrispondenza tra il carattere della decorazione e la condizione sociale ed economica della committenza è una delle caratteristiche dello stile liberty adottato dalla borghesia imprenditoriale e utilizzato per comunicare gli ottimistici progetti di questo ceto emergente nell’epoca a cavallo tra il XIX e il XX secolo. (G.Fu.) bombardamenti alla fine della Seconda guerra mondiale. È articolata con forme e volumi semplici sobriamente rifiniti, senza particolari virtuosismi formali. Una misura esemplare più volte rimarcata dalla critica. All’interno le camere si distribuiscono intorno a uno spazio centrale a tripla altezza e sono raggiungibili con una scala in legno illuminata dall’alto da un lucernario a torretta. (G.Fu.) 4 QUARTIERE SPERIMENTALE TORRE RANIERI 5 via Manzoni via Torre Ranieri 1945-1955 Luigi Cosenza Franceso Della Sala Adriano Galli VILLA PAPPONE salita del Casale di Posillipo 5 1912 Gregorio Botta Foto d’epoca U L a villa è situata in una stradina secondaria della collina di Posillipo con la facciata liberty sottolineata da una bella pensilina in ferro e vetri policromi sostenuta con grifoni di bronzo. Il villino plurifamiliare è una sorta di ‘specchio’ della personalità del committente, il commendator Pappone, commerciante di fiori. Difatti l’ornamento della facciata è tutto giocato su motivi floreali leggibili nelle balaustre in ferro battuto, nelle 122 n sogno “socialista”: un quartiere popolare nella borghese Posillipo, un laboratorio dal vivo che sperimenta soluzioni tecniche innovative per realizzare quartieri pubblici di case popolari. La realtà è andata diversamente, ma il valore “eroico” di questo gruppo di progettisti (appartenenti alla Fondazione Politecnica dell’Università di Napoli) che si cimenta con l’abbattimento dei costi, attraverso processi di prefabbricazione e di industrializzazione, rinunciando alla ricerca estetica e snobbando il subdolo panorama, è memoria storica che appartiene alle battaglie dell’architettura sociale tese a dare una casa a tutti. 16 palazzine tradizionali con due alloggi per piano, ordinatamente in fila e disposte secondo la migliore insolazione (nord-ovest, sud-est) sperimentano altrettanti sistemi costruttivi verticali e orizzontali. Solo in qualche dettaglio, una balconata, un muro, sfuggiti casualmente di mano, si riconosce la bellezza di una soluzione architettonica semplice e necessaria. (M.D.M.) I l progetto prevedeva la costruzione di otto abitazioni unifamiliari intorno a un preesistente albero di noce, oggi trasformate in parte in studio e laboratorio di progettazione. La villa ruota intorno a una piazzetta-corte di progetto e ricalca VILLA BIANCA via Petrarca 38 1965-1970 Massimo Pica Ciamarra 123 6 FUORIGROTTA/7 Vittorio Silvestrini, la Città della Scienza, con il suo annuale appuntamento di Futuro Remoto, il museo, l’incubatore di imprese e il centro congressi ricavato sempre in antichi capannoni industriali dalla sensibile riconversione firmata da Pica Ciamarra Associati. Intanto procede la bonifica che dovrebbe includere lo smantellamento della colmata col ripristino della spiaggia e la creazione del porto turistico. Sono in fase di progettazione ed esecuzione impianti sportivi e per il benessere, un vasto parco (Francesco Cellini) con relitti di archeologia industriale dove troveranno posto studi di registrazione audiovisiva, acquario, completato da polo tecnologico e alberghi, per diventare la sede principale del Forum delle culture nel 2013. Frattanto la passeggiata sul recuperato pontile ci apre nuove prospettive sul paesaggio flegreo. Per molti napoletani Fuorigrotta si identifica con lo sport-spettacolo del gioco del calcio. Ma il quartiere era ricco di attrezzature sportive già da prima degli anni Sessanta, quando superava il terzo di tutti gli impianti cittadini, con lo Sferisterio, la Piscina scoperta (1940) della Mostra e la Scuola di equitazione (1939). Dopo, negli anni Settanta, la Piscina Scandone e il Palazzetto dello Sport formarono un'ulteriore polarità all'estremo del viale dei Giochi del Mediterraneo, a fianco del Cinodromo, che si prolunga fino all'Ippodromo di Agnano. Lo Zoo e il parco di divertimenti di Edenlandia completano le attrezzature ricreative di interesse cittadino. Alle attività che richiamano flussi di visitatori e che danno un apporto alla dinamica economica del quartiere si contrappongono quelle attività recluse che occupano talvolta porzioni anche rilevanti del territorio e lo rendono inaccessibile se non al gruppo ristretto dei titolari. Tra queste possiamo annoverare le aree militari che sono cresciute intorno al Tirassegno, la base aeronautica e il carcere di Nisida - tra le due guerre sede dell'Accademia Aeronautica poi spostata a Pozzuoli - e la base della Nato al Villaggio Ciano di Bagnoli - trasferita a Gricignano. Contrariamente alla teoria urbanistica moderna monofunzionale, si è formata una parte di città ricca e articolata, scampata allo stigma di "periferia", in cui si riconosce il consolidamento di una struttura commerciale con la massima concentrazione, nella zona occidentale, di negozi di vasta portata. Così non possiamo più identificare Fuorigrotta come una delle porte di ingresso a Napoli, perché la sua capacità attrattiva su tutta la zona occidentale da Bagnoli, a Pianura, a Soccavo confermata dall'elevata mobilità interna - la consolida piuttosto come una nuova centralità complementare e autonoma: il cuore di Napoli moderna. 140 FUORIGROTTA/7 STAZIONE DELLA CUMANA 1 piazzale Tecchio 1939-1940 Frediano Frediani ristrutturazione 1990 Nicola Pagliara L e due stazioni della Cumana progettate da Frediano Frediani sul finire degli anni Trenta, sono episodi di grande qualità architettonica e costituiscono il raffinato segno di una cultura modernista capace di mantenere un forte collegamento con i modelli della classicità, in particolare nelle declinazioni che appartengono alla tradizione locale. La stazione di piazzale Tecchio rappresenta un polo nel grande vuoto monumentale che segnava l’ingresso della Mostra delle Terre italiane d’Oltremare: da ciò deriva la scelta di una geometria centrale come quella del cerchio che rimanda alle memorie dell’architettura greco-romana dei templi rotondi, producendo forti collegamenti con le immagini dell’archeologia del territorio flegreo (i templi di Serapide, di Venere o di Diana). La geometria in pianta dei cerchi concentrici si traduce in alzato in un raffinato innesto di cilindri, esaltato dall’esile griglia di pilotis e dalle ampie finestrature a tutt’altezza che attraversano l’edificio fino all’atrio. L’invaso centrale è caratterizzato da un unico pilastro centrale da cui partono le travi radiali che sorreggono la copertura in vetrocemento, come piazza coperta illuminata da luce zenitale. Il restauro del ‘90 ha esaltato gli elementi strutturali dell’edificio, aggiungendo dettagli e impreziosendo i materiali - come la base dei pilastri, gli infissi e i rivestimenti lapidei. (M.R.) FACOLTAʼ DI INGEGNERIA viale Augusto, piazzale Tecchio 1955-1980 Luigi Cosenza, Michele Pagano, Marcello Picone, Giorgio Savastano, Luigi Tocchetti, Mario Taddei, Ottavio Vocca, Rosario De Stefano 141 2 FUORIGROTTA/7 FUORIGROTTA/7 N el complesso di piazzale Tecchio la zona basamentale è nettamente distinta dalla lamina degli istituti. La prima è organizzata intorno al principio del “chiostro”, esplicitamente assunta dal progettista, Luigi Cosenza, come luogo ideale della didattica, un elemento che persiste nelle diverse alternative di progetto, fin dalla soluzione a padiglione che configurava un vero e proprio campus. Il rivestimento delle pareti con lavagne rende ancora più esplicito lo scopo del porticato. Le aule di disegno si aprono a nord con frangisole. Le pareti meridionali chiuse sono un’occasione di sperimentazione della “unità delle arti”, teorizzata da Cosenza. Sono ricoperte da mosaici di Domenico Spinosa. Sulla facciata principale i mosaici di Paolo Ricci decorano l’aula magna e la biblioteca (deposito dei libri). La composizione analitica degli elementi mina ogni solidificazione in volumi, facendovi immediatamente emergere i piani costituenti, librati tra i pilastri tondi, separati da vetrate, o identificati in sottili lamine verticali. Questa tensione dinamica trova il suo culmine nell’impressione empatica di peso suggerita dall’innesto della lamina sul basamento che pare determinare una depressione con relativo rigonfiamento verso l’aula magna e le aule da disegno, sul fronte laterale di viale Augusto. Questa vibrazione espressionistica di un linguaggio razionalista si arricchisce ulteriormente del colorismo organico dell’azzurro, contrastante con i toni delle terre. L’interno fluido e continuo, non è modulato dalle chiusure, ma dalla distribuzione della luminosità naturale. Vanno segnalati, oltre agli ambienti già citati, il vasto atrio dei passi perduti, con le scale metalliche aperte; la sala del consiglio; gli ascensori da cui godere il panorama della Mostra. (F.D.M.) 3 spazio di circolazione, faceva sviluppare gli alloggi al piano superiore e inferiore a quello d’ingresso. Ma anche le case in linea realizzate hanno importanti innovazioni. Luigi Cosenza, che ha dedicato attenti studi sull’abitazione nella sua evoluzione moderna e nella tradizione campana, ribalta lo sviluppo della scala in modo da avere lo smonto in facciata ed evitare la finestra all’altezza di metà piano. In questo modo, il passaggio dall’esterno all’interno della casa avviene attraverso spazi più articolati, scoperti, coperti, aperti, semichiusi, chiusi. Inoltre, la loggia di tradizione rurale è affrancata dalla servitù di passaggio. Caratterizzano le facciate i frangisole metallici delle scale e quelli in cemento vibrato, che nascondono i terrazzini dei servizi. Lungo il viale l’allineamento è assicurato da un porticato con un piano di abitazioni. Questa facciata esposta a nord, dove non sarebbe consigliabile realizzare affacci infatti, è la testata opposta che si apre con balconi si propone, comunque, di disegnare lo spazio urbano con i terrazzini d’angolo e le finestre a nastro. (F.D.M.) PIAZZALE TECCHIO 1988-1990 Pica Ciamarra Associati CASE POPOLARI PER SENZATETTO viale Augusto 1947-1951 Luigi Cosenza Carlo Coen P I l progetto originario prevedeva di occupare tutto l’isolato fino a piazzale Tecchio, includendo il lotto della Facoltà di Ingegneria. Sulla piazza dovevano essere costruite due lame a ballatoio dalla pianta innovativa che, per evitare l’affaccio su questo 142 rogettato alla fine degli anni Trenta da Marcello Canino, piazzale Tecchio si proponeva come porta della città dall’area flegrea e baricentro di importanti poli di comunicazione, come le stazioni FS, Metropolitana e Cumana. Oggi rappresenta un ambito urbano che collega funzioni attrattive di grande importanza come la Mostra d’Oltremare, lo Stadio S. Paolo, il Politecnico, il Polo tecnologico CNR, l’Auditorium Rai. Su quel primo progetto, che ripensava la piazza in maniera unitaria, si sono sovrapposti negli anni una serie di innesti che ne hanno frammentato lo spazio e modificato il sistema della mobilità, sia carrabile che pedonale. Il progetto di Pica Ciamarra Associati, ri-articola la parte nord del piazzale Tecchio e si propone di tradurre in forma urbana il complesso sistema di relazioni di cui è nodo: così si 143 4 MOSTRA DʼOLTREMARE/8 vicissitudini tese a porre riparo alla grave situazione debitoria dell’Ente. Nei quarant’anni successivi la progressiva cessione delle aree di bordo, le requisizioni post terremoto, la triste vicenda dei mondiali del 1990, l’incuria, la cattiva gestione hanno prodotto danni sicuramente maggiori di quelli causati dall’ultima guerra. Basti pensare alla demolizione di architetture quali le Serre Tropicali di Carlo Cocchia o a quella più recente dell’Arena Flegrea di Giulio De Luca, una delle più belle opere realizzate a Napoli durante il Ventennio, peraltro avallata dallo stesso De Luca autore della nuova Arena. Per non parlare del proliferare di recinti, superfetazioni o della costruzione di nuovi padiglioni del tutto ignari, nelle proporzioni come nei rapporti compositivi, delle sottili e complesse regole urbane insite nell’impianto del parco che aspirava a divenire un giorno il centro rappresentativo del quartiere flegreo. Per finire, sempre in occasione dei mondiali del 1990, i lavori di “ristrutturazione artistica” di piazzale Tecchio hanno alterato irreversibilmente i presupposti di questo grande progetto fondativo, ossia lo stretto originario rapporto della Mostra con il viale Augusto, a suo tempo concepito come “pronao monumentale” al complesso espositivo. Questo sciagurato processo di depauperamento è stato arrestato miracolosamente alla fine degli anni Novanta, ancora una volta grazie alle capacità e alla dedizione di “singoli” (il presidente Raffele Cercola e l’architetto Marisa Zuccaro direttore tecnico-architettonico della Mostra d’Oltremare). Gradualmente l’affascinante e per certi versi misterioso frammento urbano della Mostra ha ripreso a raccontare il mito esotico e moderno all’origine del quartiere flegreo. L’intenso lavorio condotto all’interno del recinto man mano ha puntato più in alto, ben oltre gli obiettivi di un semplice recupero, e oggi la scommessa, formalizzata nel PUA approvato nel 2005, sembra finalmente porsi al livello della posta in gioco: un parco congressuale, culturale, fieristico e del tempo libero che, recuperando lo splendore e la dimensione originaria della Triennale del 1940, divenga un fondamentale riferimento per Napoli e il Mediterraneo. Chissà, forse giungerà anche il momento in cui la città sarà finalmente in grado di raccogliere quanto suggerì a suo tempo Carlo Cocchia: “Riconosciamo questa straordinaria circostanza: il centro di un quartiere di espansione è stato costruito prima del quartiere stesso. Sfruttiamo questa fortunata occasione convertendo un’inutile mostra triennale nel cuore di un nucleo cittadino già pulsante di iniziative”. MOSTRA DʼOLTREMARE/8 PALAZZO CANINO EX T estata d’angolo del fronte principale del complesso fieristico, l’edificio si configura come un blocco compatto a tre livelli in muratura di tufo rivestita in travertino. Gli ampi “tagli” verticali in corrispondenza degli androni accolgono colonne circolari con trabeazioni proprie che sul fronte principale acquistano un andamento semi-ellittico sposandosi con la bassa e ampia gradonata circolare che disegna il parterre antistante. Originariamente articolato sulla successione planimetrica di tre corti, vede i locali rappresentativi del corpo principale, e in particolare il “vestibolo” e il “salone d’onore”, tutti rivolti verso il “cortile d’onore” che con i suoi colonnati laterali e la vasca rettangolare richiama esplicitamente i caratteri dell’atrio a impluvium della Domus romana. Il “salone d’onore”, così come il vestibolo, presenta altezza doppia; le pareti longitudinali sono conformate da una successione di nicchie; quelle terminali sono decorate con affreschi a tutta parete, opera di Emilio Notte e Franco Girosi. Il palazzo, nello scenario di recupero definito dal PUA, è stato destinato ad albergo ed è ormai prossimo l’inizio dei lavori finalizzati alla sua riconversione. (L.P.) Restauro e rifunzionalizzazione come albergo (in corso) L. Casalini TORRE DELLE NAZIONI TORRE DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA 1940 Venturino Ventura EX R isultato di un concorso nazionale ad ampia partecipazione, la torre si configura come un oggetto parallelepipedo a base quadrata (24.50m), piuttosto tozzo (h=46m), appoggiato su di un alto basamento in laterizio (3.20m), di cui due fronti “pieni” 162 1 PALAZZO DEGLI UFFICI 1940 Marcello Canino Riedificazione del corpo posteriore 1952 Delia Maione 163 2 MOSTRA DʼOLTREMARE/8 rivestiti in travertino sono orientati rispetto a quella che era concepita come la nuova direttrice fondativa della piana, mentre vetrate e brise soleil definiscono l’effetto di trasparenza tra il piazzale e la Fontana. Nella versione del 1940 la fascia basamentale era decorata in gesso e cartone con bassorilievi che incorniciavano la statua della Vittoria Fascista, opera di Pasquale Monaco e Vincenzo Meconio. Il volume interno si configura, dal primo piano in poi, come un unico ambiente a sviluppo verticale: lo schema tipologico classico “a torre” con il blocco centrale degli ascensori risulta qui “spaccato” a metà e articolato su livelli sfalsati mediante due sottostrutture in c.a di grande impegno e arditezza per l’epoca, rese otticamente indipendenti dall’involucro esterno. Si realizzava in tal modo una sorta di macchina della visione confluente mediante il sistema di scaleponte, verso il terrazzo-belvedere, che consentiva di gustare a pieno lo spettacolo fantasmagorico di luci e suoni offerto dalle Fontane dell’Esedra. Attualmente inagibile, la torre è stata destinata dal PUA a Museo ed esposizioni ed è prossimo l’inizio dei lavori di restauro (Progetto Corvino+Multari). (L.P.) 3 TEATRO MEDITERRANEO MOSTRA DʼOLTREMARE/8 suggestivo “Salone dei fiori” (13x30 m, alto 10 m) corrispondente in facciata al loggiato principale. La sala del Teatro Mediterraneo, progettata per ben due volte da Luigi Piccinato, è conformata da un’unica platea che termina alla quota di imposta di quella che era la balconata presente nella versione originaria del 1940; il boccascena è delimitato da torri mobili che consentono di regolarne l’ampiezza fino a un massimo di 20 m. Attualmente è ormai in fase di completamento il restauro di questa avanguardistica macchina scenica che riporterà nel pieno delle sue potenzialità il teatro-auditorium. Il palazzo già dispone di sale convegnistiche di varie dimensioni e ospita gli uffici della Mostra. (L.P.) EX PALAZZO DELLʼARTE 1940 Nino Barillà Vincenzo Gentile Filippo Mellia Giuseppe Sambito Interno del Teatro 1940 e 1952 Luigi Piccinato Restauro delle opere artistiche del Palazzo,1999, Sovrintendenza BB.AA, Ch. Gambardella Recupero del palcoscenico e dei camerini, 2008-2009 D.T.A./MdO diretto da M. Zuccaro 164 Foyer del teatro RISTORANTE CON PISCINA 1940 e 1952 (ristrutturazione) Carlo Cocchia Recupero e adeguamento funzionale della piscina, 2004, Studio Pica Ciamarra Associati R isultato di un concorso nazionale che aveva visto il confronto serrato tra impostazioni linguistiche e architettoniche fortemente differenziate, il palazzo si caratterizza accademicamente come fondale scenico del piazzale principale: una cornice in travertino inquadra il grande loggiato neoclassico con le sue quattordici colonne d’ordine gigante e la parete interna interamente affrescata, opera di Chiancone e Barillà; al di sotto, un’ampia scalea marmorea conduce ai varchi del portico d’ingresso ritagliati nella scura fascia basamentale in serpentino. Conformato tipologicamente da una planimetria a T derivante dalla giustapposizione del Teatro al Palazzo dell’Arte, l’interno si sviluppa intorno all’elegante atrio di ingresso di 800 mq, pavimentato in marmo verde serpentino e articolato su due livelli; frontalmente una doppia fila di pilastri rivestiti in marmo calacatta delimitano l’ampia scalea che conduce al ridotto e alla sala del teatro e, al di sopra, al ridotto superiore e al bar che a sua volta introduce al grande salone dei congressi, il I l disegno di piano della Mostra vincolava l’andamento dell’angolo dell’edificio verso la Fontana come una delle due testate (insieme al padiglione della Banca d’Italia) che segnavano l’ingresso al “Parco dell’Esedra”. Di qui la giustificazione della dissimetria planimetrica dell’impianto a T generato dall’innesto della piscina nel corpo ristorante. La soluzione compositiva e rappresentativa di quest’ala di minori dimensioni fu affidata alla citazione della rampa lecorbusieriana che conduce al piano superiore dell’edificio e al terrazzo di copertura. La rampa era originariamente configurata come corpo autonomo a tre livelli. Nella ristrutturazione del 1952, opera dello stesso Cocchia, la rampa acquistò l’attuale senso di continuità formale con i loggiati nella configurazione asimmetrica della facciata principale, accentuandone l’apertura fino a tutta la lunghezza Restauro del ristorante, in corso, D.T.A./MdO diretto da M. Zuccaro Foto d’epoca 165 4 VOMERO/9 VOMERO/9 EDIFICIO RESIDENZIALE 1 VILLA LORELEY 2 via Lordi 6 piazza Fuga 1927-1928 Adolfo Avena La Tangenziale da via Cilea le case, impongono bruschi salti di scala dimensionale al vissuto urbano. Queste prospettive fatte di visuali panoramiche (particolarmente nei tratti ArenellaCapodimonte-via Cilea), di aperture rapide e improvvise sulle residue bellezze del territorio verso i Campi Flegrei, si interrompono con la stessa subitaneità, in corrispondenza degli innesti nel purgatorio urbano di via Cilea, dell’Arenella, dei Camaldoli. Con la realizzazione della metropolitana, si può dire che è stato definitivamente trasformato l’ambiente di un tempo, sia nel materiale impegno di ogni spazio utile, anche sotterraneo, sia nel totale stravolgimento dei ritmi di percorrenza e di uso del territorio. Rimangono, a residua testimonianza, pochi, casuali frammenti, quali alcuni elementi dell’antico villaggio di Antignano, o, accanto all'inizio della discesa del Petraio, la Villa Giannone, in via Annibale Caccavello e le stradine tra il muro di tufo che recinge Castel S. Elmo e il giardino di Villa Fermariello, elegante costruzione in stile neorinascimentale. Alcuni palazzi e casolari di un tempo in calata S. Francesco, in via Belvedere, in vico Acitillo, nella maggior parte dei casi completamente decontestualizzati, sembrano rimanere solo per dar conto del tempo trascorso. 182 S i tratta dell'ultima opera di Avena, realizzata in occasione dell'incarico di sistemazione della piazza antistante la Funicolare centrale, ricevuto da Gustavo Giovannoni, che da poco era stato nominato Alto Commissario della Provincia di Napoli. L'architetto ristruttura la villa detta “Palazzolo”, conservando il portale settecentesco e rifacendosi nello stile a quel periodo. Nel prospetto su via Lordi si rifà a un repertorio affine al gusto tedesco e olandese, attraverso una raffinata stilizzazione degli elementi architettonici. (U.C.) via Toma 14 1912 Adolfo Avena S ituata in un tornante della strada, I’edificio sfrutta l’orografia del terreno, elevandosi su tre piani verso l’esterno e presentando un quarto livello sul lato del giardino. Nella facciata, svincolata dalla configurazione planimetrica secondo il gusto anglosassone, sono evidenti i richiami al liberty. Il progetto è caratterizzato da un notevole movimento chiaroscurale, con un elemento di grande interesse costituito dalla veranda angolare che, come rileva il De Fusco, “rappresenta uno svuotamento del volume edilizio compensato dal ritmo grafico degli archi che è strettamente fuso al motivo ferreo della balconata di coronamento”. (U.C.) 183 VOMERO/9 3 VOMERO/9 PALAZZINA RUSSO ERMOLLI rispetto alla strada e degradante, sul lato opposto verso il panorama. I prospetti sono contrassegnati da un sobrio graficismo, determinato dall'incrocio di rilievi orizzontali e fasce verticali che partono dal coronamento superiore del corpo di fabbrica. (U.C.) via Palizzi 50 1915-1918 Stanislao Sorrentino VILLA CATELLO-PICCOLI 5 PALAZZINA via Morghen 37 1935-1937 Gino Avena 6 via Cimarosa 70 1918 Adolfo Avena S i eleva con un massiccio corpo a sei piani, la cui superficie è, tuttavia, mossa da una sorta di configurazione ondulata, condotta in verticale su tutta l’altezza, che evita il volume bloccato, conferendo all'insieme un aspetto organico. La superficie esterna è rivestita da un piatto bugnato, interrotto, in corrispondenza di ogni piano, da larghe fasce chiare con motivi a riquadri. Il corpo di fabbrica è definito superiormente da un massiccio coronamento orizzontale, aggettante con un profilo a “toro”, frastagliato superiormente da elementi verticali disposti a costituire una sorta di discontinua merlatura, unificata inferiormente da un fascione decorato con motivi floreali. Altri motivi decorativi naturalistici animano il prospetto sul lato d’ingresso, contribuendo ad impreziosire l'aspetto dell'edificio. (U.C.) 4 R icavata dalla ristrutturazione di una preesistente costruzione, “con poche demolizioni si ottenne una disposizione organica tra stanze che difettavano anche di luce diretta”, secondo I’anonima, coeva descrizione dell’“Architettura Italiana”. La costruzione rimanda, nell’aspetto esteriore contrassegnato dalle bugne in pietra, a un piccolo fortilizio, con motivi catalano-durazzeschi nel balcone prospettante sull’emiciclo della Floridiana o in quello in pietra e ferro su via Cimarosa o, ancora, nelle decorazioni a rilievo sul portale d'ingresso. (U.C.) VILLA DE CRISTOFORO via Palizzi 39 1912-1914 Michele Platania E R ealizzata sui modelli di un Mackintosh o di un Hoffmann, presenta un ingombro volumetrico modesto con un corpo a due piani, a L, arretrato 184 dificio di un certo impegno progettuale per una moderna committenza borghese con forte volontà di rappresentazione. In un piccolo lotto il progettista realizza un edificio con pianta a T, con scala centrale che dà accesso a quattro alloggi per piano. L’accesso all’edificio, che avviene dal giardino, consente di eliminare i vincoli di passaggio 185 CENTRO DIREZIONALE/10 (Lorenzo Monardo, 1987/1991), sono state realizzate con il medesimo tipo edilizio. Ruotate di 45° rispetto alle ortogonalità prevalenti del Centro, le torri si sviluppano per 22 piani fuori terra, il pianterreno e i due piani interrati sono destinati a garage e locali tecnici. Il mancato completamento dell’Asse sportivo e dei collegamenti contribuisce in maniera determinante all’insuccesso del Centro Direzionale di Napoli, ma non ne rappresenta l’unica causa. Se l’obiettivo di Tange era “un centro amministrativo, di affari e residenziale nel suo insieme unitario, con funzioni interrelantisi tra loro”, stupiscono alcune “leggerezze” progettuali, frutto di un intervento standardizzato e decisamente poco consono alla fama del maestro nipponico. Prima fra tutte l’orientamento dell’Asse Verde che, per pochi gradi, rinuncia allo straordinario fondale naturale del Vesuvio, perdendosi nell’anonimato del vuoto. Anche la rivisitazione dell’idea di “spazi mediterranei” quali piazze e portici non appare felicemente risolta. Piazze sconfinate si succedono a rue corridor dove l’uomo e l’edificio divengono casuali protagonisti di rapsodici cambiamenti di scala. Non convince neanche la scelta del curtain wall come legante dell’intervento e garanzia di modernità. Tange decide di ignorare la tradizione architettonica del luogo all’insegna di una sperimentazione che ormai non ha più nulla da sperimentare - i grattacieli in curtain wall risalgono agli anni Cinquanta - spacciando per avanguardia un linguaggio che già di fatto apparteneva alla retroguardia. La superficie riflettente non ha garantito né l’uniformità architettonica dell’insieme, né l’immagine moderna e futuribile della “nuova Napoli”. 202 CENTRO DIREZIONALE/10 SEDE ENEL 1 SEDE DELLʼOLIVETTI 1987-1988 Renzo Piano 2 1986-1995 Giulio De Luca Renato Avolio De Martino Massimo Pica Ciamarra G li edifici prospettanti sull’Asse Verde sono destinati al terziario e alla direzionalità con una forte presenza di attività commerciali ai piani terra, lungo i porticati e le gallerie interne. La destinazione d’uso rende ancora più esplicita la valenza rappresentativa di quest’asse che si raccorda al Corso Malta mediante le due Torri gemelle dell’Enel, una sorta di gigantesco portale d’ingresso al Centro voluto da Tange. Ma la forte identità tecnologica delle torri, di cui è stato invertito l’orientamento, rende ancora più tangibile la cesura tra il tessuto urbano e il nuovo complesso, finendo, di questo, a segnalarne il confine più che l’ingresso. Tuttavia le torri presentano non pochi motivi di interesse. Il sistema costruttivo è basato sui due grossi pilastri angolari in cemento, che contengono le scale. Su di essi è stato issato il grande travone di collegamento (alto 7 metri), da cui sono stati progressivamente issati e sospesi i solai dei vari piani (la parte in vetro specchiato). Gli ascensori a vista percorrono come capsule le altre facciate. I basamenti (contenenti funzioni collettive) radicano a terra le torri. (A.C.) 203 CENTRO DIREZIONALE/10 L’ edificio presenta una sorta di “parete ventilata” realizzata con elementi e materiali tradizionali. Combinati al nitido telaio in cemento armato, troviamo nella facciata esterna elementi dalla marcata valenza estetica, come la pensilina con pannelli curvati, i brise-soleil, il parapetto e le tende, che, nella loro semplicità, tradiscono l’attenzione del celebre architetto del Centre Pompidou verso i dettagli costruttivi. Gli uffici sono dislocati intorno alla fascia perimetrale esterna del piano terra, mentre il secondo piano è dedicato agli spazi espositivi. Piano rinuncia qui a soluzioni enfatiche a favore di una chiarezza espressiva e distributiva che determina il carattere di elegante nitore dell’edificio. (A.C.) 3 CENTRO DIREZIONALE/10 nostalgica percorre i due edifici, nelle allusioni egizie dei pannelli di rivestimento, e nel ponte di collegamento, che rievoca immagini da vagone ferroviario fine Ottocento e “scuola viennese”. La stessa sensibilità decorativa traspare anche dall’altro edificio di Pagliara, quello dell’Edilres, ubicato di fronte alle Torri del Banco di Napoli. (A.C.) SEDE IMI 4 TORRI GEMELLE DEL CNR 5 1984-1992 Camillo Gubitosi Alberto Izzo TORRI DEL BANCO DI NAPOLI 1987-1993 Nicola Pagliara L L e torri sono collegate a quota 18,63 metri da un ponte in acciaio a doppio livello che connette le funzioni distribuite nei due edifici. L’impostazione progettuale è volta alla rispondenza forma/contenuto e si estrinseca attraverso l’applicazione degli schemi funzionali tradizionali. Particolarmente influenti in sede progettuale si sono rivelati i vincoli della volumetria del planivolumetrico (51,60x16,80 m e altezza 79 m) e delle particolari esigenze del committente. Obiettivo del progettista era “ricercare con l’uso di materiali particolari una forza espressiva che tenesse nel tempo e che consentisse di rilevare a prima vista il significato del suo contenuto”. Questa volontà si è tradotta nella forte monoliticità tettonica delle torri, e nella loro diversificazione cromatica e materica. Una nota tra ironica e 204 a classica impostazione della sede dell’Edilres fondata sulla tripartizione orizzontale in basamento, fusto e coronamento, viene ripresa nella contigua sede dell’IMI, raccordata con un portico all’edificio di Pagliara. Lo schema strutturale si sviluppa secondo i moduli indicati dal planivolumetrico di 7,20 e 3,60 metri e la scansione delle campate è segnata da strette asole ottenute binando pilastrini a setto. La regolarità della maglia verticale è interrotta sul prospetto lungo l’Asse Verde, da una campata irregolare in corrispondenza dell’ingresso mentre è rispettata sul prospetto laterale, scandito secondo una partizione simmetrica di sei campate. All’esaltazione materica e cromatica della sede dell’Edilres, fa da contrappunto l’elegante mimetismo di questo edificio, tutto giocato sui toni del rosa e del grigio. Degli stessi autori, prospettano sulla piazza, l’edificio dell’Isveimer, caratterizzato dal coronamento semicircolare concavo e il complesso Esedra, con riferimenti alle architetture di Mario Botta e James Stirling. (A.C.) I nsieme al Palazzo per uffici, le Torri gemelle del CNR segnano l’attuale confine est del Centro Direzionale. Di altezza poco inferiore ai 90 metri, esse hanno il nucleo irrigidente in cemento armato e la struttura in acciaio. Questa soluzione ha consentito il progressivo restringimento dell’edificio verso l’alto e le grandi “smagliature” sulle zone basse delle facciate con l’inserimento di travi reticolari che evitano il prolungamento dei pilastri 1988-1995 Pica Ciamarra Associati 205 STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11 Questa ricerca di definizione d’arte e architettura, troverà, nell’ancora non realizzata stazione di Anish Kapoor di Monte S. Angelo - per la quale è stato dato incarico alla SEPSA dalla Regione Campania - il suo apice in una sintesi perfetta tra le arti, dove scultura e architettura si integreranno in un’unica forma, approfondendo il concetto stesso di ‘stazione dell’arte’. Affidando il coordinamento scientifico dell’operazione “metropolitana dell’arte” ad Achille Bonito Oliva, si è inteso segnare questi ambienti di transito con una scelta curatoriale omogenea, che mescolasse generazioni artistiche e provenienze nazionali. Le sette stazioni della linea collinare, inaugurate in momenti diversi a partire dall’aprile 2001, pertanto, propongono testimonianze dei linguaggi contemporanei che hanno determinato la cultura visiva cittadina e ancora corrispondono alla sua vocazione internazionale. Gli stessi artisti napoletani, storici o di nuove generazioni, chiamati a vario titolo a partecipare al progetto, declinano, infatti, un vocabolario di segni, forme e pensieri che vanno oltre l’ambito locale per spingersi verso ricerche di innovazione e sperimentazione. In un percorso ideale che dal centro storico (piazza Dante) procede verso la periferia urbana (rione Alto) è possibile, dunque, fare esperienza d’arte e di museo, dove critica e storia dell’arte costituiscono il fondamento di scelte museologiche e museografiche precise. Un progetto ambizioso che rientra nel Piano Comunale dei Trasporti, realizzato dalla società Metropolitana di Napoli e gestito da Metronapoli. Stazione Materdei Luigi Ontani mosaico STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11 Linea 1 el 1982 è approvato il progetto generale, nel 1993 viene aperta la prima tratta collinare Vanvitelli-ColliAminei, nel 2003, la tratta Vanvitelli-Dante. N Attualmente è in costruzione avanzata la tratta Dante-Garibaldi. Il completamento dell’anello ferroviario è previsto nel 2015 con la tratta Garibaldi-Piscinola che collegherà anche il Centro Direzionale e l’aeroporto di Capodichino. STAZIONE DANTE piazza Dante Gae Aulenti 2002 Michelangelo Pistoletto Nicola De Maria nella pagina successiva Jannis Kounellis N ella settecentesca piazza disegnata da Luigi Vanvitelli per Carlo III di Borbone e definita da un grande emiciclo scandito da un ordine gigante tuscanico, il progetto di Gae Aulenti per le uscite della metropolitana cerca di costruire il meno possibile e in modo leggero e trasparente. Due scatole d’acciaio e vetro, sono posizionate agli angoli dei lati di un triangolo virtuale il cui vertice è rappresentato dal centro dell’emiciclo, davanti al quale il Vanvitelli aveva previsto la statua del re. Le nuove uscite sono state anche l’occasione per il ridisegno della piazza, ora interamente pedonale, che ha inglobato anche il piccolo giardino laterale con palmizi. La pavimentazione in pietra vulcanica dell’Etna, è disegnata a quadroni e fasce che si sforzano, senza riuscirci, di riprendere e regolarizzare i ritmi variabili delle paraste dell’ovale vanvitelliano. (C.C.) Vero e proprio scrigno di preziose testimonianze artistiche, la Stazione di piazza Dante ci offre un primo raffinato saggio di linguaggi internazionali: dalle opere nel mezzanino di Carlo Alfano, eseguite negli ultimi anni di vita e segnate da motivi autobiografici ed echi concettuali; alla riflessione proposta nella scritta al neon di Joseph Kosuth, che recita una frase tratta da il “Convivio” di Dante, posta sulla scala mobile e leggibile solo in movimento; ai pannelli metallici del greco Jannis Kounellis, attraversati da putrelle che trattengono, 214 215 1 STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11 STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11 schiacciandoli, scarpe e altri oggetti e che rievocano frammenti interrotti di binari; alla telaspecchio di Michelangelo Pistoletto, su cui una linea nera traccia i confini dei paesi del Mediterraneo, mentre la sagoma riflessa del viaggiatore, impegnato nella discesa verso la banchina, ne modifica e rinnova la lettura; all’acceso cromatismo del mosaico di grandi dimensioni di Nicola De Maria, costruito con evocativi elementi figurali e astratti, desunti dall’immaginario infantile. (O.S.V.) 2 espressività dei napoletani Luciano D’Alessandro, le cui fotografie, datate dagli anni Cinquanta ai Novanta, offrono lucidi spaccati sociali; Antonio Biasiucci, il cui sguardo si sofferma su frammenti quotidiani, sottratti dall’indifferenza e caricati di nuovo mistero; Fabio Donato, con i ritratti di alcune figure che hanno segnato il vissuto culturale cittadino e con orientali sequenze giovanili; Raffaella Mariniello, nei cui scatti appaiono paesaggi spopolati e architetture industriali oggi in disuso. (O.S.V.) STAZIONE MUSEO piazza Cavour Gae Aulenti 2001 Copia dell’Ercole Farnese, Mimmo Jodice STAZIONE SALVATOR ROSA via Salvator Rosa via Conte dellʼAcerra Atelier Mendini 2001 P Raffaella Mariniello Luciano D’Alessandro iù che una piazza, piazza Cavour è uno slargo molto allungato fuori le mura della città. L’elemento unitario di tale spazio disordinato è dato proprio dal verde che ne riempie tutto un lato. Il progetto di Gae Aulenti ha cercato di dare maggiore unitarietà all’area tra il Museo e l’imbocco di via Duomo, ridisegnando la viabilità, unificando il lungo giardino e disseminando dentro di esso piccoli cubi rossi di muratura che rappresentano la parte “sopra” della Stazione Museo. I bassi volumi, con copertura piana interamente vetrata, illuminano il mezzanino sottostante portando grande luce nelle stanze dell’Ercole Farnese e del Cavallo Carafa e nei due lunghi percorsi che collegano il Museo Archeologico alla Stazione di piazza Cavour (linea 2). Gli interni, come per Dante, sono in bianco e nero: controsoffitti a volta ribassata in acciaio porcellanato bianco e pareti con pannelli in vetro colorato bianco e pavimenti in linoleum nero. (C.C.) Non distanti dalla copia dell’Ercole Farnese, eseguita dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti, e dalla Testa di Cavallo Carafa attribuita a Donatello, la sequenza fotografica di Mimmo Jodice introduce alle collezioni del Museo Archeologico Nazionale, che conserva le statue in bronzo dei Lottatori e delle Danzatrici della Villa dei Papiri a Ercolano, oggetto dello scavo nella memoria compiuto dall’artista. Il corridoio di collegamento alla Stazione di piazza Cavour è segnato, invece, dalle diverse 216 È la più paradigmatica delle “stazioni dell’arte”, un luogo ludico ed estetico tra disordinati palazzoni anni Sessanta. Un semi-severo volume ispirato al Novecento milanese denota la stazione e fa da perno a un assemblaggio di pezzi dove, un parco urbano, una scala mobile entro un lucido tubo in acciaio specchiato, resti di ruderi ruderizzati insieme a sculture coloratissime e a un variegato arredo urbano, costruiscono uno spazio urbano inaspettato coinvolgendo con grandi affreschi le facciate cieche dei palazzoni circostanti. Un luogo giocoso sopra e sotto la stazione, esemplare delle intenzioni operative e artistiche, poi estese alle altre stazioni, volte a utilizzare l’occasione delle fermate della metropolitana per creare luoghi estetici intrecciando architettura, arte decorativa e installazioni. (C.C.) 217 3 STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11 STAZIONI DELLA METROPOLITANA/11 Baldo Diodato Mimmo Rotella Salvatore Paladino Perino&Vele 4 STAZIONE QUATTRO GIORNATE piazza Quattro Giornate Domenico Orlacchio 2001 218 Ancora più articolata è la spazialità della Stazione di Salvator Rosa. La riorganizzazione ha coinvolto anche i palazzi che costeggiano la stazione, sulle cui pareti, a mo’ di quinte, hanno lasciato i loro segni Renato Barisani, Mimmo Rotella, Mimmo Paladino, Gianni Pisani ed Ernesto Tatafiore. Come in un parco, sculture e mosaici arricchiscono le suggestioni architettoniche: le opere ludiche di Alex Mocika, il rigore della forma di Renato Barisani, la colonna bronzea di Nino Longobardi, il mosaico ‘liberty’ di Fulvia Mendini (che si ripete, con motivi diversi, anche sulla banchina all’interno), il bronzo di Augusto Perez e le esili sagome di Riccardo Dalisi, mentre a invadere la chiesetta neoclassica sono collocati i lavori di Ugo Marano, Lucio Del Pezzo e Gloria Pastore. Dopo una ripida scala mobile, i ‘giochi’ nel parco: totem coloratissimi realizzati da Salvatore Paladino, mentre di Mimmo è la grande mano-orologio. Nell’atrio, all’interno, il gigantesco fiore di Raffaella Nappo, i pannelli in policarbonato di Luca (Luigi Castellano) e la rossa ceramica di Enzo Cucchi, che introduce alla discesa, al termine della quale troviamo le 500 Fiat trapuntate di vetroresina di Perino & Vele e la lunga tela di Anna Sargenti che costeggia la banchina. L’altro ingresso della stazione è segnalato dalla solare decorazione di un palazzo a opera di Mimmo Paladino, dai richiami agli stereotipi della tradizione partenopea di Lello Esposito, di Enzo Cucchi e dalle ceramiche di Ugo Marano, che segnano il varco di accesso. Da qui ci si confonde nelle grottesche immagini visionarie di Natalino Zullo, nei giochi di luce e profondità di Quintino Scolavino e nell’incerta mescolanza delle gocce d’acqua di Santolo De Luca. (O.S.V.) S opra, lungo lo stadio Collana, semplici scale sbucano nel nuovo giardino di quartiere; sotto, un curato rivestimento di marmi venati crea un ambiente domestico, quasi un salone residenziale.(C.C.) Ci si accosta alla stazione con la tensione dinamica della severa geometria della scultura esterna di Renato Barisani. Nel piano mezzanino trovano posto i bassorilievi e le tele di Nino Longobardi, che rievocano, nelle presenze figurali scarnificate e nei simboli che le accompagnano, gli avvenimenti della storia a cui è dedicata la piazza. L’alfabeto segnico, preistorico e tribale di Sergio Fermariello si esprime sulle pareti con decine di minuscoli guerrieri armati, diversamente dai riferimenti zen dell’opera che sovrasta le teste dei viaggiatori, impronta di pneumatico su una superficie di vetroresina. Poco oltre, la luminosa fenditura nell’acciaio di Baldo Diodato e la suggestione narrativa di Anna Sargenti, che, mescolando pittura, fotografia e poesia, racconta un tango struggente. La memoria è anche negli oggetti custoditi nelle teche di Umberto Manzo, rette da strutture metalliche che fanno il verso ai binari del treno, mentre il claustrofobico lightbox di Betty Bee evoca l’idea della costrizione dello spazio. Denso di stimoli percettivi è il lavoro di Maurizio Cannavacciuolo, le cui sagome, quella umana e quella animale, non immediatamente distinguibili, obbligano a una pausa di riflessione. Prima della superficie le donne-combattenti di Marisa Albanese, ancora un’allusione al vissuto della piazza, al ruolo della donna, all’esercizio della mente. (O.S.V.) U n ordinato quartiere novecentesco, a palazzine, intercluso alla città, viene immesso nel circuito del trasporto pubblico e invaso da nuovi oggetti di design (ascensore, aiuola, lucernari, panchine, dissuasori) che inseriscono nel quieto ambiente un’estrosa nota “brasilera”. Il “sotto” della stazione mostra più coese operazioni di assemblaggio: spazi bucati e illuminati da alte guglie, rivestiti di opere a mosaico che si intrecciano alle installazioni artistiche. (C.C.) Nino Longobardi Sergio Fermariello STAZIONE MATERDEI piazza Scipione Ammirato Atelier Mendini 2003 219 5 PARCHI/12 1 PARCHI/12 VILLA COMUNALE via Caracciolo 1780 Carlo Vanvitelli e Felice Abate superficie 12.000 mq 2 PARCO VENTAGLIERI 3 via San Gennaro dei Poveri 2000-2007 Vanna Fraticelli con Antea Andriello RESTYLING A. Mendini 1998 con B. Gregori F. Ferrari A. Busci T. Teodonio IL GIARDINO DI SAN GENNARO AL RIONE SANITAʼ P rogettata da C. Vanvitelli per volere di Ferdinando IV di Borbone, la villa è giunta ai nostri giorni modificata nel suo progetto originario a causa dell’alternarsi delle vicende politiche e degli architetti. Il «real passeggio» oggi è costituito da un grande viale alberato rettilineo, che conduce alla Fontana dei Leoni, oltrepassa la Società di Belle Arti, e la Stazione zoologica Anton Dohrn, e termina alla Cassa Armonica di Enrico Alvino. Nel 1998 il parco è stato sottoposto a interventi rilevanti di restyling a cura di A. Mendini: pavimentazioni in pietra e battuto di tufo, incremento di oltre un ettaro e mezzo della parte destinata a verde, protezione del parco con una nuova cancellata perimetrale (su nuovo disegno di A. Mendini), con cui è stata sostituita la vecchia cancellata ottocentesca, installazione di parchi giochi per bambini, una pista di pattinaggio, tre chioschi “castelli turriti“, rivestiti di ceramica e mosaico ipercolorato e riflettenti (su progetto di Mendini). La vegetazione all’interno della Villa è costituita da lecci, pini, palme, araucarie, eucalipti, platani, alberi di giuda, ippocastani, alberi del corallo, querce rosse, le greville (originarie dell’Australia) e una gran varietà di palme. Con i lavori di restauro sono state introdotte Fitolacche, Casuarine e Canfori. Il progetto di due nuove stazioni su ferro (metrò Linea 6) Stazione Arco Mirelli - ingresso ovest Villa Comunale, Stazione San Pasquale - ingresso est Villa Comunale, introdurrà ulteriori modifiche all’impianto originario. (A.A.) I l progetto rimanda alla tradizione storica del giardino napoletano come giardino agreste, adattata agli usi contemporanei di uno spazio destinato allo svago, al riposo e al gioco dei bambini. Davanti all’Ospedale di San Gennaro si accede con una rampa alla terrazza dei tigli a una quota intermedia; da qui, superando il portale d’ingresso si accede al piccolo bar con i servizi e si può raggiungere il cuore del giardino, con il campo del gioco libero, delle attività collettive e il pergolato panoramico attrezzato per la sosta. Il giardino si sviluppa come successione di luoghi diversamente caratterizzati: il giardino delle rose, il belvedere sulla sommità del prato con gli ulivi; il giardino dei meli, con i giochi per i bambini più piccoli; i lievi terrazzamenti per la sosta tra gli agrumi e i pendii con le piante aromatiche. (A.A.) via Ventaglieri via Avellino a Tarsia 1983 inizio lavori 1997 riqualificazione Lucio Barbera Roberto Zappi I l parco si innesta su uno spettacolare costone di tufo, in parte naturale, e in parte sorretto da un muraglione ad archi da dove sono visibili le grotte preesistenti, scavate nel tufo. L’impianto progettuale è organizzato su quattro livelli diversi: dal primo, partendo dalla scala mobile all’entrata, fino ad arrivare all’ultimo, il parco diventa un percorso ascensionale con viali in mattoni che conducono a piccole spianate e terrazze “arredate” con arbusti tipici della macchia mediterranea: ulivi, piante di rosmarino, salvia, lavanda e fiori dai colori intensi. Interessante è il cromatismo dei materiali: porfido, tufo e mattoni. La percezione dello spazio 238 239 PARCHI/12 PARCHI/12 PARCO MASCAGNA 5 GIARDINI VIA RUOPPOLO via Ruoppolo Servizio Ambiente 2005 DI cambia in base alla scelta dei percorsi. È possibile, infatti, optare per la risalita meccanizzata oppure passeggiare per i viali e godere di una vista suggestiva verso il Golfo, Spaccanapoli, la Certosa di San Martino e Castel Sant’Elmo. (A.A.) 4 PARCO VIVIANI PARCO DI SANTʼANTONIO AI MONTI tra via G. Santacroce e via SantʼAntonio ai Monti (corso Vittorio Emanuele) 1990-93 Vittoria Calzolari Francesco Ghio DETTO ANCHE I l piccolo parco fu realizzato nella prima metà del Novecento. È stato modificato più volte, pur conservando l’impianto arboreo originario. L’ultimo progetto di restyling definisce un’area esterna sempre praticabile e un’area interna, protetta da una recinzione, utilizzabile solo negli orari di apertura e chiusura. L’impianto, di forma quadrangolare, si inserisce nella maglia urbana del Vomero. I percorsi conducono alle varie attività che si possono svolgere nel parco. Entrando da via Ruoppolo, sulla destra troviamo il percorso ginnico e il labirinto verde; a sinistra lungo via Piccinni trovano posto un campo di bocce e pergole con sedute per i giochi delle carte. Sul fondo una fontana a caduta d’acqua costituisce un luogo di polarizzazione degli incontri. (A.A.) PARCO AGRICOLO DIDATTICO DELLʼARENELLA via Domenico Fontana 2005-2006 Biagio Cillo con Nicola Pagano superficie 9.400 mq I l parco, situato su un versante della collina del Vomero, si affaccia sul golfo di Napoli e sul centro storico. La configurazione morfologica è caratterizzata da due alti costoni di tufo, intervallati da un ampio pianoro, alla base dei quali è possibile visitare una vecchia cava di tufo, detta l“occhio di monte” a cui si accede da una scala elicoidale. Entrando da via Sant’Antonio ai Monti il visitatore può scegliere di seguire il viale rettilineo o prendere le scale alla sinistra che conducono alla parte alta del parco. Il progetto si innesta su un preesistente fondo rustico e riprende le trame antiche dei frutteti (agrumi, fichi, albicocche, melograni, meli, kaki) all’interno di una nuova griglia quadrata riconoscibile per i filari di palme e per i percorsi rettilinei in pietra di tufo. Il rapporto con la città si realizza attraverso visuali e percorsi fortemente accentuati. Le pavimentazioni e le sedute sono in pietra di tufo. (A.A.) 240 I l progetto si innesta su un’area a carattere agricolo circondata su tutti i lati da edifici residenziali e si configura come l’arena di un anfiteatro con percorsi continui, che attraversano tutti gli ambienti del parco: gioco, riposo, 241 6 PARCHI/12 PARCHI/12 meditazione, osservazione, spettacolo, studio, giardinaggio, garantendo un’ampia articolazione degli spazi. L’area giochi per i bambini diventa l’occasione per riposare; dal terrazzo dei giochi da tavolo si osserva lo spazio centrale che diventa una platea. Dalle diverse rampe che garantiscono l’accessibilità sono percepibili le diverse essenze arboree fruttifere tipiche dell’ambiente agricolo napoletano. (A.A.) 7 DI via Nicolardi 2000/2008 Servizio Ambiente Comune di Napoli Alessandra Fasanaro Bruno Discepolo (consulenti) B. Sciannimanica (coordinatore unico) superficie 32.000 mq PARCO DI VIA DEL POGGIO via dello Scudillo e viale degli Oleandri 2001 Servizio Ambiente Comune di Napoli Alessandra Fasanaro Bruno Discepolo (consulenti) B. Sciannimanica (coordinatore unico) superficie 37.000 mq PARCO VIA NICOLARDI I l parco sorge a ridosso del vallone San Rocco, area di rilevante valore paesaggistico, oggetto attualmente di recupero. L’impianto progettuale del parco è organizzato su due differenti quote: la quota bassa di ingresso con uno specchio d’acqua ovale che conduce, a est, a un’area gioco per i bambini e, a ovest, a un’area per attrezzature sportive. Nella parte alta del parco è stato conservato l’impianto arboreo esistente. I percorsi sinuosi accompagnano il visitatore alla scoperta del parco e del paesaggio. (A.A.) Zona orientale I l progetto recupera un’ex cava sottratta all’edificazione edilizia. Lo schema compositivo è costituito da lunghi viali alberati che, adattandosi all’orografia del sito, accompagnano il visitatore alla scoperta del parco. Entrando da viale degli Oleandri ci si incammina lungo un percorso che attraversa, a destra, l’area gioco per i bambini, il lago artificiale alimentato da cascatelle (2.300 mq) ricco di bambù e sterlizie, con il palcoscenico sull’acqua e il teatro all’aperto; a sinistra il giardino botanico con alcune varietà di cactacee. I percorsi sinuosi coperti da pergolati conducono ad aree belvedere, che riproducono nell’impianto e nella scelta dei materiali le caratteristiche dei luoghi verso i quali si affacciano e che fanno da cornice al parco: Capodimonte, San Martino, il Golfo. La vegetazione è tipica della macchia mediterranea: magnolie, lecci, piante ornamentali. (A.A.) 242 - il Parco Troisi (tra il 1982 e il 1994) posto accanto al nuovo insediamento di Taverna del Ferro, comprende un lago e una collinetta artificiale, aree verdi pianeggianti, aree attrezzate per spettacoli all’aperto, e attrezzature sportive; è pensato sia come elemento di riorganizzazione della parte urbana, sia come luogo di attivazione di nuovi rapporti sociali; - il Parco dei Fratelli De Filippo a Ponticelli (tra gli anni Ottanta e il 1995), che insieme al Palasport e ad altri interventi segna la rinascita di un quartiere ad alto degrado urbano e sociale. L’accesso è caratterizzato da strutture alquanto pesanti in cemento armato. Contiene una serie di servizi con “stanze verdi” e piazze per eventi. Sempre nell’area orientale, ma su programmi successivi al terremoto, sono stati realizzati: - il Parco di Vigliena, (2004) nell’area dismessa tra la Ferrovia e la Centrale Enel, con attrezzature per lo sport e per gli anziani; - il Parco di Villa Letizia a Barra, basato su variazioni del preesistente impianto planimetrico ottocentesco. Altri parchi recenti nell’area orientale, anche se di minore interesse, sono: - il Parco delle Repubbliche Marinare (su di un ex fondo rustico), il Parco di Pazzigno e il Parco De Simone. 243 8 PERIFERIE/13 3 PERIFERIE/13 RIONE PARCO AZZURRO INA-CASA IPOGEO COMUNALE 5 SCUOLA MATERNA A 6 AULE 6 Cimitero comunale via S.M. del Pianto 1974-1982 Gaetano Borrelli Rojo Alfonso Beraglia Mario Bucchignani via Figurelle 25, 27 Barra 1950-1952 Carlo Cocchia Foto d’epoca “A interrompere la serie continua di elementi paralleli a tre piani e a definire gli spazi liberi sono stati disposti i tre elementi-torre a otto piani. Nella zona di Barra, piatta e bassa, i tre elementi rappresentano una nota armonica di tono più elevato, acquistano la funzione estetica del cipresso del giardino”. Dalle parole di Cocchia e dal confronto con le vicine case di Cosenza emergono le preoccupazioni organico-psicologiche introdotte, con gli anni Cinquanta, dal programma residenziale Ina-Casa, le novità rispetto al rigoroso razionalismo, appena temperato dalla luce del Mediterraneo, delle case popolari napoletane negli anni Quaranta. Planimetrie mosse e variate, articolazione dei volumi nel verde, assortimento dei tipi edilizi, policromia, alloggi più borghesi che operai, persino, perché no, tapparelle al posto di scuri e persiane. (E.C.) 4 U na grande struttura, un masso di beton brut, forte e severo che si disvela solo percorrendo i bassi porticati che la recingono. L’architettura dell’ipogeo, composto da un recinto edificato intorno a due cortili quadrati, è segnata dallo studio in sezione di uno spazio, un’asola vuota rastremata, che taglia in due l’edificio tipo. La luce filtra dall’alto del quarto piano, assecondata nel suo discendere dalla rastremazione dei livelli che contengono i loculi fissi. Il piano terra artificiale copre l’ipogeo vero e proprio. (S.S.) via Aquileia 31 Poggioreale 1983-1988 Salvatore Bisogni Anna Buonaiuto CASA PER ANZIANI E PIAZZA via Bartolo Longo Ponticelli 2005-08 Diego Lama Michelangelo Russo Enrico Picariello I L a necessità di razionalizzare la viabilità intorno alla vecchia Stazione della Circumvesuviana è stata colta dai progettisti come occasione per disegnare uno spazio innovativo nella periferia di Ponticelli e per “creare un luogo” in un quartiere denso di residenze popolari, dove il gigantismo delle strade, la divisione dei recinti delle case popolari e la spettrale presenza di grandi vuoti raffigura una città senza simboli e senza identità. Il progetto della nuova piazza di Bartolo Longo e del piccolo edificio per anziani con l’annessa pensilina è un esercizio di disegno di oggetti riconoscibili, dai colori vivaci e ironici. (S.S.) 260 n mezzo a una Napoli quanto mai eterogenea, ai piedi della «sacra» collina di Santa Maria del Pianto e alle spalle di via Poggioreale, stretta tra una caserma, le propaggini primo Novecento e razionaliste degli ottocenteschi quartieri operai del Vasto e dell’Arenaccia, e i primi edifici dell’area industriale, una piccola area residuale sottoposta a una strada diventa un giardino e il dislivello «un civilissimo frammento di architettura» dell’edilizia post-terremoto: una scuola materna a sei aule la cui «calma» facciata principale sul giardino «evoca una grandiosità di intenti che raramente si è vista in Italia o altrove nell’ultimo mezzo secolo», secondo suggestioni svarianti tra «Terragni, il Gruppo 7 e la Cité industrielle di Tony Garnier». A quanto scritto, con qualche esagerazione, dal molto autorevole Kenneth Frampton, si potrebbe aggiungere una cert’aria neoclassica che ricorda la bianca stagione dell’edilizia napoletana, tra Settecento e Ottocento. (E.C.) 261 7 PERIFERIE/13 PERIFERIE/13 CASE OPERAIE MANIFATTURE COTONIERE MERIDIONALI OFFICINE ANGUS AMPLIAMENTO Casavatore 1961-1967 Massimo Pica Ciamarra via Don Bosco Capodichino 1938 Camillo Guerra E nigmatico ziggurat, grande corte aperta sulla città, simmetrico frammento di redent lecorbusieriano, e involontario monumento alla residenza operaia, versione ridotta delle hof viennesi...Queste e altre ancora sono le contrastanti immagini suscitate dai 202 alloggi progettati da Camillo Guerra per le M.C.M. nel 1938 sulla collina di S. Maria del Pianto: uno dei rari interventi di abitazioni operaie realizzate da una grande industria napoletana durante il fascismo. Il bianco edificio - forse il più moderno di un Guerra sempre indeciso tra tradizione e modernità - visibile da quasi tutta la città storica e importante elemento dello skyline urbano, cattura oggi, assieme alle torri del Centro direzionale, gli sguardi di quanti percorrono l’ultimo tratto, verso Oriente, della Tangenziale. Attualmente colori, ringhiere e qualche dettaglio sono stati modificati. (E.C.) 8 UNITAʼ URBANA A SERVIZI INTEGRATI «PIAZZA GRANDE» via Nicolini Ponti Rossi 1979-1989 Aldo Loris Rossi Annalisa Pignalosa Luigi Rivieccio Foto d’epoca D urante tutti gli anni Sessanta, a più riprese, Massimo Pica Ciamarra - al suo primo lavoro importante - progetta l’ampliamento delle officine di una società britannica che produce guarnizioni ad alta tecnologia, in gomma, neoprene e acciaio. L’ampliamento deve essere a sua volta ampliabile e le tecnologie usate non devono essere da meno di quelle di casa alla Angus. Ed ecco l’acciaio, il vetro, le schiume di poliuretano, le strutture reticolari spaziali, i solai sospesi, le «maglie in attesa» (di ampliamenti ulteriori)...che calano in un pezzo di vuota campagna dalle parti di Casavatore. Con gli anni, sordi capannoni cementizi si affiancano alla scintillante Angus che chiude proprio quando è ormai possibile osservarla dal punto di vista più adatto al suo esibito high-tech: da una macchina che sfreccia a cinque metri dal suolo, su una nuova freeway che quasi sfiora quelle «maglie» che non hanno ormai più nulla da attendere. (E.C.) QUARTIERE «SOCCAVOCANZANELLA» INA-CASA F orse la più grande - per dimensioni - architettura moderna costruita a Napoli. Una sun house wrightiana ingrandita a dismisura e messa sul fondo del vallone dei Ponti Rossi, al posto di un vecchio opificio per la lavorazione della juta. Un edificio che, come tutti quelli di Rossi, «si oppone con violenza ai dati ambientali», ignorando e mortificando, con empito tardo-futurista - il vicinissimo frammento di acquedotto romano e l’edilizia circostante. Una megastruttura, un’«urbatettura», sei volte turrita fortezza circolare (100 m di diametro) che poggia su un suolo artificiale, e intrattiene una qualche relazione contestuale e scalare con quello che resta della pittoresca orografia dei Ponti Rossi e con la Tangenziale. (E.C.) 262 9 A ll’inizio degli anni Sessanta, diecimila napoletani sono venuti ad abitare su questo ripido e pittoresco pendio (nel 1964, c’è andato persino Mastroianni a cercar casa alla Loren in “Matrimonio all’italiana”, annacquata versione cinematografica di “Filumena Marturano”) che doveva restare verde per impedire, dieci anni dopo, la saldatura tra il Vomero e il quartiere-città del Traiano con le sue trentamila anime. La parte più interessante e innovativa è quella disposta a nord, lungo il vertiginoso scivolo di via via Piave, via Giustiniano Soccavo 1957-1962 urbanistica: Giulio De Luca architettura: settore nord Mario Fiorentino Giulio Sterbini settore sud Giulio De Luca settore nord-ovest Delia Maione, settore ovest M. Canino chiesa N.S. di Fatima: G. De Luca 263 10 CASALI/14 CASALI/14 BARRA INTERVENTO 1 RESIDENZIALE IN VIA CICCARELLI 1982-1987 Pietro Barucci Renato Conte Vladimiro DʼAgostino Simone Ombuen I che non possono essere garantite dalle “attrezzature da standard” quantunque rare e pregiate com’è capitato in alcuni casi, ma da uno strutturale coinvolgimento di altri soggetti pubblici e privati e dalle loro disponibilità ad investire e rischiare sotto la regia di un Comune che lavori a tutto campo nel territorio metropolitano, per garantire condizioni appetibili e trasparenti di investimento. In questo senso il Programma Straordinario è stato forse il più intelligente, raffinato ed esteso “canto del cigno” dell’urbanistica degli anni Sessanta e Settanta, fondata sull’esproprio generalizzato e sulla pretesa dirigistica di governare la trasformazione urbana con le sole risorse pubbliche. Un’urbanistica alla quale si è pensato poi di contrapporre per alcuni anni in Europa e in Italia il suo esatto contrario, la contrattazione pubblico-privata a oltranza senza regole condivise e trasparenti. Oggi forse, consapevoli dei danni di entrambi i modelli, siamo di fronte alla possibilità di costruire nuove forme di piano in grado di coniugare sguardo generale e attenzione alla piccola scala: strategie, regole e progetti; concretezza programmatica e finanziaria e capacità prefigurativa fisica e funzionale. Alcuni assunti e intuizioni poste a base del PRG del 2004 e la scommessa ormai lanciata con i cosiddetti “programmi di recupero urbano” che il Comune sta finalmente affrontando in alcune aree della periferia pubblica, lavorando per l’integrazione tra pubblico e privato, tra ceti sociali e attori diversi, tra funzioni di diversa natura e qualità, indicano che forse anche a Napoli si è inaugurata una nuova stagione urbanistica in grado di raccogliere l’eredità migliore degli anni Ottanta. l casale di Barra è caratterizzato da una forma allungata dovuta alla sua crescita progressiva lungo corso Sirena e da sequenze di corti sviluppatesi in profondità. L’intervento, il migliore del gruppo Barucci, s’inserisce in un’area libera al margine settentrionale del casale e completa l’edificazione di un lotto in cui preesisteva un edificio a corte che è stato recuperato. Le corti di progetto riprendono per profondità e larghezza le dimensioni della tipica corte del luogo. In tal modo viene riproposta la fruibilità di uno spazio intermedio tra il pubblico (la strada) e il privato (la casa) che era una caratteristica propria dell’architettura “a corte” dei casali, dove la spazio antistante la casa realizzava “una sorta di camera urbana”. Il progetto degli edifici in linea, propone poi uno dei pochi esempi realizzati di uso delle coperture; destinate infatti a pergolati o stenditoi, le coperture sono aggregate agli alloggi duplex sottostanti. L’intervento è stato parzialmente alterato da opere abusive: come la sopraelevazione di un piano e la chiusura di alcuni terrazzi. (T.P.) SAN GIOVANNI A TEDUCCIO INTERVENTO RESIDENZIALE IN VIA VILLA 1982 Mario DellʼAcqua Carlo Memoli L’ in alto Riqualificazione a S. Pietro a Patierno, disegno di G. Borrelli Rojo 280 intervento, composto per lo più da sostituzioni e completamenti, riguarda una parte centrale del casale di Villa, il cui tessuto urbano è caratterizzato da corti monoesposte organizzate intorno all’incrocio di due assi principali. La geometria dell’intervento nasce da un reticolo quadrato desunto dall’esistente. L’accesso alle corti avviene tramite dei “portali” d’ingresso aperti sull’asse generatore e lo spazio 281 2 CASALI/14 CASALI/14 cortilizio viene segnato dal progettista con imponenti arcate in facciata, in cui trovano alloggio i sistemi distributivi. (T.P.) 3 PONTICELLI FRONTE DI CONSERVAZIONE I l casale di Ponticelli, specialmente lungo i tre percorsi generatori, presenta un tessuto di corti che rispetto agli altri casali appare più riconoscibile e compiuto. Il fronte su via Napoli è sicuramente un esempio di intervento particolarmente riuscito, nel quale niente è lasciato al caso, con evidente equilibrio delle parti. Nelle corti di recupero è chiaro l’intento di realizzare una conservazione intesa più come cultura dell’abitare e del costruire, che non come semplice conservazione delle pietre. Un progetto quindi, nel quale il mantenimento del tessuto edilizio, diventa l’obiettivo di una ricerca di regole che, coerenti con il processo generativo del tessuto stesso, sono perseguite fino all’ultima fase della scelta del colore, senza escludere il recupero degli elementi decorativi. (A.S./G.F.) PONTICELLI TORRE DELLʼOROLOGIO piazza M. De Iorio 1989 Riccardo Dalisi 282 5 SECONDIGLIANO NUOVE CORTI 6 piazza Guarini Francesco Venezia 1988-1999 via Napoli 1982 Giulio Fioravanti Fausto Borzetti 4 S. PIETRO A PATIERNO MUNICIPIO RESIDENZE E PIAZZA D i un fantasioso progetto di sistemazione di piazza De Iorio (G. Fioravanti, R. Dalisi) è rimasto solo il completamento del Municipio, già parzialmente realizzato nel 1978. I nuovi volumi, diafani e imprevisti, interamente vetrati, acquistano vigore nello scatto verticale della Torre dell’Orologio che cerca di triangolare, come una torre civica, antiche emergenze visive del casale. Ruotata in diagonale, con all’interno un gigantesco orologio, la scalettata torre in vetro si mostra come un raffinato oggetto di design. (T.P.) L’ antico insediamento del casale di S. Pietro a Patierno si sviluppa intorno all’incrocio di due percorsi principali. La sua struttura è costituita da una lottizzazione in serie semplice di corti, arricchita nel tempo da edifici di cortina stradale. La nuova edificazione (D. Rabitti, R. Lucci) ben interpreta, riproponendola la morfologia del casale e la arricchisce di qualificati interventi di verde pubblico. La parte più interessante è però data dalla sistemazione della piazza: nuova residenza, caserma e sede circoscrizionale. Il progetto di Venezia conferisce spessore e qualità monumentali al centro del casale intorno alla chiesa di S. Pietro. Cucendo insieme preesistenze recuperate, nuovi edifici pubblici e sistemazioni della piazza attraverso attente riprese e nuove giaciture curve, il complesso e raffinato progetto esprime una notevole qualità architettonica tutta in chiave moderna ma memore di suggestioni antiche. (L.I.) vichi Censi 1982-1991 Luigi Pisciotti Giancarlo Buontempo Pietro Catanzaro Carmela Cotrone Antonio Lavaggi Luigi Milano I Censi sono un rione fortemente caratterizzato a ridosso del vecchio nucleo del casale. Esso è costituito da un tessuto di piccole corti agricole, 283 DINTORNI/15 residenziali; in tempi recenti Pasquale Miano vi ha realizzato un Parco Urbano che rappresenta un elemento di connessione tra due diversi ambiti territoriali. Il degrado sociale talvolta deturpa altera e manomette anche opere di architettura di qualità appena terminate, come nel caso del complesso - con attività civili, commerciali e religiose - realizzato da Antonio Lavaggi, con Buontempo e Pisciotti, ad Afragola. Un’altra testimonianza eccezionale - anche perché frutto di uno dei rari concorsi internazionali di progettazione svoltisi a Napoli, vincitore l’irachena Zaha Hadid - è la stazione di “testa” della TAV in corso di realizzazione ad Afragola: un progetto decostruttivista, un segno incisivo e facilmente identificabile, un’architettura da calare in un contesto dequalificato e profondamente manomesso dalla cementificazione selvaggia, con l’obiettivo ambizioso di farlo rinascere. La stazione ha una duplice funzione: riqualificare il territorio e collegare Napoli con Roma e Salerno, quindi allargare e decentrare i confini urbani della metropoli moderna. Secondo la stessa filosofia a Nola - dove alla fine degli anni Settanta Franz di Salvo, già noto per il progetto delle “Vele” a Secondigliano/ Scampia, aveva realizzato la centrale telefonica con Forino e Taranto oggi è sorto il “Vulcano Buono”, un’opera di Renzo Piano inglobata in un cratere artificiale, nella quale si prevede di trasferire parte dell’attività produttiva terziaria e commerciale sia dal centro che dalla periferia, grazie alla possibilità di rapidi collegamenti consentiti dalle reti infrastrutturali che vi fanno pervenire un maggior numero di utenti. Nell’ambito dei dintorni il territorio, dal secondo dopoguerra in poi, ha subito alterazioni notevoli che hanno alterato con edilizia massiva e speculativa le valenze naturali e molte volte quelle storico-artistiche. Anche le architetture contemporanee di qualità subiscono nella fruizione risvolti negativi grazie a una difficile contestualizzazione. DINTORNI/15 POZZUOLI/1 L’ impianto planimetrico progettato da Luigi Cosenza per la fabbrica di Adriano Olivetti si contrappose in maniera decisa alle direttive dettate dai tecnici dell’Olivetti: un unico capannone rettangolare. Il complesso realizzato è, infatti, costituito da due corpi lineari, tra di loro ortogonali; la soluzione a croce risulta la più idonea a conciliare le varie esigenze: ottimizzazione dell’esposizione, articolazione di spazi chiusi e aperti, possibilità di miglioramenti nel processo lavorativo; non ultima la possibilità di articolare i volumi edilizi per adattarli alle pendenze del suolo. L’accesso sul fronte della Domiziana è costituito da un basso e lungo portico che oltre a segnalare in maniera discreta la presenza della fabbrica, assicura protezione per l’area del parcheggio e soprattutto consente di isolare l’organismo architettonico nella vegetazione. Sulla testata occidentale dell’edificio si trovano gli spogliatoi per gli operai, collegati mediante un POZZUOLI FABBRICA OLIVETTI via Domiziana 1951-1954 (ampliamenti fino al 1970) Luigi Cosenza L’itinerario prevede tre direzioni: - Pozzuoli, Monteruscello - Vietri, Ravello, Scafati, Castellammare, Pompei, Torre Annunziata, Torre del Greco, Portici - Casoria, Afragola, Pomigliano d’Arco, Nola 15.1 Pozzuoli 15.2 Monteruscello 15.3 da Vietri a Ravello 15.4 da Scafati a Portici 15.5 da Casoria a Nola 15.6 Isola di Capri 15.7 Isola di Ischia 296 297 1 DINTORNI/15 POZZUOLI/1 DINTORNI/15 POZZUOLI/1 Pozzuoli una maturità progettuale che gli permette di contestualizzare la lezione dei Maestri del Movimento Moderno all’area mediterranea. L’impianto evoca la locale edilizia rurale e, come per la scuola elementare a Ercolano, le pareti di tompagno vengono ruotate per catturare la luce solare. La soluzione prevede - nel desiderio di coniugare moderna urbanistica e moderna architettura - una successione razionale di abitazioni, incernierate le une alle altre dalle scale all’aperto, in modo tale da creare uno spazio corte, vero nucleo della vita collettiva del quartiere. Tutto il complesso rappresenta, nella logica distributiva e nella ricerca tipologica, la risposta più completa delle sperimentazioni di Cosenza sulla residenza popolare. (G.M.M.) passaggio coperto ai vari ambienti di supporto: l’ambulatorio, la biblioteca, la mensa. La testata meridionale dell’edificio a due livelli, con un elegante portico antistante, ospita la direzione. Di estremo interesse è la sezione trasversale dell’edificio principale le cui coperture sono inclinate verso il centro in modo da lasciare entrare maggior luce; lo smaltimento delle acque piovane avviene mediante un sistema di pluviali allocate nei pilastri cavi così da non avere canalizzazioni esterne. Le facciate sono disegnate dal ritmo elegante dei pilastri e delle pensiline che si stagliano sulla griglia regolare delle vetrate. (L.M.F.) 2 Opere in costruzione POZZUOLI TEMPIO-DUOMO rione Terra progetto di restauro 2004-2008 Marco Dezzi Bardeschi (capogruppo) A. Castagnaro R. De Fusco Gnosis architettura POZZUOLI QUARTIERE OLIVETTI INA-CASA via Terracciano 19 1952-1963 Luigi Cosenza con P. Ciaravolo A. Galli P. Porcinai M. Nizzoli L’ L a stessa équipe di progettisti che aveva realizzato lo Stabilimento Olivetti a Pozzuoli progetta, nelle vicinanze, il quartiere INA Olivetti. Il complesso, nato per l’esigenza abitativa dei dipendenti dell’azienda, rappresenta una delle risposte più articolate di Cosenza al tema della residenza popolare. Dopo aver progettato nel dopoguerra, quartieri razionalisti che guardavano alle esperienze tedesche come nelle cellule di Barra e Luzzatti, Cosenza raggiunge nel quartiere di 298 intervento è il frutto di uno dei pochi concorsi internazionali realizzati a Napoli negli ultimi 10 anni; un progetto di estrema complessità per una cattedrale frutto di una stratificazione che inizia nel 194 a.C. con il Tempio di Augusto per proseguire con gli interventi di Bartolomeo Picchiatti e di Cosimo di Fanzago e, le scelte “demolitive”, di Ezio De Felice successive all’incendio del 1964 - che hanno portato alla luce duemila anni di storia edilizia della fabbrica. Il progetto di restauro prevede che dalla piazzetta antistante il Tempio, una passerella-ponte, superando l’area archeologica, conduca i fedeli all’ingresso originario della cattedrale barocca. In questo percorso, come nel passaggio che conduce all’ingresso riservato al clero e all’area archeologica, la scelta di utilizzare il vetro offre leggerezza ed evoca superfici marmoree. Il vetro è utilizzato anche per le tamponature: all’ingresso centrale esso è costolonato e tra le colonne laterali è tirantato. Il “contemporaneo” campanile - riposizionato rispetto all’originale - dialoga con la cappella del SS. Sacramento. (G.M.M.) 299 3 DINTORNI/15 MONTERUSCELLO/2 DINTORNI/15 DA VIETRI SUL MARE A RAVELLO/3 VIETRI SUL MARE FABBRICA CERAMICHE ARTISTICHE SOLIMENE Opere molto trasformate o abbandonate 9 MERCATO COPERTO via U. Saba 1984-1985 Luigi Pisciotti via Madonna degli Angeli 1951-1956 Paolo Soleri L’edificio del Mercato replica nella dimensione e nella definizione tipologica a corte le regole del tessuto residenziale, demandando alle soluzioni formali, all’uso dei materiali e alla stessa collocazione la sua specificità di luogo pubblico. La pendenza del terreno è sfruttata per consentire l’ingresso diretto ai due livelli. Uno a quota della corte aperta e l’altro che, mediante una rampa di scale a tesa unica, porta al ballatoio superiore anch’esso a cielo aperto che disimpegna i locali per la vendita. Lo spessore del ballatoio costituisce il portico della corte dove altri locali per la vendita sono distribuiti sul lato orientale e occidentale. La struttura in cemento armato è rivestita in mattoni di cotto. Il mercato non ha mai funzionato ed è in stato di abbandono. (L.M.F.) 10 U PIAZZA MERCATO 1983-1985 via L. Bovio e via A. De Curtis Dante Rabitti La piazza mercato è intesa come un grande chiostro tra le case e le sue dimensioni (46x46 m) rimandano alle misure del Tempio di Serapide a Pozzuoli (45x48 m). Un porticato con pilastri a rocchi cilindrici di cemento a faccia vista e copertura in lamiera grecata a due falde delimita su tre lati l’area per il mercato all’aperto. Il quarto lato è definito dal salto di quota di circa 5 metri, con la parte superiore a giardino, in cui sono ricavate delle botteghe con un piccolo portico antistante. Il giardino, che occupa la parte a sud, si articola in uno spazio centrale pavimentato, a pianta semicircolare, circondato da un pergolato e da due piccoli chioschi che si affacciano sulla piazza. La piazza appare in disuso e le strutture del porticato sono degradate. (L.M.F.) 308 nica opera realizzata in Italia da Paolo Soleri, e progettata durante il suo soggiorno a Vietri sul Mare. Il progetto risente delle influenze di Frank Lloyd Wright, di cui Soleri era già stato allievo a Taliesin West in Arizona negli anni 1947-48 e della sua ricerca per un’architettura in armonia con l’uomo e l’ambiente, che svilupperà appieno negli anni successivi al 1955, attraverso i laboratori urbani di Cosanti (Phoenix) e Arcosanti (a metà strada tra Phoenix e il Grand Canyon). L’edificio ospita la produzione e vendita delle ceramiche artistiche Solimene, ed è situato lungo un costone roccioso. All’esterno è caratterizzato dall’alternarsi di una sequenza di figure coniche, rivestite da 20.000 vasi di ceramica di colore verde e cotto e da ampie vetrate in ferro, che proiettano il mare e il sole della costiera dentro gli ambienti dei laboratori, in un gioco di scambio continuo tra l’interno e l’esterno. Il rivestimento in cotto svolge la duplice funzione di isolamento termo-acustico e di “manifesto” pubblicitario della produzione ceramica. La spazialità interna è tutta caratterizzata da una rampa a spirale, liberamente ripresa dal Guggenheim di New York, che collega tutte le attività della fabbrica ai vari livelli; essa si articola intorno a un grande spazio centrale illuminato dal tetto, a sua volta sorretto da grandi pilastri ad albero, che richiamano i pini che spuntano al 309 11 DINTORNI/15 DA VIETRI SUL MARE A RAVELLO/3 DINTORNI/15 DA VIETRI SUL MARE A RAVELLO/3 disopra del costone roccioso. Un edificio da scoprire, non solo per l’avvincente costruzione spaziale e l’inserimento nel contesto, ma anche per la raffinata e interessante produzione artigianale di ceramica. (A.N.) 12 CETARA VILLA BIFAMILIARE 1968-1970 Nicola Pagliara L a villa, come la roccia, degrada verso il mare e della roccia assume la forma e la superficie. La volontà di “progettare” una continuità tra il costone roccioso e la villa viene evidenziata sia dalla forma estremamente articolata e spigolosa, sia dal rivestimento in pietra da taglio di Nocera dei grandi muri esterni. Scrive Pagliara «…Chi pensasse ad un’Architettura senza definirne il modo di ogni singola parte sarebbe in grave errore: anche la falsificazione della “natura” deve essere espressa tempestivamente nella definizione del progetto, in modo che le parti risultino tra loro omogenee». Un’architettura wrightiana che non dimentica l’eclettismo del castello Aselmeyer di Lamont Young. Dal mare, luogo ideale dal quale osservare l’opera, non è agevole riconoscere le due residenze di cui si compone la villa: una si sviluppa su due livelli e l’altra su tre livelli intorno a una spaziosa scala a chiocciola. Un percorso comune e una torre “saracena” collegano le due residenze con la bella distesa di ciottoli della spiaggia della costiera amalfitana. (G.M.M). 13 RAVELLO AUDITORIUM via della Repubblica 2000-2010 Oscar Niemeyer 310 I nserito in uno dei luoghi più belli e significativi, sul piano paesaggistico, artistico e culturale della costiera amalfitana, il progetto dell’Auditorium è un’opera dell’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, già progettista della Mondadori a Milano, della capitale del Brasile e di centinaia di opere in tutto il mondo. Una struttura concava dalla pianta trapezoidale con una copertura in cemento armato intonacata di bianco, che ospita circa 500 poltroncine. In un lotto stretto e lungo, ricavato nell’ansa di un tornante, il progetto dell’Auditorium prevede che l’area riservata al pubblico sfrutti il declivio naturale del terreno, così che la platea riesca a godere, attraverso un grande occhio vetrato, anche dello scenario mozzafiato che gli si apre di fronte. Ai due lati un grande cerchio vetrato e un’intera parete, anch’essa vetrata, ritmata dai possenti stralli in acciaio che sorreggono l’accentuato sbalzo del palcoscenico. Un ampio terrazzamento panoramico collega l’altra piccola struttura polifunzionale incastrata nella curva del tornante. Riprendendo, inoltre, lo scenario e le soluzioni spaziali dei tradizionali concerti estivi ospitati nei piccoli giardini di Villa Ruffolo, Niemeyer prevede di posizionare l’orchestra ed il foyer a sbalzo, sul vuoto, forzando l’immagine della ripida orografia della costiera. (A.N.) 311 PROFILI BIOGRAFICI a cura di Gemma Belli Sono riportati i profili biografici dei principali progettisti operanti a Napoli le cui opere sono presenti nella Guida Vittorio Amicarelli (Sala Consilina 1907Napoli 1971) Architetto, esordisce con le Autorimesse, il padiglione dei Servizi Generali, gli ingressi al Parco Faunistico, al Teatro e al Parco Divertimenti nella Mostra d’Oltremare (1939). Due anni dopo redige con Calza Bini il piano paesistico dell’isola d’Ischia e nel dopoguerra realizza il noto stabilimento balneare La Canzone del Mare a Capri (1950, con P. Porcinai), valido esempio del dialogo tra ragioni dell’architettura e caratteri ambientali, Villa Ferri in via Nevio e il Palazzo sulle colonne in via Manzoni (1952-1957). Marcello Angrisani (Napoli 1925-2000) Architetto, docente, membro INU dal 1971 e CESUN nel 1970-1972, scrive Lo spazio interno architettonico da Frank L. Wright a Louis I. Kahn (1963). Tra le sue opere, eleganti e compatte, influenzate dall’architettura anglosassone degli anni Cinquanta e da Wright: gli edifici di via Giulio Cesare (1953, con S. Paciello), la scuola elementare a Miano-Secondigliano (1960-1969), i quartieri INA-Casa a Secondigliano (1957-1960, in gruppo) e CEP Traiano a Soccavo (1957-1972, in gruppo). Giulio Ulisse Arata (Piacenza 1881Milano 1962) Architetto, accademico di San Luca, è tra i protagonisti dell’architettura italiana degli anni Dieci. Erede culturale di Boito, Sommaruga e Calderini, concorre alla ricerca di un’espressione nazionale con una sua interpretazione di modernismo. Autore prolifico - noto è L’architettura arabo-normanna e il Rinascimento in Sicilia (1913) - partecipa intensamente al coevo dibattito culturale. Attivo in molte città italiane, realizza a Napoli le Terme di Agnano (1909, parzialmente demolite), Palazzo Leonetti (1909-1910), l’edificio residenziale in via dei Mille (1909-1910), Villa Ricciardi ad Agnano (1909-1911), Palazzo Mannajuolo (1910-1911) in via Filangeri, Palazzo Cottrau Ricciardi in piazza Amedeo (1925-1926) e l’edificio in salita Piedigrotta (1927-1928). Adolfo Avena (Napoli 1860-1937) Ingegnere, dal Ministero della Pubblica 346 PROFILI BIOGRAFICI Istruzione a Roma si trasferisce nel 1887 a Napoli, dove per decongestionare la città progetta una funicolare aerea tra via Roma e corso Vittorio Emanuele (1884). Soprintendente ai Monumenti dell’Italia Meridionale dal 1908, con studi come Monumenti dell’Italia Meridionale (1902) partecipa al dibattito sulla conservazione di opere minacciate dall’edilizia di rinnovamento. Interviene, così, nella chiesa di S. Pietro a Maiella e sull’arco di Alfonso di Aragona a Castel Nuovo (1901-1904) e poi nel Palazzo Donn’Anna (1904-1910). Mediando tra floreale e eclettico, si dedica in età matura a progetti residenziali: le palazzine Avena in via Giordano e Scaldaferri in via Preti (anni Dieci, demolite), le ville Lorely in via Toma (1912), Ascarelli in via Palizzi (19131915), Frenna-Scognamiglio in via Cimarosa (1918), Spera in via Tasso (1922) e l’edificio in piazza Fuga (19271928). Gino Avena (Napoli 1898-1979) Architetto-ingegnere, Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, consigliere dell’Ordine degli Ingegneri, dopo un esordio in ambito eclettico attento agli aspetti ornamentali, propende verso il moderno declinato in chiave protorazionalista con riferimenti a Loos e Hoffman. Così, se il fabbricato in via Sanfelice (1931-1933) si pone nella scia del neoromanico, l’edificio in via Tasso (1934-1935) segna il passaggio dall’eclettismo al mediterraneo razionalismo della successiva palazzina in via Morghen (1935-37). Altre sue opere: Palazzo Panorama in via Falcone (1949-1948, con T. Cotronei), l’immobile in via Palizzi (1950-1953) e l’Hotel Majestic in largo Vasto a Chiaia (19571959). Renato Avolio de Martino (Milano 1909, Napoli 2006) Architetto, elegge Le Corbusier e Wright suoi principali riferimenti. Debutta alla Mostra d’Oltremare (1938-1952), progettando il Commissariato di Polizia (1936-1937) e l’Albergo delle Masse (1936, demolito) nell’antistante piazzale Tecchio. Dopo la Guerra disegna Palazzo SME-ENEL in via Bracco (19501955), primo skyscraper della città, l’edificio curtain wall in via Partenope (1953-1958), la Sede RAI in via Marconi (1958-1963, con R. Cortigiani e M. De Renzi), interviene nel rione CEP Traiano a Soccavo (1957-1972, in gruppo) e realizza la Sede dell’ENEL (1986-1995, in gruppo) al Centro Direzionale. Salvatore Bisogni (Napoli 1932) Architetto, docente, allievo di Cosenza e Quaroni, riconduce gli studi urbani nell’ambito del progetto architettonico, avvicinandosi ad Aldo Rossi e al filone neorazionalista. A Napoli è autore delle scuole al quartiere Traiano (1974-1989) e in via Aquileia (1983-1988, con A. Bonaiuto) e del mercatino di S. Anna di Palazzo (1980-2001, con A. Bonaiuto). Presente alla XV Triennale di Milano con il progetto per Montecalvario (1973, in gruppo), cura diverse pubblicazioni tra cui Napoli: L’architettura del limite (1993), Montecalvario questione aperta (1994) e Periferie (1996). Gaetano Borrelli Rojo (Napoli 1934) Architetto, docente, è stato presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Napoli. Studioso delle proposte illuministe per la Città, pubblica opere e progetti, anche in ristampa anastatica, tra cui la ricostruzione (1979) del disegno urbano di Vincenzo Ruffo nel Saggio per l’abbellimento di cui è capace la città di Napoli (1789). Tra i suoi lavori: il grande Ipogeo Comunale (1976-1977, con A. Beraglia e M. Bucchignani), la ristrutturazione di una delle linee funicolari (1977, con A. De Fazio e G. Trella) e il Comparto residenziale n. 7 a S. Pietro a Patierno (1981-1988). Marcello Canino (Napoli 1895-1970) Ingegnere, docente, è preside della Facoltà di Architettura napoletana nel 1941-1952. Attento alle vicende dell’ambiente culturale romano degli anni Venti e Trenta, muovendo dagli studi di Giovannoni sul barocco sviluppa un autonomo percorso progettuale incentrato sulla nozione critica di storia. Tra le sue opere: il Palazzo degli Uffici Finanziari (1933), il Palazzo INA (1935), Villa La Loggetta (1936), la Banca d’Italia (1938-1952), il Piano urbanistico e il Palazzo degli Uffici della Mostra d’Oltremare (1938), il rione CEP Traiano a Soccavo (1957-1972, in gruppo), a Napoli; Villa Zegretti a Roma (1942); le Terme Stabiane a Castellammare (1955) e il Palazzo di Giustizia ad Avellino (1958). Michele Capobianco (Vitulano 1921Napoli 2005) Architetto, docente, allievo di Canino, si perfeziona a Stoccolma. Il soggiorno svedese - da cui derivano la sofisticata monografia Asplund e il suo tempo (1959) e la cura di mostre e convegni d’intesa con l’Arkitektur Museet - ne plasma il linguaggio, sensibile alle questioni urbane e ai temi architettonici dei percorsi e della luce. Tra le sue opere: il Padiglione del Lavoro Italiano in America Latina alla Mostra d’Oltremare (1952, in gruppo), l’edificio in piazzetta S. Stefano (1956, premio IN/ARCH 1961), l’edificio Decina a Parco Grifeo (1956, con G. De Luca), la chiesa nel Rione la Loggetta (1956-1962, con G. De Luca), la Borsa Merci al corso Meridionale (1964-71, in gruppo), il Palazzo di Giustizia al Centro Direzionale (1971-1990, in gruppo), la Facoltà di Economia e Commercio a Monte Sant’Angelo (1982-1993, in gruppo), la Stazione MN a piazza Vanvitelli (19901993, con D. Zagaria) e l’intervento ai vichi Ponte a Miano nel PSER (19831986, premio IN/ARCH 1992). Ferdinando Chiaromonte (Napoli 19021985) Ingegnere-architetto, docente, presidente ANIAI-Napoli, indaga la pratica del costruire in rapporto a materiali e tecniche, dando vita a studi come Nuovi sistemi e prodotti per l’edilizia (1953). Partecipa alla V e alla VII Triennale di Milano (1933, 1940) e alla redazione del PRG del 1939; interviene nel Rione Carità con i Palazzi della Provincia (1934-1936, con M. Canino), INA (1938-1939), l’edificio d’angolo in via Diaz (1938) e l’albergo Oriente (1939). Progetta poi residenze borghesi distinte da una personale cifra stilistica: i palazzi Persichetti e Fernandes (1939) in via Carducci, il condominio in viale Michelangelo (1939). Nel dopoguerra realizza gli alberghi Royal (1959) e Mediterraneo (1963) e la chiesa di S. Vitale a Fuorigrotta (1939-1963). Carlo Cocchia (Napoli 1903-Roma 1993) Architetto, pittore tra i maggiori del futurismo partenopeo, docente, è autore di L’edilizia a Napoli dal 1918 al 1958 (1961), acuta analisi di un quarantennio di trasformazioni. Esordiente realizza nella Mostra d’Oltremare la Fontana dell’Esedra, il Ristorante con Piscina, il Ristorante del Boschetto (demolito), le Serre (demolite) e l’Acquario tropicale (1939-1940). Nel dopoguerra vince i concorsi per lo Stadio San Paolo a Fuorigrotta (1948), la Stazione FS a piazza Garibaldi (1954, in gruppo), le Nuove Terme del Solaro a Castellammare di Stabia (1957-1963, con A. Sbriziolo) e la Facoltà di Medicina e Chirurgia (1963, in gruppo), realizzandone le architetture; affronta i 347