The Conquest of Happiness - "Ferraris"

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Paolo Giannitrapani1
The Conquest of Happiness
La serie di trasmissioni radiofoniche dal titolo Filosofia per tutti nasce all’intersezione tra RMF
(Radio Missione Francescana) e il progetto Giovani Pensatori (Università dell’Insubria) ideato da
Fabio Minazzi, giunto con il corrente anno scolastico e accademico all’VIII edizione. Nel corso di
tre trasmissioni (febbraio 2017), della durata di 20’ ciascuna, introdotte efficacemente da Stefania
Barila 2, curatrice e responsabile di Filosofia per tutti, abbiamo presentato, discusso, secondo varie
modalità, nei limiti imposti dalla natura del medium, e del tempo a disposizione, come il leggere
passi, fare commenti, sintesi, dialoghi più o meno fittizi con Stefania che sapientemente
interrompeva per approfondire o richiamare l’attenzione o sottolineare questa o quell’idea, una
lettura di: Sir Arthur William Bertrand Russell, La conquista della felicità, traduzione di Giuliana
Pozzo Galeazzi, titolo originale dell’opera The Conquest of Happiness, 1930.
Tornavo a casa in macchina con la radio accesa sintonizzata su RAI 3, una voce femminile
stava intervistando un professore de “La Sapienza” di Roma, si trattava di un professore di filosofia
che alla domanda cosa fosse la felicità – guarda caso il programma verteva sulla felicità – rispose
citando questo libro di Russell ritenuto assolutamente pertinente al giorno d’oggi per una ricerca e
discussione sulla felicità, la cosa mi stupì. Il testo non era dunque obsoleto. L’intervistatrice
definiva la felicità come momenti radiosi e intensi mentre il professore, in linea con Russell, questa
felicità che tutti vogliamo, la indicava come ricerca, come conquista appunto, cui possiamo tendere
e che si può riassumere nel non pensare troppo a noi stessi ma nell’aver interesse per le persone e le
cose, all’esterno di noi. Che monotonia e che infelicità essere centrati sempre su noi stessi!!
1 Dr. in Filosofia e in Lingue Straniere, insegnante di Filosofia e Storia, Liceo Linguistico “Manzoni” e Liceo
Scientifico “Ferraris”, Varese (2001-2012), ora ricercatore e collaboratore presso CII (Centro Internazionale Insubrico),
Università dell’Insubria, Varese.
2 Dr. in Filosofia, insegnante di Filosofia presso il Liceo Scienze Umane “Manzoni”, Varese, dottoranda Università
dell’Insubria, Varese.
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Quanti non hanno scritto sulla felicità! Gli antichi, i religiosi, i pensatori di ogni epoca! Fino al
recente Easterlin paradox: quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità
umana aumenta fino a un certo punto, ma poi comincia a diminuire. Russell conosce il pensiero
degli antichi e dei moderni sulla felicità ma non ne fa riferimento analiticamente, ne sarebbe venuto
fuori un volume accademico che mai nessuno avrebbe letto. In teoria bisognerebbe salire su treni
delle Nord, con sotto il braccio l’Etica nicomachea e spiegare a quelli che scendono alla Bovisa o in
Cadorna che il massimo della felicità, come ci insegna il grande Aristotele, è lo sviluppo delle
facoltà maggiori possedute dall’essere umano vale a dire le virtù dianoetiche. Questo dovrebbe
rendere felici tutti. Ecco perché Russell, che non parla ai dotti né intende scrivere volumi
accademici, ovviamente ha di mira quelli che il treno lo prendono a King Cross, si limita a dare dei
suggerimenti a chi la felicità vuole conquistarsela o a chi vuole migliorare le sua vita, secondo il
buon senso, pensando a reali figure di persone felici da lui conosciute, stando il fatto che i nostri
tempi sono diversi da quelli dell’antica Grecia.
Apriamo il manuale della felicità. Russell esamina per prima cosa le cause di infelicità (viene
riprodotto il titolo originale inglese dei capitoli).
I.
What makes people unhappy Prima esamineremo cosa ci rende infelici. Si individuano
8 cause di infelicità. L’autore vuol parlare ed aiutare tutti quelli che sono scontenti ed
esortarli alla ricerca di una felicità possibile. Non si sta considerando quell’infelicità
particolare che può derivare da disgrazie, perdita di figli, disoccupazione, incidenti etc...
Ci si rivolge a tutti quelli che lavorano, che hanno una famiglia ma che sono scontenti e
che possono aspirare ad una grado maggiore di soddisfazione, tutti vogliamo desiderare
di essere felici, nessuno desidera l’infelicità. Va subito detto che va ricercata, per essere
felici, una buona disposizione verso gli altri, verso gli amici, verso le cose, più che non
un ripiegarsi verso se stessi. Non pensiamo sempre a noi stessi! Sono tre i tipi di coloro
che vivono per se stessi: il peccatore, il narcisista e il megalomane. Qui per peccatore
l’autore non intende chi pratica i peccati ma chi ritiene che quello che fa (che magari è
giusto) sia peccato.
II.
Byronic haneppiness. Inizia l’esame delle cause che ci rendono infelici, la prima causa di
infelicità è chiamata infelicità byroniana, nel senso che ci si sente infelici sol perché si
è attribuita alla vita stessa carattere di dolore e infelicità in se stessa, cose richiamate dal
pessimismo tipico di Lord Byron. Oh! tanto tutto è inutile, si vive per soffrire etc..
Bisogna liberarsi innanzitutto da questa idea che tutto è vano, bisogna liberarsi dal
pessimismo totale. Espressione di questo radicale pessimismo è anche il libro della
Bibbia l’Ecclesiaste in cui si esprime la filosofia negativa per cui sarebbe meglio non
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essere mai nati dato che tutto è inutile e vano. [Ci ricorda il nostro Leopardi per cui
funesto è a chi nasce il dì natale]
III.
Competition. Esaminiamo ora la seconda causa di infelicità, ovviamente da evitare, si
tratta della competizione. Si vive come se fossimo immersi in una lotta per la vita, in
una costante competizione in cui dobbiamo mostrarci duri e inflessibili e avere successo.
Siamo schiavi del successo, non ci rilassiamo mai, facciamo solo quello che può portare
ad una successo materiale, ad un maggior arricchimento. Lo giudichiamo un dovere
avere successo. Essere noi stessi, vivere nell’ozio beato significa vivere perdendo tempo.
Siamo schiavi del bisogno di lottare per avere sempre più denaro perché, così si pensa
comunemente, chi ha denaro è anche più intelligente. Una precisazione: questo tipo di
vita (infelice) è tipico del mondo americano più che non europeo. La lotta per la
competizione e il successo rende amari altri piaceri della vita, come i piaceri semplici e
quelli più intellettuali. Lo si vede dal fatto che è tramontata l’arte della conversazione,
fino a pochi anni addietro, osserva l’autore, ancora viva. Oggi nessuno conversa e si è
perso il piacere della conversazione (nacque in Francia nel ‘700). Nessuno fa riferimento
a libri o romanzi letti.
IV.
Boredom and excitement. Un’altra causa di infelicità consiste nel fatto che siamo infelici
perché ci ostiniamo a lottare contro la noia cercando il suo opposto vale a dire
l’eccitazione continua, lo stimolo, il qualcosa di stimolante da fare. La vita in tutte le
epoche storiche ha sempre avuto nelle sue pieghe periodi più o meno lunghi di noia, la
noia c’è sempre stata, ma grandi uomini hanno vissuto una vita tranquilla e i momenti
grandiosi o eccitanti in cui si coprirono di gloria o in cui furono protagonisti di grandi
eventi (Socrate) furono relativamente pochi ma al giorno d’oggi si soffre di più e la noia
si teme e si combatte maggiormente che nel passato. Pensiamo a cosa doveva essere la
vita nei lunghi periodi invernali nel medioevo, con strade fangose impercorribili che
costringevano a stare a casa senza incontrare mai nessuno. Oggi la noia fa paura e già i
genitori abituano i figli con giuochi sempre più eccitanti. Essi hanno l’effetto di
desiderare sempre più eccitazione, sempre più intensità di eccitazione. La cosa giusta è
una vita tranquilla, che ben si addice alla felicità. Pratichiamo dunque una noia
fruttuosa! La noia va accettata, compresa, enucleata nella vita allora il momento
desiderato dell’eccitazione sarà vissuto meglio. C’è un noia fruttuosa e c’è una noia
nociva, bisogna perseguire quella fruttuosa che è connessa alla vita, siamo natura, siamo
esseri naturali, apparteniamo alla natura, più ci allontaniamo dalla natura, più siamo
destinati a soffrire per la noia.
V.
Fatigue. Un’altra causa che ci rende infelici è costituita da un possibile (ma frequente)
stile di vita che ci porta ad essere sempre stanchi, esauriti, affaticati. Questa
dell’esaurimento (più psicologico-nervoso che non fisico) non è la strada da percorrere
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per la ricerca della felicità. Una fatica fisica può anche essere risolta con un buon sonno
ma la fatica psicologica, la tensione nervosa, al contrario, porta debolezza, senso di
spossatezza, insonnia e tutta la vita si colora tristemente. Ma cosa si nasconde dietro
l’esaurimento? Si nasconde una vita in cui noi spendiamo il tempo senza un adeguato
controllo sui nostri pensieri, l’ansia nervosa deriva dalle preoccupazioni, da un mancato
senso esatto delle cose come stanno e che ci accadono durante lo snodarsi della vita
attiva; bisogna imparare a controllare e ordinare quei pensieri che poi portano alle
preoccupazioni e alle ansie. Impariamo a ordinare la vita, nulla stanca quanto
l’indecisione. La stanchezza nervosa, a vedere bene, nasconde paure. Bisogna imparare
ad affrontare le nostre paure, allora. Le paure si vincono guardandole in faccia e non
evitandole. Non diamo poi eccessiva importanza a noi stessi: non siamo niente rispetto
all’infinito dell’universo. L’ansietà deriva dalla paura e vincendo la paura si starà
meglio. Ogni specie di paura aumenta se non la si guarda in faccia. Per vincere le paure
è però necessario una certa dose di coraggio. Vincendo le paure, l’ansia, le
preoccupazioni possiamo apprezzare la vita e distruggere quel muro che si è venuto a
creare tra noi e il mondo esterno.
VI.
Envy. Uno dei mali del nostro tempo, ma che è sempre esistito e che esiste fin da quando
siamo bambini, è l’invidia. L’invidia si para davanti la strada della nostra vita e ci
impedisce di essere felici. L’invidia ci impedisce di godere dei beni che abbiamo perché
scatta subito il paragone con qualcosa che non abbiamo ancora e che ci fa soffrire perché
vorremmo un bene migliore, sempre più grande. Napoleone invidiava Cesare che
invidiava Alessandro che invidiava Ercole. Impariamo a non invidiare ma – ed è il suo
contrario – ad ammirare le persone e le loro qualità. L’invidia è una brutta bestia, forse la
democrazia ha origine dall’invidia; la democrazia prescrive che siamo tutti uguali, non
bisogna eccellere, non devi essere migliore di me, dice l’invidioso. Bisogna imparare ad
apprezzare un dato bene che si ha in se stesso e non paragonarlo ad un altro superiore la
cui assenza ci fa soffrire. Cerchiamo di vedere le cose in se stesse e non in rapporto alle
altre. Tutti siamo invidiosi di qualche cosa, soprattutto rivolgiamo il sentimento
dell’invidia a quelli simili a noi, non tanto a chi è diverso. L’invidia può spingere i
governanti a lavorare per il progresso, per eliminare le barriere. Ma conviene tentare di
capire la cause profonde dell’invidia. Perché ci odiamo tanto? Perché c’è tutto un mondo
di aggressività e di odio? «La ragione sta evidentemente nel fatto che il cuore umano,
quale la civiltà moderna lo ha fatto, è più propenso all’odio che all’amicizia». La civiltà
ci ha reso cattivi e invidiosi. Ci ha sradicato dalla nostra natura più autentica e profonda,
quella di essere esseri terrestri. Allarghiamo il nostro cuore e allontaniamoci da questa
disperazione che ci fa vagare come ciechi nella notte. «Per trovare la giusta via, che lo
conduca lontano da questa disperazione, l’uomo civile deve allargare il suo cuore come
ha allargato la sua mente. Deve imparare a trascendere il suo io e, così facendo, ad
acquistare la libertà dell’universo».
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VII.
The Sense of Sin. Ci rende infelici il senso della colpa (il testo inglese dice veramente
sin che significa peccato). La psicologia religiosa tradizionale del peccato con il
pentimento e il rimorso, non è ritenuta accettabile dalla psicologia moderna anche se
divieti e comandi infantili religiosi continuano ad agire. Vivendo ogni giorno avvertiamo
cose da non fare, proibizioni, divieti; essi risalgono all’infanzia. Si tratta allora di agire
sulla parte irrazionale della nostra personalità tutte le volte che stimiamo con la ragione
di aver fatto bene mentre la parte irrazionale continui a tambureggiare che è male, che è
peccato, che non si deve fare. La parte irrazionale, infantile, istintuale si chiama
inconscio. Possiamo agire sull’inconscio, in modo fermo e deciso piegando le attitudini
di origine infantile: tanto più che l’inconscio infantile delle proibizioni ci fa vietar cose
stupide e non ci segnala e non intacca i veri pericoli morali, come il comportarsi male,
maltrattare la moglie, o avere astio nei rapporti sociali. Quanta superstizione, senza
questa lotta contro l’inconscio, entra nella formazione dell’uomo virtuoso! Lo scopo è
l’armonia delle parti dell’individuo quella razionale e quella irrazionale, così si avrà una
personalità armoniosa in grado di proiettarsi verso gli altri, perché in questo risiede la
felicità.
VIII.
Persecution Mania. Molti sono affetti dall’idea di essere trattati male da tutti. Molti sono
affetti dalla mania di persecuzione, quella non patologica ma ancora curabile. Bisogna
liberarsi da questo chiodo per cui crediamo che tutti ce l’hanno con noi, altrimenti non
saremo mai felici. Molti si sentono vittime dell’ingratitudine, della scortesia, della
malafede altrui. Il problema sta in noi stessi e dobbiamo cercare di liberarci
dall’ossessione che gli altri ce l’abbiano con noi. Come si viene a sviluppare in noi la
mania di persecuzione? Nasce da una esagerata valutazione di noi stessi, dei nostri
meriti. Ecco allora quattro massime di carattere generale come cura efficace contro la
mania di persecuzione: 1. quando agite ricordate che non sempre si è così spinti
dall’altruismo, come invece si vorrebbe apparire; 2. non sopravvalutate i vostri meriti; 3.
non aspettatevi che gli altri si occupino di voi; 4. non è pensabile che la gente si occupi
di voi al punto tale di arrivare a perseguitarvi. Non conviene avere un esagerato
concetto di noi stessi: si tratta di una menzogna che logora col passar del tempo, meglio
costruire la nostra vita secondo un’immagine reale, armonica.
IX.
Fear of Public Opinion. Viviamo nel timore di ciò che possono dire gli altri di noi, ecco
la paura dell’opinione pubblica. Noi tutti vorremmo essere sempre accolti, ascoltati e
approvati. La cosa non è assoluta, in certi ambienti c’è il pettegolezzo in altri più civile
tolleranza. Il timido attira su di sè l’avversione e viene percepito come facile preda. Se
siamo sicuri siamo più accettati, il simpatico ha successo e riesce a opporsi e a imporre
le sue opinioni contrarie a quelle correnti. Che fare dunque? In una società uniformatrice
e livellatrice è necessario che ciascuno esplichi la sua natura più autentica, seguendo i
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suoi gusti spontanei, solo così potrà sentirsi sicuro delle sue opinioni e se tutti a loro
volta agiranno così anche gli altri penseranno in modo autentico senza odiare gli altri.
Poi le cause di felicità:
X.
Is Happiness Still Possible? Siamo ora nella seconda parte, ci si chiede preliminarmente:
la felicità è ancora possibile? Guardandoci intorno sembra proprio di no, ma l’autore
conosce casi di persone davvero felici e propende per una risposta positiva. La felicità ha
tutta l’aria di essere di due specie, con mille gradi intermedi, perché esiste una felicità di
cuore e una di cervello. Gli scienziati sono generalmente felici. Ma che dire del
giardiniere di Russell giudicato forse ignorante ma felice nel suo lavoro? Credere, aver
una fede è sempre fonte di felicità. Il segreto è forse avere un atteggiamento positivo
verso le persone e le cose che ci circondano, avere una disposizione ad interessarci alle
cose uscendo da noi stessi. Scopo dei restanti capitoli è dimostrare questo assunto.
«Il segreto della felicità è questo: fate in modo che i vostri interessi siano il più
possibile numerosi e che le vostre reazioni alle cose e alle persone che vi interessano
siano il più possibile cordiali anziché ostili»
XI.
Zest [Enjoynment]. La gioia di vivere o l’entusiasmo per la vita se vogliamo render
l’inglese zest. La gioia di vivere è il tratto più rimarchevole dell’uomo felice. Cerchiamo
di avere degli interessi che coinvolgano! L’uomo che si interessa a qualsiasi cosa è un
uomo che vivrà meglio dell’uomo che non si interessa a nulla. Per es. si può viaggiare
rimanendo indifferenti e si può viaggiare interessandosi di tutto e ricavando piacere e
interesse da una cultura che non si conosceva. C’è la gioia di vivere generica e c’è la
gioia di vivere alimentata da interessi specifici. Gli interessi, la gioia di vivere,
l’entusiasmo vanno naturalmente inseriti e resi compatibili con il nostro stile di vita, in
questo Russell recupera il pensiero degli antichi sulla felicità, vale a dire la pratica del
giusto mezzo tra gli estremi. Fa parte della conformazione della natura umana una
genuina gioia di vivere. Lo si vede nei bambini sempre attenti e interessati a tutto. Ma
perché allora guardandoci intorno nella società civile non la vediamo questa gioia di
vivere? Ma è la società stessa con le sue regole “civili” a stravolgere l’animo umano con
le sue pur necessarie regole. E allora? Si tratta di reagire all’assetto e alle imposizioni
della vita civile con energia. Talvolta l’energia richiesta può essere superiore a quella che
noi impieghiamo nel lavoro. Si richiede energia dunque, a meno che non abbiamo un
lavoro che ci interessi moltissimo. Da notare un’osservazione che connette questa
energia richiesta alla salute. La salute umana col progresso generale è migliorata
moltissimo ma non è detto che sia tutta energia. Siamo più in salute che in passato ma la
forza e il vigore fisico non è forse quello di un tempo.
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XII.
Affection. Sentire che si è oggetto di affetto, sentire di essere amato, genera fiducia in se
stessi, genera entusiasmo per la vita, genera le felicità. La sicurezza e l’entusiasmo
deriva dall’affetto che si riceve non dall’affetto che si dà. Certo l’ideale è l’affetto
reciproco tra due persone accomunate da un unico scopo di vita, nella ricerca di un bene
comune.
XIII.
The Family. Dovrebbe darci la felicità la famiglia, una felicità semplice e naturale
eppure «di tutte le istituzioni tramandateci dal passato nessuna, al giorno d’oggi, è così
disorganizzata e fuorviata come la famiglia». I genitori non sono più sicuri dei loro
diritti di fronte ai figli; i figli non sentono più di dovere rispetto ai genitori, osserva il
nostro. La popolazione diminuisce e il mondo occidentale fa meno figli, bisognerebbe
tornare ad apprezzare la felicità nel mettere al mondo dei figli. La più grande e duratura
felicità umana risiede nella paternità e nella maternità. Procreando ti senti parte della
vita, del gran flusso della vita che sfida il futuro e non sei più solo un individuo isolato
che morirà. Certo nell’avere figli è necessario il rispetto per la personalità del figlio e
non la proiezione di egoismi sui figli.
XIV.
Work. Il lavoro è da porre tra le cause di felicità o tra le cause di infelicità? Il lavoro
ammette tutta una scala di gradazioni: dal semplice lavoro monotono al lavoro che
comporta il godimento più profondo. Il lavoro ci fa impiegare il tempo e ci libera dalla
noia, ecco il primo (paradossale) aspetto positivo posseduto dal lavoro. Il lavoro inoltre,
ed è il secondo aspetto positivo, ci dà la possibilità di esprimere le nostre abilità, e di
ricavare soddisfazione dal saper costruire qualcosa dal niente. Il lavoro in conclusione si
associa alla felicità in questo senso: necessita della fermezza dei propositi e la fermezza
dei propositi, così come la costanza, il vedere le cose come un complesso e non come
una serie di accidenti, è l’ingrediente essenziale della felicità.
XV.
Impersonal Interests. Siamo immersi nel nostro ritmo di vita e assorbiti completamente
nelle nostre attività di lavoro, di famiglia etc.. È bene però saper coltivare degli interessi
diversi. Essi possono rivelarsi utili nei momenti difficili o di crisi o in ogni caso è
sempre bene interrompere le ore di attività quotidiana con il rivolgere il pensiero a
qualcosa di diverso, di piacevole, a qualcosa che ci distolga dalle preoccupazioni solite.
Inutile bere fino all’ultima goccia delle nostre disgrazie se ci capitano, bisogna saper
avere interressi alternativi che ci rilassino e facciano riposare la nostra mente. È bene
ricordare sempre che per quanto la nostra vita sia eccezionale siamo un nulla
nell’universo e questo dovrebbe farci riflettere su come stanno le cose acquisendo, come
dice il nostro, il senso delle proporzioni, il che aiuta ad essere felici.
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«L’uomo che cerca la felicità agirà saggiamente tendendo al possesso di un numero di
interessi sussidiari da aggiungere a quelli centrali sui quali la sua vita è costruita»
XVI. Effort and Resignation. Per essere felici è necessario un equilibrio tra sforzo, sforzo
intenso, più o meno eroico e una certa sana rassegnazione. Qui rispunta le vecchia idea
dei greci dell’equilibrio tra i due estremi, della sana mediocrità, dell’aurea mediocritas,
concetto vero ma poco interessante (spesso la verità non è interessante anche se è vera e
spesso si va dietro a credenze che sono sì interessanti, ma non sai se sono vere). Nella
vita si richiede qualche volta sforzo e combattività, proprio nel caso della conquista,
appunto, della felicità. La felicità non ci cade dall’alto e dobbiamo fare in modo di
procurarcela. Anche per la conquista della felicità dobbiamo saperci rassegnare certe
volte come nel caso di vedere davanti a noi ergersi mali insuperabili, contro cui non c’è
niente da fare. La vita scorre più felice se sappiamo amalgamare nella giusta misura la
rassegnazione e lo spirito combattivo. Inutile fare l’eroe tragico per ogni cosa storta che
capita. O entrare in crisi per un pizzico di umorismo. Di fronte a delusioni importanti
una giusta rassegnazione ci porta a nuovi progetti, a nuove speranza ma guai a deviare
dalla rassegnazione alla disperazione.
XVII. The Happy Man. Tiriamo le somme. La felicità è possibile e qui si esaminano le cause
interne che possono rendere un uomo felice e non le circostanze esterne o particolari
casi della vita. Qui ci si riferisce a chi ha una posizione, una famiglia, un sistema
normale di vita etc.. Ma si può essere felici purché le passioni e gli interessi siano diretti
all’esterno, non all’interno. Non pensiamo a noi stessi ma guardiamo al mondo,
all’esterno! Le passioni egocentriche vietano alla vita di essere
varia. Pensare a se stessi significa che l’oggetto degli interessi è
sempre lo stesso, cioè noi stessi: la noia è garantita. Felice è chi
ha affetti e interessi liberi e vasti verso cose e persone. Guariamo
dalla malattia di essere assorbiti in noi stessi! Non si tratta della
negazione di noi stessi ma di avere interessi diretti all’esterno. Ci
sentiremo parte della corrente della vita. Il moralista dice che si è
felici se si segue la virtù, salvo un bambino che affoga e so che la
Giovane pensatore greco
mia azione è stata virtuosa dunque sono felice, ma ciò riguarda
mentre studia con un
l’atto e non cambia il mio spirito. «È in questa profonda unione portatile? Icona del progetto
di didattica filosofica dei
istintiva con la corrente della vita che si trova la massima gioia».
Giovani Pensatori
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