Capaci e meritevoli, giovani e anziani (pensieri in libertà di Luigi Migliori) "E' prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale", così recita il quinto comma dell'articolo 33 della Costituzione Repubblicana. In buona sostanza, lo Stato si fa garante del livello culturale dei candidati ai vari ordini e gradi scolastici oltre alle professioni: da ciò nasce il valore legale del titolo di studio; laddove venisse meno tale garanzia statale, il principio del valore legale dei titoli di studio si affievolirebbe nei fatti, con grave danno dei giovani provenienti dai ceti meno abbienti, che sul mercato del lavoro non potrebbero efficacemente spendere un titolo svalutato. Indubbio l' intendimento meritocratico del passo in parola. Del medesimo stile il comma dell'articolo 34: "I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi ". Possiamo parlare di diritto, per gli alti gradi degli studi, solo per capaci e meritevoli; entrambi gli attributi: abile-esperto, degno, così a stampa sul vecchio dizionario. Chiediamoci quanti discorsi sul diritto allo studio universitario siano coerenti col principio sopra citato, a fronte di un assordante silenzio dei cacciatori di consenso di turno. L'inciso, "anche se privi di mezzi", trova concreto percorso nel comma seguente, ove, per rendere effettivo il diritto dei capaci e meritevoli privi di mezzi, indica le " borse di studio", gli " assegni alle famiglie ed altre provvidenze"; pubblici interventi da attribuire per concorso. Evidente l'impianto meritocratico e l'esigenza di equità trasparente nell'assegnazione degli aiuti. Difficilmente un padre costituente si riconoscerebbe nella concreta attualità: borse di studio ed assegni alle famiglie, rari e marginali, per le altre provvidenze una scarsità cronica, basti pensare agli alloggi per i fuori sede. I padri costituenti prefigurarono un impegno della Repubblica che evitasse al massimo, ad incapaci o immeritevoli, di accamparsi inutilmente nelle sedi universitarie, comunque, ad onere del pubblico erario. Se ci fossimo meno discostati dal dettato Costituzionale, avremmo evitato a milioni di studenti universitari, che non hanno conseguito la laurea, di perder tempo; contemporaneamente, anche se con qualche cattedra e sede universitaria in meno, avremmo investito su capaci e meritevoli. Forse, godremmo di una migliore ricerca, più brevetti da giocare nella credibilità internazionale,più innovazione e meno disoccupati. L'occupazione, altro tema in cui scarseggia il merito, particolarmente nella pubblica amministrazione, con discutibile rispetto del testo Costituzionale. Infatti, l'articolo 97 della Costituzione della Repubblica recita, al terzo comma: "Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge". Una metodica generale di reclutamento basata sul concorso fra i candidati al fine di individuare i migliori, la graduatoria di merito, per l'assunzione. Di fatto, abbiamo osservato per decenni assunzioni basate sull'anzianità: l'amministrazione assumeva precariamente, senza valutare le capacità individuali del candidato, poi, all'ingrossarsi del precariato, un'immissione definitiva in forza di una qualche legge sul precariato, ancora senza valutazione delle qualità professionali personali del singolo precario. Questa procedura, ampiamente esperita, ha prodotto l'innalzamento dell'età media dei pubblici dipendenti, impedendo ai giovani di concorrere ad attività riservate ai precari, indipendentemente dalle capacità professionali degli uni e degli altri. Si è dato per scontato che esclusivamente all'anzianità di servizio corrispondesse una qualità professionale, niente di più infondato, oltre che opinabile sul piano dello spirito costituzionale. Si sono verificati casi di procedure similari anche per posti dirigenziali, con scandalo degli addetti ai lavori europei. Trovandoci, ora, con pubblici dipendenti mediamente di età avanzata, spesso di qualità ignota, e tanti giovani disoccupati, un ministro ha suggerito di prepensionare gli anziani per far posto ai giovani: assolutamente non originale, così si è agito per decenni, non dimentichiamo le baby pensioni, peraltro aumentando il nostro debito pubblico. Ancora una volta propositi di dividere la miseria; solo creando ricchezza si aumenta l'occupazione. La tradizione meritocratica, particolarmente incisiva nella sinistra italiana, nel '68 cambiò direzione: volevano rivoluzionare il mondo e si son piazzati, a suon di sanatorie, nei posti della pubblica amministrazione, favorendo l'aumento del debito pubblico, ipoteca sulle risorse di figli e nipoti; il malfatto é stato recuperato con un giovanilismo di maniera, giocato sulla permissività, illudendo i giovani e lasciandoli senza strumenti efficaci per affrontare il futuro. Constatato come difficilmente, nei tanti comitati pro Costituzione, vengano trattati i passi costituzionali citati , sarà casuale, ma già ai tempi di Platone, circa 350 anni prima di Cristo, si sapeva che quando gli anziani blandiscono i giovani la demagogia ha campo libero e la tirannide è in agguato, appunto. Grazie per l'attenzione, il già Dirigente Scolastico in Cesena Luigi Migliori Aprile 2014